«Ho vinto?» si chiede, sinceramente dubbioso, Alberto Dainese. Ha ancora il cuore in gola dopo uno sprint ai 70 km/h e non sa come comportarsi. Sono istanti lunghissimi per lui che non vince da oltre un anno. Sì, gli dicono, hai proprio vinto tu. Ci mette un secondo a realizzare poi urla, bacia i compagni, ringrazia Michael Matthews (che in conferenza stampa apostrofa col suo soprannome, Bling) che è venuto a congratularsi e alza le braccia al cielo.

Dainese ha vinto di mezza ruota su Matthews e di ancora meno su Milan. «Arrivare secondo sarebbe stato parecchio terribile», assicura in conferenza stampa, come se terribile e basta non rendesse l’idea. Per vari motivi non ha avuto la continuità che voleva e anche a questo Giro è sbocciato tardi: in certe tappe ha dovuto fare il gregario a Marius Mayrhofer, in altre era proprio cotto.

In quella di Bergamo, per esempio, svariate persone sulla Boccola hanno riferito di averlo visto aiutarsi nella salita, aggrappandosi a ciò che poteva. Per quel che mi riguarda, meglio così. Ricordo la tappa di Napoli, quando un Alessandro Verre a bagnomaria tra fuga e gruppo usufruì del bidon collé per tirare il fiato sul valico di Chiunzi. Un giudice in modo iniziò ad annotare sul taccuino e tutti, sulla macchina in cui ero lì accanto, pensammo: «Ma che cazzo scrivi, dai!».

A costo di sembrare una trasmissione radiofonica, copio e incollo un messaggio ricevuto da un’ascoltatrice del podcast GIRONIMO. Dopo la tappa di Bergamo, Allegra mi ha scritto che le è capitato «di essere vicino alla fidanzata di Dainese e la sua preoccupazione, emozione, distruzione nel vederlo al primo e al secondo passaggio mi ha sciolto il cuore». Dainese stava così male (problemi di stomaco) che è arrivato ultimo a quasi un quarto d’ora dal penultimo.

Di queste storie di redenzione, di uscita dal tunnel della sofferenza con una grande vittoria, non penso ne avremo mai abbastanza. Per questo sarebbe bello se l’ultima tappa per velocisti del Giro, a Roma, la vincesse Arne Marit. Ieri in lacrime all’arrivo, non si dava pace per una catena saltata al momento peggiore: «This is fucking… I have no words for this». Oggi cominciano tre giorni infernali, Arne. Tieni duro che prima o poi arriva.