Sembra, insomma, che il 106° Giro d’Italia sia una questione per tre. Uno tra Joao Almeida, Geraint Thomas e Primož Roglič vincerà, non si scappa. Tre possibili vincitori che, per motivi molto diversi tra loro, sarebbero degli ottimi vincitori: Almeida vivrebbe un battesimo del fuoco, una consacrazione (sempre che questi due sacramenti siano conciliabili); Geraint Thomas diventerebbe il più anziano vincitore del Giro (al momento il record è di Fiorenzo Magni nel ‘55, quasi 35 anni); infine, quanto sarebbe romantico se Primož Roglič riuscisse a ribaltare il Giro (e tutta quanta la sua narrativa) vincendo all’ultima cronometro?
Sembra ieri che ci strappavamo i capelli per le dipartite anzitempo di Evenepoel e Geoghegan Hart. Con loro il Giro sarebbe stato più bello, certo, ma due arrivi in salita della terza settimana – Bondone e Val di Zoldo – hanno riscattato alcune tappe mosce (Gran Sasso e Bergamo), distribuendo le carte per un finale elettrizzante sulle Tre Cime di Lavaredo. Senza accorgermene, ieri ho fotografato tutti e tre: Almeida alla partenza, con un polpaccio marmoreo guizzante fuori dal calzino; Roglič, subito dopo l’arrivo: con la maglietta aperta gli si contano pure le costole; Thomas, in conferenza stampa, poco prima che risponda a una domanda sui biscotti da thé gallesi e che ricordi a tutti di avere «37 anni, dovrei essere in spiaggia anziché qua».
Sembra che dica così, Thomas, per auto-convincersi di avere il cuore leggero. L’altro giorno gli hanno chiesto se conosce la leggenda delle Tre Cime di Lavaredo, un traguardo storico del Giro, dove hanno vinto in passato Merckx (1968) e Nibali (2013, sotto la neve). No, è stata la sua risposta. «Cos’è, la salita finale? Non la conosco, magari guarderò qualcosa su YouTube stasera».
Sembra, insomma, che oggi ci divertiremo.