«Sono decenni che le nostre strade non sono sicure e noi continuiamo a parlarne senza mai cambiare nulla. La tragedia di Silvia era evitabile, come tante altre. Non si può solo parlare, servono persone in grado di agire. Da noi mancano capacità e conoscenza». Matteo Trentin è desolato, innervosito, e quando si parla di sicurezza stradale non fa sconti a nessuno. «Non ho letto i provvedimenti del Pnrr, ma basta guardarmi in giro per vedere che le cose non vanno. Ora apprendo che si sono previsti 570 chilometri di piste ciclabili urbane e sono stati stanziati 600 milioni per la realizzazione di ciclovie turistiche e ciclabili urbane. Mi sembra ridicolo. In primis 570 chilometri sono un nulla, solo la città di Parigi ne ha di più. Inoltre: quanto si è parlato di transizione ecologica? Questo dovrebbe essere il primo punto su cui investire, se si vuole la transizione ecologica. Ci rendiamo conto che, anche se sostituiamo tutte le auto con macchine elettriche, non abbiamo risolto nulla? Capiamo che avremo sempre gli stessi incidenti e che se un’auto piomba su un ciclista o su un pedone i danni sono ingenti, elettrica oppure no? Forse ci sarà meno inquinamento, ma quella energia, in qualche modo, andrà pur prodotta».
Trentin legge molto sul tema e proprio l’altro giorno è stato colpito dalla riflessione di un urbanista. «Lui afferma che le persone, di fatto, usano ciò che gli si mette a disposizione. Ed è vero. Se continuiamo a costruire autostrade poi non possiamo meravigliarci che la gente giri in auto. Tutti sanno che la bicicletta è il mezzo del secolo: il più comodo che esista, ti muovi agevolmente, risparmi denaro, tempo e non hai nemmeno il problema del parcheggio, però tutti preferiscono prendere l’auto, anche per fare cinquecento metri. Perché la società spinge in quella direzione: la bicicletta non è considerata indispensabile, l’auto sì. Tutto il resto viene di conseguenza. In una strada così affollata di auto, in cui viene a mancare il principio base della civiltà, quello del rispetto per i più deboli, andare in bicicletta fa anche paura. Io andavo a scuola in bicicletta, oggi, se mio figlio me lo chiedesse, gli direi di no».
Tanto più che, spiega Trentin, in Italia le possibilità per costruire ciclabili ci sono tutte. «Non si parla di paesini abbarbicati sui monti in cui questo sarebbe difficile. Qualcosa si è fatto: a Milano, per esempio, o a Ferrara che credo sia la città più ciclabile d’Italia. Ma serve ancora fare tanto. Nelle grandi città si sta iniziando ad accettare l’idea che le auto debbano restare fuori dai centri storici, nei piccoli paesi si fa più fatica. Sembra di vietare chissà cosa quando si parla di centro pedonale. E pensare che in quei centri, con altri mezzi, ci si muoverebbe meglio».
Ma la questione è più complessa e Matteo Trentin torna sul tema del rispetto. «Forse nemmeno una ciclabile avrebbe salvato Silvia, perché per allenarsi non l’avrebbe usata. Giustamente, non ci si può allenare sulle ciclabili. Il rispetto, però, l’avrebbe salvata di sicuro. Perché a scuola guida non si parla di rispetto per gli utenti deboli? Perché la legge non fa nulla per questo? In Italia ci battiamo da anni per il metro e mezzo di distanza per la nostra sicurezza. Petr Vakoč mi ha detto che, la stessa istanza, in Repubblica Ceca, è arrivata in parlamento in pochi mesi. Io ieri ho rischiato ben tre volte, di cui due per persone che passano apposta a pochi centimetri dalla bicicletta, quasi per spaventarti». Qui l’affondo: «Le colpe vanno certamente ripartite, perché anche chi va in bicicletta sbaglia, ma da noi si è giunti all’assurdo. Anche se c’è un errore dell’utente debole, non è possibile giustificare l’auto che gli piomba addosso. Non deve succedere, a prescindere».
Altra tematica discussa in questi giorni riguarda l’introduzione dell’obbligo del casco per i cicloamatori o i turisti. «Sarei favorevole, assolutamente. Credo, però, non sia questo il momento di parlarne. Iniziamo ad avere tante persone che si spostano in bicicletta e poi ci pensiamo. Il casco salva in incidenti fra biciclette, quando cadi da solo, ma se un’auto ti travolge le conseguenze sono gravi ugualmente. Lì il casco non cambia nulla».
Poi c’è la sicurezza in gara, i veri problemi e quelli trasformati in problemi da chi «dovrebbe conoscere il ciclismo, visto che lo governa ed invece, a quanto pare, non lo conosce per nulla». Trentin parla della faccenda borracce. «Le premesse e le promesse erano diverse. Poi non si sono ascoltati gli atleti e si è presa un’altra direzione. Un conto è parlare di passaggio della borraccia in sicurezza, altro conto è vietare un’usanza tipica del nostro sport da secoli. Tra l’altro con borracce biodegradabili e persone che non vedono l’ora di raccoglierle. Dicono che in alcune parti del mondo non vengano raccolte e restino a bordo strada. Bene, facciamo qualcosa di diverso in quei paesi. In Europa questo rischio non c’è».
Infine un plauso, perché le cose fatte bene vanno riconosciute. «Parlo di Flanders Classics e delle nuove transenne adottate per le classiche di primavera. Non sono un tecnico, non posso giudicare nei dettagli queste barriere. Apprezzo il fatto che qualcuno si sia informato e sia andato da un’azienda a richiedere un progetto, senza che ci fosse un obbligo di legge. Che lo abbia fatto per la sicurezza di tutti. Altrimenti poi succede come in Turchia. Io non sono mai caduto in mezzo alle transenne e spero di non finirci mai. Spesso, però, le nostre sono transenne vecchie di anni, non si sono mai cambiate per risparmiare ed oggi i costi sono elevatissimi. Se si fosse lavorato nel tempo, forse, non saremmo a questo punto. Certo, non tutte le organizzazioni possono permettersi di sostenere costi simili, ma se si comprassero assieme e si condividessero? Almeno per gare che non coincidono a livello temporale. Perché non pensarci?».
Foto: Vincent Kalut/PN/BettiniPhoto©2021
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