Per arrivare a Viggiano da Diamante, tagliando – si fa per dire – per la strada che porta verso le Grotte del Romito e poi per il Parco Naturale del Pollino, non è facile come sembra dalle indicazioni studiate con attenzione certosina e riportate poi su Google Maps.
Chi guida – che non è chi scrive – ha la situazione sotto controllo, i passeggeri – tra cui chi scrive – , maledicono invece il momento in cui hanno preso un’arancia dal fruttivendolo. Quel frutto così gustoso in un primo momento, decide di fare su e giù nello stomaco a ogni curva, buca, tornante.
Interessa poco al racconto della corsa, è vero, ma è importante per capire che, prima o poi a Viggiano, per seguire il passaggio del Giro d’Italia, ci siamo arrivati veramente. E se lo scriviamo è perché non sembrava di fatto così scontato. Abbiamo attraversato zone che lasciavano a bocca aperta, dove il verde intenso della macchia calabrese (se uno decidesse di “darsi alla macchia” qui probabilmente non lo ritroverebbero più) a un certo punto lasciava spazio alle infinite vallate della provincia di Potenza. Una sorpresa. Alpeggi, borghi mozzafiato appesi alle montagne che ricordavano le biciclette colorate di rosa che avevamo visto penzolare da alcune finestre poche ore prima dalla partenza di Diamante.
Quando si arriva Viggiano, in paese, la luce si fa forte, gialla come nascosta da una lente color limone. Gruppi di persone salutano, bambini vestiti di rosa battono le mani e urlano, scritte ovunque per l’idolo lucano: Domenico Pozzovivo.
Su, invece, sulla Montagna Grande di Viggiano (che da ora in poi chiameremo per semplificare semplicemente Viggiano), situata a circa sessanta chilometri dall’arrivo, una bella salita; strada larga, ben asfaltata e con tratti di pendenza davvero infidi. Da fare in bicicletta. La luce fatica a passare in mezzo al verde degli alberi – e a dire il vero anche il segnale di ogni compagnia telefonica: un paio di ore, per noi, di totale black out in attesa del gruppo.
Ma su a Viggiano abbiamo dato un senso a tutto vedendo i corridori passare al massimo del loro sforzo, mentre comandavano perfettamente la loro arte. Davide Formolo appariva bello in viso, prendeva una borraccia dal primo massaggiatore, rifiutando quella offerta dal secondo pochi metri più avanti: segno di freschezza o poco lucidità? Vedendo il finale di gara di Formolo, che quella fuga l’ha portata via convinto, scegliamo la prima ipotesi. Ha osato troppo nel finale, forse, è vero, ma verso Potenza è stata una lotta anche di nervi e di attimi. E lui ha scelto le sue armi migliori: grinta e rapportone.
Dumoulin, con i suoi labbroni e il naso ingrossato da occhiali e fatica, comandava quel gruppo di fuggitivi: conosceva già la sua sorte personale e quella poi vincente del compagno di squadra Bouwman? Villella zigzagava, segno di fatica estrema. Buttava via la borraccia, che come altre raccolte dal ciglio della strada era piena, probabilmente calda, caldissima, e quasi si fermava per prenderne un’altra fresca. Ulissi, in quel tratto di forte pendenza, chiudeva invece il gruppo della maglia rosa. Rosso in viso, chiedeva a gran voce: “avete acqua?”.
Su a Viggiano un tifoso francese quasi fermava l’ammiraglia della Groupama: «Merci Démare! merci Démare!», gridava scalmanato. Su a Viggiano, Cavendish, invece, malediceva il gruppetto – la rete. «State andando forti come se fossimo in una c**** di fuga! Se volevate andare così potevate stare davanti!».
Su a Viggiano bastava un urlo, una serie di “alè alè alè” per dare forza ai corridori che ringraziavano. Giù a Potenza, invece, Koen Bouwman batteva Bauke Mollema e Formolo, specialisti delle evasioni in giorni duri. Da oggi anche Bouwman si scrive al circolo; ricorderà la luce fioca che passava tra le foglie e quello strano silenzio interrotto solo dalle urla di qualche tifoso. Su a Viggiano è andata proprio così.