Quando si alza il vento

Era una linea, dritta, come una squadra di sentinelle. Si erano messi uno di fianco all'altro lungo il pendio, una di quelle scene che capita di vedere sui crinali nei tapponi di montagna dei grandi giri. Invece era Hoogerheide, nel Brabante Settentrionale, e se uno fosse riuscito a prolungare lo sguardo oltre agli alberi, agli edifici, ai piloni dell'elettricità, avrebbe visto il mare. Adrie van der Poel, che ha collocato questo paesino sulla mappa ciclistica mondiale, prima nascendovi e poi tramutando la corsa locale di ciclocross nell'appuntamento internazionale del Grote Prijs Adrie van der Poel, lo descrive proprio così il Brabante: «da una parte ci sono i boschi, i villaggi, dall'altra basta andare sempre dritti e si arriva al mare».
Tutta quella gente sul crinale non aveva però alcun interesse a vedere il mare. Al massimo potevano respirarne una zaffata quando si alza il vento, o ringraziarne l'influsso che ha regalato un'anomala giornata di sole, ma lo sguardo era puntato molto più vicino, su un oceano di teste e cartelli, berretti colorati, pon pon iridati, e su una riga che li tagliava, a zig zag, ripetutamente. A vederla arrivare, quella marea, pareva sì un fiume, ma in piena. Venivano giù lungo Huijbergsweg, la via che taglia questa porzione di Hoogerheide, dal fondo, dove ogni campo era stato convertito in parcheggio, fino alla rotonda che immetteva al circuito. E alla rotonda si congiungevano con un'altra onda di piena, più piccola, che drenava la zona più a sud lungo Ossendrechtsweg, per unire le forze e invadere la pianura, il bosco, il crinale. Sui botteghini i cartelli erano già chiari a fine mattina: verkoopt, tutto esaurito. Quarantamila persone, forse cinquantamila se ci si aggiungono tutte le altre presenze non passate dalla cassa, sono una cifra abnorme, gigante, persino eccessiva per questo parco, per questo villaggio che fa suppergiù seimila abitanti. Ma troppo forte era il richiamo di un mondiale che tornava "a casa" dopo l'edizione a porte chiuse del 2021, di una sfida tra i due fenomeni locali – e globali - che aveva tutto il sapore dello scontro finale. Ce n'era a sufficienza per farsi marea, e per sfidare il naufragio, con o senza mondiale.
Già perché negli esondanti vialetti del parco di Hoogerheide, nei tremanti tendoni, nei sovraffollati prati che le linee sempre più numerose del crinale potevano studiare con minuzia, la corsa è diventata un contorno. C'è da scommetterci che buona parte dei presenti non abbiano visto un minuto delle gare, non abbiano quasi appreso i risultati se non fosse per il boato che ha accompagnato l'ennesimo sprint di Van der Poel, che sarebbe stato boato uguale se per una volta l'avesse spuntata Van Aert, perché quando si ha il grido in gola quello si fa, si grida. Quella linea dritta, quelle linee dritte, hanno preso ora dopo ora le sembianze della curva di uno stadio, un calorosissimo gruppo ultras che era venuto fino a Hoogerheide per urlare il proprio amore per il ciclismo, solo per il ciclismo (o forse anche per la birra). E proprio come dicono i più convinti tra gli ultras, "della partita non ce ne importa niente". Lo dicono con altri termini, ma il concetto è quello. Non importa la gara, non importa il vincitore, né i piazzati, né gli ultimi arrivati. Importa solo l'abbraccio: mettersi in linea e gridare amore con i propri corpi, diventare marea. E alla fine è evidente chi ha vinto a Hoogerheide 2023: hanno vinto tutti.


Il 5 febbraio 2023 a Hoogerheide

Non è il 30 ottobre del 1974 a Kinshasa, non è The Fight o Rumble in The Jungle. Non può essere Alì contro Foreman, perché è il 5 febbraio del 2023, a Hoogerheide, ed è van der Poel contro van Aert e viene presentato come il Mondiale di ciclocross più atteso di sempre.
Non c’è più niente da nascondere, basta pretattica: quello che si ha lo si tira fuori, sul percorso oppure altrove, comprese le foto che sui social vengono mostrate da stamattina: van Aert contro van der Poel in ogni forma ed età. Bambini in uno studio televisivo, uno con la faccia imbronciata, l’altro un po' stupito, contento, curioso, oppure sul podio a darsi un pugnetto poco convinto, o ce n'è una, più ricostruita, che raffigura un braccio di ferro tra i due, dove uno tiene lo sguardo fisso negli occhi dell’altro come un duello ripreso per il momento di maggiore tensione di uno spaghetti western.
Un western del Nord, belga e olandese, una questione per qualcuno di statistiche: van Aert ha vinto tot gare mentre van der Poel gli è superiore in questo e quello. È uno scontro fatto di polemiche, come ogni diatriba, serve a colorare la vigilia; è qualcosa in cui tutti si fanno da parte e lasciano la scena a loro. È l'apoteosi della superiorità. È devastante per gli altri. È un anticipo della stagione su strada, è il finale della stagione nel cross.
Non vorremmo mai spostare l’attenzione dalla corsa, ma bisognerebbe almeno citare, e lo facciamo, la quantità di gente, di colori e di rumori lungo tutto il percorso di Hoogerheide, Olanda.
Non vorremmo mai spostare l’attenzione dal colore tutto intorno, ma ci tocca ritornare in corsa: è quel che conta oggi. Dopo tre minuti attacca van der Poel, quarantatré secondi dopo i due se ne vanno, inizia il braccio di ferro, non li rivedono più. È un continuo logorarsi a vicenda, un domandarsi, giro dopo giro, chi vincerà? Chi è più forte dell’altro? Dove attaccherà Wout? E Mathieu sfrutterà le barriere?
Uno è spalluto, l’altro una sfinge. Uno attacca, l’altro risponde.
Uno prova ad allungare in un punto, l'altro cerca il proprio limite per evidenziare quello del suo avversario.
Avremmo voluto vederne ancora, e poi ancora, e ancora, ancora, fino a dire basta. Un altro giro, ma poi quell’ultimo giro è arrivato. C’è silenzio per un attimo, o almeno così pare di percepire, come in una di quelle piazze vuote a El Paso, Texas, oltre un secolo fa. C’è tempismo, potenza, c'è lo spiccato senso tattico che da un po’ di tempo è diventato parte del corredo agonistico di van der Poel che scatta sul rettilineo finale e vince.
E poi c'è quella domanda che sorge spontanea: l'idea dell’uno di andare così a tutta dall'inizio, può aver logorato l’altro svuotandolo dell'energia necessaria per fare la differenza prima della volata? Van Aert dice, più o meno, che è andata così, il 5 febbraio del 2023 a Hoogerheide.


Quelle cose che noti a Hoogerheide

La prima cosa che si nota, una volta arrivati al parco di Hoogerheide, è il gigantesco prefabbricato dedicato all'accoglienza degli ospiti. Una creatura articolata di acciaio e plastica che si estende su due piani per 150 metri di lunghezza; sembra un incrocio tra un incubo uscito dalle raccolte di "Padania Classics" e la tribuna degli scommettitori di un ippodromo. E sta sempre lì, occhieggia sullo sfondo di quasi ogni passaggio del circuito. Incombe.

La seconda cosa che si nota, una volta arrivati al parco di Hoogerheide, è il labirinto di tubi, scale e passerelle che ha l'obiettivo di trasformare il paesaggio in buona parte pianeggiante in un selettivo circuito da ciclocross. Adrie van der Poel, che il tracciato l'ha disegnato senza disdegnare la aspettative del figlio, favorito numero 1 per la prova élite maschile, dice che è più duro di quanto sembri, più di quanto si è abituati all'annuale appuntamento col suo omonimo GP. Eppure la prima gara scorre via velocissima, aiutata da un clima inaspettatamente gentile a queste latitudini, in questa stagione.

La terza cosa che si nota, una volta arrivati al parco di Hoogerheide, sono insieme una presenza e un'assenza. Perché oggi a Hoogerheide ci saranno sì e no un migliaio di persone. La maggior parte sono atleti e meccanici in ricognizione, e il fondamentale esercito pacifico di lavoratori che rende possibili questi appuntamenti, e il ciclismo tutto. Ma manca qualcuno. La staffetta mista è prova molto spettacolare ma troppo giovane per intrigare il grande pubblico, tanto più un un venerdì lavorativo. E così il parco di Hoogerheide si vede, si vedono i prati e gli alberi, si sente persino qualche uccello cinguettare. È il bosco brabantino che respira, prende fiato prima di un weekend in cui saranno il calpestio di migliaia di piedi, le urla di migliaia di gole, lo scorrere di migliaia di birre a farla da padrone. Dicono gli organizzatori di aver venduto circa trentamila biglietti soltanto in prevendita, altri diecimila sono attesi in coda ai botteghini nella giornata di domenica. Hoogerheide è una festa abituale del ciclocross, da oltre vent'anni celebra la dinastia dei Van der Poel e intende continuarlo a fare anche quest'anno, con numeri sempre più grandi.

L'ultima cosa che si vede, uscendo dal parco di Hoogerheide, è una lunga fila di ragazzini in bicicletta, fermi, vestiti con gilet fluorescenti. E un'altra lunga fila che li raggiunge alla rotonda che immette nel circuito, dividendosi la strada con la nazionale dei Paesi Bassi quasi al completo (Mathieu van der Poel non c'è) che si scalda pedalando sull'asfalto. Ci sono delle grida pacate, dei saluti, qualche scampanellata, poi le due file si ricongiungono e pedalano via, a gruppo compatto. È l'ora dell'uscita delle scuole, i ragazzini tornano a casa, e a Hoogerheide si fa quello che si fa ogni giorno, mondiali o non mondiali: si pedala.


Le cronache del ghiaccio e della neve

Per raccontare la gara di oggi in Val di Sole serve mettere da una parte il contorno, notevole, e dall’altra i contenuti tecnici, in una gara che ha visto corridori in difficoltà nello stare in piedi su un tracciato che doveva essere una gara di ciclocross sulla neve, ma alla fine si è rivelato un ciclocross sul ghiaccio.
È tutto all’ombra il percorso, con la neve battuta e spalata in diversi tratti e un terreno duro, durissimo, ghiacciato; i corridori battono i denti alla partenza, mentre il pubblico si scalda guidato dallo speaker e accompagna il via muovendo le mani a ritmo. Per incitare, per scaldarsi.
Il ritmo è una parola chiave, c’è chi lo trova subito, come Kuhn: il binomio neve e Svizzera, se pensiamo, tanto per fare un nome, a Odermatt, in questo momento è tornato molto in voga da un punto di vista dei risultati e l’elvetico veste per un po’ i panni di quel fenomeno che non sbaglia una gara - in altro sport - e parte forte, come per altro ci sta abituando in stagione, tenendo davanti la sua maglia rossa di campione nazionale che risalta sul bianco accecante che caratterizza il percorso.
Il ritmo lo tiene quella solita apoteosi portata avanti da campanacci e motoseghe che pare davvero una gara di sci alpino oppure nordico e che fa da colonna sonora a chi rimonta, cade, frena, tiene, spigola, spinge. In alcuni momenti pensavamo pure di vederli andare via in alternato oppure a spazzaneve.
Si fa fatica a prendere il ritmo perché si rischia di cadere, pensate a van der Poel finito lontano, troppo lontano: non prende alcun rischio (e fa bene), e la notizia è non vederlo a fine gara davanti a tutti, lui che spesso, oppure sempre, in gara prende rischi, ma oggi non era quel giorno. Non era giorno nemmeno per Iserbyt che il ritmo lo tiene pure bene finché non cade, sbatte il ginocchio e si ritira, portato via in barella. Speriamo bene.
La spunta Vanthourenhout che ci mette poco a trovare ritmo e feeling, vincitore degno, degnissimo campione europeo, con quella faccia simpatica come pochi: lascia gli altri a distacchi abissali come un tappone alpino (d’altra parte siamo sulle Alpi) di decenni fa.
Sul podio con lui Vandeputte e Kuhn, entrambi alla loro prima volta tra i primi tre in Coppa del Mondo, e l’impennata di uno, e il pugno liberatorio dell’altro dopo aver resistito al ritorno di Sweeck ,ne certificano l'importanza del risultato acquisito.


Nella neve in Val di Sole

Bianco ciclocross. Domani ai Laghetti di San Leonardo, località Vermiglio, Val di Sole, decima tappa (su quattordici, siamo ormai in dirittura d’arrivo) della Coppa del Mondo di ciclocross, seconda volta - di fila - per la località trentina. L’obiettivo, nemmeno troppo nascosto, si sa, è quello di convincere chi di dovere a far entrare questa disciplina all’interno del programma olimpico. Milano-Cortina è fuori tempo massimo, magari nel 2030, sarebbe un salto di qualità enorme per il ciclocross sotto tantissimi aspetti, a volte ci immaginiamo cosa sarebbe (stata) una lotta per l'oro olimpico tra van der Poel, Pidcock e van Aert e quasi non prendiamo sonno, ma tutto questo è un discorso a parte sul quale non ci dilunghiamo. Non ora.
Ci si prepara da tempo a Vermiglio, invece, per la gara di domani, anzi le gare. L' inverno fa l’inverno, tra freddo e neve. Lo scorso anno sul campo ci si è divertiti al netto di Capitan Temperatura Bassa ma con van Aert, Vos, Pidcock, tutto bianco intorno, le montagne a dare un contorno totalmente inusuale per una gara di ciclocross, piuttosto poteva apparire mountain bike, sci di fondo, specialità di cui la Val di Sole è ghiotta; quest’anno si ripete e il cast vede soprattutto van der Poel e la sfida di altissimo livello che sta tenendo banco al femminile; sfida entusiasmante in pieno svolgimento da un po’ di settimane, sfida tra due 2002, una generazione d’oro, olandese, rappresentata da Fem Van Empel e Puck Pieterse. Van Empel qui vinse lo scorso anno. Fu la prima vittoria nella categoria élite per lei. Van Empel guida la challenge di Coppa del Mondo con oltre cento punti di vantaggio, forte soprattutto (ma non solo) dei due successi negli Stati Uniti, in contumacia della coetanea.
Si esce dalla tradizione di erba, fango e sabbia, sperando che il cross sulla neve dei Laghetti di San Leonardo possa diventare tradizione.
Ci sarà da battagliare con il freddo. Vestitevi pesante: non lesinate. Si combatterà bevendo birra (suggeriscono in alternativa vin brulè), con cautela come sempre. Si combatterà il freddo (ci sarà anche un tendone riscaldato) spostandosi da una parte all’altra del percorso - occhio alle cadute. Urlando, applaudendo. Evento intenso come solo il ciclocross sa regalare dal vivo. Con un percorso leggermente modificato rispetto al 2021, con due collinette in più e zone dove la neve sarà dura, battuta, scivolosa e altre dove, con la neve più morbida, sarà più simile a un percorso con la sabbia ed è per questo che si dice di buttare sempre un occhio su Sweeck, abile guidatore su certi percorsi e leader di Coppa del Mondo, oltre al solito noto, il signor Mathieu van der Poel.
Saranno fondamentali le scelte tecniche, e in questo assumerà una certa importanza la ricognizione - poi che van Aert lo scorso anno abbia vinto arrivando la sera prima e provando il percorso solo il giorno della gara è un altro discorso. Ma di van Aert ce n’è uno solo. Ci vorrà potenza e tecnica, insomma, anche se non a tutti convince l’idea del "ciclocross sulla neve", sarà comunque quello sport lì, potenza e agilità assieme, partenza in griglia, bici in spalla; sarà differente, inusuale, ma non per questo meno bello, entusiasmante e con la solita parola che gira e rigira è sempre quella: spettacolo.
98 corridori al via: 47 donne (partenza alle ore 13) e 51 uomini (partenza alle ore 14:30). Nutrito il contingente italiano che vedrà il ritorno in una gara di massimo livello di Silvia Persico, Eva Lechner, Filippo Fontana, ma non solo. C’è van der Poel, lo abbiamo già detto ma lo ripetiamo, gli occhi saranno su di lui, e anche le urla e il tifo e ogni sua azione, ogni suo passaggio, errore, rimonta eccetera, sarà accompagnata dal frastuono e ci aiuterà a non ghiacciare il fondoschiena.


Ritorno nel fango: la "nuova casa" di Joris Nieuwenhuis

«Dopo un po' di anni ho capito che la strada non faceva più per me: stava diventando alienante. Gli impegni, i pericoli, le cadute. Il fatto per esempio di doversi preparare alla Vuelta, che dura 3 settimane, ma per farlo dovevo prepararmi per quattro settimane». Joris Nieuwenhuis si è stufato della strada ed è tornato in questa stagione a sporcarsi nel fango e per farlo è rientrato da una delle porte principali, la Baloise Trek Lions di Sven Nys.
Ha ricominciato come se quell’attività non l’avesse mai abbandonata con un 4°, un 5° e un 11° posto in Coppa del Mondo e un 4° posto al Campionato Europeo di Namur: «I giovani lo ammirano e anche noi siamo stupiti da vedere il suo livello - parole proprio di Sven Nys - e il fatto che abbia solo 26 anni non può che farci pensare che possa crescere ancora come livello. Oltretutto porta tutta la sua esperienza e le conoscenze acquisite come corridore che ha fatto diverse stagioni nel World Tour».
Stagioni nelle quali il barbuto Joris ha provato a lasciare il segno, ma non come voleva lui che sperava di trovare il suo destino scritto a caratteri cubitali nelle grandi classiche del Nord: nel 2020 è stato sul podio della Paris Tours, che resterà il miglior risultato ottenuto in carriera. Vinse il suo compagno di squadra Pedersen (Casper) in quella che all’epoca era il Team Sunweb della stagione post confinamento, squadra che volava e spesso strapazzava gli avversari (ricordate i risultati di Kragh Andersen e Hirschi per esempio?). Nieuwenhuis, che per comodità chiameremo più spesso Joris in queste righe, sempre che qualcuno non voglia persino italianizzare in Giorgio Casanova, conquistò la terza piazza battendo in volata Madouas, Barguil e Bardet. I migliori tra i francesi che quel giorno impararono a conoscerlo bene. Joris che diventava un punto di riferimento per i più quotati compagni di squadra.
«Ma sinceramente non vedevo l’ora di tornare al mio primo amore: il ciclocross». Tra 2015 e 2018 si segnalò come uno dei corridori più forti nel cross della categoria Under 23, prima di prendere la decisione, nel 2019, di varcare il confine del World Tour. Ha vinto alcune gare di Coppa del Mondo ed è stato due volte campione olandese (in una sul podio anche un’altra conoscenza della strada come Thymen Arensman, suo compagno di squadra in Sunweb e DSM) e si laureò nel 2017 anche campione del mondo - parliamo sempre di Under 23.
«Ho un programma a lunga scadenza di tre anni, e penso che come prima cosa debba riadattarmi al contesto» diceva nei giorni dell’annuncio della decisione. Detto? Fatto. Subito competitivo, Joris ha di nuovo scaldato i cuori di tanti suoi tifosi che nel ciclocross hanno sempre apprezzato il suo stile, qualcuno sentendosi persino tradito vedendogli abbandonare una prima volta la bici sul fango, attratto dall'irresistibile chiamata dell'asfalto. «Ma la strada non mi lasciava tempo per fare altro: ora invece riprenderò gli studi e potrò dedicarmi anche a delle iniziative di tipo sociale a Zalhem». La sua città natale. C’è da fidarsi o verremo di nuovo “traditi” dal talento di lingua neerlandese? La risposta è soltanto dentro di Joris, il quale però a detta del suo Team Manager, oltre a prendere il via in qualche gara Gravel, in estate continuerà a gareggiare su strada in modo da poter proseguire la sua crescita in vista del prossimo inverno «E magari puntare anche a qualche vittoria».
Intanto, mentre domani a Hulst in Coppa del Mondo tornerà in scena Mathieu van der Poel, il suo destino sarà proprio legato a quello del più famoso dei nipoti di Poulidor. Joris dopo Hulst non verrà convocato per la tappa di Anversa per via proprio della presenza di van der Poel. Questione di numeri di corridori selezionabili dalla nazionale olandese - per chi volesse approfondire le questioni regolamentari https://www.wielerflits.nl/.../joris-nieuwenhuis.../ - e al momento Joris, fuori dai primi 50 del ranking (è 52° secondo la classifica che viene stilata ogni martedì), come Mathieu, si giocherebbe un posto con il fenomeno della Alpecin. «E se c’è di mezzo van der Poel - specifica Nys - la priorità va chiaramente a lui».
È tornato nel fango Joris e ora fatecelo gustare di nuovo, magari senza intoppi o cavilli regolamentari.


Esattamente come quel bambino

Quel bambino che correva di fianco alle transenne, nella zona dei pullman delle squadre al Giro, è come se fosse ancora lì. Lì nel senso rimasto conficcato in uno spazietto della nostra mente, altrimenti come minimo sarebbe scattata una denuncia nei confronti dei genitori. Ha le ciabatte ai piedi (faceva caldo, eh), cade e si rialza ma lui vuole solo van der Poel e infatti urla "Vanderpuuul". Immaginatevelo inquadrato con una lunga carrellata.
Domenica, nella caratteristica Hulst, i bambini, questa volta olandesi e belgi, potranno fare più o meno la stessa cosa, magari con altre facce e altre cadenze. Magari non con le ciabatte ai piedi (altra denuncia in arrivo sennò) e visto il clima del nord pure con un piumino, una giacchina pesante, ma tuttavia loro saranno il contorno perché l'attesa è tutta per lui. E quindi ora la carrellata immaginatevela su van der Poel, magari con immagini risalenti al passato quasi remoto, perché, come ha detto lui: «A causa dei problemi della scorsa stagione, è come se fossi assente dal cross da due anni».
«Sto lavorando molto per risolvere i problemi alla schiena - racconta il classe '95, nipote e figlio d'arte, in conferenza stampa a tre giorni dal suo rientro nel circuito del ciclocross - perché resta la parte che mi preoccupa di più dell'inverno. Ora sto bene, lo stesso non si poteva dire dello scorso anno», quando, a causa del famoso incidente ai Giochi Olimpici di Tokyo, arrivò in inverno fatto a metà e finendo per disputare solo un paio di gare di cross, senza nemmeno prendere il via al Mondiale. Sarà infatti quella stagione senza titoli che lo porterà domenica, per la prima volta dopo quasi otto anni, a correre non con la maglia di campione di qualcosa (nazionale, europeo, mondiale), ma con quella di club.
Di recente per il corridore olandese, un intoppo, una ripartenza. Quest'anno, dopo il Giro d'Italia, un Tour appena percettibile con il ritiro (in buono stile oltretutto, arrivato dopo aver tentato la fuga da lontano con van Aert) e la ricerca della causa, per cercare di capire il perché la condizione pareva non volesse arrivare più. «Forse l'inverno difficile, i problemi alla schiena, forse le fatiche di un primo Grande Giro concluso dopo una primavera di corse a tutta e l'aver fatto un lungo ritiro subito dopo la Corsa Rosa. Forse una combinazione di tutti questi fattori». Si è cercato il sintomo, non si è mai arrivati a una verità assoluta.
Domenica a Hulst, in Olanda, Coppa del Mondo, non cercherà risposte: traspare una certa sicurezza dal suo modo di essere e comunicare: «Ho fame, amo correre e amo il ciclocross. Punto al Mondiale, ma penso di avere la forma giusta per vincere: è vero che partirò molto dietro e a Hulst non è facile rimontare essendo un percorso piuttosto veloce, ma mi sento pronto. Avete visto Pidcock? Lui ha dimostrato alla seconda gara di essere già in grado di vincere e quando rientrerà van Aert lo farà vedere anche lui». Perché dovrebbe essere diverso per uno dei più grandi crossisti di tutti i tempi?
Ha già annunciato che (lacrimuccia), il prossimo anno farà il Tour e non il Giro, perché non si sente ancora adatto a correrne di nuovo due nella stessa stagione (anche perché con la spavalderia con cui affronta le gare, minimo fonderebbe il motore) e spera di ritornare sano e senza problemi come il van der Poel di qualche stagione fa (eheh, ti piacerebbe, ma il tempo purtroppo passa per tutti).
Domenica a Hulst, mathieu van der Poel ripartirà, si rialzerà, dovesse cadere, esattamente come quel bambino che urlava il suo nome correndo lungo le transenne. Anche noi urleremo il suo nome, comodamente da casa. Sperando di non cadere a nostra volta dal divano perché iniziamo ad avere acciacchi e una certa età, e forse non ci rialzeremmo così facilmente come quel bambino. Né come, si spera, farà van der Poel.


Il suo mondo è nel ciclocross

La vittoria conquistata nella seconda gara del Grand Prix Dohnany in Slovacchia non ha certo l'importanza statistica di un successo in Coppa del Mondo, di una prova del Superprestige o dell'affermazione al Campionato Mondiale.
Ma il sapore che dà alzare le braccia al cielo, dopo essersi sbizzarrito in mezzo ai campi del Ciclocross, ha comunque un gusto particolare, Mondiale, Coppa del Mondo, Superprestige o Grand Prix Dohnany non fa differenza, e questo Zdeněk Štybar lo sa.
Pochi giorni fa, 16 ottobre 2022, Štybar ha disputato la sua seconda gara stagionale nel Ciclocross lui che di questa disciplina è stato Campione del Mondo, che si è preso a sportellate con alcuni dei migliori interpreti della storia: accadde per esempio quando, nel 2014, vinse la sua ultima gara prima del 16 ottobre 2022, e che gara! ai mondiali di Hoogerheide, Olanda. Vinse la maglia iridata battendo un certo Sven Nys al termine di una battaglia fino all'ultimo metro. Fu la terza volta dopo Tabor 2010 e Sankt-Wendel 2011.
Štybar, nato in Repubblica Ceca, il 16 ottobre 2022 le braccia le ha alzate al traguardo della seconda prova del Grand Prix Dohnany vincendo davanti a un ragazzo belga di diciassette anni più piccolo di lui e che lo aveva battuto poche ore prima; la squadra di Ward Huybs, questo il nome del giovane belga, successivamente alla vittoria del suo corridore aveva postato sui suoi profili social una foto che ritraeva Huybs da bambino proprio di fianco a Štybar.
Di Štybar su strada conosciamo il suo profilo da corse del Nord, una vita a inseguire quel successo mai arrivato tra Paris-Roubaix, soprattutto, o Giro delle Fiandre, una carriera nella squadra più forte per quel tipo di corse, la Quick Step, in tutte le sue declinazioni, nomi e maglie; una carriera che lo vedrà il prossimo anno portare il talento e tutta la sua esperienza (saranno 37 a dicembre) nel Team Bike Exchange.
Sono stati anni difficili per Štybar, gli ultimi, con un intervento di ablazione al cuore, una condizione inseguita, una perfezione mai più raggiunta, così come il successo che su strada manca da quasi 3 anni, in un gruppo che viaggia a ritmi a tratti insostenibile anche per chi ha fatto della cadenza e della tecnica imparate tra solchi nel fango, sabbia, brughiere, punti fondamentali delle sue caratteristiche.
Ha deciso a fine stagione di rientrare con più continuità nel ciclocross con l'obiettivo, chissà, magari di chiudere il cerchio proprio a Tabor, Repubblica Ceca, nel 2024, dove si sovlgerà il Mondiale di ciclocross.
Intanto, proprio a Tabor, nello scorso fine settimana, si è corsa la terza prova stagionale di Coppa del Mondo. Vinceva Iserbyt come gli riesce spesso e volentieri soprattutto a inizio stagione, mentre Štybar chiudeva al 17° posto.
La sua non è stata una presenza banale: «Il pubblico è stato meraviglioso. Mi sosteneva come fossi al primo posto o stessi vincendo il Mondiale. Mi manca qualcosa soprattutto a livello di tecnica, ma miglioro di gara in gara. Nel periodo natalizio voglio continuare a fare cross anche in vista della stagione su strada».
Štybar è arrivato al traguardo a braccia alzate, anche stavolta, ma per un 17° posto, in mezzo a due ali che lo spingevano a suon di urla e applausi. Il pubblico di Tabor sa che il mondo di Štybar, nonostante quell'inflessione da stradista, appartiene al fango e gli restituisce indietro la sua passione.


Fayetteville, i protagonisti e i bambini

Il centro di Fayetteville, Arkansas, stasera ospita uno spettacolo diverso dal solito. C'è un palco, piccolo e illuminato, e ci sono i bambini della scuola cittadina che si dimenano eccitati. Si corre un campionato del mondo in città, ma i protagonisti sono loro: a ciascuno è stata assegnata una bandiera o un cartello con il nome di un paese. Sfileranno per i pochi passi necessari ad attraversare la piazza, sino al centro dei riflettori. Portabandiera inediti di una cerimonia inaugurale altrettanto bizzarra. Gli atleti, i protagonisti del mondiale di ciclocross, non ci sono. Il freddo e la tensione hanno tenuto tutti in albergo. Solo una manciata di rappresentati del Messico e del Costa Rica si sono spinti sino in piazza, nascosti tra il pubblico.
I bambini con le loro mascherine colorate sfilano e la piazza ha applausi per tutti. Per chi è in pantaloni corti come per chi sta ben intabarrato nella giacca a vento. Per chi fa ruotare il cartello come una majorette e per chi sbandiera come in parata. Quando passano i rappresentanti dell'Italia qualcuno urla "Pizza!" e qualcuno risponde con "Pasta!". Per la sfilata degli Stati Uniti si levano i boati. Il sindaco Lioneld Jordan grida "Hello everyone!" e il pubblico lo interrompe urlando "Yeah!". Anche Pieter Pools, il banditore ufficiale del comune di Geraardsbergen, Fiandre, interrompe la cerimonia: salta sul palco e saluta tutti i presenti. Il mondo è piccolo sotto i colori dell'iride.

Le corse inizieranno stasera, con la prova dimostrativa di una staffetta che ha cambiato il suo regolamento a poche ore dal via, ma l'attesa è tutta per i giorni che seguiranno, e per i protagonisti che stasera non si vedono. Per Belgio, Paesi Bassi e... tutti gli altri. Non si offendano, questi ultimi, ma da domani i riflettori sono su due nazionali su tutte, come sempre. Il Belgio ha fatto ancora una volta le cose in grande stile. È vero, manca la supernova di Wout van Aert a illuminarla, ma la selezione di Sven Vanthourenhout resta il faro del movimento. Hanno dedicato 90mila euro e un anno di organizzazione solo al trasporto di tutto il materiale: 70 telai, 175 paia di ruote, 650 tra gel e barrette, 150 paia di calze, 200 test rapidi per il Covid... e quasi tutti i favoriti per la prova degli uomini élite.

Eli Iserbyt ha vinto in lungo e in largo per tutta la stagione, senza quasi mai rifiatare. Toon Aerts lo insidia in casa, in una nazionale che però appare più unita del solito. Lo testimonia Michael Vanthourenhout, uno che non si fa problemi a rinunciare alle proprie ambizioni per favorire il capitano e amico Iserbyt. Il problema è che nella loro quiete aleggia un fantasma, e ha un'altra maglia. Tom Pidcock sarà il più talentuoso e il più titolato tra i corridori al via: il suo 2021 è stato un anno magico, e in questo mondiale che fa da ponte tra due stagioni vuole prolungare l'incanto.

Ma se la prova maschile sarà l'ultima, quella femminile sarà probabilmente la più attesa, una sfida agli altissimi livelli a cui gli ultimi anni ci hanno felicemente abituato. Un mondiale che avrebbe potuto essere una replica del campionato nazionale dei Paesi Bassi, se non fosse stato per i malanni che hanno bloccato in Europa Denise Betsema e Annemarie Worst. Ma anche così, al di là delle legittime speranze dell'ungherese Blanka Kata Vas e delle due nordamericane Meghalie Rochette e Clara Honsinger, ci si può attendere tanto arancione sul podio e una sfida stellare. In un angolo Lucinda Brand, iridata uscente e dominatrice assoluta della stagione, e nell'altro Marianne Vos, l'essere umano più straordinario di ogni tempo in bicicletta.
Ma un mondiale è molto di più delle due prove élite. E mentre sul palco di Fayetteville si susseguono i bambini, ci sono ragazzi e ragazze di una decina di anni più grandi che qualche chilometro più in là realizzeranno un sogno. Per loro contano poco i numeri ridotti, i campioni assenti, la distanza da casa. Conta essere qui, sul palcoscenico più grande del mondo. Per i risultati ci sarà tempo, il mondiale che comincia per juniores e under 23 sarà soprattutto meraviglia, e sarà un'avventura da raccontare.


C'era una volta "Ice Man"

A volte succedono che ti affibbiano un nomignolo e non te lo levi più. "Ice man" al secolo (si dice così, no?) Tom Meeusen, ma ormai sono passati più di undici anni quando si inventò quella che resterà un po' la gara della sua vita. Si correva a Kalmthout, Fiandre, dove ha sede da oltre 160 anni uno dei più celebri giardini botanici del nord Europa (magari a qualcuno può interessare).
Gara della vita dicevamo, più o meno, e andate a vedervi il video e andate a vedervi chi sconfisse in una volata a due, un certo Sven Nys. Fioccava di brutto quel giorno, nulla a che vedere con la bella pista battuta della Val di Sole di qualche settimana fa, ma neve che si mischiava alla mota e diventava una poltiglia che rendeva tutto ancora più complesso. Ci sono alcuni passaggi tecnici fatti da Nys che puoi solo dire: è ciclocross. Anche le sbandate di Mourey hanno il loro fascino.
Tornando a noi, anzi a lui: prometteva bene Tom Meeusen che forse di quel talento ne ha fatto vedere solo a sprazzi.
Gli è rimasto quel nomignolo tanto che alla viglia della prova di Vermiglio in Val di Sole, che ormai ha fatto storia e che prova persino a cambiare le sorti del ciclocross (Giochi Olimpici? Chissà), un suo ex compagno di squadra, ora commentatore televisivo gli scriveva un messaggio: "domenica vinci tu".
Tom Meeusen si è portato dietro quel suo essere Ice Man, ma, realista, sfuggiva ai favori del pronostico.
«È un soprannome un po' vecchiotto in realtà, non credo di poter vincere in Val di Sole, ma di una cosa sono sicuro: amo la neve e mi rende felice: sono un grande fan di biathlon e sci di fondo!»
Spiegava sempre Meuseen: «Il mio vantaggio su certe superfici è svanito col tempo e con l'avvento dei freni a disco. Le bici di una volta ampliavano i margini da corridore a corridore quelle di ora sono più semplici da guidare».
Qualcuno dice che se Meeusen un po' alla volta è finito per scivolare a metà classifica è perché ha avuto "la sfortuna di nascere negli anni sbagliati" - d'altra parte non vi è scelta in questo.
Lui stesso racconta di come, con l'avvento dei due "van", abbia provato ad alzare l'asticella, si sia allenato ancora più duramente e alla fine ne è aumentata solo la frustrazione.
Però Ice Man resterà per sempre Ice Man, quello non glielo toglierà nessuno. Così come nessuno cancellerà la foto che lo immortala mentre batte, sotto la neve, uno dei corridori più grandi di sempre in questa disciplina.