Breve ricordo di biciclette da Vermiglio

Le bici dei ciclisti professionisti non sono normali. In nessun caso. Sono messe a punto da professionisti, adoperate da persone che le immaginano estensioni del proprio corpo.
Per andare sulla neve, per di più, devono essere bici molto particolari: le pedivelle e le parti meccaniche, per esempio, sono state bagnate con abbondante liquido antigelo. Prima di arrivare a Vermiglio, per la tappa della Coppa del mondo di ciclocross, ero incuriosito proprio dai mezzi che sarebbero stati adoperati: d’altronde, cos’è un tennista senza la racchetta?
Ecco diversi dettagli insoliti delle biciclette in Val di Sole:
- Una delle bici più riconoscibili è quella del team KTM Alchemist, le cui forcelle arancioni risaltano vividamente rispetto al telaio verde muschio;
- La Pinarello Crossista di Tom Pidcock (il Team Ineos ne ha portate tre, una per tipo di copertone montato) ha sul telaio l’adesivo con le carte da poker e la scritta “play your cards right”;
- Le ruote imbiancate dalla neve: le ruote di tutti, sempre;
- Gli inserti gialli della Cervélo di Marianne Vos, che si confondono quasi con gli inserti gialli sulle sue gomme;
- Dettagli tecnici della Proflex 855, bici degli anni Novanta vista dal cellulare dello speaker Paolo Mei, che ne discuteva con Christian Leghissa. Quest’ultimo ha fatto firmare – e poi metterà all’asta, per beneficienza – il sellino di una bici a Wout van Aert;
- La scritta “Ago” sulla Guerciotti di Filippo Agostinacchio. Tecnica utilizzata: pennarello nero indelebile su carbonio;
- I nomi delle atlete sui copertoni: “Eva” per Lechner, “Puck” per Pieterse;
- La S-Works violacea di Maghalle Rochette, piantata nella neve a fianco di una bottiglia di Ferrari stappata sul podio (la canadese è arrivata terza) e col sellino sepolto sotto il bouquet di fiori.

Foto: Daniele Molineris


Quei posti dove vivere le corse

Per l’ennesimo giro consecutivo, un tifoso insegue Wout van Aert lungo il rettilineo. Il campione nazionale belga sta cercando di destreggiarsi tra la neve, il fan gli corre a fianco al di fuori delle transenne. Stanno tutti guardando la scena, sul muro: aspettano l’arrivo di van Aert perché è il primo della corsa e il primo trasmette sempre una vibrazione differente. Percorrono una ventina di metri fianco a fianco, Wout e questo tifoso vestito di nero. Il crossista riesce a domare la bici, mentre il tifoso non vede un avvallamento nella neve, inciampa e cade. È una scena fantozziana che fa ridere tutti coloro che seguono la corsa dall’alto.
Nel salire verso la parte più ostica del tracciato di Vermiglio, un gruppo di amici ha rovesciato un box di plastica e lo ha usato come sostegno per un tagliere. Tempo verbale al passato perché la funzione dei due coltelli si è già esaurita: croste di formaggio e pellicine di salame rimangono sul tagliere come dimostrazione di un pasto goduto. C’è una bottiglia di vino vuota, poco distante, e una pentola di notevoli dimensioni che chissà cos’ha contenuto. Iserbyt scende dalla bici per affrontare il muro di corsa proprio davanti a questo banchetto improvvisato.
I tifosi che sono quassù non godono di un privilegio notevole: la neve battuta anche fuori dal tracciato di gara permette di non bagnarsi i piedi, di non affondare fino al polpaccio. Sul muro - tutto, sempre all’ombra - no, ci sono pazzi i cui corpi devono essere ormai prossimi all’ipotermia. Finito il tratto in contropendenza, una discesa che tanti fanno comunque a piedi porta a una seconda salita, in cui il passaggio è obbligato verso l’interno del tornante. Lì è stata ricavata un’area per un fotografo, che segue con enfasi ogni atleta che passa. Ha la pettorina gialla, sta con un ginocchio nella neve e probabilmente trovava noioso scattare ai matrimoni.
Dentro all’azione com’era quel fotografo, non so se si è accorto che il muro e il scendi-sali spaccagambe subito successivo, visti dall’inizio del tracciato della Val di Sole, sembrano un cuore. Con le reti rosse a tracciarne il perimetro, con le persone a renderlo vivo e rumoroso. Non a caso Eva Lechner, dopo un brillante quarto posto, ha detto che tutto il tifo è stato grandioso, ma ogni passaggio sul muro è stato speciale.

Foto: Daniele Molineris


Wout van Aert in un teatro di ghiaccio

Percorso? Bello e duro. Il contorno? Paura del freddo. Sensazioni che sono poi le parole più gettonate alla vigilia. "Tricky" è quella che usa più spesso Pidcock per definire un tracciato che, con i suoi 1261 metri d'altitudine resta unico nel panorama attuale della Coppa del Mondo di ciclocross. Per qualcuno è come guidare sulla sabbia, per altri sarà peggio che (sciare!) sulle uova.
Un freddo cane. Per chi corre e per chi sta a bordo strada dove le parole più gettonate in questo caso sono allitterazioni. «Alè alè alè, vai Wout». A momenti non si conosceva altro modo per esprimere i sentimenti.
Suggestivo, non c'è che dire. Un teatro di ghiaccio. Dove Wout van Aert inscena il suo monologo. In testa dal minuto numero nove e pochi secondi scarsi, fino all'arrivo. Gli altri erano già a Vermiglio quando ieri lui vinceva a Essen. Arrivava solo verso sera in Italia e in mattinata provava, tranquillo, la pista. Chi lo ha visto nelle prime ore del giorno, lo ha ammirato sereno bici in spalla, attento alle traiettorie (ma con piccola caduta), e poi via a memorizzare i punti più difficili.
Si adattava velocemente. Emblema del talento. Qualche sbavatura, ci mancherebbe altro, Vanthourenhout che prova l'allungo subito uscito bene dalla prima curva, ma van Aert prende confidenza, lo affianca, lo guarda per un attimo. Poi se ne va.
Nessun problema di concetto, solo qualche rischio su una bici che prova a tagliare in due la neve, a tratti dura, aggressiva, a tratti molla: avesse avuto gli sci ai piedi sarebbe stato tipo una Sofia Goggia, oppure il genio di Clement Noel che tra i pali stretti si accende a intermittenza come mostrato solo poche ore prima da tutt'altra parte. Con una carabina in spalla oggi van Aert avrebbe preso tutti i bersagli.
E in Val di Sole, teatro di ghiaccio per l'occasione e dove quel sole che sta nel nome lascia solo qualche scia e la fotografia si impregna di un blu intenso, si creano ambizioni importanti per il movimento (obiettivo Giochi Olimpici), ma si parla la lingua del fuoriclasse tutto muscoli, testa, tempra e spirito.
Capace di vincere in salita, a cronometro, in volata, nelle corse di un giorno, nel fango e oggi persino sulla neve. Trionfante, senza tentennamenti o quasi, davanti a Vanthourenhout e Pidcock autore di una superba rimonta.
La prossima volta, in caso, proviamo davvero a vedere come van Aert se la cava con un paio di sci ai piedi. Intanto qualcuno afferma, visto che van Aert va forte un po' dappertutto: in una giornata epica per il motorsport, vince il miglior motore delle due ruote. Non sarà un caso.

Foto: Giacomo Podetti


Come cristalli

Sembrerebbe sabbia, vista dall’alto. Magari di qualche spiaggia a ridosso del mare del Nord. Sono cristalli di neve, invece, a Vermiglio, in Val di Sole. Qualcuno racconta che ognuno abbia una forma particolare, diversa dagli altri, come le impronte digitali umane. Non ti aspetteresti biciclette da cross qui.
Se qualche giorno fa, vi avessimo raccontato la storia di Fem Van Empel, certamente vi sarebbe tornata in mente, vedendola davanti dall’inizio. Questa ragazza che giocava a calcio e provava qualunque ruolo perché le interessava correre, insistere. Il calcio l’ha lasciato perché ha capito che non tutti in campo davano il loro meglio, che c’era chi si risparmiava. Ha preso la bicicletta perché lì dipendeva tutto da lei. È stata una delle poche a riuscire, qualche volta, a saltare gli ostacoli in sella, senza scendere.
Non è facile con queste canaline che si formano tra la neve farinosa: c’è il rischio siano ghiacciate, puoi sprofondare, di certo sbandi, ne esci sbilenca, quasi scomposta, la prospettiva futurista di un corpo umano. Il sole qui arriva per poco tempo, il resto è ombra e luce biancastra che imbroglia.
Marianne Vos è quella di sempre, anche se ha un incidente meccanico e una scivolata che sembra impedirle di ritornare su Van Empel proprio dopo una rimonta incredibile.
Un brutto presagio come un malinconico tramonto, il sole che se ne va, poco dopo le due del pomeriggio. Dietro si continua a prendere la bici in spalla e rincorrere. Dopo cinque giri sembra di sentire il fiato che finisce e l’aria fredda che dalla bocca spalancata gela la trachea, si impossessa del respiro.
Vos e Van Empel arriverebbero allo sprint se non fosse per la neve o forse per un paletto in una curva che Vos non vede e frana a terra. Sembra infinito anche il tempo per rialzarsi qui, invece sono pochi secondi, quasi di agonia, perché scivoli e perché sai che l’altra se ne va.
Van Empel, a soli diciannove anni, vince davanti a colei che ha vinto tutto. Seguono Vos e Rochette, Eva Lechner è quarta, Alice Maria Arzuffi settima, Silvia Persico decima. C’è chi dice che Van Empel, dopo ciò che ha fatto, meritava la vittoria e chi sostiene che per quello che ha fatto Vos oggi è un peccato sia finita così. Forse sono vere entrambe le cose, com’è vero che, comunque vada, vince uno solo, giusto o meno che sia. Basta poco per una ciclista, dura e fragile come cristallo di neve.

Foto: Giacomo Podetti


Ciclisti delle nevi

Da una decina di giorni, a Vermiglio, le ruspe di Flanders Classics coordinate da Chris Mannaerts spostano, compattano, rovesciano neve. Un gatto delle nevi grande quando un bilocale ha lisciato un minimo il fondo, ma fin dai primi minuti di prove libere si capisce che presto verrà rotto dalle biciclette, come una pista alle quattro del pomeriggio dagli sci.
«Il tracciato è diviso in due parti» spiega Mannaerts. «All’inizio c’è un tracciato più tecnico e poi dall’altra parte del fiume c’è una salita molto ripida. Sarà molto impegnativo perché è una linea retta verso la collina. Vedremo chi riuscirà a salire in cima e chi scenderà dalla bici. Questa sarà la chiave fondamentale in questa gara, insieme a chi sarà in grado di effettuare gli sforzi più volte».

Il manager di Flanders Classics, che organizza la Coppa del Mondo di ciclocross compresa questa nuova tappa in Val di Sole, ha ragione: il rettilineo verso quel muro atroce sarà il passaggio chiave della corsa. È lunghissimo, un centinaio di metri a occhio, e nelle prove è caduto un atleta su due.
Va ripetuto: è un rettilineo pianeggiante. Non dovrebbe essere così difficile. Il problema è anche il motivo per cui tutti gli occhi sono puntati su questo evento: la neve. Fa slittare le ruote, il ciclista perde aderenza, la bici scoda. Qualcuno ha dovuto appoggiarsi alle reti che confinano la pista, altre si sono rifiutate di non farcela e hanno provato più volte a uscire indenni da quel settore.

La beffa consiste nel fatto che, finito questo inferno ghiacciato, comincia un muro - sempre innevato - di cinquanta metri in cui si dovrà scendere e caricare la bici in spalla. La discesa, poi, è altrettanto insidiosa: lanciarsi a oltre 40 km/h giù dal versante di una montagna su fondo innevato non è esattamente una passeggiata.
Per le gare di domani, Wout van Aert, che oggi ha corso in Belgio - e ha vinto - e arriverà in Italia stanotte, ha le stesse certezze che hanno gli spettatori, già accorsi in massa per le prove del sabato: nessuna. «Non sono mai stato un re della neve» ha detto uno dei ciclisti più forti della sua generazione, che ha comunque fatto di tutto per esserci. La neve spaventa e affascina tutti.

Foto: Giacomo Podetti