Il Monumentale del Giro 2022
Avremmo potuto iniziare con un copia e incolla del pezzo sul Giro del 2021, d'altra parte la storia si ripete. Puntuale, imperterrita, spesso cinica e brutale, come il ciclo della vita o più nello specifico delle stagioni. Semplicemente un susseguirsi di azioni. Come fosse su due ruote. Come la bicicletta: quella che ci fa innamorare e ci fa chiacchierare durante l'anno come fosse la cosa più importante e seria del mondo (a tratti, lo è). Quella che in questo periodo dell'anno abbiamo ricominciato a prendere in mano con più abitudine e costanza, prima pochi chilometri da mettere nelle gambe, poi giri sempre più lunghi.
La bicicletta, che poi diventa ciclismo, che qui in Italia, inevitabile, diventa Giro d'Italia. Una volta all'anno. A qualcuno basta così, altri ne vorrebbero ancora, ma ci rivedremo a fine corsa per tirare le somme.
Avremmo potuto iniziare con un copia e incolla e ripetere le stesse battute. Sull'attesa, sulle birre bevute al Nord che lasciano spazio alla cucina italiana. Oppure avremmo potuto raccontare qualcosa sulla storia di questa corsa che partirà domani da Budapest per l'edizione numero 105. Avremmo potuto approfondire un po' di geografia parlando di territorio e di Ungheria.
Già l'Ungheria. Vestita di rosa da giorni, quel rosa che macchierà poi in maniera indelebile la passione dei tifosi lungo le strade italiane. Territorio e quindi Sicilia, dove ci si aspettano folle oceaniche, o meglio mediterranee, e poi si arriverà fino in Veneto, attraversando tutto la Penisola e noi con loro, in fila, di seguito, oppure davanti, lo vedremo giorno dopo giorno, lo scopriremo assieme.
Avremmo potuto romanzare e lasciarci andare al flusso dei pensieri, ma a noi, in questo pezzo, interessa più che altro concretizzare le sensazioni percepite che girano intorno ai corridori. Le loro gambe, le loro energie, il loro storico. Analizziamo i favoriti, i pretendenti, i partecipanti (quasi) dal primo all'ultimo; e in parte citiamo anche gli assenti, e partiamo proprio da loro, o meglio da lui.
Mancherà come purtroppo accade spesso nella "nostra corsa", il campione uscente, in questo caso Egan Bernal. Un terribile incidente quest'inverno ha letteralmente rischiato di spazzarlo via dal mondo del ciclismo, lui invece si è rialzato in tutti i sensi, cammina con un bastone, ma, grazie al progresso della scienza più che alla magia (anche se quel gusto irreale quando si tratta di Colombia rimane), a fine mese potrebbe tornare in gara, lui che in gara ha rischiato di non tornarci più.
La sua assenza ci fa male (per correttezza specifichiamo che avrebbe partecipato al Tour e non al Giro), ma gli vogliamo così bene da avergli dedicato la premessa. Tanto tornerà, siamo sicuri.
Ora, però, lasciamo da parte Bernal e i sentimenti: è tempo di conoscere i presenti al via del Giro d'Italia numero 105.
UNA ROSA QUANTO MAI APERTA
Edizione senza un favorito assoluto, ma un bel numero di corridori che, più o meno, partiranno con simili prospettive. Iniziamo da chi questa corsa l'ha già vinta e che anzi, vista l'assenza citata di Bernal e quella (meno sentita, non ce ne voglia il simpatico ragazzo londinese) di Geoghegan Hart, è l'ultimo vincitore del Giro d'Italia tra i partecipanti: Richard Carapaz, che di Bernal e Geoghegan Hart, oltretutto, è anche compagno di squadra.
Si è visto poco, ma lo si teme molto, lui Campione Olimpico, lui sì, al via col dorsale numero 1; stagione di alti e bassi, ma soprattutto di malanni, fattore numero uno nel condizionare il rendimento dei corridori in questo 2022.
Quando è stato bene ha vinto. Per esempio alla Volta Catalunya lo ha fatto portando la giustizia ecuadoriana in maglia Ineos su quella terra, attaccando da lontano con (il quasi connazionale) Higuita. Se ne sono andati facendo saltare in aria la breve corsa a tappe spagnola. Ecco, da considerare proprio questo: Carapaz sa vincere, sa inventare, sa stupire. Ama scoprire i punti deboli degli avversari e insinuarcisi dentro come uno di quei malanni che lo hanno colpito. Può trovare una fetta di terra e farla sua mentre gli altri magari vittime del morbo dell'attendismo stanno ancora discutendo di ciò che si potrebbe fare e di ciò che si è fatto. Anche nel momento in cui non dovesse avere la migliore condizione, il corridore ecuadoriano avrebbe comunque la capacità di dare sfogo alla sua idea fatta di attacchi mai banali. Il percorso, poi, tortuoso, infido, ricco di trabocchetti gli si addice. Largo alla fantasia, largo a Ricky Carapaz.
La squadra è forte? No, a tratti è fortissima. Questa primavera si è dibattuto su una Ineos interessata, per la prima volta nella sua storia, più verso le corse di un giorno che quelle a tappe: niente di più sbagliato. Si è detto, scritto, che un cambio di rotta orientato alla classiche sarebbe stata un'intuizione data dalla presenza di un corridore che a oggi appare imbattibile - ma non esiste nessun corridore imbattibile, paradossalmente non lo era nemmeno Merckx - ovvero Pogačar. I risultati primaverili invece sono stati il risultato della capacità di sfruttare pienamente le enormi risorse a disposizione della squadra - altrimenti come vogliamo definire chi ha nella propria rosa corridore affermati come Kwiatkowski e van Baarle, può giostrare a piacimento il motore di Ganna e il talento di Pidcock, o lanciare due giovani come Sheffield e Turner? Capitalizzare, non ribaltare la propria filosofia e negare i concetti seguiti per un decennio.
All'entità Ineos interessa vincere tutto, senza distinzioni. Il fatto stesso di aver pensato a Bernal per lanciare la sfida allo sloveno al Tour dovrebbe far tacere le voci di una squadra britannica remissiva contro le armi di Tadej Pogačar, ma stiamo perdendo il filo come spesse accade. Non ci fossero dei limiti alla decenza apriremmo una parentesi dietro l'altra. Ci perdonerete.
E dunque torniamo in medias res: la Ineos al Giro è competitiva e costruita perfettamente per dar fuoco se ce ne fosse bisogno, per controllare in altri casi, per dominare in maniera assoluta se e solo se il ciclismo si giocasse sulla carta e non avesse poi a che fare con i verdetti di strada e gambe. Diteci voi, leggendo i nomi, se questa squadra appare come meno orientata ai Grandi Giri: Pavel Sivakov e Richie Porte saranno un lusso che pochi altri si possono permettere e che resteranno in zona classifica il più a lungo possibile. C'è qualcosa che devono temere: le cadute. Devono stare in piedi, cosa mai banale quando si parla di loro, cosa mai scontata quando di mezzo c'è una corsa così importante - occhio già all'imbocco della salita di Visegrád e alle tappe di Messina e Napoli.
Ben Tulett farà il suo esordio in una grande corsa a tappe, tenete presente questo nome. Dovesse proseguire sul filo tirato in queste settimane dagli altrettanto giovani Turner ('99) e Sheffield ('01), potrebbe stupire. Adatto alle corse vallonate, nelle sua gambe c'è l'idea di fare classifica un giorno in un Grande Giro. È qui per imparare e fare esperienza. Ci sarà Jhonatan Narvaez, che una tappa al Giro l'ha già vinta, ottima primavera la sua fino alla caduta alla Gent-Wevelgem che ne ha messo a repentaglio la sua presenza qui. Corridore tuttofare perfetto per la causa. E poi, a dimostrazione dell'importanza data alla corsa, è presente il loro miglior gregario in assoluto, Jonathan Castroviejo, che probabilmente rivedremo anche al Tour, e con lui Salvatore Puccio: la sua utilità non ha bisogno di essere narrata.
Infine Ben Swift che si ritaglierà un ruolo simile a quello di Narvaez: tuttofare da pianura e per le prime trenate in salita. Vedremo come diceva un fortissimo corridore italiano degli anni '90 che non aveva la sfera di cristallo, ma lasciava sempre attoniti i suoi interlocutori con questa espressione. Vedremo, perché il ciclismo, si sa, resta un gioco liquido adattissimo a stracciare tutti i pronostici e a farsi beffe di coloro che ci si sono cimentati.
Nessun favorito assoluto, dunque, nemmeno Carapaz al via con la squadra sulla carta più forte, in coabitazione con la Bahrain-Victorious. Bahrain-Victorious che punta tutto su Mikel Landa. Lo spagnolo, celebre fondatore di quel movimento culturale chiamato Landismo, che noi attendiamo sul gradino più alto del podio - noi generico, noi tifosi, perché si sa, difficile non amarlo, nonostante la pletora di odiatori per vocazione a cui mandiamo i nostri saluti - che anzi più che aspettarlo saremmo capaci anche di spingerlo su quel gradino più alto. Ma ci accontenteremo di vederlo scattare in salita con le mani basse sul manubrio e fare la differenza lì, dove osano gli scalatori. Terreno ce ne sarà in abbondanza.
E se questa non sarà l'ultima chiamata per conquistare il Giro d'Italia, poco ci manca, inutile girarci attorno. Poi si sa, quando si tratta di Landa ci sono i fantasmi delle cadute, gli spettri della crisi, gli zombi del ritiro in corsa per un qualsiasi motivo. Quest'anno Landa avrebbe tutto per vincere - tanta salita e poca crono, forma (della vita?) - alla Liegi corsa per Teuns ha mostrato una gamba straripante, - squadra di grande livello. In poche parole: forza Landa è arrivato il momento!
Pello Bilbao sarà la sua spalla fidata, un amico che non ti molla nel momento di difficoltà, sarà il perfetto sostituto nel caso di débâcle del capitano. Sarà anche uno che, vista la condizione palesata nel 2022, potrebbe anche andare a caccia di una maglia rosa nelle prime tappe - chissà magari sull'Etna - e poi tenere duro in classifica. Vedremo, anche stavolta detto con la flemma di Gianni Bugno.
A sostenere i due baschi Wout Poels e Santiago Buitrago: il primo, olandese, d'esperienza, il secondo, colombiano, di freschezza. Poels spesso ingiudicabile per alti e bassi, quando è in giornata resta uno dei corridori più completi del gruppo quando la strada sale - e chissà dovesse essere un Giro freddo, lui che ama il freddo, potrebbe fare decisamente comodo ai suoi. Il secondo sarà perfetto per scandire il ritmo in salita e chissà che non possa anche cercare di vincere una tappa. Jan Tratnik non ha bisogno di presentazioni. Primavera eccezionale la sua, gregariato con i fiocchi (nel suo caso con i baffi e la barbetta), ma andrà anche a caccia di successi parziali, infine Jasha Sütterlin e Domen Novak a far fatica più o meno di nascosto.
Terzo, in ordine di preferenza per chi scrive, João Almeida (UAE-Team Emirates). Apparso non sempre al meglio in stagione, Almeida è un corridore che prima o poi il segno finale sulla maglia rosa lo lascerà. Dopo i 15 giorni con l'effige del leader stampato addosso nel 2020, e la terza settimana in crescendo del 2021 - in coincidenza con il ritiro dalla corsa di Evenepoel - Almeida ha puntato tutte le sue energie fisiche e mentali sul Giro 2022. Avrebbe sicuramente preferito qualche chilometro in più a cronometro, ma ogni traguardo (anche le tappe vallonate), vedrà il suo nome spuntare nelle prime posizioni. Già migliorare lo storico delle sue prime partecipazioni (4° e 6°) significherebbe salire sul podio: mica male! Attorno a lui Davide Formolo che ormai ha messo da parte velleità di classifica, ma sarà utilissimo alla causa, mentre per far sentire a casa il proprio capitano l'UAE dispone di due portoghesi pronti a dare una mano al capitano: Rui Costa in salita e Rui Oliveira in pianura.
Con pensieri di alta classifica c'è Simon Yates - Team Bike Exchange - lo scorso anno lo inserimmo ingenuamente come favorito della corsa in quanto usciva da un Tour of The Alps scintillante. Quest'anno arriva tra alti e bassi (vittoria di tappa alla Parigi-Nizza, due successi di tappa nel recente Giro delle Asturie, ma in mezzo qualche battuta d'arresto anche lui per problemi di salute più che di condizione), ma il Giro 2022 è il suo grande obiettivo stagionale, forse di carriera. C'è spazio, con tappe miste e diversi arrivi in salita, per far emergere le sue qualità. Non dovesse riuscire a vincere (o ripetere il podio del 2021), di sicuro un modo per lasciare il segno lo troverà provando a conquistare di nuovo qualche tappa (è a quota 4).
La squadra è tutta per lui, non fortissima, ma funzionale: segnaliamo su tutti Matteo Sobrero che sogna la crono di Budapest, Tanel Kangert, tantissima esperienza anche di posizionamento finale nella classifica generale, e Lucas Hamilton, che arriva da una stagione difficile, ma un paio di stagioni fa, almeno a tratti, sembrava potesse diventare corridore per i Grandi Giri. Il suo oggi, invece, sarà tutto da ricostruire, ma soprattutto sarà rivolto agli obiettivi Rosa di Simon Yates.
PRINCIPALI ALTERNATIVE
I quattro favoriti, in ordine, li abbiamo messi, ma non ci saranno mica solo loro. Romain Bardet per la DSM, dopo la vittoria al Tour of the Alps vorrebbe riportare la Maglia Rosa in Francia a 33 anni dell'ultima volta (Fignon, 1989). Va forte e le strade italiane sono perfette per lui. Ideale il disegno con poca crono gli piace e chissà, arrivasse pure il brutto tempo, sarebbe uno capace di esaltarsi. Tuttavia ha già specificato, nemmeno troppo tra le righe, che dovesse capire di non poter lottare per il podio, potrebbe puntare solo alle tappe. In DSM un'alternativa c'è, ed è forse uno dei corridori che affascina maggiormente in questo Giro d'Italia: Thymen Arensman. Il lungo che pare infinito scalatore olandese classe 1999 è corridore così completo da far paura per il presente e per il futuro. Regolare, anche difficile da staccare, dovrà stare attento a non cadere. Anche lui, che arriva dal ciclocross, tende troppo spesso a finire per terra.
Dalla Colombia con l'Astana ecco Miguel Ángel López, corridore indecifrabile come tanti, è vero, ma lui lo è in particolare, forse è l'emblema, il termine massimo. López che per mezzi tecnici e picchi di prestazioni (a volte va forte persino a cronometro!) ci stupisce non abbia ancora vinto un Grande Giro, ma è López e ci piace anche così. Potrà essere ago della bilancia della corsa, dovesse, per i soliti motivi (cadute, giornate no, litigi con chiunque, persino con gli spettatori) uscire di classifica, avrebbe comunque le gambe per fare la differenza sulle montagne della terza settimana e sugli arrivi in salita - gli piacciono soprattutto quelli irregolari - e magari andare a caccia della maglia azzurra. La squadra è più o meno tutta per lui con Vincenzo Nibali nominato battitore libero e tutta una serie di corridori forti in salita: Davide de la Cruz, Joe Dombrowski (entrambi puntano alle fughe in montagna, ma potrebbero essere anche alternative in classifica), Harold Tejada (che sarà il fedelissimo di MAL) e Vadim Pronskiy. In rosa anche due esperti corridori italiani come Valerio Conti e Fabio Felline a lavoro un po' per loro stessi un po' per la causa kazaka. Privi di ruote veloci e dopo alcuni mesi molto complicati ci aspettiamo gli uomini guidati in ammiraglia da Martinelli spesso all'attacco.
Ci sarà una squadra nel suo complesso da tenere d'occhio per la classifica e che annovera almeno tre corridori che proveranno ad agguantare il podio (e due di loro ci sono già riusciti): la BORA-hansgrohe. Wilco Kelderman, Jay Hindley (geniale l'idea di ricostruire la coppia Sunweb che finì sul podio nel 2020) ed Emanuel Buchmann rappresentano un terzetto di regolaristi che proverà a giocarsi le proprie carte in maniera per altro del tutto simile: costanza di rendimento in salita. La strada deciderà chi dei tre potrà essere alla fine il capitano assoluto: noi, se dovessimo puntare un centesimo, lo spenderemmo su Hindley che a inizio stagione ha fatto intravedere le cose migliori, anche se arriva da problemi di salute spuntati fuori durante le Ardenne. Buchmann si è visto poco, anche lui vittima di malanni, mentre Kelderman si è fatto notare, come spesso gli accade, più nell'elenco di chi è caduto in gara che nelle primissime posizioni degli ordini d'arrivo. Peccato perché qualche anno fa intorno al suo nome c'era parecchio clamore.
Di fianco a loro suoneranno la batteria Cesare Benedetti in pianura, la chitarra Ben Zwiehoff in montagna, il basso Giovanni Aleotti un po' ovunque, mentre alla tastiera Patrick Gamper tenterà di inserirsi nelle fughe. Lennard Kamna, ottimo solista, quelle fughe proverà a portarle fino all'arrivo come (solo, appunto) lui sa fare.
LA TERZA FILA
Terza fila: che non vuol dire essere fuori dalla lotta per il podio. La Cofidis si affida a uno dei corridori più continui e regolari del circuito: Guillaume Martin. Quando in giornata, il francese è temibile non solo in alta montagna, ma anche in quelle tappe miste dove bisogna saper essere esplosivi, avere colpo d'occhio, fiutare il momento giusto. Esordio al Giro per lui particolarmente affezionato all'Italia (tre vittorie su sette in carriera ottenute su queste strade, con un successo nel 2019 al Giro di Sicilia proprio sull'Etna dove è rimasto ad allenarsi in queste ultime tre settimane, prima da solo e poi in compagnia del suo preparatore), con uno storico negli altri Grand Tours in continuo progresso e che lo ha visto chiudere in top ten nel 2021 sia il Tour (ottavo assoluto) che la Vuelta (nono). Porterà punti preziosi alla sua squadra per restare nel World Tour, cercherà egli stesso punti preziosi magari per la conquista della maglia dei gran premi della montagna. Dovessimo scegliere per lui (ma tuttavia, chi siamo noi per scegliere per lui?) gli chiederemmo più che regolarità, qualche bella fiammata nelle tappe che gli si addicono maggiormente. Con lui in salita Rémy Rochas, Anthony Perez e Davide Villella, affidabili co-équipier ma anche a caccia di gloria personale.
La EF punta su Hugh Carthy, pressoché impalpabile in stagione, che non arriva a fari spenti, ma quei fari sembra averli rotti facendo manovra in garage. In generale la squadra americana è una di quelle che ha fatto più fatica quest'anno. Suggestione Diego Camargo per la salita, corridore di cui si parla troppo poco ma a chi scrive piace parecchio. Occhio anche a Jonathan Caicedo, si torna sull'Etna dove colse due stagioni fa il successo più importante in carriera, e atteso a dare bei segnali quando la strada sale. Potrebbe anche lottare per la maglia azzurra dei GPM magari insieme al suo compagno Simon Carr.
C'è Tom Dumoulin, in questo elenco, messo dopo tanti nomi non per mancanza di rispetto ma per una concreta idea sul rendimento di un corridore che un anno fa aveva smesso di correre. Avrebbe preferito avere decisamente più chilometri a cronometro per pensare di puntare al podio finale, ma magari qua e là lo vedremo davanti. In casa Jumbo-Visma da seguire con più attenzione Tobias Foss (obiettivo maglia bianca?), lo scorso anno 9° in classifica finale e che compirà 25 anni lungo il percorso, e Sam Oomen, corridore fantasma: non lo vedi mai, ma poi a fine gara te lo ritrovi nelle prime dieci, quindici posizioni di classifica. Edoardo Affini, gregarione in pianura, non nasconde le sue ambizioni per la prima cronometro e con una buona gamba può provare la stoccata da finisseur, Gijs Leemreize e Koen Bouwman (salita), Pascal Eenkhoorn e Jos Van Edmen (pianura) saranno gli altri corridori a completare la selezione con compiti prevalentemente di gregariato.
C'è un po' d'Italia (poca poca, ahi noi, mala tempora currunt) anche per la classifica. Detto di Nibali e Formolo, i quali difficilmente cureranno le parti nobili della Generale, ma saranno chiamati a svolgere incarichi diversi (fughe e lavoro di squadra), i nomi più interessanti saranno, in ordine di possibilità: Lorenzo Fortunato (Eolo-Kometa, visto in buona condizione nella recente Vuelta Asturias chiusa al secondo posto in classifica generale), Giulio Ciccone (un punto interrogativo per una primavera decisamente travagliata) e l'eterno Domenico Pozzovivo: potremmo esagerare definendolo leggendario. Visto l'altissimo rendimento della sua squadra, non esageriamo invece nell'immaginarcelo, dovesse tutto filare liscio, in lotta per un posto nei dieci. A quarant'anni sarebbe uno spettacolo.
OUTSIDER
Con pensieri di classifica, infine, Iván Ramiro Sosa (Movistar, e potrebbe essere uno dei pretendenti principali alla maglia azzurra dei gran premi della montagna) si candida a essere una delle sorprese di questa corsa. È in forma e in salita non sono molti quelli che potrebbero stargli a ruota. Spesso gli manca la continuità, cosa non da poco in un Grande Giro, ma nella giornata singola, in salita, può vincere ovunque. Dovesse mettere vicino tutti i pezzi, potrebbe lasciare molti a bocca spalancata e altri con le gambe dure a fare zig zag in salita. Attorno a lui e a Valverde, un occhio lo meritano il giovane Oier Lazkano e Antonio Pedrero, aficionado del Giro chiuso nelle ultime stagioni al 22° e al 19° posto.
Si segnala al via il trio Trek-Segafredo (oltre a Ciccone) Juanpe Lopez, per la salita, Mattias Skjelmose, giovanissimo classe 2000 e che proverà a fare classifica, Bauke Mollema, che potrebbe cercare una vittoria di tappa al Giro che manca alla sua collezione - ha vinto sia al Tour che alla Vuelta; e poi Attila Valter (Ungheria, Groupama) che sogna di vestire la Maglia Rosa proprio in Ungheria, lui che lo scorso anno l'ha vestita dopo la tappa di Ascoli Piceno chiudendo poi al quattordicesimo posto la classifica finale. In questa edizione di Giro punta anche la maglia bianca.
Poi Eduardo Sepulveda (Drone Hopper) e Filippo Zana (Bardiani), che vedremmo meglio andare a caccia di belle fughe per vincere una tappa, uomini di punta per la classifica nelle Professional italiane che non si chiamano Eolo; Jan Hirt (Intermarché) e Harm Vanhoucke (Lotto) che già in passato hanno fatto vedere cose interessanti al Giro e potrebbero pure loro ambire alla classifica dei Gran Premi della Montagna. E poi c'è Mauri Vansevenant. Il giovane belga della Quick Step, dopo il forfait per un brutto incidente di van Wilder, sarà l'uomo di classifica della squadra belga. Lo danno molto in forma, teniamolo d'occhio. Ha vinto un Giro della Valle d'Aosta, seppure in modo rocambolesco (guadagnò minuti su minuti per un errore di percorso di gran parte del gruppo) e nella stessa stagione ha accarezzato anche l'idea di vincere il Tour de l'Avenir. Pure lui, come (quasi) tutta la squadra non arriva da una grande primavera, ma la rinascita belga (un'attesa estenuante) nei Grandi Giri passa anche dalle qualità del classe '99 figlio d'arte, tanto brutto e caratteristico da vedere soprattutto in salita, quanto efficace.
Infine una menzione per Felix Gall (AG2R). Il classe '98 austriaco, ex campione del mondo tra gli juniores, arriva da stagioni tribolate nelle quali non ha mai potuto esprimere pienamente (probabilmente non ci è nemmeno arrivato vicino) il suo potenziale; quest'anno sembra aver trovato la forma fisica e mentale e sarà il leader della squadra francese per la classifica, ma vista l'esplosività sugli strappi potrebbe trovare la sua giornata di gloria anche in qualche tappa vallonata.
ITALIANI
Alcuni li abbiamo già citati, ma riepiloghiamo, le speranze non sono così tante. Fortunato, Pozzovivo e Ciccone punteranno alla classifica, nemmeno troppo alta, ma il bolognese della Eolo dopo la Vuelta a Asturias ha visto crescere le sue quotazioni. Formolo e Nibali saranno l'uno principalmente gregario e l'altro libero di dare sfogo alla sua fantasia. Da misurare in chiave classifica generale la crescita di Zana. E quindi i corridori di casa, dove e quando possibile, andranno perlopiù a caccia di tappe.
Vincenzo Albanese (Eolo-Kometa) è il nome più intrigante. In una primavera avara di soddisfazioni per il tricolore italiano, il suo undicesimo posto alla Sanremo è uno dei risultati migliori. Grande talento nelle categorie giovanili, forte sugli strappi, ottimo spunto veloce, Albanese in questo scorcio di stagione ha mostrato anche di tenere bene in salita. Questo cosa significa? Che già il primo giorno può sognare qualcosa di grande. Andrea Vendrame (AG2R) è un corridore che gli assomiglia. Spunto veloce, esplosivo, al Giro d'Italia ha dimostrato di migliorare con i giorni, sfiorando l'impresa tre anni fa a San Martino di Castrozza, trovandola lo scorso anno a Bagno di Romagna, una delle vittorie più emozionanti del Giro e la migliore affermazione della sua carriera. Quest'anno ci vuole riprovare, spazio in squadra ce n'è a sufficienza, manca forse un po' la condizione, ma il corridore veneto sulle strade della Corsa Rosa riesce sempre a tirare fuori qualcosa in più.
C'è Alessandro Covi, partito benissimo quest'anno, poi ha rallentato, ma lo aspettiamo di nuovo energico lungo le strade del Giro. Lo scorso anno per poco non ha fatto sua una delle tappe simbolo dell'edizione 104, quella con arrivo a Montalcino, quella con le strade bianche. Quest'anno la possibilità che vada in fuga e ci riprovi spazia dal 99,9% al 100%. Il primo giorno, poi, ci sarebbe una tappa adattissima a lui, peccato però sembri perfetta anche al capitano Almeida e a Diego Ulissi che insegue, in quest'edizione di corsa rosa, la sua nona affermazione al Giro.
Tra i classe '99 c'è Giovanni Aleotti, con carta bianca ci potrebbe provare su diversi terreni, ma rischia di rimanere chiuso a doppia mandata, anzi tripla, da una BORA a tre teste per la classifica, mentre Davide Ballerini sarà nel treno Quick-Step votato alla causa Cavendish. Matteo Sobrero (come il già citato Affini) sogna la seconda tappa (quella a cronometro) e magari dare qualche segnale in futuro anche per la classifica, mentre Mosca, Rota, De Marchi, come Rosa, Maestri, Rivi, Gavazzi, i due Bais, Ravanelli, Zardini, Tagliani, Tonelli e Rastelli proveranno a inserirsi nelle fughe. Spesso sarà quella di giornata, buona per gli sponsor, spesso sarà quella invece che arriverà al traguardo e allora bisognerà approfittare del momento: una grande corsa a tappe autorizza a sognare in grande, e proprio l'impresa di Alessandro De Marchi nel 2021, culminata con la Maglia Rosa indossata per qualche giorno, ne è la dimostrazione.
Infine Stefano Oldani, anche lui in bilico tra il lavoro di squadra (c'è un certo van der Poel al via) e qualche bella volata (previa autorizzazione del fenomeno olandese). Le sue occasioni però potrebbero arrivare dalle fughe. E poi ci saranno i velocisti come vedremo nel capitolo successivo.
VELOCISTI
Quattro i nomi più altisonanti con altrettanti pesci pilota di qualità e di grande esperienza : Caleb Ewan (De Buyst ha dato forfait all'ultimo momento, sarà compito di Kluge e Selig pilotarlo), Mark Cavendish ( Mørkøv), Arnaud Démare (Guarnieri) e Fernando Gaviria (Richeze). Non servono presentazioni, ma sarà una sfida non solo di velocità, ma anche di treni e posizionamento, di lead-out e pelo sullo stomaco. Nel caso dei primi 3 la squadra sarà (quasi) totalmente votata alla loro causa e le tappe dove sfidarsi saranno molte, a partire dal terzo giorno. A loro si aggiunge il tedesco della Bahrain Phil Bauhaus, che cerca il colpo a effetto nella tappa di un Grande Giro dopo essere cresciuto in maniera esponenziale in queste ultime stagioni.
L'Italia punta principalmente su Giacomo Nizzolo e Alberto Dainese (in squadra con lui anche Cees Bol, capace di buoni risultati in volata anche al Tour), ma cercano piazzamenti e magari la giornata di gloria anche Simone Consonni e Davide Cimolai (stagione complicata per lui fin ora). Jakub Mareczko potrebbe trovare spazio nelle volate pure e "semplici" (non esistono volate semplici, esercizio folle tirato a volte all'esasperazione e che ti fa stare col fiato sospeso) - sempre che non ci si voglia buttare in mezzo van der Poel - Filippo Fiorelli è il nome Bardiani per gli arrivi più tortuosi e insidiosi e avrà di fianco uno dei corridori più esperti del gruppo, Sacha Modolo. Aggiungiamo a questa lista anche Edward Theuns (Trek-Segafredo) che cercherà qualche piazzamento allo sprint. Difficile che si esca da questi nomi, i quali, insieme ad alcuni che andremo a raccontare nel prossimo capitolo, verosimilmente lotteranno anche per la classifica a punti.
CACCIATORI DI TAPPE - ALCUNI FANTASTICI - E DOVE TROVARLI
Alcuni di loro sono destinati a lasciare il segno, anzi diciamolo meglio: hanno già lasciato il segno nella storia del ciclismo. Alcuni di loro hanno un futuro incredibile davanti, altri stanno segnando il presente, altri ancora un passato glorioso che non vuole lasciare il campo a un ritiro all'orizzonte. Presto detto: parliamo di tre corridori concepiti per essere tra i grandi protagonisti dell'edizione 105 del Giro: Matheiu van der Poel, Biniam Girmay e Alejandro Valverde.
Mathieu van der Poel è il personaggio numero uno di questo Giro d'Italia. Andrà alla caccia della maglia rosa il primo giorno con la speranza magari di arrivarci fino alle pendici dell'Etna: sarebbe una grande promozione per il Giro, sarebbe un lusso che il corridore olandese ha già annunciato vorrebbe concedersi. Difficile dire quali e quante tappe gli si addicono dipende da diversi fattori, ma ciò che è sicuro è che quando non sarà davanti a sprintare, lo potremmo trovare in fuga. Squadra, la sua, con altri corridori interessanti (alcuni citati, manca la menzione all'attaccante nato Dries De Bondt) ma che per forza di cose girerà tutta intorno al due volte vincitore del Giro delle Fiandre. Una scommessa aperta per certi versi: riuscirà a portare alla conclusione il Giro? Lui lo vorrebbe per riuscire a fare, dice, un salto di qualità ulteriore.
Biniam Girmay a caccia anche lui di tappa e maglia il primo giorno ma non solo. A caccia di record di ogni genere, il classe 2000 eritreo, che verosimilmente si butterà anche negli sprint di gruppo è, insieme a van der Poel e a quei velocisti più continui, uno dei candidati alla maglia ciclamino.
Alejandro Valverde: perché come minimo una tappa proverà a portarla a casa. Non avrà lo scatto devastante di un tempo (fisiologico), ma anche lui vorrebbe già piazzarsi il primo giorno e poi chissà provare il colpo magari sull'Etna non dovesse esserci una grossa selezione. Nonostante i 42 anni, il suo Giro d'Italia sarà tutto da scoprire. Ci piacerebbe vederlo fuori classifica, ma cercare la vittoria in fuga: sarebbe una degna conclusione di una carriera in cui ha vinto praticamente tutto, sarebbe un modo anche per rischiare di farsi qualche tifoso in più tra quelli che non amano particolarmente la sua condotta di corsa.
C'è un'Eritrea che pedala fortissimo che non è solo quella di Bini Girmay. C'è Natnael Tesfazion, ennesima scommessa vinta da Gianni Savio e Giovanni Ellena, che avrebbe tutte le carte in regola per piazzarsi bene nelle tappe miste, ma anche per andare a caccia di successi nella fuga giusta. Veloce, resistente, il portacolori della Drone Hopper è un corridore del quale non siamo ancora riusciti a capire i margini. Che paiono importanti e potrebbero portarlo a ricalcare le orme del suo connazionale. Chissà che l'anno prossimo (suggestione del tutto casuale) non si possano persino ritrovare a correre nella stessa squadra.
Altra ruota veloce con licenza di fuga e vittoria è quella di Magnus Cort Nielsen. Il danese appartiene a quel quintetto al via del Giro (Bardet, Lopez, Mollema e Calmejane sono gli altri) che insegue il successo da affiancare alle tappe conquistate al Tour e alla Vuelta. Una tripletta ambiziosa. Arriva al Giro dopo un brutto infortunio, ma strada facendo la sua condizione crescerà, diventando con ogni probabilità uno dei punti di riferimento in gruppo quando ci sarà da scappare via, soprattutto nella seconda parte di Corsa Rosa.
Fuga decisiva di cui è specialista Lennard Kämna. Il tedesco è corridore da giornata di grazia e quando si veglia col piede giusto rischia di essere imbattibile. In alta montagna o nelle tappe miste, il corridore della BORA se lo ritrovate davanti per forza di cose dovrete battezzarlo come favorito per il successo. A caccia di fughe fino all'arrivo ci sono anche Mauro Schmid (Quick-Step, vincitore a Montalcino nel 2021), il compagno di squadra James Knox che potrebbe anche fare classifica, uno dei fuggitivi più attesi, l'estone Rein Taaramäe (Intermarché-Wanty-Gobert) e i suoi compagni di squadra Barnabás Peák e Loic Vliegen; e poi ancora Alex Dowsett (Israel-Premier Tech), uno dei personaggi che ci piace di più in gruppo, Nans Peters, Nicholas Prodhomme e Lilian Calmejane (AG2R), Jefferson Cepeda (Drone Hopper, che proverà a tenere duro sia per la generale che per la maglia dei GPM) e il suo compagno di squadra Andrii Ponomar che sarà, con i suoi nemmeno 20 anni, il più giovane al via per il secondo anno di fila. Chris Hamilton, piazzato alle spalle di Vendrame lo scorso anno a Bagno di Romagna, andando proprio all'attacco da lontano, aiuterà Bardet e Arensman a curare la classifica, ma non disdegnerà l'inseguimento al successo personale, e infine Samuele Zoccarato pronto a raccogliere lo scettro del miglior attaccante del Giro, magari con un bel successo di tappa, obiettivo dichiarato della sua squadra, la Bardiani-CSF-Faizané.
IL DISEGNO DEL GIRO
Tre giorni di riposo, tanti (troppi?) trasferimenti, con la Grande Partenza al venerdì, dall'Ungheria. Tre tappe all'estero prima di rientrare in Italia, dalla Sicilia per arrivare a Verona per la crono finale. Tappe distribuite in maniera equa, - diverse volate, diversi arrivi che fanno gola agli scattisti, tanti arrivi in salita, ma le cronometro... Ecco se parliamo di cronometro tocchiamo un tasto dolente di un disegno che, tutto sommato ci soddisfa (ci voleva un tappone di oltre 220 chilometri, ma in questo periodo pare passato di moda). Può una grande corsa a tappe avere un tracciato con solamente 26,6 chilometri a cronometro distribuite nella seconda e nell'ultima tappa? Francamente no, ma ormai è fatta. Auspichiamo l'anno prossimo almeno 60/70 chilometri totali, servirebbero per rimettere tutto nell'ordine giusto.
Per il resto il disegno ci piace, forse avremmo apprezzato qualche arrivo in discesa in più, ma già solo per aver inserito la salita più bella del mondo - la Marmolada - il tracciato merita tutto sommato un voto alto.
Partenza scoppiettante il primo giorno con una tappa che vedrà gli scattisti misurarsi su uno strappo di quasi 4 km che porterà il gruppo sulle strade del suggestivo castello di Visegrád. Tappa che sembra aver scritto a caratteri cubitali: van der Poel vs Girmay. Ma occhio come sempre alle sorprese. Dopo la breve crono del giorno dopo e la volata in programma, ahinoi, domenica (insistere con le volate nei giorni feriali, continuiamo a trovarlo mortificante!), lunedì si torna in Italia per una giornata dedicata al trasferimento-riposo prima di vivere uno dei sette arrivi in quota. Martedì 10 maggio, infatti, da Avola fino all'Etna, salita infinita, ma non durissima e che verosimilmente cambierà il nome del leader della classifica. Dopo Messina il giorno dopo si risale in Calabria per un altro probabile arrivo allo sprint (Scalea) prima di una tappa interessante come quella di Potenza adattissima ai colpi di mano. Weekend tra Napoli - tappa che promette scintille oltre che uno dei panorami più belli che possa regalare una manifestazione sportiva - e il secondo arrivo in salita: Blockhaus. Rispetto all'Etna qui si inizieranno a contare distacchi importanti. Vero e proprio tappone appenninico, 191km e nemmeno un metro di pianura, come si usa dire.
Dopo il giorno di riposo si prosegue la marcia verso il nord: a Jesi tappa da fuga, a Reggio Emilia, mercoledì 18 maggio, volata. Piccolo commento: di nuovo, anche in questa edizione, ci ritroviamo una tappa di oltre 200km completamente pianeggiante. In pratica un lungo trasferimento in bici: serviva? Il giorno dopo la Parma-Genova è un'altra tappa destinata a vedere la fuga all'arrivo, ma si sale parecchio e dunque bisognerà avere una gran condizione per andarsene e restare lì davanti. Difficile che gli uomini di classifica possano tentare qualcosa. Stesso discorso per il giorno dopo verso Cuneo. Tappa breve: fuga all'arrivo oppure volata.
Il terzo week end di corsa, invece, sarà in crescendo. Verso Torino frazione secca, breve, con un circuito che prevede due passaggi a Superga e due sul Colle della Maddalena prima dell'arrivo a Torino: spettacolo assicurato. Arrivo in salita, invece, domenica. Tappa valdostana con tre belle salite lunghe ma senza pendenze impossibili, con l'ultima, verso l'arrivo di Cogne, non troppo impegnativa.
Gli ultimi cinque giorni di corsa verranno inaugurati da una delle frazioni più attese: la Salò-Aprica, con il Mortirolo (da Monno) e il Valico di Santa Cristina: serve dire altro? Sì forse che bisognerà dare un occhio anche alle discese. Ancora salita il giorno dopo con l'arrivo a Lavarone prima dell'ultima frazione tranquilla di questa corsa con probabile conclusione in volata (se ci saranno velocisti ancora in gara) a Treviso.
E poi ultimi tre giorni da casco allacciato e luci accese anche di giorno: venerdì 27 maggio la tappa friulana che si concluderà sul Santuario di Castelmonte, sopra Cividale del Friuli, provincia di Udine, è una frazione da non sottovalutare. Si sconfina in Slovenia e si affronta da Caporetto la salita di Kolovrat: pendenza costante del 10% che rimarrà nelle gambe. L'insidia più grande, però, sarà il rientro verso l'Italia, si passa nei verdi boschi del confine italo-sloveno dove sarà difficile trovare più di qualche metro di rettilineo. Un su e giù continuo fatto di curve insidiose e strade strette.
Sabato con l'atteso arrivo sulla Marmolada ne vedremo delle belle - neve permettendo. Chi scrive sogna già la selezione naturale verso Malga Ciapela, uno dei posti ciclisticamente più suggestivi dell'intero circo ciclistico. E infine domenica, la crono finale di Verona, corta, ma che potrebbe ancora decidere qualche piazzamento in classifica.
LE STELLINE DEI FAVORITI
MAGLIA ROSA
⭐⭐⭐⭐⭐ Carapaz
⭐⭐⭐⭐ Landa, Almeida
⭐⭐⭐ S.Yates, Bardet
⭐⭐ Martin, Bilbao, Lopez, Sivakov, Sosa, Arensman, Carthy
⭐ Hindley, Kelderman, Dumoulin, Foss, Fortunato, Porte, Valter, Vansevenant, Gall, Mollema, Ciccone, Valverde, Pozzovivo, Buchmann
MAGLIA BIANCA
⭐⭐⭐⭐⭐ Almeida
⭐⭐⭐⭐ Sosa, Arensman, Sivakov
⭐⭐⭐ Valter
⭐⭐ Foss, Gall
⭐ Vansevenant, Skjelmose, Buitrago, Tulett, Zana
MAGLIA AZZURRA
⭐⭐⭐⭐⭐ Sosa
⭐⭐⭐⭐ Lopez
⭐⭐⭐ Martin
⭐⭐ Ciccone, Buitrago, A.Cepeda, S.Yates, Mollema, J.Cepeda, Poels
⭐Camargo, Hirt, Taaramae, Fortunato, Landa, Carapaz, Perez
MAGLIA CICLAMINO
⭐⭐⭐⭐⭐ Van der Poel
⭐⭐⭐⭐ Ewan, Cavendish, Girmay
⭐⭐⭐ Nizzolo, Démare, Bauhaus
⭐⭐ Consonni, Albanese, Gaviria, Cort Nielsen
⭐ Valverde, Tesfatsion, Valter, Vendrame, Ulissi, Bol, Dainese
Sul Giro d'Italia 2022
Ormai è passato più di qualche giorno (forse persino oltre una settimana) da quando il Giro d'Italia è stato presentato. Anzi "finito di presentare": che suona male, un po' strano. Strana presentazione perché divisa in puntate, inusuale, come se farne un racconto seriale desse un tono più contemporaneo all'evento o ne accresca maggiormente l'attesa.
A chi scrive, inizialmente ha creato solo più confusione che altro, per fortuna che c'era poi chi, contemporaneamente alle uscite, raccoglieva e metteva tutto assieme tappa per tappa e nel giusto ordine.
Tuttavia: primo episodio dedicato alle tre tappe ungheresi e dal titolo “Grande Partenza”; secondo episodio, quelle di pianura, “Volate” (oh-oh), poi quelle miste dal titolo “Tappe Mosse” (qui la fantasia si è sprecata), e a seguire “Tappe di Montagna” (ineccepibile).
A chiudere la presentazione della tappa finale “Grande Arrivo” con la cronometro di Verona che si chiuderà tra Piazza Bra e l'Arena come due anni e mezzo fa. Della brevità (contro il tempo) ne parleremo in seguito, ma se non altro sarà un finale estremamente scenografico e chissà che non sia di nuovo pieno di ecuadoriani come nel 2019, ma è prestissimo per parlarne.
Ora, invece, è tempo di dare un punto di vista veloce su come ci pare il percorso di questa edizione di Giro fermo restando che il Giro è sempre il Giro e, probabilmente, appassionerebbe anche se fossero 21 tappe di pianura - no, beh abbiamo esagerato, ma è per capirci: comunque vada la Corsa Rosa ci sta a cuore e non vediamo l'ora sia il 6 maggio, giorno fissato per la partenza - anzi “La Grande Partenza” - dall'Ungheria.
COSA CI PIACE - Le tappe mosse . Se chi scrive appartenesse alla generazione Z esclamerebbe (o forse in realtà lo ha fatto, ma in forma privata): “tanta roba!”. Sono la vera chicca della prossima edizione, una tappa più bella dell'altra: quella piemontese con arrivo a Torino sarà massacrante (un filino corta), quella friulana con arrivo a Castelmonte è ricca di trabocchetti (le discese mettono i brividi) e il Monte Colovrat è salita vera. Muri marchigiani e tappa calabro-lucana due gioiellini (e il chilometraggio è soddisfacente), arrivo a Napoli suggestivo. Saranno tappe insidiose per la classifica, che sorridono ai corridori da corse di un giorno (ma amaramente ci chiediamo: chi ci sarà fra i mammasantissima delle classiche dopo la campagna di Primavera?), saranno tappe che, sempre sulla carta ci potranno far divertire. Fuga all'arrivo e/o battaglia tra gli uomini di classifica ci penseremo a tempo debito.
Ci piace anche, e molto, la tappa con arrivo sul Blockhaus, ma soprattutto quella che termina sulla Marmolada. Forse ci vorrebbe qualche chilometro in più (anche 40, 50), ma l'arrivo sul Fedaia non teme confronti con nessun altro finale di nessuna corsa del mondo. Da Malga Ciapela in poi vengono le vertigini, male alle gambe e fioccano i ricordi.
E poi le cartine altimetriche del Giro restano sempre le migliori; sembra un fatto banale ma non è così. Realistiche, dettagliate, facilmente fruibili. Provate a controllare quelle del Tour (per altro quelle del 2022 ancora non ci sono) e a fare un'analisi basandovi su quelle e noterete la netta differenza.
COSA NON CI PIACE – Facile: 26 chilometri a cronometro sono pochissimi. Persino inspiegabili. Corsa sbilanciata e senza una vera crono lunga. Ma quanto erano belle le crono vallonate di 40/50 km di qualche stagione fa? E no, qui non si tratta di nostalgia anche se l'età avanza per tutti ed è più semplice rimpiangere e leggere il passato che rendersi conto del, e apprezzare il, presente.
Qui non c'entra la salvaguardia del, come si è letto in giro, “patrimonio Ganna”, qui si tratta di avere il dovere (sic) di arrivare almeno a 50/60 km di cronometro per rendere la corsa completa e meno sbilanciata. Per quale motivo dovrebbe essere meno spettacolare una crono lunga (o medio lunga?) rispetto a una crono di 9,2 km (la prima) e di 17,1 (!) , la seconda? Poi certo – e anche qui se ne parlerà a tempo debito – l'ago della bilancia, quello che sposterà ogni commento concreto sarà scoprire i nomi che si giocheranno la maglia rosa, oggi si commenta l'uscita delle tappe, non altro.
E la questione del chilometraggio è quella più calda: solo tre tappe sopra i 200 km (per altro appena sopra i 200 km) tra cui due piatte per velocisti e una messa pure di domenica, la prima domenica: certo non il miglior spot per tenere incollati in tv gli appassionati a inizio maggio. Diverso il discorso per noi malati della pedalata altrui: ce la guardiamo senza fiatare dal km 0, ci chiederanno perché ci facciamo così del male e il perché è sempre quello: il Giro è sempre il Giro e già facciamo il conto alla rovescia per quando inizierà (da oggi dovrebbero essere 168 giorni!).
Attaccare per il ciclismo per i tifosi per se stessi
Quello che ci ha mostrato l'altro giorno l'attacco di Damiano Caruso, oltre all'aspetto umano e romantico della sua storia, è come il ciclismo di oggi nelle grandi gare a tappe, stia provando a riscoprire l'importanza dell'attacco "da lontano" per risolvere una corsa.
Quell'azione ci ha insegnato come solo provandoci hai la possibilità di lasciare il segno nella storia di questo sport. Ci ha dato una lezione importante, quanto mai banale, ma persa in questi anni fatti di calcoli e tattiche conservative.
Torna valido di colpo il più elementare dei paradigmi ciclistici: se attacchi vinci, se resti in difesa è difficile combinare qualcosa, o, più semplicemente, è difficile anche solo entrare nel cuore pulsante del ciclismo: quello del tifoso. E Caruso, insieme a Bilbao, intuendo l'attacco di Bardet e compagni, ci ha dato una magistrale lezione.
Vero che, si difenderà qualcuno, l'attacco oggi può essere un boomerang ai fini della classifica, visti gli squadroni e la velocità contro cui bisogna combattere; attaccare vuol dire mettere a repentaglio il placido benessere e la sicurezza acquisita, persino quell'orrendo valutare così importanti i punti UCI, ma quando hai gli uomini giusti a disposizione come nel caso della Bahrain, attaccare non è solo spettacolo fine a se stesso. Non è puro esercizio di stile, ma è lungimiranza, sagacia, è mostrare capacità di interpretare la corsa. È sfidare la monotonia dentro cui cadono spesso i Grandi Giri.
Dall'ammiraglia Bahrain hanno visto bene, prendendo rischi e lo hanno fatto sin dai primi giorni quando ancora potevano contare su Landa, Mohorič e Mäder. E l'attacco dopo il San Bernardino è stato solo l'apogeo del loro Giro interpretato come meglio non si poteva, nonostante le sfortune.
Il punto è: Caruso poteva starsene tranquillo, podio ben saldo e magari provare a vincere la tappa sull'ultima salita, perché no? Perché attaccare in discesa seguendo due ottimi discesisti come Hamilton e Bardet, rischiando magari pure di scivolare a terra sui diversi tornanti bagnati?
La risposta la si trova nella bellezza del ciclismo, nel fascino ritrovato in un'azione partita da lontano che in un attimo cancella la calma apparente di una tappa altrimenti dal copione già scritto.
Si è mosso da lontano, impulso già vissuto in questo 2021 con altri protagonisti, o come tra Vuelta 2019 e Tour 2020 lo ha fatto senza timore Pogačar. Si basa su questo ideale l'attacco di Froome nel 2018. È con quell'azione che Froome è entrato nel cuore dei tifosi, più che con il suo nome scritto per quattro volte nell'albo d'oro del Tour.
Sembra così assurdo esaltare – a prescindere dalle storie di contorno - un attacco a 50 km dall'arrivo dell'ultima tappa di montagna, ma siamo stati abituati, in questi anni, a spettacoli deplorevoli in tal senso. A lunghe attese svanite in una nuvola di fumo. Diversi Tour de France ne sono l'esempio.
D'altra parte è quello che abbiamo visto fare a Yates e alla sua squadra che hanno preferito stare nascosti, salvo poi dare una mano veloce alla Ineos tra San Bernardino e Splügenpass. Viste le difficoltà di Martínez in discesa c'era la seria possibilità di provare a isolare Bernal, ma invece, per loro, è stata un'occasione persa. Poi certo: per attaccare servono le gambe oltre che il cuore.
Per il racconto (romantico) allora è stato meglio così: magari con ulteriore bagarre da dietro non ci saremmo goduti quegli ultimi chilometri di Caruso contro tutti, di Caruso spinto dal pubblico, di Caruso che vince facendoci vivere una giornata indimenticabile. Facendoci riscoprire per una volta il fascino dell'imprevedibilità perso nelle stagioni dei Grandi Giri: un altro insegnamento che ci hanno dato Caruso e il nostro amato ciclismo. Sperando che non resti solo una splendida eccezione, ma la strada da battere in barba a watt, calcoli, punteggi e piazzamenti. A volte quando si azzarda, si corre persino il rischio di vincere.
Foto: Bettini
Quello che Bernal insegna
Forse ciò che più ci resterà della vittoria di Egan Bernal al Giro d'Italia sarà tutto quello che questo ragazzo di Zipaquirá, in Colombia, è stato in grado di raccontare. Qualcosa che smuove una riflessione non tanto o non solo sul ciclismo, quanto sul modo di vivere e di pensare a cui siamo abituati. Perché, ne siamo convinti, dalla vittoria di Bernal, dal modo in cui è maturata, dalle origini della sua storia, è davvero possibile imparare qualcosa per la quotidianità di ciascuno di noi.
Qualcosa che abbia, per esempio, a che vedere con gli stimoli quotidiani e l'entusiasmo. Non è strano e nemmeno raro: il tempo assopisce in molti l'entusiasmo, anche i successi più importanti, piccoli o grandi, si trasformano in normalità. Accade a tutti, il punto è accorgersene e magari contrastarlo. Spesso si accetta come inevitabile. Ciò che dice Bernal racconta la volontà di rifuggire questa abitudine.
«La vittoria al Tour de France è stata inaspettata, ma il difficile è arrivato dopo. Quando ti accade qualcosa di simile, di tanto grande, così giovane, tendi a sederti, non smetti di fare il tuo lavoro ma lo normalizzi, perdi quella spinta, quella grinta. Come se il meglio fosse già passato. Io ho continuato a puntare la sveglia al mattino presto, a stare attento all'alimentazione, ad uscire per gli allenamenti, però ero come anestetizzato. Avevo perso quella fame, quell'entusiasmo che era alla radice della mia scelta di pedalare. Avevo vinto qualcosa di importante, certo, ma avevo perso qualcosa di ancora più importante».
La soluzione non è immediata e neppure di facile applicazione. Perché per entusiasmarti devi tornare indietro, devi tornare a fare ciò che facevi quando non eri un campione, ma un ragazzino qualunque. «Dave Brailsford mi ha aiutato a capire. Ha tolto quella zavorra che mi pesava sul petto. Siamo stati insieme a Monaco e abbiamo parlato molto. Mi ha detto che aver vinto il Tour non doveva significare la fine del divertimento. Mi ha detto che avrei dovuto fare come avevo sempre fatto. “Se hai voglia di scattare in pianura, scatta. Non vai da nessuna parte? Non deve interessarti. Se scattare in pianura ti fa felice, perché devi impedirtelo?”. Noi due sappiamo bene che il merito di questa vittoria è anche suo».
E restituire, restituire sempre ciò che ti ha portato fino a lì. Con i fatti, non con le parole. «Potrei dire molte cose di Felipe Martìnez, l'ho già ringraziato e lo ringrazierò ancora. Ma lui ha fatto qualcosa in più, lui ha messo del proprio sulla strada per fare in modo che oggi su quel trofeo ci fosse il mio nome. Io non posso limitarmi a parlare, devo fare lo stesso. Voglio ricambiare sulla strada ciò che Felipe ha fatto per me. Voglio aiutare Felipe a vincere qualcosa di grande. Ad essere felice come lo sono io oggi».
Paolo Alberati, primo scopritore di Bernal, qualche giorno fa ha raccontato che crede che Egan voglia vincere la Vuelta e poi tornare in Colombia a fare il giornalista e a lottare con le parole contro le ingiustizie del suo popolo. Bernal non lo nega, ma dice qualcosa in più. «Certo, dopo il Giro ed il Tour, la Vuelta sarebbe il traguardo massimo. Adesso, però, sto pensando che quando questo sarà avvenuto mi piacerebbe tanto provare a essere felice nella mia terra. Stare con i miei cani, le mie galline e la mia mucca. Stare con i miei genitori e la mia ragazza. Vivere delle cose semplici che fanno bella la vita. Molti credono che per essere felici sia necessario raggiungere chissà quali traguardi, magari diventare campioni o diventare famosi. Io penso che serva davvero poco per essere uomini e donne felici. Vorrei dirlo a tutti e penso che a tutti serva ricordarselo. Ne va della vita».
Foto: Luigi Sestili
Un lampo, una rosa, un saluto al Giro
Ciao Giro, come sei arrivato, purtroppo, te ne vai. Un privilegio raccontarti: con il tuo epos, i tuoi colori, le tue imprese e i colpi di scena che anche oggi non sono mancati, tra la caduta di Cavagna, la foratura di Ganna, l'incidente sfiorato da Sobrero.
Ti rendi conto di quanto il tempo passa in fretta? Tre settimane sono volate via e ci hai fatto soffrire ed emozionare. Gioire, inveire, arrabbiare persino.
Sadico e benevolo, ti abbiamo maledetto per quelle tappe noiose, ci hai fatto spaventare quando abbiamo visto De Marchi a terra, o Mohorič volare in aria. Ci hai fatto tifare per Taco e per Nizzolo. Ci hai fatto spingere per i fuggitivi e storcere il naso per quelle (troppe) fughe arrivate al traguardo.
Ci hai fatto aguzzare l'occhio per cercare i nostri beniamini in gruppo, ci hai fatto contare il tempo che passava in salita tra un corridore e l'altro, come quando da bambini si calcolavano i secondi tra il lampo e il tuono, durante un temporale.
Ci hai fatto viaggiare con la fantasia facendoci conoscere luoghi da piazzare sulla mappa, salite nuove o leggendarie, discese, sterrati e tornanti. Ci hai fatto chiacchierare sulla forma dei corridori e disquisire sulle tattiche di squadra. Abbiamo avuto freddo e caldo, ci hai fatto imprecare il giorno del Giau; abbiamo conosciuto storie e alcune abbiamo provato a raccontarle.
Hai condotto 184 passeggeri e alla fine ne sono rimasti 143. Ti sei fatto portavoce della voglia di evasione di Marengo e Tagliani, Pellaud e Zoccarato, De Bondt, Rivi e tanti altri.
Ci hai donato luminose maglie rosa, che raccontano, ognuna di loro, una storia degna di essere tramandata: quella ambiziosa di Ganna, quella fugace di Valter, quella significativa di De Marchi, premio alla carriera, quella duratura di Bernal, consacrazione.
Ci hai fatto applaudire la gioventù di Covi, Schmid, Affini, Oldani, Lafay, Mäder, Sobrero e Fortunato, hai fatto riemergere Consonni, Battistella, Ulissi e Albanese, hai mostrato i muscoli di Bettiol, la lucida follia di Vendrame, ti abbiamo visto passare così velocemente sulla strada che abbiamo maledetto come sempre il tempo che passa.
Sei stato appuntamento fisso: per le vie e dentro i borghi, in tv e al telefono, al confine, in riva al mare o in cima alla montagna.
Ci hai fatto sbadigliare e innamorare, ci hai riempito gli occhi. Ci hai stregato e ogni tanto ci hai fatto prendere la mano, e se abbiamo esagerato ti chiediamo scusa per averti raccontato con qualche eccesso di retorica e un pathos incontrollabile sfociato in esaltazione dei buoni sentimenti.
Ci hai strappato sorrisi e mostrato talento, quello di Bernal, oggi vincitore finale, quello di Ganna, oggi vincitore di tappa e ogni giorno di fianco al suo capitano a scherzare per alleggerire il carico, a farsi serio per trascinare il gruppo per chilometri.
Ci hai mostrato cadute, risalite, rinascite. Ci hai dato l'ebrezza di Caruso e la grinta di Almeida. Hai cosparso tutto di neve e avvolto di nebbia. Ci hai mostrato coraggio e fantasia, abnegazione e sofferenza, sagacia e umiltà.
Sei stato, come spesso accade, un magnifico compendio strapaesano, metafora di viaggio all'italiana e di vita. Sei stato semplicemente Giro: il miglior compagno d'avventura possibile. Arrivederci all'anno prossimo, Giro, amore, nonostante tutto, infinito.
Foto: Luigi Sestili
Il valore di Damiano Caruso
Ieri era tutto nelle gambe di Damiano Caruso. Per esempio, c'era la storia del padre che, senza lavoro, nell'estate del 1984 fece parte della scorta del giudice Giovanni Falcone, guardia del corpo negli anni di piombo, a soli diciannove anni, per un milione e duecentomila lire, i nostri seicento euro. In una Sicilia dura, aspra, rigida. Ma gli uomini passano, diceva Falcone, restano le loro idee che continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini. Così il problema non erano i seicento euro al mese, ma la volontà di dare un esempio al figlio, un esempio che gli facesse strada. Per questo ancora oggi il padre gliene parla con orgoglio, con fierezza.
E Damiano Caruso ha capito ed ha sempre voluto essere uomo prima che ciclista. «Quei valori ho cercato di portarli con me nel tempo, anche quando è stato più difficile. Per questo penso che questa vittoria sia per me, perché nessuno può capire cosa ho passato per essere qui, tutti i sacrifici che ho dovuto fare. Perché certe cose le ho provate io, le so solo io». Caruso che ha spiegato quel gesto, quella pacca sulla spalla a Pello Bilbao, meglio di chiunque altro. Perché quella pacca sulla spalla parla di ciò che ha vissuto. Del coraggio che un uomo si sente di fare ad un altro uomo, come lui, anche se ieri sembravano così diversi Damiano e Pello.
«Gli ho dato quella pacca perché so cosa si prova a fare ciò che ha fatto Pello. Lo so perché l'ho sempre fatto io, perché magari ho vinto da campione ma non mi sento un campione. Pello non è il vecchio Caruso, come qualcuno ha detto. Io e Pello siamo uguali ed io ho vinto perché c'era Pello».
Caruso che rifugge ogni forma di retorica: «Non c'è molto da dire. Ho semplicemente corso per vincere perché quando sei un professionista o sei al servizio della squadra oppure devi provare a vincere». Non senza dubbi, ma i dubbi sono tipici della scelta ed anche Caruso ne ha avuti: «Quando siamo rimasti davanti mi sono chiesto se fosse la cosa giusta da fare, poi mi sono risposto che non mi interessava, che avrei continuato a prescindere da tutto. Fosse andata male, sarei stato il Damiano Caruso di sempre».
E agli uomini non fa male il dovere, mai. «Ai ciclisti fa male la pressione, agli uomini fa male la pressione. Poche cose pesano di più. In queste tre settimane ho dovuto imparare a gestirla e così farò anche domani. Non dovrò pensare di essere al Giro, dovrò solo pensare a dare tutto quello che mi è restato. Non avrebbe senso nulla di diverso». Lui, quello che sta accadendo adesso, ha iniziato a pensarlo dopo la tappa di Montalcino quando qualcuno gli ha detto: «Perché pensare solo ad una tappa e non alla classifica? Io credo tu possa centrare entrambe». Così è tornato in sella da capitano, schivando le illusioni, ma essendo certo del fatto che, anche con i piedi per terra, si possa credere in qualcosa di grande e provare a realizzarlo.
Damiano Caruso è padre e ha detto che questa storia vorrebbe raccontarla al figlio. Noi raccontiamo questa storia per Damiano e per tutti coloro che nella vita sono un poco come Caruso. Sono uomini di fatica e di sudore che non hanno la stessa risonanza di un ciclista che centra il podio al Giro, ma che sanno le stesse cose e in quel mese in cui ottengono un piccolo successo sul lavoro, tornando a casa, lo raccontano ai propri figli. Fieri di tutta la fatica che hanno fatto, dritti per la propria strada
Abbagliati da Caruso
Lo abbiamo spinto, lo abbiamo tifato, qualcuno si è commosso. Abbiamo fatto i conti come ragionieri sul suo vantaggio, ci siamo riempiti il cuore come adolescenti innamorati. Un ultimo atto meraviglioso. Da impazzire. «Credo di essere l’uomo più felice del mondo» ha detto a fine tappa. Protagonista di un indimenticabile pezzo di teatro andato in scena: Damiano Caruso.
Dalla discesa del Passo San Bernardino in poi, due ore di Ciclismo. Il giorno del coraggio, oggi, in sella a una bicicletta, il mestiere di Caruso. Interpretato da chi è sempre stato il più forte tra i compagni di squadra, uno che fatichi a chiamarlo gregario se solo non sapessi che gregario è un mestiere nobile. In scia a Pello Bilbao, fedele scudiero, seguendo traiettorie bagnate, pennellandole con giusto tempismo e senza mai rischiare. Oggi è suo il palcoscenico. Oggi è sua la giornata. Oggi è suo il nome sul manifesto. Pazienza per Bernal, ne abbiam parlato, ne parleremo.
Tornanti su tornanti e intorno neve. Montagne e valli che riempiono gli occhi e selezione prima da dietro, poi sparpaglio. Strada viscida e poi asciutta, sole che si alterna a una sottile pioggerellina. Poche persone e a un tratto tifo da stadio. Gente che sembra perdere la ragione disseminata ovunque nel finale verso l'Alpe Motta.
La curva a 1,5 chilometri dalla fine presa a tutta che per un attimo abbiamo temuto come tutte quelle persone lo potessero far cadere, e invece era solo pronta a inghiottirlo di urla e gioia che esplodeva nel vedere un italiano davanti. Nel vedere Caruso lì davanti. Oggi la sceneggiatura prevedeva il lieto fine.
Dietro, l'inseguimento di Castroviejo e Martínez fondamenta su cui si basa il Giro di Bernal. Il vantaggio che scende chilometro dopo chilometro: che importa ormai se quella maglia resterà meritatamente sulle spalle del colombiano. Oggi è il giorno del coraggio, il giorno di Caruso.
Il giorno del suo sigillo, terzo in carriera, il più importante. «Sono sicuro che prima o poi la vittoria arriverà - diceva tempo addietro- ci sarà una giornata in cui potrò giocarmi le mie carte e sarò il più forte. Ne sono sicuro». Quella vittoria è arrivata, voluta, cercata, inventata. Intuizione improvvisa sua e della sua squadra. Oggi è stato il migliore.
La pacca sulle spalle quando Bilbao si sposta, nel momento decisivo di questo Giro: sineddoche del ciclismo. Nel momento decisivo della sua carriera, Caruso pensa bene di perdere mezza pedalata, un po' di fiato, per ringraziare il suo compagno. Sì, è così che si fa.
Un nuovo Caruso? Nemmeno a pensarci, figlio dell'umiltà, Caruso ciclista. Lui che ha scelto di restare a vivere in Sicilia perché: «è difficile abbandonare ciò che si ama».
Comunque vada, ci siamo detti a un certo punto temendo venisse ripreso, è un gran Caruso. Sfoderiamo senza vergogna i superlativi. Esageriamo, gonfiamoci di retorica, oggi va così. Ammirati lo ringraziamo per questo giorno. Per aver provato a ribaltare il Giro lui che così vicino non c'era mai arrivato se non forse in quei sogni di quando si è bambini. All'arrivo indica se stesso: "Caruso sono io" sembra dire con le dita che battono sul petto.
"M'illumino di Pantani" scrisse Gianni Mura un giorno, e non crediamo di fare torto a nessuno se ci siamo illuminati di Caruso. Gregario sempre, ma da oggi anche campione.
Domani finisce il Giro
Comunque vadano le cose tra oggi e domani, il Giro fra poco più di ventiquattro ore sarà terminato. Spiace perché, alla fine, al Giro vanno tutti appena se ne presenta l'occasione, perché nel Giro si ritrovano tutti pur non conoscendosi e magari non condividendo nulla fino all'istante prima. Forse intendeva questo chi disse che ad una corsa ciclistica puoi anche andare da solo, ma, in fondo, non sarai comunque solo.
Noi, però, oggi vogliamo parlarvi delle persone a cui forse spiace di più. Vogliamo parlarvene perché ieri, a Scopello, osservavamo spensierati il fatto che tre settimane siano passate in fretta, quando un signore, guardandoci, ci ha detto: «Forse voi non vi rendete conto di cosa significa tutto questo. Forse non capite quanto sia importante per molte persone». Effettivamente non abbiamo capito subito quello che intendeva, ma sono bastate poche parole perché tutto fosse chiaro. «A me il Giro ha sempre fatto questo effetto, mi ha sempre fatto dimenticare tutto ciò che non andava. Forse devo sottopormi ad un'operazione, nulla di particolarmente grave, ma pensarci è inevitabile. Fino ad adesso ho avuto la certezza che per qualche ora al pomeriggio ho potuto far finta di niente. Da lunedì non più. Quando me lo hanno detto, ho pensato: “Vedremo dopo il Giro!”. Ora che il Giro è passato dovrò pensarci seriamente. Non potrò nemmeno più dire: “Lasciami finire di vedere la tappa e poi ne parliamo”. Sì, forse non avete la percezione di quanto sia importante per tante persone».
Chissà, forse davvero non lo avevamo capito, oppure, semplicemente non lo avevamo mai visto così chiaramente perché nessuno ce lo aveva parato davanti agli occhi con tanta lucidità. Ma, in effetti, è proprio così. Il Giro, per molti, è solo l'occasione buona per dimenticare qualcosa, per non pensarci per qualche istante o semplicemente per una boccata d'aria fresca. Già, perché poi gli esempi sono tanti e tutti diversi, ma in queste tre settimane di storie così ne abbiamo incrociate molte.
Pietro Algeri, giusto qualche giorno fa, ci diceva che la cosa che più lo sorprende, anche dopo quaranta Giri d'Italia resta la pazienza della gente che aspetta ore per vedere qualche secondo. E quell'attesa, ci ha spiegato Algeri, è, in realtà, la cosa che più piace del ciclismo perché non possono essere solo quei dieci secondi a rendere felici tante persone, deve essere quello stato di euforia che le butta giù dal letto di prima mattina il giorno in cui passa il Giro, anche se mancano ancora ore e potrebbero continuare a riposare. Lo fanno perché stanno aspettando qualcosa che arriverà e questo le rende così serene da essere in grado di lasciare da parte i problemi fino a che quella scia non sia passata.
Perché sai che il tuo bar, dopo tanti mesi di chiusura, tornerà a essere come una volta, come quando «di lavoro se ne aveva anche troppo».
Perché l'infermiera dell'ospedale ti ha accompagnato in sala dove tutti stanno guardando la corsa ed a te è sembrato di essere ancora a casa. Perché col passare degli anni tutte le case si svuotano un poco e bastano quelle voci in televisione per tornare a immaginarle piene, con i bambini che giocano nel prato. Perché maggio è sempre stato così, sin da quando andavi a scuola e rimandavi lo studio della storia o della geografia al termine della tappa e poi finivi a studiare di notte.
Sono loro le persone a cui pensiamo stamani, quelle che temono la fine del Giro perché non gli è rimasto più nulla da aspettare. Perché aver qualcosa da aspettare può davvero aiutarti. Che sia un'altra tappa o un altro Giro.
Foto: Luigi Sestili
Tutte le facce della salita
La tappa di oggi è in quel gesto dei corridori annunciato ieri sera: la decisione di devolvere i premi di giornata per sostenere le vittime della tragedia della funivia di Stresa. Azione brillante, da sottolineare.
E poi all'improvviso è tutta negli ultimi 6,5 chilometri che portano al traguardo dell'Alpe di Mera, quando Almeida la innesca, macinando il rapportino, tirando fuori la lingua come un cagnaccio assetato. Perché la salita quando è vera salita non ti permette di bluffare, ti leva la maschera, ti strappa di dosso quella corazza che fino a quel momento usavi per celare ogni sensazione.
La tappa di oggi si risolve nell'attacco di Yates, poco dopo, che riprende Almeida lo lascia lì a cercare i suoi perché e si invola verso il successo. Impassibile, col cerotto sul naso, dal busto in su pare la riproduzione in scala ridotta all'osso di un colosso di pietra. Uno dei suoi tecnici lo aveva detto: «Yates uscirà fuori nella terza settimana», una precisione così, vista di rado.
La tappa di oggi è negli sguardi di Bernal. Quando vanno via Yates e Almeida sembra finita, ma in realtà gestisce. Castroviejo e Martínez gettano litri di sudore per lui e si infiammano per aiutarlo, senza atti plateali stavolta. Bernal pare uno straccio inizialmente, poi lo sguardo si incattivisce e mira dritto verso il tornante successivo. Torna in sé fin quando, tagliato il traguardo, lancia sorrisi e occhiolini.
La faccia di Caruso è quella di chi è a due tappe da qualcosa difficile da spiegare e che non diciamo. Perché per "un gregario grande così" , come scrisse una volta qualcuno parlando di lui, quello che sta facendo è incredibile. «Ho trentadue anni e non sono così vecchio. C’è ancora qualche cartuccia da sparare» si raccontava tempo fa. Lui che sosteneva e pensa ancora che «un capitano vince soltanto se ha una squadra forte che lo aiuta, che lo scorta, che lo protegge. I gregari migliori devono andare forte quasi quanto il capitano, altrimenti nei momenti decisivi quest’ultimo rimane da solo». Lui, gregario, che si è ritrovato capitano dopo che Landa ha visto infrangere i suoi sogni sull'asfalto.
La faccia di Vlasov è quasi indecifrabile, forse sono quei tratti leggermente orientali o l'accento con inflessioni lombarde, fatto sta che, come lo leggi? Risponde agli attacchi, poi cede, poi barcolla, poi rimonta: se qualcuno ha preso i tempi negli ultimi chilometri forse scoprirebbe che alla fine Vlasov è stato persino il più veloce.
La tappa di oggi è nella prepotenza della pedalate finali di Almeida, sì sempre lui, quello delle boccacce, quello che non molla mai cascasse il mondo, quello che lo scorso anno ha vestito due settimane la rosa e che qui pareva solo in soccorso di Evenepoel. Ancora una volta maledice un traguardo che si avvicina troppo presto o forse le sue gambe che si risvegliano troppo tardi.
La tappa di oggi è in Foss che non si vede mai da doverti immaginare i suoi connotati, eppure è sempre lì, oppure in Covi, oggi 13° dopo tutto quello che di buono ha combinato al Giro a suon di fughe: il futuro per lui assume un nuovo significato.
La tappa di oggi è nella salita finale che Jacky Durand aveva descritto come simile all'Alpe d'Huez: non c'entra nulla, caro Durand, ma è sentenza vera. Perché al Giro puoi bluffare, puoi provare a nasconderti per non farti prendere, ma non puoi far nulla davanti alla forza di un'ascesa e a tutte quelle facce che ti costringe a mostrare.
Foto: BettiniPhoto
Dopo la fine c'è sempre un nuovo inizio
Nella vita di un corridore sono più i giorni tristi che quelli felici, si dice spesso, lo raccontava ieri anche Davide Cassani. Sono più le cadute che la gloria, le sconfitte che le vittorie, e una corsa di tre settimane è un compendio di rinascite e cedimenti, ascese e tonfi, di insegnamenti, motti e morali. È un viaggio che, quando giunge al termine, ne fa iniziare un altro. È una tappa che riparte, una nuova corsa che ti aspetta in calendario, una nuova idea da far diventare aspirazione.
Arrivi in fondo e c'è una fine che ti spinge verso un nuovo inizio: quando termini un cammino, vedi la luce in fondo al tunnel, completi un progetto, giungi in cima a una salita; persino quando raggiungi uno scopo e ti poni altri limiti. Quando spingi e vedi la linea del traguardo e poi la tagli sai che il viaggio al termine del giorno ti darà altro a cui aggrapparti, poi altro ancora. Ciclo della vita, sequenza da decifrare. Per ripartire, per provare a rinascere.
Per Remco Evenepoel e Giulio Ciccone ieri, il viaggio al Giro 2021 è terminato: non c'è stata una diciottesima tappa. Una curva a gomito il giorno prima con corridori che si disperdevano sull'asfalto, e giù per terra Ciccone, sul guardrail Evenepoel.
Questo Giro per loro è stato l'inizio, idea di ascesa verticale verso la gloria, un traguardo dopo l'altro da tagliare, fatica mascherata da proclami, gioie che si mescolavano a dolori, dopo un 2020 di quelli da strapparne le pagine e dargli fuoco. Infortuni gravi, drammi familiari, e sulle strade italiane la convinzione che la loro ricerca sarebbe ricominciata.
E Remco filava a questo Giro. Filava nei primi giorni tanto che c'è stata una tappa, quella con arrivo ad Ascoli, dove tutti pensavamo che il ragazzino belga dal motore che scomoda paragoni indicibili, avrebbe persino vestito la maglia rosa - semplice errore di calcolo. Poi a Campo Felice qualche pedalata da dietro, a Montalcino la crisi nervosa, sullo Zoncolan gli scricchiolii, poi Giau e infine Passo di San Valentino, martirio e dolore.
La caduta in discesa: sofferenza in un gomito gonfio come una mela acerba; il dolore: nessuna frattura per fortuna e la tappa portata a termine perché Remco non è solo sacro talento, ma un leone che si batte fino alla fine. Volevano fermarlo già il giorno prima, ma lui è ripartito, testardo, cosciente dei propri mezzi, voglioso di rinascere. L'altro ieri una sorta di oblio rotto solo da quell'immagine che lo vedeva tagliare il traguardo con una smorfia che esprimeva dolore fisico, palesava quello dell'anima. «Lo abbiamo spinto fino al traguardo - racconta Keisse, che di anni ne ha 18 in più e divideva la stanza con lui a questo Giro - aveva così tanto dolore che non riusciva a tenere stretto il manubrio». La prima vera batosta di una carriera che sin qui lo ha visto brillare come un genio delle arti a cui tutto riesce così bene. E ieri Remco non è partito, così come Ciccone.
È salito sul palco firme, Ciccone, poi nulla da fare. Anche l'abruzzese i primi giorni fulgeva, saltellava con quelle gambe nervose e tirate, sorprendeva scalando la classifica, poi una brutta botta, la febbre e una notte insonne. Infine il ritiro. Per entrambi tutto si è fermato tra Sega di Ala e Rovereto. Per entrambi tutto ripartirà con una nuova convinzione.
Per entrambi una fine anticipata in corsa, espiazione di chissà quale peccato. Ma negli occhi una scintilla. La prossima corsa arriverà presto e con quell'aria da leoni che entrambi si portano dietro è facile immaginarceli presto già di nuovo competitivi, o comunque in sella, per una rinascita che sa di rivincita. Perché a ogni fine fa seguito sempre un grande inizio e questo Giro d'Italia gli ha insegnato qualcosa anche (o soprattutto) nell'amarezza della sconfitta.
Foto: BettiniPhoto