La risposta giusta

La storia di oggi è una di quelle storie che si incontrano mentre ne stai inseguendo altre. Mentre ti lanci fuori da una stazione ferroviaria e, con le gocce d’acqua che iniziano a cadere, blocchi il primo taxi disponibile per raggiungere la partenza di una gara. Ti accomodi sul sedile posteriore e pensi a tante cose. Al fatto che questa mattina avresti proprio voluto restare a casa. Che c’è quella persona che avrebbe bisogno di te e tu invece sei sempre chissà dove. E ami il tuo lavoro, lo ami come si amano le persone, ma le persone restano un’altra cosa. Quando torni a casa a sera, magari dopo giorni di viaggio, cerchi qualcuno che ti chieda come stai, cerchi ogni dettaglio che ti viene in mente quando, dopo le gare, senti le persone dire “andiamo a casa”. Tu invece non vai a casa. Tu vai in hotel. Oggi peraltro piove. Le previsioni dicono che peggiorerà. Non ti è mai interessato nulla della pioggia, anzi ti piaceva camminarci, ma oggi proprio non va. Quando succede così non ti basta nulla. Nemmeno tutte le cose che racconti e che ti racconti quando parli del tuo lavoro. Nemmeno tutte le motivazioni per cui non lo cambieresti con nulla al mondo. Oggi non ne sei più così certo. Ma che succede oggi? Te lo chiedi. Capita a tutti, capita anche a noi. Ma devi far finta di niente, devi salire su quel taxi e aggiustare i pensieri perché tu, da quando arriverai al villaggio di partenza, dovrai essere il solito. Dovrai mettere tutta l’attenzione per ascoltare, anche se oggi, solo oggi, vorresti proprio essere ascoltato. E c’è una bella differenza. Preparati una maschera e vai. In fondo lo dici sempre: sei fortunato perché della tua passione hai fatto un lavoro. Questo lo sai, lo sai anche oggi.

Ad un tratto squilla il telefono del tassista: auricolari nelle orecchie e risponde. Non capisco subito con chi parla ma alcune parole arrivano chiare. Dopo qualche minuto di ascolto è lui a riprendere la conversazione: «E allora? Che scusa è? Valla a raccontare alle persone che ti stavano aspettando. Noi siamo responsabili del destino di queste persone. Qualcuno sarà arrivato tardi al lavoro, qualcuno avrà mancato un appuntamento, ci pensi? Ascolta, lascio un cliente e ti richiamo». Pago e scendo. Sto andando a ritirare degli accrediti ma con la testa sono lì, a quella chiamata. A quel “noi siamo responsabili del destino delle altre persone”. Mica poco. Credo che quel tassista stesse parlando con un collega che aveva mancato un appuntamento o qualcosa di simile. Non so. Ma non è questo che conta. Sono quelle parole a contare, quelle che misurano l’importanza che ognuno assegna al proprio contributo. E, forse, sono anche la miglior risposta ai miei dubbi e alle mie domande. Alle domande di chiunque si alzi un mattino e si interroghi sul perché. Alle domande che ogni persona si pone. Chi ama ciò che fa, se le pone raramente ma in quei casi serve una risposta. Bisogna averla pronta, altrimenti tutto vacilla.

La risposta è questa. La risposta è che proprio dalla tua risposta a quella domanda, quel mattino, dipende un pezzetto di destino di qualcuno. Già, perché peggio ti risponderai e peggio lavorerai. E il tuo lavoro ricadrà per forza di cose su qualcuno. Sarà causa o conseguenza. Qualcuno pagherà la tua risposta sbagliata. A qualcuno, quella tua malavoglia, causerà malessere, problemi. Qualcuno quella stessa mattina si è alzato dal letto col piede giusto, si è ricordato del motivo per cui fa ciò che fa. Magari proprio qualcuno che è alle prese con un lavoro infinitamente più difficile del tuo, con più responsabilità di te, con più problemi di te. Eppure lui sa perché sta andando al lavoro. Perché “è responsabile del futuro di qualcuno”. Non è un vanto. Siamo tutti responsabili del futuro altrui. Per poco o per tanto, che ci piaccia o no. Che sia il giorno giusto o meno. Il futuro non aspetta questo. Il futuro arriverà lo stesso, aspetta solo il tuo contributo, senza scuse.
Così, quel giorno, al villaggio di partenza non ho avuto bisogno di maschere, del resto le responsabilità non vogliono trucchi. Anche le responsabilità più ostiche si affrontano con le giuste risposte. Magari colte al volo, scendendo da un taxi, mentre fuori inizia a piovere.

Foto: Tornanti.cc


Di Wout van Aert e di tutti noi

Quest’anno la Milano-Sanremo è di tutti coloro che hanno paura, tanta, ma anche un poco di coraggio. Di tutti coloro che temono i cambiamenti e passano notti insonni, attendendo una mattina che non arriva. Ma poi li accolgono, perché l’esistenza cambia e non saranno le nostre futili resistenze a impedirglielo. Di chi alzandosi dal letto ha il coraggio di lavarsi la faccia e andare in cucina a far colazione. In certi giorni sembra davvero impossibile. Delle tante persone a cui continuiamo a dire che anche per loro, un domani, la vita cambierà e non ci credono perché per loro è sempre stata così. È di chi sa che, in fondo, la bellezza è nelle sensazioni, nei ricordi, nell’immaginazione, nell’immedesimazione e nelle parole che usiamo per raccontare. Di chi sa che, se si vuole, un briciolo di bellezza la si trova quasi ovunque e serve per farci coraggio. Di chi aspetta un ritorno o una partenza e ha un pezzo mancante.

È di chi l’ha sempre vista in strada e oggi si è dovuto sedere sul divano, davanti al televisore, e, visto che si sentiva infelice, ha aperto la finestra e ha creduto di sentire il fruscio del gruppo che scorre. Di chi si è sentito escluso dal cambio di percorso. Di chi non ha mai potuto andare a vederla e oggi l’ha vista dalla finestra di casa e non sa ancora spiegare cosa sia successo. Di quei bambini che sono corsi giù dal letto, come fosse la notte di Natale, chiedendo ai genitori quanto mancasse al passaggio e quando hanno saputo che non potevano stare in strada hanno preso le loro biciclette e si sono inventati una volata nel cortile. E la telecronaca l’hanno immaginata. Degli infermieri che hanno accompagnato qualche anziano nella sala dell’ospedale e hanno cambiato canale “per vedere la corsa”. Dei nonni che l’hanno vista con i nipoti in braccio. È di chi è scattato al chilometro zero, perché delle cose bisogna aver voglia. E quando si ha voglia di qualcosa, le si corre incontro. Ovunque sia.

La Milano Sanremo 2020 è di Wout Van Aert che l’ha vinta sul traguardo, al cardiopalma. Di questo ragazzo che riassume forse tutte le sfaccettature raccontate. È dei genitori di Wout che non ci vogliono credere ma è vero. È tutto vero. È di Via Roma e del silenzio che c’è oggi vicino al mare. È di Matteo Trentin che è caduto e si è dovuto ritirare e un ciclista non si ritira mai se ha anche solo un barlume di speranza. È di Ciccone, di Conci, di Mosca e anche di Vincenzo Nibali perché ci hanno provato. È di tutti quelli che si sentono figli, fratelli, sorelle e vecchi zii di questa corsa. Tanto è il bene che le vogliono. È di chi ha già iniziato il conto alla rovescia per la Milano-Sanremo del prossimo anno. Perché non vede l’ora di tornare lì. Lì dove il cuore batte ed il mare sussurra.

Foto: Bettini