«In agosto, prendevamo sempre un volo diretto in Lettonia per andare a trovare i nonni. A tavola c’erano i piatti di carne, le zucche e le patate che cucinava nonna, al parco vicino casa, invece, le corse in bicicletta dei bambini: si vincevano caramelle e poco altro, magari qualche giornalino. Sono ancora terre povere rispetto all’Italia. Noi portavamo qualche coppetta di quelle che qui si conquistano nelle gare giovanili, da mettere in palio, e quei bambini esultavano come se avessero vinto la Parigi-Roubaix. Uno degli anziani signori che organizzavano le corse segue ancora il mio percorso, vede le mie fotografie». La maglia di campionessa nazionale lettone che Anastasia Carbonari indossa tutt’oggi e la maglia della nazionale che veste nelle competizioni internazionali assumono, allora, un significato particolare, al termine di questo racconto. Sono maglie che Carbonari ha scelto, lei di Montegranaro, in provincia di Fermo, nelle Marche, una zona in cui mancano gare e squadre di ciclismo. Tante volte ha pensato a quella ingiustizia, spesso al ritorno da lunghi viaggi, lontano, mentre guardava fuori dalla finestra e si diceva che «non c’è panorama più bello di quello di casa», almeno per lei.
Eppure è così, non ci si può fare nulla, ha imparato a convivere con quel “torto” di cui nessuno ha colpe. Di Riga è sua madre ed in Lettonia sono rimaste le sue origini anche oggi che i nonni sono mancati. Sta cercando casa a Bergamo, assieme al compagno, per motivi di lavoro, di entrambi, e, giusto qualche settimana fa, ha riflettuto sul vicino aeroporto, sulla possibilità di volare ancora in Lettonia, non solo per i Campionati Nazionali, in ottobre. Forse, per Parigi, partirà proprio da quell’aeroporto, per l’Olimpiade a cui pensava di non qualificarsi ed invece ce l’ha fatta e vi parteciperà con la maglia rosso scura, con una linea bianca, della Lettonia. In UAE Team Adq, Carbonari arriva quest’anno, a ventiquattro anni, classe 1999, dalla squadra Development: passista, tiene bene su strappi brevi e può giocarsela in volate ristrette, Uno dei suoi punti forti è, senza dubbio, la lettura della corsa, spiega di aver imparato correndo spesso in testa al gruppo, anche per il timore di restare nelle retrovie nelle fasi concitate di gara, ma, in questa capacità, rientrano anche tutte le competizioni viste in televisione, sin dall’infanzia, quando con la sua bicicletta girava in cortile e, mettendo una bottiglia di plastica sul tubolare, fingeva di essere una motociclista. Avrebbe scoperto solo anni dopo che essere una ciclista di mestiere significa «dover provare ad eccellere in ogni singolo dettaglio», qualcosa che, successivamente, si tende a traslare in ogni campo, quasi come un’abitudine. Nel 2022, al passaggio in Valcar, dopo anni complessi e una prima parte di carriera «abbastanza tormentata», Anastasia Carbonari si era promessa che avrebbe provato a dedicarsi solo al ciclismo, per vedere se, davvero, era la sua strada, se veramente avrebbe potuto essere il suo mestiere. Bastava davvero poco, in quel momento, per metterlo in dubbio: «Magari sbagliavo un allenamento o una gara mi andava storta ed entravo in un circolo vizioso in cui non esisteva più nulla di positivo. Non mi sentivo forte, non mi sentivo preparata, non mi sentivo un’atleta e passavo ore a chiedermi se non avessi sbagliato a correre in bicicletta». Solo pochi anni prima, nel 2019, dopo il Campionato italiano a Notaresco, in cui portò a termine una buona prestazione, si era quasi convinta di poter veramente essere una ciclista. Quella mattina di fine luglio era uscita così, in allenamento.
Un automobilista la investe, l’impatto è forte: frattura di una vertebra e la stagione finita lì. Poteva andare anche peggio, sul momento c’è un sospiro di sollievo, poi giorni e giorni, settimane, d’inferno: «Ero a letto, completamente immobile, non potevo fare nulla: alzarmi, prepararmi da mangiare, lavarmi. Avevo bisogno dei miei genitori e di mio fratello anche per i gesti più piccoli, quelli che solitamente ci paiono naturali». Tornò, anche se pareva impossibile in quegli istanti. Quasi mille giorni dopo, al Simac Ladies Tour, in ospedale, era accanto a Davide Arzeni, che l’aveva voluta in Valcar, e, mentre lui cercava di consolarla, dopo una caduta, a lei vennero solo poche parole: «Speriamo, Davide. Perché un’altra volta non la sopporterei, non tornerei più a correre, sarebbe troppo difficile». Il verdetto fu, se possibile, peggiore: cinque vertebre e sei costole fratturate. Eppure Anastasia Carbonari, oggi, è ancora una ciclista.
«Non so se sia il ciclismo ad aver formato il mio carattere, di sicuro, però, i due aspetti sono legati. Senza questo carattere non avrei potuto essere una ciclista e senza essere una ciclista non avrei avuto questo carattere, forse non mi sarebbe servito». Di arrivare fino al livello in cui è oggi non l’avrebbe nemmeno mai pensato. Al Giro d’Italia del 2021, il suo primo Giro, il carattere le servì la mattina in cui in corsa arrivò Roberto Baldoni, team manager di Born To Win. La partenza della tappa del 9 luglio era a San Vendemiano, l’arrivo a Mortegliano: proprio prima che la bandierina si abbassi, Baldoni parla con la squadra. «Oggi voglio qualcuna di voi all’attacco»: lo sguardo vaga tra le atlete, fino a che trova Anastasia e la indica. «Non mi sentivo pronta, non sapevo cosa pensare e nemmeno cosa fare. C’erano tante atlete forti, più forti di me, come avrei fatto ad andare in fuga? Tra l’altro, la fuga, in quella tappa, non riusciva nemmeno ad andare via». Carbonari, invece, se ne va, su una ripartenza, guadagna secondi, minuti, resta davanti per circa cinquanta chilometri, viene ripresa solo agli otto chilometri dal traguardo: «All’inizio, mi sembrava impossibile. Non sai quante volte mi sono maledetta, mentre ero a tutta. Maledivo me e le mie folli idee. Alla fine, però, quasi ci credevo. Non avevo nessuna esperienza, non sapevo che il gruppo lascia fare e rientra all’ultimo, tutto mi sembrava straordinario ed in un certo senso lo era. Non mi sono più rivista, non mi piace rivedermi, ma ricordo quasi tutto di quei momenti».
Davide Arzeni la seguiva da tempo, dalla sponda Valcar, in un periodo in cui, dopo l’addio di molte atlete, la squadra si doveva ricostruire. Probabilmente quella fuga ha aggiunto l’ultimo tassello, per proporle il passaggio di team. Studiava Scienze Politiche, l’appassionano i rapporti tra Stati ed il diritto Internazionale, ora studia Scienze Motorie. Non si abbatte più per un allenamento andato male, per i giorni in cui le sensazioni non sono buone, sa che può succedere, basta riposarsi e ripartire il giorno seguente. Intanto si cimenta in quella che definisce “gavetta” e che ritiene essenziale per l’atleta che potrà essere un domani. Quando ancora aspetterà un volo per la Lettonia e, al ritorno a Montegranaro, dopo settimane di gare, guardando fuori dalla finestra, sarà certa che casa è solo nelle Marche.
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