Ha dovuto aspettare la quarta tappa e il quinto giorno. Ha dovuto leggere per tre volte il suo nome al secondo posto dietro tre corridori diversi. Ha dovuto eguagliare un vecchio primato, quello di Binda del 1930.
Ha dovuto scegliere di andare via sull’ultima côte, il Cap Blanc-Nez, il Promontorio Bianco, in una tappa che non si accendeva, e non c’era verso perché forse già si sapeva che bisognava aspettare quel momento lì; aria ce n’era, ma era una brezza, e allora tutti attendevano quell’ultima risalita verso il cielo che domina il Nord della Francia, dalle parti di Calais, dove è tutto vento, fari, coste e oceano.
Una tappa che non scaldava se non nel vedere la gente spellarsi le mani a furia di applaudire Cort Nielsen (ribattezzato oggi Côte Nielsen, ci auguriamo) e Perez. Fuga di giornata con il danese che infilava dieci Gran Premi della Montagna consecutivi, sei su sei in Danimarca, quattro su quattro oggi, prima di rialzarsi e lasciare ad altri (ad altri… a van Aert) il quinto. Se le montagne fossero GPM di quarta categoria, Magnus Cort Nielsen sarebbe il più forte scalatore di questa generazione.
Ha dovuto scegliere di fare così Wout van Aert: andarsene e non farsi più riprendere. Era vestito di giallo e lo sarà ancora anche domani.
Ha usato la squadra e loro hanno fatto come alla Parigi-Nizza: su quello strappo vicino al traguardo si decideva di buttare giù tutta l’energia rimasta. E gli altri? Chi c’era c’era. Ognuno che faceva la sua volata, van Hooydonk accelerava, Benoot distruggeva i sogni di mezzo gruppo, e quando è toccato a van Aert non ha resistito nessuno – pure Roglič si staccava, mentre Vingegaard teneva, insieme a Yates, fin su, quasi in cima.
Ha fatto saltare in aria il gruppo e in parte i pronostici, avrà pensato: ma chi me lo fa fare ad arrivare in volata? Ha preferito vincere da solo, senza correre alcun rischio come per esempio arrivare secondi di nuovo: i nostri fragili cuori non avrebbero resistito un’altra volta; ha voluto vincere in maglia gialla con un’azione da fuoriclasse, un’azione da grande classica, un’azione da grande corridore. Ha distrutto una salitella volandola a oltre trenta chilometri orari di media.
Questo è van Aert, capace di conquistare tappe al Tour lo scorso anno allo sprint a Parigi, a cronometro, e poi in fuga sul Mont Ventoux, e che oggi ha messo un’altra foto nel suo repertorio: la vittoria in solitaria – dieci chilometri di fuga – con addosso la maglia più importante della corsa francese.
Così oggi van Aert: esaltante, sopra le righe, dominante. Da domani, così dicono in squadra, sarà al servizio dei suoi capitani – oggi sorride Vingegaard vista com’è andata, sul pavè vedremo. A noi del domani, in questo momento interessa il giusto: godiamo del presente, godiamo di Wout van Aert.