Pauline Ferrand-Prevot e... i leoni da tastiera

Torniamo sul rapporto tra social network e atleti professionisti, dopo il post di qualche giorno fa sulle dichiarazioni di Chris Froome. Non prendeteci per ripetitivi, nemmeno per ossessionati. Semplicemente riteniamo che il rispetto della persona venga prima di tutto, prima del tifo e delle aspettative di prestazione.
È per questo che ci piace dare voce agli atleti che provano ad opporsi a questa brutta deriva. Magari il messaggio arriverà a poche persone, ma se riuscisse ad ingenerare un piccolo cambiamento, sarebbe già un successo.
Dopo le gare dei Mondiali di MTB della Val di Sole, Pauline Ferrand-Prevot, vera superstar del settore (nel 2014/15, a soli 23 anni, ha indossato la maglia iridata di campione del mondo in tre discipline ciclistiche diverse contemporaneamente, prima volta nella storia del ciclismo maschile e femminile), affida ai suoi canali social un messaggio di risposta ai numerosi attacchi ricevuti a seguito di quelle che sono state ritenute dai suoi fan delle prestazioni deludenti ai recenti Campionati del Mondo di Mountain Bike.
«La vita non ha a che fare solo con la vittoria o la sconfitta.
La vita di una persona ha piuttosto a che fare con l’essere o meno felici.
Non ho letto i commenti delle persone sulla mia gara di ieri perché non voglio che qualcuno possa decidere come mi devo sentire. Quello che posso dire a tutti è che sono molto felice della mia vita, anche se non ho vinto la medaglia olimpica e se non indosso la maglia iridata, e non ho alcuna intenzione di cambiare la mia vita per vincere un titolo olimpico o un mondiale.
La mia famiglia, i miei amici, la mia piccola Mauricette ed io siamo in salute.
Mi guadagno da vivere facendo ciò che più amo al mondo, correre in bici, e ho la fortuna di non definire tutto ciò ‘un lavoro’. Ho il privilegio di viaggiare per tutto il mondo, conoscendo nuove persone e potendomi confrontare con culture diverse dalla mia.
La vita non ha a che vedere solo con le vittorie o le sconfitte.
La vita ha a che vedere con l’imparare qualcosa, con i tentativi andati male ma con la possibilità di riprovarci.
Io vivo per raggiungere gli obiettivi che mi sono posta e non credo di averli ancora raggiunti tutti. Potrò sbagliare e potrò fallire, ma questo non mi impedirà di provarci ancora. Fino a quando non li avrò raggiunti».
Foto: Red Bull Content Pool


Chris Froome e i leoni da tastiera

Nei giorni scorsi Chris Froome ha pubblicato sul suo canale YouTube un video per raccontare l'esperienza all'ultimo Tour e tra le varie cose ha voluto prendere posizione sui sempre più numerosi e violenti attacchi che gli atleti subiscono da parte del pubblico dei social network.

Abbiamo deciso di riproporre i punti salienti del suo discorso, che condividiamo nel suo senso e nelle sue finalità.

«Dopo la fine del Tour de France mi sono preso qualche giorno di pausa perché avevo davvero bisogno di staccare. Dopo l’incidente del primo giorno è stato molto pesante per me portare a termine la corsa; ci siamo scontrati a più di 60 km/h: c’erano corridori e biciclette sparse ovunque, io ho sbattuto violentemente la parte alta della coscia contro qualcosa, credo fosse la bici di un altro corridore e il dolore era talmente forte da non riuscire nemmeno ad alzarmi in piedi e permettere ai soccorritori di aiutarmi a tornare in sella. Nonostante questo, sentivo che per me era fondamentale terminare il Tour de France, anche se pieno di lividi e con il dolore alle ossa che mi sono portato fino a Parigi; dopo tutto quello che mi era successo avevo bisogno di mettere quei chilometri nelle gambe e sono orgoglioso di esserci riuscito.
L’aspetto che mi ha colpito di più di questo Tour de France è stato il sostegno del pubblico: mai, neppure negli anni in cui ho portato la maglia gialla fino a Parigi o lottavo per riuscirci, la gente mi aveva sostenuto in questo modo. Nonostante fossi per la maggior parte del tempo in fondo al gruppo, le persone non smettevano di incitarmi, di spronarmi e di farmi sentire la loro vicinanza e il loro affetto. Avere il loro incoraggiamento mi ha aiutato a non mollare e per questo mi sento di ringraziarli di cuore.

Proprio questo sostegno da parte delle persone in un momento molto difficile per me mi ha fatto riflettere su un tema di cui hanno parlato alcuni atleti durante le Olimpiadi e che penso sia di fondamentale importanza, ovvero l’impatto che le eccessive critiche hanno sulla serenità psicologica ed in definitiva sulla salute mentale degli atleti.
A livello generale pare ci sia l’aspettativa, da parte del pubblico, di trovarsi di fronte non a delle persone normali, seppur eccellenti nel loro sport, ma a dei veri e propri extraterrestri in grado di reggere qualsiasi tipo di pressione e di attacco. Io credo che questo sia profondamente sbagliato perché non tutti gli atleti riescono a gestire questo tipo di stress.
Ci sono sempre più atleti che soffrono a causa di quello che gli utenti dei social network scrivono su di loro; i social media consentono a chiunque di sedersi dietro a uno schermo e insultare un atleta, con un linguaggio che le persone non si permetterebbero mai di avere se incontrassero lo stesso atleta, la stessa persona, per strada o al supermercato.
Io sono convinto che essere un atleta significhi lavorare duro per dimostrare le proprie capacità sportive nelle corse e negli eventi, ma non è incluso anche il fatto di avere questo carico ulteriore di energia per sopportare questo tipo di pressioni e di critiche, spesso eccessive e gratuite.

Quello che vorrei dire alle persone è di pensarci due volte prima di scaricare il loro odio e insultare o criticare ferocemente un atleta. Siamo tutti qua fuori per dare il meglio di noi, per ottenere i risultati migliori possibili quando rappresentiamo il nostro Paese o il nostro team. Provate a mettervi al nostro posto e magari abbiate un po’ più di pazienza quando non risultiamo all’altezza delle vostre aspettative, perché i primi a dispiacersi e a soffrire se i risultati non arrivano siamo proprio noi atleti».

Foto: Bettini


La sfida a Pogačar viene dal Nord

Il ciclismo del nord Europa vive, senza ombra di dubbio, il momento migliore della propria storia. A vittorie sporadiche e a volte isolate, nell'arco dei decenni, fa seguito un vivaio sempre più prolifico e di qualità da cui attingere.
Chiariamo: ciclismo del nord non con riferimento a Belgio e Olanda, ma ancora più su, Danimarca e Norvegia per la precisione.
I risultati dei danesi, recenti, sono sotto gli occhi di tutti, dal Mondiale di Pedersen all'esplosione di Vingegaard, passando per le monumento di Fuglsang e il Fiandre di Asgreen fino alla definitiva maturazione di corridori come Cort Nielsen, di recente vincitore di una tappa alla Vuelta, e diversi risultati di peso qua e là. E tanto altro arriverà grazie a interessanti giovani in rampa di lancio.
In una direzione simile (verso il vertice) si muove la Norvegia, che ai soliti noti (vedi Kristoff, e dove Hushovd e Arvesen sono stati un po' pionieri di questa nuova generazione, tanto che Arvesen ora è direttore sportivo della squadra norvegese UNO X-Pro Cycling Team, compagine emergente del ciclismo mondiale) affianca alcuni fra i maggiori talenti da seguire a livello assoluto: Foss, Leknessund e da quest'anno anche Tobias Halland Johannessen.
Il giovane "norge" Tobias, grazie anche all'aiuto del gemello Anders, è stato l'autentico dominatore del Tour de l'Avenir, concluso, pochi minuti fa, con due vittorie di tappa (che per la Norvegia diventano cinque su dieci se contiamo quella di Anders e le due di Wærenskjold) e la vittoria nella classifica generale, conquistata davanti a due corridori già presenti nel mondo del professionismo: lo spagnolo Carlos Rodriguez (INEOS Grenadiers) e l'italiano Filippo Zana (Bardiani). Rodriguez che oggi sfiora un'impresa clamorosa, rimontando 2'11 dei 2'18'' che aveva di distacco, con una fuga solitaria di quasi 50 km.
Tobias Halland Johannessen (per farla più breve: THJ), corridore esplosivo più che scalatore puro, è alla sua prima vera e propria stagione su strada dove si è diviso tra squadra Continental e Professional; arriva da mountain bike e ciclocross, vive vicino a Oslo e in alta montagna non si è mai praticamente testato: alla conquista del Tour de l'Avenir mette vicino anche il podio al Giro Under 23 alle spalle di quel fenomeno che porta il nome di Ayuso.
Nelle scorse settimane, THJ ha prolungato di tre anni il contratto con la Uno X Pro Cycling Team, la squadra, si diceva, rivelazione, della stagione, che a suon di investimenti vuole crescere a dismisura facendosi portavoce del movimento nordico.
In pochi anni, UNO X ha creato due squadre - prima la Continental, poi quella Professional - e ha lanciato diversi corridori sia norvegesi che danesi (i già citati Foss e Leknessund, ma anche Hindsgaul, il campione europeo U23 Hvideberg, il vice campione olimpico su pista Larsen, e poi Andersen, Wærenskjold, eccetera), si è messa in grande evidenza in diverse corse in Belgio, dal 2022 avrà la sua squadra femminile (già chiesta la licenza per far parte del Women's World Tour) e dal 2023 l'idea è chiara: Uno X vorrà entrare nel mondo del WT.
Uno X che lo scorso anno ha tesserato simbolicamente Johannes Klæbo, il fondista più forte del mondo.
Nella giornata di ieri, poi, al termine della fatica fatta sulle Alpi francesi dai ragazzi del Tour de l'Avenir, il CEO di Uno X, Vegar Kulset, tra il serio e il faceto (ma nemmeno troppo) scriveva così su Twitter: «Uno X Mobility (progetto fondato proprio da Kulset e improntato a diverse soluzioni per la mobilità sostenibile N.d.A.) e Uno X Pro Cycling Team invitano LEGO™ a unirsi con i propri mattoncini all'avventura norvegese-danese. Vingegaard e i fratelli Halland Johannessen nella stessa squadra potrebbero diventare dei seri avversari per Pogačar in un paio di anni».
Il vento del nord spira e sembra davvero fare sul serio.


Il ciclismo femminile e il bisogno di cambiamento

Ogni anno The Cyclists' Alliance (TCA) conduce un articolato sondaggio per fotografare lo status quo del ciclismo femminile.
Obiettivo dell’indagine è quello di mettere in evidenza le principali criticità su cui intervenire per arrivare finalmente ad una situazione paritaria, sotto molteplici punti di vista, fra uomini e donne nel ciclismo professionistico.
Da pochi giorni sono stati presentati i risultati del sondaggio condotto per il 2021, che riteniamo importante condividere con i nostri lettori.
Sono 97 le cicliste professioniste che hanno partecipato, con la seguente suddivisione per disciplina: 68% strada, 13% pista, 7% ciclocross, 7% mtb cross country, 4% mtb marathon e 2% eRacing. Delle cicliste su strada il 27% è costituito da atlete che fanno parte di team World Tour, mentre il 73% gareggiano in team Continental.

Queste le criticità più rilevanti, emerse dal sondaggio.

SALARI

L’86% delle intervistate pensa che i salari siano troppo bassi rispetto all’impegno richiesto per la pratica di uno sport come il ciclismo a livello professionistico.
Il numero di cicliste professioniste senza salario è aumentato dal 17% nel 2018 al 34% nel 2021.
A causa della mancanza di un salario minimo stabilito per le atlete delle squadre Continental continua ad aumentare il divario salariale fra atlete delle squadre WT e atlete delle squadre Continental.
L’ottenimento di un salario minimo garantito anche per le atlete delle squadre Continental è uno degli aspetti indicati come determinanti per le atlete, seguito dalla richiesta di una maggiore copertura da parte delle TV per le gare femminili.

ASPETTI CONTRATTUALI

Anche in ambito contrattuale è presente una marcata disparità di trattamento fra atlete WT e atlete Continental con tutta una serie di minori tutele per le atlete Continental. Per citare un esempio l’assistenza medica è prevista da contratto per il 94% delle atlete WT, mentre solo il 33% delle atlete delle squadre Continental può usufruire dei medesimi servizi.

SECONDO LAVORO E STUDIO

Molte atlete portano avanti la loro carriera di cicliste professioniste mentre svolgono un secondo lavoro per far fronte alle necessità finanziarie e/o si dedicano ad un percorso di studi per assicurarsi la possibilità di un lavoro al termine della loro carriera da atlete.
Delle atlete intervistate il 38% si dedica allo studio mentre porta avanti la sua carriera; il 39% svolge un secondo lavoro, il 14% combina studio e un secondo lavoro con la propria carriera sportiva.
Fra le atlete che hanno un secondo lavoro il 24% lavora meno di 20 ore alla settimana, mentre il 15% lavora più di 20 ore settimanali. Il 67% delle atlete che lavorano più di 20 ore la settimana lo fanno perché non ricevono un salario dal proprio team, mentre il 14% riceve un salario inferiore ai 5.000 euro all’anno. Occorre sottolineare che le atlete, che lavorano più di 20 ore settimanali, sono quelle con un più elevato titolo di studio (il 67% ha conseguito un master o un dottorato, il 20% ha una laurea), che consente loro di trovare occupazioni che permettono una maggiore autonomia e quindi sono più facilmente gestibili insieme agli impegni per gare e allenamenti.

IMPATTO DEL COVID19 SULLA STAGIONE 2021

Rispetto alla stagione 2020, l’impatto del Covid19 sulla stagione in corso è stato tendenzialmente inferiore, ma continua ad evidenziarsi un maggiore effetto negativo sulle atlete delle squadre Continental, rispetto a quelle WT.
Nel 2020 il 29% delle atlete era andata incontro ad una contrazione salariale o lo aveva perso del tutto, mentre nel 2021 solo il 5% delle atlete WT ha sperimentato una riduzione di salario e l’1% delle atlete di squadre Continental si è ritrovata senza salario a causa delle problematiche legate al Covid19.
Nel 2021 il 20% delle atlete di squadre Continental hanno dovuto sostenere autonomamente il costo dei test Covid19 necessari per i viaggi per partecipare alle gare, mentre per il 94% delle atlete WT afferma che le spese per i test Covid19 sono a carico del team e parte del contratto che le lega alla squadra.
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La seconda e terza parte dell’indagine condotta da TCA, relative a temi legali, etici e culturali all’interno del gruppo, verranno presentate nelle prossime settimane e saranno oggetto di un successivo nostro approfondimento.


Il monumentale del Tour 2021

Nemmeno il tempo di posare penne e biciclette che dopo il Giro arriva il Tour. Nemmeno il tempo di rifiatare che dopo la Corsa Rosa è tempo di Grande Boucle. Se il Giro è il nostro figlio (prediletto) che gioca nel giardino di casa, il Tour è quel posto da andare a visitare almeno una volta nella vita. Se il Giro è partigianeria, il Tour è sciovinismo; se il Giro è rosa il Tour è inevitabilmente giallo; come il Giro è un'avventura nostrana, il Tour è un enorme carrozzone mediatico che trascina e coinvolge. Se il Giro segna la fine della primavera, il Tour simboleggia l'inizio dell'estate con campi di colza e girasoli, carovane inestinguibili, asfalto che si scioglie, vini pregiati e formaggi, castelli, Massiccio Centrale e Pirenei.

Se il Giro era la Gazzetta con Gregori e Pastonesi, il Tour erano le mattinate a leggere e rileggere (e assimilare in qualche modo) i pezzi di Mura - e a volte, per un meraviglioso incrocio del destino, anche quelli di Clerici da Wimbledon, Londra. Se il Giro 2021 è stato Bernal, allora il Tour sarà, come nel 2020, un affare sloveno, almeno sulla carta.

IL GIALLO DEI FAVORITI IN GIALLO

I due sloveni hanno dominato il Tour 2020: si ripeteranno nel 2021? Foto: ASO / Alex Broadway

Se mi dessero un colpo in testa o se alzassi troppo il gomito allora sì, forse solo in quel momento potrei fantasticare su vincitori differenti dal duo nato vicino al confine giuliano. Primož Roglič e Tadej Pogačar, nell'accezione confidenziale "Rogla e Pogi" come due personaggi di una seria animata. Loro due il Tour 2020 lo animeranno e potranno soltanto perderlo.

Secondo e primo lo scorso anno dopo quel ribaltone che è storia a La Planches de Belles Filles, i due sloveni sono i più forti interpreti delle corse a tappe. Mancherà a questo Tour quello che, se e solo se riuscirà a esprimersi al massimo risolvendo i problemi alla schiena, potrebbe inserirsi in questo duopolio, Egan Bernal, mentre Evenepoel è ancora un cucciolo che sta imparando a muoversi nel mondo selvaggio dei Grandi Giri.
Altri, a guardarsi intorno al momento non ce ne sono, salvo exploit, incursioni o crescite improvvise, attendendo chi preme da dietro (Pidcock? Ayuso?) o chi magari persegue una via più graduale nella propria crescita (Almeida? Vlasov?).

Non staremo qui a definire caratteristiche, pro e contro dei due ragazzi sloveni, le conosciamo a memoria: duri a cronometro, forti in salita, bravi a guidare la bici - forse  Pogačar un po' di più - e nel districarsi tra i pericoli. Coraggiosi, veloci persino negli sprint ristretti come dimostrano anche i due successi consecutivi alla Liegi Bastogne Liegi davanti, entrambe le volte, a un certo Alaphilippe. Per non parlare delle loro squadre: col passare delle stagioni hanno aggiunto tasselli di spessore per coprire il più possibile le spalle ai propri capitani.

Pogačar rappresenta la freschezza, il volto del giovane lupo che si fa strada, Roglič invece pensa e ripensa ancora allo smacco di qualche mese fa quando perse la maglia gialla il penultimo giorno dopo un dominio senza apparenti titubanze. Avvicinamento differente il loro: anche rispetto alla più tradizionale marcia di preparazione. Pogačar è passato da casa, Giro di Slovenia, ha vinto, con la sua squadra ha dominato, concedendo favori, il modo in cui ha impresso il ritmo in salita ha spaventato: facilità assoluta sono le prime due parole che mi vengono in mente. Spopola perché è giovane e simpatico, piace a media e tifosi, e la tranquillità assoluta con la quale costruisce ogni successo è una delle sue armi migliori.

Uno degli uomini più importanti di fianco a Pogačar in questo Tour 2021: Davide Formolo  Foto: Luigi Sestili

La squadra è tutta per lui: ancora più che nel recente passato. Via le ruote veloci (Kristoff, aria di divorzio e, ahinoi, resta a casa pure un Trentin acciaccato), dentro Vegard Stake Laengen per coprire il suo capitano in pianura dall'alto dei suoi centimetri, Formolo e Rafał Majka scudieri in salita, Marc Hirschi forte (nel 2020 più che forte) dappertutto potrebbe anche rappresentare una sorta di piano B per conquistare qualche tappa.

A proposito di piano B: Brandon McNulty sarà da seguire, lui stesso prenderà appunti dal suo coetaneo cercando di restargli il più vicino possibile in classifica qualora ci fosse bisogno di qualche intuizione dal punto di vista tattico. Infine Mikkel Bjerg, locomotiva in pianura, si difende anche in salita quando sono a inizio tappa: chi vi scrive stravede per lui e lo giudica, per il presente e per il futuro, una delle pedine più preziose per ogni capitano e su ogni terreno. Leggasi: potenziale gregario più forte del mondo.

Roglič non corre dalla Liegi: banalmente, viene da dire, che la squadra sa il fatto suo, che lo hanno tenuto alla larga dalle pressioni e da ogni rischio, che tanto uno così sa arrivare ben preparato alle corse senza gli spettri di una cattiva preparazione, però, forse e dico forse, qualche chilometro in corsa avrebbe fatto bene al vice-campione uscente del Tour, nonché dominatore della Vuelta solo pochi mesi fa. Certo, l'idea del corridore che si prepara al Tour e (quasi) solo al Tour l'abbiamo già sperimentata negli anni e francamente non ci è mai piaciuta. Mossa per finire in crescendo? Staremo a vedere. Altra domanda che resta in sospeso: dove Roglič può essere più forte di Pogačar? Difficile dirlo perché il più giovane dei due appare una sua versione potenziata. Dove Roglič va forte, Pogačar un po' di più e poi, rispetto al corridore dell'UAE-Team Emirates, il portacolori della Jumbo-Visma ogni tanto scricchiola (mentalmente) in qualche scelta in corsa. Vicino, però, ha una squadra che pare abbia tutto per aiutarlo a inseguire il sogno di vincere il Tour de France. A margine le dichiarazioni di qualche giorno fa che ha lasciato un po' di stucco chi conosce bene i tratti di un corridore taciturno da apparire glaciale, ma non lo è, che preferisce sempre mettere davanti alle parole i fatti: «Al Tour de France non lotterò per la vittoria finale e prenderò quello che viene». Pretattica, l'avrebbe definita Brera.

Jonas Vingegaard è solo uno dei tasselli che la Jumbo-Visma porta al Tour per aiutare il proprio capitano a vincere la Boucle Foto: Luca Bettini/BettiniPhoto©2021

La squadra lo scorso anno fu perfetta, se è chiaro come il Tour si è risolto nel testa a testa dell'ultima cronometro. Tony Martin e Robert Gesink sono gregari attempati ma affidabili, uno in pianura l'altro in salita, ritorna Mike Teunissen: volate all'occorrenza e tirate in pianura, Steven Kruijswijk un punto di domanda: il miglior Kruijswijk può lottare fino alla fine per l'alta classifica e quindi essere arma importante per Roglič in salita, ma quanto è lontano dall'essere quel corridore? Sepp Kuss deve fare un po' pace con se stesso e capire come si corre bene, detto questo in salita è sicuramente un corridore che vale molto di più di quello visto in questo 2021. A proposito di punti interrogativi: Wout van Aert.

Polemiche, critiche, qualche successo di peso sfuggitogli, eppure Wout van Aert arriva al Tour con un ruolino di marcia impressionante. E per i suoi tecnici è ancora lontano dalla forma migliore. Foto Vincent Kalut/PN/BettiniPhoto©2021

Lo scorso anno strepitoso al Tour - ma non solo. Ma fu un rientro e un momento particolare. Spianava le salite con una potenza tale da sembrare Indurain e chiuse in crescendo come fosse un uomo da classifica. In volata si piazzava fino a vincere, spesso in testa al gruppo anche in pianura, ma pure lui: sarà il miglior van Aert? La vittoria al campionato belga di qualche giorno fa pare abbia fugato ogni dubbio. L'ultimo posto, che sarebbe stato di Dumoulin, prima che l'olandese si facesse da parte, se l'è preso, invece, Jonas Vingegaard: la sua presenza rinforza la batteria di uomini da salita.

GRANATIERI ALTERNATIVI

Vincitore del Tour nel 2018, Geraint Thomas ambisce a conquistare di nuovo la maglia gialla. Foto: ASO / Fabien Boukla

Parlando proprio di squadre, chi può muovere le acque è un team intero: la INEOS Grenadiers. Cosa potranno fare i britannici per cercare di scalfire l'inossidabile potenza di Pogačar e Roglič? Trenino o manovre a sorpresa e spettacolari? Geraint Thomas, Richard Carapaz, Richie Porte; un tridente che potremmo mettere in qualsiasi ordine, difficile trovare al momento uno più favorito dell'altro. Diversi tra di loro: Thomas quello più completo, Carapaz il più intelligente, Porte quello sempre un po' sfortunato che però lo scorso anno a suon di regolarità e in un Tour dove finalmente filò tutto liscio per lui, si tolse la soddisfazione di salire sul podio proprio alle spalle dei due sloveni.

Per molti, Richard Carapaz è il terzo incomodo di questo Tour 2021. Foto: ASO / Alex Broadway

Chi sarà favorito tra i tre ce lo dirà solo lo spartiacque delle prime, insidiose tappe: dalla Bretagna alla cronometro del quinto giorno. Dopo cinque giorni di corsa forse avremo tutto un po' più chiaro – l'impressione però è che anche dopo la crono i tre saranno più o meno in zona. Se pensate che il quarto uomo INEOS, sarà Tao Geoghegan Hart si capisce come la forza di questa squadra sia immensa, ma allo stesso tempo come manchi qualcosa, una vera punta da trenta gol a stagione, che sarebbe potuto essere Bernal il quale però dopo la vittoria al Giro, ha preferito staccare, giustamente, la spina.
Carapaz ha la sembianze del terzo incomodo nella sfida slovena, del rognoso rompitore di piani altrui, d'altra parte davanti a Roglič c'è già arrivato, era il Giro 2019, mentre alla Vuelta 2020 lo ha fatto patire in un paio di occasioni; qualcuno, sibilino invece, dice di tenere d'occhio proprio Geoghegan Hart arrivato un po' a fari spenti – un po': un eufemismo. Il resto della squadra è, perdonateci l'enfasi: clamoroso. Luke Rowe e Dylan van Baarle, Michal Kwiatkowski e Jonathan Castroviejo: cosa chiedere di meglio se non che uno dei capitani che verrà strada facendo possa vincere la gialla finale?

OUTSIDER

Urán cerca un altro podio in un Grande Giro. Foto: Luis Angel Gomez/BettiniPhoto©2021

Dietro i favoriti, il primo nome che viene in mente, uscito in maniera impressionante dal Tour de Suisse, è Rigoberto Urán. Garate, suo direttore sportivo alla EF, dice di non aver mai visto un Urán così forte: obiettivo podio alla portata, ma il colombiano dovrà inevitabilmente salire di colpi se vuole provare a bissare quel 2017 quando finì per meno di un minuto alle spalle di Chris Froome. Tra un Tour de Suisse e un Tour de France la differenza non è soltanto nei luoghi in cui si corre. La squadra con lui è davvero forte, Vaughters ha messo insieme un gruppo che è un mix di esperienza e gioventù niente male. Da capire quanto potranno essere utili alla sua causa corridori che all'apparenza potrebbero andare più a caccia di tappe che sostenerlo quando la strada sale, a eccezione del portoghese Ruben Guerreiro, alla ricerca di risposte dopo il ritiro al Giro e dell'americano Neilson Powless, lo scorso anno protagonista al Tour di diverse fughe in montagna. Stefan Bissegger proverà il colpaccio nella crono, Sergio Higuita dovrà scrollarsi di dosso l'etichetta dell'ennesimo colombiano incompiuto. Occhio a Jonas Rutsch: uomo da fughe a lunga gittata, forte sul passo, si difende sugli strappi, potrebbe regalare qualche soddisfazione parziale ai fucsia americani.

Bufera alla vigilia del Tour in casa Astana: licenziato Vinokourov. Come reagiranno i "kazaki" al Tour? ©PHOTOGOMEZSPORT2019

Capitano dell'Astana investita dalla clamorosa scelta di licenziare il factotum Vinokourov, c'è Jakob Fuglsang, anche lui apparso in crescendo in Svizzera, rispetto all'inizio della stagione: ma l'obiettivo massimo potrebbe essere un piazzamento a ridosso del podio. In salita è forte, ma non di certo al livello dei migliori, la sua squadra in passato ha saputo anche inventarsi tattiche interessanti, ma il problema qui al Tour sarà avere a che fare con tre corazzate che potrebbero rispedire al mittente ogni lettera scritta con un po' di fantasia. A proposito di squadra: da non tralasciare Ion Izagirre, seconda punta per la classifica, mentre Aleksej Lutsenko è sempre la solita incognita: corridore che se in giornata ti vince il tappone di montagna, salvo poi prendere vagonate di minuti in una tappa non durissima.

Vincitore della Mont Ventoux Dénivelé Challenge 2021 Miguel Ángel López punta a essere uno dei più forti in salita in questo Tour. Foto: Luis Angel Gomez/BettiniPhoto©2021

La Movistar cala un tris d'assi, che, col passare dei giorni, potrebbe diventare una coppia, sempre che Alejandro Valverde (verosimilmente a caccia di tappe e della forma verso Tokyo) non finisca di sorprendere. Miguel Ángel López è in crescita; dopo aver tentennato al Delfinato, alla Mont Ventoux Dénivelé Challenge ha piazzato un clamoroso record di scalata vincendo con un vantaggio che sembra appartenere a un'altra epoca. Il problema intorno allo scalatore colombiano è sempre il solito: classico corridore che lo aspetti e non arriva per poi sorprenderti. Sulla carta in salita, potrebbe essere uno col tesserino di quel club con il motto che fa "non ha rivali", pochi sanno andare forte come lui, dovrà però salvarsi dalla prima insidiosa settimana a causa di quei blackout che lo vedono spesso coinvolto, e oltretutto i quasi 60 km a cronometro rischiano di penalizzarlo pesantemente.

Enric Mas è un regolarista, a volte poco appariscente, ma che difendendosi a crono e in montagna potrà ambire ai piani alti (molto alti) della generale. La Movistar al Tour vedrà anche un quarto uomo che tutti ormai conosciamo: Marc Soler, uno capace di fare il bello e il cattivo tempo all'interno della stessa giornata, come se fosse una giornata ordinaria in riva all'oceano. Partirà sicuramente in sordina e magari col compito di conquistare una tappa. La squadra, tuttavia, presenta un comparto capace di poter dire la sua e magari essere spesso anche ago della bilancia nella lotta ai piani alti della classifica.

Crediti foto: Dario Belingheri/BettiniPhoto©2021

Il mondo si è ribaltato parlando di Simon Yates: favorito al Giro, qui potrebbe essere al via solo per provare a vincere qualche tappa. A noi piacerebbe proprio questo scenario. In squadra con lui c'è uno dei beniamini del pubblico: Esteban Chaves. Forse è in una delle sue migliori stagioni e dopo tutto quello che ha passato in carriera è un piacere vederlo scattare e lottare nelle brevi corse a tappe. Anche per lui però, oltre a una top ten è difficile immaginare. Essendo però tra i più forti in salita, la sua ruota potrebbe essere d'ispirazione per chi volesse provare a far saltare il banco. In casa Bike Exchange l'australiano Lucas Hamilton merita un po' di considerazione, anche se poi a vedere il suo storico (un 25° posto e un ritiro al Giro) nelle grandi corse a tappe, viene difficile pensarlo davanti a lottare per un piazzamento importante. Ma una vittoria di tappa, dopo tutto, perché no?

Forse ancora acerbo per l'alta classifica, David Gaudu è l'uomo di punta nella generale per il ciclismo francese. Foto: ASO / Fabien Boukla

C'è David Gaudu: altro corridore che ci piace tanto. Forte di quelli forti davvero in montagna, il portacolori della Groupama-FDJ si potrebbe definire deluso se a fine Tour non avrà conquistato almeno un traguardo di alta quota. Non dovrà fare i conti con Pinot in squadra, ma con un percorso che a cronometro lo vedrà pagare dazio. Occhio a lui perché è uno che nella bagarre sa andare forte, e non per forza in quella di alta montagna. In carriera ha vinto due tappe alla Vuelta e ha un podio alla Liegi, risultati che forse non raccontano pienamente le qualità da scaltro scalatore, abbastanza veloce e che non disdegna lanciarsi all'avventura. Da ragazzo, poco meno di cinque anni fa, vinse un Tour de l'Avenir sconfiggendo, tra gli altri, un certo Egan Bernal. Da lì è passata un'era, ma Gaudu è pronto a riscrivere la sua storia.

Maglia degli scalatori all'ultima Vuelta, al Tour 2021 Martin punta a ribadire le sue qualità di attaccante e magari vincere pure una bella tappa di montagna. Foto: ©PHOTOGOMEZSPORT2020

Tra i nomi più interessanti, ecco due che difenderanno i colori delle altre due World Tour francesi che non abbiamo ancora nominato, Ben O'Connor (AG2R) e Guillaume Martin (Cofidis). Scalatori puri, potrebbero sfruttare il marcamento nei piani alti della classifica per provare a vincere una tappa. O'Connor, uscendo di classifica al Giro 2020, ha conquistato così la vittoria più importante della carriera, mentre il ciclofilosofo Martin ha dichiarato alla vigilia che quest'anno non curerà la classifica e andrà a caccia di tappe. Occhio a lui anche nella prima parte di corsa, scalatore sì, Martin, ma capace di spuntarla anche nelle frazioni miste e insidiose che i corridori affronteranno sin da sabato. Entrambi dovrebbero avere (abbastanza) via libera dalle proprie squadre: l'Ag2R ha perso Jungels alla vigilia - ne avrà per tutta la stagione ed era l'altro nome designato per fare classifica - mentre di fianco all'atipico corridore australiano saranno da seguire in salita Aurélien Paret-Peintre chiamato al salto di qualità definitivo e Nans Peters a caccia di un'altra tappa in un Grande Giro, in montagna possibilmente, dopo i successi al Giro del 2019 e al Tour del 2020. La Cofidis, invece, per l'alta montagna schiererà Jesús Herrada Rubén Fernández pronti a farsi in mille per il capitano, ma anche a sfruttare le proprie occasioni nelle fughe in salita.

Dopo la delusione patita al Giro, Buchmann punta a un grande risultato al Tour de France 2021. Foto: A.S.O./Pauline Ballet

Capitolo BORA-hansgrohe: prima squadra ad aver presentato i suoi uomini e non senza polemiche. Per la classifica o giù di lì, resta fuori Schachmann. Abbastanza incomprensibile la mancata convocazione del tedesco vincitore della Parigi-Nizza e apparso tutto sommato in buona condizione al Tour de Suisse, nonché recente vincitore del campionato nazionale . I motivi però probabilmente vanno ricercati in qualche questione extracorsa - tradotto: le voci di divorzio con la squadra a fine stagione.
E allora per la classifica si punta tutto su Emanuel Buchmann, ritirato al Giro quando era in odore di podio e dell'eterno incompiuto Wilco Kelderman che proprio al Giro, ma nel 2020, ha conquistato il suo unico podio in carriera in una corsa a tappe. Tra i tedeschi mancherà uno dei protagonisti assoluti del Tour 2020: Lennard Kämna. Il tedesco pare di nuovo vittima di quei problemi fisici che qualche stagione fa lo avevano messo KO quando era passato da poco professionista: un peccato per la BORA, ma visto il modo spettacolare che ha di interpretare le corse, anche un peccato per tutti noi.

Quintana, qui in azione alla Vuelta Asturias 2021, dice che non punterà alla classifica di questo Tour de France. C'è da credergli? Foto: Luis Angel Gomez/BettiniPhoto©2021

Siamo in Francia e si parla ancora di Francia ed ecco Nairo Quintana e Warren Barguil a difendere i colori di una delle squadre invitate al Tour: l'Arkéa Samsic. La squadra di casa vorrebbe vedere almeno uno dei due lottare per le parti nobili della classifica, noi vi confidiamo il nostro desiderio: sarebbe bello vedere Nairoman di nuovo ai livelli di tante stagioni fa, ma ci appare in calo, e allora speriamo che almeno uno dei due possa sganciarsi subito dalla classifica per puntare alle tappe e alla maglia a Pois. Maglia a Pois che già in passato ha vestito Barguil: occhio a lui i primi giorni nella sua Bretagna – che poi è anche la patria del suo sponsor. Questa primavera ha dimostrato una certa - sorprendente - affinità con i percorsi tortuosi - vedi il pavé del Belgio. Che stia facendo un pensierino alla maglia gialla nelle prime tappe?

Tiesj Benoot, in una DSM un po' ridimensionata rispetto allo splendido 2020, sarà l'uomo di classifica, ma il "Gargamella" belga è difficile credere possa ottenere di più di un piazzamento tra il decimo e il ventesimo posto, anche seguendo il più ottimistico dei pensieri.

Wout Poels, qui in maglia INEOS, sarà uno dei capitani della Bahrain. Riuscirà a far rimpiangere le assenze di Landa e Caruso? Foto: ASO/Pauline Ballet

In casa Bahrain qualche sorpresa va registrata. Intanto non saranno al via Landa, ancora fuori dopo la brutta caduta al Giro, e Caruso, chiamato a un po' di riposo meritato e non ai soliti lavori forzati: il ragusano sarà una delle punte italiane per i Giochi di Tokyo. Ma a due assenze telefonate una ci ha lasciato abbastanza di stucco: Mark Padun. In Francia, dopo i due successi al Delfinato si è scatenato un orrendo polverone mediatico che lo ha visto coinvolto e i Bahrain hanno evidentemente voluto spostare i riflettori. Luci che allora, per la classifica, saranno puntate sulle forme affusolate dell'australiano Jack Haig e dell'olandese Wout Poels, autentiche mine vaganti che potrebbero ambire a un posto nei primi dieci. Con loro Pello Bilbao, deludente al Giro, già in passato ha dimostrato di essere uno dei fondisti più forti del gruppo e chissà, poco marcato e con la gamba fatta al Giro, potrebbe rivelarsi un vero e proprio outsider in classifica.

Attenzione a Woods per l'alta classifica. Quest'anno va davvero forte. Foto: Sabine Zwicky/BettiniPhoto©2021

Se Trek-Segafredo, Lotto Soudal, Alpecin Fenix (forse Xandro Meurisse ambisce a una top 20), B&B, Intermarché - Wanty - Gobert (George Zimmermann per la generale?) e Deceuninck-Quick Step potrebbero non avere un vero e proprio uomo per la classifica, puntando però forte su altri settori – vedremo in seguito – la francese TotalEnergies, arrivata al Tour con i connotati (nome e colori sociali) cambiati proverà a tenere in classifica tre corridori: Pierre Latour, Cristián Rodríguez e Victor De la Parte: visto il livello, però, compito difficile per loro.
Infine la Qhubeka-Assos orfana di Pozzovivo proverà a fare classifica con Sergio Henao, mentre la Israel Start-Up Nation che vedrà al via Froome – senza alcuna velleità – per la classifica punta tutto su Michael Woods apparso in questo 2021 in grande forma. Il canadese è un osso duro in salita, ma lo sarà sin da subito con il Mûr-de-Bretagne che il secondo giorno pare particolarmente adatto alle sue doti di scattista. Certo, le due cronometro e la tenuta nelle tre settimane fanno di lui un corridore che al massimo potrà ambire a un piazzamento tra il sesto e il decimo posto – e sarebbe comunque un grande successo.

CACCIATORI DI TA... PPE

Tra i corridori all'esordio nella corsa più importante del mondo, il nome di Mathieu van der Poel è decisamente il più atteso. Foto: Luca Bettini/BettiniPhoto©2021

Può la categoria dei cacciatori di tappe essere più fornita di quella degli uomini di classifica? Siamo al Tour è la risposta è sì. C'è praticamente il meglio del meglio salvo qualche eccezione. Alcuni ve li abbiamo già citati, altri arrivano di seguito. Intanto il più atteso: Mathieu van der Poel, quello che avrà gli occhi puntati addosso da tutto il mondo ciclistico. Sabato insegue quel sogno sempre sfuggito al nonno Raymond Poulidor: conquistare la maglia gialla. Poi pare che si fermerà in anticipo per Tokyo – anche se non è detto - , ma intanto sarà un lusso vederlo all'esordio in un Grande Giro.
Dovrà fare a pugni, si spera non letteralmente con quel gruppetto di ragazzi che puntano alla maglia verde: Sonny Colbrelli, Michael Matthews, Peter Sagan (il già nominato Wout van Aert), su tutti, ruote più o meno veloci e capaci anche di tenere duro su tracciati vallonati. Tra questi veloci, ma capaci anche di piazzarsi su percorsi più impegnativi, impossibile non fare anche i nomi di: Ivan Garcia Cortina (Movistar), Luka Mezgec (Team BikeExchange) Alex Aranburu (Astana, in casa - ormai quasi ex - kazaka da seguire il neo campione di Spagna Omar Fraile, un altro di quelli capaci di tutto e del suo contrario), Cristophe Laporte, probabilmente all'ultimo Tour in maglia Cofidis, cerca piazzamenti in volata e magari una vittoria sin da subito. Jasper Stuyven ed Edward Theuns per la Trek-Segafredo, Danny Van Poppel (Intermarché-Wanty), lo spagnolo Carlos Barbero per la Qhubeka, Greg Van Avermaet e Oliver Naesen per l'AG2R, un altro belga – Philippe Gilbert -, i danesi Magnus Cort e Michael Valgren per la EF, Davide Ballerini se avrà spazio, diviso tra Cavendish e Alaphilippe, Søren Kragh Andersen ed Nils Eekhoff per il Team DSM, e i francesi Anthony Turgis (Team TotalEnergies) e Clément Russo (Arkéa).

A proposito di francesi: un discorso a parte lo merita Julian Alaphilippe. Il campione del mondo sarà la punta dei belgi della Deceuninck-Quick Step, ma la sua forma resta una mezza incognita. Il 2021 del campione iridato non è stata all'altezza delle grandi aspettative che si hanno su di lui – capace comunque di vincere la Freccia Vallone e di salire sul podio alla Strade Bianche e alla Liegi -, di recente, al Tour de Suisse, ha dato qualche spunto ma non ha vinto, staccando poi nell'ultima tappa un biglietto per tornare in anticipo a casa in vista della nascita del suo primogenito.
Ora, discorsi extra ciclistici a parte, il suo nome è uno di quelli che non solo mediaticamente, ma anche tecnicamente desta più interesse. Non solo perché è una degna maglia iridata, ma anche per l'idea di quello che ha sempre saputo dare al Tour anche quando ancora non era l'Alaphilippe che tutti conosciamo oggi. Quando era un corridore un po' scriteriato, classico baroudeur francese sempre all'attacco, più che gestore delle azioni. Istintivo per vocazione più che calcolatore: andare, infilare e vincere non è mai stato nel suo interesse.

Dan Martin ha saputo lasciare il segno anche al Giro d'Italia. E al Tour? Foto: Luigi Sestili.

Cosa aspettarsi da lui? Impossibile fare un pronostico. Potrebbe prendere la maglia gialla subito e magari tenerla per un bel po' come fece due anni fa e chiudere in alta classifica. Potrebbe lasciare andare velleità di questo genere per vincere più tappe possibili e magari lottare per la verde o la pois. Insomma, con uno così mai dire mai, a maggior ragione dopo averlo visto in questo 2021: un po' si è nascosto, un po' non ha mai trovato il colpo di pedale giusto. Di fianco a lui invece scopriremo l'ennesimo passo in avanti di Cattaneo. Ma ne parleremo nel capitolo dedicato agli italiani in Francia. Infine Dan Martin – Israel Start-Up Nation: già vincitore di una tappa al Giro quest'anno, l'irlandese non curerà la classifica ma di sicuro proverà a conquistare una bella tappa di montagna.

VELOCISTI

Arrivo vittorioso al Giro 2021 per Caleb Ewan. Foto: Luca Bettinii/BettiniPhoto©2021

Abbiamo parlato di ruote veloci, ma non di protagonisti di quelle che dovrebbero essere almeno sei o sette tappe dedicate agli sprint di gruppo. Spiccano tre nomi su tutti: Caleb Ewan, Arnaud Démare e Tim Merlier. Tutti e tre che oltre alle volate andranno a caccia della maglia verde contendendola ai sopra citati Colbrelli, Sagan e compagnia.
Ai tre aggiungiamo il sorprendente Mark Cavendish di questo 2021, un altra ruota veloce non più giovanissima come André Greipel, il rampante Cees Bol. E poi ancora: Jasper Philipsen, che sarà l'alternativa a Merlier in casa Alpecin Fenix per gli sprint di gruppo (chissà come gestirà la squadra belga, la convivenza tra tante ruote veloci, all'esordio al Tour de France), Nacer Bouhanni che dovrà raffreddare il suo bollore in volata, il connazionale Bryan Coquard, che pensate, quasi 50 successi in carriera, nessuno nel World Tour, l'ex campione del mondo Mads Pedersen, che deve riscattare una stagione che lo ha visto protagonista di un'alba rossa entusiasmante con il successo alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne salvo poi collezionare una serie di controprestazioni dietro l'altra. E infine il già citato van Aert che dovesse avere via libera per disputare gli sprint – così sarà – ha tutto per tenere testa ai migliori velocisti presenti.

FUGAIOLI

De Gendt alla Volta Catalunya 2021. Riuscirà a scattare un Giro completamente in ombra? Foto: Paolo Penni Martelli

Al Giro di fughe ne sono arrivate tante, forse pure troppe, e di sicuro la battaglia che vedrà protagonisti i più coraggiosi di giornata sarà uno dei motivi più interessanti del Tour 2021. Tanti, in questo senso, i nomi da seguire, soprattutto in quelle squadre che non avranno da offrire molto in chiave classifica. Certo, le dinamiche della corsa potrebbero mutare le scelte fatte in partenza, come successe lo scorso anno che l'Ineos, dopo il ritiro di Bernal rivoluzionò il suo modo di correre e cercò le fughe per vincere le tappe. Impossibile citare o azzeccare tutti i nomi, ma su qualcuno ci possiamo mettere la mano sul fuoco. Thomas De Gendt per esempio, per riscattare un Giro che più opaco non si poteva per via di alcuni problemi fisici. Il belga il colpo in canna ce lo avrebbe ma dipende da come sarà la sua condizione. In casa Lotto uno che scalpita per ripercorrere le sue orme è Brent van Moer, capace di vincere la prima tappa del Delfinato poche settimane fa, grazie a un numero proprio alla De Gendt. Tra i belgi un occhio al giovane Harry Sweeny, neopro australiano che dopo aver dimostrato una certa duttilità nelle categorie giovanili, ha avuto un buon impatto nel suo primo anno da professionista.

Se in giornata, Benoît Cosnefroy sa essere uno dei corridori più spettacolari del gruppo. Foto: ASO/Pauline Ballet

Ci saranno francesi attaccanti nati come Benoît Cosnefroy, sperando non lo sprechino per fargli vestire la maglia a pois solo per qualche giorno, ma lo utilizzino con più criterio. Caratteristiche ideali le sue per andare in fuga e vincere, non per andare in fuga solo per onore di firma o per fare la raccolta punti dei GPM. Altri francesi in vista: Pierre Rolland e Quentin Pacher della B&B Hotels, ma soprattutto Valentin Madouas. Diviso tra le velleità di classifica dell'amico Gaudu e tra le volate di Démare, il bretone, che correrà dov'è nato i primi giorni, ha tutto per infiammare il pubblico di casa, sia nelle tappe miste che in quelle di alta montagna. Altro uomo da seguire su ogni terreno è Matej Mohorič che dopo la spettacolare e per fortuna senza troppe conseguenza caduta al Giro, punta forte a una tappa in questo Tour per trovare la definitiva consacrazione. La Bahrain vola e lui, veloce, coraggioso e resistente, è pronto a prenotare un posto in business class. Altri due da non sottovalutare e già protagonisti in questa stagione: Stefan Kueng (Groupama-Fdj) e Victor Campenaerts (Qhubeka Assos)

Deludente al Giro, Mollema cerca il riscatto al Tour. Crediti: Luis Angel Gomez/BettiniPhoto©2021

Per le tappe dure da seguire sicuramente: Bauke Mollema, anche lui vuole dare una risposta ai mugugni arrivati durante il Giro dove la volontà non è mancata, le gambe dei giorni migliori sì, Dylan Teuns (Bahrain), Michael Gogl per la Qhubeka e il connazionale Patrick Konrad per la BORA-hansgrohe. Quest'ultimo dovrà dare una mano a Buchmann e Kelderman, ma è pronto a giocarsi le sue carte soprattutto quando ci sarà da sgomitare negli sprint ristretti e nelle tappe vallonate.

Tra i tedeschi c'è uno dei corridori che è cresciuto maggiormente in questo 2021: Ide Schelling. L'olandese potrebbe ricalcare le orme di Kämna che con la maglia del team bianco-nero-verde lo scorso anno accese le strade francesi. Meno forte in salita, ma scaltro e con una pedalata redditizia che, se sfruttata in fuga, potrebbe dargli più di una soddisfazione. Sempre in vista dell'alta montagna ancora in casa Trek-Segafredo: Toms Skujiņš in grande forma e Julien Bernard sono attaccanti nati, mentre Silvan Dillier (Alpecin) e Jan Bakelants (Intermarché) sono due garanzie nel farsi trovare pronti, via ad andare in fuga e provare così il successo di tappa.

LES ITALIENS?

Si difende in salita e va forte a cronometro. In una Quick Step divisa tra il sogno di Alaphilippe e le volate di Cavendish, occasione unica per il corridore azzurro, ultimo vincitore italiano del Giro Under 23, di fare classifica al Tour. Foto:  Luca Bettini/BettiniPhoto©2021

Poca gloria apparente per i pochi italiani al via: nove. Mai numero così basso da 37 anni a questa parte. Per la classifica nessuno, forse Mattia Cattaneo potrebbe provare a tenere, magari trovandosi in buona posizione dopo la prima cronometro, ma immaginarselo migliorare il diciassettesimo posto della Vuelta 2020, appare francamente difficile, ma ci speriamo. Con lui in squadra Davide Ballerini: un po' per Alaphilippe, un po' per Cavendish, magari potrà sfruttare un giorno di libertà entrando in fuga e facendo valere le sue doti veloci. Certo se il britannico non dovesse dare garanzie, magari la squadra gli potrebbe anche concedere qualche spazio nelle convulse volate di gruppo.

Lorenzo Rota, portacolori della Intermarché, anche lui all'esordio al Tour de France, cercherà la fuga giusta, magari in qualche tappa altimetricamente complessa, mentre Daniel Oss e Jacopo Guarnieri saranno i fedeli scudieri di Démare e Sagan. Nulla di più: ci appare già un compito impegnativo.
Davide Formolo sarà uomo di fiducia di Pogačar che pare lo abbia espressamente chiesto alla sua squadra per l'affidabilità in salita. Un Formolo libero da compiti di gregariato potrebbe colpire da lontano, ma verosimilmente la sua corsa sarà il più parallelo possibile a quella del numero uno sloveno. Kristian Sbaragli, in una squadra ricca di mezze punte e con un finalizzatore che porta il nome di van der Poel, dovrebbe trovare le porte chiuse per velleità personali. Certo la Alpecin Fenix già al Giro ha mostrato di poter far ruotare tutti i suoi uomini regalando chance a chiunque.

Le aspettative intorno a Colbrelli al Tour sono davvero alte. Foto: Bettini

Vincenzo Nibali, non ha bisogno di presentazione, qui al Tour per dare segnali in vista di Tokyo, difficilmente, anzi è impossibile faccia classifica, però una vittoria di tappa non è preclusa. Abbiamo tenuto per ultimo il fiore all'occhiello della nostra spedizione. Quello che è attualmente, risultati alla mano, il corridore italiano più in forma. Dopo aver fatto vedere grandi cose al Romandia e al Delfinato (due successi di tappa, ma ne potevano arrivare anche il doppio), Sonny Colbrelli ha conquistato il campionato italiano pochi giorni fa. Quella maglia, Sonny, sogna di cambiarla con la gialla del primo giorno, ma soprattutto, obiettivo forse più alla portata vista la condizione, con quella verde, vinta per la seconda e ultima volta da un italiano nel 2010: Alessandro Petacchi. C'è la gamba, c'è il terreno c'è tutto per coronare questo sogno. Sorretto, Sonny, da una condizione irripetibile e che lo proietta anche tra i possibili favoriti per il mondiale di fine settembre.

IL PERCORSO

Grand Départ del Tour 2021 da Brest, Bretagna. Foto: A.S.O./Aurélien Vialatte

Non vi tediamo con l'analisi tappa dopo tappa, ma uno sguardo generale è dovuto. Grand Départ in Bretagna e attenzione: potrà succedere di tutto. Intanto i percorsi sono tortuosi e accidentati: guai a farsi trovare scoperti e senza squadra. Danno brutto tempo nel week end e questa potrebbe essere un'altra chiave: qualcuno dopo cinque giorni – ovvero dopo la prima delle due cronometro (la Changé-Laval Espace Mayenne di 27,2 km), potrebbe essere già decisamente tagliato fuori dalla classifica.

Bretagna, poi cronometro, poi una volata  volata prima del lungo week end del 2, 3 e 4 luglio quando la carovana prenderà la strada delle Alpi. Venerdì 2 tappa (molto) insidiosa verso Le Creusot, 250 km, la più lunga. Accidentata: una classica e da quelle parti non si scherza, ma sarà solo l'antipasto di quello che avverrà in alta montagna. Sabato arrivo a Le Grand-Bornard, una delle tappe più interessanti di questo Tour de France con tre scalate molto impegnative negli ultimi 60 km e l'arrivo dopo la discesa de Col de la Colombière. Il giorno successivo invece, con la Cluses-Tignes, primo vero arrivo in salita di questo Tour, agli oltre 2107 metri della celebre località sciistica dove nel 2019 non si riuscì ad arrivare a causa della frana che costrinse l'organizzazione a neutralizzare la tappa sull'Iseran. Per la verità il menù alpino, però ci sembra alquanto scarso quest'anno, vedremo se i corridori ci smentiranno.

Riposo, tappa da fuga e poi il giorno dopo la tappa più attesa di tutte: la Sorgues-Malaucène con il doppio Ventoux (la seconda scalata sarà quella “vera”) da affrontare. Fa paura solo all'idea: noi, noti masochisti, già non vediamo l'ora di pensare a qualsiasi scenario. Tappa per scalatori veri, per squadre che verranno messe in seria difficoltà, per chi, da dietro vorrà recuperare il tempo perso e per chi invece semplicemente farà di tutto per chiudere la tappa in orario.

Prima dei Pirenei ci sarà occasione per le fughe, per ricaricare, per concedere, per vedere qualche volata e qualche riscossa, fino al giorno 11 luglio con la Céret-Andorra. Sarà quello che si suole dire l'antipasto prima della portata principale sui Pirenei che affronteranno i corridori dopo il secondo giorno di riposo del 12 luglio. Verso Saint-Gaudens ancora un po' di tregua (fuga inevitabile) e poi il gran finale. La Muret-Saint-Lairy-Soulan di 178km (con Peyresourde e arrivo in salita lungo e duro) è una delle tappe 5 stelle di questa edizione, il giorno dopo invece, tappa breve come ci sta purtroppo abituando il Tour (129 km) ma con due salite mitiche: Tourmalet e arrivo a Luz Ardiden.

Venerdì tranquillo prima dell'ultimo sabato di Tour de France: come lo scorso anno la cronometro che potrebbe risultare decisiva. Si corre nella zona dei vini di Bordeaux, si arriva a Saint-Émilion. 30 km decisivi per la classifica prima della solita passerella sui Campi Elisi dove una vittoria vale quanto una grande classica.

I FAVORITI DI ALVENTO PER LA MAGLIA GIALLA

⭐⭐⭐⭐⭐ Pogačar
⭐⭐⭐⭐ Roglič
⭐⭐⭐ Thomas, Carapaz
⭐⭐ Lopez, Uran, Mas, Gaudu, Porte
⭐ McNulty, Fuglsang, Alaphilippe, S.Yates, Chaves, Buchmann, Kelderman

I FAVORITI DI ALVENTO PER LA MAGLIA A POIS

⭐⭐⭐⭐⭐ Quintana
⭐⭐⭐⭐ G.Martin
⭐⭐⭐ Pogačar, Roglič, Barguil
⭐⭐ Lopez, Mollema, Cosnefroy, Paret-Peintre
⭐ Soler, Higuita, Carapaz, Thomas, Chaves

I FAVORITI DI ALVENTO PER LA MAGLIA VERDE

⭐⭐⭐⭐⭐ Colbrelli, van Aert
⭐⭐⭐⭐ Sagan
⭐⭐⭐ Ewan, Matthews, Démare, van der Poel
⭐⭐ Laporte, Coquard, Merlier, Bouhanni, Garcia Cortina
⭐ Bol, Cavendish, Ballerini, Mezgec

I FAVORITI DI ALVENTO PER LA MAGLIA BIANCA

⭐⭐⭐⭐⭐ Pogačar
⭐⭐⭐⭐ Gaudu
⭐⭐⭐ Vingegaard, McNulty
⭐⭐ Madouas, Hamilton, Paret-Peintre
⭐ Powless, Higuita, Zimmermann, Donovan

Foto in evidenza: A.S.O./Pauline Ballet


Il monumentale del Giro 2021

L'attesa è finita: è tempo di Giro d'Italia. Dopo le classiche, a scandire irrimediabilmente il tempo che passa, arriva il momento bramato da noi italiani ciclofili, che quando si parla di Giro alimentiamo il nostro essere strapaesani soffiando sul fuoco della partigianeria.
Esiste ancora, per fortuna, quella razza seppur in via d'estinzione che si prende giorni liberi per seguirlo - limitazioni permettendo - sulle strade; più numerosi, fatto naturale, quelli che lo aspettano sotto casa, “affacciati dalla finestra” come cantavano i Pitura Freska (sic!) in una vecchia sigla del Giro: un ricordo che si perde addietro, a metà degli anni '90, ai giri di Berzin e Pantani, Gotti, Rominger, Tonkov e Zaina.

E allora che importa se invece il ricordo più vicino è legato a pochi mesi fa, a un Giro posticipato in autunno causa pandemia e dai contenuti tecnici smagriti dall'anomalia della stagione 2020, ma arricchiti da quelli legati all'incertezza che lo ha reso vibrante fino alla fine. Con la maglia rosa decisa nella sfida Tao-Jai che tanto sa di lotta marziale, ma che lungo i 15,7 chilometri della crono finale verso il Duomo di Milano appariva già segnata sin dalla notte prima, come un bisticcio tra bimbi, per la superiorità nell'esercizio contro il tempo dell'hipster londinese sull'australiano con un passato ciclistico abruzzese.

Tao Geoghegan Hart e il Trofeo senza Fine al Giro 2020. Crediti foto: Alessandro Trovati/Pentaphoto

E allora che importa se anche quest'anno, per l'ennesima volta, le facce migliori dei Grandi Giri hanno scelto il più ricco, sia a livello di montepremi che di fama, Tour de France - parliamo naturalmente di Pogačar (Pound for Pound il ciclista più forte del mondo, oggi) e Roglič, ma, come quasi sempre accade, mancano pure i mammasantissima delle grandi classiche primaverili.
Checché se ne dica, però, la sfida alla maglia rosa finale del Giro d'Italia 2021 mette in campo una batteria di galli incazzosi da far invidia a un racconto di Gabriel García Márquez. E quindi importa solo che è maggio, che è tempo di Giro d'Italia e francamente frega il giusto di tutto il resto.

Ma bando a inutili orpelli e sofismi, e via con gli aspetti più tecnici di questa corsa che ci terrà compagnia da sabato 8 maggio (partenza da Torino con una cronometro di 8,6 km) fino al 30 dello stesso mese (finale a Milano, sempre a cronometro: stavolta lunga 30,3 km).

LA ROSA DEI FAVORITI

Crediti foto: Dario Belingheri/BettiniPhoto©2018

Prendendo in prestito anche i dubbi evidenziati dalle parole di Bernard Hinault è impossibile trovare un favorito assoluto per questo Giro d'Italia, ma ci proviamo lo stesso. Si parte dall'incertezza, parola che sentirete spesso ripetere in questo articolo e probabilmente anche nelle prossime settimane; incertezza non solo legata all'epoca che stiamo vivendo, ma anche ai nomi che citeremo. Su di loro pende come una spada affilata e assetata di duelli un grosso punto di domanda, per un motivo o per l'altro. Sì anche su quello che, per opinione comune, parte come il favorito numero uno della corsa: Simon Yates.

Ci si chiede: non è che si è mostrato troppo in forma al Tour of the Alps? Il suo direttore sportivo lo esclude categoricamente, è preparato a puntino per essere in forma al Giro, dice. E poi Simon è questo, sempre stato, se non fossero identici in quasi tutto ti chiederesti come possa davvero essere gemello di Adam, così diversi nel muoversi in gruppo tanto che da quest'anno le loro strade si sono pure divise: Adam è passato alla INEOS e sarebbe stato un espediente affascinante averli avuti entrambi al via del Giro, ma va così.

Torniamo al punto. Simon è corridore caldo, nonostante la provenienza britannica, attaccante per indole più che per necessità, piccolo, a volte imperturbabile in salita, i suoi scatti febbrili possono far male ma non solo: ha la possibilità di prendere la maglia rosa abbastanza presto (quarta tappa a Sestola, oppure un paio di giorni dopo ad Ascoli Piceno) e magari di non lasciarla più – d'altra parte superato lo scoglio della prima cronometro, avrebbe solo lo spauracchio dell'ultimo giorno. Un Babau di 30 chilometri contro il tempo che, come lo scorso anno, potrebbe ribaltare le sorti della corsa. Anzi potrebbe pure essere ancora più decisivo, visto il chilometraggio, e allora Simon avrà bisogno di arrivare a Milano con più margine possibile.

Simon Yates in azione al Tour of the Alps, vinto, pardon, stravinto. Crediti foto: Dario Belingheri/BettiniPhoto©2021

Dicevamo dello stato di forma di Yates: al Tour of the Alps è apparso brillantissimo, una spanna o qualcosa in più sopra tutti i contendenti, ma la corsa fra Austria e Trentino si è disputata un mese prima quella che sarà l'ultima durissima settimana in programma al Giro, e lui la sfrontatezza, e la condizione arrivata troppo presto, in una grande corsa a tappe l'ha già pagata con gli interessi e sotto le sembianze di un evidente calo di forma nella fatidica terza settimana.

Era l'edizione del 2018 e vestiva la maglia rosa, si consumò con il suo modo di correre spavaldo e baldanzoso, che, per quanto possa avergli assicurato fama e affetto lo ha portato a perdere male. Certo, un grande Froome lo rivoltò come un calzino a tre giorni dalla fine, ma, anche senza l'intuizione britannica sul Colle delle Finestre, le cose per lui sarebbero andate verso un'inevitabile sconfitta: era cotto e aspettava solo il momento per alzare bandiera bianca.

Allo stesso tempo, però, lo Yates di quella volta aveva quasi 26 anni, oggi quasi 29: tre anni sono un'eternità, almeno nel ciclismo.
Tre anni in cui il motore è cresciuto, la tenuta e la brillantezza anche, per non parlare della conoscenza, di sé e dei propri limiti. La squadra è tutta per lui - Tanel Kangert e Mikel Nieve sprizzano esperienza da ogni poro, seppure atleticamente in calo, Nick Schultz è una carta interessante per le tappe mosse, e la batteria di australo-danesi da pianura è di livello. C'è da chiedersi se possano bastare, un Giro logora – fatto evidente – ma soprattutto il Team BikeExchange appare inferiore alle squadre dei suoi rivali più accreditati.

Ed eccoli i suoi avversari, tutti da decifrare, iniziando da Egan Bernal.

Egan Bernal al Tour 2020. Crediti foto: ASO / Alex Broadway

Senza i problemi alla schiena che si porta dietro da tempo e che lo hanno frenato anche in questo inizio di stagione si parlerebbe del colombiano come favorito numero uno della corsa, altro che Simon Yates. Invece i dubbi rimangono.
Ci ha illuso a inizio stagione, Bernal, con prove incoraggianti soprattutto nelle corse di un giorno, mentre i problemi fisici che lo affliggono lo hanno portato a fare un passo indietro alla Tirreno-Adriatico – chiusa, nonostante le difficoltà, al quarto posto, ma la classe è classe da quella parti.

Da lì non s'è più visto: se non nell'alimentare lo spirito vouyeristico dell'epoca tramite i suoi allenamenti pubblicati su Strava, setacciati da addetti e appassionati. Il tracciato del Giro gli si addice, non potrebbe essere altrimenti. Altimetricamente probante, strizza l'occhio alle aquile, e poi la crono finale non gli fa paura. I dubbi però espressi sulla sua condizione fisica restano e non sono pochi.

Alaphilippe e Sivakov in azione al Delfinato 2020 - Crediti foto: ASO / Alex Broadway

Le alternative non mancano alla multinazionale britannica: ci sarebbe il franco-russo Pavel Sivakov, cadesse di meno. Strano questo suo storico fatto di incidenti, l'ultimo in ordine di tempo al Tour of the Alps, considerando come sia praticamente “nato” in bicicletta, lui che come miglior risultato in un Grande Giro conta il nono posto proprio nella corsa italiana nel 2019. Per uno col suo pedigree, risultato assolutamente migliorabile.

Restando nell'ex Team Sky: il colombiano Daniel Martínez è solido in salita, e se c'è da dare una mano al capitano allora rende ancora più forte il racconto attorno a un possibile strapotere INEOS, mentre appare leggero come alternativa di alta classifica, ma vedremo: è una squadra che ci ha abituati a stupire in tutti i sensi e che in tutti i sensi potrebbe essere l'ago della bilancia della contesa. E non dimentichiamo la presenza di Jhonatan Narvaez, inserito solo nelle ultime ore al posto dell'enigmatico Sosa, Gianni Moscon e Filippo Ganna, a caccia di tappe in ogni dove, partendo, nel caso del colosso piemontese, dalla maglia rosa il primo giorno.
Dal trenino anestetizzante degli anni d'oro (gialli) al Tour, alle tappe vinte a ripetizione al Giro nel 2020 (e anche alla Boucle) attaccando ogni giorno con corridori diversi, fino all'epilogo vincente firmato Geoghegan Hart: un modo differente di lasciare il segno, eventualmente, lo troveranno.

Giro d'Italia 2017. Mikel Landa in maglia Sky nella vittoriosa tappa San Candido- Piancavallo- Crediti foto: Alessandro Trovati Pentaphoto/Mate Image

In ordine di fama e alla ricerca della gloria, al terzo posto mettiamo Mikel Landa, al di là delle simpatie che si possono provare per il basco di Murgia el chico de pueblo come lo chiamano in Spagna. Landa, pur senza vincere quest'anno, è piaciuto in salita, suo terreno ideale dove, almeno sulla carta, potrebbe essere anche il numero uno al Giro.

Terzo a Larciano e alla Tirreno, ottavo ai Paesi Baschi in un percorso di avvicinamento al Giro tranquillo e tranquillizzante. È uno degli eterni piazzati - e incompiuti - del ciclismo degli anni 2010 (e ormai 2020), con un solo podio (Giro 2015) e ben tre quarti posti (due al Tour e uno ancora al Giro). Bando al Landismo 'ché c'ha stufato, e chissà che prima o poi la ruota possa girare e fermarsi sul suo numero o su quella faccia da orsacchiotto buono.
La squadra poi appare robusta, dietro i granatieri della INEOS e, al pari della Quick Step, la più solida: Pello Bilbao e Damiano Caruso sono qualcosa in più del solito usato sicuro, Gino Mäder, ennesimo talento svizzero emergente, è una pedina importante in salita, gli sloveni Jan Tratnik e Matej Mohorič possono svariare tra ambizioni personali e la possibilità di giocare un ruolo tatticamente importante.

LE PRINCIPALI ALTERNATIVE

Almeida in Rosa al Giro 2020 - Crediti foto: Gabriele Facciotti/Pentaphoto

Nominiamo quattro corridori come le più credibili alternative ai tre sopracitati e lo facciamo in rigoroso ordine alfabetico: João Almeida (Deceuninck-Quick Step), Romain Bardet (Team DSM), Hugh Carthy (EF Education-Nippo) e Alexander Vlasov (Astana-ProTech).

João Almeida è, per chi scrive, il nome più affascinante all'interno del lotto allargato dei pretendenti alla vittoria finale. Corridore tenace, non che non lo siano anche gli altri, affamato, dà sempre quella sensazione di grinta, tra smorfie e cadenza di pedalata, che sembra permettergli di superare qualche limite in salita, mentre il suo ex mentore, Axel Merckx, lo dipinge come corridore di grande intelligenza tattica, maniaco nella cura dei dettagli nonostante la giovane età, e con grande capacità di lettura delle situazioni: tutto può tornare utile in una corsa come il Giro, in uno sport dove saper interpretare in maniera diversa le varie situazioni resta un tassello fondamentale nella carriera ad alto livello.

Forte a cronometro, tra i papabili al podio è il più forte contro il tempo, e dunque guai a portarlo in zona primi tre posti l'ultimo giorno; veloce nei finali misti, anche lui tra Sestola, Ascoli e Montalcino mira a prendersi la Rosa e magari provare a emulare l'impresa di pochi mesi fa quando vestì la maglia di leader per ben 15 tappe e chiudendo poi al quarto posto finale: mica male per uno che faceva il suo esordio assoluto in una corsa a tappe di tre settimane. Da valutare la tenuta fisica nella terza settimana che lo scorso anno gli presentò il conto. Il portoghese, però, è solo la punta di una Deceuninck-Quick Step di qualità che mai come quest'anno pare abbia intenzione di vincere il Giro: tre come Fausto Masnada, Remco Evenepoel e James Knox non ce li hanno tutti.

Bardet in una delle sue prime uscite in maglia DSM alla Tirreno 2021. Crediti: Luca Bettini/BettiniPhoto©2021

Da quest'anno scordatevelo nel bianco latte macchiato di azzurro e marroncino della AG2R ma cercatelo nella maglia nera DSM: è Romain Bardet a cui si aggrappano le speranze francesi (ci sarebbe pure Rudy Molard, Groupama-FDJ, buono per un piazzamento tra la decima e la quindicesima posizione, con lui in squadra il duo svizzero Badilatti-Reichenbach, mentre l'altra World Tour francese, l'AG2R, affida le speranze di classifica all'ex commesso di Decathlon Geoffrey Bocuhard) e che inevitabilmente si dividerà i compiti in classifica con Hindley - parleremo di lui nel prossimo capitolo.
Insegue un successo di tappa – non ha mai vinto una corsa fuori dalla Francia, che è sempre una notizia – ma il miglior Bardet potrebbe anche lottare per il podio finale. La domanda da farsi però è: quanto è lontano dal miglior Bardet?

Lo scorso anno Hugh Carthy è salito sul podio della Vuelta e ha conquistato la tappa più suggestiva sull'Alto de l'Angliru Crediti: ©PHOTOGOMEZSPORT2020

Infine, credibili alternative appaiono il pennellone di carta velina Hugh Carthy, tanto magro quanto forte in salita - e in un Giro così la salita farà la differenza - ma allo stesso tempo imprevedibile - terzo all'ultima Vuelta, forse dovrebbe imparare a correre un po' meglio tatticamente, e il russo Aleksandr Vlasov, capitano Astana, che lo scorso anno illuse nella prima parte di stagione, poi si ammalò, e il suo Giro durò il tempo di un caffè al banco.
Ora è atteso a un risultato di rilievo e che riscatti una prima parte di stagione silenziosa, non entusiasmante, ma che a conti fatti lo ha visto chiudere sul podio sia la Parigi-Nizza che il Tour of the Alps. In carriera vanta un successo al Giro Under 23 come credenziale maggiore, ma per vincere un Giro dei grandi serve qualcosa di più.

I nomi di spicco presentati dalla EF Education-Nippo di fianco a Carthy, sono sicuramente Ruben Guerreiro e Alberto Bettiol. Entrambi a caccia di tappe, ma che all'occorrenza saranno imprescindibili per il capitano: il portoghese in salita (lo scorso anno conquistò la tappa di Roccaraso e la maglia azzurra finale) e Bettiol in pianura, ma con la possibilità di dire la sua nella tappa degli sterrati con arrivo a Montalcino: quello sarà inevitabilmente il suo giorno.

Aleksandr Vlasov tenta la stoccata nel finale della Lugo - Ourense, quattordicesima tappa della Vuelta 2014. Crediti: ©PHOTOGOMEZSPORT2020

Mentre l'Astana non sembra la miglior squadra possibile per supportare Vlasov in salita, almeno sulla carta, ma presenta un gruppo di corridori molto giovani e attesi da tempo: Harold Tejada (per la verità mai brillante in questo inizio 2021) e Vadim Pronskiy che in futuro potranno provare a curare la classifica generale, Matteo Sobrero e Samuele Battistella cavalli rampanti del bistrattato ciclismo italiano, ma ancora alla ricerca di un acuto dopo un anno e mezzo tra i professionisti. A completare la formazione al via tre inossidabili del ciclismo europeo: il solito e solido Luis León Sánchez, buono per qualsiasi tipo di fuga, e i solidi e soliti Gorka Izagirre (il fratello meno forte, se ve lo state chiedendo) e Fabio Felline, buoni per tutte le mansioni.

OUTSIDER

La Jumbo-Visma lascia a casa in vista Tour de France i vari Roglič, Kuss, Kruijswijk e van Aert Crediti: ©PHOTOGOMEZSPORT2019

Dalla Nuova Zelanda, George Bennett: occhio a lui. Negli anni in cui nazioni relativamente nuove si inseriscono nella geografia ciclistica, è da tenere in considerazione. In salita va forte, la sua squadra ha un conto in sospeso con il Giro e lui arriva in Italia a fari spenti.
Italia con la quale oltretutto Bennett ha una certa affinità: qualche mese fa è salito sul podio al Lombardia e pochi giorni prima vinceva il Gran Piemonte. Se il meglio possibile la Jumbo-Visma lo ha riservato per il Tour non è detto che Bennett al Giro non possa dare qualche soddisfazione alla sua squadra. Peso leggero, anzi leggerissimo, lo storico nei Grandi Giri non fa di lui un uomo a 5 stelle, 8° al Giro nel 2018 come miglior risultato, ma a dare fastidio ai big, quello sì, ce lo aspettiamo. Tra i gialloneri d'Olanda da tenere d'occhio anche il norvegese Tobias Foss, ultimo vincitore del Tour de l'Avenir e 5° lo scorso anno nel prologo d'apertura in Sicilia.

Lo scorso anno Bilbao è arrivato 16° al tour e 5° al Giro. Crediti: ASO / Charly López

C'è poi Pello Bilbao, da tanti indicato persino come l'alternativa più credibile a Simon Yates e Bernal, ma che sulla carta partirà per aiutare il suo connazionale e amico Landa. Dal 2019 il Bilbao che conoscevamo è un altro corridore. Spicca nelle doti di fondo e resistenza, intelligente tatticamente, non ha paura di muoversi all'attacco, discretamente veloce anche in uno sprint ristretto soprattutto al termine di corsa dura, bravo in salita e a crono, si è trasformato in corridore vincente e impossibile da sottovalutare: difficile trovare un corridore più completo al Giro. Forse, quello che gli manca, oltre a un podio in una corsa a tappe di tre settimane nel suo score personale, è quel colpo del KO che possa mettere a tappeto la concorrenza, ma si sa che un grande giro lo puoi vincere anche con la regolarità giorno dopo giorno, sfiancando gli avversari assestando colpetti alla figura. Il tridente Bahrain Victorious - Landa, Bilbao, Caruso – sembra davvero l'ideale per conquistare la Cintura.

Jai Hindley lo scorso anno sul podio finale del Giro dietro Geoghegan Hart e davanti al suo compagno di squadra Kelderman. Crediti: Alessandro Trovati/Pentaphoto

Se Jai Hindley difficilmente potrà migliorare il risultato dello scorso anno – anche perché significherebbe vittoria finale, e oltretutto appare separato in casa con la DSM (si vocifera di un addio persino prima di fine stagione), ma non parte certo battuto per un piazzamento nei primi cinque, il capitano in casa BORA-hansgrohe, Emanuel Buchmann, lo annoveriamo in quell'insieme di corridori sotto la voce regolaristi senza grandi fiammate.
Si difende ovunque, non eccelle in nulla, ma per lui e per la squadra tedesca un piazzamento a ridosso del podio (ripetendo il sorprendente quarto posto del Tour 2019) sarebbe un risultato con i fiocchi.

Bauke Mollema inseguirà il suo primo podio in carriera in un Grande Giro (il terzo posto nella Vuelta '11 è arrivato sette anni dopo, postumo, per via della squalifica di Cobo, vincitore sul campo di quella corsa) o la sua prima tappa nella Corsa Rosa? (e se ottenesse tutti e due i risultati?) Crediti: Luis Angel Gomez/BettiniPhoto©2021

Alla voce outsider mettiamo Bauke Mollema, che, viste le condizioni di Nibali e i punti di domanda su un Ciccone (ecco l'incertezza, ci risiamo!) da classifica, sarà il capitano della Trek-Segafredo, ma ci auguriamo che, piuttosto di vederlo lottare per un quinto-ottavo posto che poco darebbe alla sua carriera, possa provare ad aggiungere una tappa al Giro (dopo aver vinto alla Vuelta e al Tour), in un palmarès che conta poche vittorie, ma davvero buone. Scaltro, coraggioso, temibile non appena la strada sale, crediamo che Mollema abbia già cerchiato di rosso tappe di ogni genere sul Garibaldi della Corsa Rosa. Certo è che nessuno gli vieta, vista la malizia nei finali concitati, di provare a vincere qualche tappa, restando comunque aggrappato alla classifica.

Remco Evenepoel è uno dei corridori più attesi di questa edizione di Giro d'Italia. Crediti: Dario Belingheri/BettiniPhoto©2020

Infine Remco Evenepoel: lo abbiamo tenuto per ultimo, perché è già un miracolo che sia qui dopo l'incidente al Lombardia. Lo abbiamo tenuto per ultimo perché non corre dal pomeriggio del 15 agosto del 2020. Lo abbiamo tenuto per ultimo perché è al suo esordio in un Grande Giro, ma fa comunque paura. Perché lui è uno di quei talenti à la Pogačar che potrebbe stupire in positivo lo stesso (magari già il primo giorno); potrebbe apparire quando meno ce lo aspettiamo e, se magari dovesse essere fuori dalla lotta per la generale, potrebbe essere anche un fattore determinante nella corsa alla vittoria finale. È capace di tutto, e soprattutto, se trovasse la forma giusta, anche di strapazzare la concorrenza lontano dal traguardo: mai porre limiti a corridori che studiano per diventare dei fenomeni.

ITALIANI

Fausto Masnada correrà con un occhio sulla sua classifica e con un altro su quella di Almeida ed Evenepoel. Crediti: Tommaso Pelagalli/BettiniPhoto©2020

Excursus sulle speranze italiane al Giro, almeno per la classifica generale. Il più accreditato appare Fausto Masnada (Deceuninck-Quick Step), se non fosse che già alla vigilia sappiamo dovrà correre in appoggio totale al capitano Almeida. Masnada pochi giorni fa ha avuto le sue carte e se le è giocate benissimo in un Romandia impegnativo, di buon livello, e battuto dalla pioggia: terzo in classifica dietro Thomas e Porte, gente che ha collezionato successi e podi al Tour de France. Obiettivo concreto per uno dei più duri del gruppo: ripetere la top ten dello scorso anno (fu 9°) che potrebbe significare anche essere il migliore tra “i nostri” a fine Giro. Discorso simile per Damiano Caruso , corridore che non ha mai evidenziato grossi problemi di tenuta e di recupero, anzi, e che nonostante la top ten al Tour 2020, si spenderà, con pochi se e senza ma, in favore di Landa e Bilbao: a oggi il ciclismo italiano senza squadre World Tour vede i migliori interpreti per le corse a tappe lavorare per gli altri.

Davide Formolo appare magro e tirato alla vigilia della prima tappa del Giro. In conferenza stampa ha ammesso che terrà duro per fare classifica: ci riuscirà? Foto: Luigi Sestili

Davide Formolo (UAE-Team Emirates) si testerà ancora una volta per la classifica generale oppure sarà libero di giocarsi singole chance per provare a vincere qualche tappa? Bella domanda, manca poco per ottenere una risposta. Noi speriamo più nella seconda ipotesi, ma la rinuncia da parte dell'UAE-Team Emirates a McNulty (con l'inserimento di un altro americano, il sempre discontinuo Joe Dombrowski che proverà a fare classifica ma senza grosse velleità, più facile vederlo in fuga con regolarità nella terza settimana) ci fa pensare che il corridore della provincia di Verona possa provare a superare il suo miglior risultato in una corsa a tappe di tre settimane - 9° nel 2016 alla Vuelta. Da non sottovalutare, invece, non solo in termini statistici e di cabala come Formolo non abbia portato a termine gli ultimi tre Grandi Giri che ha disputato, oltre alla classica giornata no che spesso ha avuto in una corsa a tappe di tre settimane. Anche se per lui potrebbe valere il discorso affrontato con altri: con l'età il suo motore e il suo recupero potrebbero essere migliorati.

Giulio Ciccone (con Vincenzo Nibali) è in assoluto uno dei corridori italiani con maggiori aspettative in questa corsa. Crediti: Luca Bettini/BettiniPhoto©2021

Poi ci sono Giulio Ciccone e Vincenzo Nibali (Trek-Segafredo), sui quali la narrazione si fa affrettata e con l'aria pesante e un po' mistificatoria: finendo per creare aspettative a oggi esagerate. Il Ciccone visto di recente è difficile immaginarselo lottare per un piazzamento nelle parti nobili della classifica, quanto invece, come nel caso di Formolo, sarebbe l'ideale vederlo sganciarsi dagli uomini in gara per il Trofeo senza Fine per cercare gloria nelle tappe e magari a inseguire la maglia dei GPM.
Attaccante nato, in salita non molla mai soprattutto quando è in fuga, dotato di spunto veloce: le qualità e le attitudini sono quelle giuste.
Su Nibali grosso interrogativo e non ci dilunghiamo di più: dopo l'infortunio in allenamento di qualche giorno fa è già un miracolo che sia al Giro. Qualsiasi cosa verrà, la prenderemo.

Pozzovivo, capitano del Team Qhubeka-ASSOS a questo Giro d'Italia. Crediti: Luca Bettini/BettiniPhoto©2021

Per chiudere la carrellata ecco tre diverse “generazioni” di corridori che planano sul Giro d'Italia con grandi ambizioni, ma con focus differenti.
C'è un vecchietto, Domenico Pozzovivo (Team Qhubeka-ASSOS), che arriva dalla Basilicata, che è capace ogni volta di risorgere dagli infortuni e di inventarsi qualcosa: non chiedetegli la luna, ma attenzione, ha preparato a puntino la corsa e lui un'altra top ten in un Giro ricco di salite la vorrebbe - e potrebbe - conquistare (sarebbe la settima in carriera).

Matteo Fabbro al recente Tour of the Alps concluso al 12° posto. Crediti: Dario Belingheri/BettiniPhoto©2021

In mezzo c'è invece un ragazzo che arriva dal Friuli, Matteo Fabbro (BORA-hansgrohe), che cresce di stagione in stagione e forse è arrivato al punto della maturità: nel 2021 buon protagonista alla Tirreno-Adriatico e al Tour of the Alps. Si dice che già lo scorso anno – ricordate quanto andò forte sull'Etna? - se non si fosse messo a disposizione della squadra, avrebbe potuto indirizzarsi verso una buona classifica. Quest'anno sarà impiegato per Buchmann in salita, con un occhio dovrà tenere da conto Peter Sagan, e magari insieme a un altro battitore come Felix Grossschartner, potrebbe puntare a una bella tappa. Scontato dire che l'ideale per lui sarebbe quella “di casa”, con arrivo sullo Zoncolan. Ecco, a differenza di Formolo e Ciccone, che vediamo da subito fuori dal gioco della maglia rosa, lui non ci dispiacerebbe se quest'anno si testasse in ottica classifica per vedere a che livello può arrivare anche in ottica terza settimana e se in chiave futura potrà ambire a un piazzamento nelle parti nobili della generale.

Classe '99, Aleotti è uno dei talenti emergenti del nostro ciclismo. Crediti: Luca Bettini/BettiniPhoto©2021

Sempre in casa BORA-hansgrohe spicca il nome di Giovanni Aleotti. Neo professionista, Aleotti è una delle speranze del ciclismo italiano per le corse a tappe. Non finisce di stupire, come stupì i suoi tecnici a livello giovanile – anche lui arriva da quella fucina di talenti che è diventato il Cycling Team Friuli che negli anni ha portato al professionismo tra gli altri: De Marchi, i fratelli Bais, Venchiarutti, lo stesso Fabbro, e di recente Jonathan Milan – quando arrivò secondo in una corsa importante come il Tour de l'Avenir del 2019.
Si difende in salita e si difende a cronometro, ce lo hanno sempre descritto come uno “con la testa da campione”. Certo da qui a immaginarcelo futuro vincitore di un Grande Giro ce ne passa, ma il suo impatto con il mondo dei professionisti è stato già notevole, tanto da convincere i suoi tecnici a portarlo al Giro. Nessuna pressione, nessuna aspettativa, sia chiaro, in una squadra che avrà già il suo da fare per dividersi tra Sagan e Buchmann, ma il nome del classe '98 di Finale Emilia è uno tra quelli che seguiremo più volentieri.

CACCIATORI DI TAPPE, FUGAIOLI, VELOCISTI E ALTRI NOMI DA SEGUIRE

Riuscirà Filippo Ganna a ripetere l'exploit visto al Giro 2020?

Alcuni li abbiamo infilati qua e là nei vari paragrafi, ma ecco, altri nomi da seguire per il Giro. Intanto, a caccia della prima maglia rosa, fatta eccezione per qualche uomo di classifica ben caldo (Almeida ad esempio) ecco Rémi Cavagna e Ganna in ordine di come, chi scrive, li vede favoriti al momento. Occhio anche a Tratnik, Patrick Bevin, Victor Campenaerts, Evenepoel, e ancora, per l'Italia, Bettiol, Moscon ed Edoardo Affini.

Tutta la gioia di Caleb Ewan dopo la vittoria di Nimes al Tour 2019. (Crediti: ASO/Pauline Ballett)

Per le volate sono almeno in sei, se non sette o otto, salvo coloro capaci di inserirsi tra le righe delle convulse volate. Caleb Ewan (Lotto Soudal), che dopo il secondo posto alla Sanremo si è praticamente eclissato, è il capofila dei padroni della velocità, Elia Viviani (Cofidis) che dopo essersi sbloccato finalmente qualche settimana fa – non vinceva dal 2019 - brama un successo al Giro e sarà supportato da una squadra quasi interamente per lui con suo fratello Attilio, Consonni e Sabatini.

Peter Sagan (BORA-hansgrohe) che vuole la ciclamino (è il favorito), oltre alle volate lo vedremo anche nelle tappe miste, Tim Merlier che vuole confermarsi dopo la qualità mostrata in primavera e approfitta del palcoscenico del Giro e del ruolo di capitano nella Alpecin-Fenix.
Ci sarà il campione italiano ed europeo Giacomo Nizzolo (Team Qhubeka-ASSOS), anche lui in arrivo da una bella primavera nella quale è mancato solo il successo di peso, e infine Dylan Groenewegen: la squalifica dopo l'episodio che ha coinvolto lui e Jakobsen al Giro di Polonia, scade proprio alla vigilia del Giro. Anche per lui, come si dice in questi casi: è un successo anche solo essere al via. Con lui occhio al figlio d'arte David Dekker che potrebbe essere la vera punta in volata del Team Jumbo-Visma.

La vittoria di Moschetti nella prima edizione della "Per sempre Alfredo" 2021. Crediti: Valerio Pagni/BettiniPhoto©2021

Una menzione per Matteo Moschetti (Trek-Segafredo). Talentuoso quanto sfortunato, lo ammettiamo: un po' per partigianeria, facciamo il tifo per lui, per quei suoi modi sempre gentili, quel sorriso elegante e perché dopo tutta una serie di sfortune e di cadute, meriterebbe davvero qualcosa di importante. Le qualità ci sono tutte.

Fuori da questi nomi Fernando Gaviria che da possibile dominatore si è trasformato in un oggetto del mistero. Vedremo: l'UAE gli mette di fianco Richeze e Molano per farlo sentire a suo agio, a lui il compito di ripagare la fiducia.

Diego Ulissi in carriera ha conquistato otto successi di tappa al Giro. Crediti: Ilario Biondi/BettiniPhoto©2020

Tra quei corridori veloci, e che potranno approfittare anche delle fughe (non hanno problemi a gettarcisi dentro, persino nelle tappe di montagna) o degli arrivi misti, da seguire Andrea Vendrame (AG2R Citroën) e Diego Ulissi (UAE-Team Emirates). Il primo insegue ancora quel successo di peso che ne valorizzi la carriera, mentre il secondo, dopo essere arrivato a tanto così dalla fine precoce della sua attività agonistica, ha mostrato in poco tempo che cos'è il talento. Nonostante lo stop forzato di quest'inverno, appena si è attaccato il numero alla maglia si è già messo in evidenza. Vincere altre due tappe al Giro significherebbe oltretutto raggiungere il pregevole traguardo dei dieci successi nella corsa rosa: mica male.

Enrico Battaglin punta al riscatto dopo stagioni difficili (Foto: Paolo Penni Martelli)

Tra le Professional italiane interessanti i nomi di Enrico Battaglin , Filippo Zana e Giovanni Visconti per la Bardiani, quello di Natnael Tesfatsion (Androni, che schiera al via il corridore più giovane del Giro, Andrii Ponomar, 18 anni e poco più) e dell'esperto duo Manuel Belletti-Francesco Gavazzi, per la Eolo-Kometa.
La squadra di Basso e Contador insegue ancora il primo successo da quando ha effettuato il salto di categoria e presenta una squadra con altri nomi che proveranno a mettersi in evidenza, come Vincenzo Albanese veloce e coraggioso quanto basta per provare a sbloccarsi nelle tappe vallonate, anni fa sembrava sul punto di diventare corridore di prima fascia, Eddy Ravasi che proverà a tenere duro per la classifica (come Mark Christian) o eventualmente a gettarsi nelle fughe nelle tappe di alta montagna e infine il talentuoso quanto discontinuo Lorenzo Fortunato che di recente si è ben difeso in Spagna alla Vuelta Asturias e cerca, sulle strade italiane, il rilancio, dopo due annate da dimenticare in maglia Neri Sottoli e Vini Zabù.

De Gendt ha indossato la maglia di leader dei GPM al Tour e alla Vuelta e insegue questo traguardo anche al Giro. Foto: Paolo Penni Martelli

E a proposito di fughe: c'è il fugaiolo per antonomasia, Thomas De Gendt. In squadra con lui (Lotto Soudal) l'interessante Kobe Goossens, corridore con caratteristiche simili e con un nome che è una delle crasi più geniali del mondo dello sport. Ci sono Samuele Rivi (Eolo-Kometa) e Simon Pellaud (Androni), poi ci sarà sicuramente chi, una volta uscito di classifica, potrà trasformare la strada in un rodeo nel quale sbizzarrirsi. Quei nomi chiaramente li scopriremo cammino facendo. Tornando al Belgio c'è curiosità su Gianni Vermeersch, Alpecin-Fenix, ciclocrossista in grande evidenza questa primavera nelle classiche del nord. Libero da compiti di gregariato - corre con van der Poel - qui al Giro è pronto per giocarsi le sue carte.

Forte soprattutto in pianura, Samuele Zoccarato se in giornata sa difendersi bene anche in salita. Crediti: Luca Bettini/Photo©2021

Occhio anche a Samuele Zoccarato, marcantonio della Bardiani tra i migliori della sua squadra in questo inizio di stagione che può provare a sognare di vincere una tappa se nella giornata giusta. E poi Alessandro De Marchi, già più volte ribattezzato il De Gendt friulano e con il quale potrà anche dare il via a una bella sfida a colpi di chilometri in fuga e con lui da seguire anche i suoi compagni di squadra, il lettone Krists Neilands, corridore poco pubblicizzato, ma capace di tirare fuori la prestazione importante un po' su tutti i terreni, Patrick Bevin, tra i più in forma dell'ultimo periodo, forte a cronometro e abbastanza veloce, e Alex Dowsett, corridore da seguire anche su Twitter per le sue uscite non convenzionali e capace di conquistare una tappa al Giro nel 2020.

Simone Petilli sarà invece l'uomo per la Intermarché-Wanty-Gobert Matériaux ed è chiamato a dare segnali in salita: possibilmente in fuga e con lui l'estone Rein Taaramäe, vincitore di una tappa al Giro nel 2016. Petilli ha già puntato l'arrivo del penultimo giorno di Giro: si passerà vicino casa sua. Nella squadra belga, unica World Tour ancora a secco di vittorie in questo scorcio di stagione, al via Andrea Pasqualon veloce per arrivi più complicati, Riccardo Minali, nome di seconda fascia per le volate di gruppo, Jan Hirt per un piazzamento a ridosso dei dieci in classifica generale e Quinten Hermans, corridore in crescita e che potrebbe lasciare il segno nelle tappe mosse dei primi dieci giorni di corsa.

Insieme a Samuele Battistella (presente al Giro e atteso al salto di qualità) e Andrea Bagioli (fuori causa per un infortunio), Alessandro Covi è una delle maggiori speranze del ciclismo di casa in ottica corse di un giorno, pur essendo stato nel 2018 (ottavo) e nel 2019 (quarto) il migliore italiano in classifica generale al Giro Under 23. Crediti: Heinz Zwicky/BettiniPhoto©2021

E la meglio gioventù? Alcuni li abbiamo citati, se pensate che la sfida alla Maglia Bianca potrebbe vedere diversi corridori in lizza per il successo finale (Bernal, Almeida, Vlasov ad esempio) altri meritano una menzione come Alessandro Covi (UAE-Team Emirates) e Clément Champoussin (AG2R Citroën Team). Uno veloce, ma abile anche sui percorsi misti, l'altro forte in salita. Per entrambi sarà il primo Grande Giro, ma potranno agire abbastanza liberi da compiti di squadra. Discorso simile per Stefano Oldani, uno di quelli che hanno corso di più a inizio stagione. Il corridore della Lotto Soudal punta a una tappa, magari andando in fuga e sfruttando discrete doti veloci.

Meritano un discorso a parte, infine, Daniel Martin (Israel Start-Up), Marc Soler (MovistarTeam ), Harm Vanhoucke (Lotto Soudal) e Jefferson Cepeda (Androni). Sono quattro corridori che se trovano le tre settimane giuste, potrebbero persino ambire a un buon piazzamento in classifica, altrimenti è plausibile trovarli, giorno dopo giorno, soprattutto nella seconda parte di Giro, in fuga per inseguire un successo in alta montagna o magari lottare per la maglia dei GPM.

Capace di tutto e il contrario di tutto, Dan Martin divide le sue ambizioni verso il Giro tra un pensiero alla classifica e uno alle vittorie di tappa. Crediti: Luis Angel Gomez .©PHOTOGOMEZSPORT2020

Dan Martin: lo scorso anno alla Vuelta ha sfiorato il podio, quarto e suo miglior risultato in carriera in un Grande Giro, ma conta pure tre top ten al Tour. Corridore imprevedibile ma che con la luna giusta può davvero puntare a qualcosa di importante. A differenza di altri però, il suo feeling con il Giro d'Italia non è mai nato: nel 2014 si ritirò subito alla prima tappa a causa di una caduta (uno dei suoi limiti più evidenti) mentre nel 2010 finì lontano in classifica senza mai lasciare il segno.

Marc Soler, capitano Movistar in questo Giro 2021. Crediti: Luis Angel Gomez .©PHOTOGOMEZSPORT2019

Marc Soler è il cavallo pazzo del ciclismo contemporaneo: capace di tutto e di più. Come lo ha definito di recente un blog spagnolo: “Marc Soler è un corridore con il pregio di non lasciare nessuno indifferente”. La sua storia è fatta di picchi come il successo al Tour de l'Avenir del 2015 o la vittoria alla Parigi-Nizza del 2018, ma anche di storie controverse per un carattere bizzoso e particolare. Pochi giorni fa però al Romandia ha dato segno del suo (enorme) talento vincendo l'arrivo di Estavayer ed esultando in maniera polemica (contro chi non si è capito). Al Giro sarà il capitano della Movistar, ma con che ambizioni? Dipenderà molto da come si sveglierà al mattino. Einer Rubio, Antonio Pedrero, Dario Cataldo e Davide Villella rappresentano la batteria da salita per la storica squadra spagnola un po' ridimensionata in quest'ultimo periodo, mentre Matteo Jorgenson è un giovane da seguire con molta attenzione. Corridore completo potrà tornare utile alla causa della squadra su ogni terreno, ma anche cercare gloria personale in fuga.

Il Giro 2020 di Cepeda è passato un po' in sordina, quello del 2021 potrebbe essere quello che lo lancerà nell'élite del ciclismo. Crediti: Roberto Bettini/BettiniPhoto©2020

Infine due giovani: Harm Vanhoucke e Jefferson Cepeda. Il primo, forte scalatore belga, anche se non appare a livello di altri giovani connazionali rampanti (non solo Evenepoel, ma anche Vansevenant e Van Wilder, qui assenti) lo scorso anno ha vestito la maglia bianca di miglior giovane per qualche giorno (anche se il titolare era Almeida, in rosa): proverà a tenere duro fin che può per la classifica altrimenti via in fuga come da DNA della sua squadra.

Il secondo, scalatore ecuadoriano con margini tutti da scoprire, di resistenza e di recupero. Al Tour of the Alps ha sorpreso tutti arrivando quarto in classifica generale e restando quasi sempre in scia o assieme a corridori che partono verso questo Giro d'Italia per vincerlo. La squadra di Savio potrebbe aver trovato un altro ragazzo da lanciare nell'élite del ciclismo mondiale. E per chiudere, restando in casa Androni, una menzione per l'argentino Eduardo Sepúlveda che potrebbe lottare per un piazzamento nei primi venti in classifica generale: sarebbe un ottimo risultato per una squadra che solo un mese fa risultava esclusa dal Giro d'Italia.

IL PERCORSO

La Planimetria delle 21 tappe. Dal sito ufficiale del Giro d'Italia.

"L’Unità d’Italia, Dante Alighieri, il 90° compleanno della Maglia Rosa (indossata per la prima volta nel 1931 – prima tappa vinta da Learco Guerra e Giro vinto da Francesco Camusso)" citando la presentazione del sito ufficiale. 21 tappe in 23 giorni. Due giorni di riposo (quest'anno di martedì, saranno contenti i barbieri, finalmente), prima e ultima tappa a cronometro, una a Torino e l'altra a Milano e in mezzo un disegno vario, duro e spettacolare forse uno dei più interessanti degli ultimi anni.

È vero che quando mancano Mortirolo e Stelvio qualcuno storce il naso, è vero che lo Zoncolan ci sarà, ma dal versante meno duro (nel senso che l'altro versante è durissimo che di più non si potrebbe, ma occhio che questo potrebbe persino fare più selezione). Ma è vero anche che ci sarà da divertirsi e ce ne sarà per tutti i gusti.

Tante tappe interessanti nei primi dieci giorni di corsa: una delle più dure è la Castel di Sangro-Campo Felice di 158 km.

Trabocchetti: tanti, e senza contare il possibile effetto del meteo. A partire dalla prima settimana o meglio nei primi dieci giorni: oltre alla crono iniziale, alla quarta e alla sesta tappa ci sarà già modo di vedere la classifica ribaltata con gli arrivi in salita di Sestola e di Ascoli Piceno. Poi l'ottavo giorno RCS creò la Foggia-Guardia Sanframondi e il giorno successivo l'arrivo di Campo Felice, forse prima del riposo la frazione più interessante in assoluto. Oltre a essere il punto più a sud di questo Giro 2021, presenta quattro GPM, l'arrivo in salita, un tratto sterrato, ma soprattutto nemmeno un metro di pianura. Ci sarà la possibilità di vedere scremata in maniera netta la lotta per la classifica generale. Con la L'Aquila-Foligno di lunedì 17 maggio si chiuderà la prima parte di Giro che vedrà a conti fatti una crono, quattro tappe che muoveranno la classifica e cinque probabili, possibili, arrivi per velocisti.

La tappa degli sterrati sarà spartiacque nella lotta per la classifica finale.

La seconda settimana di Giro si apre, mercoledì 19, con una delle tre tappe chiave di questo Giro: la Perugia-Montalcino di 162 km è frazione già destinata a entrare nella storia, sin dalla sua presentazione. Sconquassi anche per il fatto di arrivare dopo il riposo, e in caso di maltempo molti malediranno quel giorno. La tappa successiva non concede respiro: l'arrivo a Bagno di Romagna infatti è la classica frazione appenninica per imboscate e dove tutto potrebbe succedere. Tappa adattissima alle fughe, è vero, dipenderà dal disegno che avrà preso la classifica, ma attenzione: arriverà dopo i possibili sconvolgimenti della tappa di Montalcino e con una cinquantina di chilometri di salite e quasi 4.000 metri di dislivello non si scherza.

Cosa c'è di più bello di un tappone dolomitico? La Sacile-Cortina d'Ampezzo ha tutti gli ingredienti per far saltare il banco.

E dopo una frazione relativamente tranquilla (la numero 13) pensavate di annoiarvi ancora? Niente di tutto questo: nella tappa numero 14 si arriva sullo Zoncolan - anche se dall'altro versante, e non c'è bisogno di presentazioni. Il giorno dopo finale a Gorizia con un circuito insidioso, ma adatto alle fughe e ai colpi di mano; soprattutto i corridori da classifica si terranno ben tranquilli in attesa di quello che sarà il giorno cruciale del Giro 2021 con la Sacile-Cortina D'Ampezzo. 221 km, quattro salite tra l'impegnativo, il duro e il mitico. Si scaleranno Crosetta, poi Marmolada (per chi scrive la salita più bella d'Europa), Pordoi (Cima Coppi 2021), Giau e infine discesa fino a Cortina: ci sarà da divertirsi.

Due salite durissime negli ultimi 60 km, si fa sul serio anche nella tappa numero 17 del Giro.

Riposo e poi ultime cinque tappe, quattro delle quali risulteranno decisive ai fini della classifica generale. La tappa di mercoledì 26 è il terzo punto chiave del Giro dopo Montalcino e Cortina, la salita finale che porta a Sega di Ala, 11,5 chilometri al 9,6 per cento di pendenza media, una delle più dure in assoluto di questa edizione. Dopo aver rifiatato il giorno dopo con un probabile arrivo a ranghi compatti, venerdì e sabato la due giorni finale alpina con altri due arrivi in salita impegnativi: Alpe di Mera e infine Alpe Motta, una frazione con 4.200 metri di dislivello, circa, con la lunga - da sembrare infinita - scalata verso il Passo San Bernardino. Ultimo giorno con 30,3 km a cronometro fino a Milano che dopo tutto il ben di dio proposto, potrebbe ulteriormente cambiare il volto alla classifica. La speranza è che un Giro così duro non costringa gli attori principali ad aspettare sempre il giorno successivo per paura di saltare in aria. Film già visto, ma quello che parte domani è un film nuovo.

DOVE SEGUIRE IL GIRO 2021

Quest'anno ci sarà modo di non perdere nemmeno un secondo di corsa - interventi da studio permettendo, sigle e pubblicità, e cambi di canali che ci coglieranno verso le 14, tra Raisport e Rai2. Per la prima volta nella storia infatti il Giro offrirà la diretta integrale di ogni tappa. Oltre alla Rai potrete seguire il Giro d'Italia 2021 tutti i giorni anche su Eurosport e per chi non fosse sempre incollato al televisore consigliamo l'ascolto su RadioRai: la squadra radiofonica con Martinello, Ghirotto e soci riesce a trasmettere emozioni ed è un valore aggiunto sorprendente alla narrazione del Giro d'Italia.

E ovviamente anche noi di Alvento non vi faremo mancare nulla, con i contributi dei nostri inviati e i racconti della corsa giorno dopo giorno sul nostro sito e sui nostri canali social.

I FAVORITI DI ALVENTO PER LA MAGLIA ROSA

⭐⭐⭐⭐⭐ S.Yates
⭐⭐⭐⭐ Bernal
⭐⭐⭐Landa, Almeida
⭐⭐ Vlasov, Carthy, Bardet, Sivakov, Bilbao, Hindley
⭐ Evenepoel, G.Bennett, Masnada, Martínez, Buchmann, Mollema, Soler, D.Martin

I FAVORITI DI ALVENTO PER LA MAGLIA CICLAMINO

⭐⭐⭐⭐⭐P. Sagan
⭐⭐⭐⭐ Ewan
⭐⭐⭐ Almeida, Ulissi
⭐⭐ Viviani, Nizzolo, Merlier, Bevin
⭐ S.Yates, Moscon, Vendrame, Gaviria, Bilbao

I FAVORITI DI ALVENTO PER LA MAGLIA AZZURRA

⭐⭐⭐⭐⭐ De Gendt
⭐⭐⭐⭐ Guerreiro, M.Soler
⭐⭐⭐Ciccone, Cepeda, Caceido
⭐⭐S.Yates, Bernal, Landa, Champoussin
⭐ Formolo, Bouchard, Mollema, Fabbro, Knox, Grossschartner

I FAVORITI DI ALVENTO PER LA MAGLIA BIANCA

⭐⭐⭐⭐⭐ Bernal
⭐⭐⭐⭐ Almeida
⭐⭐⭐ Vlasov
⭐⭐Hindley, Sivakov
⭐ Evenepoel

Foto copertina: Luigi Sestili


Sicurezza in strada e in corsa: intervista a Matteo Trentin

«Sono decenni che le nostre strade non sono sicure e noi continuiamo a parlarne senza mai cambiare nulla. La tragedia di Silvia era evitabile, come tante altre. Non si può solo parlare, servono persone in grado di agire. Da noi mancano capacità e conoscenza». Matteo Trentin è desolato, innervosito, e quando si parla di sicurezza stradale non fa sconti a nessuno. «Non ho letto i provvedimenti del Pnrr, ma basta guardarmi in giro per vedere che le cose non vanno. Ora apprendo che si sono previsti 570 chilometri di piste ciclabili urbane e sono stati stanziati 600 milioni per la realizzazione di ciclovie turistiche e ciclabili urbane. Mi sembra ridicolo. In primis 570 chilometri sono un nulla, solo la città di Parigi ne ha di più. Inoltre: quanto si è parlato di transizione ecologica? Questo dovrebbe essere il primo punto su cui investire, se si vuole la transizione ecologica. Ci rendiamo conto che, anche se sostituiamo tutte le auto con macchine elettriche, non abbiamo risolto nulla? Capiamo che avremo sempre gli stessi incidenti e che se un'auto piomba su un ciclista o su un pedone i danni sono ingenti, elettrica oppure no? Forse ci sarà meno inquinamento, ma quella energia, in qualche modo, andrà pur prodotta».

Trentin legge molto sul tema e proprio l'altro giorno è stato colpito dalla riflessione di un urbanista. «Lui afferma che le persone, di fatto, usano ciò che gli si mette a disposizione. Ed è vero. Se continuiamo a costruire autostrade poi non possiamo meravigliarci che la gente giri in auto. Tutti sanno che la bicicletta è il mezzo del secolo: il più comodo che esista, ti muovi agevolmente, risparmi denaro, tempo e non hai nemmeno il problema del parcheggio, però tutti preferiscono prendere l'auto, anche per fare cinquecento metri. Perché la società spinge in quella direzione: la bicicletta non è considerata indispensabile, l'auto sì. Tutto il resto viene di conseguenza. In una strada così affollata di auto, in cui viene a mancare il principio base della civiltà, quello del rispetto per i più deboli, andare in bicicletta fa anche paura. Io andavo a scuola in bicicletta, oggi, se mio figlio me lo chiedesse, gli direi di no».

Tour de France 2019 - Foto: A.S.O./Pauline BALLET

Tanto più che, spiega Trentin, in Italia le possibilità per costruire ciclabili ci sono tutte. «Non si parla di paesini abbarbicati sui monti in cui questo sarebbe difficile. Qualcosa si è fatto: a Milano, per esempio, o a Ferrara che credo sia la città più ciclabile d'Italia. Ma serve ancora fare tanto. Nelle grandi città si sta iniziando ad accettare l'idea che le auto debbano restare fuori dai centri storici, nei piccoli paesi si fa più fatica. Sembra di vietare chissà cosa quando si parla di centro pedonale. E pensare che in quei centri, con altri mezzi, ci si muoverebbe meglio».

Ma la questione è più complessa e Matteo Trentin torna sul tema del rispetto. «Forse nemmeno una ciclabile avrebbe salvato Silvia, perché per allenarsi non l'avrebbe usata. Giustamente, non ci si può allenare sulle ciclabili. Il rispetto, però, l'avrebbe salvata di sicuro. Perché a scuola guida non si parla di rispetto per gli utenti deboli? Perché la legge non fa nulla per questo? In Italia ci battiamo da anni per il metro e mezzo di distanza per la nostra sicurezza. Petr Vakoč mi ha detto che, la stessa istanza, in Repubblica Ceca, è arrivata in parlamento in pochi mesi. Io ieri ho rischiato ben tre volte, di cui due per persone che passano apposta a pochi centimetri dalla bicicletta, quasi per spaventarti». Qui l'affondo: «Le colpe vanno certamente ripartite, perché anche chi va in bicicletta sbaglia, ma da noi si è giunti all'assurdo. Anche se c'è un errore dell'utente debole, non è possibile giustificare l'auto che gli piomba addosso. Non deve succedere, a prescindere».

Altra tematica discussa in questi giorni riguarda l'introduzione dell'obbligo del casco per i cicloamatori o i turisti. «Sarei favorevole, assolutamente. Credo, però, non sia questo il momento di parlarne. Iniziamo ad avere tante persone che si spostano in bicicletta e poi ci pensiamo. Il casco salva in incidenti fra biciclette, quando cadi da solo, ma se un'auto ti travolge le conseguenze sono gravi ugualmente. Lì il casco non cambia nulla».

Poi c'è la sicurezza in gara, i veri problemi e quelli trasformati in problemi da chi «dovrebbe conoscere il ciclismo, visto che lo governa ed invece, a quanto pare, non lo conosce per nulla». Trentin parla della faccenda borracce. «Le premesse e le promesse erano diverse. Poi non si sono ascoltati gli atleti e si è presa un'altra direzione. Un conto è parlare di passaggio della borraccia in sicurezza, altro conto è vietare un'usanza tipica del nostro sport da secoli. Tra l'altro con borracce biodegradabili e persone che non vedono l'ora di raccoglierle. Dicono che in alcune parti del mondo non vengano raccolte e restino a bordo strada. Bene, facciamo qualcosa di diverso in quei paesi. In Europa questo rischio non c'è».

Infine un plauso, perché le cose fatte bene vanno riconosciute. «Parlo di Flanders Classics e delle nuove transenne adottate per le classiche di primavera. Non sono un tecnico, non posso giudicare nei dettagli queste barriere. Apprezzo il fatto che qualcuno si sia informato e sia andato da un'azienda a richiedere un progetto, senza che ci fosse un obbligo di legge. Che lo abbia fatto per la sicurezza di tutti. Altrimenti poi succede come in Turchia. Io non sono mai caduto in mezzo alle transenne e spero di non finirci mai. Spesso, però, le nostre sono transenne vecchie di anni, non si sono mai cambiate per risparmiare ed oggi i costi sono elevatissimi. Se si fosse lavorato nel tempo, forse, non saremmo a questo punto. Certo, non tutte le organizzazioni possono permettersi di sostenere costi simili, ma se si comprassero assieme e si condividessero? Almeno per gare che non coincidono a livello temporale. Perché non pensarci?».

Foto: Vincent Kalut/PN/BettiniPhoto©2021


Divieto di lanciare borracce a bordo strada? La parola agli atleti

La chiave della discussione si rintraccia nel nuovo regolamento UCI, entrato in vigore il primo aprile, agli articoli 2.2.025 e 2.3.025. La norma è chiara: «Gettare borracce o rifiuti al di fuori delle zone verdi contrassegnate danneggia l'ambiente e l'immagine del nostro sport. Inoltre è un cattivo esempio per i non professionisti». Così la federazione internazionale ha provveduto a identificare apposite sanzioni per i trasgressori. Nelle gare di un giorno il corridore verrà multato, squalificato dalla gara in corso e subirà una penalizzazione in termini di punti . Nelle corse a tappe saranno possibili tre richiami: al primo si applicherà la multa e la penalizzazione in chiave punti valevoli per il ranking UCI oltre a trenta secondi di penalità, al secondo la penalità passerà a due minuti e si sommerà alla multa e ai punti di penalizzazione. Al terzo scatterà la squalifica immediata dalla corsa.

Se nei giorni precedenti la regola aveva fatto parlare, la vera e propria discussione è iniziata dopo il Giro delle Fiandre di domenica 4 aprile, dove a fare le spese del regolamento sono stati Michael Schär, nella prova maschile, e Letizia Borghesi in quella femminile. Raggiunta telefonicamente nel pomeriggio di ieri, Alessandra Cappellotto, coordinatrice di Cpa Women e vice presidente di Accpi, ci ha spiegato il processo di ideazione della norma: «Fino all'ultima riunione in Uci la norma era differente. Si scriveva che le borracce non potevano essere lanciate, ma potevano essere accompagnate verso i tifosi. I rappresentanti degli atleti conoscevano questa versione. Nell'ultima riunione, in cui gli atleti non erano però presenti, sono emerse queste novità, tra cui le multe e le squalifiche. Noi non siamo assolutamente d'accordo e abbiamo chiesto un ulteriore incontro all'UCI per discutere di questo specifico argomento, con anche i rappresentanti dei team maschili e femminili. Il 6 aprile ci siamo confrontati con le atlete e abbiamo ascoltato le loro idee. C'è una forte sensibilità da parte di tutti al discorso ecologico, al discorso della sicurezza nel passaggio della borraccia e anche alla tematica Covid che si innesta su questo argomento. La volontà è quella di rendere possibile almeno l'accompagnamento della borraccia o la donazione della stessa ai tifosi, in salita, in curva o nei momenti di rallentamento. Sarebbe un buon compromesso».

Michael Schär, nei giorni scorsi, ha spiegato come il suo inizio nel ciclismo sia coinciso proprio con il ricevimento di una borraccia da parte di un professionista al Tour de France 1986. «Due anni fa ho dato una borraccia a una ragazza a bordo strada. I suoi genitori mi hanno detto che non solo ne è stata felice, ma parla ancora di quella borraccia» prosegue lo svizzero dell'Ag2r Citroen. Letizia Borghesi (Aromitalia Vaiano), ci ha spiegato: «Appena ho buttato quasi istintivamente quella borraccia, mi si è avvicinato il giudice di gara e mi ha trattato come se avessi compiuto chissà quale gesto. Ho sbagliato, conoscevo il regolamento e l'ho violato, ma credo che i modi siano sempre importanti. Vedo manovre ben più pericolose in gruppo per cui nessuno interviene. A trenta chilometri dall'arrivo di un Fiandre la lucidità cala e per noi il gesto di gettare la borraccia è quasi automatico». C'è delusione nelle parole dell'atleta trentina: «Avrei voluto tornare in quel luogo qualche minuto dopo, per vedere se la mia borraccia fosse ancora lì. Sono convinta di no. Sono la prima a tenere all'ambiente ma questo regolamento è da rivedere, perché non migliora la situazione. Nelle zone verdi le atlete gettano di tutto: carte, gel e molte borracce che rotolando rischiano di finire in mezzo al gruppo e causare incidenti. E se a un atleta cadesse una borraccia? Sarebbe squalificato? Dobbiamo gareggiare con l'ansia della caduta di una borraccia? Vanno bene i richiami ma squalificare, multare e togliere punti Uci è francamente eccessivo».

Borghesi suggerisce di migliorare la composizione delle borracce in termini di biodegradabilità e di rendere possibile gettare la borraccia solo in zone con il pubblico presente. Le fa eco Giovanni Visconti: «Ci sono persone che transitano apposta sui percorsi per raccogliere le borracce. Perché non incaricare qualcuno di passare sul percorso a ripulirlo? Ci sono circostanze di gara in cui è quasi necessario liberarsi della borraccia, la zona verde dovrebbe essere estesa a quasi tutto il percorso. Prima delle squalifiche servirebbero i richiami e per quanto concerne le multe, non si possono dare sanzioni pecuniarie che in alcuni casi, purtroppo nel femminile, sono anche superiori allo stipendio». E per quanto riguarda la tematica Covid? «Nessun bambino beve dalle borracce che raccoglie e, sicuramente, arrivato a casa si lava le mani. Se andassi con mio figlio a una partita di calcio sarei solo contento se portasse a casa un pallone toccato dal suo idolo. Certo non glielo farei portare a tavola. Si tratta di buon senso». Visconti non accetta la polemica sul fatto che i corridori non siano adeguatamente avvisati. «Riceviamo mail al termine di ogni gara in cui ci chiedono di esporre la nostra posizione. Certo che se quelle mail non le leggiamo o non rispondiamo, diventa difficile ascoltarci. Quello che si può fare è migliorare il metodo di comunicazione in modo da arrivare a più corridori e da farlo direttamente».

Marta Cavalli (FDJ - Nouvelle Aquitaine - Futuroscope) ricorda quando era lei stessa ad andare a vedere le gare. «Essendo timida non ho mai avuto il coraggio di chiedere una borraccia, ma ammiravo i bambini che lo facevano. Come mi piaceva quando, nelle gare del nord, venivano molti ragazzini con un sacchetto e raccoglievano quanti più ricordi fosse possibile». E aggiunge: «Ben venga che l'UCI proponga regole per salvaguardare l'ambiente, così però è troppo. Purtroppo ho visto io stessa atleti e atlete che lanciano borracce a sessanta chilometri orari, senza far caso alla direzione presa dalle stesse. No, le borracce vanno fatte scivolare delicatamente ai piedi, nelle zone in cui il pubblico è presente, non serve arrivare a queste soluzioni per capirlo». Cavalli, inoltre, non è così sicura del fatto che le zone verdi siano un bene strutturate in questo modo. «Ti assicuro che quando il gruppo era appallato, volava di tutto. Persino le carte che tendenzialmente mettiamo sotto la maglia e gettiamo al traguardo. Siamo sicuri che l'organizzazione riesca a pulire tutto? Al Fiandre si trattava di ben otto zone. Io ho il timore che si aumenti l'inquinamento».

Diego Rosa (Arkéa Samsic) si aggancia a questo tema e prosegue: «Al Tour de France, lo scorso anno, eravamo ben organizzati con le zone verdi, ma si tratta del Tour. Nelle gare minori, a volte, si fatica a segnalare il Gpm, possiamo immaginarci come possa avvenire l'indicazione di tutte le zone. Succede sempre così: l'idea iniziale è corretta, poi si finisce per esasperarla. I corridori sono dotati di buon senso, si faccia leva su quello. Duole dirlo ma chi scrive queste regole non è mai stato in sella e non ha ben idea di ciò che avviene in gruppo. Non sa nemmeno cosa voglia dire portare le borracce ai compagni e tornare indietro con le borracce vuote».

Silvia Valsecchi della BePink, invece, concorda con la nuova norma. «Alcune atlete non si sforzano nemmeno di lanciare le borracce a bordo strada, le buttano in gruppo, senza guardare chi hanno dietro. Una volta mi sono permessa di dire a una ragazza di non gettare la borraccia vuota in una zona senza pubblico ma di tenerla in tasca. Sono stata presa a male parole. A parte il fatto che non è detto che il pubblico raccolga le nostre borracce, c'è una questione ambientale da tutelare. Sinceramente non capisco nemmeno la questione rifornimenti. Ho sempre preso le borracce per le mie compagne dall'auto e ho riportato quelle vuote. Come ho gettato le borracce utilizzate ai punti fissi, dove ho preso acqua. Ora in più c'è la questione Covid, che non mi sembra trascurabile». Valsecchi appunta: «Sono anni che si dice di non gettare nulla ma ognuno fa ciò che vuole. Ovviamente, ora che si parla di multe, molti si lamentano».

Cesare Benedetti (BORA-hansgrohe) in questi giorni, è in corsa al Giro dei Paesi Baschi: «Non sapete come è brutto passare indifferenti mentre i bambini gridano “por favor, un bottellìn”, sapendo che hai una borraccia vuota nel portaborracce ma non puoi regalarla. Sarei bugiardo se dicessi di non aver mai gettato una carta per terra, sicuramente, però, mi sono sempre impegnato a mettere tutto in tasca. La carta di una barretta non ha alcun peso e non va gettata. Non ci sono scuse, la regola è giusta». Diverso, spiega Benedetti, è il discorso borracce. «Quando mia moglie portava mia figlia al Tour de Pologne, le ho sempre raccomandato di fare attenzione perché alcuni corridori lanciano borracce nel mucchio e ad alta velocità senza guardare. Ho discusso più volte con chi fa così. Può finire male, molto male. Le borracce restano un oggetto personale del corridore, qualcosa che ai tifosi interessa particolarmente, non è giusto privarli di questo souvenir. Ben vengano le zone verdi, si vieti di lanciare la borraccia ma si consenta il passaggio agli spettatori».

Sonny Colbrelli (Bahrain Victorious) estende il discorso: sono diversi i dettagli da rivedere nel regolamento UCI, non solo la parte riguardante le borracce. «Mi sto riferendo alla tematica della posizione in bicicletta. Credo sia corretto dire che dobbiamo dare il buon esempio, ma non siamo degli sprovveduti. Sappiamo bene i rischi che corriamo e li ponderiamo attentamente». Sul tema borracce, poi, Colbrelli vorrebbe la cancellazione della norma. «Chi è ai bordi della strada ad aspettare la gara non aspetta solo gli atleti, attende anche un ricordo da portare a casa. Ci sono persone che espongono cartelli in cui chiedono di lasciare una borraccia. Spiace non poterlo fare. In ogni caso, se la regola rimarrà, ci adegueremo. non possiamo fare altro». Intanto il dibattito prosegue, in questi giorni sono previste altre riunioni degli organi competenti.

Foto: Vincent Kalut/PN/BettiniPhoto©2021


Le ferite di Nacer Bouhanni

Il fatto risale al 28 marzo 2021: Nacer Bouhanni, Arkéa Samsic, durante la volata della Cholet-Pays de la Loire, compie un'evidente irregolarità stringendo Jake Stewart contro le transenne. La giuria lo squalifica e intanto l'opinione pubblica inizia a discutere la condotta dell'atleta francese. Si dice che non è la prima volta che Bouhanni si rende protagonista di volate così scorrette e si invitano gli organi competenti a prendere provvedimenti contro di lui. L'Unione Ciclistica Internazionale potrebbe intervenire proprio in questi giorni, sanzionandolo. Purtroppo però, nel frattempo, il dibattito è scaduto e al corridore sono stati rivolti pesanti insulti razzisti che nulla hanno a che vedere con la pur grave irregolarità commessa in volata. Il primo a parlare di questo fatto è stato proprio Jake Stewart: «Su molte cose si può essere più o meno d'accordo però, in questo mondo, non c'è posto per il razzismo. Lo dico chiaramente ai cosiddetti tifosi del ciclismo che hanno rivolto insulti simili a Bouhanni: non siete i benvenuti qui».
Nacer Bouhanni, dopo diverse notti difficili, ieri ha dichiarato di essersi affidato a dei legali e ha rilasciato un'intervista a “L’Équipe” raccontando la propria verità, facendo emergere un dolore che aveva sempre nascosto. «Mi sono costruito uno scudo per proteggermi da tutto questo. Nella vita di tutti i giorni non sono così, freddo, duro, come posso sembrare in corsa. Sono venticinque anni che sono nel ciclismo e da quando ero bambino affronto il razzismo in silenzio perché, quando se ne parla, sembra sempre di voler passare per vittime, ora non riesco proprio più a non dire nulla». Il corridore francese spiega che, sino ad oggi, non aveva mai voluto parlarne proprio per questo timore ma le domande che si è posto nel tempo sono molte. Nel suo racconto la parola razzismo è spesso sostituita da un giro di parole, il razzismo è “quella cosa lì”, quella che lo tormenta da troppo tempo. «Mi hanno detto di tornare in Africa, mi hanno dato del terrorista, sono arrivati a dire che dovrei essere estromesso dal ciclismo e che avrei fatto apposta a stringere Stewart contro le transenne. Pagherò ciò che devo pagare, ma questa è pura follia».
I messaggi di insulti sono aumentati drasticamente nell'ultimo periodo, le notifiche arrivano da ogni social e quando non giungono direttamente a lui, sono gli amici, involontariamente a mostrargliele. «Mi dicono: “Sai cosa ho letto? Guarda cosa dicono di te“. Ho dovuto chiedere di non dirmi più nulla, che non voglio sapere più nulla. Non sono una vittima, lo ripeto. Se fossero dieci, quindici messaggi, ci passerei sopra. Ora non è più possibile. Era già un periodo difficile, non ci voleva». Nacer Bouhanni è molto chiaro: gli episodi di razzismo di cui parla non avvengono in gruppo o nelle squadre in cui milita. «Direttamente, in gruppo, non è mai accaduto nulla, poi non so cosa pensino i miei colleghi. Fuori corsa, invece, ho ricevuto alcuni insulti razzisti e purtroppo da persone adulte, persone che dovrebbero sapere ciò che dicono. Fino a quando sono parole di bambini piccoli, scivolano via, dagli adulti le ferite sono maggiori. Sono nato in Francia e quando ho vinto il campionato nazionale ero felicissimo su quel podio, mentre risuonava la Marsigliese. Sono fiero per quei giorni, ma sono altrettanto orgoglioso del cognome che porto, di essere un francese di origini magrebine».
Nelle parole dell'atleta si percepisce un distacco dalla propria carriera e dai risultati ottenuti. «Quanto avrò vinto in tutto? Circa settanta gare? Restituisco ogni trofeo, non li voglio più, non mi porterò le vittorie nella tomba. A me interessa l'amore della mia famiglia. Porterò tutte le prove alla polizia, sporgerò denuncia, ma il male resta. Spero che la giustizia faccia qualcosa perché, altrimenti, vuol dire che chiunque può fare di tutto senza alcuna conseguenza. Vorrei liberarmi da questo peso che mi assilla»
Ancor più dal momento in cui Nacer, proprio per il ciclismo, ha discusso con il padre. «In famiglia, per proteggermi, hanno sempre evitato il discorso razzismo. Hanno fatto bene. Mio padre mi ha ripetuto di non farci caso, di essere fiero e di continuare per la mia strada. Me lo ha ripetuto anche quando gli ho raccontato come stavo, guardandolo dritto negli occhi e dicendogli che se continuerà così potrei anche lasciare il ciclismo. Anche quando ho detto al mio manager che non sarei partito per la Roue Tourangelle perché le mie condizioni psicologiche non me lo permettevano. Per questo ho discusso con mio padre, la persona che mi ha sempre protetto, che mi vuole bene, che mi ha aiutato a proseguire in questo mondo anche quando ero a terra. Un'ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso».

Roberto Bettini/BettiniPhoto©2021


Orgoglio e uguaglianza: parola alle atlete

Nelle scorse settimane ha destato clamore la disparità di montepremi che Davide Ballerini e Anna van der Breggen si sono aggiudicati in Belgio per la vittoria della Omloop Het Nieuwsblad. L'italiano ha guadagnato 16.000 euro, mentre l'olandese solo 920 euro. Questo divario di montepremi, lo è anche di stipendi, non era certo una novità ma, si sa, la crudezza dei dati molte volte riesce a smuovere coscienze che i meri discorsi non arrivano a toccare.
A mettersi in moto è stato Cem Tenyeri, tifoso olandese, che, «disgustato dalla disparità di trattamento», lunedì primo marzo ha indetto una raccolta fondi attraverso la piattaforma GoFundMe per provare a eguagliare i montepremi in vista della Strade Bianche, proponendo poi la suddivisione del raccolto in percentuali prestabilite fra le prime cinque atlete giunte al traguardo. La risposta è stata impressionante ed in cinque giorni sono stati raccolti 25578 euro. Questo ha significato che il montepremi totale a disposizione delle prime cinque classificate è passato da 6.298 euro a 31.876 euro, andando a superare quello previsto per i colleghi uomini, fissato a 31.600 euro, e che, per citare un esempio, la vincitrice Chantal van den Broeck-Blaak, che avrebbe dovuto incassare 2.256 euro, in realtà ne incasserà 10.441, vedendo il proprio premio aumentato del 32%.

A caldo, Ashleigh Moolman Pasio, ciclista del team Sd Worx, ha subito commentato la vicenda, spiegando di essere commossa in quanto «è davvero toccante vedere che gli appassionati di ciclismo, in un periodo difficile come questo, siano disposti a rinunciare a denaro che servirebbe alla loro famiglia per metterlo a disposizione di una causa così nobile». L'entusiasmo, a dire il vero è stato generale, ed Elisa Longo Borghini ha fatto ben presto seguito a queste dichiarazioni introducendo un tema importante. L'atleta di Ornavasso, ringraziando i donatori, ha scelto insieme al suo team, Trek Segafredo, di destinare la propria quota a progetti che possano sostenere il ciclismo femminile sul lungo termine.

In Trek, non si è ancora deciso come e dove spendere questi guadagni, il passo è però importante per fare in modo che questa donazione possa cambiare qualcosa nella lunga strada verso la parificazione fra uomini e donne nel ciclismo. Già, perché la questione è ormai dibattuta da anni e la consapevolezza maggiore in gruppo è che non possa essere questa la via per migliorare la condizione del ciclismo femminile. Tra l'altro, proprio Trek Segafredo negli scorsi mesi aveva innalzato a 40.045 euro la paga minima prevista per le proprie atlete, andando così a eguagliare quella prevista per gli uomini secondo le tabelle UCI. Le stesse tabelle prevedono per le donne una paga minima di 20.000 euro e una legge, attesa da molto tempo, dovrebbe intervenire per ristabilire la parità.

 

Foto: Valerio Pagni/BettiniPhoto©2020

Il gesto lodevole di Tenyeri e dei donatori, se da un lato suscita ammirazione, dall'altro continua a lasciare l'amaro in bocca. Marta Bastianelli ci spiega: «Ringrazio di vero cuore tutti coloro che hanno donato e credetemi sono gesti che nessuna di noi potrà mai dimenticare. Però non posso fermarmi qui. Sono convinta che non si sarebbe mai dovuti arrivare a questo punto e che sia grave esserci arrivati. Abbiamo fatto un passo importante verso il ciclismo professionistico anche per noi donne, non possiamo perderci in queste cose. Ha detto bene Anna van der Breggen: è una vita che lottiamo per la parità salariale e di montepremi e ancora non è cambiato nulla. Per me e per le veterane del gruppo ormai non c'è più speranza di vedere questi risultati raggiunti mentre siamo in attività, spero solo ci sia per le più giovani. Siamo ancora troppo distanti dagli uomini e fa tanta tristezza pensarci. Credo che dovremmo ringraziare le atlete della Trek Segafredo perché, con la loro mossa, hanno scelto di essere lungimiranti e di fare qualcosa per il futuro di questo movimento. Spero che tutte assieme si riesca a portare un cambiamento».

Sofia Bertizzolo, raggiunta telefonicamente nel pomeriggio di ieri, aggiunge altri tasselli. «La situazione che si è creata ha fatto molto discutere e reso evidente, a chi ancora non la conoscesse, la condizione del ciclismo femminile. La stampa ha il dovere di parlarne per tenere accesi i riflettori su questa tematica. La soluzione non può essere nelle donazioni, non è questo il sistema per andare a pareggiare i premi delle gare. I finanziamenti di cui ha bisogno il ciclismo femminile vanno usati in altro modo: in primis per aumentare la visibilità del nostro sport. Se le persone ci seguono, se la televisione e gli organi di informazione ci raccontano, si innesta un circolo virtuoso per cui i montepremi ed i salari aumentano di conseguenza. Se si tiene davvero al ciclismo femminile, chi di dovere deve dargli la possibilità di crescere, prima dei soldi». Le fa eco Soraya Paladin: «Sono onorata del gesto. Però sembra tanto di fare elemosina e credo che nessuna di noi lo voglia. Queste persone sono state davvero di cuore ma non è loro dovere intervenire per aiutarci, spetta ad altri. Così facendo il montepremi della Strade Bianche sarà eguagliato e tutti gli altri? Quello delle gare minori? Altra questione: alle squadre fuori dal circuito World Tour non pensa nessuno? Non si può pensare di proseguire e di crescere solo grazie alla benevolenza di poche persone, che normalmente nemmeno si occupano di ciclismo».

Katarzyna Niewiadoma si sofferma invece sul senso di cura e di attenzione che questo gesto mette in risalto. «È incredibile vedere quante persone hanno provato a prendersi cura di noi senza essere obbligate a farlo. Siamo rimaste tutte sorprese. Io, in particolare, sono rimasta meravigliata da quante persone siano interessate al movimento femminile. Sia chiaro: non dobbiamo aspettarci che il cambiamento, che tanto desideriamo, avvenga tramite donazioni, però siamo certe che quando avverrà, quando i media ci daranno più spazio e quando la nostra esposizione mediatica sarà maggiore, il pubblico sarà lì per noi. La gente è affezionata a noi, ce lo ha dimostrato. Solo a pensare a questo sto bene».

Alice Maria Arzuffi comprende benissimo questa sensazione di Niewiadoma, ma non riesce a nascondere una certa tristezza: «Il gesto è molto apprezzato e dimostra che i tifosi hanno capito bene la disparità che ci troviamo ad affrontare. Siamo nel 2021, negli ultimi anni siamo cresciute moltissimo, il nostro ciclismo non è nemmeno lontanamente paragonabile a quello di sette, otto anni fa, ma ci vediamo ancora costrette a ricorrere alla solidarietà. Noi donne non chiediamo solidarietà. Noi vogliamo vengano riconosciuti i nostri meriti. Questo, per esempio, non avverrà mai fino a che le gare femminili verranno trasmesse in differita e solo per i chilometri finali. Ce ne rendiamo conto?».

Intanto uno studio di Damm Van Reeth, professore della Facoltà di Economia e Commercio di Leuven, ha sottolineato come in termini assoluti la gara femminile abbia raccolto più ascolti di quella maschile. In termini di cifre parliamo di uno share del 21,5% per le donne, contro il 18,6% per gli uomini. Ora bisogna passare ai fatti perché di parole se ne sono spese davvero troppe.

Foto in evidenza: Roberto Bettini/BettiniPhoto©2021