Quanti aggettivi si sono usati, nel tempo, per descrivere Alejandro Valverde? “L’Embatido” è, forse, quello che più si ricorda, ma il ciclismo di Valverde è sempre stato affollato di aggettivi e non era un caso: servivano per descrivere ciò che accadeva, a renderne l’idea, a darne una forma, uno schizzo, quasi si trattasse di una bozza di un pezzo o di un dipinto. Talvolta si dice che gli aggettivi vanno tolti, che non bisogna esagerare, noi, invece, crediamo all’altra scuola, quella di Gianni Mura, ad esempio, secondo cui gli aggettivi servono, sono necessari, e si può anche abbondare, a patto che ne valga la pena, a patto che siano quelli giusti.
Per Valverde, in questi giorni, ad esempio, ne abbiamo in mente un altro. Strano, forse insolito. Però ci piace dire che Alejandro Valverde è gravel. Sì, non abbiamo sbagliato. Poi andremo oltre, perché lì vogliamo arrivare, ma partiamo dal fatto: Alejandro Valverde è davvero un ciclista che si dedica al gravel, o, almeno, lo sarà fra qualche giorno, quando disputerà la prima gara su sterrato con Movistar, la “Indomable”, ad Almeria, il 23 aprile. Ciclista lo è da tempo, anche se si è ritirato lo scorso ottobre: guardate la sua pagina Instagram, reca ancora la dicitura “ciclista professionista”, può essere disattenzione, può essere altro. Legame, ad esempio. E se è legame, come tutti i legami, si sottopone al tempo che passa e a quanto il tempo, agendo, cambi, modifichi.
Dire che Valverde è gravel non significa solo dire che Valverde correrà ad “Indomable” e, poi, a “The Traka”, il 29 aprile. Dire che Valverde è gravel significa raccontare una storia che prosegue, significa dare una possibilità alla circolarità delle cose e permettere alla parola fine di avere un altro senso. Finisce una carriera, non un modo di essere, di vedere le cose: quello si reinventa da un’altra parte e continua a parlare lo stesso linguaggio.
Valverde che ha continuato a correre fino a 42 anni non è così diverso da chiunque, in un giro in bicicletta. Da quando si dice: “arriviamo fino a lì e poi torniamo” ed invece si va avanti e l’imprevisto è, se volete, una scusa per cercare altro divertimento. A noi viene in mente il ritorno di Valverde sul luogo della caduta alla Vuelta 2021, la precisione con cui ha ricordato il momento della scivolata, della caduta, del timore, per tutti, anche per lui e quel ritiro dolorante. Non solo nel corpo. Viene in mente il fatto che a 41 anni si potrebbe anche pensare di lasciare stare dopo un rischio simile, perché di rischi se ne corrono sempre tanti, ma a quarant’anni fanno più paura. Invece no. Un altro anno e poi un altro ciclo, la curiosità di vedere cosa si prova nel gravel.
L’Embatido è gravel per quello sguardo che ha sempre avuto in sella; qualcosa a metà tra il prendere in maniera maledettamente seria il pedalare ed il cercare un altro spazio che sia più leggero, più fantasioso. Eravamo a Innsbruck, al Mondiale da lui vinto nel 2018, e ricordiamo quello che ci disse un amico: “Don Alejandro ne ha fatta un’altra delle sue”. Ed essere gravel ha anche a che vedere con il “combinarne qualcuna”, affrontare uno sterrato e sentirsi a proprio agio, fare qualcosa di assurdo, magari anche pedalare fino a notte, cercare un luogo nuovo, magari scoprirlo, come da ragazzini quando si tornava a casa felici per aver visto un passaggio nuovo, salvo poi sapere che già tutti lo conoscevano, ma non importava, perché per te era nuovo.
Alejandro Valverde è gravel per il suo rapporto con le emozioni, per la capacità di farle trasparire sempre e di arrivare anche così dall’altra parte, dalla parte di chi guarda. È gravel il suo rapporto con il pubblico, con i tifosi, con le persone che, a ben guardare, possono essere anche loro gravel: se gravel significa condividere un tragitto, costi quel che costi, e uscirne a pezzi, ma interi o ricomposti. A pezzi per i muscoli, interi per ciò che ritorna nella testa quando il corpo fatica. Quella forma di felicità, di entusiasmo quasi originario.
Certo, saranno gare e si lotterà anche per vincere e pure lì Valverde sarà gravel, come tutte le volte in cui, magari, non ha vinto, però di lui si ricordano tutti, talvolta più che del vincitore. Essere gravel rientra in una certa modalità di fare le cose e pure nella memoria, nel ricordo che si lascia.
Con tutto questo, Valverde partirà per “Indomable” e per “The Traka”, un altro ciclo. Ciclo da circolare, da ciò che gira e rigira. Da ciò che cambia giro, ma non finisce. Alejandro Valverde, signore e signori.
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