Il TOR330 – Tor des Géants è un’avventura da percorrere a piedi, una gara di trail, un vero e proprio giro dei giganti, dove i giganti sono monti e montagne, altitudini verso il cielo settembrino della Valle d’Aosta. Sì, TOR330 è affine alle camminate e alle corse, eppure la mente degli esseri umani ha la capacità di cancellare confini, di ridisegnare mondi e adattarli a nuove fantasie: Fabio Caldaro, l’8 settembre 2024, ha realizzato questo disegno proprio tra i giganti e le loro difficoltà.


Alla partenza si è presentato in sella ad una mountain bike ed ha anticipato tutti pedalando, ovviamente fuori gara, con il desiderio di rispondere a una domanda che si faceva da tempo ed a cui non aveva ancora dato soluzione: «Mi chiedevo se fosse possibile percorrere in sella il Tor des Géants, restando all’interno delle 150 ore di pedalata. La risposta è sì, perché ce l’ho fatta, in 148 ore e 24 minuti, ma c’è una precisazione doverosa: non è cosa per tutti, non è facile e serve adeguata preparazione. Vi sono salite durissime, dislivelli complessivi che, in realtà, non si conoscono precisamente e questo accresce il fascino, ma che oscillano tra i 23000 ed i 29000. Di questi, se si pedala, almeno 19000 sono di portage, con la bicicletta in spalla. La verità è che in bicicletta le difficoltà di un sentiero aumentano sempre, a piedi, tendenzialmente, si semplificano».

A fare da cornice a questa avventura un meteo folle e pioggia su pioggia, acqua su acqua che inzuppa i vestiti ed i volti sin dalla prima mattina.
Il primo sonno per Fabio Caldaro sarà al rifugio Chalet de L’Epée, raggiunto all’una di notte, ma traumatico sarà soprattutto il risveglio. Pochi gli abiti che Fabio ha di scorta, per non appesantire la bici e quindi raddoppiare la fatica: la mattina i suoi vestiti saranno ancora fradici e così dovrà indossarli. La tosse che Caldaro svilupperà inizierà in quel frangente e si svilupperà nei giorni successivi, il terzo, ad esempio, quando la pioggia e la neve lo accoglieranno nuovamente, rendendo impossibile pedalare nelle discese e costringendo così a camminare con la bicicletta fra le mani, con il reggisella telescopico danneggiato. Saranno ore ed ore in cui proverà a sistemarlo, fino a quando si romperà, costringendolo ad una regolazione manuale. Una camera e sette ore di sonno, autoimposte, saranno l’unico modo di lenire le “ferite” prima del giorno successivo, quello dell’arrivo, con il sole ed un vento tanto forte a spazzare le vette.
Ce l’aveva fatta. «Ricordo il momento in cui indossavo le scarpe al mattino: il dolore delle fiacche mi faceva venire voglia di piangere. I muscoli non avevano davvero più nulla da dare, allora interveniva la testa, la mente. In queste circostanze capisci che la testa può salvarti, può farti continuare anche se sei svuotato. Si tratta di una consapevolezza importante che serve anche nella quotidianità». Nel frattempo sono accadute varie cose che, probabilmente, hanno a che fare con il vero motivo per cui Caldaro ha iniziato a percorrere TOR330 in mountain bike, perché il senso non poteva essere solamente in un numero.


Allora citiamo tutte le persone conosciute che hanno provato ad aiutarlo, lasciando una barretta, dando una mano in ogni modo, qualcuno offrendosi di portargli lo zaino al rifugio successivo: ha rifiutato perché voleva fare tutto da solo, ma ne ha memoria e sorride ripensandoci. Le persone sono state contente di vederlo fare qualcosa di diverso, insolito ed inusuale, e non è un caso, succede sempre così perché gli esseri umani si somigliano un poco tutti e apprezzano l’inventiva, il cambiamento, anche quando non hanno il coraggio di attuarlo.
«L’idea centrale era uno sprone alla condivisione dei sentieri di montagna da parte di pedoni e ciclisti, qualcosa che spesso fa storcere il naso, ma è il bello del vivere la strada. Il ciclista sui sentieri di montagna non è un intruso e non è nemmeno un impedimento, bisogna capirlo. Spesso sento dire dai pedoni che i ciclisti vanno troppo forte oppure transitano troppo vicino a chi cammina: può essere vero in certi casi e bisogna cambiare atteggiamento. Detto questo, però, spesso c’è anche una sorta di “gelosia” da parte del pedone, di mancanza di comprensione. In altri casi è vera e propria ignoranza. Chi va in bici non rovina i sentieri, anzi, talvolta i sentieri sono manutenuti proprio dai pedalatori. I ciclisti sono una risorsa anche per le nostre montagne».
In questo senso, la forza, l’incoraggiamento è nella contentezza della gente, nella voglia di parlare e di chiedere cosa si stesse facendo e perché lo si stesse facendo in quel modo. All’interno del Cai, Fabio Caldaro continua l’opera di sensibilizzazione, invita le persone a fare attività insieme, qualunque sia il mezzo che le accompagna e spera che in Italia ci si possa muovere sempre più in questa direzione, anche dal punto di vista turistico. Lui stesso sta già pensando di partecipare ad altri eventi in sella.


Qualche raccomandazione per questa convivenza non manca di segnalarla: «L’attenzione al sorpasso e al farsi sorpassare deve essere massima. Un inciso secondo me lo merita il discorso precedenze: passare, fermarsi e ripartire a piedi è più facile che farlo in bicicletta, per questo motivo credo sia necessario dare precedenza alle bici, al di là di chi la abbia effettivamente nel contesto preciso. Il rispetto dei sentieri e della velocità deve essere un dato di fatto, come il prestare attenzione agli animali ed ai cani che devono essere tenuti al guinzaglio e controllati per evitare incidenti, pericolosi tanto per loro quanto per gli esseri umani».

In tutta la soddisfazione, c’è anche spazio per un poco di delusione. Caldaro pensa a tutta l’immondizia, ai rifiuti che ha incontrato durante il tragitto: «Perché non si raccolgono? Se ho potuto farlo io, con venti chili di peso tra bici e zaino, cosa lo impediva agli altri camminatori o pedalatori? Non è bene per la natura questo e la natura è l’unica casa che abbiamo». Resta il ricordo del profumo di umido, del fango, del colore delle bandierine catarifrangenti, vere e proprie stelle della notte di TOR330. Questa è la strada della condivisione delle montagne.