Elogio al Vanderpoelismo
Ci risiamo e non ce ne voglia nessuno: gli altri pedalano, mentre Mathieu è il ciclismo. Tempo fa qualcuno lo definiva vanderpoelismo. Abbiamo esagerato? Esageriamo volentieri.
Lo state vedendo a questo Giro? Attacca ogni giorno. Non vince? Chi se ne frega. Oh Mathieu, Mathieu, scusaci per la confidenza, ma quanto ci stai facendo divertire?!
Oh Mathieu, Mathieu, oggi più passavano i chilometri e più prendeva forma una cosa che pareva impensabile. Al diciassettesimo giorno di gara, che poi fanno praticamente venti, stavi per vincere una tappa di montagna. Non avrai mica tra le tue doti persino il recupero? Non avrai mica strane intenzioni per il futuro? Provocazione che arriva da diverse parti: e se un giorno disegnassero un Giro per te (e van Aert)?
Oggi non hai vinto? È come se avessi vinto.
Ma che motore hai? Stai facendo ricredere gli scettici, quelli del "ma tanto viene qui, vince una tappa e torna a casa". Non è nel tuo stile, quello che ti ha insegnato nonno Poulidor. Come invece è nel tuo stile concederti sempre nelle interviste prima e dopo la gara; fermarti alla partenza a firmare autografi e a sorridere ai tifosi. L'altro giorno dopo la tappa di Torino abbiamo visti due ragazzini inseguirti letteralmente dietro le transenne. Correvano in ciabatte e urlavano "Mathieu, Mathieu!". Ti sei fermato. L'altro giorno sul Santa Cristina hai avuto la lucidità di impennare e sorridere. La gente dopo il passaggio dei primi aspettava quel momento.
È nel tuo stile prendere il manubrio e strapazzarlo. Generoso in fuga – pure troppo- oggi la rinfrescata arrivata sin dalla sera prima sul percorso sembrava farti volare sulle salite. Tu, un ciclocrossista, un cacciatore di classiche, con quei dorsali e quel peso, sembravi all'improvviso come fatto per scalare le montagne. Hai rischiato in discesa, dove hai costruito parte della tua tappa e dove hai rischiato di chiudere anzitempo la giornata. Hai salvato quell'errore in curva, ma non si capisce ancora come.
Oggi hai attaccato, scusa volevamo dire, anche oggi hai attaccato. Era una tappa di montagna e pensavamo rimbalzassi all'indietro. “Indovinate chi c'è in fuga anche oggi?”. Ormai il ritornello all'ora di pranzo quando si cerca di capire chi è scattato e chi è davanti. La tua maglia verde con casco bianco e l'inconfondibile sagoma è sempre lì a prendere vento in testa al gruppo. Pensavamo fosse un altro dei tuoi tentativi "tanto per dare spettacolo". E invece.
Hai dato spettacolo, ma hai rischiato pure di portare a casa la tappa. Mica una qualunque. C'era una salita col nome fantasy, Menador, con una vista impagabile sul lago, Caldonazzo, c'erano le rocce che sfioravano la testa dei corridori e ammaccavano i camper dei tanti tifosi saliti fin su.
Ci hai provato e ti sono mancati pochi chilometri, ma chi se ne frega, dai.
Al traguardo erano tutti senza parole, un gruppo di giornalisti sudamericani si è scaldato quando ha visto partire Buitrago, degno vincitore oggi, eppure anche dentro di loro è rimasto quel piccolo rimpianto per non averti visto davanti a tutti sul traguardo. Oggi, Mathieu, non hai vinto. Domani, Mathieu, cascasse il mondo, ci riproverai.
Mutazioni sensibili
Muta il cielo sopra di noi, sembra più vicino più in alto ti spingi. Muta il paesaggio sotto i nostri occhi, muta al passaggio dei corridori. Estensioni di campi a perdita d'occhio, cime da verdi a innevate. Gente, sempre. Striscioni, una costante.
Mutano le bici, quelle di tre ragazzi appassionati di ciclostoriche sono degli anni dei pionieri: «una volta esistevano solo tre marce: in sella, fuori sella e piede a terra» raccontano.
Muta la montagna valdostana attorno a Cogne, con i suoi giacimenti minerari. Sembra friabile e dà il via all'arte dei lauzeurs. Avete presente la particolarità dei tetti sulle case in Valle d'Aosta? Ecco. Posatori o copritori, da queste parti dicono “la montagna portata sui tetti”.
Muta l'atteggiamento del gruppo, un essere complesso composto da unità multiformi.
Muta il Giro che esplode in una tappa di mezza montagna e invece quando arriva in montagna dorme un sonno leggero, ma complicato.
Muta la forma di Giulio Ciccone, muta il suo Giro, ma non dovrebbe mai mutare la sua indole d'attaccante. Un cambiamento strano perché ritorna a quello che era in origine, un corridore in fuga, dalle gambe nervose. Da tappe in salita, da vittorie in solitaria.
Muta la sua tappa, entra in fuga, insegue, e poi la spacca. Attacca: non c'è mai nessun modo per essere Ciccone. Muta la corsa. Non per gli attaccanti. Loro non mutano mai.
Non muta, finalmente, per Ciccone. Ha cambiato ed è tornato. E ora, magari, non cambierà mai.
Uomini di mondo
Potenza e fantasia
Ci voleva estro, un colpo di fantasia per farsi piacere la tappa di oggi. Ci voleva potenza per sfuggire al piazzamento su quel rettilineo dove una bava di vento ogni tanto portava refrigerio all'ennesima giornata calda. Perché più sali verso il nord e più pare di soffocare, l'asfalto ribolle e i corridori in gruppo hanno di che temere: contro queste temperature non c'è riparo. Nemmeno se freni o corri veloce. Niente.
C'era bisogno di furbizia, o chiamatela sapienza. Conoscenza delle leggi della fisica: prendere la scia giusta e saltare gli avversari stremati verso il traguardo in una delle tappe più veloci della storia del Giro. Ci voleva in fondo, un po' di fondo, di velocità, scaltrezza e doti non comuni.
Ci voleva senso del dovere e passione per seguire una tappa pianeggiante, noiosa, quasi spocchiosa e inefficace, ma il Giro è anche questo, strappa applausi e sbadigli: per chi lo segue in gara è attraversare città, colline, costeggiare il mare, salire passi e infilarsi dentro centri storici; per chi lo segue per strada è aspettare il gruppo che passa per pochi secondi, applaude e poi scompare nei portici come succede a Forlì verso l'ora di pranzo. Si chiama passione, oppure curiosità.
Ci voleva estro per diventare un grande scalatore nascendo sul mare. Siamo partiti, con la nostra giornata Alvento, da Cesenatico. Doveroso. Ieri a salutare Scarponi a Filottrano, oggi a rendere un omaggio a Pantani.
Ci voleva coraggio, o le leggi del gruppo che ti mandano in fuga sapendo come il tuo destino sarà quello delle prede coscienti di essere braccate: così per Rastelli e Tagliani. La legge del gruppo che poi è la legge del regno animale da cui evade, con estro, Dries De Bondt scatenato: per un attimo ha pensato persino di farcela, per spingere più forte, quando si voltava dietro e vedeva il gruppo, quella vaga e incomprensibile macchia multiforme, si sarebbe appoggiato sul manubrio persino con i denti. Avesse potuto.
C'è voluto un rettilineo, qualche sbandata, un treno, un rallentamento, qualche gomito e poi una volata. Ci voleva Dainese a farci saltare sulla sedia: «Ha vinto Gaviria! Ha vinto Bol! Ma no ha vinto Dainese!» Che è spuntato da dietro all'ultimo, all'improvviso. Con le doti di chi sa scrivere un finale ma troppo spesso gli è rimasto sulla punta della penna.
«La volata è venuta fuori un po' così» ha raccontato con quel suo fare sempre umile e costante, a fine gara, lui che diceva a inizio stagione che se non avesse vinto avrebbe iniziato a pensare a fare altro. Ad esempio il pesce pilota. Oggi il suo pesce pilota è stato Bardet.
Di gran carriera, Dainese, per una gran carriera, lanciata da lontano come una volata. Fatta con potenza e fantasia, ideale per farsi piacere una giornata piatta, calda e veloce, come quella di oggi. E alla fine godereccia come la bella Reggio Emilia.
Forti e gentili
Forte e gentile si dice così degli abruzzesi e te ne accorgi dalla quantità di gente che ti ferma su Passo Lanciano e ti stringe la mano. Ti raccontano di tutto: chi del suo passato da ciclista, chi di quando correva contro Ciccone da bambino, chi della propria squadra del cuore, chi ti spiega nel dettaglio tutti i versanti per arrivare in cima alla Majella.
Ti parlano delle differenze esistenti tra un versante per arrivare in cima al Blockhaus e l'altro; chi ha vinto dove e quando. "Da lì vinse Merckx", "Qui su vinse Basso". "Lì, Di Luca fece il diavolo a quattro contro Menchov. E se c'era ancora un chilometro, il russo quel giorno sarebbe tornato a casa con una gamba su e una giù".
Ti offrono birra, vino e arrosticini e se la prendono nell'intimo se osi di dire di no, anche se gli spieghi che ne hai mangiati una decina prima arrivando su: "ma provate questi che sono più buoni, anzi se stasera andate giù a Pescara... quel signore lì, lo vedete? ha un ristorante dove fanno gli arrosticini più buoni di tutto l'Abruzzo".
I nomi pure da queste parti, sono forti e gentili: Lettomanoppello, Pretora, Roccamorice. Da lì partono i versanti per arrivare in cima alla “Montagna Madre”. Venerata e adorata dagli abruzzesi.
In cima a Passo Lanciano aprono la strada centinaia di amatori. La bicicletta prende possesso della montagna e unisce. Un gruppo di ciclisti di diverse parti d'Europa fa amicizia e si ferma a un ristoro e dopo qualche ora sono ancora lì con il tavolo pieno di birre vuote e rimasugli di porzioni di arrosticini. Mauro, cuoco di uno dei rifugi in cima ci apre le porte della sua piccola cucina dove prepara da stamattina presto la carne nei tipici bracieri a canalina. Si ferma a chiacchierare e non sa dirci quanti arrosticini ha già cucinato in queste ore: «Di gente ne è venuta tanta, ma speravamo anche qualcosa in più, purtroppo però già da ieri han chiuso le strade: qui d'inverno vengono così tante persone a sciare che le macchine sono parcheggiate una sopra l'altra». Con il suo accento abruzzese, forte.
Forte, molto forte, oggi è stato Diego Rosa. “Gamba paurosa” dicono i tifosi che attendono il suo arrivo cercando di capire da smartphone e tablet quanto manca al passaggio. Prova la fuga da solo, poi in compagnia, vuole la maglia azzurra. Quando la fuga si spacca lui la riprende. Quando Tesfatsion in fuga con lui cade, non si turba. La sua sorte è segnata, ma va bene così, ci saranno altre volte in questo Giro dove mostrare la sua forza, il suo viso, dai lineamenti così gentili.
Porca Majella, ti viene da dire poi, ripetendo divertito uno striscione e osservando poi il gruppo dei migliori riprendere Rosa e salire verso l'arrivo del Blockhaus. Porca Majella, gustosa, grondante fatica come quei pezzettini di carne infilati in un lungo stuzzicadenti che i ristoratori offrivano persino ai ciclisti che assiepavano la terribile salita abruzzese. «Prendine uno! Prendine uno!», urlavano.
Forte e gentile, il viso di Pozzovivo: lasciateci dire di quanto forte è andato. Ha un'età che potrebbe fare tutt'altro eppure resta lì a soffrire. Va su tutto storto che ti chiede come faccia. La risposta è semplice: è Pozzovivo. Forte è Nibali, che si salva pochi giorni dopo aver annunciato l'addio al ciclismo. Mentre Landa, Carapaz e Bardet, forse i più forti oggi di questo Giro, giochicchiano un gioco tirato all'estremo, si passano la palla senza andare a rete. Forti, loro sin troppo gentili, forse potevano osare di più.
Forte e poco gentile il caldo per tutta la tappa, Yates lo soffre, salta e si stacca, all'arrivo si accascia come tramortito sulle transenne, mentre una calca di persone attorno cerca di capire il perché. Come poi fosse facile per un corridore dare una risposta di questo genere.
Almeida fa un gioco strano, brutale, è forte ma non appare mai gentile in bici nonostante quegli occhi che intorno sembrano sempre aver un filo di matita come a rendere più morbidi i suoi lineamenti. Si stacca e poi rientra, sembra saltare e invece resta lì come se dovesse fondere il motore da un momento all'altro: resisterà fino alla fine del Giro andando così?
Juanpe Lopez è la scoperta. Sia come corridore forte che come corridore gentile. Forte: salva la Maglia Rosa per pochi secondi; gentile come le sue parole a fine tappa: «Voglio scusarmi con Oomen per avergli tirato una borraccia. Lui mi ha fatto andare fuori strada e ho perso la testa per un attimo».
Due parole poi su Hindley, forte e gentile: non poteva che essere così, lui il più abruzzese di tutti gli australiani che vince in quella che è stata una terra che per un periodo lo ha visto crescere come ragazzo e corridore.
E domani riposo per la carovana. Sulla Majella orsi e lupi stanno nascosti mentre il sole viene coperto da nuvoloni grigi. Il ristoro del ciclista erano birra e arrosticini. Il riposo della grande montagna segna la fine di un'altra lunga giornata al Giro d'Italia.
Su a Viggiano tra le foglie
Per arrivare a Viggiano da Diamante, tagliando - si fa per dire - per la strada che porta verso le Grotte del Romito e poi per il Parco Naturale del Pollino, non è facile come sembra dalle indicazioni studiate con attenzione certosina e riportate poi su Google Maps.
Chi guida - che non è chi scrive - ha la situazione sotto controllo, i passeggeri - tra cui chi scrive - , maledicono invece il momento in cui hanno preso un'arancia dal fruttivendolo. Quel frutto così gustoso in un primo momento, decide di fare su e giù nello stomaco a ogni curva, buca, tornante.
Interessa poco al racconto della corsa, è vero, ma è importante per capire che, prima o poi a Viggiano, per seguire il passaggio del Giro d'Italia, ci siamo arrivati veramente. E se lo scriviamo è perché non sembrava di fatto così scontato. Abbiamo attraversato zone che lasciavano a bocca aperta, dove il verde intenso della macchia calabrese (se uno decidesse di "darsi alla macchia" qui probabilmente non lo ritroverebbero più) a un certo punto lasciava spazio alle infinite vallate della provincia di Potenza. Una sorpresa. Alpeggi, borghi mozzafiato appesi alle montagne che ricordavano le biciclette colorate di rosa che avevamo visto penzolare da alcune finestre poche ore prima dalla partenza di Diamante.
Quando si arriva Viggiano, in paese, la luce si fa forte, gialla come nascosta da una lente color limone. Gruppi di persone salutano, bambini vestiti di rosa battono le mani e urlano, scritte ovunque per l'idolo lucano: Domenico Pozzovivo.
Su, invece, sulla Montagna Grande di Viggiano (che da ora in poi chiameremo per semplificare semplicemente Viggiano), situata a circa sessanta chilometri dall'arrivo, una bella salita; strada larga, ben asfaltata e con tratti di pendenza davvero infidi. Da fare in bicicletta. La luce fatica a passare in mezzo al verde degli alberi - e a dire il vero anche il segnale di ogni compagnia telefonica: un paio di ore, per noi, di totale black out in attesa del gruppo.
Ma su a Viggiano abbiamo dato un senso a tutto vedendo i corridori passare al massimo del loro sforzo, mentre comandavano perfettamente la loro arte. Davide Formolo appariva bello in viso, prendeva una borraccia dal primo massaggiatore, rifiutando quella offerta dal secondo pochi metri più avanti: segno di freschezza o poco lucidità? Vedendo il finale di gara di Formolo, che quella fuga l'ha portata via convinto, scegliamo la prima ipotesi. Ha osato troppo nel finale, forse, è vero, ma verso Potenza è stata una lotta anche di nervi e di attimi. E lui ha scelto le sue armi migliori: grinta e rapportone.
Dumoulin, con i suoi labbroni e il naso ingrossato da occhiali e fatica, comandava quel gruppo di fuggitivi: conosceva già la sua sorte personale e quella poi vincente del compagno di squadra Bouwman? Villella zigzagava, segno di fatica estrema. Buttava via la borraccia, che come altre raccolte dal ciglio della strada era piena, probabilmente calda, caldissima, e quasi si fermava per prenderne un'altra fresca. Ulissi, in quel tratto di forte pendenza, chiudeva invece il gruppo della maglia rosa. Rosso in viso, chiedeva a gran voce: "avete acqua?".
Su a Viggiano un tifoso francese quasi fermava l'ammiraglia della Groupama: «Merci Démare! merci Démare!», gridava scalmanato. Su a Viggiano, Cavendish, invece, malediceva il gruppetto - la rete. «State andando forti come se fossimo in una c**** di fuga! Se volevate andare così potevate stare davanti!».
Su a Viggiano bastava un urlo, una serie di "alè alè alè" per dare forza ai corridori che ringraziavano. Giù a Potenza, invece, Koen Bouwman batteva Bauke Mollema e Formolo, specialisti delle evasioni in giorni duri. Da oggi anche Bouwman si scrive al circolo; ricorderà la luce fioca che passava tra le foglie e quello strano silenzio interrotto solo dalle urla di qualche tifoso. Su a Viggiano è andata proprio così.
Nibali, borracce e ragazzini, in una calda giornata siciliana
I ragazzi dietro le transenne che urlano "borracce! borracce!", più che chiederle sembra che stiano trattando i prezzi al mercato, per il modo, la cadenza da venditori smaliziati, per quell'insistenza che è l'insistenza ingenua e tipica che si ha quando si è giovani.
Scene di un ordinario Giro d'Italia che se le racconti sembrerebbe di sfociare nella finzione. Come i due bambini senza casco che in zona pedonale sfrecciano su uno scooter che dal rumore pare elaborato.
Stanno inseguendo Lennard Kämna - ci stiamo ancora chiedendo cosa ci facesse la maglia azzurra in via Loggia dei Mercanti a fine tappa. Kämna si gira e gli passa una borraccia come di solito l'ammiraglia la passa al corridore.
Messina è questa. Calore e passione. Tifo sfrenato per Vincenzo Nibali che dopo la tappa si commuove annunciando il ritiro a fine stagione: «È arrivato il momento di restituire alla mia famiglia tutte le ore che ho dedicato al ciclismo». Ha scelto la sua Messina per dirlo, oltre che gran corridore, mossa da narratore navigato.
Quella Messina dove sua sorella stamattina nella cartoleria di famiglia sorrideva, timida, riservata, e ci raccontava quasi con un filo di voce: «È una cosa bellissima quella che ci fa vivere Vincenzo, ma – sorride - è anche un po' stressante». Sulla parete dietro la cassa una foto con Antonio e Vincenzo, e poi la maglia gialla incorniciata. C'è anche Manuel, il nipote di Vincenzo, sta seguendo l'inizio della tappa sul computer nel retro del negozio.
La Messina di Nibali è quella di Salvatore "il re degli arancini", un fiume in piena che ci racconta di quando il corridore siciliano girava in bici fin dentro la sua rosticceria: «Faceva avanti e dietro e non se ne andava finché non gli davamo un arancino».
La Messina dei tifosi è quella di altri due ragazzini, hanno la tuta e lo zaino del Team Nibali e fanno foto a ogni ammiraglia che passa accompagnando tutto con un “olè!”.
Messina oggi non è stata né di Cavendish né di Ewan, ma di Démare, che si sfilava in salita con intelligenza, soffriva come può soffrire un velocista in salita, ma lo faceva per non perdere un filo di energia. Rientrava mettendo subito i suoi a tirare e poi battendo tutti sul rettilineo controvento di via Garibaldi.
Messina è quella del signore che ci racconta di suoi figlio che ha corso in una squadra toscana per qualche anno: «Ma costava troppo, le trasferte, la bici... sapete quanto l'ho pagata la sua Colnago? Cinque milioni di lire, e quando ha voluto mollare gliel'ho tagliata in due».
Ciclismo, passione, e un po' di follia: siamo in Sicilia, non potremmo che definirla trinacria. A fine giornata il sole batte ancora forte sulle nostre teste e sullo sfondo si vede la Calabria, da dove domani la carovana riprenderà il suo viaggio.
Per una bicicletta
Il distacco tra Biniam Girmay e la Maglia Rosa più che in qualche decimo lo si potrebbe quantificare in biciclette. Una? Forse "una bicicletta e un po'", direbbe qualcuno, per dare un'idea più precisa alla misura. Girmay ci è andato vicino.
Era diviso il pubblico, tra lui e van der Poel, perché poi finisce sempre così, per quanto si vogliano salvare le apparenze, per quanto non si voglia perdere di vista il fatto che "nel ciclismo si tifa tutti, altrimenti finisci per non godertela". E allora c'è chi urlava: "Vai Bini!", e chi: "Vai Mathieu!"
Mancavano veramente pochissimi metri al traguardo per il sogno dell'"History Maker" come lo definisce sui social la sua squadra, l'Intermarché-Wanty-Gobert, ma poi vince van der Poel e va bene lo stesso.
Sorride Bini Girmay dopo essere rimasto accasciato vicino le transenne. «Deluso? Per nulla! È un grande risultato». Sorride mentre indossa la maglia bianca di miglior giovane a fine tappa.
Sorride in foto con Mathieu van der Poel. «È stata la volata più dura della mia vita, ma ci riproverò già domenica».
L'History Maker ha segnato il Giro 2022 come passaggio obbligato: vuole trasformare il suo universo attraverso una bicicletta. «Voglio diventare il primo nero africano a vincere una tappa in un Grande Giro» diceva nei giorni scorsi.
Si dice pronto a prendersi sulle spalle un intero continente, mentre un'intera nazione è diventata matta per lui: «Nel calcio i giocatori africani sono tra i migliori al mondo, nel ciclismo siamo ancora lontani, ma io voglio essere un esempio. Perché vincere una tappa in un grande Giro potrebbe essere da impulso alle nuove generazioni».
È stata una bicicletta di distacco a impedirgli di fare la sua ennesima rivoluzione, ma di certo non a impedire di parlare di lui. E di occasioni ne verranno ancora, e ancora, e ancora.
I colori di Mathieu van der Poel
Aspettavamo il Giro e aspettavamo Mathieu van der Poel come si attende sempre qualcosa di bello, lui - van der Poel - senza esagerare troppo, accelerando nel momento giusto, quello sì, è arrivato. Ha fatto sentire il rumore che fanno le sue gambe liberando potenza come un motore a quattro cilindri, e ha deflagrato.
Avete presente quel rumore? Chiedetelo a Girmay, Ewan, Bilbao, Kelderman che si sono visti superare dall'onda verdina della nuova maglia che sulle spalle di van der Poel è durata poco. Lo spazio di poco meno di 200 km: da domani sarà in rosa.
Aspettavamo anche Girmay è vero, c'è mancato poco. Sarebbe stata una storia interessante da raccontare, ma ce ne sarà l'occasione. Ha chiuso vincendo la Gent-Wevelgem, ha ripreso sfiorando la prima tappa del Giro - sì è vero in mezzo ha corso a Francoforte, ma tant'è.
Abbiamo atteso a lungo. Chiacchierando con amici, conoscenti e parenti e guardando distrattamente la fuga di giornata: erano Bais e Tagliani.
Abbiamo visto il Danubio oggi con tonalità sul verde. Abbiamo sorriso al folclore di diversi tifosi, cavalli, amazzoni e cavalieri che correvano di fianco al gruppo, abbiamo visto campi di colza, ottimi per scatenare api e fotografi.
Arrivava il traguardo sul Castello di Visegrád e quel traguardo lo guardava da lontano Lawrence Naesen, che vuoi per un gioco di prospettiva, vuoi per le pendenze che via via progredivano, pareva non riuscire ad avvicinarlo in nessun modo, nemmeno cambiando rapporto. Quel traguardo lo guardava da vicino Kämna, pareva il momento giusto. Niente, scartato.
Poi sono scattati. Fine dell'attesa a meno di un chilometro alla fine, curvi sulle loro bici con lo striscione che man mano sembrava farsi sempre più grande in faccia ai corridori. E mentre gli altri parevano attaccati con la forza, persino con i denti, alle loro biciclette, Mathieu van der Poel li superava, pareva ciclismo.
Aspettavamo van der Poel colorato di verde. Da domani e chissà, magari fino in Sicilia, lo troveremo colorato di rosa. Il colore del Giro d'Italia.
Il Monumentale del Giro 2022
Avremmo potuto iniziare con un copia e incolla del pezzo sul Giro del 2021, d'altra parte la storia si ripete. Puntuale, imperterrita, spesso cinica e brutale, come il ciclo della vita o più nello specifico delle stagioni. Semplicemente un susseguirsi di azioni. Come fosse su due ruote. Come la bicicletta: quella che ci fa innamorare e ci fa chiacchierare durante l'anno come fosse la cosa più importante e seria del mondo (a tratti, lo è). Quella che in questo periodo dell'anno abbiamo ricominciato a prendere in mano con più abitudine e costanza, prima pochi chilometri da mettere nelle gambe, poi giri sempre più lunghi.
La bicicletta, che poi diventa ciclismo, che qui in Italia, inevitabile, diventa Giro d'Italia. Una volta all'anno. A qualcuno basta così, altri ne vorrebbero ancora, ma ci rivedremo a fine corsa per tirare le somme.
Avremmo potuto iniziare con un copia e incolla e ripetere le stesse battute. Sull'attesa, sulle birre bevute al Nord che lasciano spazio alla cucina italiana. Oppure avremmo potuto raccontare qualcosa sulla storia di questa corsa che partirà domani da Budapest per l'edizione numero 105. Avremmo potuto approfondire un po' di geografia parlando di territorio e di Ungheria.
Già l'Ungheria. Vestita di rosa da giorni, quel rosa che macchierà poi in maniera indelebile la passione dei tifosi lungo le strade italiane. Territorio e quindi Sicilia, dove ci si aspettano folle oceaniche, o meglio mediterranee, e poi si arriverà fino in Veneto, attraversando tutto la Penisola e noi con loro, in fila, di seguito, oppure davanti, lo vedremo giorno dopo giorno, lo scopriremo assieme.
Avremmo potuto romanzare e lasciarci andare al flusso dei pensieri, ma a noi, in questo pezzo, interessa più che altro concretizzare le sensazioni percepite che girano intorno ai corridori. Le loro gambe, le loro energie, il loro storico. Analizziamo i favoriti, i pretendenti, i partecipanti (quasi) dal primo all'ultimo; e in parte citiamo anche gli assenti, e partiamo proprio da loro, o meglio da lui.
Mancherà come purtroppo accade spesso nella "nostra corsa", il campione uscente, in questo caso Egan Bernal. Un terribile incidente quest'inverno ha letteralmente rischiato di spazzarlo via dal mondo del ciclismo, lui invece si è rialzato in tutti i sensi, cammina con un bastone, ma, grazie al progresso della scienza più che alla magia (anche se quel gusto irreale quando si tratta di Colombia rimane), a fine mese potrebbe tornare in gara, lui che in gara ha rischiato di non tornarci più.
La sua assenza ci fa male (per correttezza specifichiamo che avrebbe partecipato al Tour e non al Giro), ma gli vogliamo così bene da avergli dedicato la premessa. Tanto tornerà, siamo sicuri.
Ora, però, lasciamo da parte Bernal e i sentimenti: è tempo di conoscere i presenti al via del Giro d'Italia numero 105.
UNA ROSA QUANTO MAI APERTA
Edizione senza un favorito assoluto, ma un bel numero di corridori che, più o meno, partiranno con simili prospettive. Iniziamo da chi questa corsa l'ha già vinta e che anzi, vista l'assenza citata di Bernal e quella (meno sentita, non ce ne voglia il simpatico ragazzo londinese) di Geoghegan Hart, è l'ultimo vincitore del Giro d'Italia tra i partecipanti: Richard Carapaz, che di Bernal e Geoghegan Hart, oltretutto, è anche compagno di squadra.
Si è visto poco, ma lo si teme molto, lui Campione Olimpico, lui sì, al via col dorsale numero 1; stagione di alti e bassi, ma soprattutto di malanni, fattore numero uno nel condizionare il rendimento dei corridori in questo 2022.
Quando è stato bene ha vinto. Per esempio alla Volta Catalunya lo ha fatto portando la giustizia ecuadoriana in maglia Ineos su quella terra, attaccando da lontano con (il quasi connazionale) Higuita. Se ne sono andati facendo saltare in aria la breve corsa a tappe spagnola. Ecco, da considerare proprio questo: Carapaz sa vincere, sa inventare, sa stupire. Ama scoprire i punti deboli degli avversari e insinuarcisi dentro come uno di quei malanni che lo hanno colpito. Può trovare una fetta di terra e farla sua mentre gli altri magari vittime del morbo dell'attendismo stanno ancora discutendo di ciò che si potrebbe fare e di ciò che si è fatto. Anche nel momento in cui non dovesse avere la migliore condizione, il corridore ecuadoriano avrebbe comunque la capacità di dare sfogo alla sua idea fatta di attacchi mai banali. Il percorso, poi, tortuoso, infido, ricco di trabocchetti gli si addice. Largo alla fantasia, largo a Ricky Carapaz.
La squadra è forte? No, a tratti è fortissima. Questa primavera si è dibattuto su una Ineos interessata, per la prima volta nella sua storia, più verso le corse di un giorno che quelle a tappe: niente di più sbagliato. Si è detto, scritto, che un cambio di rotta orientato alla classiche sarebbe stata un'intuizione data dalla presenza di un corridore che a oggi appare imbattibile - ma non esiste nessun corridore imbattibile, paradossalmente non lo era nemmeno Merckx - ovvero Pogačar. I risultati primaverili invece sono stati il risultato della capacità di sfruttare pienamente le enormi risorse a disposizione della squadra - altrimenti come vogliamo definire chi ha nella propria rosa corridore affermati come Kwiatkowski e van Baarle, può giostrare a piacimento il motore di Ganna e il talento di Pidcock, o lanciare due giovani come Sheffield e Turner? Capitalizzare, non ribaltare la propria filosofia e negare i concetti seguiti per un decennio.
All'entità Ineos interessa vincere tutto, senza distinzioni. Il fatto stesso di aver pensato a Bernal per lanciare la sfida allo sloveno al Tour dovrebbe far tacere le voci di una squadra britannica remissiva contro le armi di Tadej Pogačar, ma stiamo perdendo il filo come spesse accade. Non ci fossero dei limiti alla decenza apriremmo una parentesi dietro l'altra. Ci perdonerete.
E dunque torniamo in medias res: la Ineos al Giro è competitiva e costruita perfettamente per dar fuoco se ce ne fosse bisogno, per controllare in altri casi, per dominare in maniera assoluta se e solo se il ciclismo si giocasse sulla carta e non avesse poi a che fare con i verdetti di strada e gambe. Diteci voi, leggendo i nomi, se questa squadra appare come meno orientata ai Grandi Giri: Pavel Sivakov e Richie Porte saranno un lusso che pochi altri si possono permettere e che resteranno in zona classifica il più a lungo possibile. C'è qualcosa che devono temere: le cadute. Devono stare in piedi, cosa mai banale quando si parla di loro, cosa mai scontata quando di mezzo c'è una corsa così importante - occhio già all'imbocco della salita di Visegrád e alle tappe di Messina e Napoli.
Ben Tulett farà il suo esordio in una grande corsa a tappe, tenete presente questo nome. Dovesse proseguire sul filo tirato in queste settimane dagli altrettanto giovani Turner ('99) e Sheffield ('01), potrebbe stupire. Adatto alle corse vallonate, nelle sua gambe c'è l'idea di fare classifica un giorno in un Grande Giro. È qui per imparare e fare esperienza. Ci sarà Jhonatan Narvaez, che una tappa al Giro l'ha già vinta, ottima primavera la sua fino alla caduta alla Gent-Wevelgem che ne ha messo a repentaglio la sua presenza qui. Corridore tuttofare perfetto per la causa. E poi, a dimostrazione dell'importanza data alla corsa, è presente il loro miglior gregario in assoluto, Jonathan Castroviejo, che probabilmente rivedremo anche al Tour, e con lui Salvatore Puccio: la sua utilità non ha bisogno di essere narrata.
Infine Ben Swift che si ritaglierà un ruolo simile a quello di Narvaez: tuttofare da pianura e per le prime trenate in salita. Vedremo come diceva un fortissimo corridore italiano degli anni '90 che non aveva la sfera di cristallo, ma lasciava sempre attoniti i suoi interlocutori con questa espressione. Vedremo, perché il ciclismo, si sa, resta un gioco liquido adattissimo a stracciare tutti i pronostici e a farsi beffe di coloro che ci si sono cimentati.
Nessun favorito assoluto, dunque, nemmeno Carapaz al via con la squadra sulla carta più forte, in coabitazione con la Bahrain-Victorious. Bahrain-Victorious che punta tutto su Mikel Landa. Lo spagnolo, celebre fondatore di quel movimento culturale chiamato Landismo, che noi attendiamo sul gradino più alto del podio - noi generico, noi tifosi, perché si sa, difficile non amarlo, nonostante la pletora di odiatori per vocazione a cui mandiamo i nostri saluti - che anzi più che aspettarlo saremmo capaci anche di spingerlo su quel gradino più alto. Ma ci accontenteremo di vederlo scattare in salita con le mani basse sul manubrio e fare la differenza lì, dove osano gli scalatori. Terreno ce ne sarà in abbondanza.
E se questa non sarà l'ultima chiamata per conquistare il Giro d'Italia, poco ci manca, inutile girarci attorno. Poi si sa, quando si tratta di Landa ci sono i fantasmi delle cadute, gli spettri della crisi, gli zombi del ritiro in corsa per un qualsiasi motivo. Quest'anno Landa avrebbe tutto per vincere - tanta salita e poca crono, forma (della vita?) - alla Liegi corsa per Teuns ha mostrato una gamba straripante, - squadra di grande livello. In poche parole: forza Landa è arrivato il momento!
Pello Bilbao sarà la sua spalla fidata, un amico che non ti molla nel momento di difficoltà, sarà il perfetto sostituto nel caso di débâcle del capitano. Sarà anche uno che, vista la condizione palesata nel 2022, potrebbe anche andare a caccia di una maglia rosa nelle prime tappe - chissà magari sull'Etna - e poi tenere duro in classifica. Vedremo, anche stavolta detto con la flemma di Gianni Bugno.
A sostenere i due baschi Wout Poels e Santiago Buitrago: il primo, olandese, d'esperienza, il secondo, colombiano, di freschezza. Poels spesso ingiudicabile per alti e bassi, quando è in giornata resta uno dei corridori più completi del gruppo quando la strada sale - e chissà dovesse essere un Giro freddo, lui che ama il freddo, potrebbe fare decisamente comodo ai suoi. Il secondo sarà perfetto per scandire il ritmo in salita e chissà che non possa anche cercare di vincere una tappa. Jan Tratnik non ha bisogno di presentazioni. Primavera eccezionale la sua, gregariato con i fiocchi (nel suo caso con i baffi e la barbetta), ma andrà anche a caccia di successi parziali, infine Jasha Sütterlin e Domen Novak a far fatica più o meno di nascosto.
Terzo, in ordine di preferenza per chi scrive, João Almeida (UAE-Team Emirates). Apparso non sempre al meglio in stagione, Almeida è un corridore che prima o poi il segno finale sulla maglia rosa lo lascerà. Dopo i 15 giorni con l'effige del leader stampato addosso nel 2020, e la terza settimana in crescendo del 2021 - in coincidenza con il ritiro dalla corsa di Evenepoel - Almeida ha puntato tutte le sue energie fisiche e mentali sul Giro 2022. Avrebbe sicuramente preferito qualche chilometro in più a cronometro, ma ogni traguardo (anche le tappe vallonate), vedrà il suo nome spuntare nelle prime posizioni. Già migliorare lo storico delle sue prime partecipazioni (4° e 6°) significherebbe salire sul podio: mica male! Attorno a lui Davide Formolo che ormai ha messo da parte velleità di classifica, ma sarà utilissimo alla causa, mentre per far sentire a casa il proprio capitano l'UAE dispone di due portoghesi pronti a dare una mano al capitano: Rui Costa in salita e Rui Oliveira in pianura.
Con pensieri di alta classifica c'è Simon Yates - Team Bike Exchange - lo scorso anno lo inserimmo ingenuamente come favorito della corsa in quanto usciva da un Tour of The Alps scintillante. Quest'anno arriva tra alti e bassi (vittoria di tappa alla Parigi-Nizza, due successi di tappa nel recente Giro delle Asturie, ma in mezzo qualche battuta d'arresto anche lui per problemi di salute più che di condizione), ma il Giro 2022 è il suo grande obiettivo stagionale, forse di carriera. C'è spazio, con tappe miste e diversi arrivi in salita, per far emergere le sue qualità. Non dovesse riuscire a vincere (o ripetere il podio del 2021), di sicuro un modo per lasciare il segno lo troverà provando a conquistare di nuovo qualche tappa (è a quota 4).
La squadra è tutta per lui, non fortissima, ma funzionale: segnaliamo su tutti Matteo Sobrero che sogna la crono di Budapest, Tanel Kangert, tantissima esperienza anche di posizionamento finale nella classifica generale, e Lucas Hamilton, che arriva da una stagione difficile, ma un paio di stagioni fa, almeno a tratti, sembrava potesse diventare corridore per i Grandi Giri. Il suo oggi, invece, sarà tutto da ricostruire, ma soprattutto sarà rivolto agli obiettivi Rosa di Simon Yates.
PRINCIPALI ALTERNATIVE
I quattro favoriti, in ordine, li abbiamo messi, ma non ci saranno mica solo loro. Romain Bardet per la DSM, dopo la vittoria al Tour of the Alps vorrebbe riportare la Maglia Rosa in Francia a 33 anni dell'ultima volta (Fignon, 1989). Va forte e le strade italiane sono perfette per lui. Ideale il disegno con poca crono gli piace e chissà, arrivasse pure il brutto tempo, sarebbe uno capace di esaltarsi. Tuttavia ha già specificato, nemmeno troppo tra le righe, che dovesse capire di non poter lottare per il podio, potrebbe puntare solo alle tappe. In DSM un'alternativa c'è, ed è forse uno dei corridori che affascina maggiormente in questo Giro d'Italia: Thymen Arensman. Il lungo che pare infinito scalatore olandese classe 1999 è corridore così completo da far paura per il presente e per il futuro. Regolare, anche difficile da staccare, dovrà stare attento a non cadere. Anche lui, che arriva dal ciclocross, tende troppo spesso a finire per terra.
Dalla Colombia con l'Astana ecco Miguel Ángel López, corridore indecifrabile come tanti, è vero, ma lui lo è in particolare, forse è l'emblema, il termine massimo. López che per mezzi tecnici e picchi di prestazioni (a volte va forte persino a cronometro!) ci stupisce non abbia ancora vinto un Grande Giro, ma è López e ci piace anche così. Potrà essere ago della bilancia della corsa, dovesse, per i soliti motivi (cadute, giornate no, litigi con chiunque, persino con gli spettatori) uscire di classifica, avrebbe comunque le gambe per fare la differenza sulle montagne della terza settimana e sugli arrivi in salita - gli piacciono soprattutto quelli irregolari - e magari andare a caccia della maglia azzurra. La squadra è più o meno tutta per lui con Vincenzo Nibali nominato battitore libero e tutta una serie di corridori forti in salita: Davide de la Cruz, Joe Dombrowski (entrambi puntano alle fughe in montagna, ma potrebbero essere anche alternative in classifica), Harold Tejada (che sarà il fedelissimo di MAL) e Vadim Pronskiy. In rosa anche due esperti corridori italiani come Valerio Conti e Fabio Felline a lavoro un po' per loro stessi un po' per la causa kazaka. Privi di ruote veloci e dopo alcuni mesi molto complicati ci aspettiamo gli uomini guidati in ammiraglia da Martinelli spesso all'attacco.
Ci sarà una squadra nel suo complesso da tenere d'occhio per la classifica e che annovera almeno tre corridori che proveranno ad agguantare il podio (e due di loro ci sono già riusciti): la BORA-hansgrohe. Wilco Kelderman, Jay Hindley (geniale l'idea di ricostruire la coppia Sunweb che finì sul podio nel 2020) ed Emanuel Buchmann rappresentano un terzetto di regolaristi che proverà a giocarsi le proprie carte in maniera per altro del tutto simile: costanza di rendimento in salita. La strada deciderà chi dei tre potrà essere alla fine il capitano assoluto: noi, se dovessimo puntare un centesimo, lo spenderemmo su Hindley che a inizio stagione ha fatto intravedere le cose migliori, anche se arriva da problemi di salute spuntati fuori durante le Ardenne. Buchmann si è visto poco, anche lui vittima di malanni, mentre Kelderman si è fatto notare, come spesso gli accade, più nell'elenco di chi è caduto in gara che nelle primissime posizioni degli ordini d'arrivo. Peccato perché qualche anno fa intorno al suo nome c'era parecchio clamore.
Di fianco a loro suoneranno la batteria Cesare Benedetti in pianura, la chitarra Ben Zwiehoff in montagna, il basso Giovanni Aleotti un po' ovunque, mentre alla tastiera Patrick Gamper tenterà di inserirsi nelle fughe. Lennard Kamna, ottimo solista, quelle fughe proverà a portarle fino all'arrivo come (solo, appunto) lui sa fare.
LA TERZA FILA
Terza fila: che non vuol dire essere fuori dalla lotta per il podio. La Cofidis si affida a uno dei corridori più continui e regolari del circuito: Guillaume Martin. Quando in giornata, il francese è temibile non solo in alta montagna, ma anche in quelle tappe miste dove bisogna saper essere esplosivi, avere colpo d'occhio, fiutare il momento giusto. Esordio al Giro per lui particolarmente affezionato all'Italia (tre vittorie su sette in carriera ottenute su queste strade, con un successo nel 2019 al Giro di Sicilia proprio sull'Etna dove è rimasto ad allenarsi in queste ultime tre settimane, prima da solo e poi in compagnia del suo preparatore), con uno storico negli altri Grand Tours in continuo progresso e che lo ha visto chiudere in top ten nel 2021 sia il Tour (ottavo assoluto) che la Vuelta (nono). Porterà punti preziosi alla sua squadra per restare nel World Tour, cercherà egli stesso punti preziosi magari per la conquista della maglia dei gran premi della montagna. Dovessimo scegliere per lui (ma tuttavia, chi siamo noi per scegliere per lui?) gli chiederemmo più che regolarità, qualche bella fiammata nelle tappe che gli si addicono maggiormente. Con lui in salita Rémy Rochas, Anthony Perez e Davide Villella, affidabili co-équipier ma anche a caccia di gloria personale.
La EF punta su Hugh Carthy, pressoché impalpabile in stagione, che non arriva a fari spenti, ma quei fari sembra averli rotti facendo manovra in garage. In generale la squadra americana è una di quelle che ha fatto più fatica quest'anno. Suggestione Diego Camargo per la salita, corridore di cui si parla troppo poco ma a chi scrive piace parecchio. Occhio anche a Jonathan Caicedo, si torna sull'Etna dove colse due stagioni fa il successo più importante in carriera, e atteso a dare bei segnali quando la strada sale. Potrebbe anche lottare per la maglia azzurra dei GPM magari insieme al suo compagno Simon Carr.
C'è Tom Dumoulin, in questo elenco, messo dopo tanti nomi non per mancanza di rispetto ma per una concreta idea sul rendimento di un corridore che un anno fa aveva smesso di correre. Avrebbe preferito avere decisamente più chilometri a cronometro per pensare di puntare al podio finale, ma magari qua e là lo vedremo davanti. In casa Jumbo-Visma da seguire con più attenzione Tobias Foss (obiettivo maglia bianca?), lo scorso anno 9° in classifica finale e che compirà 25 anni lungo il percorso, e Sam Oomen, corridore fantasma: non lo vedi mai, ma poi a fine gara te lo ritrovi nelle prime dieci, quindici posizioni di classifica. Edoardo Affini, gregarione in pianura, non nasconde le sue ambizioni per la prima cronometro e con una buona gamba può provare la stoccata da finisseur, Gijs Leemreize e Koen Bouwman (salita), Pascal Eenkhoorn e Jos Van Edmen (pianura) saranno gli altri corridori a completare la selezione con compiti prevalentemente di gregariato.
C'è un po' d'Italia (poca poca, ahi noi, mala tempora currunt) anche per la classifica. Detto di Nibali e Formolo, i quali difficilmente cureranno le parti nobili della Generale, ma saranno chiamati a svolgere incarichi diversi (fughe e lavoro di squadra), i nomi più interessanti saranno, in ordine di possibilità: Lorenzo Fortunato (Eolo-Kometa, visto in buona condizione nella recente Vuelta Asturias chiusa al secondo posto in classifica generale), Giulio Ciccone (un punto interrogativo per una primavera decisamente travagliata) e l'eterno Domenico Pozzovivo: potremmo esagerare definendolo leggendario. Visto l'altissimo rendimento della sua squadra, non esageriamo invece nell'immaginarcelo, dovesse tutto filare liscio, in lotta per un posto nei dieci. A quarant'anni sarebbe uno spettacolo.
OUTSIDER
Con pensieri di classifica, infine, Iván Ramiro Sosa (Movistar, e potrebbe essere uno dei pretendenti principali alla maglia azzurra dei gran premi della montagna) si candida a essere una delle sorprese di questa corsa. È in forma e in salita non sono molti quelli che potrebbero stargli a ruota. Spesso gli manca la continuità, cosa non da poco in un Grande Giro, ma nella giornata singola, in salita, può vincere ovunque. Dovesse mettere vicino tutti i pezzi, potrebbe lasciare molti a bocca spalancata e altri con le gambe dure a fare zig zag in salita. Attorno a lui e a Valverde, un occhio lo meritano il giovane Oier Lazkano e Antonio Pedrero, aficionado del Giro chiuso nelle ultime stagioni al 22° e al 19° posto.
Si segnala al via il trio Trek-Segafredo (oltre a Ciccone) Juanpe Lopez, per la salita, Mattias Skjelmose, giovanissimo classe 2000 e che proverà a fare classifica, Bauke Mollema, che potrebbe cercare una vittoria di tappa al Giro che manca alla sua collezione - ha vinto sia al Tour che alla Vuelta; e poi Attila Valter (Ungheria, Groupama) che sogna di vestire la Maglia Rosa proprio in Ungheria, lui che lo scorso anno l'ha vestita dopo la tappa di Ascoli Piceno chiudendo poi al quattordicesimo posto la classifica finale. In questa edizione di Giro punta anche la maglia bianca.
Poi Eduardo Sepulveda (Drone Hopper) e Filippo Zana (Bardiani), che vedremmo meglio andare a caccia di belle fughe per vincere una tappa, uomini di punta per la classifica nelle Professional italiane che non si chiamano Eolo; Jan Hirt (Intermarché) e Harm Vanhoucke (Lotto) che già in passato hanno fatto vedere cose interessanti al Giro e potrebbero pure loro ambire alla classifica dei Gran Premi della Montagna. E poi c'è Mauri Vansevenant. Il giovane belga della Quick Step, dopo il forfait per un brutto incidente di van Wilder, sarà l'uomo di classifica della squadra belga. Lo danno molto in forma, teniamolo d'occhio. Ha vinto un Giro della Valle d'Aosta, seppure in modo rocambolesco (guadagnò minuti su minuti per un errore di percorso di gran parte del gruppo) e nella stessa stagione ha accarezzato anche l'idea di vincere il Tour de l'Avenir. Pure lui, come (quasi) tutta la squadra non arriva da una grande primavera, ma la rinascita belga (un'attesa estenuante) nei Grandi Giri passa anche dalle qualità del classe '99 figlio d'arte, tanto brutto e caratteristico da vedere soprattutto in salita, quanto efficace.
Infine una menzione per Felix Gall (AG2R). Il classe '98 austriaco, ex campione del mondo tra gli juniores, arriva da stagioni tribolate nelle quali non ha mai potuto esprimere pienamente (probabilmente non ci è nemmeno arrivato vicino) il suo potenziale; quest'anno sembra aver trovato la forma fisica e mentale e sarà il leader della squadra francese per la classifica, ma vista l'esplosività sugli strappi potrebbe trovare la sua giornata di gloria anche in qualche tappa vallonata.
ITALIANI
Alcuni li abbiamo già citati, ma riepiloghiamo, le speranze non sono così tante. Fortunato, Pozzovivo e Ciccone punteranno alla classifica, nemmeno troppo alta, ma il bolognese della Eolo dopo la Vuelta a Asturias ha visto crescere le sue quotazioni. Formolo e Nibali saranno l'uno principalmente gregario e l'altro libero di dare sfogo alla sua fantasia. Da misurare in chiave classifica generale la crescita di Zana. E quindi i corridori di casa, dove e quando possibile, andranno perlopiù a caccia di tappe.
Vincenzo Albanese (Eolo-Kometa) è il nome più intrigante. In una primavera avara di soddisfazioni per il tricolore italiano, il suo undicesimo posto alla Sanremo è uno dei risultati migliori. Grande talento nelle categorie giovanili, forte sugli strappi, ottimo spunto veloce, Albanese in questo scorcio di stagione ha mostrato anche di tenere bene in salita. Questo cosa significa? Che già il primo giorno può sognare qualcosa di grande. Andrea Vendrame (AG2R) è un corridore che gli assomiglia. Spunto veloce, esplosivo, al Giro d'Italia ha dimostrato di migliorare con i giorni, sfiorando l'impresa tre anni fa a San Martino di Castrozza, trovandola lo scorso anno a Bagno di Romagna, una delle vittorie più emozionanti del Giro e la migliore affermazione della sua carriera. Quest'anno ci vuole riprovare, spazio in squadra ce n'è a sufficienza, manca forse un po' la condizione, ma il corridore veneto sulle strade della Corsa Rosa riesce sempre a tirare fuori qualcosa in più.
C'è Alessandro Covi, partito benissimo quest'anno, poi ha rallentato, ma lo aspettiamo di nuovo energico lungo le strade del Giro. Lo scorso anno per poco non ha fatto sua una delle tappe simbolo dell'edizione 104, quella con arrivo a Montalcino, quella con le strade bianche. Quest'anno la possibilità che vada in fuga e ci riprovi spazia dal 99,9% al 100%. Il primo giorno, poi, ci sarebbe una tappa adattissima a lui, peccato però sembri perfetta anche al capitano Almeida e a Diego Ulissi che insegue, in quest'edizione di corsa rosa, la sua nona affermazione al Giro.
Tra i classe '99 c'è Giovanni Aleotti, con carta bianca ci potrebbe provare su diversi terreni, ma rischia di rimanere chiuso a doppia mandata, anzi tripla, da una BORA a tre teste per la classifica, mentre Davide Ballerini sarà nel treno Quick-Step votato alla causa Cavendish. Matteo Sobrero (come il già citato Affini) sogna la seconda tappa (quella a cronometro) e magari dare qualche segnale in futuro anche per la classifica, mentre Mosca, Rota, De Marchi, come Rosa, Maestri, Rivi, Gavazzi, i due Bais, Ravanelli, Zardini, Tagliani, Tonelli e Rastelli proveranno a inserirsi nelle fughe. Spesso sarà quella di giornata, buona per gli sponsor, spesso sarà quella invece che arriverà al traguardo e allora bisognerà approfittare del momento: una grande corsa a tappe autorizza a sognare in grande, e proprio l'impresa di Alessandro De Marchi nel 2021, culminata con la Maglia Rosa indossata per qualche giorno, ne è la dimostrazione.
Infine Stefano Oldani, anche lui in bilico tra il lavoro di squadra (c'è un certo van der Poel al via) e qualche bella volata (previa autorizzazione del fenomeno olandese). Le sue occasioni però potrebbero arrivare dalle fughe. E poi ci saranno i velocisti come vedremo nel capitolo successivo.
VELOCISTI
Quattro i nomi più altisonanti con altrettanti pesci pilota di qualità e di grande esperienza : Caleb Ewan (De Buyst ha dato forfait all'ultimo momento, sarà compito di Kluge e Selig pilotarlo), Mark Cavendish ( Mørkøv), Arnaud Démare (Guarnieri) e Fernando Gaviria (Richeze). Non servono presentazioni, ma sarà una sfida non solo di velocità, ma anche di treni e posizionamento, di lead-out e pelo sullo stomaco. Nel caso dei primi 3 la squadra sarà (quasi) totalmente votata alla loro causa e le tappe dove sfidarsi saranno molte, a partire dal terzo giorno. A loro si aggiunge il tedesco della Bahrain Phil Bauhaus, che cerca il colpo a effetto nella tappa di un Grande Giro dopo essere cresciuto in maniera esponenziale in queste ultime stagioni.
L'Italia punta principalmente su Giacomo Nizzolo e Alberto Dainese (in squadra con lui anche Cees Bol, capace di buoni risultati in volata anche al Tour), ma cercano piazzamenti e magari la giornata di gloria anche Simone Consonni e Davide Cimolai (stagione complicata per lui fin ora). Jakub Mareczko potrebbe trovare spazio nelle volate pure e "semplici" (non esistono volate semplici, esercizio folle tirato a volte all'esasperazione e che ti fa stare col fiato sospeso) - sempre che non ci si voglia buttare in mezzo van der Poel - Filippo Fiorelli è il nome Bardiani per gli arrivi più tortuosi e insidiosi e avrà di fianco uno dei corridori più esperti del gruppo, Sacha Modolo. Aggiungiamo a questa lista anche Edward Theuns (Trek-Segafredo) che cercherà qualche piazzamento allo sprint. Difficile che si esca da questi nomi, i quali, insieme ad alcuni che andremo a raccontare nel prossimo capitolo, verosimilmente lotteranno anche per la classifica a punti.
CACCIATORI DI TAPPE - ALCUNI FANTASTICI - E DOVE TROVARLI
Alcuni di loro sono destinati a lasciare il segno, anzi diciamolo meglio: hanno già lasciato il segno nella storia del ciclismo. Alcuni di loro hanno un futuro incredibile davanti, altri stanno segnando il presente, altri ancora un passato glorioso che non vuole lasciare il campo a un ritiro all'orizzonte. Presto detto: parliamo di tre corridori concepiti per essere tra i grandi protagonisti dell'edizione 105 del Giro: Matheiu van der Poel, Biniam Girmay e Alejandro Valverde.
Mathieu van der Poel è il personaggio numero uno di questo Giro d'Italia. Andrà alla caccia della maglia rosa il primo giorno con la speranza magari di arrivarci fino alle pendici dell'Etna: sarebbe una grande promozione per il Giro, sarebbe un lusso che il corridore olandese ha già annunciato vorrebbe concedersi. Difficile dire quali e quante tappe gli si addicono dipende da diversi fattori, ma ciò che è sicuro è che quando non sarà davanti a sprintare, lo potremmo trovare in fuga. Squadra, la sua, con altri corridori interessanti (alcuni citati, manca la menzione all'attaccante nato Dries De Bondt) ma che per forza di cose girerà tutta intorno al due volte vincitore del Giro delle Fiandre. Una scommessa aperta per certi versi: riuscirà a portare alla conclusione il Giro? Lui lo vorrebbe per riuscire a fare, dice, un salto di qualità ulteriore.
Biniam Girmay a caccia anche lui di tappa e maglia il primo giorno ma non solo. A caccia di record di ogni genere, il classe 2000 eritreo, che verosimilmente si butterà anche negli sprint di gruppo è, insieme a van der Poel e a quei velocisti più continui, uno dei candidati alla maglia ciclamino.
Alejandro Valverde: perché come minimo una tappa proverà a portarla a casa. Non avrà lo scatto devastante di un tempo (fisiologico), ma anche lui vorrebbe già piazzarsi il primo giorno e poi chissà provare il colpo magari sull'Etna non dovesse esserci una grossa selezione. Nonostante i 42 anni, il suo Giro d'Italia sarà tutto da scoprire. Ci piacerebbe vederlo fuori classifica, ma cercare la vittoria in fuga: sarebbe una degna conclusione di una carriera in cui ha vinto praticamente tutto, sarebbe un modo anche per rischiare di farsi qualche tifoso in più tra quelli che non amano particolarmente la sua condotta di corsa.
C'è un'Eritrea che pedala fortissimo che non è solo quella di Bini Girmay. C'è Natnael Tesfazion, ennesima scommessa vinta da Gianni Savio e Giovanni Ellena, che avrebbe tutte le carte in regola per piazzarsi bene nelle tappe miste, ma anche per andare a caccia di successi nella fuga giusta. Veloce, resistente, il portacolori della Drone Hopper è un corridore del quale non siamo ancora riusciti a capire i margini. Che paiono importanti e potrebbero portarlo a ricalcare le orme del suo connazionale. Chissà che l'anno prossimo (suggestione del tutto casuale) non si possano persino ritrovare a correre nella stessa squadra.
Altra ruota veloce con licenza di fuga e vittoria è quella di Magnus Cort Nielsen. Il danese appartiene a quel quintetto al via del Giro (Bardet, Lopez, Mollema e Calmejane sono gli altri) che insegue il successo da affiancare alle tappe conquistate al Tour e alla Vuelta. Una tripletta ambiziosa. Arriva al Giro dopo un brutto infortunio, ma strada facendo la sua condizione crescerà, diventando con ogni probabilità uno dei punti di riferimento in gruppo quando ci sarà da scappare via, soprattutto nella seconda parte di Corsa Rosa.
Fuga decisiva di cui è specialista Lennard Kämna. Il tedesco è corridore da giornata di grazia e quando si veglia col piede giusto rischia di essere imbattibile. In alta montagna o nelle tappe miste, il corridore della BORA se lo ritrovate davanti per forza di cose dovrete battezzarlo come favorito per il successo. A caccia di fughe fino all'arrivo ci sono anche Mauro Schmid (Quick-Step, vincitore a Montalcino nel 2021), il compagno di squadra James Knox che potrebbe anche fare classifica, uno dei fuggitivi più attesi, l'estone Rein Taaramäe (Intermarché-Wanty-Gobert) e i suoi compagni di squadra Barnabás Peák e Loic Vliegen; e poi ancora Alex Dowsett (Israel-Premier Tech), uno dei personaggi che ci piace di più in gruppo, Nans Peters, Nicholas Prodhomme e Lilian Calmejane (AG2R), Jefferson Cepeda (Drone Hopper, che proverà a tenere duro sia per la generale che per la maglia dei GPM) e il suo compagno di squadra Andrii Ponomar che sarà, con i suoi nemmeno 20 anni, il più giovane al via per il secondo anno di fila. Chris Hamilton, piazzato alle spalle di Vendrame lo scorso anno a Bagno di Romagna, andando proprio all'attacco da lontano, aiuterà Bardet e Arensman a curare la classifica, ma non disdegnerà l'inseguimento al successo personale, e infine Samuele Zoccarato pronto a raccogliere lo scettro del miglior attaccante del Giro, magari con un bel successo di tappa, obiettivo dichiarato della sua squadra, la Bardiani-CSF-Faizané.
IL DISEGNO DEL GIRO
Tre giorni di riposo, tanti (troppi?) trasferimenti, con la Grande Partenza al venerdì, dall'Ungheria. Tre tappe all'estero prima di rientrare in Italia, dalla Sicilia per arrivare a Verona per la crono finale. Tappe distribuite in maniera equa, - diverse volate, diversi arrivi che fanno gola agli scattisti, tanti arrivi in salita, ma le cronometro... Ecco se parliamo di cronometro tocchiamo un tasto dolente di un disegno che, tutto sommato ci soddisfa (ci voleva un tappone di oltre 220 chilometri, ma in questo periodo pare passato di moda). Può una grande corsa a tappe avere un tracciato con solamente 26,6 chilometri a cronometro distribuite nella seconda e nell'ultima tappa? Francamente no, ma ormai è fatta. Auspichiamo l'anno prossimo almeno 60/70 chilometri totali, servirebbero per rimettere tutto nell'ordine giusto.
Per il resto il disegno ci piace, forse avremmo apprezzato qualche arrivo in discesa in più, ma già solo per aver inserito la salita più bella del mondo - la Marmolada - il tracciato merita tutto sommato un voto alto.
Partenza scoppiettante il primo giorno con una tappa che vedrà gli scattisti misurarsi su uno strappo di quasi 4 km che porterà il gruppo sulle strade del suggestivo castello di Visegrád. Tappa che sembra aver scritto a caratteri cubitali: van der Poel vs Girmay. Ma occhio come sempre alle sorprese. Dopo la breve crono del giorno dopo e la volata in programma, ahinoi, domenica (insistere con le volate nei giorni feriali, continuiamo a trovarlo mortificante!), lunedì si torna in Italia per una giornata dedicata al trasferimento-riposo prima di vivere uno dei sette arrivi in quota. Martedì 10 maggio, infatti, da Avola fino all'Etna, salita infinita, ma non durissima e che verosimilmente cambierà il nome del leader della classifica. Dopo Messina il giorno dopo si risale in Calabria per un altro probabile arrivo allo sprint (Scalea) prima di una tappa interessante come quella di Potenza adattissima ai colpi di mano. Weekend tra Napoli - tappa che promette scintille oltre che uno dei panorami più belli che possa regalare una manifestazione sportiva - e il secondo arrivo in salita: Blockhaus. Rispetto all'Etna qui si inizieranno a contare distacchi importanti. Vero e proprio tappone appenninico, 191km e nemmeno un metro di pianura, come si usa dire.
Dopo il giorno di riposo si prosegue la marcia verso il nord: a Jesi tappa da fuga, a Reggio Emilia, mercoledì 18 maggio, volata. Piccolo commento: di nuovo, anche in questa edizione, ci ritroviamo una tappa di oltre 200km completamente pianeggiante. In pratica un lungo trasferimento in bici: serviva? Il giorno dopo la Parma-Genova è un'altra tappa destinata a vedere la fuga all'arrivo, ma si sale parecchio e dunque bisognerà avere una gran condizione per andarsene e restare lì davanti. Difficile che gli uomini di classifica possano tentare qualcosa. Stesso discorso per il giorno dopo verso Cuneo. Tappa breve: fuga all'arrivo oppure volata.
Il terzo week end di corsa, invece, sarà in crescendo. Verso Torino frazione secca, breve, con un circuito che prevede due passaggi a Superga e due sul Colle della Maddalena prima dell'arrivo a Torino: spettacolo assicurato. Arrivo in salita, invece, domenica. Tappa valdostana con tre belle salite lunghe ma senza pendenze impossibili, con l'ultima, verso l'arrivo di Cogne, non troppo impegnativa.
Gli ultimi cinque giorni di corsa verranno inaugurati da una delle frazioni più attese: la Salò-Aprica, con il Mortirolo (da Monno) e il Valico di Santa Cristina: serve dire altro? Sì forse che bisognerà dare un occhio anche alle discese. Ancora salita il giorno dopo con l'arrivo a Lavarone prima dell'ultima frazione tranquilla di questa corsa con probabile conclusione in volata (se ci saranno velocisti ancora in gara) a Treviso.
E poi ultimi tre giorni da casco allacciato e luci accese anche di giorno: venerdì 27 maggio la tappa friulana che si concluderà sul Santuario di Castelmonte, sopra Cividale del Friuli, provincia di Udine, è una frazione da non sottovalutare. Si sconfina in Slovenia e si affronta da Caporetto la salita di Kolovrat: pendenza costante del 10% che rimarrà nelle gambe. L'insidia più grande, però, sarà il rientro verso l'Italia, si passa nei verdi boschi del confine italo-sloveno dove sarà difficile trovare più di qualche metro di rettilineo. Un su e giù continuo fatto di curve insidiose e strade strette.
Sabato con l'atteso arrivo sulla Marmolada ne vedremo delle belle - neve permettendo. Chi scrive sogna già la selezione naturale verso Malga Ciapela, uno dei posti ciclisticamente più suggestivi dell'intero circo ciclistico. E infine domenica, la crono finale di Verona, corta, ma che potrebbe ancora decidere qualche piazzamento in classifica.
LE STELLINE DEI FAVORITI
MAGLIA ROSA
⭐⭐⭐⭐⭐ Carapaz
⭐⭐⭐⭐ Landa, Almeida
⭐⭐⭐ S.Yates, Bardet
⭐⭐ Martin, Bilbao, Lopez, Sivakov, Sosa, Arensman, Carthy
⭐ Hindley, Kelderman, Dumoulin, Foss, Fortunato, Porte, Valter, Vansevenant, Gall, Mollema, Ciccone, Valverde, Pozzovivo, Buchmann
MAGLIA BIANCA
⭐⭐⭐⭐⭐ Almeida
⭐⭐⭐⭐ Sosa, Arensman, Sivakov
⭐⭐⭐ Valter
⭐⭐ Foss, Gall
⭐ Vansevenant, Skjelmose, Buitrago, Tulett, Zana
MAGLIA AZZURRA
⭐⭐⭐⭐⭐ Sosa
⭐⭐⭐⭐ Lopez
⭐⭐⭐ Martin
⭐⭐ Ciccone, Buitrago, A.Cepeda, S.Yates, Mollema, J.Cepeda, Poels
⭐Camargo, Hirt, Taaramae, Fortunato, Landa, Carapaz, Perez
MAGLIA CICLAMINO
⭐⭐⭐⭐⭐ Van der Poel
⭐⭐⭐⭐ Ewan, Cavendish, Girmay
⭐⭐⭐ Nizzolo, Démare, Bauhaus
⭐⭐ Consonni, Albanese, Gaviria, Cort Nielsen
⭐ Valverde, Tesfatsion, Valter, Vendrame, Ulissi, Bol, Dainese