Un'altra settimana di ciclismo: 5 cose viste, 5 cose da dire
La Vuelta e il suo disegno: ce ne vuole, ma lo sapevamo già. Il fatto è che poi quando ci sbatti il muso il mattino della tappa, ti rendi conto di quanto le cose non funzionino per il verso giusto, ovvero il ciclismo di ASO che incontra quello della Vuelta e partorisce tappe di montagna troppo brevi o le solite “unipuerto” come le definiscono da quelle parti, roba da far strabuzzare gli occhi, da farti perdere la fede, da farti venire voglia di prendere la bici e, invece di organizzare un giro lungo, di fare 10 km e tornare a casa tanto la proporzione è quella. L’emblema è la frazione di martedì 12 settembre, che segue il giorno di riposo: 120 km con una salitella nel finale un po’ rampa di garage, un po’ strappetto, che fa tanto Vuelta, un disegno che pare non abbia nemmeno richiesto troppo impegno. A parte gli scenari interessanti, ma quelli per fortuna li trovi un po’ ovunque.
Parliamo di disegni: ecco a voi signore e signori il Tour of Britain: 8 tappe, 6 volate. Eppure da quelle parti ci si poteva sbizzarrire con percorsi collinari, persino con il pavé. Le volate però, sono state tutto sommato un discreto vedere. Il pericolo è sempre dietro l’angolo quando si parla di ciclismo, figuriamoci a quelle velocità, in quei finali, su quelle bici, con certa gente che non ha coscienza (gli invasati delle volate), però si sono fatte guardare. Olav Kooij, classe 2001, ne vince quattro di fila, il quinto giorno Jumbo Visma si inventa il numero con van Aert, pesce pilota nelle frazioni precedenti, che approfitta di un buco fatto da un compagno - e studiato, parole proprio di van Aert, a tavolino la sera prima - per involarsi verso il successo che diventerà poi fondamentale per vincere la classifica generale della breve corsa a tappe. Dove, a proposito di volate e pesci pilota, brilla ancora una volta la stella di Danny van Poppel, corridore di cui si parla sempre troppo poco a nostro avviso. Corridore solido che quando ha il suo spazio sa essere (molto) vincente e non solo prezioso ultimo uomo del treno BORA.
Remco Evenepoel scottato come Tadej Pogačar qualche mese prima. Logorato da una Jumbo che mette in campo una superiorità a tratti imbarazzante. Salta per aria, non letteralmente, ma si fa per dire, nella tappa del Tourmalet, ma il giorno dopo va in fuga e vince. L’abbraccio con Bardet, secondo di tappa e a lungo suo compagno di fuga, vale tutto. Così come le parole sempre di Bardet a fine gara: “«Il ciclismo come piace a me. Grazie per il passaggio Remco: ci sono corridori che vogliono vincere, altri che vogliono lasciare il segno». Peccato solo vedere un corridore incredibilmente forte come Evenepoel lottare "soltanto" per i successi di tappa e per i punti della classifica dei GPM, ma si passa anche da questo.
A proposito di lasciare il segno: Filippo Ganna. Unico fuoriclasse del nostro ciclismo. Vince la crono contro Evenepoel, si prende la rivincita sul Mondiale. Poi va in fuga nel giorno in cui il segno lo lascia, ancora una volta, Jesus Herrada - terza vittoria di tappa alla Vuelta in carriera. Quel giorno Ganna ci costringe a qualcosa che non avremmo mai pensato di fare: ci fa iscrivere al partito del “GANNA POTEVI VINCERE!” perché non sarebbe potuta andare altrimenti - come invece andrà - con quella gamba che portava a spasso il gruppetto dei fuggitivi lungo Laguna Negra. Ma Ganna è così: c’è Thomas in fuga e la squadra quel giorno è tutta per il galllese e Ganna ci si butta a capofitto per i compagni di squadra. Peccato, ma è un bel vedere. Altri Ganna cercasi in Italia, non certo soltanto per caratteristiche, ma per piglio e capacità di costruirsi un palmarès.
Le corse in Canada che bellezza - oddio, il Gp di Quebec molto meno rispetto al Gp Montreal ma tant’è. Intanto l’orario per “noi europei” che regala il ciclismo in prima serata. E poi quel circuito cittadino che quest’anno è stato reso ancora più complicato dalla pioggia. Un vecchio canovaccio: in mancanza di quei matti che fanno esplodere le corse lontano dal traguardo con una serie di accelerate in prima persona - Pogačar, Pedersen, van der Poel, van Aert, Evenepoel, tanto per fare dei nomi a caso - le squadre che si mettono a testa bassa a fare l’andatura e giro dopo giro scremano il gruppo. A Quebec City, corsa tutto sommato noiosetta fino all’arrivo, vince De Lie, e che soffrendo va persino all’attacco a Montreal due giorni dopo, andando in contro alla sorte segnata, ma che razza di corridore che è il Toro. Montreal 2023, tuttavia, con i suoi quasi cinquemila metri di dislivello premia un altro profilo di corridori. E infatti vediamo una corsa selettiva, da dietro, da davanti, a ogni curva e strappo che è un rilancio. Corridori che stringono il manubrio con i denti per stare attaccati al gruppo (Alaphilippe, Matthews), altri che zampettano verso la vittoria (Adam Yates), e pure qualche segnale italico: Velasco, pound for pound il migliore italiano in stagione nelle corse di un giorno con un certo dislivello, ma c’è piaciuto molto pure Garofoli, talento che tutti aspettiamo. In fuga a Quebec City, tiene finché può con i migliori a Montreal. Chiude 43°. Al momento ci accontentiamo di questo, poi vedremo.
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Dove si sfidano i giovani: il Giro della Lunigiana
Il futuro del ciclismo, spesso, passa da queste terre, la Lunigiana, spesso è proprio da questa corsa, il Giro della Lunigiana, da cui puoi trarre interessanti conclusioni su cosa aspettarti dal ciclismo a venire, quali corridori cercare in gruppo, su chi puntare. Hanno messo la bandierina sulla corsa a tappe ligure, arrivata nel 2023 alla sua quarantasettesima edizione, corridori che poi una volta “passati di là”, come si dice in gergo, anche se non è la migliore delle espressioni, ma si fa capire, hanno lasciato il segno. Vi facciamo qualche nome: tra i vincitori del “Lunigiana” troviamo ben sei vincitori di (almeno) un Giro d’Italia dei grandi: Franco Chioccioli, Gilberto Simoni (quest’ultimo è l’unico corridore ad aver conquistato Lunigiana, Giro Under, Val d’Aosta e Giro d’Italia), Danilo Di Luca, Damiano Cunego, Vincenzo Nibali, Tao Geoghegan Hart; qui al Lunigiana quattro delle ultime sette edizioni le hanno vinte corridori come Pogačar, Evenepoel, Lenny Martinez e Morgado… scusate se è poco.
Dello spirito di questa corsa, della sua importanza nel calendario giovanile, ma anche o soprattutto nel dettaglio di come si è sviluppata questa ultima e spettacolare edizione, abbiamo parlato con Valerio Bianco, ufficio stampa del Giro della Lunigiana dal 2019.
Raccontaci un po’ questo Lunigiana, Valerio, qual è la forza di una corsa che da anni è un riferimento anche a livello internazionale per la categoria juniores.
La forza principale è il confronto tra selezioni internazionali, con le nazionali e tutte le selezioni regionali italiane. Normalmente è prima del Mondiale, quest’anno prima dei campionati europei, e quindi spesso è un banco di prova tra i migliori corridori della categoria, tra le varie squadre che dovranno scegliere i capitani. Tra le squadre italiane c’è tanta competizione: vengono portati i migliori corridori e quindi il livello è alto. Il Lunigiana, poi, è una vetrina importante anche in chiave futura per quelli che vogliono continuare a correre. Rispetto al primo anno in cui l’ho fatto è cresciuta proprio la qualità della corsa, il modo di interpretarla tatticamente. Il primo anno per esempio ricordo attacchi e contrattacchi fratricidi: ricordo la Germania che perse il Giro con Brenner perché fu attaccato dai compagni di nazionale, mentre ora trovi squadre che corrono già compatte, corridori già pronti, la Francia da questo punto di vista è stata impressionante, come la Norvegia. Il livello è stato davvero alto. E poi c’è una bella atmosfera, sono dei giorni intensi, ma che valgono la pena di essere vissuti.
Potresti indicarci i maggiori aspetti positivi di questa corsa, soprattutto a livello organizzativo.
Il primo grande successo è aver portato per il secondo anno di fila la corsa a Portofino. La Portofino-Chiavari ha significato per la corsa sconfinare nel Tigullio: vuol dire che c’è grande interesse anche al di fuori delle zone normalmente battute. Lo scorso anno per esempio siamo partiti da Portofino, sì, ma poi siamo tornati subito in Lunigiana e invece quest'anno abbiamo fatto un’intera tappa “all’estero”. Il secondo successo: nonostante un’organizzazione fatta perlopiù da volontari, non è facile, siamo riusciti a fare ben due tappe per il Giro della Lunigiana femminile. Lo scorso anno era una soltanto e ora abbiamo raddoppiato e speriamo che nei prossimi anni si possa aumentare ancora.
Qual è stata la risposta del pubblico sulle strade.
Ottima cornice di pubblico sin dalla vigilia a Lerici quando abbiamo aperto con un dibattito sul ciclismo giovanile al quale erano presenti Bugno, Podenzana, Fondriest. Martedì e mercoledì, poi, nonostante il tempo fosse brutto, c’era tanta gente e alcuni arrivi come Bolano, soprattutto, erano scenograficamente davvero belli, intensi, perché pieni di gente, ma in generale ottima risposta in ogni tappa.
Voi fate un lavoro a livello di comunicazione soprattutto sui social, a livello di una corsa World Tour, quale riscontri avuto avuto con i media?
Sui social abbiamo avuto tante visualizzazioni, abbiamo avuto buoni ascolti nella differita andata in onda sulla Rai, eravamo fissi sui giornali della zona, Tirreno, La Nazione, Il Secolo XIX, articoli pure su L’Eco di Bergamo e in Emilia Romagna e hanno parlato di noi tanti siti internazionali, in Polonia i siti specializzati erano sul pezzo, DirectVelo in Francia, hanno parlato della corsa in Belgio, su Ciclismo Internacional in Colombia nonostante la Colombia non avesse una squadra di grande livello.
Parliamo della corsa: iniziando da un disegno del tracciato selettivo.
Quest’anno abbiamo tolto la tappa di volata disegnando solo tappe adatte alla selezione, anche perché poi queste sono strade che si sposano con percorsi del genere, mossi, vallonati. E poi anche perché visti i comuni interessati era più semplice avere un percorso che esaltasse le qualità di un altro tipo di corridori. Però c’è anche da dire che pure gli anni scorsi, a parte una tappa, il tracciato è sempre stato su questa falsariga. 4 tappe mosse o dure e 1 volata, quest’anno cinque selettive.
Che corsa è stata?
Incerta fino alla fine: i primi tre giorni è cambiato tre volte il leader della classifica, spesso per vicissitudini legate a cadute, mentre negli ultimi due anni Martinez e Morgado, favoriti alla vigilia, si sono imposti praticamente sin dall’avvio, indirizzando la corsa sui loro binari. Invece quest’anno la Portofino-Chiavari, con il suo attacco all'inizio da parte di quasi tutti i nomi più importanti e le squadre più forti, ha cambiato gli equilibri, ed è un peccato non ci fosse la diretta, perché è stata una tappa bellissima.
Quella dove Widar si è staccato nelle discesa del Portello…
Esatto. Sin dall’inizio ci sono stati attacchi, sin dalla prima salita dove è andato via un gruppetto con Mottes, Finn, Guszczurny, Ingegbritsen, e altri, e su di loro è rientrato Bisiaux (il vincitore finale NdA) da solo con un'azione importante. Poi in discesa è rientrato Nordhagen, anche lui da solo, perché Widar che era con lui si è staccato. Una giornata ricca di storie di corsa: tattiche quasi da professionisti con Norvegia e Francia coperte con la fuga, Widar in difficoltà perché con Francia e Norvegia ben rappresentate davanti si è dovuto muovere in prima persona.
E poi il giorno dopo si è decisa la corsa.
Con la caduta di Nordhagen. Io ho parlato con Mottes e Finn riguardo alla caduta ma non è molto chiara la dinamica perché era una discesa molto semplice e forse ha toccato la ruota di un corridore che gli era davanti.
Veniamo ai ragazzi, tu eri a stretto contatto con loro e allora vogliamo capire un po’ intanto chi è il vincitore, uno dei corridori più attesi di tutta la stagione su strada, lui che è stato dominatore della categoria jr nel CX: chi è Leo Bisiaux, corridore di cui sicuramente avremo modo di parlare negli anni perché questo è un grande talento, in una Francia che ne sforna per ogni classe, questo sembra avere qualcosa in più.
La Francia ha corso compatta al suo fianco. Era il capitano designato e così hanno corso, a parte nella prima semitappa dove erano tutti per Grysel. Hanno corso come squadra di club, nelle prime fasi di corsa Fabrie a fare il ritmo, e nel finale a muoversi solitamente Decomble (che ha vinto una tappa e ha chiuso 8° in classifica generale Nda) e Sanchez (9°). Bisiaux è stato da subito uno dei più attivi: a Bolano, seconda semitappa, ha attaccato per primo rimbalzando nel finale e perdendo qualche secondo nel finale. È un corridore secondo me molto più adatto alle salite lunghe che a quelle brevi, si è visto anche sul Portello: lui è rientrato da solo sui sedici corridori davanti.
Poi quest’anno è stato fermo per un po’ per problemi di salute e aveva fatto del Lunigiana il suo grande obiettivo della seconda parte di stagione. Ma se dovessimo paragonarlo a un corridore che già conosciamo tra i professionisti?
Il cittì della Francia mi ha detto che come caratteristiche gli ricorda molto Lenny Martinez. Io lo trovo anche uno molto bravo nel leggere la corsa e anche altruista: nella tappa vinta da Decomble, nonostante fosse in lizza per la maglia di leader, ha attaccato anticipando nel finale e quando è stato ripreso da Nordhagen è partito Decomble che ha vinto.
Parliamo degli altri due big: Jorgen Nordhagen e Jarno Widar. Quest’ultimo corridore per il quale stravedo, in passato il suo allenatore lo ha paragonato - esagerando sia chiaro - a una via di mezzo tra Paolo Bettini e Lucien Van Impe, in effetti per certi versi al Grillo assomiglia davvero anche fisicamente. Poi ha una faccia incredibile, che a me fa impazzire.
Sono praticamente già due professionisti. Nordhagen corre già con la bici della Jumbo, casco con livrea Jumbo, sembra fatto con lo stampino a immagine e somiglianza di Staune-Mittet, i due si conoscono bene, oltretutto, provengono dalla stessa zona, hanno fatto sci di fondo (sci di fondo che Nordhagen ancora pratica ad alto livello e che per il momento in accordo con il suo team - la Jumbo Visma con la quale ha firmato fino al 2027 - continuerà a praticare NdA). Ha avuto sfortuna perché una caduta ha precluso la possibilità di vincere la maglia verde (quella del leader della classifica generale NdA): è stato molto continuo sin dalle prime due semitappe dove ha ottenuto due piazzamenti alle spalle di Widar. In questi giorni scherzavamo sul fatto che la Norvegia non vincesse una tappa da quarant’anni e alla fine su cinque tappe hanno fatto 4 secondi posti.
E di Widar che mi dici?
Si è lamentato molto per la discesa il secondo giorno, ma la strada era perfetta e non ci sono state cadute.
Mi piace sempre di più, un corridore polemico è quello di cui abbiamo bisogno. E poi ha vinto le prime due semitappe dominando nettamente, la seconda con uno scatto bruciante, potentissimo, suo marchio di fabbrica.
Se vedi anche nella sintesi se la prende a un certo punto con il cameraman che lo riprendeva invece di stare sul gruppo davanti. Lui a me ricorda Cian Uijtdebroeks, come si muove, come corre, sembra quasi un po’ gobbo. Nella seconda delle due semitappe, vinte entrambe da lui, è stato devastante. Dopo l’arrivo erano tutti mezzi morti e lui sembrava che ne avesse ancora e ha vinto con distacco. Nel Belgio segnalerei anche Donie che è andato molto forte.
Veniamo all’Italia, iniziando da uno dei più attesi, Lorenzo Finn, che arrivava da un periodo molto brillante e si è dimostrato al livello di alcuni fra i corridori più interessanti in assoluto della categoria, alcuni di loro già secondo anno tra gli juniores e che passeranno con squadre Devo del WT e un futuro praticamente assicurato per diversi anni. Bel corridore…
Gran bel prospetto. Io l’ho conosciuto quando aveva 14 anni ad Adelboden che avevamo fatto un ritiro con la Corratec, lui doveva venire a correre con gli allievi della Ballerini. È un ragazzo che ha una calma incredibile, molto posato e tranquillo.
Tranquillità che poi in bici si trasforma in agonismo.
Ha corso con grande coraggio: sia nella seconda che nella terza tappa è stato lui ad accendere la miccia. Mentre ha pagato un po’ di secondi (alla fine chiuderà il Lunigiana al 2° posto a 12” da Bisiaux NdA) nelle prime due semitappe secondo me a causa del posizionamento in gruppo nell’approccio al finale di tappa. Ed era il corridore più giovane in gara: è nato a dicembre del 2006.
Un mese ed era ancora allievo.
Sì, è un corridore veramente, veramente interessante. Oltretutto la Liguria, per la quale correva Finn, non andava sul podio da quasi vent’anni - e questa corsa non l’ha mai vinta. E hanno anche perso Privitera, uno dei pezzi da novanta della squadra.
Se da Finn ci aspettavamo un buon Lunigiana, Mottes è stata la grande sorpresa. 3° sul podio, vincitore di tappa…
Veniva da un buon periodo e infatti lo avevo evidenziato fra quelli da seguire, ma nessuno si aspettava andasse così forte e ha preso anche il premio della combattività oltre ad aver una bellissima volata a Terre di Luni grazie alla quale ha conquistato la tappa. Ovviamente è un corridore tutto da scoprire e da formare, ma mi sembra uno da salite brevi più che da salite lunghe, ha spunto veloce, è uno esplosivo, può diventare corridore da Ardenne, se proprio vogliamo sbilanciarci. Aggiungo anche che la sua squadra, Trento, ha corso molto bene, una delle più attive e compatte.
Simone Gualdi, invece?
C’era attesa su di lui, è il campione italiano, lo scorso anno è stato il miglior italiano in classifica e anche il miglior giovane in assoluto, però è arrivato al Lunigiana purtroppo dopo una brutta caduta rimediata qualche giorno prima e questo ha condizionato la sua corsa. E dopo essere rimasto tagliato fuori dall'azione che ha disegnato la classifica finale, era anche demoralizzato.
Bisiaux ha vinto la corsa di pochi secondi, qual è stato il momento chiave che ha deciso questo Lunigiana?
Il tratto di salita tra Caprile e Portello ha indirizzato la corsa, ma i momenti chiave sono state le due discese: nella seconda tappa, quella del Portello dove Widar non è riuscito a seguire i nove che poi hanno fatto la differenza in classifica generale, e poi nella terza tappa quando è caduto Nordhagen.
Parlando di ciclismo giovanile italiano, senza nulla togliere ovviamente ai ragazzi passati di categoria negli ultimi anni, la mia impressione è che il biennio 2005, 2006 sia davvero molto valido. Secondo te da cosa è dovuto? Il caso, come spesso accade, di avere annate buone e meno buone, è cambiato qualcosa nella preparazione dei ragazzi, sempre di più vengono seguiti da preparatori anche di spicco, la presenza influente di un certo Dino Salvoldi come CT, un cambio radicale di mentalità, c’è dell’altro? Che idea ti sei fatto?
Mi sembra che tutto venga fatto in maniera molto meno, passami il termine, artigianale, alla bell’e meglio, come si faceva prima. Ora vengono seguiti maggiormente anche nei pre gara: sembrano ormai degli under 23 più che degli juniores. Poi è notevole la presenza di preparatori e procuratori, gli staff in ogni squadra è aumentato: questa categoria ormai è diventata quasi quella di passaggio al professionismo. Li vedo maturi e formati come fossero under 23.
Ultima domanda. Visto che segui molto da vicino il ciclismo giovanile. È una domanda a cui, ammetto, è difficile trovare una risposta, una domanda a cui io non so mai rispondere. Spesso ci ritroviamo, non dico a dominare, ma a ottenere risultati di peso tra juniores e under 23, ci esaltiamo per i talenti che poi una volta passati fanno fatica, spesso prendendole, passami il termine, da corridori che magari venivano regolarmente battuti nelle categorie giovanili. Perché?
Qualcuno è stato sicuramente sfortunato, Baroncini, Battistella, Tiberi. Io non vorrei fare il discorso che fanno tutti che manca una World Tour italiana, ma sostengo l'importanza di una squadra che dia la chance a questi corridori di correre in prima persona. Aleotti, quando ha avuto la possibilità, ha corso il Sibiu da capitano e l‘ha vinto. Green Project sta facendo un ottimo lavoro con i suoi ragazzi e i risultati si iniziano a vedere, vedi Zana prima e ora Pellizzari che hanno la possibilità di giocarsi le proprie carte. Invece spesso questi ragazzi forti, passano in squadre straniere che hanno grande profondità di rosa e gli tocca fare da gregario e qualcuno magari si siede sugli allori. Mentre in una squadra in cui puoi e devi giocarti le tue carte hai delle responsabilità diverse e cambia la mentalità. Io sono curioso di vedere per esempio Busatto che in una squadra come la Intermarché avrà il suo spazio, però se passi in UAE o Ineos o Jumbo è difficile avere la possibilità di provare a giocarti le tue chance in prima persona. Prendi Tiberi: va in Bahrain, ma alla Vuelta ha Buitrago, Caruso, Landa, Poels ed è difficile imporsi. E poi ci sono pochi soldi nelle professional italiane: non è facile nemmeno riuscire a prendere il corridore di talento, ma devi sgrezzarlo.
Per chi volesse passare un'intera e interessante ora con le immagini salienti del lunigiana, questo è il link giusto:
https://youtu.be/G8daZLes5Xw?si=o-LfRVppqm64mAOD
Foto: Michele Bertoloni per gentile concessione del Giro della Lunigiana
Sangue e Arena
La Vuelta 2023 è partita con una startlist di livello eccellente, praticamente il meglio - o quasi per i grandi giri - a eccezione di Pogačar e qualche nome di contorno. La Vuelta 2023 però nei primi giorni si è distinta per situazioni che si potrebbero definire bizzarre, se non altro perché poi sono finite tutte “bene”. Bizzarre, sì, a tratti sgradevoli, altro eufemismo, per corridori e spettatori. Sono partiti con la cronosquadre corsa al tramonto, pericolosa, per le vie di Barcelona, con una pioggia fortissima che ha condizionato una gara che man mano andava avanti e più evidenziava la scarsa visibilità - oggi è la giornata mondiale dell'eufemismo. La prossima volta consigliamo a chi si mette in bici per questi esercizi di portarsi dietro una luce di quelle potenti, un po’ come facciamo noi ciclisti della domenica.
Da giorni si conoscevano le condizioni del meteo, si sapeva che le nuvole avrebbero scaricato proprio in prossimità dell’inizio della gara o quando la stessa sarebbe stata in pieno svolgimento: non si sarebbe potuto anticipare? La risposta la conosciamo già, così come i motivi che fanno rima con avaro e amaro ed è quella cosa che fa girare il mondo. Il paradosso è stato che, per rispettare la scaletta, è andata in scena una corsa che di tecnico, interessante e spettacolare non ha avuto assolutamente niente. Poi ci sarebbe anche un altro discorso da fare, forse non è il caso oggi, ma ci buttiamo lo stesso: la cronosquadre è interessante, ma a oggi il divario fra due tre squadre e il resto del mondo è netto. Solo la pioggia e le cadute e l’attenzione particolare (cautela) che a tratti hanno messo alcuni uomini di classifica ha fatto sì che si mescolassero le carte.
Il giorno successivo è grottesco. Si decide, a causa del maltempo che ha continuato a non dare tregua alla Catalunya in quei giorni, di neutralizzare il finale di corsa. In pratica ai piedi del Montjuïc, celebre scalata nella periferia di Barcelona, inserita per rendere spettacolare e brioso il finale della seconda frazione delle corsa a tappe spagnola, viene preso il tempo per la generale, lasciando gli ultimi nove chilometri - salita e discesa, ritenuta pericolosa a causa della pioggia - alla lotta per la sola tappa. E quello che si è visto non è stato proprio il massimo: in pratica va via un gruppetto di ribelli che si gioca la vittoria, manco fosse una kermesse post Giro con tre quarti di gruppo che si alza e sfila fino al traguardo a passo di amatore - amatore scarso, tipo chi scrive.
Ben venga la vittoria di Andreas Kron, corridore perfettamente a suo agio su arrivi del genere, che dedica il successo a Tijl De Decker, scomparso qualche giorno prima mentre si stava allenando in bici. Scomparso per la solita disattenzione di qualcuno che guida un'automobile. De Decker aveva da poco compiuto 22 anni e questa primavera aveva vinto la Roubaix per Under 23. Andava forte, e l’anno prossimo avrebbe compiuto il passaggio dalla squadra Development della Lotto a quella dei grandi. Nel 2024 sarebbe stato compagno di squadra di Andreas Kron. E quindi ben venga il successo di un bel corridore come Kron, e la dedica. Giorni, ancora, difficilissimi per chi corre in gruppo, e ce ne saranno ancora e sempre, per chi segue questo maledettissimo sport. Tornando alle cose più futili, tornando alle cose di Vuelta: vedere il gruppo sfilare a nove chilometri dall’arrivo in totale tranquillità non è stato il massimo, seppure i corridori abbiano le loro ragioni. Forse quello che stiamo vivendo è un momento di passaggio a cui ci dobbiamo semplicemente abituare, ma resta il fatto che Kron, la discesa del Montjuic l’ha pennellata, l’ha fatta a tutta prendendo i suoi rischi, e dopo aver aperto un piccolo gap sul tratto di salita, proprio in discesa, ha fatto la differenza sostanziale. In realtà la parte grottesca della faccenda arriva ora, perché non voglio discutere delle scelte prese dai corridori o da chi li rappresenta, semmai parliamo di come viene prodotta la Vuelta, organizzata: intanto le immagini che arrivavano dall’elicottero. Più che dall'elicottero parevano arrivare da Chandrayaan-3, la sonda mandata sulla luna dall’India, che non permettevano nemmeno agli occhi più sensibili di capire cosa stesse succedendo. E poi il capolavoro dei capolavori, da fare impallidire le sceneggiature del grande cinema europeo di metà novecento. Ebbene, la giuria si è persa il passaggio dei corridori al GPM (che dava secondi di abbuono per la classifica generale, perché, nonostante la neutralizzazione del tempo ai piedi della salita, gli abbuoni sarebbero stati comunque dati) e ha fermato gli spettatori chiedendo se qualcuno avesse filmato il passaggio - questo, potrebbe essere stato il video usato proprio dalla giuria https://twitter.com/FForradellas/status/1695851892532732206 per registrare quei passaggi poi fondamentali ai fini della classifica generale, classifica generale che vedrà, diversi minuti dopo la fine della tappa, al primo posto Andrea Piccolo.
Ma non è finita qui, perché tanto si parla di sicurezza e si fa di tutto perché i corridori possano correre meno pericolo possibili che alla fine uno dei corridori più importanti del gruppo rischia di farsi seriamente male dopo aver vinto con autorità il primo arrivo in salita. Il terzo giorno, infatti, subito dopo il traguardo di Andorra, c'è un tratto di leggera discesa, poca via di fuga, non c’è spazio a sufficienza per Evenepoel che, dopo aver esultato battendosi la mano sul petto non fa in tempo a frenare finendo per schiantarsi contro una donna presente nella calca che si trova spesso alla fine di ogni traguardo, tra giornalisti, soigneur ,eccetera. Si teme il peggio per un attimo, ma Evenepoel con la faccia completamente insanguinata mantiene un certo savoir-faire (sicuramente aver vinto e preso la Roja ha aiutato a calmare il suo temperamento e una sua possibile dura reazione, probabilmente la botta stessa ha contribuito a tenerlo quasi un po’ spaesato) lasciandosi andare solo nell’intervista di rito al vincitore: «Non ne posso più, mi sto seriamente rompendo le balle. Ogni giorno ce n’è una… posso solo dire che spero che la signora stia bene». A noi Remco piace così.
Poi succede anche che, secondo quanto riportano i media spagnoli, il quarto giorno venga “sventato un sabotaggio ai danni della corsa, quattro persone arrestate e sequestrate alcune taniche con dentro circa 400 litri di olio pronti per essere riversati sulla strada”.
Insomma la Vuelta ha fatto la Vuelta, signori, incrociamo le dita per i prossimi giorni.
Foto in evidenza: ASO/UNIPUBLIC-Sprint Cycling Agency
Il Monumentale della Vuelta 2023
L’ultima grande corsa a tappe dell’anno, l'ultimo viaggio lungo tre settimane. L’ultimo monumentale di alvento di questa stagione: il 2023 ciclistico - almeno quello su strada - si sta avviando, pedalata dopo pedalata, verso la sua conclusione e lo farà con quello che potremmo definire il proverbiale botto. Una sfida, sulle strade spagnole della 78ª Vuelta, da Barcelona a Madrid, dal 26 agosto al 17 settembre, che promette di accendersi da subito, dal primo giorno, con la cronosquadre pronta a mettere da subito primi distacchi tra gli uomini di classifica. Contendenti, tanti, ma qualcuno più contendente dell'altro. Scopriamoli, qui di seguito, nella nostra consueta guida alla corsa.
L’ANALISI DEI PARTECIPANTI
VINGEGAARD ALL’APPUNTAMENTO CON LA STORIA
Partiamo dalla coppia del Team Jumbo Visma, Jonas Vingegaard e Primož Roglič in quest’ordine. Uno vincitore del Tour e l’altro del Giro. Roglič che alla Vuelta a Burgos (ventesima vittoria in una classifica di una corsa a tappe in carriera) ha mostrato una condizione invidiabile, Vingegaard che dopo il Tour ha staccato - non c’è da stupirsi - così come non ci stupiremmo se dovesse fare l’accoppiata Tour-Vuelta riuscita soltanto a tre corridori nella storia: Hinault, Anquetil, Froome. Il quesito da porsi è: come gestiranno la convivenza tra i due? E poi ancora: quali sono le gerarchie in partenza? Partiranno davvero alla pari come qualcuno dice? Molte tappe sorridono più allo sloveno, arrivi secchi, da volatina di un gruppo con pochi superstiti, il piatto preferito dal goloso sloveno, ma Vingegaard ha un paio di tappe in cui poter far saltare in aria la classifica. Vediamo come risponderà dal punto di vista fisico dopo aver corso un Tour concedendo poco ai rivali, annichilendo anche un fuoriclasse come Pogačar.
Su una cosa siamo certi, una squadra come la Jumbo Visma a questa Vuelta non si vede spesso: oltre ai due, c’è Sepp Kuss, al terzo grande Giro in stagione, per vincerne un altro da gregario, uno che potrebbe tranquillamente chiudere nei 10 (e al Tour senza questa caduta sarebbe andata così), Attila Valter e Wilco Kelderman altrove farebbero i capitani per l'alta classifica, Jan Tratnik è un corridore completo che in pochi hanno, discorso simile per Dylan van Baarle. Chiude la spedizione Robert Gesink incaricato di dare il primo abbrivio sulle salite. Una squadra che potrà fare quello che vuole nelle tappe di montagna, negli arrivi mono salita, un po' ovunque. Possono isolare gli avversari più pericolosi e magari averne ancora due se non tre davanti, in un gruppo massimo di sei sette corridori.
REMCO EVENEPOEL PER UN DIFFICILE BIS
Divisivo come pochi nel ciclismo di questi anni, amato e odiato per via di un carattere che non ammette compromessi, così come non scende a patti con nessuno una volta che messo in posizione parte e se ne va. Ha una crono non troppo lunga dove poter guadagnare per il resto il Remco Evenepoel che conosciamo potrà giocarsi i finali in salita tirati, ma meno selettivi, quelli dove non si farà troppa differenza e potrà giocarsela negli sprint ristretti, ma dovrà soprattutto difendersi con i denti dai possibili-probabili attacchi dello squadrone olandese. Attaccare come piace a lui potrebbe essere un'arma a doppio taglio, perché potrebbe significare spendere energie inutili soprattutto considerando in quanto della Jumbo Visma potranno inseguirli. Insomma non di facile lettura la sua corsa da un punto di vista tattico. E a proposito di squadra: pur circondato da ottimi elementi lo squilibrio è evidente rispetto ai calabroni. Mattia Cattaneo, James Knox, Jan Hirt e Louis Vervaeke saranno i suoi scudieri, ma niente a che vedere con i gialloneri. Andrea Bagioli proverà anche a vincere una tappa prima di lasciare la squadra di Lefevere per altri Lidl, Casper Pedersen avrà il difficile compito di gettarsi in volata, Pieter Serry sarà l’uomo ovunque.
AYUSO: PIU DI UN ALTERNATIVA
Tra alti e bassi, qualche problema fisico che lo ha tenuto fuori nella prima parte di stagione e alcune cadute, Juan Ayuso arriva alla Vuelta con il ruolo di outsider per il podio, ma nel suo storico c’è un terzo posto dell’anno scorso che l’ambizioso classe 2002 vuole migliorare. Non si pongono limiti a un corridore brillante su ogni terreno, che non ha paura di attaccare e che ha già dimostrato di fare sul serio nei grandi Giri, nonostante la tenera età. Supportato da una squadra già rodata, di fianco a lui Joao Almeida, qualcosa di più di una semplice seconda punta e che mira a un altro risultato di alta classifica (in carriera, su 5 grandi Giri disputati, a parte un ritiro per Covid al Giro 2022 quando era in lotta per il podio, ha un 3°, un 4°, un 5° e un 6° posto), e che potrebbe anche giocare un ruolo importante dal punto di vista tattico. Con Jay Vine e Marc Soler a volte inaffidabili per vari motivi (le cadute di uno, gli alti e bassi dell’altro), fa il suo esordio in una corsa a tappe di tre settimane il giovane neozelandese Finn Fisher-Black, corridore che tornerà utile alla causa, anche nella cronosquadre di apertura. Così come utile in quel giorno sarà Oliveira (Rui), gregario a 360 gradi come proverà a essere importante per questa squadra anche Damen Novak, dal suo arrivo dopo l’ottima stagione in maglia Bahrain, si è visto pochino. Per le volate ci sarà Juan Sebastian Molano che sin qui sta vivendo una delle miglior stagioni in carriera e che alla Vuelta ha già timbrato lo scorso anno in quella che resta la sua vittoria più importante.
INEOS: A COSA POTRANNO AMBIRE I DUE CAPITANI?
Geraint Thomas oppure Thymen Arensman a comandare una Ineos di qualità, ma con capitani un gradino sotto ai favoritissimi? Difficile che non lascino il segno, ma da capire dove si potranno inserire in classifica. Oltre ai due uomini designati per la generale pesa la presenza di Filippo Ganna, la stella del nostro ciclismo che proverà a riprendersi la rivincita su Evenepoel nella crono di Valladolid, non prima però di aver dato importante contributo a Barcelona in quella a squadre. Dopo il Tour presente anche Egan Bernal, tutto quello che verrà sarà ben accetto, ma al momento il vincitore di Giro (2021) e Tour (2019) è un lontanissimo parente del corridore pre infortunio. Laurens De Plus in salita è uno dei corridori più solidi in assoluto, difficile scrivere qualcosa di diverso a proposito di Jonathan Castroviejo, ma servirà avere grandi gregari se poi i capitani non saranno all’altezza di salire sul podio? Chiudono la selezione Kim Heiduk, velocista anche se non di prima fascia e Omar Fraile, noto per la sua incostanza, ma che può tranquillamente puntare a qualche tappa.
MAS, IL RISCATTO
Il Tour di Enric Mas è durato così poco che per un po' abbiamo dimenticato della sua esistenza, le cicatrici che porta addosso servono a ricordarglielo e lui, che alla Vuelta trova sempre terreno adatto alla sua costanza, punta forte a un piazzamento tra i primi cinque. Squadra ancora una volta costruita attorno a Mas con Jorge Arcas, Imanol Erviti e Neilson Oliveira gente affidabilissima a cui la Movistar lascerebbe pure le chiavi del pullman nel caso non lo avesse già fatto, Ruben Guerreiro e Einer Rubio sono un piano B che prevede l’attacco ai successi parziali, soprattutto in salita, così come Ivan Garcia Cortina è l'uomo da sprint ristretto - se ce ne saranno - e Oier Lazkano, campione di Spagna, esploso in questo 2023, è libero di dare sfogo alle sue scorribande.
VLASOV, KAMNA, UIJTDEBROEKS, HIGUITA… QUANTE PUNTE LA BORA
Alexandre Vlasov, Lennard Kamna e Cian Uijtdebroeks hanno il potenziale - i primi due già espresso anche per vie dell’esperienza maturata in grandi corse a tappe, il terzo da dimostrare - per entrare nei primi dieci della classifica generale. In fin dei conti solo Jumbo Visma può contare su una squadra con un roster così profondo in salita. Sergio Higuita, invece, di potenziale ne ha per gli arrivi in salita, soprattutto quelli secchi, non particolarmente lunghi, ma è come se spesso se ne dimenticasse. Se trova la giornata giusta, però, è uno dei corridori più esplosivi in gruppo. Completano una squadra davvero forte in salita, Emanuel Buchmann, che ha un 4° posto in carriera al Tour, prima di riciclarsi gregario di lusso, Ben Zwiehoff, altro corridore che si esalta quando la strada sale, Jonas Koch utile in pianura e Nico Denz, quest’ultimo, dopo i due successi di tappa al Giro, vuole ripetersi anche in Spagna.
DSM: NON SOLO BARDET
Come da titolo, la squadra olandese non si affida al solo Romain Bardet che qui vinse un paio di stagioni fa e punta deciso a una top ten: l’ormai veterano francese non sta vivendo una stagione delle migliori, ma senza contrattempi lungo la strada, può tranquillamente puntare a un buon risultato e perché no, pure a un successo di tappa. C’è curiosità per la presenza di due giovanissimi britannici: Max Poole (2003) e Oscar Onley (2002): in questa Vuelta iniziamo a misurare le loro ambizioni nei grandi Giri, per capire se prima o poi potranno diventare un fattore nella lotta per la generale nelle corse a tappe di tre settimane. In quelle brevi, entrambi hanno già dimostrato di valere un gradino appena sotto i migliori del gruppo. Alberto Dainese è il velocista, stavolta speriamo non lo condannino a tirare le volate per altri: al passo d’addio dalla squadra che lo ha fatto diventare uno dei velocisti più forti del gruppo, l’ex campione europeo tra gli Under 23 non avrà tantissime chance per vincere, e nemmeno una grossa squadra a supporto dei suoi sprint, ma ha già dimostrato di sapersela cavare egregiamente anche da solo. Un altro italiano al via da seguire: fari accesi sul neo campione mondiale a cronometro tra gli Under 23 Lorenzo Milesi. Quali ambizioni? Sicuramente sarà un supporto per i compagni di squadra su ogni terreno, ci piacerebbe vederlo competitivo nella crono individuale e perchè no, trovasse la condizione giusta giorno dopo giorno, anche provare a vincere una tappa.
BAHRAIN: COMPATTEZZA IN MONTAGNA, MA…
Squadra forte, davvero, la Bahrain a questa Vuelta, alla quale forse manca quel corridore capace di lottare per i vertici della classifica generale, sempre che Mikel Landa, dopo aver firmato per la Quick Step, non si risvegli dal torpore in cui è sprofondato al Tour, un Landa irriconoscibile anche per i più fedeli e ortodossi landisti. Allora proviamo a suggerire noi un obiettivo a chi guida Damiano Caruso, che tuttavia arriva pur sempre da un confortante 4° posto all'ultimo Giro, Santiago Buitrago e Wout Poels, vincitori quest'anno di tappa uno al Giro e l'altro al Tour, ovvero lasciare perdere ambizioni di bassa top ten per provare a vincere qualche bell'arrivo in salita. Discorso a parte invece merita Antonio Tiberi, dopo essere approdato a stagione in corso nella squadra bahreinita, su di lui è chiaro il progetto di farne un corridore da grandi Giri. In questa Vuelta vedremo fino a dove potrà arrivare. Lo scorso anno con la Trek le cose non andarono molto bene - mai in classifica - quest’anno tutti si aspettano un deciso passo in avanti. Al via anche una giovane ruota veloce, Matevz Govekar, sloveno, che proverà a infilarsi in qualche fuga oppure a entrare nelle top ten di tappa gettandosi negli sprint.
LENNY E ROMAIN: IL FUTURO È GIÀ QUÌ
Giovani ovunque, in particolare in maglia Groupama FDJ: su 8 corridori al via 6 arrivano dal team sviluppo, quattro di questi sono neo professionisti. Ma poca esperienza non si sposa con poca qualità, perché Romain Grégoire è uno dei corridori più attesi e punta a vincere qualche tappa, magari da subito, al secondo giorno, mentre Lenny Martinez mira all’alta classifica - ma noi pensiamo che in questo momento possa chiudere in una posizione intorno alla 15esima e farsi vedere in salita, magari vincendo una tappa. Lorenzo Germani, italiano formatosi nelle ultime stagioni proprio in Francia, avrà il compito di guardare le spalle ai due, mentre Samuel Watson è l’uomo veloce di riferimento. Lewis Askey vuole dare un po’ di concretezza alla sua fantasia, ma non sappiamo quanto il terreno che troverà nelle tre settimane sia adatto, più probabile vederlo in appoggio ai compagni di squadra, così come Clement Davy. I corridori più esperti della squadra francese sono due che alla Vuelta hanno trovato le migliori giornate della propria carriera: Rudy Molard ha vestito la maglia di leader in passato (nel 2018), chiudendo al 14° posto (suo migliore risultato in carriera in un grande Giro) la classifica finale, sarà una chioccia di grande qualità per i giovani rampolli in squadra, Michael Storer ha vinto due tappe in salita e la maglia dei GPM nel 2021 e di recente ha ricominciato ad andare forte. E di montagna in questa Vuelta ce ne sarà tantissima (pure troppa).
AFFIATAMENTO CERCASI E ITALIANI IN PALLA, OVVERO JAYCO ALULA
Eddie Dunbar guiderà la spedizione Jayco AlUla. Come ha raccontato Marco Pinotti tempo fa, parlando del Giro, in una tappa in cui Zana era in fuga, forse proprio quella vinta a Val di Zoldo: «La sera, dopo la tappa, Dunbar si è lamentato perché non aveva più nessun uomo assieme a lui, questo probabilmente è una reminiscenza del modo di correre che avevano in Ineos, però Dunbar si deve rendere conto che se in gruppo ne restano 20, non sempre c’è bisogno di avere un compagno di squadra con lui». Cosa succederà alla Vuelta? Certamente l’irlandese, forte anche del piazzamento finale al Giro - 7° al suo esordio in una corsa a tappe di tre settimane, mica male, nonostante un crollo verticale nelle ultime giornate - sarà il pupillo del team australiano per ottenere il 3° piazzamento in un GT nei 10 dopo appunto quello dell’irlandese al Giro e quello di Simon Yates al Tour. Risultati di un certo prestigio per una squadra che non dispone di un budget all'altezza degli squadroni, ma che sa difendersi bene su ogni terreno. E lo farà allora, oltre che con Dunbar, anche con i nostri Filippo Zana e Matteo Sobrero, tra le maggiori speranze di provare a vincere una tappa a questa Vuelta, sempre che a Dunbar stia bene come cosa, s'intende. Ma la Jayco vista quest’anno ci pare adatta anche alle scorribande da lontano. In salita, poi, presente il giovane etiope classe 2001 Welay Hagos Berhe, dopo un’ottima annata con gli Under 23, quest’anno al suo primo anno da professionista sta facendo vedere alcune cose molto interessanti in salita. Se Michael Hepburn e Jan Maas saranno i portaborracce, i guardaspalle, gli uomini votati esclusivamente agli altri, cronosquadre inclusa, Callum Scotson vuole riprendere il discorso interrotto bruscamente al Giro, quando stava benissimo ma si ritirò per un malanno. Infine occhio a Felix Engelhardt, dalle caratteristiche particolari, corridore resistente anche su salite medio lunghe e dotato di spunto veloce. Interessante vedere dove potrà arrivare correndo per la prima volta un grande Giro e con la possibilità di lasciare il segno in fuga.
ASTANA, AMBIZIONI IN FUGA
Dovrà per forza provare una corsa all'attacco la squadra di Alexandre Vinokourov: non c’è un uomo di classifica affidabile, sempre che David de la Cruz non torni quello di qualche stagione fa, o che Vadim Pronskiy salga nettamente di livello, né un velocista. E allora oltre ai due citati spazio a Joe Dombrowski nelle tappe di montagne, e come lui Andrei Zeits, uno dei corridori più esperti al via. E a proposito di meno giovani, Luis Leon Sanchez a quasi 40 anni compiuti correrà per la prima volta in carriera tre GT nello stesso anno, Fabio Felline invece disputerà per l’ultima volta un GT con la maglia dell’Astana e sarà un valido supporto per i suoi compagni. Javier Romo e Samuele Battistella sono invece i prescelti per provare a entrare in qualsiasi tipo di fuga e magari riuscire a vincere, cosa che al corridore italiano lo scorso anno non è riuscito per pochissimo.
ALPECIN: OCCHIO A GROVES E OSBORNE
Squadra impostata quasi totalmente per le volate di Kaden Groves, uno che, vista la non grandissima concorrenza, potrebbe provare pure a vincere tutti gli arrivi a ranghi compatti. Edward Planckaert, Samuel Gaze, Jimmy Janssens, che lo scorso anno sfiorò la vittoria alla Vuelta dopo una lunga fuga, Maurice Ballerstedt, Robbe Ghys formeranno il treno più forte della corsa, anche se da collaudare, con loro anche Tobias Bayer, libero di provarci, e Jason Osborne, corridore arrivato molto tardi al ciclismo, arriva dal canottaggio, in netta crescita nell’ultimo periodo e da seguire per capire cosa potrà fare e quali margini, soprattutto in salita.
ANCORA FRANCIA: DA BOUCHARD PER LA POIS, A CRAS CHE CI RIPROVA, MA OCCHIO A VAUQUELIN, COQUARD ED HERRADA
Anche l’AG2R non ha uomini per la classifica ma Geoffrey Bouchard si candida per vincere nuovamente la maglia dei Gran Premi della Montagna. Specialista, ha vinto questa classifica nel 2019 proprio in Spagna, e al Giro d’Italia due stagioni fa. Con lui Andrea Vendrame per piazzarsi in qualche volata, ma soprattutto andare in fuga. Fosse assistito una volta tanto dalla fortuna, potrebbe pure vincere una tappa, quando va all’attacco nei grandi Giri ha dimostrato di poter resistere in salita e lo spunto veloce lo conosciamo. Occhio anche a Dorian Godon, veloce, resistente, cacciatore di tappe e di classiche come dimostra la vittoria quest'anno alla Freccia del Brabante
TotalEnergies punta su Steff Cras che dopo il ritiro al Tour per una caduta causata da un tifoso, mentre era in lotta per giocarsi una posizione nei primi 15 di classifica, ci riproverà in una Vuelta particolarmente montagnosa e dunque adatta alle sue caratteristiche. Con lui in salita (e anche nelle fughe), vedremo Pierre Latour e Alan Jousseaume, Dries Van Gestel, invece, grande specialista delle semiclassiche della primavera, proverà a gettarsi nelle poche volate a disposizione in questo suo tardivo (quasi 29 anni) esordio in un grande Giro, inseguendo qualche top ten di tappa.
E a proposito di esordi in un GT in casa Arkéa-Samsic ecco Kévin Vauquelin, una delle più grosse sorprese del 2022, che quest’anno ha leggermente abbassato il tiro, ma in questa Vuelta può provare a piazzarsi nei primi dieci, quindici della classifica generale, visto anche un tracciato particolarmente adatto alle sue caratteristiche. In alternativa, dovesse uscire di classifica e provare ad andare in fuga nelle tappe di montagna, diventerebbe automaticamente uno dei favoriti ai successi parziali. In salita lo affiancheranno Cristian Rodriguez ed Elie Gesbert, altro da temere in fuga, mentre per le volate i bretoni si affidano a Hugo Hofstetter.
Infine, la quinta squadra francese al via, la Cofidis, che spesso in Spagna ha saputo togliersi importanti soddisfazioni. Bryan Coquard, in un paniere non particolarmente ricco di velocisti, può provare a vincere una tappa, aiutato da Davide Cimolai e Andre Carvalho, mentre Jesus Herrada, vincitore di tappa alla Vuelta nel 2019 e nel 2022, sarà uno dei fugaioli della corsa per eccellenza . Avrà già messo nel mirino diverse tappe di montagna da provare a vincere e se non ci dovesse riuscire lui, potranno tentare il colpo grosso Francois Bidard, Remy Rochas e Ruben Fernandez.
CARTHY, CI RIPROVA, MA STAGIONE COSì COSì FINORA
La EF EasyPost porta Hugh Carthy, ormai “tradizionale” capitano nei grandi Giri della squadra di Vaughters, leader per la classifica a maggior ragione dopo il forfait di Carapaz, l’ecuadoriano non ha recuperato dopo la caduta al Tour. Ma ci aspettiamo la solita squadra capace di dare battaglia su tutti i terreni, lasciando al magrissimo e dinoccolato scalatore britannico l’onere e l’onore di cercare un piazzamento in alta classifica. Stefan Bissegger, oltre a essere una carta fondamentale per la cronometro a squadra di apertura, cerca, in quella individuale, un riscatto a una stagione sottotono, discorso simile per Andrea Piccolo che si inserirà in fuga, magari cercando di vincere una tappa: anche per lui un 2023 completamente all’opposto rispetto al 2022 che ci ha fatto sognare in grande pensando al suo nome. Diego Camargo e Jonathan Caicedo aiuteranno Carthy in salita, ma non escludiamo di trovarli spesso in fuga, come Sean Quinn, corridore resistente e veloce che proverà a piazzarsi in qualche arrivo impegnativo, ma non troppo. Infine presenti i due van den Berg della squadra, Julius sarà il faticatore, mentre Marijn è uno dei velocisti più attesi dell’edizione numero 78 della Vuelta.
LIDL, CI PIACI DI MENO
Già, perché una delle squadre più vincenti della stagione, grazie a quell’incredibile corridore di nome Mads Pedersen, ma non solo, sparge i suoi corridori migliori qua e là per l’Europa (e il mondo, in programma anche le due classiche World Tour in Canada) e alla Vuelta porta una sorta di squadra C, con corridori, tuttavia, dall’indole battagliera e che proveranno a lasciare il segno. Juanpe Lopez, dopo aver faticato per gli altri al Tour, proverà a fare classifica - anche se pare difficile possa migliorare il 13° posto ottenuto qui nel 2021. Bauke Mollema porta esperienza, ci pare in fase calante, ma lo vediamo bene provare a vincere una tappa, così come Kenny Elissonde, apparso in buona forma di recente o Amanuel Ghebreigzabhier: entrambi andranno in fuga nelle tappe di montagna, magari con l’aiuto del solito e affidabilissimo Julien Bernard. Presenti anche uno dei corridori più regolari quando c’è da sprintare, Edward Theuns e con lui Jacopo Mosca, che, probabilmente, lo aiuterà nel trovare la migliore posizione in volata. Ma un corridore forte e combattivo come Mosca, potrà anche provare a giocarsi qualche carta personale.
DAL BELGIO: TUTTI ALL'ATTACCO, DA RUI COSTA E GOOSSENS A VAN EETVELT, POSSIBILE SORPRESA IN SALITA
La Intermarché-Circus-Wanty avrebbe dovuto intorno alle volate di Gerben Thijssen - aiutato da Hugo Page, Julius Johansen e Boy van Poppel, ma il velocista belga ha preso il covid e salterà la Vuelta, al suo posto Simone Petilli che con Rein Taaramäe, Rune Herregodts, Rui Costa e Kobe Goossens sono corridori perfetti per infiammare con le loro azioni ogni tipo di tappa, puntando a vincere in fuga.
La Lotto-Dstny, invece, lascia fuori alcuni pezzi da novanta, ma c’è molta curiosità intorno a quello che potrà combinare Lennert van Eetvelt, tra i corridori più giovani al via, ma che ha già dimostrato di andare molto forte in salita: può essere la sorpresa di questa Vuelta? Milan Menten è il velocista, e se di Thomas De Gendt conosciamo tutto - abbiamo pure pubblicato la sua biografia - da scoprire invece cosa potranno fare un altro giovane come Sylvain Moniquet, scalatore, e il danese Alexander Kron, corridore che in giornata è capace di andare forte dappertutto e cliente scomodo da portarsi dietro in fuga.
PROFESSIONAL SPAGNOLE: FUGA, VISIBILITÀ, QUALCHE SOGNO
Chiudiamo con le uniche due Professional spagnole invitate - rimaste fuori Euskaltel Euskadi e Kern Pharma - ovvero Caja Rural e Burgos BH.
Caja Rural punta sugli esperti scalatori Michael Schlegel e Jefferson Cepeda e sul giovane Abel Balderstone, li vedremo in fuga in montagna, magari con Jon Barrenetxea che sogna di vestire la maglia a pois come già successo ai Paesi Baschi, ma i due corridori più importanti sono sicuramente Fernando Barcelò, uno dei corridori più piazzati del calendario spagnolo che insegue il primo successo in carriera, lui che nel 2018 vinse una tappa del Tour de l’Avenir con Pogačar che chiuse 3°, e Orluis Aular, campione nazionale venezuelano, che proverà a piazzarsi negli sprint.
Infine la Burgos BH che porta, nella corsa di casa, quasi il meglio a disposizione, a parte Langellotti e Madrazo. Una squadra che si farà vedere all’attacco con alcuni corridori resistenti e dotati anche di spunto veloce, come Pelayo Sanchez e Cyril Barthe, con loro il veterano Jetse Bol, Jesus Ezquerra, che ha corso il Mondiale con la nazionale spagnola, l’uruguaiano Eric Fagundez e Dani Navarro, il corridore meno giovane al via, ha già compiuto 40 anni, vincitore di una tappa alla Vuelta nel 2014.
PERCORSO
Sempre critici sul percorso, come non esserlo in una corsa che prevede nove arrivi in salita, tre dei quali nel tradizionale profilo con un' unica difficoltà in tutta la tappa?
La seconda tappa ha un finale che ispira qualche sortita e potrà allungare e spezzare il gruppo.
Interessante invece la distribuzione della fatica che spaccherà da subito la classifica: si parte subito con una cronosquadre, poi il secondo giorno, siamo ancora a Barcelona, arrivo in leggera salita dopo aver affrontato il Montjuic: pane per i corridori esplosivi e uomini della classifica chiamati a partecipare in prima persona alla diatriba. La terza tappa mostra subito il primo impegnativo arrivo in quota agli oltre 1900 metri di Arinsal Andorra, dopo aver scollinato in giornata un altro (lunghissimo) colle di prima categoria.
Al quarto giorno si può rifiatare, ma nemmeno troppo. Per arrivare a Tarragona si va su e giù, sulla carta è volata, ma se leggi tra le righe è facile possa esserci scritto fuga. Stessa cosa il giorno dopo con la Morella-Buriana: le squadre dei pochi velocisti dovranno conquistarsela e soprattutto il gruppo se vuole una giornata tranquilla e una possibile volata a ranghi compatti, dovrà evitare di mandare troppa gente in fuga.
Sesta tappa e secondo arrivo in salita: Observatorio Astrofísico de Javalambre, con i suoi ultimi 5 km davvero impegnativi e un profilo che prevede oltre 4.000 metri di dislivello. Qui un solo precedente alla Vualta e clamorosa doppietta della Burgos BH con Madrazo che vinse davanti a Bol. Si fa sul serio e si faranno distacchi. Il giorno dopo, tappa numero sette, unica frazione (quasi) completamente pianeggiante: l’arrivo a Olivia è fatto apposta per i velocisti e come ormai vogliono i disegni di ASO, la tappa in pianura è una delle pochissime (due in tutto a questa Vuelta), a superare i 200km.
Senza un attimo di respiro, la tappa con arriva a Costa Blanca Interior è una delle più attese della prima settimana
E si risale nuovamente il giorno dopo con l’arrivo a Xorret de Catì Costa Blanca Interior, dopo aver attraversato il durissimo e omonimo muro che scollina a meno di 4 km dall’arrivo.
Tappa nove e indovinate un po’? Sì, proprio così, arrivo in salita sul Collado de la Cruz de Caravaca. Breve e molto irregolare con qualche rampa impegnativa. Poi riposo.
Si riprende, martedì 5 settembre, con la cronometro di Valladolid. 25,8 km la lunghezza (giudicate voi), profilo totalmente pianeggiante. Il giorno dopo ancora arrivo in salita (abbiamo perso il conto): 163 km, un po’ di su e giù prima dell’unica salita vera e propria di giornata e che porta all’rrivo di Laguna Negra Vinuesa, dove nel 2020 Dan Martin tornava alla vittoria dopo oltre due anni di digiuno. Salita breve, che si fa impegnativa solo nelle rampe finali.
Tappa 12: per arrivare a Saragoza sono 150 km e nemmeno mille di dislivello, sarà volata (eventualmente la terza o la quarta) oppure fuga? Di sicuro si rifiaterà un attimo prima della due giorni decisiva e decisamente più bella di questa Vuelta.
Si parte in discesa e poi si affrontando tre salite di un certo spessore. Solo 134,7 km ma ormai è l'uso di ASO.
La 13a tappa prevede infatti lo sconfinamento, ma diciamo di più, ben quattro gran premi della montagna, anzi esageriamo, si passa il mitico Aubisque, il duro Spandelles, ma soprattutto si rende omaggio a uno dei luoghi di culto del ciclismo, il Col du Torumalet dove sarà posto l’arrivo. Tappa decisiva, una delle più belle disegnate in tanti anni alla Vuelta. Peccato per il chilometraggio: 134,7.
E non ci si ferma perchè il giorno dopo, tappa 14, 4600 metri di dislivello (600 in più del giorno prima), in 156 km, con arrivo in salita (sic) a Larra-Belagua, non durissimo, molto più impegnative le due scalate che affronteranno in precedenza, entrambe classificate di Hors Catégorie, Col Hourcère, 11,6 km all’8,3% e soprattutto Puerto de Larrau, 15,1 km al 7,8%.
Il 10 settembre, tappa 15, prima del riposo si arriva a Lekunberri ed è una giornata tipica da Paesi Baschi, tappa (molto) vallonata, giornata da fughe.
Il 12 settembre la terza e ultima settimana parte con una frazione, la 16, da Liencres Playa a Bejes di 130 km, di cui non sentivamo la mancanza, tutt’altro. Leggermente mossa come il mare nelle prime ore dell’alba e poi muro finale: 4,9km all’8,6 %.
Il giorno dopo Alto de l’Angliru: non servono presentazioni, ma se non altro per arrivare ai piedi di una delle salite più dure del mondo bisogna attraversato altre due salite di prima categoria. Giornata che sarebbe stata decisiva se il giorno dopo, tappa 18 non ci fosse stato in programma il nono arrivo in salita di questa Vuelta. La Cruz de Linares, 8,3 km all’8,5%. Tappa tutto sommato interessante come lunghezza: quasi 180 km e con ben 4600m di dislivello distribuiti oltre che sulla salita finale su altri ben 4 gran premi della montagna. Lo potremmo definire tappone.
L'ultimo sabato di corsa: tappa per le imboscate, occhi aperti perché qui si può ancora decidere la corsa.
L’ultimo venerdì di corsa concede tregue e così il 15 settembre sarà fuga o volata sul traguardo di Iscar, mentre il giorno dopo a Guadarrama c’è terreno, in caso di classifica ancora aperta, per ribaltare di nuovo tutto. Non grandi salite, almeno per altitudine e lunghezza, ma non un metro di pianura in un disegno che sembra quella specie di sorriso che ti fanno i cani quando ringhiano nemmeno troppo convinti e ti guardano di traverso.
Infine ultimo giorno a Madrid, prima volata e poi veloci a incoronare l’erede di Remco Evenepoel.
I FAVORITI DI ALVENTO
CLASSIFICA GENERALE
⭐⭐⭐⭐⭐Vingegaard
⭐⭐⭐⭐ Roglič, Evenepoel
⭐⭐⭐Ayuso, Mas
⭐⭐Thomas, Vlasov, Uijtdebroeks, Almeida
⭐Arensman, Bardet, Landa, Dunbar, Vauquelin, Onley, Poole, Cras, Caruso, Carthy
VOLATE
⭐⭐⭐⭐⭐ Dainese, Groves
⭐⭐⭐⭐ Molano
⭐⭐⭐ van den Berg M., Coquard
⭐⭐Menten, Page, Watson, Hofstetter, Heiduk
⭐ Garcia Cortina, C.Pedersen, Van Gestel, Govekar, Aular, Theuns
FUGHE/TAPPE/MONTAGNA
⭐⭐⭐⭐⭐Grégoire, Martinez, Higuita
⭐⭐⭐⭐ Van Eetvelt, Storer, Rubio, Buitrago, Herrada, Vine
⭐⭐⭐Lazkano, Ganna, Kron
⭐⭐ Zana, Sobrero, Guerreiro, Bouchard, Vendrame
⭐Bagioli, Battistella, Barthe, Osborne, Quinn, Mollema, Godon
Foto in evidenza: ASO/Charly Lopez
Guida al Tour de l'Avenir 2023
È una delle corse più attese del calendario Under 23, è quella che chiude il trittico delle gare a tappe più blasonate e qualificanti della categoria a cui appartengono i ragazzi con meno di 23 anni* - per questa stagione quelli nati tra il 2001 e il 2004 - dopo Giro (Next Gen) e (Giro Ciclistico della) Valle d’Aosta, ecco, dal 20 al 27 agosto il Tour de l’Avenir.
Il Tour dei giovani, così detto, e che noi amiamo particolarmente non tanto per gli spunti che può dare verso il futuro - ormai la maggior parte dei corridori che partecipano a questi eventi sono praticamente dei professionisti, anzi, in alcuni casi lo sono a tutti gli effetti e di loro sappiamo "tutto" - quanto per il fascino incredibile che trasmette il vederli correre, non con le maglie di club, ma con quelle della propria nazionale. Quindi niente squadroni Devo delle WT (ben rappresentati lo stesso), ma nazionali, in alcuni casi molto forti, come vedremo a breve.
*Ricordiamo che possono partecipare anche i professionisti del World Tour, anche chi ha già disputato dei Grandi Giri.
PILLOLE DI AVVENIRE
Prima qualche numero, anche se non tutti sono grandi appassionati e preferiscono giri di parole e svolazzi in punta di penna, ma viceversa c’è chi trova anche nei numeri la poesia.
Cinquantanovesima edizione del Tour de l’Avenir, la prima è nel 1961 quando a vincere fu un italiano: Guido De Rosso, l’ultima, nel 2022, l’ha conquistata il belga Cian Uijtdebroeks, dalla prossima settimana impegnato nella Vuelta a España. L’Italia ha vinto 4 volte: dopo De Rosso, c’è stato Gimondi nel 1964, Denti nel 1966 e infine Baronchelli, 1973, Baronchelli che detiene un record che quest’anno potrebbe cadere: la doppietta Giro/Tour nello stesso anno, obiettivo di Johannes Staune-Mittet, il grande favorito della corsa, anche se ci arriva con qualche punto interrogativo legato alle sue condizioni di forma e salute.
Negli anni la corsa ha cambiato nome, organizzatori e anche modalità di partecipazione ed è stata vinta da corridori che hanno scritto alcune pagine importanti della storia di questo sport: da Zoetemelk (1969), a Lemond (1982), continuando poi con Ludwig (1983) Mottet (1984), Indurain (1986), Madiot (1987), Fignon (1988), Bruyneel (1990) e venendo poi agli anni 2000, Menchov (2000), poi Mollema (2007), Quintana (2010), Chaves (2011), Barguil (2012), Miguel Angel Lopez (2014), Soler (2015), Gaudu (2016), Bernal (2017), Pogačar (2018), Foss (2019) e infine Tobias Halland Johannessen (2021). Nomi già noti, vero? Anche dal vincitore dello scorso anno, il già citato belga Uijtdebroeks, ci aspettiamo risultanti di un certo livello tra i professionisti, soprattutto nelle corse a tappe, inutile girarci attorno. In poche parole: l’Avenir dice spesso la verità sul futuro dei corridori.
Una corsa che è stata anche vinta da uno dei personaggi più di culto della disciplina delle due ruote: Sergei Sukhoruchenkov, unico corridore ad averla vinta due volte, oltretutto, nel 1978 e nel 1979.
L’Italia, qui, è bene o male sempre stata protagonista, anche se i successi di tappa, nelle ultime stagioni, si contano sulle dita di una mano: nel 2016 a conquistare una frazione c'è riuscito Albanese, poi Covi nel 2018 e Milesi nell’ultima tappa dello scorso anno, mentre in classifica generale oltre ai vincitori già citati spicca Mattia Cattaneo, terzo per ben due anni di fila, 2011 e 2012, e non sono moltissimi, anzi, i corridori a vantare più di due podi. C’è appunto il sovietico Sukhoruchenkov, due primi e due secondi posti, mentre a quota due podi: l’olandese Den Hertog (1° nel 1972 e 2° nel 1971), il francese Laurent Roux, vincitore nel 1997 dopo essere stato sul podio, 3°, nel 1995, il suo connazionale Bezault (due secondi posti) e l’austriaco Steinmayer, mentre a quota due podi ancora un francese, Bourreau e uno spagnolo, José Gomez.
È una corsa che, bene o male, basta vedere l’albo d’oro recente, segnala chi ha qualità per poi imporsi tra i professionisti, e visti i favoriti per quest’anno, dovrebbe essere così anche per il futuro.
Infine due conti sulle nazioni plurivittoriose: la Francia con 19 vittorie comanda nettamente l’albo d’oro, segue la Spagna a 12, la Colombia a 6, Russia (o ex Urss) a 4 come Italia e Belgio, Olanda è ferma a quota 3 mentre la Norvegia è a 2: ha vinto due delle ultime tre edizioni e quest’anno, come vedremo, è fermamente intenzionata a fare tripletta.
PERCORSO
Entriamo subito a gamba tesa parlando del percorso: una delle corse più belle dell’anno si caratterizza di uno dei percorsi più brutti, come purtroppo spesso accade quando si parla di Tour de l’Avenir. Chilometraggio da gara allievi nelle tappe di montagna, anche se non si raggiunge il record di quattro stagioni fa con la mini tappa di 22,3 km vinta da Alexander Evans con arrivo sul Col de la Loze davanti a Ries, Champoussin e Jorgenson. Alexander Evans che oggi, dopo aver corso per un anno nel WT con la maglia della Intermarché, non corre più.
Quest’anno gli organizzatori hanno voluto osare ancora di più proponendo una giornata dal sapore anni '90 con le due semitappe di sabato prossimo: al mattino crono individuale, una cronoscalata di 11,1km e nel pomeriggio “tappone” (!), di 69 km con arrivo sul Moncenisio.
Ma vediamo le tappe nell’ordine, inserendo anche i possibili favoriti per la tappa.
Tappa 1 Carnac-Le Gacilly 142,2 km ⭐⭐
Per iniziare una giornata (molto) mossa, una classica scampagnata in terra francese. Niente picnic, vi andrebbe di traverso, piuttosto coltello sotto il sellino. La tappa si snoda nel Morbihan e strizza l’occhio ai velocisti più resistenti. Occhio al meteo, potrebbe fare la differenza, così come le cadute che potrebbero spezzare il gruppo e, nel caso di fuga buona, chi si prenderà la briga di andare a chiudere con soli 6 corridori per squadra?
Favoriti: Lamperti, Busatto, Gelders, Donaldson, Hagenes, Huby. Possibile sorpresa: Unai Aznar.
Tappa 2 Nozay-Chinon 195 km ⭐
È la frazione più lunga, appare scontato un esito in volata, ma lo ribadiamo: pochi uomini per squadra, possibilità di corsa anarchica, la planimetria potrebbe complicare un possibile inseguimento. Insomma: occhi aperti.
Favoriti: Lamperti, Kogut, Fredheim, Teutenberg, Pickrell, Van Mechelen. Possibile sorpresa: Bevort.
Tappa 3 Vatan-Issoudun 26,5 km Cronometro a squadra ⭐⭐⭐
Qualcuno storce il naso per l’inserimento, ormai tradizionale, di una cronometro a squadre in una corsa di otto giorni, a noi piace, anche se metterla alla terza tappa porta il concreto rischio di avere squadre già decimate con la conseguenza di sbilanciare la contesa. Tuttavia, la giornata nella Loira, per la precisione nel dipartimento dell’Indre, cambierà volto alla classifica parziale e inciderà su quella finale e, vista l’altimetria, favorirà quelle squadre con passistoni agli ordini dei capitani da montagna.
Favoriti: Danimarca, Norvegia, Olanda. Possibile sorpresa: Spagna.
Tappa 4 Aigurande - Evaux-les-Bains 150 km ⭐⭐
Arrivo per scattisti, per corridori esplosivi, occhio pure che non si scateni la bagarre tra gli uomini di classifica, qui immaginiamo uno sprint ristretto, sempre che non ci sia un colpo di mano su uno dei tanti dentelli di cui è seminato il percorso. Per questo giorno abbiamo in mente un nome, ma oggi va così e per scaramanzia non lo facciamo. Anzi lo capirete dai nomi elencati qui di seguito.
Favoriti: Busatto, Hagenes, Huens, Segaert, Foldager, Thierry, Glivar, Nerurkar. Possibile sorpresa: Hajek.
Tappa 5 La Tour-de-Salvagny-Lac d'Aiguebelette 138 km ⭐⭐⭐
Si inizia a salire e oltre agli scenari meravigliosi, nel finale si dovrà fare i conti con due GPM di 3a categoria che selezioneranno il gruppo e lanceranno gli uomini migliori di questa corsa verso la discesa finale. È solo l’antipasto del lungo weekend finale che porta in alta montagna.
Favoriti: Morgado, Busatto, Graat, Umba, Foldager. Possibile sorpresa: Pinarello
Tappa 6 Méribel-Méribel 68,5 km ⭐⭐⭐⭐⭐
Diamo cinque stelle, perché contestualizziamo la tappa all'interno di una corsa in cui le frazioni decisive non superano i 100 km e perché la salita finale è davvero dura. Si arriva sul Col de la Loze dallo stesso versante del 2019 dove vinse Evans (tappa citata sopra), ma stavolta gli organizzatori hanno avuto almeno il fegato di aggiungerci 45 km in più con il GPM di 2a categoria di Montée de Champagny-en-Vanoise. Il tratto finale della salita è davvero duro e selezionerà in modo definitivo gli uomini per la classifica generale, alla vigilia delle due semitappe di sabato.
Favoriti: Staune-Mittet, Umba, Wilksch, Golliker, Ryan, Lecerf, Riccitello. Possibile sorpresa: Kulset.
Tappa 7a Montricher Albanne - Les Karellis 11,1 km ⭐⭐⭐⭐
Ed ecco la novità di questa edizione, che poi è un ritorno al passato: le semitappe. Al mattino una cronoscalata di 11,1, tutti in salita all’8,1% di pendenza media. Qui avere una giornata storta e non avere determinate caratteristiche o abitudine a sforzi di brevissima durata, costerà carissimo.
Favoriti: Segaert, van Belle, Staune-Mittet, Piganzoli. Possibile sorpresa: Walker.
Tappa 7b Les Karellis- Col du Mont Cenis 69,6 km ⭐⭐⭐⭐
Nel pomeriggio si arriva al confine con l’Italia con una tappa breve e dal disegno anche qui abbastanza particolare: si parte con un lungo trasferimento in discesa fino a Villargondran e da lì si inizia a salire leggermente. Diversi su e giù fino ai piedi dell’ascesa finale: 9,8 km al 7% di media e ultimi 5 km in falsopiano con alcuni strappetti. Vista anche qui la particolarità della tappa, ci aspettiamo sconvolgimenti in classifica, e perché no, anche la fuga di quei corridori che nella crono si sono un po’ risparmiati, considerando che in mattinata quelli chiamati a fare classifica avranno dato fondo alle energie senza risparmio e fondamentale sarà la capacità di recupero tra i due sforzi. Anche qui, come il giorno prima, si arriva sopra quota 2000.
Favoriti: Golliker, Staune-Mittet, Graat, Riccitello, Wilksch. Possibile sorpresa: Christen.
Tappa 8 Val Cenis - Sainte Foy Tarentaise 100 km ⭐⭐⭐⭐
Per chiudere altra tappa breve, ormai va così, ma c’è ancora terreno per ribaltare la classifica soprattutto considerando: 1) l’Iseran posto a metà tappa che farà gola a chi sta bene e vuole attaccare da lontano 2) le energie al lumicino 3) le squadre che difficilmente saranno al completo. Finale impegnativo dove si potrà fare ancora la differenza in un senso o nell’altro: recuperare, guadagnare, staccare i propri avversari, provare a dare un senso a una lunga settimana di Tour de l’Avenir.
Favoriti: Morgado, Pellizzari, Umba, Gomez, Staune-Mittet. Possibile sorpresa: Rouland.
I PROTAGONISTI DELLA CORSA - ANALISI DEI FAVORITI E DELLE SQUADRE
Iniziamo dal favorito assoluto, Johannes Staune-Mittet. Il norvegese della Jumbo Visma sta facendo da mesi tutti gli scongiuri del caso perché chiunque va dicendo: ha la possibilità di essere il secondo corridore della storia a vincere nello stesso anno Giro e Avenir. Il problema è che lui lo sa che di recente chi c'ha provato (Sivakov, Ayuso), per motivi legati alle cadute si è fermato, uno al 24° posto finale, vincendo una bella tappa e la maglia dei GPM, l’altro con un ritiro. Oltretutto avvicinamento particolare per il norvegese: ammalato al Sazka Tour, dopo aver vinto una tappa, è scomparso dai radar anche durante il Mondiale, pare per guarire, ma magari è perché si è preparato a puntino. In ogni caso parte favorito a cinque stelle: se fosse una corsa di Formula uno lui sarebbe Verstappen, gli altri guiderebbero una Ferrari in difficoltà.
La Norvegia intorno a lui è forte, ma davvero forte: Per Strand Hagenes può fare tutto, un po’ alla van Aert. Puoi vincere nelle prime tappe, dare una mano in salita e in pianura, sarà fondamentale nella cronosquadre e perché no, puntare anche alla cronoscalata. Johannes Kulset ed Embret Svestad-Bardseng saranno i due gregari in salita, ma il più giovane della dinastia dei Kulset può anche ambire a un piazzamento in classifica, mentre Stian Fredheim e Sakarias Loland, saranno le ruote veloci. Soprattutto da Fredheim ci si aspetta qualcosa dopo una stagione in cui era atteso al salto di qualità che non è ancora arrivato. Ma è solo una questione di tempo.
Parte subito dietro Staune Mittet, Matthew Riccitello, di professione scalatore: la notizia della sua convocazione è sicuramente quella più sorprendente. Riccitello può puntare forte al podio avendo già nel motore un Grande Giro - e se non abbiamo fatto male i conti dovrebbe essere l'unico corridore al via quest'anno ad aver già disputato una corsa a tappe di tre settimane tra i professionisti. Stati Uniti che avranno in Luke Lamperti il punto di riferimento per le volate, Brody McDonald, protagonista al recente Mondiale, Artem Shmidt e Colby Simmons completano una squadra americana di grande qualità.
Dietro di loro sono diversi i corridori interessanti da citare - e con loro le rispettive squadre. La Germania porta Hannes Wilksch, futuro tra i professionisti con la Tudor, il regolarista tedesco è già salito sul podio quest’anno al Giro d’Italia e vorrebbe bissare: c’è la possibilità. La Germania, che questa corsa non l’ha mai vinta, ma è salita sul podio con Michel Hessmann (fermato per un caso di positività nelle ultime ore) proprio lo scorso anno, ha una squadra di tutto rispetto, soprattutto potrà animare le prime tappe con Moritz Kretzschy, Pierre-Pascal Keup e Tim Torn Teutenberg, corridori veloci e resistenti.
La Francia lascia fuori Faure Prost, protagonista al Giro e al Valle d’Aosta, ma per il primo anno francese sarebbe stato troppo una terza corsa a tappe impegnativa in pochi mesi e più che all’alta classifica, anche se Mathys Rondel e Louis Rouland proveranno a entrare nei 10 a fine Tour, pensa a movimentare tutte le tappe: Antoine Huby, Axel Huens e Pierre Thierry hanno il profilo tecnico giusto per farlo e troveranno terreno adattissimo agli attacchi, mentre Eddy Le Houituze sarà importante soprattutto per la cronometro a squadre.
L'Olanda ha uno degli outsider più accreditati in ottica podio: Tijmen Graat. Il corridore della Jumbo Visma è arrivato nei dieci al Giro pur avendo dovuto lavorare a fondo per Staune-Mittet. Pepijn Reinderink è dato in grande forma e proverà a vincere una tappa, Roel van Sintmaartensdijk si butterà nelle volate, Tibor del Grosso, Loe van Belle e Jesse Kramer, corridori forti un po' su tutti i terreni, sono importanti pedine nello scacchiere orange sia per aiutare il capitano, sia per togliersi soddisfazioni personali.
Gran Bretagna da temere su ogni terreno: Joshua Golliker è uno dei migliori scalatori in stagione, due tappe vinte con autorità al Valle d'Aosta, Lukas Nerurkar cerca continuità da abbinare al grande talento in salita, proverà a vincere una tappa e a difendersi in classifica, stessa sorte toccherà a Joseph Blackmore, Max Walker e Jack Rootkin-Gray, protagonista all'ultimo Mondiale e corridore ancora da inquadrare, forte praticamente ovunque. Robert Donaldson invece è l’uomo adattissimo al caos dei primi giorni.
L’Australia ha in James Panizza l’elemento più interessante per le salite, mentre Brad Gilmore punta alle prime tappe e Dylan Hopkins proverà a spuntarla nelle frazioni vallonate. L’Austria in salita punta su Sebastian Putz e Marco Schrettl e nelle tappe con profilo misto su Alexander Hayek, fresco di firma con la BORA.
Non dimentichiamoci del Belgio, squadra vincitrice uscente con Uijtdebroeks. WIlliam Lecerf insegue il podio, ma è corridore a cui piace la fuga, Gil Gelders è uno dei migliori Under 23 della stagione e i primi giorni hanno tappe decisamente adatte a lui. Alec Segaert lo conosciamo, passista, cronoman, si può difendere anche in salita: i suoi margini restano ancora inesplorati. Vlad Van Mechelen farà a spallate in volata, mentre Lars Craps e Jonathan Vervenne lavoreranno principalmente per la squadra.
Il Canada porta Michael Leonard che vuole testarsi nella breve cronoscalata, e un velocista molto interessante come Riley Pickrell, la Colombia punta a fare classifica con il duo già in luce al Giro formato da Santiago Umba e German Dario Gomez, ma una menzione la meritano anche il 1° anno William Colorado ed Edgar Andres Pinzon.
C’è poi la Danimarca, al solito all’Avenir con uno squadrone, danesi che hanno vinto qui tanti anni fa con Lars Yitting Bak, e in un modo o nell’altro proveranno a lasciare il segno. Il loro modo lo conosciamo: proveranno a sorprendere e a lanciarsi in fuga e poi a fare risultato pieno anche nella cronometro a squadre vista la presenza di tre passisti importanti come Carl-Fredrik Bevort, recente campione del mondo nell’inseguimento a squadre, Gustav Wang e Adam Holm Jorgenson, vincitore di tappa all'Avenir nel 2022. Simon Dalby farà classifica, anche se non arriva dalla sua annata migliore, Anders Foldager va a caccia di tappe e allo stesso tempo va a corrente alternata, mentre Joshua Gudnitz cerca il riscatto a una stagione che dal Giro in poi è stata opaca, ma grazie al suo spunto veloce può piazzarsi in diverse tappe.
La Spagna non è quella di Ayuso e Carlos Rodriguez - corridori per altro ancora in età per disputare un Tour de l’Avenir - ma punta forte su Fernando Tercero per la classifica, Ivan Romeo, Unai Aznar e il più piccolo dei fratelli Azparren per le tappe. Ci piacerebbe vedere una Spagna combattiva come al Mondiale, completamente all’opposto di quella a cui siamo abituati a vedere, conservativa. Ci sembra il modo giusto per provare ad agguantare una tappa.
Nell’Irlanda non c’è Rafferty, uno degli Under 23 più forti della stagione, ma torna in gruppo Archie Ryan, stagione disgraziata finora la sua a causa dei soliti problemi al ginocchio, ma in salita, sulla carta, è uno dei più forti della categoria, mentre per Israele da seguire assolutamente Odet Kogut, uno dei velocisti più in forma al via.
Il Kazakistan punta a fughe e piazzamenti con i fratelli Nicolas ed Alexandre Vinokourov e Andrey Remkhe, il Lussemburgo ha nel "solito" Wenzel e nel primo anno Kockelmann le punte, mentre nel Portogallo al via il vice campione del mondo degli ultimi due anni prima tra gli juniores e poi tra gli Under 23 Antonio Morgado che proprio a Glasgow ha ripreso a pedalare come c’eravamo abituati a vedere, ovvero fortissimo. Occhio a porgli limiti: tappe, e perché no, stesse bene, anche un piazzamento finale nelle prime dieci posizioni. Al via, da tenere d'occhio, anche il suo gemello Goncalo Tavares. La Slovenia ruota attorno a Gal Glivar, uno dei talenti emergenti del paese di Pogačar e Mohorič. Corridore completo, veloce, che se dovesse ritrovare la pedalata di maggio, quando vinse sia l’Orlen Grand Prix che la Carpathian Couriers Race, potrebbe provare a vincere qualche tappa.
Ci sono poi da seguire i tre corridori della UCI World Cycling Centre, davvero molto interessanti. Parliamo dell’algerino Hamza Amari, 31° all’ultimo mondiale, del sudafricano Travis Stedman, entrambi arrivano dalla Q36.5 e dell’eritreo Aklilu Arefayne, della squadra development della Intermarché e del quale ancora non conosciamo a pieno margini e caratteristiche, ma che potrebbe pure puntare a qualche tappa.
Infine la selezione dell'Auvergne Rhone-Alpes propone un sestetto molto interessante: segnaliamo due corridori che gli appassionati di ciclocross conoscono già: Théo Thomas, corridore che cerca piazzamenti in volata, ma occhio perché tiene bene anche su percorsi impegnativi e Rémi Lelandais, più adatto alle fughe come lo stesso Mathias Salanville.
(Nel momento in cui pubblichiamo l'articolo mancano ancora le conferme delle selezioni di tre squadre: Svizzera, Rep. Ceca, Messico. Nella Svizzera presente Jan Christen, lo conosciamo bene ormai, ma c'è curiosità invece su Isaac Del Toro, capitano del Messico. È uno dei nomi nuovi dell'ultimo biennio, dopo aver fatto vedere, lo scorso anno, cose interessanti nel ciclocross e i primi piazzamenti nelle corse di un giorno in Italia, nelle ultime settimane ha fatto un deciso salto di qualità. Da tenere d'occhio per un risultato finale in classifica nei 10. Per la Repubblica Ceca, invece, da seguire Pavel Novak, primo anno con doti interessanti in salita come dimostrano il 6° posto al Valle d'Aosta e il 2° alla Bassano-Monte Grappa).
ITALIA
Come di consueto capitolo a parte per i corridori di casa nostra. La Nazionale di Marino Amadori ha dovuto rinunciare per infortuni prima a Nicolas Milesi e poi a Dario Belletta, al loro posto inserito all'ultimo Giacomo Villa, uno dei corridori italiani più forti dell'ultimo biennio nella categoria Under 23, che proverà a entrare in fuga, e soprattutto sarà utile per dare una mano ai compagni più quotati. Il capitano per la classifica sarà Davide Piganzoli, già quinto nel 2022 a poco più di un minuto dal podio. Lo scorso anno, il corridore della Eolo-Kometa, una delle maggiori promesse per l'Italia nelle corse a tappe, viste le caratteristiche, si difende sia in salita che a crono, arrivava però in grande forma, ora c'è qualche punto interrogativo visto che nell'ultima corsa, quasi due mesi fa, si è ritirato per un malanno. Con lui Giulio Pellizzari, attesissimo nelle tappe di montagne, Alessandro Pinarello, altro corridore completo che ha vinto il ballottaggio con il compagno di squadra Alessio Martinelli e Alessandro Romele, amante della fuga, passista, che si occuperà di dare soprattutto una mano ai compagni. Infine Francesco Busatto, leader unico per le prime tappe. Il campione italiano Under 23 è uno dei corridori in assoluto più atteso nei primi giorni, punta forte ad almeno un paio di tappe, prima di mettersi al servizio della squadra nella seconda metà di Tour de l'Avenir.
ANTI PIGRO
Per chi non avesse voglia di leggere tutto, sintetizziamo con le nostre stellette in corridori più interessanti da seguire per classifica generale, tappe, eccetera.
CLASSIFICA
⭐⭐⭐⭐⭐ Staune-Mittet
⭐⭐⭐⭐ Riccitello
⭐⭐⭐Wilksch, Lecerf, Graat
⭐⭐ Piganzoli, Kulset, Golliker, Ryan
⭐Morgado, Pellizzari, Umba, Gomez, Rondel, Del Toro, van Belle, Tercero, Walker. Novak
VOLATE
⭐⭐⭐⭐⭐Lamperti
⭐⭐⭐⭐ Kogut
⭐⭐⭐Teutenberg, Pickrell, Fredheim
⭐⭐Van Mechelen
⭐ Loland, Gudnitz, Busatto, McDonald, Thomas
TAPPE MISTE/FUGHE
⭐⭐⭐⭐⭐Busatto, Hagenes
⭐⭐⭐⭐ Donaldson, Huby, Segaert, Morgado, Lamperti
⭐⭐⭐ Rootkin-Gray, Romeo, Foldager, Glivar, Kretschy
⭐⭐ Christen, Shmidt, Thierry, Huens, Hajek, Thomas
⭐ Wenzel, Reinderink, Villa, Nerurkar, Jorgenson, Lelandais
La fucilata di Glasgow
Quando Mathieu van der Poel è partito, a poco più di ventidue chilometri dalla conclusione di una gara che non dimenticheremo mai, in un attimo ha cancellato tutto quello che stava accadendo. C’è stato silenzio. Poi un lampo che fa a fette il cielo. Lo abbiamo guardato per qualche frazione di secondo, ammirandolo, come poco prima con quell’arcobaleno che spuntava sopra Glasgow, quando Alberto Bettiol si era messo in testa un’idea folle che ci ha fatto sognare a lungo.
Quando Mathieu van der Poel è scattato, avevamo già immaginato l’epilogo di una giornata lunga, troppo assurda per essere vera, di quella che ci riempie la bocca di aggettivi, di metafore, similitudini. Di quelle frasi che ci sembra di ripetere troppe volte riferite al ciclismo di questi ultimi tempi.
Quando Mathieu van der Poel è partito, sapevamo che per tutti gli altri era finita, e che per lui si sarebbe chiuso un cerchio: campione del mondo, lui, il corridore più forte del mondo nelle corse di un giorno, davanti ai corridori più forti del mondo nelle corse di un giorno e non solo, in una giornata così esaltante da riempire le pagine di epica e retorica.
Quando Mathieu van der Poel è caduto, abbiamo bestemmiato, ma lui ha continuato a darci dentro. Sanguinante, con il boa della scarpetta strappato via con lucidità, ha rimesso sulla giusta carreggiata i nostri sentimenti impazziti, le emozioni che da quasi sette ore continuavano a vibrare incontrollabili dietro una delle corse più difficile da comprendere a nostra memoria.
Su un circuito, criticato all’inverosimile, così labirintico da faticare a trovarne l’uscita, Italia e Danimarca, compatte, spettacolari, prendevano la corsa per la coda e la agitavano senza rispetto sul fuoco alimentato da curve, controcurve, strappi. Lui, l’olandese, sornione, con quella maglia bianca che si faceva sempre più del colore della sua pelle, rimontava posizioni e pedalava con un solo obiettivo in mente: una cartuccia da sparare, letale. Mancavano centinaia di chilometri quando la gara esplodeva e si selezionava come non abbiamo mai visto nemmeno sulle salite dei grandi giri.
Quando Matteo Trentin, sempre davanti, attento, con gambe e motivazioni a mille, cadeva, abbiamo imprecato contro le ingiustizie del destino; quando Bettiol partiva ci siamo emozionati; quando lo hanno ripreso non abbiamo avuto il tempo di capire cosa stesse succedendo. Mathieu van der Poel scattava, dietro lui arrancavano van Aert, secondo alla fine, Pogačar, terzo al traguardo, a completare un podio visto di rado dalla nostra generazione, e Pedersen, quarto, battuto dal terribile (ex) ragazzo sloveno, insomma, quando Mathieu van der Poel scattava, tre grandi corridori capivano come si sarebbe lottato solo per tentare di spegnere il fuoco delle proprie ambizioni iridate. La grandezza di un corridore la si misura anche dagli avversari.
Quando è partita la fucilata di Glasgow, Mathieu van der Poel ci ha fatto saltare in piedi, ed eravamo quasi al termine di una giornata di ciclismo di quelle che… da domani sarà difficile trovarne una simile. Ha vinto il più forte, che ora, per tredici mesi, vestirà la più bella maglia del mondo. La giusta fine di una giornata di ciclismo indimenticabile. E pazienza se lo abbiamo scritto altre volte, oggi, di questo sport, si è fatta la storia.
Foto: Sprint Cycling Agency
Il Monumentale del Mondiale di ciclismo 2023
Un Mondiale ad agosto non lo ricordavamo più o forse è un errore del nostro sistema. Quest’anno abbiamo già superato, anzi non lo abbiamo nemmeno vissuto, quel momento di decompressione post Tour de France, nel quale piano piano si raccolgono le idee, si riacquistano forze mentali perché tanto, pensavamo - sbagliando -, che all’evento con in palio la maglia iridata manca ancora tempo. E invece non va così: niente più analisi della forma tra corse agostane e Vuelta. Un’idea su chi sta bene o meno tocca farsela tra Tour e San Sebastian - al massimo in qualche corsetta qua e là tra fine luglio e primissimi giorno del mese successivo. Straniti, sì, ma non per questo meno carichi per una prova in linea maschile che invece di chiudere la rassegna iridata, chiude il primo week end. Niente prova in linea a fine rassegna come accade di solito come fosse la maratona o le staffette nei mondiali di atletica. Lo smarrimento passa subito, però, ovvero quelle sensazioni di distacco della prima ora in cui sembra che di questo Mondiale in linea non te ne freghi abbastanza; lo smarrimento passa a pochi giorni, a poche ore dal via di una gara che - non ce ne vogliano le altre della prima manifestazione che comprende (quasi) tutte le discipline delle due ruote a pedali- catalizza la maggior parte delle attenzioni.
Quella gara che, almeno per chi scrive, resta la più importante dell’anno. Quella che ti fa sognare e immaginare mille e più svolgimenti. Perché le altre corse le conosciamo, il Mondiale, invece, è ogni anno qualcosa di diverso.
Se la Strade Bianche ha acquisito degno fascino, e la Milano-Sanremo resta - un po’ a fatica- corsa riferimento che apre il calendario primaverile; se il Fiandre è la Gara per antonomasia, quella che sintetizza tutto ciò che è il ciclismo - e non a caso quest’anno l’ha vinta il corridore più completo - se la Paris-Roubaix è la gara più folle e amata - se il Giro per noi è il Giro, e poi c’è il Tour che si prende tutto, ecco che il Mondiale in linea, vuoi per quel sogno di vestire la maglia iridata, vuoi perché per una volta vedi i corridori sfidarsi con la maglia della nazionale, vuoi perché ogni anno ti esalti nello scoprire nuovi tracciati, e mille altri motivi, ognuno ha il suo, resta la corsa con il maggiore fascino.
NEL MERITO DI GLASGOW 2023 - SVOLGIMENTO
E difatti si arriva a una domenica di agosto, la prima domenica di agosto, a parlare di inseguimento alla maglia iridata. Di un Mondiale 2023 che andrà a premiare corridori veloci ed esplosivi, dotati di fondo, ma con una caratteristica che spicca di più sulle altre: la capacità di saper limare. Un percorso che sembra fatto apposta per chi arriva dal ciclocross con una spiccata attitudine da flandristi, amstelisti e brabantisti; un disegno che definire accidentato potrebbe non spiegare completamente le insidie di un circuito di 14,3 km da percorrere per 10 volte con una cinquantina di curve e 8 strappetti cittadini. Un tracciato, completo del suo tratto in linea, che misura 271 km per oltre 3.500 metri di dislivello.
Abbiamo detto: limare, essere veloci e scaltri, l’idea è che un inseguimento compatto è praticamente impossibile e il rischio che una fuga con dentro pezzi pregiati della starting list possa partire e non essere più ripresa (perché poi anche tatticamente sarà una corsa difficile da gestire, non avendo le radioline a disposizione, le squadre si inventeranno i modi più disparati, dai pizzini, agli informatori lungo la strada e chissà che altro), anche quando all’arrivo mancheranno tanti giri, è concreta. L’insegnamento che danno quando inizi a fare ciclismo echeggia nelle menti dei ragazzi: “stare davanti!”, in ogni modo possibile, e questo aumenterà il nervosismo che su un tracciato così irrequieto (e veloce) rischia di vedere realizzati gli effetti di una Mentos dentro una bottiglia di Coca Cola. Bisognerà farsi trovare davanti, quindi, e vorranno farlo tutti, e bisognerà avere una particolare dimestichezza con l’uso del mezzo, capacità che verranno amplificate - o chissà, ridimensionate come dopo aver pescato una carta malus dal mazzo - nel caso di possibile (probabile da quello che dicono gli ultimi report) maltempo. E se le cadute fanno parte del gioco, qui rischiano di essere un fattore determinante: tra curve, transenne, marciapiedi, asfalto viscido, rischi che inevitabilmente verranno presi per stare davanti, il caos dei rifornimenti, insomma, si salvi chi può in questo terno al lotto.
IL PERCORSO
Il sempre ottimo profilo Twitter Domestique propone un dettagliato report analizzando per filo e per segno il tracciato delle gare in linea, in particolare della prova di domenica 6 agosto. Parte iniziale di 124 chilometri, da Edinburgo, piatta o quantomeno appena nervosa nel tratto di apertura, e poi due salitelle. La prima, 5,7 km al 3%, una sciocchezza per i professionisti, la seconda, Crow Road, 3,8 km al 5,4% di media: dalla cima mancheranno ancora 174 km, in pratica sarà un lungo riscaldamento in cui sorridere ai fotografi o lasciare andare la fuga con dentro nazionali che non fanno paura ai fini del risultato finale, prima di entrare nella città più grande della Scozia.
Abbiamo detto del circuito: 14,3 km da percorrere 10 volte dagli élite, quasi una cinquantina di curve a 90 gradi e 8 brevissimi strappetti che faranno la differenza e allungheranno il gruppo, lo sgraneranno, sin dal primo passaggio. Inevitabile.
Dopo il primo passaggio, niente tappeto steso sotto le ruote dei corridori, ma un tratto di lastricato in pieno centro: 1,2 km. Dovesse piovere sarebbe un macello. Da Glasgow ci raccontano che, quando piove, su questa superficie si rischia di scivolare pure camminando.
Poi gli strappi a caratterizzare il percorso:
St Vincent Street-Dogluas Street: 565 metri, media del 5%, massima del 12%, si scollina a 12 km dal traguardo. Come scrivono sempre i ragazzi di Domestique: la più lunga ma non la più dura del tracciato.
Gilmorehill: 230 metri di lunghezza, media del 4,3%, massima del 6,8%: cima a 9,7 km dal traguardo. Da qui inizia un estenuante su e giù.
University Avenue: 250 metri con una media del 5,9% e una massima del 7,4: siamo a 8,9 km dall’arrivo.
Great George Street: 325 metri, media del 7.6%, massima sopra l’11%: siamo a 7.9 km dall’arrivo. A seguire una breve ma ripidissima discesa.
Kelvingrove Park è la quinta salita del percorso, è lunga 398 metri, ha una media del 6,2% e una massima del 7,6%. Siamo a 6.900 metri dal traguardo ed è seguita da una serie di curve e controcurve e da strade strette che attraversano il parco.
Scott Street: segna il ritorno in centro città: 154 metri, cortissima ma spacca gambe con la sua percentuale massima del 22,8 e la media del 12,9. 5,5 km dall'arrivo.
Montrose Street: l’ultima (decisiva, se non lo saranno state quelle prima) e attesissima salita. Quella che porta chi vive o studia a Glasgow verso l'Università: 163 metri, 13,4 % la media, 15,2% la massima, si scollina a 1,4 km dal traguardo.
Breve discesa, due curve ad angolo retto e arrivo in George Square con la strada che negli ultimi 400 metri continua a scendere.
10 FAVORITI
MATHIEU VAN DER POEL
Il percorso sembra sia nato dopo aver analizzato nel dettaglio in qualche laboratorio ultra specializzato le sue caratteristiche: il fatto di essere ciclocrossista, brabantista, amstelista, flandrista, di essere il più esplosivo in gruppo, di essere veloce, di saper guidare come pochi, di avere soluzioni diverse per vincere, lo pone favorito assoluto. Al Tour si è preparato bene per questo appuntamento. Facciamo prima così: può perderla solo lui.
WOUT VAN AERT
La nemesi vanderpoeliana che ha staccato dal Tour nel momento in cui Vingegaard metteva in cassaforte la seconda maglia gialla per volare a casa dal nuovo erede di casa van Aert venuto al mondo. Lo abbiamo visto con gli occhi stanchi e la barba incolta, lo vediamo bene domenica in maglia iridata per caratteristiche simili a quelle di van der Poel. Anche se il Belgio porta tre punte pensiamo che più di altre volte questa sarà la sua corsa e la sua nazionale.
MADS PEDERSEN
Un terzo incomodo che non ha nulla da invidiare ai due van, Mads Pedersen, da un paio di stagioni è ormai a tutti gli effetti uno degli interpreti delle corse di un giorno più forti al mondo. Percorso (quasi) perfetto per lui, fondista, veloce, capace di resistere sugli strappi brevi. Uscito forte dal Tour, e se si aggiunge la (probabile) pioggia prevista sul percorso, le sue quotazioni salgono.
CHRISTOPHE LAPORTE
Capitano della Francia, Laporte ha corso tutto il Tour in appoggio a Vingegaard senza poter sognare giorni di libertà e quando ne ha avuto la possibilità - l’ormai celebre tappa numero 19 vinta da Mohorič, se l’è giocata contro alcuni corridori con cui si sfiderà a Glasgow. In volata non teme nessuno, nel su e giù del centro città ancora meno, limare sa limare. L’obiettivo è dichiarato: si va per una maglia iridata.
TADEJ POGAČAR
Difficile porre limiti al corridore più completo al mondo che se non altro - pur uscendo sconfitto dal Tour - torna subito in corsa e che corsa, facendo quello che gli riesce meglio: correre tutte le corse più importanti, correre perché gli va e basta. Già in passato lo abbiamo visto essere al via di un Mondiale, magari arrivando stanco da altre corse o in fase calante, perché Pogačar è così e allora se trovi il suo nome al via di una corsa non può essere che inserito tra i favoriti. Maestro della pioggia, temibilissimo allo sprint - soprattutto dopo 271 km - su di lui un paio di incognite: la prima è legata alla forma post Tour (già in passato ha mostrato il fianco dopo la Corsa Gialla), la seconda all’infortunio al polso che gli ha tolto un po’ di fiducia nella guida. Però mai scommettere contro di lui.
MICHAŁ KWIATKOWSKI
Tra Tour e Polonia è tornato il Kwiatkowski vecchio stampo, quello che per anni è stato, oltre che un gregario favoloso, anche uno degli outsider da battere praticamente in tutte le corse di un giorno in cui era presente. Ha già vinto un Mondiale, non teme nessuno, sa entrare nell’attacco giusto e magari staccare gli avversari su uno degli strappi del circuito o vincere in uno sprint ristretto. Occhio a lui, tra i corridori più in forma dell’ultimo mese di gara.
KASPER ASGREEN
A proposito di corridori tornati a fare sul serio di recente. Kasper Asgreen in due giorni al Tour è tornato a prendere dimestichezza con la vittoria, con la capacità di vincere in uno sprint ristretto contro gente altrettanto scaltra e veloce. Anche lui non teme né lunghezza del percorso, né sprint ristretti, altimetria instabile da mandarti al manicomio, né eventuale maltempo. Corre in quella che forse è la seconda squadra più completa al via. Occhio a lui anche in un eventuale attacco a lunga gittata.
JASPER PHILIPSEN
La carta belga in caso di sprint (ristretto), ma non solo: come dimostrato alla Roubaix e altrove, è capace di stare davanti anche su percorsi più nervosi e quello di Glasgow lo è il giusto. L’enigma davanti al quale si porrà il giovane corridore della Alpecin sarà, nel caso: quale dei due van aiutare? Il suo compagno di squadra - e pesce pilota al Tour, ma non solo - oppure il connazionale? E poi da capire quale sarà l'abito cucito su di lui, soprattutto come la prenderà, lui così ambizioso, se dovesse essere la carta nascosta del Belgio in mezzo al gruppo in attesa di uno sprint, con Evenepoel e van Aert, invece, a giocare più d'anticipo.
MICHAEL MATTHEWS
Non brilla come altre volte, ma come escluderlo? L'Australia ha un'ottima squadra che verosimilmente avrà carta bianca per attaccare da lontano mentre lui marcherà i favoriti con obiettivo il classico piazzamento nei 10. Immancabile.
REMCO EVENEPOEL
Il campione uscente, terza (?) punta di un Belgio fortissimo. L’incognita è su come potrà digerire un tracciato così tortuoso e nervoso che molti definiscono più simile a un circuito da crit race, ma con talenti di questo genere non si possono porre limiti, soprattutto dovesse attaccare da lontano. In Belgio si chiedono come sia possibile convincere il campione del mondo uscente a correre un po' più defilato e addirittura dargli compiti di attacco a lunga gittata, ma forse in Belgio si sono dimenticati come vinse l’edizione 2022 della prova iridata.
ANALISI DELLE SQUADRE
Analizziamo le squadre, partendo da quella del campione in carica, il Belgio, parlando perlopiù di quei corridori esclusi dalla lista dei 10 nomi fatti sopra.
BELGIO
Uno squadrone. Tiesj Benoot è una garanzia sia come uomo in appoggio che da battitore libero, stesso destino per Nathan Van Hooydonk, alla sua migliore stagione, ombra di Van Aert e uscito molto bene dal Tour. Jasper Stuyven ha pure lo spunto veloce, oltre a sapere lavorare molto bene per i compagni di squadra, Yves Lampaert è da anni uno dei più forti e regolari interpreti delle corse di un giorno, mentre Victor Campenaerts e Frederik Frison, in quota Lotto, arrivano, uno da un Tour corso sempre da protagonista e dove ha palesato una condizione in crescita, l'altro dalla migliore primavera della sua vita. Occhio anche a loro due, soprattutto in appoggio ai tanti capitani.
FRANCIA
Laporte capitano, Julian Alaphilippe e Valentin Madouas in seconda battuta, loro due che a Lovanio confezionarono uno degli attacchi decisivi che portarono Alaphilippe in cima al mondo per il secondo anno di fila. Temibilissimi su questo percorso e, visto un periodo non dei migliori, anche lontani dai riflettori. Benoît Cosnefroy è uno che in questo periodo dell’anno va forte, mentre Florian Sénéchal è cliente scomodo in caso di sprint ristretto. Olivier Le Gac e Remi Cavagna saranno i faticatori, ma ci proveranno anche da lontano.
DANIMARCA
Dopo il Belgio è l’altra squadra di riferimento. Se Pedersen e Asgreen saranno i leader, Søren Kragh Andersen e Magnus Cort Nielsen hanno poco da invidiare agli altri due, in più sono veloci, anche se magari non sempre affidabilissimi. Mattias Skjelmose ci può provare da lontano (e anche lui fermo allo sprint non è), avrà energie dopo un Tour corso sempre all'attacco? Da Mikkel Bjerg ci aspettiamo le proverbiali trenate, mentre Mikkel Honoré e Michael Mørkøv saranno chiamati a lavorare per la squadra, magari provando anche a inserirsi in qualche fuga.
GRAN BRETAGNA
Stride l’assenza di Pidcock, ma squadra ugualmente molto interessante con tanti corridori veloci, resistenti, adatti a un percorso del genere senza salite lunghe e senza un attimo di respiro dal punto di vista planimetrico e in più giocano praticamente in casa. Non c’è un vero e proprio leader, ma tanti giovani in rampa di lancio e con caratteristiche simili. Ben Turner si può sdoppiare nel ruolo di uomo squadra o capitano. Stagione complicata per via di tante cadute e malanni, proprio nell'anno in cui ha sbloccato la casella delle vittorie personali. Arriva dal ciclocross è abbiamo già spiegato quanto potrebbe contare domenica. Fred Wright ha il fiuto per l’azione giusta ed è veloce, mentre Sam Watson e Jake Stewart staranno coperti per sfruttare lo spunto veloce. Luke Rowe, Owain Doull, e i due Swift (Ben e Connor) probabilmente sacrificati alla causa dei giovani rampolli.
SLOVENIA
Tutto ruota attorno a Pogačar? Non è detto. Luka Mezgec è veloce e resistente, certo, è un outsider di seconda o terza fascia, ma anche al Tour ha mostrato di stare bene. Curiosità per vedere Tilen Finkšt e Jaka Primožič, corridori molto forti nelle gare dell’est. Domen Novak sarà l'ombra dei capitani, ma arriva da una stagione sottotono. Chiudono la selezione il classe 2000 Anže Skok, e il meno giovane Kristian Koren, con i suoi quasi 37 anni uno dei più anziani corridori al via.
SPAGNA
Dopo il forfait di Lazkano (uno dei possibili outsider, sostituito dal più grande dei fratelli Azparren), occhio ad Alex Aranburu alternativa ai big molto accreditata. Si esalta con la pioggia, sa guidare il mezzo come pochi, con un passato nel ciclocross, ed è veloce, anche se quest’anno ha perso un po’ di spunto per guadagnarne in resistenza. La cosa non è per forza un male. In caso di brutto tempo non è da scartare il nome di Ivan Garcia Cortina: entrambi i corridori della Movistar puntano a un posto in top ten. A proposito di pioggia e guida, occhio a Ion Izagirre, che di sicuro avrebbe preferito un percorso più duro, e a proposito di spunto veloce, il nome di Roger Adrià ronza sempre più spesso nelle orecchie dei suiveur. Il suo punto debole potrebbe essere la distanza. Chiudono la selezione Gonzalo Serrano, un abbonato ai piazzamenti nei primi venti, trenta, una sorta di Alejandro Valverde in formato ridotto, per caratteristiche e piazzamenti, Jesus Herrada, chiamato più per la sua esperienza (e chissà se anche quel 4° posto nell'Europeo a Glasgow di 5 anni fa dietro Trentin, van der Poel e van Aert ha pesato nella scelta) che per reali possibilità di fare risultato, e un altro Jesus classe ‘90, ma decisamente meno conosciuto: Ezquerra, quest’anno andato molto forte in alcune corse di un giorno dal profilo simile a quello del Mondiale.
OLANDA
L’Olanda è van der Poel principalmente, ma di fianco a lui c’è Dylan van Baarle, un corridore con un palmarès che parla da solo e che in caso di corsa dura può pure vincere. Olav Kooij è la carta per un eventuale (ma lo diciamo: poco probabile) sprint, ma il dislivello che incontrerà nel circuito finale potrebbe essere fatale per lui. Dan Hoole, Jan Maas e Oscar Riesebeek saranno i faticatori della prima ora, Pascal Eenkhoorn, in grande forma, carta da giocare nelle fughe, così come Mick van Dijke, ma per forza di cosa tutto ruoterà attorno a van der Poel.
AUSTRALIA
Solita squadra a più punte e ricca di alternative credibili a tutti i pretendenti al podio. Di Matthews abbiamo già detto. Harry Sweeny è uno dei pallini di chi scrive: ama la corsa dura, ha fondo e va forte col maltempo. Luke Plapp cerca il colpo di pedale per dare l’assalto alla medaglia nella crono, Simon Clarke è sempre pericoloso se trova la fuga giusta, mentre Luke Durbridge sarà un appoggio ideale per la squadra. C'è poi Kaden Groves, velocista che potrebbe tenere duro e poi piazzare il colpo in caso di sprint ristretto. Occhio anche a lui ‘ché si esalta col maltempo e non teme nemmeno le tante insidie del percorso, ma forse il chilometraggio, quello sì. Infine presenti Matthew Dinham e Alex Edmonson che sostituiscono Ewan e Stannard.
COLOMBIA
Non solo per onore di firma. Il capitano è Juan Sebastian Molano: col maltempo vola e senza l’incidente di questa primavera in Belgio avrebbe avuto concrete possibilità di giocarsi un piazzamento importante, visto anche lo spunto veloce. Fernando Gaviria è corridore al solito indecifrabile, ma che nella giornata buona potrebbe anche piazzarsi bene, mentre il resto della squadra appare più di supporto. Difficile aspettarsi qualcosa infatti dal velocista, Alvaro Hodeg, dagli scalatori, seppure molto forti, Rigoberto Uran, Santiago Buitrago, Harold Tejada, Jesus David Peña - quest’ultimo in grande forma di recente - né dal cronoman, Walter Vargas. Squadra comunque da tenere d’occhio in caso di corsa pazza.
USA
Novità sostanziali arrivate nelle ultime ore: fuori, rispetto alla pre selezione, Sheffield, Simmons e Jorgenson, dentro Larry Warbasse, Kevin Vermaerke e Will Barta. Completano la squadra: Sean Quinn, resistente e veloce, forse non ha tutte le carte giuste per ambire a qualcosa di importante, ma può buttarsi in fuga ed essere uomo pericoloso, Lawson Craddock che esce forte dal Tour e sarà pedina preziosa per la squadra, e infine Neilson Powless che dal Tour arrivava con qualche punto di domanda subito sbarrato al termine della Clasica di San Sebastian. In Francia si è sfiancato la prima settimana portando in giro la maglia a pois, finendo, nella seconda parte di corsa, per staccarsi troppo spesso anche da corridori che normalmente gli finiscono dietro. A San Sebastian (4° all'arrivo), però, è tornato il Neilson Powless capace di chiudere nelle prime sette posizioni Parigi-Nizza, Milano-Sanremo, Dwars e Ronde. In queste condizioni, se c’è una garanzia di piazzamento in caso di corsa per fondisti, quella arriva dal corridore della EF.
SVIZZERA
Squadra interessante con Stefan Küng che insegue il podio sia in linea che a crono ed è un altro di quei corridori che in caso di brutto tempo (a furia di scriverlo domenica ci sarà sicuramente sole) sa tirare fuori qualcosa in più e non teme di certo la distanza, oltretutto da un po’ di stagioni è uno dei più forti interpreti delle corse di un giorno. In seconda battuta c’è Marc Hirschi che si sta ritrovando e non teme la lunga distanza. Silvan Dillier e Fabian Lienhard saranno il supporto, mentre Stefan Bissegger e Mauro Schmid hanno la fuga, anche dalla lunga distanza, nel sangue e possono essere molto temibili se ancora davanti nel finale. Lo diciamo? Lo diciamo: vanno forte anche con il maltempo.
NORVEGIA
Norvegia: con cinque punte su sei, buone per ogni soluzione. Alexander Kristoff l’uomo veloce, ma anche resistente, però arriva da un Tour deludente, sempre che non si sia nascosto per bene in ottica Mondiale. Pesano le 36 primavere? Lo scopriremo su un percorso adatto a lui. Søren Wærenskjold, altro corridore da corse del nord, veloce e resistente, da verificare su queste distanze, Andreas Leknessund starebbe benissimo in una fuga da lontano, Rasmus Tiller, invece, sta bene in mezzo ai big delle corse di un giorno. Infine Tobias Halland Johannessen, quello visto (e ritrovato) al Tour, può ambire a un risultato di peso.
PORTOGALLO
Joao Almeida e Ruben Guerreiro avrebbero preferito un tracciato ancora più selettivo, ma male non stanno, André Carvalho è perfetto per questo profilo, ma gli manca più di qualcosa per ambire a stare con i migliori, Nelson Oliveira proverà a entrare in fuga.
GERMANIA
Due corridori su tutti da tenere d’occhio: John Degenkolb e Nils Politt. Non servono spiegazioni sui perché. Interessante la presenza di Nico Denz che proverà a infilarsi in ogni fuga, prendendo magari quella decisiva, da seguire il giovane Michel Hessmann, già molto affidabile come uomo squadra, mentre Jonas Rutsch, insieme a Maximilian Schachmann, sarà battitore libero: entrambi capaci anche di provare a inserirsi in una top ten finale.
IRLANDA
Ben Healy capitano con mire importanti a patto di arrivare da solo al traguardo - cosa non impossibile. Sam Bennett sembra presente più per una reale mancanza di alternative, mentre Rory Townsend avrebbe preferito un centinaio di chilometri in meno e allora lo avremmo seguito con attenzione, ma resta tuttavia un corridore interessante.
CANADA
Derek Gee per inseguire quel sogno solo sfiorato al Giro d’Italia, vederlo in fuga non è nemmeno quotato. Il Canada presenta una selezione tutto sommato interessante, un perfetto mix di esperienza, Guillaume Boivin e Hugo Houle, e freschezza, il giovane Nickolas Zukowsky.
LE ALTRE
La Nuova Zelanda ha in Paddy Bevin, l’uomo d’esperienza, ma punta soprattutto sui giovani Laurence Pithie e Corbin Strong, entrambi scaltri e veloci, mentre nell’Ecuador presente uno degli outsider più interessanti soprattutto in caso di maltempo: Jonathan Narvaez. Mathias Vacek e Adam Ťoupalík guidano la Repubblica Ceca, quest’ultimo sta ritrovando se stesso in questa stagione dopo essere stato più che una promessa da giovane (ve lo ricordate quando sconfisse van der Poel all’Arctic Tour of Norway?). Anche lui arriva dal ciclocross e un piazzamento nelle prime venti posizioni sarebbe l'inizio di una nuova carriera.
Nel Sudafrica presenti corridori veloci, e di esperienza, come Ryan Gibbons e Daryl Impey, il Lussemburgo si affida a due che nelle rispettive squadre sono garanzie assolute: Kevin Geniets e Alex Kirsch e l’Austria sarà guidata da Marco Haller, altro uscito forte dal Tour. Il Kazakistan ha due campioni del mondo Under 23, Lutsenko e Fedorov, in squadra, ma poche speranze francamente, anche se il primo citato sa trovare la giornata giusta in cui risulta essere competitivo in chiave successo - ma difficilmente quel giorno sarà domenica. Slovacchia e Israele si affidano a Peter Sagan e Itmar Einhorn e infine la Svezia a Lucas Ericsson e il Brasile a Nicolas Sessler.
L’ITALIA
In questi giorni, chi scrive ha deciso di recuperare - con grave ritardo sulla linea del tempo - una delle saghe mainstream del cinema d'azione più celebri di tutti i tempi: Mission: Impossibile. I primi due capitoli, grazie anche alla regia di De Palma e Woo (magari non i migliori De Palma e Woo), sono assolutamente godibili, e traslando il tutto alla corsa di domenica: la missione appare impossibile.
Tra gli otto convocati dal CT Bennati, cinque sono i più in forma e adatti al percorso: Matteo Trentin, Alberto Bettiol, Filippo Baroncini, Andrea Bagioli e Simone Velasco. Con loro Lorenzo Rota, che lo scorso anno arrivò a poche centinaia di metri dalla possibilità di salire sul podio, Daniel Oss, chiamato dopo un ottimo Tour, e Kristian Sbaragli.
Possibilità di podio? Poche in concretezza, ma la Squadra, come veniva chiamata fino a qualche tempo fa quando era punto di riferimento assoluto a ogni Mondiale, potrà dire la sua a patto che tutto quello prestabilito sia seguito alla lettera e che le cose vadano per il verso giusto. E ci vuole pure una botta di fortuna.
Tuttavia mai porre limiti alla capacità di Matteo Trentin di correre davanti e farsi trovare pronto nelle azioni decisive; mai dubitare di Alberto Bettiol apparso in crescita - anche se a San Sebastian ha ceduto nel momento clou, ma era al cospetto di tre che le montagne le divorano - pur con i suoi limiti a volte evidenziati sulle lunghe distanze. Bisogna avere fiducia in Filippo Baroncini e Andrea Bagioli perché sono due patrimoni del nostro ciclismo e se il primo deve ancora sbocciare tra i professionisti (e chi scrive sogna proprio il suo nome domenica nel finale, davanti), il secondo sembra finalmente aver trovato la giusta quadra. Oltretutto il corridore valtellinese si è spesso esaltato con la maglia della nazionale, lavorando per gli altri, magari domenica sarà il suo turno. Il suo spunto veloce, poi, potrebbe portare anche qualcosa di importante. Simone Velasco è nel momento migliore della sua carriera, lui è perfetto per inserirlo in una fuga dalla media distanza, magari insieme a Lorenzo Rota. Nel caso lo spunto veloce non gli mancherebbe. Infine Daniel Oss e Kristian Sbaragli, dopo aver lavorato uno per una vita di fianco a Sagan, l'altro in questi anni di fianco a van der Poel, correranno come gregari e portaborracce.
L’importante che la Nazionale interpreti una corsa all’attacco, senza nascondersi, senza incertezze, provando ad anticipare senza remore - lasciando magari uno o due tra Trentin, Bagioli, Baroncini e Bettiol a coprire i favoriti. Bisogna rischiare il tutto per tutto, ma non bisogna nemmeno esagerare: il fondo è un problema che spesso è venuto fuori nelle corse più importanti e quindi non si può nemmeno pensare di arrivare a 60/70km dall’arrivo dopo aver attaccato come matti e reso la corsa dura: noi ne pagheremmo le conseguenze e avvantaggeremmo chi fa della resistenza una dote. Insomma la coperta è corta per chi come noi non ha un corridore papabile alla vittoria finale sulla carta: un corridore tra i favoriti non ce l’abbiamo, ma ce lo avremmo avuto, Ganna, ma il suo obiettivo - e quello della Federazione - era chiaramente la pista. Spoiler: alla fine Ethan Hunt (Tom Cruise) le missioni impossibili le riesce sempre, bene o male, a portare a casa, quindi ci proviamo. Abbiamo perso edizioni in cui eravamo la squadra da battere, con diverse punte e spesso a vincere erano corridori considerati outsider. Magari è il giorno in cui tocca a noi incassare.
LE ALTRE GARE SU STRADA (paragrafo in aggiornamento: non tutte le startlist sono definitive)
Ad aprire il programma delle gare su strada, sabato 5 agosto, sarà la prova JR femminile, ore 10, 70 km, 5 giri del circuito spiegato sopra. Favorite? Ferguson e Sharp (Gran Bretagna), Venturelli (Italia), Bego, Comte e Gery (Francia), Moors e Van Sinaey (Belgio), Greve (Danimarca), Knaven e Molengraaf (Olanda), Holmgren (Canada).
Sempre sabato (alle ore 13) toccherà ai ragazzi della categoria juniores (o under 19) gara che si prospetta molto incerta ed equilibrata con tantissimi nomi candidati al successo e diverse nazionali che potrebbero vincere con tutti i convocati. Nove giri del circuito per un totale di 127,2 km. Dal Belgio selezioniamo De Schuyteneer, Widar e Sentjens, dall’Australia, Chamberlain, terzetto danese da seguire: Storm, Clemmensen e soprattutto Withen Philipsen corridore che va fortissimo anche in mountain bike. Francia e Gran Bretagna sarebbero da citare al completo, ma scegliamo Blaise, Grisel - soprattutto - e Seixas per i transalpini, Brennan e Smithson per i britannici. Al via pure Ben Wiggins, figlio d’arte. L’Olanda punta forte su Lughtart e soprattutto su Remijn che di nome fa Senna e va forte anche nel ciclocross, la Norvegia su Nordhagen, Haugland e Ingebrigtsen. L’Italia, dopo un paio di anni, torna ad avere una nazionale estremamente competitiva: Gualdi, Sierra, Bessega, Cettolin e Giaimi sono tutti candidati a un posto sul podio. La Spagna ha in Hector Alvarez uno dei prospetti maggiormente interessanti del panorama giovanile, ma occhio anche a Beloki (dal 2024 con la Ef e figlio proprio di quel Joseba), la Finlandia prova il colpaccio con Borremans, la Germania con Fietzke e Leidert, mentre l’Irlanda punta molto su O’Brien. Da non sottovalutare il neozelandese Guichard, il polacco Gruszczynski, lo svizzero Barhoumi, lo slovacco Novak, i cechi Barta, Bittner e Kral e gli sloveni con Erzen, Valjavec e Omrzel. Abbiamo lasciato per ultimo uno dei pezzi pregiati della categoria, ovvero l’americano AJ August che punta alla tutt’altro che semplice doppietta con la cronometro.
L’8 agosto (ore 13) iniziano proprio le cronometro con la Mixed Relay che si disputa nel circuito cittadino di Glasgow. Favorite Svizzera e Gran Bretagna, poi Australia in seconda battuta a giocarsi il podio con la solida Germania, l’Olanda e la Francia. Usa outsider, mentre l’Italia, sul podio per due anni di fila, senza Sobrero, Ganna, Affini e Longo Borghini difficilmente potrà puntare alle prime cinque posizioni.
Il 9 agosto, alle 14:30, tocca agli Under 23 che, come tutte le gare contro il tempo individuali, si terranno a Stirling a 40 km a nord di Glasgow, su un tracciato mosso con finale da non sottovalutare in cima allo strappo che porta a Castle Wynd. 36,4 km per gli Under 23: favorito d’obbligo il belga Alec Segaert. Aperta la lotta per le medaglie, tuttavia, con i danesi Bevort e Wang, il francese Paleni, l’inglese Charlton e l’altro belga Vervenne tra i maggiori pretendenti, ma occhio anche agli azzurri Olivo e Milesi (Lorenzo), lo spagnolo Romeo, l’olandese van Belle, l’australiano Mackenzie (argento tra gli junior un anno fa nel mondiale corso in casa), il croato Miholjevic e infine due tra i protagonisti assoluti quest’anno nella categoria: l’irlandese Rafferty e il norvegese Staune-Mittet.
Il 10 agosto le due crono femminili. Alle 11:15 le under 19: con Toniolli che prova la difficile impresa di giocarsi una medaglia in un contesto che vede di nuovo favorite Van Sinaey (Belgio) e soprattutto Ferguson (Gran Bretagna). Alle 14 partono le élite: Marlen Reusser (Svizzera), Chloé Dygert (USA), Demi Vollering (Olanda), Grace Brown (Australia) e Audrey Cordon-Ragot (Francia), le favorite per il podio.
L’11 agosto in programma le crono maschili Junior (ore 10, 23 km) ed élite (ore 14:35, 48,1 km, apprezziamo molto quel “virgola uno”). Tra gli Under 19 tre nomi su tutti, August (USA), Chamberlain (Australia) e Nordhagen (Norvegia), ma la lotta alle medaglie è apertissima e coinvolge anche i due belgi Marivoet e soprattutto Sentjens, i danesi Storm e Just Pedersen, il tedesco Leidert, Ben Wiggins (Gran Bretagna), Adam Rafferty (Irlanda) e perché no, il nostro Giaimi. Occhio alle possibili (probabili) sorprese.
La gara élite in programma alle 14:35 vedrà sfidarsi principalmente Ganna contro i due belgi van Aert ed Evenepoel (quest’ultimo favorito?). Occhio anche agli svizzeri Küng soprattutto, ma in seconda battuta anche Bissegger. Dura per Pogačar ambire al podio, ma può avvicinarlo, così come i francesi Cavagna e Armirail, i danesi Bjerg e Asgreen, gli australiani Dennis e Vine, il campione uscente, il norvegese Foss, che non sta brillando quest’anno, ma anche il suo connazionale Wærenskjold vincitore lo scorso anno nella crono Mondiale per Under 23. Da seguire anche i due americani: Craddock e McNulty, corridori capaci di tutto e il giovanissimo Tarling, il nome nuovo della cronometro mondiale e meno di dodici mesi fa vincitore della prova iridata tra gli under 19.
Domenica il Mondiale su strada si chiuderà invece con la prova élite femminile: gli dedicheremo un approfondimento la prossima settimana.
INFINE NOTA DOVEROSA
L’UCI, con l'introduzione del super mondiale, ha aggiunto elementi alla nostra fame di consumatori bulimici gettando in pasto a noi appassionati un evento che prevede una gara dietro l’altra e non siamo riusciti a presentare tutto come avremmo voluto, pista, mtb, bmx, paraciclismo, ma seguiremo sui nostri canali social l’evento, giorno per giorno. Intanto a questo link trovate il programma delle gare iniziate ieri, giovedì 4 agosto, gare che potrete seguire in diretta tv e streaming su Eurosport e sulla Rai.
Buon Mondiale a tutti!
* gli orari segnalati sono quelli di Glasgow.
Ultimi appunti sul Tour de France
Ultime impressioni dalla Corsa Gialla, seppure quasi fuori tempo massimo, ma va così: Vingegaard contro Pogačar e poco da aggiungere a quello che è stato detto nelle ultime settimane. Perfette le parole del danese, piuttosto: «Tadej è il corridore più forte e completo al mondo, io sono il corridore più forte al Tour de France». Vingegaard che proverà a vincere anche la Vuelta, ed è uno spunto interessante per capire il livello che potrà avere il danese dopo un Tour corso a questi ritmi, facendo certi numeri e rifilando distacchi notevoli, quasi d'antan. Banalmente: ripetendo le cose fatte al Tour non ci sarà spazio per nessuno, ma vedremo che storia racconteremo. Attendiamo su quelle strade la risposta di Evenepoel, l'apporto alla forza di Vingegaard di una seconda punta come Roglič, la loro convivenza sarà un tema, una coppia che sulla carta pare fatta apposta per portare a casa tutto il possibile, ma di Vuelta ne parleremo più avanti così come della presenza di un altro ragazzo che scrive un libro dal titolo: "giovani fenomeni", e parliamo di Ayuso, spalle solide e guardate a vista da Matxin e San Millan. Ci sarà da divertirsi anche in Spagna.
Tornando al Tour: il danese è superiore allo sloveno e lo sarebbe stato anche se quest’ultimo non fosse incappato in quell'intoppo alla Liegi che gli ha fatto perdere settimane di preparazione. Questa è l’impressione, magari non avrebbe vinto con questo distacco, ecco. Lo scorso anno Pogačar è stato dominato da un punto di vista tattico: nella tappa del Granon gli si sono consumate tutte le... energie nervose dopo essere scattato decine e decine di volte su quasi ogni salita. Quest’anno è stato surclassato anche da un punto di vista atletico. Cosa può fare in futuro per battere Vingegaard? Chi lo sa! Forse gestirsi meglio, imparerà anche questo. Al momento Vingegaard è più forte praticamente in tutto quello che conta per vincere il Tour. Quest’anno sembra ulteriormente migliorato: ha ancora margini? Tema interessante per il futuro, per tenere aperta la fiammella dell'interesse, per uno scontro equilibrato, chiaramente si spera che quello visto al Tour sia il massimo per uno dei due e che siano state solo le conseguenze di una preparazione non ottimale per l’altro.
Il danese ha ulteriormente migliorato la sua posizione in bici - la sua aerodinamica è un fattore nelle prove contro il tempo -, in salita va più forte di Pogačar, tappe con più montagne o salita secca che siano, ed è mentalmente attrezzato - leggasi: freddo come il ghiaccio nelle situazioni di corsa - per gestire Pogačar che gli ronza attorno e cerca di innervosirlo con la sua tattica a volte spregiudicata, ma che tutti noi amiamo. Si nasconde meglio, spesso alla ruota dell'avversario, ha una squadra forte che lo supporta e contro la quale è difficile inventarsi qualcosa. L’impressione è che fino a quando manterrà questo standard per Tadej sarà difficile. Lo sloveno - più veloce, con uno scatto devastante per tutti, ma non sempre per Vingegaard, a parte quella manciata di secondi guadagnata su un paio di arrivi e che aveva illuso chi sperava che si arrivasse all’ultimo sabato di Tour con una classifica ancora aperta - forse è già al suo livello massimo in una corsa di tre settimane? Una domanda che resta in sospeso e alla quale eventualmente risponderemo nel 2024.
Questa stagione lo abbiamo visto ulteriormente migliorato nelle corse di un giorno, il modo in cui ha staccato tutti al Fiandre, il modo in cui ha tenuto lontano il corridore più da Fiandre che ci sia lo dimostra, e se fosse arrivato al Tour senza intoppi sarebbe andata diversamente? Non siamo pazzi, non vogliano contraddirci, abbiamo detto come probabilmente il Tour lo avrebbe perso lo stesso, ma il 2024 segnerà un altro capitolo della loro rivalità, un’altra storia da raccontare senza dimenticare come nel 2019 credevamo iniziasse il regno di Bernal, nel 2020 quello di Pogačar e oggi quello di Vingegaard. Tutto cambia alla velocità della luce e chissà fra dodici mesi al Tour cosa potrà succedere. Intanto speriamo che lo sloveno non si snaturi (ovvero puntare tutto solo sul Tour lasciando ad altri momenti l’assalto alle grandi classiche) e magari il danese si faccia vedere competitivo anche sulle Ardenne - ha i numeri per giocarsi anche quelle corse contro Tadej e pure contro Evenepoel con il quale si dà appuntamento per una Vuelta che ci pare già da leccarsi i baffi.
IL TOUR DEGLI ALTRI
Quello dei tanti vincitori di tappa: ben diciotto diversi dove solo Philipsen con quattro successi e Pogačar con due sono riusciti a vincerne più di una. È stato - ancora una volta - il Tour delle fughe a segno, della Spagna che torna alla ribalta e lo fa con diverse generazioni. Il vecchietto - si fa per dire - Ion Izagirre capace di vincere a sette anni dalla sua prima vittoria sulle strade francesi; lo fa con Pello Bilbao che a inizio stagione diceva di non essersi mai sentito così forte e il piazzamento finale (sesto) lo dimostra, così come la tappa vinta in maniera chirurgica: voluta, arrivata. (La Spagna) lo fa con uno dei giovani più interessanti in assoluto, Carlos Rodriguez, 21 anni e già 7° alla Vuelta e 5° al Tour, entrambe le corse chiuse da caduto e ammaccato e purtroppo al momento questo è un suo grosso limite, anche se quando va in discesa lo fa con personalità e tecnica. Pensare che uno che ottiene un risultato del genere a quell'età lo si considera forte, sì, ma probabilmente dietro ad altri 3/4 corridori non troppo più vecchi di lui ci fa capire il momento particolare che stiamo vivendo nel ciclismo, un momento di ritorno a una forte competitività nelle corse a tappe - arriverà il giorno in cui a sfidarsi per un grande Giro troveremo contemporaneamente Vingegaard, Pogacar, Evenepoel, Ayuso, Rodriguez, e quel momento sarà epocale, chissà che non accada già al prossimo Tour.
È stato il Tour degli Yates: Adam mai così forte, Simon così solido, dei francesi che si tolgono la soddisfazione di vincere con Victor Lafay, ma in classifica arrancano. Per David Gaudu le cose non sono mai andate per il verso giusto e visto che da un po’ di anni lo chiamiamo al Giro d’Italia, il 2024 - vedremo poi che disegno ci sarà - potrebbe essere una buona occasione per salire sul podio in un grande giro e scrollarsi di dosso l’ossessione Tour de France. È stato un Tour che ha messo a nudo i limiti di Jai Hindley, partito forte, gran bella vittoria di tappa e un giorno in maglia gialla, chiude in calo, se la caduta al termine della seconda settimana non ha inciso, significa che anche per lui la coperta è corta. Potrebbe aver anche pagato un Tour che, rispetto ai giri d'Italia chiusi in crescendo, si è corso con un ritmo completamente diverso, più alto, che ne ha consumato il motore.
È stato il Tour che ha evidenziato la stagione della consacrazione definitiva di Mads Pedersen, ormai una garanzia assoluta come punta e uomo squadra, e Jasper Philipsen che, molti se ne sono accorti solo ora, ha confermato di essere il velocista più forte dell’ultimo biennio. Tutte (o quasi, almeno quelle che mi ricordo, a memoria) le altre vittorie di tappa meritano una citazione: Matej Mohorič, per Gino, confermando la sua capacità di tirare fuori dal taschino pezzi pregiati quando conta e quando è in giornata: la tappa vinta a Poligny, a parte il post gara che verrà ricordato per le sue belle parole, è come una classica del nord in scena al diciannovesimo giorno di gara: staccare e battere certi corridori non fa che certificare status e classe. Kasper Asgreen salva il Tour della Quick Step (Alaphilippe in fase calante, evidente, ma secondo me un paio di cartucce ce le ha ancora, Jakobsen in difficoltà nelle volate), Michael Woods vince una delle tappe simbolo (Puy de Dome), con una scalata folle (recuperati due minuti e mezzo a Jorgenson in fuga) e poi Felix Gall, a mio parere la grande sorpresa di questo Tour per come ha vinto la tappa regina - Courchevel - per come è rimasto in classifica - 7° posto finale - per come ha saputo interpetrare il Tour riuscendo persino a chiudere in crescendo mostrandosi nella terza settimana come il più forte in salita dopo i due dominatori. Potrei scrivere ancora per ore e ore, perché è stato un Tour ricco di spunti, ma invece taglio corto e vi invito ad ascoltare il podcast di 53x11 dove è stato fatto un approfondito riepilogo sul Tour.
UN MESTO TRICOLORE A MEZZ'ASTA
Chiudiamo con l’Italia e lo sguardo di Ciccone nella foto dice tutto. Non ci si poteva aspettare di più francamente. Il livello del ciclismo è alto e quello che abbiamo visto è ciò che noi possiamo offrire nella corsa più importante al mondo soprattutto se i vari Ganna (il nostro numero uno), Milan (il nostro migliore velocista) e alcuni corridori che hanno dimostrato di stare molto bene (vedi Bagioli al Vallonia), vengono messi fuori per scelte tattiche o perché dopo il Giro hanno - giustamente - staccato. È stato molto bravo, Ciccone, a sfruttare l’occasione che gli si è presentata vincendo una maglia a pois che mancava all'Italia da un po’ di anni - l’ultimo Pellizotti nel 2009, maglia poi revocata, ma a Parigi c’era lui sul podio -, ma non è di certo il successo che cambia un movimento, anche se fa guadagnare tifo e affetto per l'ottimo corridore della Lidl-Trek, e, stavolta, non serve nemmeno a nascondere la polvere sotto il tappeto come altre volte.
Otto piazzamenti di tappa nei primi dieci. Il miglior risultato è il 2° posto di Ciccone a Laruns, - sempre lui, ampiamente promosso e aumenta il rammarico di non averlo visto al Giro - Mozzato chiude con un 4°, un 7° e due decimi posti, compreso quello a Parigi, Trentin ha un 8° e un 9° posto, Bettiol un 8°. Non vinciamo una tappa al Tour dal 2019, Nibali a Val Thorens e dopo di noi ben diciannove nazioni hanno conquistato almeno una tappa al Tour de France, peggio fanno solo: Sudafrica, Slovacchia, Russia, Repubblica Ceca, Lituania, Portogallo, Ucraina, Estonia, Svezia, Uzbekistan, Lettonia, Brasile e Messico. I numeri, come sempre, hanno bisogno di essere interpretati ma mai come stavolta dicono molto senza bisogno di didascalie sul nostro movimento, e tocca al massimo accennare e ripetere quello che si diceva dopo le classiche, prima e dopo il Giro, sia quello dei grandi che quello Under 23, e pure prima del Tour.
I corridori sono buoni, anzi, ottimi, abbiamo in casa un vero e proprio fuoriclasse (Ganna), e un altro che potrebbe farci divertire in volata (e chissà anche in alcune classiche del nord) ma i corridori appartenenti alla classe media per vincere corse importanti o una tappa al Tour devono sperare che succedano cose particolari. E attenzione: non sto facendo di certo una colpa a chi pedala! Piuttosto vorrei continuare a piangermi addosso perché non rimarrebbe altro da fare considerando un numero esiguo di corridori al via del Tour da far venire l’orticaria (solo 7), chissà se qualcuno in alto se n'è accorto, si interroga e si cercano soluzioni - quali non lo so. A questo punto mi resta solo la speranza, scomodando Abatantuono in Mediterraneo "chi vive sperando...", ecco, speriamo che qualcuno salvi il movimento, non essere al passo di questo ciclismo che è tornato a intrattenere come si deve, è davvero un peccato.
Foto in evidenza: ASO/Charly Lopez
Il Gran Tour delle Colline Metallifere
Dai e dai il giorno è arrivato. L’idea sembra buona, il territorio e le istituzioni sono in sintonia, del resto i costi sono minimi e il vantaggio di tutti, potenzialmente, è grande, poi le Colline Metallifere sono fantastiche, un meraviglioso scenario di wilderness, storia, e miniere. Sì, perché il Parco Nazionale delle Colline Metallifere, oltre ad abbracciare una grande area coperta da boschi e macchie senza quasi soluzione di continuità, ingloba centri abitati di origine medievale, antichi castelli nei cui vicoli si respira ancora l’aria dei secoli passati. Il Parco nasce però per la sua storia mineraria e prima ancora per le sue eccezionalità geologiche e mineralogiche, ed è per questo che dal 2015 è stato eletto Geoparco dell’Unesco.
L'idea di un giro in bici, nella formula del brevetto, nasce dalla volontà del sottoscritto, appassionato ciclista nonché Guida Ambientale del Parco dalla sua nascita. Conoscenza del territorio, di ogni sentiero e strada, ma anche di tutte le emergenze del Parco creano il connubio perfetto: un percorso che sia divertente e che permetta di conoscere aspetti che altrimenti sarebbero difficili da scoprire, nascoste come sono nelle fitte macchie delle Colline Metallifere.
Ne parlo col mio gruppo ciclistico, i Free Biker Pedale Follonichese, sono tutti entusiasti, ci sono molti appassionati di gravel e tutti si prestano ad accompagnarmi nei giri di preparazione del percorso, con Mirko e Luca fissiamo le prime tappe e al tavolo del bar di Beba davanti ad un bicchiere di birra pianifichiamo il percorso, a grandi linee, poi lungo la strada si studierà eventuali modifiche.
La bici perfetta: la gravel, ma una mtb, assistita o no, va benissimo. Caricate per il bike packing, o con il bagaglio ridotto al minimo, vista la possibilità di dormire in uno degli accoglienti agriturismo di cui il territorio è ricco.
Infatti il giro è lungo, 250 km e 5000 m di dislivello, ed impone la sosta, ma questo non è un problema, vista l’ampia disponibilità di strutture ricettive che hanno aderito entusiaste al progetto. Soste che possono essere solo due per i più allenati ma che consiglio essere almeno tre, visto che non si tratta solo di pedalare ma di godere di tutte le magnificenze che il Parco ci mostra. Tradotto: si è sempre fermi a fotografare!
Il giro comincia da Follonica, non è il centro del Parco, ma è la località più facilmente raggiungibile, auto, treno o bus che sia. Città oggi turistica, ma dal passato straordinario di città-fabbrica, di fatto per secoli un recinto tra le paludi con dentro fonderie e camerotti, distendini e carbonili. Lasciamo Follonica su asfalto inoltrandoci verso l’interno verso la prima tappa, le miniere di Allume nel Parco di Montioni, ci arriva attraverso un single track, facile e divertente alla fine del quale si apre una parete di roccia biancastra, traforata da secoli di escavazioni. L’allume è un minerale usata in passato per la concia dei tessuti e per questo ricercatissimo tanto che interessò anche la sorella di Bonaparte, Elisa, che qui costruì addirittura uno stabilimento termale a suo uso e consumo. Posto il primo timbro sulla scheda del Brevetto presso la locale trattoria, ci si avvia su di una meravigliosa strada prima asfaltata quindi sterrata verso le alture delle Colline Metallifere.
In un paesaggio di seminativi e piccoli oliveti inframezzati a lembi di bosco si sale verso Montebamboli, famoso per aver dato l’illusione che questa zona, e non la Rift Valley africana, fosse la culla dell’umanità. Nell’800 nelle miniere di lignite di Montebamboli fu infatti scoperto un fossile di scimmia, che fece pensare ad un primo Ominide di ben 6 milioni di anni, battezzato subito Oreopithecus bambolii!
Passata la miniera inizia una salita arcigna, il fondo sterrato impone gomme con buon grip, dopo qualche centinaio di metri di fatica vera il pendio si addolcisce, ad un bivio si tiene la sinistra e si scende, ma nella migliore tradizione a discesa segue la salita, e questa si fa sentire! Tra sterro ed asfalto si comincia ad intravedere la prossima meta: Monterotondo Marittimo, annunciato dai vapori delle centrali geotermiche e delle Biancane.
Le Biancane! Una delle perle del Parco, una distesa di rocce calcinate dal calore e dagli acidi presenti nei vapori endogeni, che attraverso fratture naturali fuoriescono, creando un ambiente lunare, dantesco, infernale! Attraversare in bici queste lande fa un certo effetto, soprattutto in inverno quando il freddo crea un maggiore effetto condensa, e si pedala in una nube di vapori solforosi.
Passato Monterotondo e le Biancane ci aspetta un lungo tratto di asfalto, comunque piacevole in belle strade con poco traffico.
Dapprima tra pozzi e soffioni, poi sempre immersi nei boschi delle Colline Metallifere, tra le miniere piritifere di Niccioleta e della Stima. Si giunge così a Gerfalco, grazioso villaggio ai piedi delle Cornate, il monte più alto della zona. Sede in passato di importanti ricerche minerarie e di escavazioni del bel calcare rosso che caratterizza la cima delle Cornate. Volendo tramite una bella strada sterrata si può deviare verso podere Romano, per godere del panorama verso il mare e visitare cave e miniere seguendo le indicazioni del Parco. A Gerfalco oltre che per un ristoro temporaneo ed il timbro, volendo si può anche pernottare (Agriturismo Poggio alla Luna tel. 333/1226694.).
Abbiamo percorso circa 70 km e 800 m di dislivello, meno di un terzo del totale! Ora ci aspetta una meravigliosa strada bianca che dopo qualche strappo, duro, ci regala una lunga discesa regolare tra bei paesaggi e splendidi agriturismi per arrivare al borgo medievale di Travale. Breve ristoro e si riparte in salita, su asfalto per raggiungere in qualche km Montieri, la città dell’argento! Qui la tappa è d’obbligo: per mangiare, ottimi ristoranti, ma anche per dormire, io e Mirko, il mio compagno di avventura, ci siamo fermati al Podere di Rachele 349/0573303, ma la scelta è ampia.
Lasciamo Montieri di prima mattina, quassù anche in estate fa freschino, soprattutto al sorgere del sole, comunque una mantellina e via. Si prende la strada asfaltata in direzione di Follonica, regolare, poco traffico, pendenze minime, qualche km e si giunge in Loc. Fontalcinaldo, un borgo disabitato di un paio di case solamente, di lato, sulla sinistra, imbocchiamo una strada cementata, poche centinaia di metri ma pendenze oltre il 20%! Per fortuna dura poco, perché abbiamo ancora la colazione sullo stomaco e la salita dura non è il massimo per digerire! La strada continua, magnifica, sterrata, deserta, tra gli splendidi boschi delle Colline Metallifere, malgrado la quota non superi i 750 metri si trovano anche notevoli faggete con esemplari di tutto rispetto. La strada va seguita lungo la traccia principale per diversi chilometri di saliscendi mai troppo impegnativi, fino a che termina su di una strada asfaltata che seguita in discesa per un paio di chilometri ci porta a Niccioleta. Paese, come tanti nella zona, sorto per ospitare i minatori, dalla strada infatti è visibile il Pozzo Rostan della locale miniera di pirite, una delle più importanti della Maremma.
A Niccioleta è presente un Ostello (339/490251), proprio nei pressi della Miniera ed un piccolo bar dove fare uno spuntino, timbrare, e bersi un caffé. Lasciamo l’asfalto attraversando una zona di orti e con una stradina sterrata scendiamo in un’area dove importanti lavori di bonifica hanno rinaturalizzato una discarica di inerti di miniera, sulla cima della collina, quasi a dominare il paesaggio l’alto castello minerario del pozzo Rostan, continuando per la strada ora asfaltata si arriva in Breve a Pian dei Mucini. Sarebbe semplice raggiungere Massa Marittima con la strada asfaltata ma l’amore per il gravel ci spinge a cercare vie alternative e per giungere ai piedi della città abbiamo scelto un bel percorso tra boschi e prati. La capitale delle Colline Metallifere ci accoglie dopo una breve salita su asfalto. Consigliamo di perdersi tra gli splendidi vicoli e di immergersi nel medioevo tra splendidi palazzi e chiese monumentali indice di quanto fosse ricca Massa in epoca antica quando le miniere fornivano rame, argento, piombo e altri preziosi minerali.
Una bella strada asfaltata ci permette di scendere da Massa, siamo in una zona di antiche miniere, alcuni pozzi, recintati per la sicurezza, sono ancora visibili nella zona di Serrabottini che raggiungiamo attraverso una strada sterrata tra le macchie, la vicinanza dei pozzi si rivela dall’arrivo nella zona delle discariche: accumuli di minerali e rocce di scarto che venivano gettati nei pressi delle aree di prima cernita. Grandi accumuli ocracei dove non è difficile trovare piccoli campioni dei solfuri che hanno reso famose le Colline Metallifere. Il Lago dell’Accesa ci accoglie come una visione, dopo salite e polvere, un lago di origine carsica incastonato tra verdi colline. Le acque, debolmente termali, scaturiscono da sorgenti nei pressi della sponda occidentale, lontane da ogni fonte di inquinamento, sono sempre limpide e permettono, anche al ciclista, straordinari bagni refrigeranti. Anche gli etruschi non hanno saputo resistere al fascino del lago, al VI secolo aC risalgono infatti una serie di villaggi scavati dagli archeologi fiorentini alcuni anni fa, ancora oggi ben visibili grazie all'istituzione di un Parco archeologico dedicato.
Dopo la sosta obbligata al Lago, nei pressi si trova anche un bar ristorante “Giardino del Lago” aperto nella buona stagione e molto frequentato dai ciclisti della zona, si riparte con un tratto un po’ più tecnico, ma assolutamente imperdibile. Un suggestivo single track, con passaggio attraverso una passerella sul fiume Bruna, l’emissario del lago, ci porta ai Forni, area di antiche lavorazioni minerarie e quindi dopo aver attraversato delle vigne, di nuovo sulla strada asfaltata. Ora ci aspetta un trasferimento su strada sterrata, poco dislivello, diversi km, ma paesaggio notevole! Campagne, cipressi, antichi castelli, mulini e poderi… un aspetto tipico della Maremma toscana. Proprio un anello di cipressi fa da quinta al monumento alla strage nella miniera di Ribolla, nel 1954, 44 minatori morirono a seguito di un incendio devastante in galleria. Il monumento, molto suggestivo, si trova a poche centinaia di metri dal pozzo Camorra, epicentro dell’esplosione di grisou che coinvolse l’intera miniera. La strada sterrata ci porta fino a Ribolla, villaggio minerario fino al 1954, poi dopo la chiusura della miniera a seguito dell’incidente, tranquillo paese nelle piane ai piedi delle colline del Roccastradino.
Ora ci tocca la salita! Dopo tanta pianura si risale verso Roccastrada lungo un’antica strada doganale, si inizia con una bella strada scorrevole e senza forti pendenze, tra campagne e macchie, poi superato un bivio per un Centro di Meditazione (Sant Bani Ashram), la strada diventa più impegnativa con alcuni tratti di discreta pendenza. Un paio di Km e torniamo sull’asfalto direzione Roccatederighi, fantastico borgo arroccato su di una rupe di riolite, dalla quale si gode un paesaggio straordinario su tutta la Maremma costiera e su molte delle isole dell’Arcipelago Toscano. Dalla Rocca come è chiamata dai suoi abitanti si sale su sterrato verso Poggio della Miniera, come dice il nome, sede passata di estrazioni di minerali cupriferi, e quindi si compie un largo giro intorno al Sassoforte, antico vulcano, sulla cui cima è collocato un castello mai espugnato! La strada è immersa in boschi che sembra non abbiano mai fine, siamo ad una quota tale che oltre alla macchia si possono trovare anche piante di media montagna quali querce, castagni e aceri che in autunno regalano al ciclista un foliage di tutto rispetto. Tornati sull’asfalto eccoci di nuovo a Roccatederighi dalla quale parte la lunga discesa di Pereti, un lungo tratto di asfalto divertentissimo, prestando sempre attenzione alle, poche, auto che si possono trovare lungo strada.
Siamo così tornati a Ribolla, in zona si trovano agriturismi che possono soddisfare ogni esigenza di pernotto e di ristorazione.
Ci allontaniamo dalle colline per affrontare un tratto pianeggiante che ci conduce nel Comune di Gavorrano passando accanto a importanti vigneti e cantine di pregio. È la zona di notevoli necropoli etrusche scoperte da molti anni, ma solo recentemente valorizzate e visitabili in un pacchetto che comprende anche l'assaggio di vini in cantina. A Gavorrano, importante città mineraria, si arriva attraverso una bella salita sterrata, sono subito evidenti le tracce delle miniere: discariche di inerti, castelli di miniera, quello di Rigoloccio per esempio al centro di un’area rinaturalizzata di recente, ma soprattutto l’area mineraria di Pozzo Roma, dal quale fino al 1981 si sono estratte milioni di tonnellate di pirite. La miniera è quindi chiusa, come sono chiuse tutte le miniere delle Colline Metallifere, l’apertura del Parco Nazionale ha però permesso di tutelare le emergenze più significative e permetterne la visita, come per la Polveriera della Miniera, un percorso nel sottosuolo attrezzato per far capire come fosse aspra e piena di pericoli la vita del minatore, un percorso guidato suggestivo e di grande carico emotivo. (info 0566/843402).
Da Gavorrano breve tratto di asfalto e poi tanto sterro fin quasi al mare. Percorso ondulato con tratti a volte ripidi, ma immerso nelle splendide campagne e nei boschi delle Bandite di Scarlino. Anche in questa zona, ma è una costante di tutto il percorso, sono frequenti gli agriturismi, uno per tutti Poggio La Croce (0566/871006). La salita finisce al Sughericcio (335 m. slm), la discesa che segue è immersa in uno splendido bosco d’alto fusto che solo alla fine, ormai in pianura, si trasforma in un forteto mediterraneo fino a sfociare nei campi della pianura di Pian d’Alma, area agricola in cui si comincia a sentire l’influenza dei venti marini.
Attraversata la trafficata Provinciale per Castiglione della Pescaia ci si immerge nella macchie del Parco delle Costiere, famoso per le splendide cale, tra le quali Cala Violina è la più bella e conosciuta. Il nome deriva dal fatto che sfregando la sabbia, grossa e silicea, si produce un suono che con un po’ di fantasia ricorda il suono dei Violini! Cala Violina è anche geosito del Parco nazionale, le sue scogliere sono infatti costituite da torbiditi della formazione del Macigno che presentano evidenti stratificazioni di spessore e granulometria diversa. Sono queste le rocce che hanno dato origine alla famosa sabbia “musicale”. La strada ora è un facile saliscendi con impareggiabili viste sul Golfo di Follonica. Lo sterrato termina in località Terra Rossa, un tempo qui arrivava la teleferica che portava dalle miniere gavorranesi e massetane la pirite fino al mare, per essere quindi imbarcata sui piroscafi destinata agli stabilimenti di lavorazione. Di questo sito, visitabile (0566/843402), rimangono importanti testimonianze tre cui i silos di stoccaggio e la suggestiva galleria di eduzione.
Siamo alla fine del tour, una bella ciclabile connette il Puntone e la sua Marina, a Follonica, un ultimo sguardo sulla Maremma passando sull’argine che separa il Padule di Scarlino (Zona umida protetta) dal mare e quindi ci accoglie la città del Golfo per l’ultimo timbro ed un riposo ristoratore, magari a godersi la famiglia lasciata in città a godersi spiaggia e mare.
Contributo di Mario Matteuci
Sito (in allestimento) https://www.biketourcollinemetallifere.it/
Spugna e martello
O Martello e spugna. Devastante il martello con la sua cadenza irresistibile che riecheggia nel silenzio delle montagne, quale silenzio, direte voi: avete visto quanta gente sulle strade? A parte, aggiungiamo noi, la parentesi degli ultimi quattro chilometri sul Puy de Dome e stavolta sì, un silenzio, irreale, narrativo, costruito ad arte da chi organizza il Tour de France: evento che ancora una volta sa battere la concorrenza per distacco, attaccandola dal primo chilometro. E pazienza se poi, in quella tappa, ben presentata, l’attesa ha fatto più danni al cuore che l’effettiva risoluzione.
Martello, come un pezzo industrial a una festa illegale organizzata da ragazzini. La cassa fissa, lineare. Un suono oscuro, metallico, quasi urlante, fantascientifico, come quel fumetto francese, con gambe che paiono fuscelli, nonostante quel bisogno di riprendere contatto con la realtà esterna alle corse appena tagliato il traguardo: è un abbraccio con i propri cari quando possibile, come in cima al Puy de Dome. È una lunga telefonata, quasi sempre, come nelle altre tappe precedenti o in quelle che verranno, oppure nel giorno di riposo.
Spugna. Assorbe, lava via le incertezze. Leva via i cattivi pensieri. Sorride, si prepara e si nasconde. Capisce e trasforma, decide di andare via e lascia la sua sparata. È tutto un programma, un fuori onda. Mai banale, dicono sia costruito, ma è sincero, è realmente fatto così. Spugna, qualche giorno fa, dopo che sul Marie Blanque aveva perso la ruota del suo avversario, ha trasformato la delusione nella possibilità di guardarsi dentro e imparare nuovamente dai suoi errori. Le energie nervose le ha ridotte a un momento di tranquillità. Lo hanno visto sereno, e il giorno dopo nascosto. Poi è scattato e ha staccato il suo avversario, non un nemico, sia chiaro.
Sul Puy de Dome, dicono alcuni appassionati ed esperti di valori misurati attraverso i watt/kg, i quali, però, non riescono a dare del tutto le certezze che cerchiamo, la spugna avrebbe fatto la sua miglior prestazione in carriera su una salita, almeno a livello di numeri, valori. Anche se poi lui giustamente dice qualcosa che suona come: "se non conoscete il mio peso, come fate a conoscere queste prestazioni?". È bastata, tuttavia, quell'azione per levare via un po’ di incrostature, otto secondi, per distinguere un Tour de France già ben caratterizzato di suo.
Spugna e martello. Pogačar e Vingegaard. Duello del decennio nella corsa più importante e rumorosa al mondo. Altro che il silenzio del Puy de Dome.