Nuovo Codice della strada: alvento ne parla con...
La riforma del Codice della Strada approntata dal governo, approvata alla Camera dei deputati ed in arrivo al Senato della Repubblica, è al centro del commento degli esperti, delle associazioni dedicate e dell'opinione pubblica. Alvento, attraverso questo ciclo di interviste, si propone di passare in rassegna le diverse voci in merito, analizzando il testo ed individuando, criticamente, punti di forza e punti di debolezza, provando, inoltre, ove possibile, a suggerire valide alternative, argomentate basandosi sui dati ufficiali disponibili a riguardo. Il primo professionista con cui ci siamo confrontati è Roberto Peia, dell'associazione "Città delle persone".
L'appunto iniziale di Peia riguarda proprio quei dati che abbiamo citato all'inizio come base necessaria intorno a cui sviluppare riflessioni sensate di qualunque tipo, sul Codice della Strada come su qualunque altra tematica: «Il dramma è che, purtroppo, il cittadino italiano medio sembra incapace di leggere i numeri delle relazioni ufficiali. Provo a snocciolarne alcuni: il 73% degli incidenti con cause gravi, tra cui la mortalità, avviene su strade urbane e le principali cause di decesso sono la velocità, la distrazione, il mancato rispetto della precedenza ed il non rispetto, ad esempio, delle strisce pedonali. Sempre i dati-prosegue Peia- mettono in risalto come, al calare della velocità, calano in maniera brusca le conseguenze dell'incidentalità: un impatto a cinquanta all'ora è completamente differente da uno a settanta o da uno a trenta. Su questo non vi sono e non possono esservi dubbi, sono numeri, sono certezze, è scienza». Tuttavia il Codice della Strada a cui si sta lavorando, purtroppo, segue un'altra direttiva che va in direzione diametralmente opposta.
«Ostacola i comuni nella creazione di zone ZTL, ostacola, allo stesso modo, la riduzione della velocità, limitando l'uso di autovelox e riducendo le multe dovute all'alta velocità e all'accesso abusivo a zone a traffico limitato o ad aree pedonali; mentre, in precedenza, la sanzione era corrispondente ad ogni accesso effettuato, con la riforma sarà multato solo un accesso ogni giorno. Inoltre si delega al governo la possibilità di innalzare i limiti di velocità in alcune zone, accentrando ogni aspetto al ministero». Questa sorta di reticenza nell'intervenire sull'elemento velocità, Roberto Peia la commenta facendo riferimento a decenni di campagne pubblicitarie costruite su un martellamento e condizionamento costante legato al piacere della velocità, ai motori ed ai cavalli, un bombardamento che ha plasmato intere generazioni, puntando alla "pancia" degli utenti della strada, facendo leva sulla rimozione di limiti e regole- così anche chi "trancia" autovelox ha il suo momento di gloria- più che alla loro razionalità e a una corretta cultura e conoscenza. «Non voglio essere frainteso: l'elemento velocità affascina l'essere umano, anche in bicicletta si ricerca la velocità e si prova un sottile piacere nel raggiungerla. Non lo nego. Il punto è che, essendo la strada luogo di condivisione, la velocità rischia di ledere altri utenti e, se un tuo "divertimento" mette a repentaglio la vita di altre persone, hai il dovere di fermarti, di ragionare. Le nostre città, poi, a questo sommano il problema di non essere pensate a misura di persona o di bicicletta».
Diversi sono gli esempi di grandi metropoli che hanno compreso la necessità di cambiare negli ultimi anni: dalla vera e propria rivoluzione in tema attuata a Parigi, a Londra, sino a Valencia dove si è arrivati a deviare il corso di un fiume per seguire questo ragionamento.
Differente è la realtà italiana, ancora arretrata sotto questo punto di vista: «Una ricerca basata sulla Spagna sottolineava l'opportunità, anzi, la necessità di aumentare le "zone 30" in corrispondenza di luoghi che abbiano una realtà architettonica e monumentale importante, al fine di garantire sicurezza e ridurre il traffico. Sappiamo tutti che, se aumentano i ciclisti, si riduce il traffico, che pedalare migliora la salute, riduce le spese sanitarie. Sì, lo sappiamo, ma non lo applichiamo». Il nuovo Codice della Strada agisce bloccando, spesso, la possibilità di nuove corsie ciclabili e di strade ciclabili, interviene sui doppi sensi e impone la targa e l'utilizzo del casco per i ciclisti. «Purtroppo non si trova ascolto, sia a livello di ministero che di comuni, quindi di realtà che dovrebbero essere più vicine ai cittadini. Cito l'esempio della statua che abbiamo dedicato, poco tempo fa, ai "ciclisti urbani pazienti" a Piazza Lugano, a Milano, al fine di omaggiare la resistenza dei ciclisti. La storia inizia cinque anni fa, quando, attraverso il bilancio partecipato del Comune, i cittadini avevano chiesto la realizzazione di una ciclabile su questo tratto di strada, verso il Ponte della Ghisolfa, molto trafficato, dove gli automobilisti raggiungono alte velocità. Il bando è stato vinto, ma, da quel momento, non è stata realizzata alcuna ciclabile e non abbiamo più avuto notizie a riguardo. Alcuni cittadini l'avevano tracciata di notte: rimossa completamente. Si tratta di un vero e proprio muro di gomma, spesso basato su convenienze elettorali». Le automobili, nel frattempo, aumentano le loro dimensioni, tendono, spesso, a rappresentare uno status sociale, allora "avere un SUV fa belli" e, celandosi dietro questa apparenza, si fa spazio la credenza di avere più diritti degli altri utenti della strada. «Il SUV, attraverso la sua dimensione, restituisce la sensazione, errata, di essere maggiormente protetti: non è così. Non solo: il milanese medio, in questo periodo, è molto infastidito dalla problematica delle buche sulla strada, causa di disagio. Bene, le ricerche dimostrano come l'aumentare del peso delle automobili accresce a propria volta la problematica. Forse sarebbe opportuno tenerle in considerazione». Rispetto alla tematica dell'obbligo del casco, la posizione di Peia analizza due versanti: da un lato l'aspetto personale, lui utilizza il casco anche in città ed è convinto della sua assoluta utilità, per quanto concerne la sicurezza personale, dall'altro un'analisi ad ampio raggio. «L'aumento della sicurezza passa per l'aumento della massa critica che pedala ed è testato, purtroppo, che l'obbligo del casco riduce l'utilizzo della bicicletta, assieme ai furti delle bici. Le scuse messe in campo per non utilizzarlo sono assurde e ridicole? Certo, non ho dubbi, ma resta un fatto e con i fatti bisogna fare i conti. In nessun paese il casco è obbligatorio per i ciclisti ed i paesi in cui lo era hanno fatto retromarcia sul tema». La non considerazione dei fatti, talvolta, è legata ad un'errata credenza, protratta nel tempo a cui si continua a dare voce: l'idea che chi utilizza la bici non sia "produttivo", ovvero che con la bicicletta non ci si rechi al lavoro, che sia solamente un mezzo di svago: «Purtroppo è una voce insistente. A prescindere dal fatto che, anche fosse così, sarebbe comunque giusta un'adeguata tutela degli utenti più fragili, la realtà è ben diversa. Molte persone si recano al lavoro in bicicletta e altrettante lavorano attraverso la bicicletta: penso ai rider ed ai bike messenger, penso al bike to work che dovrebbe essere agevolato, invece non viene valorizzato».
Nella riforma del Codice della Strada si parla anche di metro e mezzo per il sorpasso ad un ciclista, ma solo ove la strada lo permetta, "una decisione non migliorativa per l'ampio pubblico di pedalatori", ci sono norme più stringenti per chi usa il cellulare alla guida, "valide per chi ha meno di 21 punti sulla patente", e norme che vanno ad incidere su chi si mette alla guida con un elevato tasso alcolemico oppure avendo fatto uso di sostanze stupefacenti: «Si tratta di misure condivisibili che, però, agiscono sempre dal lato punitivo e non educativo, invece deve essere la cultura la via per cambiare le cose. Spesso ci rechiamo nelle scuole a parlare di sicurezza ed i giovani percepiscono perfettamente l'importanza di ciò che si dice, ascoltano attenti. Sono i genitori, talvolta, a non comprendere: a protestare per delimitatori di velocità o chicane davanti alle scuole per limitare la velocità. Provvedimenti diretti a tutelare i loro stessi figli».
Qui Peia riflette qualche istante, poi porta un esempio personale che lancia una luce diversa sulla tematica: «Ho tre figli: due intorno ai trentacinque anni, uno intorno ai venticinque. Mentre i primi, allo scoccare della maggiore età, hanno subito ricercato la patente e quindi l'auto, il terzo no, il terzo ha aspettato sei anni. Forse non nelle leggi, ma nella mentalità delle persone qualcosa sta davvero cambiando».
Foto in apertura: Tornanti/CC
Pagelle sulle pietre
Purtroppo, la stagione delle pietre è finita. Parte da lontano, ma dura così poco, si arriva in piena primavera con i corridori che si leccano le tante ferite, alzano trofei, si chiedono cos’è andato, cosa non è andato. La Freccia del Brabante, si è corsa questo mercoledì, fa da legame tra il Nord franco-fiammingo, che ti scombussola a suon di vibrazioni sulle pietre, e il trittico delle vicine Ardenne (Amstel, Freccia Vallone e Liegi), dove le gambe si inacidiscono a furia di su e giù.
A qualcuno è rimasto l’amaro in bocca per quello che è successo dall’opening week end di fine febbraio fino a domenica scorsa, altri hanno ottenuto ciò che cercavano: non solo vittorie o piazzamenti, ma anche sensazioni da cui trarre spunti, fatto esperienza utile per il futuro.
Visto che è finita, proviamo un po’ a tirare le somme dando i voti ai corridori protagonisti o meno delle corse del Nord. Vi avvertiamo: sarà un lungo elenco…
VAN DER POEL 10 Nessun dubbio, didascalia asciutta. Bastano le vittorie ad Harelbeke (E3), Fiandre e Roubaix, con tanto di maglia di campione del mondo. La doppietta con l’iride addosso, nelle due classiche regine del Nord, è riuscita soltanto a Van Looy prima di lui, Van Looy che nel ‘62 vinse pure la Gent-Wevelgem, van der Poel ci ha messo vicino l’E3. Voto 10 anche all'Alpecin-Deceuninck.
POLITT 9 Costante, ma non vincente, poco importa. All’UAE Team Emirates pareva, almeno sulla carta, mancasse un capitano forte e invece lo hanno trovato. Il tedesco chiude la Campagna del Nord così: 2° alla Omloop het Nieuwsblad, 3° al Giro delle Fiandre, 4° alla Parigi-Roubaix, 7° all’E3, 12° alla Dwars door Vlaanderen. Francamente chiedergli di più appare impossibile.
PEDERSEN 8 Ormai il suo modus lo conosciamo: attaccare, attaccare, attaccare. Indurire la corsa da lontano, cercare lo scontro frontale con gli altri capitani. Alla Gent-Wevelgem, vittoriosa, gli è riuscito benissimo: ha finito per cuocere, con l’aiuto di un grande gioco di squadra, van der Poel, battendolo in volata. Poi il più drammatico dei colpi di scena: la caduta alla Dwars door Vlaanderen gli toglie brillantezza, ma lui se ne frega e di nuovo va all’attacco pochi giorni dopo senza un vero e proprio criterio al Giro delle Fiandre e ci prova ancora alla Parigi-Roubaix. In Belgio salta per aria, in Francia ottiene un grande podio.
MOZZATO 8 Il podio al Giro delle Fiandre potrà anche essere, da qui a fine carriera, il suo risultato più significativo, chissà. Non importa, ci penseremo, ne vada orgoglioso: come il Gatto qual è in gruppo si muove benissimo e quando la corsa si fa dura, tra ventagli, freddo, muri, capacità estrema di limare, è sempre davanti. A impreziosire la sua primavera anche il successo alla Bredene-Koksijde e altri piazzamenti in diverse semiclassiche del Nord.
G. VERMEERSCH 8 Tra Roubaix e Fiandre, insieme a Dillier e Riesebeek (per loro voto 7,5), il suo apporto è stato fondamentale per la causa chiamata van der Poel. In Belgio, a lungo in fuga, ha curato la ruota di Pedersen senza dargli un cambio, in Francia ha attaccato, ha marcato, ha accelerato disintegrando il gruppo e dando il via all’azione decisiva del suo capitano. Non contento va in crescendo nel finale, chiudendo al 6° posto la corsa che più gli si addice nel calendario su strada.
JORGENSON 7,5 Ha stravinto la Dwars door Vlaanderen “approfittando” della maxi caduta che è stata un po’ la svolta improvvisa della stagione delle classiche. È stato protagonista alla Omloop Het Nieuwsblad a inizio stagione, ha chiuso 5° all'E3 anche lì mostrando una gamba eccellente sui muri e sul passo. Poi è mancato un po’ a sorpresa al Giro delle Fiandre, pagando nel finale una corsa resa dura dagli attacchi a lunga gittata e dal meteo, lui che da sempre è a suo agio in questo tipo di situazioni in cui conta fondo e pelle dura.
J. PHILIPSEN 7,5 Un podio alla Parigi-Roubaix che replica quello dello scorso anno, la vittoria alla De Panne, il 4° posto alla Gent-Wevelgem, il 15° alla Dwars door Vlaanderen. Niente male per il velocista più forte delle ultime tre stagioni.
VAN AERT 7 Cosa dire? Vince la Kuurne-Bruxelles-Kuurne dopo essere arrivato 3° il giorno prima alla Omloop Het Nieuwsblad. Chiude 3°, stanco, battuto, ma carico per le prossime corse, all’E3, poi si fa male alla Dwars door Vlaanderen e con quell’incidente si frantumano ancora una volta i sogni di primeggiare nelle due classiche regine del calendario primaverile. La svolta che sta prendendo la sua carriera ci spezza il cuore.
PITHIE 7 Rivelazione ad altissimi livelli di questa primavera. Gli è sempre mancato qualcosa nei finali di gara, ma il 2002 neozelandese è indubbiamente il volto nuovo che mancava nelle sfide sulle pietre del Nord. Alla Parigi-Roubaix cade quando è in lotta per il podio, sbatte la spalla ma non molla mai e chiude 7°. È protagonista alla Kuurne-Brussel-Kuurne e alla Gent-Wevelgem. L’anno prossimo ci riproverà con la maglia della BORA?
MORGADO 7 Da un 2002 a un 2004. Se Pithie tra i giovani è quello che dà più continuità non tanto ai risultati quanto al modo di correre, sempre all’attacco marcando i migliori, lui è il più forte tra i neoprofessionisti. Al Fiandre chiude addirittura 5° e pensate che, a sentire lui - che per carattere ci va a nozze con certe dichiarazioni, fateci l’abitudine - nemmeno gli piace correre su quelle strade.
T. VAN DIJKE 7 Dopo un paio di anni a fare il gregario, nel senso più puro del significato, sfrutta alla grande l’occasione. In Visma si contano i feriti e le assenze e lui arriva 30° al Giro delle Fiandre - meglio di lui solo Benoot, tra i compagni di squadra - e 8° alla Parigi-Roubaix, indubbiamente il miglior risultato finora in carriera. Risultato che poi diventa un 16° posto a causa del declassamento voluto dalla giuria, ma non importa. Le gambe, come aveva dimostrato nelle categorie giovanili e nel ciclocross, ci sono, così come il piglio e le credenziali per chiedere più spazio in futuro.
ABRAHAMSEN 7 A suon di fughe, il cubico corridore norvegese si sta ritagliando un posto che conta all’interno del gruppo. Rivelatosi lo scorso anno nella diciottesima tappa del Tour chiusa al 3° posto, dopo una lunghissima fuga, allo stesso modo chiude al 12° posto l’E3 e al 2° la Dwars door Vlaanderen. Niente male anche ciò che raccoglie alla Gent-Wevelgem, 20°, al Giro delle Fiandre 32° e alla Parigi-Roubaix, 27°. Dalla Uno-X ci si aspettava Tiller, Waerenskjold, Kristoff, persino il giovanissimo Fredheim, arriva, invece, lui.
TRATNIK 7 Vince la prima gara sulle pietre dell’anno, la Omloop Het Nieuwsblad e da lì sembra iniziare il periodo magico per i gialloneri olandesi. Invece, arrivano malanni e brutte cadute che non risparmiano nemmeno lo sloveno. Lo rivedremo al Giro a fare il trattore, ma è stato un peccato non poter godere delle sue trenate al Giro delle Fiandre e alla Parigi-Roubaix.
MERLIER 7 Le due vittorie alla Nokere-Koerse e allo Scheldeprijs e il 2° alla De Panne salvano la disastrosa Campagna del Nord della Quick Step. Bene anche alla Gent-Wevelgem, 8°, mentre alla Roubaix, dove punta a una top ten, rimane coinvolto nella maxi caduta a inizio corsa e dopo un altro mezzo incidente sul pavé alza bandiera bianca.
WELLENS 7 A quasi 33 anni, Wellens ottiene quella continuità di risultati mancata fino a oggi. Sbaglia poco: chiude 2° la Kuurne-Bruxelles-Kuurne, 4° l’E3, 12° il Giro delle Fiandre e la Omloop Het Nieuwsblad; è 15° alla Parigi-Roubaix che lo vedeva al suo esordio assoluto. Vogliamo trovare un difetto alla sua campagna del Nord? Gli è mancato il successo.
TEUNS 6,5 Ha sempre difettato in continuità, un vero peccato. Corridore capace di andare forte senza distinzioni tra gare fiamminghe e ardennesi. Con Bettiol accarezza il sogno del podio al Giro delle Fiandre, ripreso sulla linea d’arrivo chiude 8°. Cattivo cliente per tutti tra Amstel, Freccia Vallone (soprattutto) e Liegi.
MILAN 6,5 Alti e bassi, ma su di lui ci si può contare. Chiude con il terzo ritiro su tre alla Roubaix, dopo una caduta, lavora molto per la squadra soprattutto alla Gent-Wevelgem dove va in fuga e alla fine sarà 5°. Ottimo anche il 7° posto in rimonta alla Dwars door Vlaanderen. Dopo Pithie e Morgado è il terzo corridore più giovane a ottenere i miglior risultati nelle corse del Nord in questo 2024 (bravi, a proposito di giovani, anche Mikhels, classe 2003 e Waerenskjold, altro 2000, entrambi nei dieci alla Roubaix.)
STEIMLE 6,5 Tutte le corse di un giorno disputate tra Francia e Belgio in questi mesi sono state vinte da squadre del World Tour. Fanno eccezione due .1 in Belgio (Gp Criquelion e Gp Monseré conquistate da Segaert, 6,5 anche per lui, corridore che in carriera si toglierà grandi soddisfazioni nelle gare di un giorno, e da van de Paar, entrambi corridori della Lotto Dstny) e una .pro in Francia, il Gp Denain, “la mini Roubaix", vinta da Jannik Steimle, ex corridore della Quick Step, protagonista della fuga del giorno. Il 28enne tedesco regala così alla Q36.5 la prima e finora unica vittoria stagionale e la più prestigiosa dalla sua nascita lo scorso anno. Chissà che penseranno nella sua vecchia squadra.
MEEUS 6,5 Dopo la (sorprendente) tappa vinta al Tour dello scorso anno a Parigi, che resta anche la sua unica vittoria nel WT, lo si aspettava competitivo al Nord è vero, ma non così: podio alla Gent-Wevelgem, 8° alla Parigi-Roubaix e 12° alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne sono risultati di grande prestigio. Il quasi 26enne più vecchio del gruppo (non sembra un classe ‘98 a vederlo) è entrato in una nuova dimensione.
BETTIOL 6 Anche stavolta è mancato davvero poco: al Giro delle Fiandre arriva a centinaia di metri dal podio, alla Dwars door Vlaanderen propone uno scatto devastante salvo poi fermarsi per i crampi. La Parigi-Roubaix, la prima Parigi-Roubaix in carriera, dura troppo poco per poterla valutare, ma da questa primavera esce fuori un Bettiol ritrovato, diverso, maturo.
KÜNG 6 Se ne facessimo una questione di continuità, lo svizzero della Groupama-FDJ avrebbe pochi rivali, il 5° posto alla Parigi-Roubaix è di prestigio, buono il 3° posto alla Dwars door Vlaanderen. Certo è che gli manca sempre qualcosa per vincere e chissà, forse gli mancherà fino alla fine della carriera.
TARLING 6 A proposito di giovanissimi, il 2004 britannico ha tirato fuori una quattro giorni di grande livello tra Dwars door Vlaanderen (6°) e Fiandre (17°) che dimostra come lui, su queste strade, tornerà per vincere. Peccato per la squalifica (scia prolungata) alla Parigi-Roubaix, dove, dopo la caduta iniziale, sembrava prendere forma, chilometro dopo chilometro, una gara da prime venti posizioni.
MALECKI 6 Il polacco della Q36.5 è ancora alla ricerca della prima vittoria tra i professionisti, ma è anche una delle rivelazioni delle due grandi regine della classiche. Quasi dal nulla chiude 14° il Giro delle Fiandre e poi 18° la Parigi-Roubaix, quest’ultima dopo essere entrato nella fuga del mattino, strategia che paga sempre in una corsa peculiare come quella francese.
MADOUAS 5 Forse anche troppo teneri con il campione di Francia. Qualche avvisaglia di una condizione non eccelsa, forse anche amplificata dalla caduta all’Algarve, si era avuta dalle prime corse dell’anno: non il solito Madouas. Il 16° posto finale al Giro delle Fiandre, dopo aver preso tutti i muri in coda e aver inseguito sempre nei momenti decisivi, non può essere considerato un risultato positivo per uno che sul podio in quella corsa c’era pure salito. Ora ha le Ardenne per rifarsi.
TURNER 5 Ogni anno lo aspettiamo e anche quest’anno lo rivedremo il prossimo. Stavolta non ci sono cadute a frenarne l’evoluzione, semmai tattiche di gare che forse non ne valorizzano il talento. Il 16° posto alla Dwars door Vlaanderen è il miglior risultato della sua Campagna del Nord - Tarling e Sheffield (voto 7 all’americano che ottiene uno splendido 6° posto al Fiandre) fanno meglio di lui - ma non basta, anche se l’età è decisamente dalla sua. Siccome ci piace un sacco come corridore, lo aspettiamo di nuovo l’anno prossimo.
WRIGHT 5 La sua corsa è il Giro delle Fiandre, lui che forse è il più fiammingo tra i britannici, ma non lo vedi mai e chiude solo 50° nonostante un ottimo avvicinamento - 20° all’E3, 21° alla Gent-Wevelgem e alla Kuurne-Brussel-Kuurne, 22° alla Dwars door Vlaanderen. Stupisce, invece, alla Parigi-Roubaix, con un 12° posto di grande prestigio ottenuto nel gruppetto che si è giocato l’8° posto.
LAZKANO 4 Uno dei corridori più simpatici del gruppo non sembra essere migliorato di molto rispetto alla stagione in cui si rivelò anche a un pubblico più vasto quando chiuse sul podio, dopo essere stato in fuga tutto il giorno, la Dwars door Vlaanderen. Quest’anno sul podio in una corsa del Nord ci va di nuovo, 3° alla Kuurne-Brussel-Kuurne, ma il 73° al Giro delle Fiandre e poi il ritiro alla Parigi-Roubaix non rispecchiano le tante aspettative su di lui.
KRISTOFF 4 L’età avanza e anche se sei Kristoff non puoi sfuggire all’ineluttabilità del tempo. A quasi 37 anni arriva una delle sue peggiori campagne del Nord dove i migliori risultati sono stati il 14° posto alla Omloop Het Nieuwsblad ad aprire e il 21° alla Roubaix a chiudere. Fine della sua epoca?
LAMPAERT, ALAPHILIPPE, MOSCON, ASGREEN 3 A proposito di fine di un’epoca: Quick Step e Lefevere al nord. Alaphilippe si vede in un paio di scatti senza alcuna velleità alla Dwars door Vlaanderen dove coglierà il miglior risultato della sua campagna del Nord, 26°. Asgreen va in fuga alla Parigi-Roubaix ed è il primo a staccarsi tra quelli della fuga, una volta ripresi. Miglior risultato per lui: 47° al Giro delle Fiandre. Moscon rimedia ritiri, sorte simile per Casper Pedersen. Il migliore, escluso Merlier, alla fine sarà Lampaert: 18° al Giro delle Fiandre, 36° alla Parigi-Roubaix.
HIRSCHI 2 Oggetto del mistero, sembra quasi indolente per il suo modo di farsi da parte nelle fasi calde della corsa, quando si fa spesso e volentieri sorprendere in coda al gruppo., Anni luce dal bel corridore ammirato appena nei primi anni da professionista, ci viene il dubbio che corra quasi da separato in casa.
DE LIE 1 L’origine dei suoi mali sembra essere stata svelata: le sue cattive prestazioni potrebbero essere legate alla puntura di una zecca. Il problema è che su De Lie già a inizio stagione c’erano dubbi: in Belgio parlavano di allenamenti sbagliati (troppo intensi?) ancora prima che imboccasse quel breve tunnel che lo ha portato a ottenere risultati non altezza di qualità e fama. Eppure, con il decimo posto alla Omloop Het Nieuwsblad sembrava tutto iniziare per il verso giusto, ma i risultati in fila tra Gp Denain (4°), Bredene-Koksijde 5° e poi le contro prestazioni all’E3 (51°) e alla Gent-Wevelgem (90°) alla squadra hanno fatto prendere la decisione saggia di fermarlo, a noi hanno fatto pensare che al momento, appena si alza il livello, De Lie non riesce a tenere le ruote di mezzo gruppo. Ma ha 21 anni, classe, talento, quindi lo rivedremo alla grande.
REX, MOHORIC, LAPORTE, STUYVEN, NARVAEZ, GIRMAY SV Infortuni, cadute, malanni hanno tolto di mezzo in momenti e gare diverse tutta questa serie di possibili protagonisti, alcuni di loro si sarebbero probabilmente giocati qualche vittoria o piazzamento di peso in più.
Quanto è cambiato Mathieu van der Poel
Mathieu van der Poel ha compiuto 29 anni a gennaio e da pochi giorni ha conquistato il suo terzo Giro delle Fiandre in sei partecipazioni, ottenendo come peggior risultato il quarto posto nel 2019 e salendo sul podio per cinque edizioni consecutive dal 2020 al 2024. L’olandese, nel 2019, era ufficialmente un neo professionista e quindi all’esordio nella “sua” corsa, quella che più di ogni altra sembra fatta apposta per esaltare le sue doti da equilibrista, l’esplosività, la resistenza, la velocità, oppure una delle cose che sin da quando era ragazzino amava più di tutte: correre faccia al vento. Era all’esordio e nonostante ciò era considerato uno dei grandi favoriti per la vittoria, per Tom Boonen, per Patrick Lefevere e per Roger De Vlaeminck, tanto per citare qualche nome che si espresse alla vigilia. Per il suo compagno di squadra, all’epoca, Stijn Devolder, che, oltre ad aver vinto un paio di Fiandre, aveva corso sia con Cancellara che con Boonen, era il più grande talento mai visto con i propri occhi.
Van der Poel quella volta, però, tenne fede, più che ai pronostici, a quel suo modo un po’ naïf di interpretare le corse e che fino a un po’ di tempo fa pareva marchio di fabbrica: si dilettò nel provare ad auto sabotarsi rischiando l'osso del collo per saltare un marciapiede con la bici, finendo per rompere una ruota, cadere e inseguire il gruppo in un momento caldo della gara e restando appannato sull’attacco vincente di Alberto Bettiol.
Quanto è cambiato da quella volta? In realtà nemmeno molto, mi spiego, il suo è semplicemente un processo evolutivo naturale per un corridore considerato a tutti gli effetti, già quando muoveva i primi passi tra gli allievi, uno dei futuri dominatori del ciclismo di ogni tipo, almeno quello praticato da lui: ad esempio, parlando di ciclocross, emblematica la stagione 2010/11 quando si laureò campione nazionale allievi. Quel successo fu il ventiduesimo su ventidue gare disputate. Lasciare le briciole agli altri, fare filotti inimmaginabili diventerà un altro dei suoi modi di imporsi all’attenzione di tifosi, media e avversari. Sia tra gli junior che tra gli élite manterrà un ruolino di marcia impensabile e difficilmente battibile fino a quando, in futuro, non uscirà fuori un altro fuoriclasse di queste dimensioni.
Mathieu van der Poel, da quando ha iniziato a pedalare seriamente, quindi non valgono i racconti fatti su di lui da nonno Poulidor che ne preconizzava un futuro da campione o di papà Adri che se lo portava dietro alle gare di ciclocross quando a malapena Mathieu camminava, ha subito mostrato di avere qualcosa in più. Già quattordici, quindici anni fa in Belgio e in Olanda si parlava di lui come di quel campione che è poi diventato: aveva le stimmate, si diceva, la testa sulle spalle (“è un ragazzo che ama la bici, ma non si finisce negli allenamenti perché prima vuole finire gli studi”): è vero, spesso sono epiteti che si sprecano un po' a caso, ma chi ha seguito l’evoluzione del suo percorso o anche chi, semplicemente, in questi mesi si fosse approcciato alla materia, troverebbe in giro tracce eloquenti lasciate dal giovane van der Poel. Tracce che avrebbero fatto presagire il suo futuro, che è ora suo il presente.
C’ha messo poco a farsi capire: vincente in tutte le categorie sia su strada che nel cross, amore che non ha mai abbandonato -ha vinto 8 titoli iridati sommando tutte le categorie-, da quando è passato professionista ogni gara con lui presente è un'attesa. Negli ultimi dieci o quindici, forse anche vent'anni pochi corridori sono stati preceduti da simile fama e aspettative. Pochi, forse solo uno: Remco Evenepoel.
Ha limato i suoi difetti - gli attacchi scriteriati - ora quando attacca è perché si sente, lo è, il più forte. Quando vinse l’Amstel Gold Race, nel 2019, aveva da poco conquistato pure la Dwars door Vlaanderen: in quelle settimane capimmo come, dopo averlo atteso, fosse sbocciato. Era evidente come quella vittoria in Olanda sarebbe stata solo la prima di una lunga serie e che anzi, da lì in poi avrebbe provato a correre meno rischi nel conquistare i suoi successi più importanti. L’Amstel di quell’anno, tanto assurda quanto spettacolare nel suo epilogo, gli fu consegnata da un suicidio tattico dei fuggitivi, quella volata finale è spesso rimasta nell’immaginario dei tifosi come uno dei numeri più vanderpoeliani di sempre, ma in realtà ogni sua vittoria diventerà vanderpoeliana: spettacolare, veloce, fatta di fondo e di forza, di esplosività e numeri record di ogni genere: dalle punte di watt alla resistenza in avanscoperta. Come ha vinto Strade Bianche o Milano Sanremo: facendo esplodere gli avversari nel finale; come ha vinto il mondiale di Glasgow o l’ultimo Fiandre: resistendo ai tentativi di cottura a fuoco lento dei suoi avversari e poi annichilendoli, lasciandoli sul posto, rimanendo solo al vento per un tempo abbondante.
Quando vinse l’Amstel si capì benissimo cosa sarebbe diventato: un autentico bastonatore di avversari. Di lì in poi ci sono stati momenti che ne hanno costruito il bagaglio tecnico e che lo hanno aiutato a capire dove avrebbe dovuto migliorare. Ci sono state le crisi - fame e freddo al Mondiale ad Harrogate - gli attacchi folli che ci hanno fatto innamorare di lui - Castelletto alla Tirreno - attacco vincente ma che gli costò in termini di energie la Sanremo successiva; c’è la sua unica partecipazione al Giro che ancora la ricordiamo: accendevi la tv e te lo trovavi già in fuga dal mattino. Ci sono stati episodi spiacevoli come quelli alla vigilia del mondiale australiano, arrestato e poi rilasciato dopo alcuni problemi con dei vicini rumorosi.
Anche in conseguenza di alcuni problemi fisici che ne hanno rischiato di compromettere la carriera, negli ultimi due anni è maturato, tatticamente, mentalmente, appare più riflessivo e deciso, sa quello che vuole. Freddy Ovett, star di Zwift, amico e compagno di allenamento di van der Poel dice di vederlo, in questo periodo, sereno, allegro, felice: questo gli permette di arrivare a ogni corsa consapevole di essere superiore alla concorrenza, coscienza che stimola poi una realtà effettiva che aumenta quando mancano Pogačar e van Aert, o con un Pedersen non al meglio (tutti e tre hanno saputo batterlo in corse importanti, anche di recente), di sapere sempre quale sia il momento giusto per affondare il colpo. La squadra, aspetto importante, è cresciuta ed è costruita a sua immagine e somiglianza; fondo ed esplosività non gli sono mai mancati: da quando ha iniziato a vincere tutto sembra non volersi fermare più.
Van der Poel è, attualmente, il corridore più fiammingo che ci sia, con buona pace di quelle brutte persone che gli lanciavano birra mescolata a buu di sdegno, lungo il passaggio sull’Oude Kwaremont e il Paterberg o di chi ancora getta ombre o di chi si chiede come sia possibile dominare in questa maniera un certo tipo di gare: van der Poel è una spanna superiore a tutti. Semplicemente.
Domenica, alla Roubaix, vorrebbe essere il primo corridore non belga di passaporto - lui è nato in Belgio, ma è olandese - né svizzero, a vincere nello stesso anno le due più importanti corse del calendario - insieme a Tour e Mondiale - ovvero Fiandre e Roubaix, una doppietta riuscita a pochi e nemmeno a tutti i più grandi. Suiter, svizzero, nel 1923, fu il primo, Cancellara, svizzero, l’ultimo, due volte: 2010 e 2013. In mezzo solo belgi: Gijssels nel 1932, Rebry nel 1934, Impanis 1954, De Bruyne 1957, Van Looy 1962, De Vlaeminck 1977, van Petegem 2003, Boonen 2005 e 2012. Non sarà facile, guarderà anche in casa per trovare l'avversario più temibile, ma sulla carta è lui il più veloce di tutti.
Un lungo viaggio: intervista a Elisa Longo Borghini
«Forse, dall'esterno, non si è capito molto quanto abbia sofferto nell'ultimo anno. Non è facile comprenderlo fino in fondo e non è nemmeno facile spiegarlo». Il telefono di Elisa Longo Borghini squilla nella stanza di un albergo vicino a Waregem: è quel periodo dell'anno in cui le strade delle cicliste e dei ciclisti sono quelle di freddo, pietre, muri, vento e inverno del Nord, che, anche a fine marzo, fatica a mollare la presa. Un viaggio, alla fine questo è il ciclismo nelle sue trasferte e nei suoi bagagli. La trentaduenne di Ornavasso parla di questo viaggio e lo assimila ad un altro che ha mappe e cartine differenti: «Il ritorno a quella che ero è stato un viaggio interiore che pareva non finire mai, una meta che non arrivava nonostante la cercassi. Non ero preparata a tutta questa sofferenza: stop forzati, infortuni, malattie e al Tour de France quella setticemia di cui, ancora oggi, mi chiedo le cause. Tutte volte in cui provavo a prepararmi, in cui pensavo di farcela, il mio corpo mi diceva un no secco. Non era pronto agli sforzi che una carriera professionistica comporta, non era mai pronto. Ad un certo punto, ho dovuto lasciare la bicicletta completamente da parte».
I pensieri si riannodano, sembra un flusso di coscienza in cui ogni passaggio costruisce il passaggio successivo, come quando si riflette molto su ciò che accade, cercando di riordinarlo e di dargli un senso affinché non sia inutile. Elisa Longo Borghini lo ha fatto anche con le esperienze più piccole di quei giorni lontana dalla bicicletta: quella mattinata in cui suo padre aveva avuto un piccola indisposizione e lei e suo fratello Paolo, nella stalla, l'avevano aiutato a mungere una mucca e a prendersi cura del vitellino. Aveva pensato che la vita vera fosse un'altra, che «quando ti alzi al mattino e sai di dover spalare letame tutto il giorno è dura», eppure era stata felice con tutto quel dolore che sembrava essersi quietato, nascosto in qualche angolo, meno ingombrante in quegli istanti in cui condivideva un gesto semplice con il fratello. Sì, il 2023 è stato un anno difficile, ma, allo stesso tempo, fuori dal ciclismo, pieno di cose belle, importanti: il matrimonio con Jacopo Mosca, essere diventata moglie, poter chiamare Jacopo "marito", quel giorno, le energie buone che ha dedicato a quel pensiero, la quotidianità e tutto quel che ne deriva. Ed ancora le ore ed i giorni con i suoi nipoti, come fanno le zie, come spesso una ciclista non può fare. Tutti i pensieri sono necessari per salvare e custodire il bello, per riconoscerselo ed esserne fieri, pur nelle difficoltà.
Poi arrivava il giorno in cui risaliva in bicicletta, magari dopo aver parlato con Paolo Slongo, il suo preparatore: «Mi raccomandava di pedalare tranquilla, di guardarmi intorno, di tornare a godermi anche il paesaggio e di avere pazienza. Io, dopo qualche chilometro in sella, gli telefonavo: "Paolo, sto facendo come dici tu, ma non può funzionare. Vado troppo piano, non riuscirò mai a tornare quella di prima, è impossibile" . Allora, lui riprendeva a tranquillizzarmi: "Non avere fretta, cerca di volere bene al tuo corpo, ai tuoi muscoli. Se lo farai, tornerai anche meglio di prima". L'allenamento era diventato una sorta di religione: io dovevo credere a quel che facevo, anche se al momento non ne vedevo i risultati. Difficile, ma necessario». Racconta Longo Borghini che se è riuscita a rientrare alle corse è soprattutto grazie alla sua famiglia e a Paolo Slongo. Ma anche un episodio accaduto al Giro di Romandia, quasi casualmente, l'ha aiutata ad aggiungere qualche consapevolezza. Quel giorno è Marlen Reusser ad affiancarla: «Tu sai che sei fortunata, Elisa?». La risposta di Longo Borghini è pronta: «Sì, indubbiamente, Marlen, sono una donna fortunata, per molti aspetti». Reusser non le lascia il tempo di dire altro: «Sai che se ti fosse successa la stessa cosa quarant'anni fa non saresti qui con noi? L'hai pensato? Te lo dico io, ricordalo». Inizialmente quello di Elisa Longo Borghini è un "grazie" amaro, scherzoso, poi la riflessione, dopo la gara, chiarisce tutto.
«Siamo giovani e siamo atleti. Già il primo dato basta, talvolta, per farci sentire potenti e sin troppo sicuri della nostra forza, della nostra salute, come se niente potesse toccarci, sfiorarci, buttarci a terra. L'essere atleti accresce questa sensazione, perché sfidi la fatica, torni in bici anche con il male alle gambe, anche dopo esserti sentito sfinito, finito. Quante volte ci diciamo: "Ora mi riposo e domani esco, anche se mi fa male tutto"? Non è scontato che il giorno dopo ci trovi in salute, non è naturale questo stare bene, questo poter fare. Lo si capisce quando, pur giovane, pur atleta, non puoi più, sei fermo, bloccato. Quando si ha la sensazione che tutto sia finito». Invece un nuovo inizio si stava costruendo: l'UAE Tour per un accenno di ritorno, la Het Nieuwsblad per tornare a percepire il solito vigore nelle gambe e nei muscoli e la Strade Bianche per essere sicura: Longo Borghini c'è ancora ed è la stessa di prima. Il giorno degli sterri senesi, è caduta due volte, nella zona di Monteroni d'Arbia e prima di prendere Montaperti. Proprio in quel frangente, il gruppo stava rilanciando, Lotte Kopecky stava attaccando. La campionessa italiana non riesce solo a stare con il gruppo, ma anche a guidarlo, dopo un cambio di bicicletta.
Sente di dover parlare alla radiolina, un istinto che non trattiene: «Sono Elisa e penso di avere delle buone gambe». «Tra me e me, mentre guardavo le avversarie, dicevo: "Ora vi faccio vedere". La competitività solita, quella lettura che ho sempre dato a questo sport che mi porta a fare volate assurde ai cartelli con Jacopo in allenamento e a tornare a casa distrutta ed essere felice. Io sono così. Certo che avrei voluto qualche cambio in più da Kopecky, fa parte del gioco, certo che avrei voluto vincere, inutile dirlo. Ma non potevo non essere felice, per questo sorridevo al traguardo».
Il giorno dopo, al Trofeo Oro in Euro, ha conquistato la vittoria, in solitaria, e, proprio in quella solitudine, guardava i dati sviluppati sul suo potenziometro e si sfidava a fare di più, a fare meglio, come fosse un gioco, come in parte lo è sempre stato. La Ronde van Vlaanderen, spiega, è una gara iconica, «una gara che correrò a cuore aperto, vada come vada, perché i giorni buoni e meno buoni sono realtà costante nel nostro mestiere, ma l'obiettivo, l'idea fissa, è un poco più in là, alla Liegi-Bastogne-Liegi, sto lavorando per quella, voglio arrivarci essendo in grado di giocarmela». Quando le chiediamo come vorrebbe vincere, ride di gusto, torna indietro negli anni: «Ricordo il Fiandre del 2015, quell'azione senza senso, folle, che mi ha portato alla vittoria. Mentirei se non dicessi che io sogno ancora azioni così, "azioni ignoranti", come si dice in gergo. Allo stesso tempo, però, razionalmente so che in questo ciclismo, con i valori in campo, non è possibile una cosa simile. Sarà la squadra a fare la differenza: un insieme di atlete forti che dal loro essere insieme traggono ancora più forza. La squadra è il modo attraverso cui si superano le corazzate. La squadra è il mio modo di vincere».
10 nomi da seguire al Giro delle Fiandre
Pasqua, Natale, Ferragosto, compleanno, Capodanno, tutte le feste in un giorno solo: è il Giro delle Fiandre, la Ronde van Vlaanderen, la corsa delle corse. L’esame finale: chi vince qui, e non importa il come, ha qualcosa di speciale.
Muri, stradine, lunghi rettilinei improvvisi, volate per stare davanti, esplosione di watt, attacchi da lontano per anticipare e portare a casa il risultato. Bisogna avere gambe adatte alla salita, cuore e polmoni per il cambio di ritmo, si deve sapere pedalare leggeri ma decisi sulle pietre; bisogna guidare a oltranza per ore e ore. Non c'è nulla, a parte la Roubaix, che ti finisca e definisca più di questa corsa.
Il fascino del Belgio, poi, della gente per strada, è magnetico: per loro è una giornata di festa come solo la Roubaix - che a sentire loro è una corsa più belga che francese - sa esserlo.
E per questa grande festa di paese, che si trasforma in evento internazionale, abbiamo scelto dieci nomi, lasciando da parte il grande favorito, van der Poel e il principale rivale, Pedersen, tra i possibili candidati al successo, perché vogliamo tenere conto solo in parte delle contusioni subite dal danese nella caduta di mercoledì nella discesa prima di Kanarieberg alla Dwars door Vlaanderen, in un incidente che ha coinvolto, tra gli altri, van Aert - lui invece si è rotto clavicola, sterno e costole, mentre a noi si è spezzato il cuore. Sentirlo piangere, leggere il bollettino medico, sapere che salterà le corse per le quali ha sacrificato una buona parte di primavera ciclistica fa ancora male, ma va così. Sport meraviglioso, sport di merda e non smetteremo mai di dirlo.
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Dopo la breve, ma doverosa premessa: ecco i dieci nomi da seguire al Giro delle Fiandre 2024.
ALBERTO BETTIOL
Un Giro delle Fiandre lo ha già vinto, la forma sembra quella giusta, forse la migliore di sempre e facciamo finta che quel finale alla Dwars door Vlaanderen non sia mai esistito, oppure prendiamo come spunto solo una parte: l’attacco sul Nokereberg ha fatto paura, ha emozionato, ha ricordato proprio quella volta lì al Fiandre. Poi sono arrivati quei crampi che già lo avevano estromesso dalla lotta per il successo a Tokyo 2021, ma noi, per domenica, inguaribili ottimisti, ci crediamo lo stesso.
Partecipazioni: 7
Miglior risultato: 1° nel 2019
Nel 2023: -
MATTEO JORGENSON
Ancora prima di vincere la Dwars door Vlaanderen pochi giorni fa, ci impressionava per leggerezza sul pavé. Il suo essere così dinamico è una danza espressa con facilità muovendosi da un attacco all’altro. La potenza, il tempismo, con cui ha lanciato l’azione finale ha fatto capire una-sola-cosa-una: domenica al Giro delle Fiandre potrebbe essere il vero rivale di Mathieu van der Poel. Sarà capitano, quasi unico, di una squadra piombata nella crisi tra cadute e malanni, ma ciò non gli peserà, perché sta troppo bene.
Partecipazioni: 1
Miglior risultato: 9° nel 2023
Nel 2023: 9°
OIER LAZKANO
Tra assenze programmate oppure causate da cadute e malanni si liberano posti in alto e Oier Lazkano è uno di quelli che dentro al gotha dei flandriens ha tutta l'intenzione di entrarci dalla porta principale. Erede di quella che sembrava un eccezione alla regola, ovvero uno spagnolo nelle Fiandre, Lazkano incarna in modo perfetto ciò che è un flahute: ha tigna, passo, ha coraggio, gli piace giocare d’anticipo - e in queste corse paga - sembra cresciuto per guidare forte sulle pietre e domenica punta a un piazzamento nei dieci, anche se finora, nelle corse sopra i 230/250 km non ha raccolto alcunché.
Partecipazioni: 1
Miglior risultato: DNF nel 2023
FRED WRIGHT
Nascosto e in silenzio, Fred Wright si avvicina con una forma in netta crescita a quella che è un po’ la sua gara per definizione. Limando può recuperare chilometro dopo chilometro e poi cercare il piazzamento grazie allo spunto veloce. Le assenze che caratterizzeranno questo Fiandre un po’ monco permettono a lui, alla sua squadra e forse soprattutto al suo capitano Mohorič, di ambire a un posto sul podio.
Partecipazioni: 4
Miglior risultato: 7° nel 2022
Nel 2023: 8°
TOMS SKUJIŅŠ
Anche senza cadute e infortuni avrebbe scalato le gerarchie in casa Lidl-Trek in una corsa lunga e difficile come il Giro delle Fiandre. È una garanzia e dal 2023 più le corse sono dure e più sale di livello, guadagna posizioni. Sulle salite brevi va su che è una meraviglia, sui muri si difende, fermo non è fermo, si butta all’attacco: occhio perché potrebbe essere la sorpresa di questa corsa.
Partecipazioni: 3
Miglior risultato: 55° nel 2016
Nel 2023: -
STEFAN KÜNG
Storico stagionale nelle corse in Belgio che fa ben sperare. Storico al Fiandre e assenze al via che ci fanno dire come, sulla carta, Stefan Küng si candidi con autorevolezza a un posto sul podio. Certo, in qualunque situazione si trovi, dovrà arrivare da solo perché in volata parte battuto da tanti corridori, ma se c’è uno, fondista d'eccezione e questa è corsa per fondisti, che cercherà corsa dura e d’attacco, quello è lo svizzero. Di fianco avrà una squadra che lo potrà supportare in maniera degna, soprattutto Madouas, uno che a oggi non ha dato quei segnali tali da inserirlo fra i nomi da seguire, ma che non ci stupiremmo di vederlo salire di colpi proprio nel giorno di Pasqua.
Partecipazioni: 8
Miglior risultato: 5° nel 2022
Nel 2023: 6°
TIM WELLENS
Anche lui quando si tratta di fare risultato in corse sopra i 230/250 km ha sempre mostrato il fianco, se escludiamo qualche eccezione e in più con il Giro delle Fiandre ha un rapporto controverso conclusosi nel 2023 con una brutta caduta che gli costò mesi di gare. Però sta bene, sul passo va forte, sui muri si difende e l’UAE senza Pogačar punta su di lui - oltre che su Politt, Hirschi e Bjerg, ma in seconda battuta. Squadra a cui forse manca quel capitano capace di cogliere il risultato e quindi l’occasione per le seconde punte è davvero ghiotta.
Partecipazioni: 5
Miglior risultato: 25° nel 2021
Nel 2023: DNF
HUGO PAGE
È il nome più fuori dai radar di tutto l’elenco, ma è un corridore che sta andando davvero forte. Sarà all’esordio in una grande classica così lunga e dura, ma sulle pietre e sui muri ha già dimostrato di pedalare molto bene e questa potrebbe essere, insieme alla Roubaix (alla quale punta il compagno di squadra Rex, altro nome da tenere d’occhio), la corsa perfetta per lui in futuro. Ora, non fraintendete: il suo è un nome da vedere in prospettiva, un corridore che se dovesse chiudere nei 20 domenica sarebbe un risultato eccezionale. Ma a noi i risultati eccezionali di questo genere piacciono parecchio.
Partecipazioni: -
Miglior risultato: -
Nel 2023: -
BEN TURNER
Infine Ben Turner, per provare, insieme ai suoi due ancora più giovani compagni di squadra Tarling (2004) e Sheffield (2002), mentre Turner è un classe ‘99, a risollevare le sorti di una squadra, la Ineos Grenadiers, ancora a caccia del primo successo World Tour in questa stagione - dove per la verità le vittorie sono state soltanto due: il campionato nazionale ecuadoriano conquistato da Narvaez, altro assente di lusso di questo Fiandre e Tarling vincitore della crono al Gran Camino. Come da Page anche da Turner non ci aspettiamo la vittoria, nemmeno il podio, ma ci piacerebbe vedergli fare quello che gli riesce meglio, fare esplodere la corsa con un’azione delle sue e magari portare via un gruppetto di coraggiosi per anticipare i pretendenti al successo finale. Le gambe sembrano girare bene, ma non è detto che la Ineos la pensi alla nostra stessa maniera riguardo il suo ruolo.
Partecipazioni: 2
Miglior risultato: 35° nel 2022
Nel 2023: DNF
LA GRIGLIA DI ALVENTO
⭐⭐⭐⭐⭐Van der Poel
⭐⭐⭐⭐Jorgenson
⭐⭐⭐Pedersen M., Küng, Bettiol, Skuijns
⭐⭐Mohorič, Benoot, van Baarle, Wright, Lazkano
⭐ Matthews, Asgreen, Philipsen, Mozzato, Albanese, Madouas, Wellens, Politt, Bjerg, Abrahamsen, Tiller, Kristoff, Neilands, Strong, Turner, Sheffield, Rex L., Trentin, van Poppel D., Alaphilippe, Bissegger, Pithie, Campenaerts, Van Moer
IL PERCORSO
Ancora Milano-Sanremo, giorni dopo
NOIA, ATTESA, FORTUNA
Ogni anno va così: discuto, cavillo su cosa andrebbe fatto per cambiare "la Sanremo", mica uno stravolgimento, sia chiaro, inserire una salita tra Cipressa e Poggio sarebbe da provare, oppure indurire la seconda parte dopo l’inutile Turchino: ecco i due capisaldi del mio pensiero. Ogni anno va così: mi rendo conto di far parte di una minoranza che la pensa così, guardo la corsa, ugualmente e ci mancherebbe, me la godo, poi il finale è talmente folle che ore dopo ho ancora l’adrenalina a un livello da mandarmi quasi in tilt. Per certi versi non è la corsa giusta per smettere di fumare, ma è qualcosa che va molto vicino a procurarti problemi cardiaci.
“Hai visto?”, mi scrivono e io rispondo divertito ad alcuni messaggi sul telefono che si fanno gioco di me e della mia idea - agli slogan che distorcono la realtà non do molta importanza - comprendendo come, da un certo punto di vista, la corsa vada bene così, davvero, ma dall’altro restano i dubbi. Non riesco a togliermi l’idea che se il fascino della Milano-Sanremo risiede nell’incertezza e nella velocità finale, sostenere la retorica della “noia” è un argomento privo di buon senso. Mi sono sempre chiesto per quale motivo mi dovrei annoiare nel guardare una corsa di biciclette, semmai è l’attesa, quel repentino cambio di ritmo e facce che diventano smorfie, il climax che arriva pedalata dopo pedalata, ora in sella dopo ora insella, ecco è quello che nella Sanremo funziona. Ma il climax e i passi che lo portano a essere tale possono essere disegnati su un percorso capace di sfruttare altre risorse (Pompeiana, Manie, nei giorni abbiamo provato insieme ai nostri lettori a trovare dei rimedi, così per gioco) indurendo e selezionando ulteriormente il gruppo.
Tuttavia non resta che ammettere come quel finale mi renda pazzo, mi faccia amare e odiare al tempo stesso la corsa. Perché il suo apice spostato così avanti mi annebbia la vista, perché negli ultimi anni davanti abbiamo trovato i più forti a giocarsela e a volte per vincere ci vuole anche la fortuna, il momento. Prerogative dell'esistenza. Allo stesso tempo, però, la corsa mi lascia sempre un po’ di amaro in bocca, come quel film enfatizzato che ti piace, sì, ma non ti convincerà mai del tutto - ultimo esempio in ordine di tempo, Anatomia di una caduta, ma questo è tutto un altro discorso.
L’anno prossimo, in ogni caso, si ricomincia. E verso marzo inizierò a sostenere nuovamente quanto la Milano-Sanremo meriterebbe di stare al passo con i tempi, un po' di selezione in più, sia prima dei Capi che dopo la Cipressa, e così via, in continuo loop.
CRONACA DI UN DISASTRO ANNUNCIATO
Quello dell’UAE Team Emirates, squadra che spesso e volentieri domina, ma altre volte riesce a ricreare spettacoli grotteschi mandando in scena spaccati di tattica grandguignolesca. Mica è una novità? Già successo e già commentato - e sottolineato - quest’anno, poi magari l’esito è stato positivo perché quando ti ritrovi con la squadra con maggiore talento (e talenti) è più facile vincere, ma che in UAE Team Emirates facciano spesso fatica a mettere vicino una tattica decente non è certo una cosa che si scopre alla Sanremo.
Non mi è piaciuto come hanno impostato la vigilia: le dichiarazioni di intenti e i titoloni: «Dobbiamo correre la Cipressa in meno di 9’, abbiamo gli uomini apposta per farlo». Alzi la mano chi non ha avuto il pensiero che queste parole sarebbero state un boomerang diretto sulla corsa degli emiratini. In soldoni: chi si è meravigliato di vedere una squadra sciolta al sole sui primi tornanti della Cipressa? Eppure quando non li vedevano tirare fino ai Capi abbiamo anche pensato: ecco che preparano le manovre per sfondare il muro del suono verso Costa Rainera, e invece… invece alcuni corridori della squadra di Matxin e Gianetti, vedi Hirschi, si sono dimostrati inadatti al ruolo disegnato su di loro ovvero dare una mano al proprio capitano tirando a fondo. Mancato Hirschi (e per la verità anche Ulissi, giornata no, ma ci può stare, Ulissi si è sempre dimostrato importante uomo squadra quando chiamato in causa), è crollato completamente il castello costruito da Matxin, Gianetti e Pogačar . Del Toro (esordiente, il più giovane al via, va ricordato) ha lavorato per due e finché lavorava per uno il ritmo era insostenibile per molti; quando ha dovuto raddoppiare il suo sforzo ormai nessuno si staccava più. Il resto poi è noto. Wellens, che si è dovuto risparmiare con un ritmo blando sulla Cipressa, sale sul palco con il tempismo giusto, a metà Poggio, il suo lead out ha permesso a Pogačar di scremare ulteriormente il gruppo, ma non quanto sarebbe bastato, quanto era nei piani. Per lo spettacolo, avere una squadra così forte che ogni tanto concede dal punto di vista tattico e per gli sbalzi di forma dei propri interpreti, in fondo, non è un male per la corsa e chi la segue.
MATHIEU VAN DER POEL - UOMO SQUADRA, UOMO SANREMO
Grandi uomini, grandi capitani. La presenza di Mathieu van der Poel è tanto ingombrante quanto il suo fascino colpisce spettatori e corridori. Ma non sono solo i risultati: il lavoro messo in atto in coppia con Jasper Philipsen, da un paio di stagioni, ha consentito (o comunque l’apporto dell’altro ha avuto il suo peso, mettiamola così) a van der Poel di vincere una Parigi-Roubaix, a Philipsen di vincere diverse tappe al Tour e pure una Milano-Sanremo. Che poi le gambe del velocista belga, unite a una particolare alchimia con questa corsa, girassero a mille e un po’ a sorpresa - fino a poche gare prima il belga non aveva certo impressionato, anzi, ma viene il dubbio si fosse persino nascosto e preparato bene - insomma che ci sia tanto di Philipsen è innegabile. Ha tenuto sul Poggio diventando improvvisamente spauracchio per tutti quando ci si è resi conto che la sagoma del corridore Alpecin non era quella di Kragh Andersen, ma la sua, diventando così l’uomo per il quale Mathieu van der Poel, campione del mondo e vincitore uscente, avrebbe lavorato. Anche in questo caso, in futuro, per un po' di sano dramma, sarebbe succoso una corsa in cui entrambi vogliono e possono vincere a tutti i costi. Magari alla Paris-Roubaix.
SEGNALITALIANI
Molto incoraggianti, e se questa espressione esce dalla tastiera di chi come me non è mai tenero nel definire il momento del nostro ciclismo tendente al buio di mezzanotte, significa che lo sono stati davvero. Sobrero è arrivato a poche centinaia di metri dalla possibilità di salire sul podio dopo aver pedalato bene sulla Cipressa e brillato sul Poggio: ora una top ten in due corse adatte a lui come Brabante e Amstel - sempre che le corra - possono essere un obiettivo. Sul Poggio, dietro i due favoriti, i più brillanti sono parsi oltre a Sobrero, Bettiol, 5° posto finale, dai tempi del Fiandre che il toscano non arrivava così vicino a cogliere una grande classica di questo livello, e Ganna: un problema alla bici lo estromette dalla lotta finale e chissà che la sua presenza non c’avrebbe portato a scrivere un’altra storia fatta di scatti nel finale, visto che a muoversi, poi, ironia della sorte, sono stati il compagno di squadra Pidcock e l'amico e "cognato" Sobrero. Che Ganna abbia un conto aperto con questa corsa è innegabile. Non credo nelle chiusure di un cerchio soprattutto nello sport, non penso come ciò che venga tolto uno poi se lo possa riprendere, anzi, ma spero che Ganna abbia una fiducia maggiore di quella che personalmente ripongo nel destino. C'è poi Milan che si è attrezzato per dare una mano ai suoi, staccandosi sulla Cipressa, rientrando e tirando per un paio di km all’imbocco dell’ultima salita prima di Sanremo, in futuro da capitano potrà provarci; ci sono Trentin 21° e Albanese 24°, a proposito di corridori con un certo feeling con questa corsa, Battistella, 22°, in quello che forse è il momento migliore da quando è passato professionista (abbiamo ritrovato un potenziale ottimo corridore?), Velasco 25° e presenti nel 2° gruppo a 35’’, anche Aleotti 36° e Scaroni 38°.
Ma un paragrafo a parte lo merita il bravo De Pretto, 28°, secondo corridore più giovane al traguardo, meglio di lui solo Pithie, classe 2002 anche il neozelandese, che chiude al 15° posto. In un ordine d’arrivo che ha visto solo 5 corridori nati dal 2000 in poi nei primi 41, perché è vero che il ciclismo sta diventando uno sport per giovani, ma alla Sanremo, dopo oltre sei ore di corsa, servono qualità che si migliorano col tempo.
Infine ultima menzione per Davide Bais, ormai specialista delle fughe, corridore che pare quasi di un tempo che non c'è più e che in questa maniera, la fuga che all'apparenza non ha speranza, ha conquistato al Giro d'Italia la sua unica vittoria in carriera. È il protagonista della fuga di giornata, ma non solo, una volta ripresi sulla Cipressa lui e i suoi compagni d'avventura, non contento, imperterrito, ci riprova in vista del Poggio.
La Milano-Sanremo e i suoi scenari
Milano Sanremo: corsa che ha del filosofico. Marcia ambigua: polarizzante nel dibattito che la precede e nel suo svolgimento. Corsa che non lascia speranze allo spettatore: ore di nulla prima di un finale che si accende all’improvviso; quaranta, quarantacinque minuti di crescendo che spesso ti manda il cuore in orbita.
Si vive in maniera empatica con i corridori: il mal di gambe aumenta progressivamente, è vero si sta in pancia al gruppo per mezza giornata, ma dopo un po’ le ore ti consumano, così come le ore ti consumano a guardare poco e nulla se non panorami che conosci a memoria, fino a quello che il più delle volte è un tumultuoso epilogo finale. Più che Tarkovskij, Hamaguchi.
Corsa dai risvolti più disparati, da lì forse il fascino, quando questo non è legato a una meravigliosa abitudine.
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Abbiamo provato a immaginare cinque scenari, consapevoli che poi sarà il sesto quello che si avvera.
SCENARIO 1 - Ovvero Pogačar e van der Poel che se ne vanno.
Le Manie o non Le Manie (nel momento in cui scriviamo non è stata ancora presa una decisione in merito all’inserimento della salita a causa di problemi di viabilità sul percorso per via di una frana) questo è lo scenario che tutti ci aspettiamo. Gara dura dalla Cipressa: UAE a tutta, con Covi, Hirschi e Ulissi; si scollina ancora in tanti, ma non tantissimi, soprattutto pochi quelli che salvano le gambe. Si arriva in pianura, tirano sempre loro, a tutta, fino al Poggio e poi di nuovo marce alte, ancora l’UAE che usa prima Del Toro e poi Wellens che a un certo punto si sposta. Sparata di Pogačar - stavolta solo una e al momento giusto - e van der Poel unico a rispondere. I due se ne vanno. Discesa, rettilineo finale, vince il migliore. In alternativa Pogačar fa il vuoto anche su van der Poel che resiste in discesa al rientro del gruppo o ciò che c'è dietro: fanno primo e secondo. La costante è un gruppetto dietro che si gioca il terzo posto sul podio e gli altri piazzamenti.
Favoriti scenario 1
⭐⭐⭐⭐⭐Pogačar, van der Poel
⭐⭐⭐⭐
⭐⭐⭐ Laporte, Pedersen, Pidcock
⭐⭐
⭐ Bettiol, Van Gils
SCENARIO 2 - In solo, ma più a sorpresa: ricordate Nibali o perché no, Mohorič?
È una corsa un po’ sorniona, sonnacchiosa, il vento contro non permette chissà cosa sulla Cipressa, sull’Aurelia si sta bene a ruota e così sul Poggio. Tutti aspettano una mossa: UAE, Alpecin, chi altro? Ci prova qualcuno, si guardano i migliori, un corridore da solo se ne va, allunga o mantiene in discesa, vince in solitaria. Scegliete voi chi, il ventaglio dei nomi è ampio.
Favoriti scenario 2
⭐⭐⭐⭐⭐ facciamo venticinque, trenta corridori di ogni genere. È il bello della Sanremo, no?
SCENARIO 3 - Il Gruppetto assottigliato.
Restiamo sul classico. La corsa inizia a farsi seria sulla Cipressa dove a un’andatura alta, ma costante, buona parte del gruppo risponde bene. Sul Poggio si va su una meraviglia, anche qui regolari, ma sempre più forti, a ruota, nemmeno a dirlo, si sta da Dio e si risparmia qualcosa. Fondamentale il posizionamento, già essere intorno alla quindicesima, ventesima ti taglia fuori. Poi iniziano gli attacchi, ci prova Pogačar (chi sennò?), rispondono bene van der Poel, Laporte, Pedersen, spunta la sagoma di Cosnefroy, con i denti anche Bettiol, Mohorič, Trentin, Pidcock, Skuijns, c'è persino Del Toro, inserito all'ultimo e all'esordio in una corsa così lunga, poi altri restano lì in scia. Differenza c’è, ma poca. Si arriva su, alla svolta, e in discesa si resta sfilacciati. Nel gruppetto c’è un po’ di tutto: uomini da classiche fatti e finiti, novità degli ultimi tempi, gente che ha una certa affinità con la Sanremo, sorprese assolute. L’epilogo in questo caso è avvolto nella nebbia. Una cosa è certa: non bastano velocità ed esplosività, ma ci vuole fortuna magari nel partire al momento giusto e c’è poi bisogno che nelle gambe sia rimasto qualcosa: alla Milano-Sanremo, nonostante si viaggi in gruppo per quasi tutta la gara, il serbatoio si svuota inevitabilmente.
Favoriti scenario 3
⭐⭐⭐⭐⭐ Laporte
⭐⭐⭐⭐Pedersen, van der Poel
⭐⭐⭐ Pogačar
⭐⭐ Van Gils, Bettiol, Pidcock, Scaroni, Mohorič
⭐Skuijns, Cosnefroy, Trentin, Zimmermann, Ganna, Neilands, Wellens, Kwiatkowski, Narvaez, Velasco, Albanese, Del Toro
SCENARIO 4 - La Cipressa oppure il pensiero pieno di fiducia.
Gli inglesi usano un termine che suona benissimo: wishful thinking. In italiano esiste il suo corrispettivo, pensiero speranzoso, fiducioso, e visto che siamo alla Sanremo lo preferiamo, anche se magari in altre sedi siamo indotti a usare l’espressione anglofona. Senza entrare nel merito di cosa sia giusto o sbagliato, immaginiamo un attacco sulla Cipressa. È Pogačar che ci prova, non fa il vuoto ma porta via i migliori. In discesa il vantaggio aumenta, al ritorno sull’Aurelia, quando di solito da dietro si fa in tempo a chiudere, in gruppo ci si guarda un po’ troppo. E il gruppetto, quello di testa, invece, e che comprende i favoriti, gira a meraviglia, diverse le squadre di punta rappresentate e la corsa è già selezionata prima del Poggio, dove, succeda quel che succeda, tanto già fino a questo momento è stata una corsa bellissima. Il Poggio darà comunque il suo verdetto definitivo: sparpaglio dato dalla durezza della corsa. Si arriva, giù a Sanremo, uno alla volta o poco più mentre dietro ci si raggruppa per un piazzamento nei dieci, venti.
Favoriti scenario 4
⭐⭐⭐⭐⭐Pogačar
⭐⭐⭐⭐ Laporte, van der Poel, Pedersen,
⭐⭐⭐Pidcock, Bettiol, Vermaerke, Mohorič, Van Gils
⭐⭐ Scaroni, Cosnefroy, Matthews, Vendrame, Albanese, Pithie, Strong, Wellens
⭐ Milan, Trentin, Mayrhofer, Beullens, Lamperti, Velasco, Del Toro, Hirschi, Ganna, Kooij, Philipsen
SCENARIO 5 - La volata di gruppo
Gruppo a giocarsi la vittoria più o meno numeroso - scegliete voi, un po’ come il triennio 2014 (Kristoff), 2015 (Degenkolb), 2016 (Démare), o quelle di inizio millennio - tra i venticinque e i trenta corridori. E allora in questo caso entrano in scena quelli veloci, che resistono alle ore di corsa, alla Cipressa fatta con buona andatura, al Poggio a tutta, ma non così selettivo. Venticinque, trenta corridori, e in mezzo a loro i più forti velocisti resistenti al via. Sì, pure Philipsen o Kooij.
Favoriti scenario 5
⭐⭐⭐⭐⭐ Kooij
⭐⭐⭐⭐Milan, Philipsen
⭐⭐⭐Pedersen, van der Poel
⭐⭐Waerenskjold, Kristoff, Matthews, Lamperti, Strong, Pithie
⭐Ewan, Mayrhofer, Trentin, Cimolai, Stuyven, Girmay, Vendrame, Van Poppel, Bol, Démare, Bittner, Ganna
E voi, quale scenario immaginate?
Breve guida alla Strade Bianche 2024
Sabato 2 marzo, Strade Bianche, con una modifica al percorso che aumenta ulteriormente il blasone di una gara che in pochi anni - siamo alla diciottesima edizione - si è elevata a rango di grande classica del calendario: appuntamento imperdibile per i tifosi e obiettivo da perseguire per alcuni tra i corridori più forti del momento.
L’albo d’oro, da questo punto di vista, non mente. Nelle ultime edizioni spiccano, nell’ordine, van der Poel, Alaphilippe, van Aert, Pogačar e Pidcock. Di questi, ahinoi, al via non ci saranno i due van che ritroveremo uno alla Sanremo, l’olandese, l’altro un po’ più avanti, il belga, mentre Alaphilippe, nonostante la buona volontà, ci pare da diverso tempo sulla via di un inesorabile declino.
IL PERCORSO
Un cambiamento deciso: intanto facciamo un sentito applauso agli organizzatori che hanno deciso di mettere mano a un percorso già (quasi) perfetto così com’era e ci chiediamo se magari un giorno quella stessa mano, ma ne basterebbe una simile, verrà data anche alla Milano-Sanremo: lo sappiamo, non succederà, ma siamo inguaribili ottimisti.
Si passa da 184 a 215 chilometri, con quindici settori in sterrato rispetto agli undici del 2023; 71,5 i chilometri di strade bianche contro i 63 dello scorso anno. Trentuno in più per una corsa già dura di suo peseranno e non poco, considerando, poi, che lo sterrato sarà, sì, battuto, sia per via della pioggia caduta in questi giorni - e che dovrebbe dare tregua sabato - e dal passaggio dei tantissimi mezzi che precedono la corsa, ma rischierà in diversi tratti di appesantire e indurire la gara. E poi perché quei chilometri aggiunti non sono casuali tratti in asfalto a inizio gara come si poteva temere. No, perché il passaggio di Colle Pinzuto e Le Tolfe, il più scenografico, variopinto, spesso anche tecnicamente decisivo, raddoppia.
Questo darà la possibilità ai tifosi (che saranno come sempre tantissimi) di vedere i corridori passare due volte e renderà il finale ancora più selettivo, ma chissà, forse rischierà di far diventare Monte Sante Marie, ora situato a quasi ottanta chilometri dall'arrivo, non un tratto meramente caratteristico, ok, perché comunque una selezione naturale avverrà, ma magari non più decisivo, o quasi, ai fini del risultato finale. Vedremo, perché poi funziona sempre come recita la più nota delle frasi fatte legate al ciclismo: la corsa la faranno i corridori e se qualcuno di importante vorrà portare via un gruppo sul tratto dedicato a Cancellara, la possibilità ci sarà. Inutile, per concludere, soffermarci ulteriormente su quello che sarà il finale, arcinoto, piuttosto andiamo a vedere i nomi più interessanti al via.
FAVORITI
⭐⭐⭐⭐⭐
Tadej Pogačar. Qui ha corso quattro volte e una volta ha vinto. Ha deciso di partire da lontano e nessuno gli è stato dietro: era il 2022. Può vincere in qualsiasi modo, anche perché viene da chiedersi, senza l’amico rivale van der Poel, chi può stargli dietro? Ecco, forse l’unico dubbio deriva dal fatto che sarà la sua prima corsa stagionale e non gli è mai capitato di vincere all’esordio. Mettiamo le mani avanti: una sua controprestazione (da leggere come risultato diverso dal primo posto) sarà legata all'alea di uno sport come il ciclismo e in particolare a una corsa con così tante insidie come cadute o problemi meccanici.
⭐⭐⭐⭐
Tom Pidcock. Vincitore uscente, ha mostrato una buona gamba tra Portogallo e Belgio, buona, ma non irresistibile, anche se questa è stata finora la sua caratteristica più spiccata almeno nelle gare su strada. È un corridore che non sembra mai poter fare la differenza eppure è sempre lì, anche quando conta. Guida la bici come pochi, lo scorso anno l’attacco decisivo arrivò in discesa sullo sterrato. Ecco, potrebbe essere una delle debolezze del suo avversario principale: chissà che non possa provare qualcosa di simile giù per le Sante Marie, un attacco magari congeniato con la squadra - avere qualcuno in appoggio più avanti nel lungo tratto tra la discesa delle Sante Marie e il settore successivo, potrebbe essere una buona idea. Anche se, vista la distanza dal traguardo, appare un'azione da tutto o niente: ma lo scorso anno l'azione dalla media distanza pagò e, se si vuole battere lo sloveno, qualcosa bisognerà pur inventarsi.
Sepp Kuss. Perché sugli sterrati va e come, perché la corsa sa premiare anche i pesi leggeri, perché se corresse più spesso le corse di un giorno dure ci farebbe divertire, e quindi ci aspettiamo che ci faccia divertire, perché sarà il capitano della squadra più forte al mondo e quindi non è un caso averlo inserito così in alto. E poi perché preferiamo corridori che si mettono in gioco anno dopo anno allontanandosi da quella che è la propria zona di benessere. Kuss è uno che, quando lo fa, lo fa bene.
⭐⭐⭐
Romain Grégoire. Trenta chilometri in più per il classe 2003 potrebbero non essere banali, ma visto l’impatto avuto in questo primo anno e tre mesi con il professionismo, pensiamo che difficilmente potranno scalfirlo. Profilo perfetto per questa corsa: guida benissimo, sa tenere su salite non troppo lunghe, è veloce, oltretutto pure lui corre in una squadra che sta bene ed è particolarmente agguerrita. Lo scorso anno all’esordio ha chiuso ottavo.
Ben Healy. Ha terminato in crescendo la Volta ao Algarve mandando un segnale per quella che sarà la sua lunga primavera - che chiuderà con il Giro d’Italia. Domani, alla Strade Bianche, Ben Healy sarà uno dei profili da seguire con maggiore attenzione soprattutto lontano dal traguardo. Un suo attacco a lunga gittata non è nemmeno quotato e chi volesse anticipare per poi chiudere con un piazzamento dignitoso è pregato di seguire la maglia del campione irlandese. Oltretutto è uno che non soffre, anzi, le tante ore passate in sella: per lui il podio è alla portata.
Tim Wellens. Nelle prime uscite stagionali, come peraltro accadeva con regolarità in passato, Tim Wellens ha mostrato di avere una gamba tirata a lucido. Eccezionale soprattutto alla Kuurne Brusseles Kuurne dove non ha mai esitato agli allunghi di van Aert. Mai peggio di tredicesimo in Piazza del Campo, e sul podio nel 2017, approfittando della spinta UAE, domani Wellens è uno dei maggiori candidati a un posto tra i primi tre.
Toms Skujiņš. Fino a due anni fa era un ottimo corridore in gare di secondo piano, importantissimo di fianco ai suoi capitani, a volte riusciva a tirare fuori una zampata a livello personale anche nelle corse importanti, con colpi da top ten. Lo scorso anno ha fatto un ulteriore salto di qualità, quest’anno, alla Omloop Het Nieuwsblad, ci ha impressionati: a un certo punto ha staccato van Aert su uno strappetto. Le conclusioni traetele voi.
Matej Mohorič. È vero, non ha un grande feeling con questa corsa, a eccezione del 2023 quando chiuse a ridosso del podio. È vero, non è partito così forte, nonostante abbia già vinto e si sia visto al contrattacco sia alla Omloop Het Nieuwsblad che alla Kuurne Bruxelles Kuurne. L’impressione è che manchi ancora qualcosa per vedere il miglior Mohorič, in generale la migliore Bahrain, ma escluderlo dal novero dei favoriti sarebbe un errore.
⭐⭐
Lenny Martinez: dopo la vittoria al Laigueglia è da tenere d'occhio. L'altimetria non gli fa paura, è migliorato nella guida del mezzo e la giovane età e l'inesperienza ormai non sono più una debolezza nel ciclismo di oggi;
Attila Valter: è il piano B in casa Visma, andato fortissimo già l'anno scorso;
Neilson Powless: come il suo compagno di squadra Healy è uno che più la corsa è dura e lunga e più va forte;
Romain Bardet: qui ha già fatto molto bene e con condizioni di meteo simili e insieme a Kevin Vermaerke forma una coppia di outsider molto interessante;
Michał Kwiatkowski: ha un talento noto innato e un feeling particolare con una corsa già vinta due volte. Magari la sua parabola sarà discendente, ma per un piazzamento nei 10 lui c'è;
Quinn Simmons: qui ha offerto sempre ottime prestazioni. Non lo aiuta il suo essere spesso indecifrabile a livello di risultati e anche la discontinuità nella stessa gara;
Daniel Felipe Martinez: è forse nel miglior momento della carriera e sulle salite brevi non teme nessuno;
Bastien Tronchon: giovanissimo, è uno dei leader di una Decathlon partita fortissimo e lui per caratteristiche ci sembra il più adatto;
Maxim Van Gils: migliora di gara in gara, di anno in anno. Esplosivo, dotato di spunto veloce, resistente su salite da 5, 10 minuti. Cliente molto scomodo per tutti.
Krists Neilands e Dylan Teuns: la coppia della Israel PT è partita forte e mira a un piazzamento nei dieci; ,
Jan Christen e Marc Hirschi: potranno essere sfruttati in diversi modi da quella che sarà a tutti gli effetti la squadra di riferimento in corsa. Entrambi a nozze con questo tipo di percorso hanno dimostrato, recentemente, di stare molto bene.
⭐
Filippo Zana, Davide Formolo, Carlos Canal, Magnus Sheffield, Quinten Hermans, Valentin Madouas, Lenny Martinez, Axel Zingle, Alberto Bettiol, Richard Carapaz, Julian Alaphilippe, Simone Velasco, Lennard Kämna, Andrea Vendrame, Paul Lapeira, Lorenzo Rota, Simon Clarke, Andrea Bagioli, Lennart Van Eetvelt, Gianluca Brambilla, Julian Alaphilippe, Davide De Pretto, Jonathan Restrepo, Sergio Higuita, Ben Tulett e Kevin Vauquelin, sono alternative con poche ambizioni da vittoria, ma con buone possibilità di fare una buona gara e ottenere un ottimo piazzamento.
Le volate, la pista, i Giochi Olimpici: Chiara Consonni a tutto campo
Very very super: bastano queste poche parole per iniziare a ridere di gusto con Chiara Consonni. Una sorta di flashback che riporta, in un istante, all'otto settembre 2019, all'ultima tappa del Boels Ladies Tour ad Arnhem, la prima vittoria World Tour della ventiquattrenne di Ponte San Pietro, non lontano da Bergamo. Un microfono sotto il naso, poco dopo la linea del traguardo, senza tempo per pensare, per riordinare le idee, e Consonni parlava del suo treno, raccontava una sensazione di felicità devastante che le scompigliava le parole, i gesti, persino gli occhi lucidi che, ad intervalli di qualche secondo, stropicciava con le mani, mentre ripeteva ritmicamente "non lo so".
In quelle parole traspariva una visione romantica del ciclismo e della vittoria, espressa in maniera talmente genuina da suscitare un contrasto: «Forse avrei potuto vergognarmi di quell'intervista. Non sapevo quasi per nulla l'inglese, mi facevo capire a stento, mostravo, comunque, una mia mancanza, qualcosa che non conoscevo, e non è facile, temiamo sempre il giudizio per le nostre lacune di conoscenza. In più era una felicità scomposta, non controllata, bambina, e anche quella cerchiamo sempre, bene o male, di controllarla. Sì, forse avrei potuto vergognarmene e, probabilmente, potrei vergognarmene ora, rivedendola, invece ne sono orgogliosa. Io sono così, spontanea, non posso farci nulla: chi guarda quell'intervista vede esattamente come sono. Perché dovrei mascherare e raccontarmi diversamente?». Quel "very very super" è diventato un suo simbolo: ai tempi di Valcar lo aveva anche fatto scrivere sulla sua bicicletta.
La spontaneità pervade l'intervista, per esempio, quando le chiediamo delle prime volate di questa stagione, dei suoi due podi, terzo e secondo posto, dietro a Lorena Wiebes all'UAE Tour, la corsa di casa per la sua squadra, quella che le ha messo qualche tensione, qualche preoccupazione, come sempre "l'essere a casa", pur se ormai conosceva a memoria le insidie, il vento principalmente e pure la salita di Jebel Hafeet, provata sin troppe volte, «ma lì ormai non era più il mio terreno, non dovevo dimostrare nulla, quindi ero tranquilla». Ma, allora, come si batte Lorena Wiebes? Di astuzia, sostiene Consonni. «Devi considerare che parliamo della velocista più forte del momento che, in più, si ritrova come ultima donna del treno Lotte Kopecky: ti pare poco? Mettiamoci anche una ciclista del calibro di Barbara Guarischi. Con Tereza Neumanova e Karlijn Swinkels abbiamo rivisto gli errori e continueremo a lavorarci, soprattutto in gara, perché in allenamento si può migliorare relativamente il lavoro di un treno. Ma sono proprio le volate ad essere cambiate: due anni fa, bastava buttarsi per fare una volata, oggi il livello è così alto che è necessaria una forte preparazione». A giudizio di Consonni, il suo errore principale, negli anni, era quello di prendere le volate da una posizione troppo arretrata per il timore di prenderle di testa: una scelta che, però, impediva di concentrarsi sul proprio sprint per pensare alla rimonta, quando, invece, negli ultimi centocinquanta metri, afferma oggi, bisogna essere davanti e pensare solo al proprio operato, poi accadrà quello che accadrà e, se si viene saltati, ci si riproverà. «Continuo ad avere il giusto pelo sullo stomaco per non avere paura a gettarmi negli sprint e con tutti gli errori che ho fatto sono diventata più consapevole».
Un anno importante il 2024, l'anno olimpico, a Parigi, segnato già da un cambiamento importante a inizio stagione, riguardante il preparatore che, per Consonni, non sarà più Davide Arzeni, detto "Capo" da tutte le atlete del team, ma Luca Zenti. Un cambiamento che, all'inizio, è stato affrontato con difficoltà proprio per la complessità dell'anno in corso. Chiara Consonni non si nasconde: «Capo era ben più di un preparatore, era ed è un punto fermo nella mia carriera, nei primi tempi non volevo questo cambiamento e mi spaventava il fatto che avvenisse a pochi mesi dall'Olimpiade. Era questione di imparare a conoscere Luca, un professionista che sui dati materiali è imbattibile, che ha una conoscenza scientifica amplissima e che, numeri alla mano, mi sta aiutando a migliorare sulle salite brevi, quelle di uno o due chilometri in cui conta la potenza. Mi riferisco a lavori specifici di cinque o sei minuti in salita, ma anche ai lavori sui wattaggi, nel quartetto, in pista, che sono fondamentali. Da qui valutiamo, passo passo, la preparazione». Il pensiero è alla stagione delle classiche, in particolare al periodo delle Fiandre, dove Consonni vuole arrivare al meglio, con un'idea fissa legata alla Roubaix. Descrive la sua prima volta, in realtà la prima volta della gara stessa nel 2020, in una giornata da tregenda, nel giorno della vittoria di Colbrelli, all'arrivo non sentiva più i muscoli, era distrutta, eppure quella gara la affascina. Proprio in vista dell'Olimpiade, il lavoro su pista sarà più che mai importante. L'arrivo di Marco Villa ha cambiato il modo di affrontare la disciplina e, dopo un anno perfetto, il primo, con la vittoria del Mondiale, l'anno scorso qualcosa non è andato come avrebbe voluto. Nel ragionamento si sofferma sul piacere di andare in velodromo, sul fatto che il gruppo pista sia cresciuto assieme, dalla ragazza più piccola di età alla più grande, tutte più o meno coetanee, e su quella prassi presa negli ultimi tempi: «Ogni tanto ci scriviamo su un gruppo whatsapp e ci accordiamo per andare ad allenarci, rispettando le esigenze di tutte. Siamo atlete mature ormai ed è necessario fare così». I cinque cerchi olimpici le fanno tornare brutti ricordi, l'esclusione dall'Olimpiade di Tokyo brucia ancora: «In quell'anno avevo concentrato davvero tutto su Tokyo e, come non sono stata convocata, mi sentivo nel vuoto. Non sono riuscita a seguirla quell'Olimpiade e fatico a parlarne. Devo salvare la parte buona, il fatto di aver capito di dover lavorare ancora per migliorare e per volare a Parigi, ma la parte di dispiacere è lì, in agguato».
Questa volta non farà lo stesso errore: spiega di aver messo anche altri punti fermi nella sua stagione, per fare in modo che Parigi non sia un tutto, ma una parte del tutto: «Questa la filosofia, quel che mi racconto. In realtà so già che se non dovessi essere convocata, starei male come tre anni fa, perché non è un traguardo come un altro. Però credo che questa volta riuscirei a seguirle, a sentirmi, comunque, parte dei risulati e di ogni prova. Quegli allenamenti assieme aiutano». Sì, anche Chiara Consonni, la serenità in persona, la battuta sempre pronta, la risata naturale e contagiosa, attraversa momenti difficile, come tutti, com'è ovvio che sia, se non sembra è perché Chaira stessa ha scelto di raccontare altro, sui social, nelle interviste e nel colloquio con i tifosi: «Non mi piace soffermarmi su quello che non va, che non funziona. quello c'è, si sa che c'è, ma se devo mostrare qualcosa preferisco mostrare altro: un poco di spensieratezza, di leggerezza, per questo tutti mi conoscono così. Come atleti comunichiamo con molte persone e credo sia giusto provare a restituire serenità. Per il resto c'è tempo, quando siamo con le persone più care o soli, a pedalare».
Sensazioni australiane: intervista con Luca Vergallito
Non che sia successo chissà cosa da lasciare agli annali di questo sport: il livello era buono, sicuramente, ma si tratta pur sempre di ciclismo a gennaio, della prima gara della stagione, che, come ci racconta Luca Vergallito, intercettato telefonicamente al suo arrivo in aeroporto a Parigi, mentre fa ritorno a casa, e con ancora il jet lag a scombussolarne la routine, «una corsa dove si è andati forte, sì, ma dove il livello è mediamente più basso rispetto a diverse corse World Tour che affronteremo in stagione, ma anche rispetto a un Giro di Lussemburgo che ho disputato l’anno scorso, per esempio».
Una corsa disputata a temperature differenti da quelle che a inizio stagione si trovano in Europa, «ma il caldo vero c’è stato soprattutto nella frazione con arrivo a Willunga Hill, la penultima tappa, quella a cui tenevo di più. Gli altri giorni abbiamo gareggiato a temperature normali, anzi, e forse per questo ho pagato nel finale: non abbiamo avuto modo di abituarci al caldo. Certo è un problema che hanno affrontato anche gli altri, sia chiaro. Però, riguardando i dati a fine corsa, credo che le temperature abbiano inciso sulla mia prestazione: le sensazioni non erano come quelle dei giorni precedenti e in una situazione normale avrei potuto anche conquistare una top ten». Era ben posizionato il 27enne della Alpecin, intorno alla settima, ottava posizione, alle spalle di Alaphilippe, fino a poche centinaia di metri dal traguardo, poi sul cambio di ritmo, prima della volata finale vinta da Onley, ha ceduto qualcosa, chiudendo in 20a posizione. Tutto sommato un ottimo risultato. «E poi va considerato come queste non siano le mie salite» specifica Vergallito, uno che preferisce quelle lunghe da passista scalatore qual è. E preferirà un altro tipo di corse a tappe. Lo vedremo di nuovo in gara a L'Etoile de Besseges, altra corsa con un percorso non proprio adatto, ma sempre utile ad accumulare esperienza e chilometri, e poi probabilmente, se tutto va come deve andare, al via di Volta ao Algarve, Tirreno-Adriatico e Paesi Baschi. «Il problema - precisa, provando a smorzare con una risata - è che lì troverò salite più adatte a me, ma allo stesso tempo un livello decisamente più alto. Sarà comunque importante per capire a che punto mi trovo con il mio percorso di crescita».
Erano le prime pedalate più o meno serie per tutti: c'era chi stava lì già da tempo, chi è arrivato all’ultimo; chi è già entrato in forma - è fisiologico, non sempre una scelta ben precisa. Insomma, il Tour Down Under qualche indicazione la può anche dare, ma, da quello che si è visto non dipende certo la stagione 2024.
Anche perché per alcuni sarebbero dolori: per Simon Yates, ad esempio, dato tra i favoriti, a maggior ragione dopo la caduta (con ritiro) del compagno di squadra Plapp, non è mai parso a suo agio sui due arrivi in salita (oddio, salita… ma questo è un altro discorso), ma il gemello della Jayco AlUla avrà modo di rifarsi dalle prossime gare. Sui due arrivi decisivi, invece dell’inglese di Manchester, si sono imposti uno scozzese, Oscar Onley, giovanissimo, ma già ben a suo agio alla seconda stagione piena tra i professionisti, uno che dagli Yates può trarre ispirazione come tipo di corridore, e un gallese, Stephen Williams, che tra alti e bassi inizia a confezionare un buon palmarès: tappa finale, quella del Mount Lofty, vinta, che gli ha permesso di portare a casa anche la classifica generale della corsa. Luca Vergallito, quel giorno, arriva 15° migliorando rispetto al giorno prima e chiudendo 17° e primo degli italiani anche nella generale. «Sul Mount Lofty stavo meglio, non c’era il caldo del giorno prima, poi sono partiti i quattro più forti e dietro nel gruppo siamo rimasti un po’ a guardarci, a controllarci, ma ho comunque chiuso nel secondo gruppo, e se vedi i nomi che c’erano, erano nomi di un certo peso, significa che sono andato forte». Vergallito aggiunge anche un altro particolare su cui sta lavorando per migliorarsi: il posizionamento. «Per questo preferisco corse un po’ più dure, dove magari la ricerca della posizione all’imbocco delle salite è meno complicata perché c’è già stata selezione. Tuttavia, questo è un aspetto che proverò a migliorare con l’esperienza. Già ho visto dei progressi, ma non sono ancora al livello in cui vorrei essere, anche se, c’è da specificare, non si tratta di un aspetto legato al fisico, dove dici: “mi alleno e se ho margini lo miglioro”; qui non è detto che ci si riesca, entrano in gioco altri fattori più tecnici e tattici. Io credo di poter migliorare anche all’interno della settimana, l’ho già visto in corsa: ho fatto progressi dalle prime alle ultime tappe. Oppure, a proposito di altri fattori in gioco, è importante avere una squadra che ti supporti. Certo, a me l’aiuto non è mancato, anzi, avendo la possibilità di fare la mia corsa ho avuto uno, due compagni che mi hanno supportato e che mi hanno messo nelle condizioni migliori».
Tornando alla corsa in generale: se il Tour Down Under fosse una corsa da verdetti già chiari, per alcuni sarebbero dolori: per gli altri velocisti, ripensando alle volate di Welsford che fa tre su tre spinto da una squadra compatta, la BORA-hansgrohe, con Mullen ad allungare il gruppo nel finale e Danny van Poppel a prenderlo per mano e lanciarlo verso il traguardo. Poi sia chiaro, bisogna avere la gamba giusta e Welsford in questo, proprio come successo lo scorso anno in Argentina, pareva messo proprio bene: è uno che sa partire forte. Sarebbero dolori per tutti ripensando ai numeri di un neoprofessionista come Del Toro, già in evidenza lo scorso anno tra gli Under 23, e pronti, via capace di vincere una tappa e di vestire la maglia di leader per un paio di giorni. Il giovanissimo messicano dell’UAE ha chiuso la corsa sul podio finale. La stagione è iniziata dando già diversi spunti, ma per fare sul serio e tirare le prime somme, bisogna pazientare ancora un po’.
Foto in apertura: Chiara Redaschi