Una Milano-Sanremo in prima persona
Un ragazzo con la maglia bianca e due strisce rosse - forse bordeaux - orizzontali è partito e ha anticipato il gruppo – suo malgrado diventerà famoso da quel giorno. Io che faccio? Ne approfitto. Dietro Sagan e Kwiatkowski si osservano come un duello a mezzogiorno. Vogliono fare uno scatto brutale come dodici mesi fa: se arrivo al traguardo con loro sono battuto.
C'è anche Alaphilippe che fa paura, ma il suo momento deve ancora venire. Poi ci sono i velocisti, Ewan, Viviani, Démare, Kristoff: sono sempre tanti i favoriti qui. Da quanto un italiano non vince a Sanremo? Dal 2006? Troppo tempo. Io ho appena conquistato il Giro di Lombardia, sono già nella storia, ma così sarebbe ancora meglio. Come dite? L'ultimo a vincere Giro di Lombardia e Milano-Sanremo in fila è stato Sean Kelly? Prendo appunti.
Sono scaltro, sfrutto l'attimo. D'altronde con le mie caratteristiche devo giocare di fantasia. Piombo sulla ruota di... Neilands, ok, lui. Mi acquatto per qualche metro alla sua ruota, poi accelero. È un tratto persino semplice, nessuno se lo aspettava. Neilands stringe i denti, ma non sento più la sua presenza alle mie spalle. Sagan – l'ho scoperto dopo – in gruppo ha un po' giocato. Non si muove, tutti lo marcano. È il faro della corsa si sarebbe detto un tempo quando ero piccolo e seguivo le corse in tv. Con Sagan, poi, succede spesso, o meglio, succedeva il periodo in cui era considerato il più forte. Ora, come ogni cosa, sta un po' passando di moda. Il tempo è un gigante che ci schiaccia.
Scollino. Supero la cabina telefonica; mi metto in assetto da discesa; ho qualche centinaio di metri di vantaggio e tiro fuori la lingua in segno di concentrazione. Schiaccio nervosamente la radiolina per conoscere il vantaggio. Mi butto giù lungo quelle curve. A proposito non sapevo fossero ventitré: chi le ha mai contate? Così come non ho mai avuto tempo di guardare dal Poggio verso la riviera, né ammirare i terrazzi in fiore: dicono siano bellissimi.
Arrivo giù con buon vantaggio ma potrebbe non bastare. Trentin mi insegue – no Matteo, proprio tu. Un italiano non vince qui da troppo tempo – fu Pozzato anticipando, da maestro, la volata. Lo risucchiano, invece. Il gruppo è famelico. Mostro affamato: non mi avrai mai e così sarà. Mi giro, dietro sbandano per prendere la scia e limare l'impossibile. Ho ancora un po' di vantaggio. Decimi su decimi: ormai è fatta. Ormai ce la faccio. Alzo le braccia al cielo. Che goduria: ho vinto la Milano-Sanremo!
Lo sguardo dei ciclisti
Le gocce d’acqua che, cadendo per terra, rimbalzano e rimbombano sulla salita del Montello, spostate dal vento, sono come spilli che trafiggono. Gli ombrelli che si trovano dal lato opposto della strada, quello esposto alle raffiche, incassano le frustate d’aria, si gonfiano da sotto e vengono divelti. È proprio una strana estate. La gente resta lì. Non sono poi così tante persone, è vero. La situazione attuale lo impedisce. Lo sanno. Un ragazzo dice alla sorella (crediamo): «Guarda che stavolta devi gridare anche tu al passaggio. Devono sentirci». Lei ammette di non conoscere nessuno. Probabilmente è lì solo perché lo voleva lui. Succede, no? La risposta è franca: «Tu grida! Fai rumore. Fatti sentire. È imbarazzante questo silenzio». E la ragazza lo ascolta. Appena vede i fuggitivi sbucare dalla semicurva si lancia in un “alé” che toglie un poco di fiato anche a noi. All’arrivo del gruppo batte le mani e incita. Perché, alla fine, quando qualcuno ha bisogno di aiuto, fosse anche solo di una parola, è importante fare qualcosa, senza stare a sofisticare troppo sul cosa. Quella ragazza lo ha capito.
Non è l’unica. Qualche proprietario delle case lungo la salita esce, sotto la stretta pensilina dell’abitazione, ad applaudire. Altri se la sono fatta a piedi e ora si chiedono come scenderanno con questa bufera. Un signore avanti con l’età ci confessa: «Andavo anche io in bicicletta. Mi piaceva. Eccome se mi piaceva. Poi ho avuto qualche problema di salute e sono stato in ospedale. Quando sono tornato a casa, mia moglie aveva regalato la bicicletta a mio figlio perché temeva potessi farmi male. Al compleanno successivo, quando mio figlio mi ha chiesto cosa volessi di regalo, glielo ho detto: “Regalami la mia bicicletta. Per favore». Ci ha fatto tenerezza, simpatia.
Ognuno racconta quel che può e poi prova ad incitare i ciclisti. La salita impone un’andatura lenta e gli atleti hanno modo di sentire le parole degli appassionati. Non solo. Ogni tanto li cercano con gli occhi. Sì, basta una frazione di secondo e guardano negli occhi chi li incita dicendo che ormai è quasi finita. Qualcuno ghigna. Come dicesse: «Ma se siamo solo al primo giro? Cosa vai raccontando?». Il lavoro del ciclista, come scriveva qualcuno, non consente menzogne. Lo sa, lo sa che gli stanno mentendo spudoratamente ma apprezza il tentativo. Sa che chi gli urla così ci crede davvero. Altrimenti non starebbe lì con delle maniche di camicia che a strizzarle sarebbero come appena uscite dalla lavatrice, senza centrifuga.
Sul nostro stesso treno una ragazza sfinita si accovaccia sul sedile, facendosi da cuscino con un sacco di zaini che teneva in spalla. Sul braccio ha diverse scritte. Non riusciamo a leggere bene. Sembra latino. Eccolo: amor vincit omnia. Chissà, forse era anche lei lì, sul Montello. Non la abbiamo vista ma per come è stanca e con i capelli fradici di pioggia potrebbe essere. Magari era davvero lì. E se non fosse così non importa. Perché avrebbe potuto esserci. Perché se per caso leggesse questo racconto, capirebbe al volo ciò che intendiamo. Questo è certo.
Foto: Claudio Bergamaschi
L'attesa della corsa
L'attesa è una chiave essenziale della nostra esistenza. Può essere analizzata nella filosofia (Wittgenstein, Heidegger, Schopenhauer), interpretata a teatro (Godot), impressa in appunti e riflessioni (Canetti), messa in scena in una corsa ciclistica.
L'attesa, lunga diversi mesi, oggi sfocia in un tracciato di centottantaquattro chilometri che si attorciglia nella canicola di agosto. In mezzo a fasci bianchi di polvere lattiginosa - crete senesi -, tra lunghe salitelle, bagarre e colpi di mano da sfoderare in Piazza del Campo, o semplicemente “il Campo” come dicono da quelle parti e dove, per l'arrivo della Strade Bianche 2020, c'è attesa.
L'attesa può essere dolce e febbrile, logorante o noiosa, può farti persino scalpitare sui tuoi sandali, cantava qualcuno. C'è attesa per chi seguirà la corsa, per chi la correrà, per chi la prepara dietro le quinte, per chi la racconta in diretta o lo farà solo alla fine. C'è attesa per quei passaggi suggestivi in mezzo a ulivi e polvere; attesa per scoprire chi andrà in fuga – forza: scommettiamo chi! – oppure per il passaggio verso Monte Sante Marie dove un muro si erge fino a un paracarro che porta il nome di Fabian Cancellara, vincitore tre volte della corsa. Lì dove di consueto esplode la Strade Bianche.
C'è attesa per capire chi vincerà tra Alaphilippe, van der Poel, van Aert, Gilbert, Benoot, Van Avermaet, Nibali, Sagan, Fuglsang, Kwiatkowski, Pogačar o chi per loro.
C'è attesa per una foratura, una rimonta, uno sguardo che sa di fatica, una pedalata che ostenta brillantezza. Un recupero dopo un buco, lo scatto di chi sa che non ne ha più e bluffa oppure qualcuno che si nasconde e poi ti infilza. L'attesa è spesso sorpresa, è arte surrealista dipinta da mano estrosa. Attesa sotto lo striscione del traguardo e che non è mai noia, né fine a se stessa, figuriamoci, poi, se è l'attesa di una corsa come questa. Bentornato ciclismo, ci sei mancato.
Foto: Strade Bianche/Facebook
Silenzio. Ascoltiamo i ciclisti
«Stiamo in silenzio. Ascoltiamo i ciclisti». Una giovane mamma ha detto così al figlio, immerso in un mulinello di parole, mentre un gruppo di ciclisti scorreva veloce lungo il tratto di sterrato di Monte Sante Marie nella prima mattinata di oggi. Ci è sembrato strano perché di solito tutti, al passaggio del gruppo, vogliono vedere e cercano ogni varco per far spazio agli occhi, a costo di spingersi e strattonarsi. Ascoltano anche, certo. Ma sembra naturale. Vogliamo dire: l’attenzione si sofferma sulla vista e l’udito passa in secondo piano. Invece no. Oggi era così importante anche sentire. Come riappropriarsi di ogni sensazione negata per troppo tempo, tornare a darle senso e capire che, in fondo, così naturale non era. Capire che quella scia di suono, a cui non avevamo mai fatto caso, ci mancava. Qualcuno lo diceva, no? Il ciclismo è una scia. Così abbiamo pensato che forse qualcosa abbiamo davvero imparato.
Soraya Paladin ci ha detto che in questi giorni ha pensato spesso alla giornata di sabato ed ogni volta si è detta che, alla fine, era ora: «Ho voglia di tornare in gruppo, di risentirmi così ciclista, così viva. Di capire come sto realmente. Perché no? Anche di sentire la terra che si attacca ad ogni centimetro di pelle scoperto. Di sentire gli occhi che bruciano o i muscoli che tirano. Alla fine ti manca tutto. Persino il male». Non senza dubbi: Soraya ha anche paura. Non c’è nulla di male a dirlo. Ha paura perché tornerà a fare qualcosa che ama e che ha tanto desiderato in questi mesi e il rischio di essere delusa c’è. Forse per proteggersi da questo dolore Soraya Paladin tende ad essere schiva e riservata con chi non conosce bene. Con la bicicletta non può. La bicicletta è da sempre stata tutto o niente. Un qualcosa talmente innato che ricominciare sembra impossibile, per il semplice fatto che impossibile sembrava doversi fermare per tutto questo tempo: «Sto provando emozioni molto forti e non riesco nemmeno a immaginare cosa sentirò domani alla partenza. Sicuramente l’incognita, che hanno portato questi mesi, dopo qualche chilometro sparirà e lascerà spazio all’adrenalina della gara. Sento una cosa nello stomaco a pensarci. Non vedo l’ora. Sai, arrivare in Piazza del Campo ti scombussola sempre. Il risultato, in questo senso, non conta niente. Resti senza parole».
Non è la prima volta che Soraya Paladin corre la Strade Bianche ma questa volta sarà tutto diverso: «I mesi difficili che abbiamo passato restano e lasciano un segno non solo a livello di condizione fisica. Credo che abbiamo il dovere di dare un segnale: ripartire con una classica così importante, qui in Italia, far divertire le persone, lasciare la consapevolezza che stiamo uscendo dal buio. Proviamo a sentire anche questa responsabilità». Anche le strade saranno diverse: il caldo estivo, probabilmente, solleverà ancora più polvere e per chi sarà in mezzo al gruppo diventerà quasi impossibile vedere le buche che lo sterrato crea. La ricognizione ha consegnato a Paladin e alla sua squadra la consapevolezza che sarà una corsa veloce, molto più veloce del solito: «Sicuramente gli ultimi settori sono i più impegnativi anche perché i chilometri nelle gambe e il caldo si faranno sentire. La scelta della giusta pressione delle ruote sarà fondamentale e chi sa guidare bene la bicicletta avrà un enorme vantaggio. Non credo ci sia una posizione standard da tenere sullo sterrato. Anche questa è una difficoltà. Però un segreto c’è: l’unica cosa a cui fare attenzione è la rigidità. Non bisogna irrigidirsi troppo in sella altrimenti si fa più fatica e le pedalate non fluiscono».
I ciclisti non hanno molto tempo per guardare i paesaggi, nonostante i paesaggi stessi siano una parte di loro e di noi quando immaginiamo una corsa. Soraya Paladin, ieri, in ricognizione, per un attimo si è dimenticata della fretta e di tutta la fatica e ha spalancato gli occhi sul quinto settore di sterrato, quello di San Martino in Grania, poco più di nove chilometri: «Devo ammetterlo: sono rimasta stupita. Eppure di paesaggi ne vedo molti. Non so, qui c’è qualcosa di particolare. Qualcosa di così tipicamente toscano. Qualcosa che somiglia molto a questa terra ed anche a qualche emozione». E qui si ritorna a quella ragazza, a quel bambino, a quel riappropriarsi della semplicità della bellezza. Poi una confessione, timida, quasi strappata a un interiore profondo eppure messo a tacere con la consapevolezza di quanto può essere oppressivo il mondo là fuori: «Domani saranno cinque anni dalla scomparsa di Chiara Pierobon. La mia amica Chiara, semplicemente lei. Chiara mi manca. Sarebbe emozionante fare qualcosa di speciale come squadra. Farlo per lei. Vorrei così tanto». I genitori di Soraya Paladin la seguono spesso alle gare. Forse saranno in Piazza del Campo. Forse mamma correrà ad abbracciarla in Piazza del Campo. Come a Maniago, allo scorso Giro Rosa. Come mamma e figlia. In silenzio. E qui c’è davvero dentro tutto, senza ulteriori parole.
La sesta edizione della Strade Bianche, di 136 km, è in programma domani, sabato 1 agosto. Partenza ore 12 da Siena, Fortezza Medicea, arrivo ore 16.50 circa a Siena, Piazza del Campo.
In contemporanea la quattordicesima edizione della Strade Bianche maschile, 184 km. Partenza ore 13.45 da Siena, Fortezza Medicea, arrivo ore 18.30 circa a Siena, Piazza del Campo.
Foto: Soraya Paladin