Nos quedamos con lo bueno: intervista a Mavi Garcia
Le scarpe gliele aveva prestate suo fratello, come, del resto, la bicicletta, solo così Margarita Victoria García Cañellas poté partecipare alla sua prima gara di duathlon e vincerla, ma, in quegli istanti, nemmeno la sfiorava il pensiero della prestazione. Quella che la carta d'identità identifica come Margarita Victoria García Cañellas è, in realtà, per tutti, da vari anni, solo Mavi García, ora in Jayco AlUla, che, di quella competizione, in cui lei si dedicava alla corsa a piedi ed il fratello al ciclismo, ricorda, soprattutto, la sensazione legata a delle scarpe così grandi che il piede vi "ballava" all'interno. Non aveva una bicicletta e nemmeno scarpe adatte a correre perché da ragazzina sua madre la portava a fare ginnastica, a pattinare, mentre all'atletica si era sempre dedicato proprio il fratello: ormai, però, era circa nove anni che si era allontanata anche dal pattinaggio. Quella gara di duathlon e, poi, diverse uscite in bicicletta insieme ad amici del fratello stesso, che la "temevano" perché non avevano mai pedalato con una ragazza, per giunta così forte, mentre le scarpe erano sempre troppo grandi ed i piedi continuavano a navigarvi. Dovette presto capire che il ciclismo, probabilmente, era un suo talento da sempre, ma un talento che non avrebbe mai scoperto, se non per puro caso. Ben presto era la seconda del mondo nella disciplina individuale e la prima, considerando le squadre. In quel periodo, il training camp del team Bizkaia Durango, suggeritole da un amico, mostrava i suoi dati come ciclista, dati notevoli: «Vinsi la seconda gara a cui partecipai. Non sapevo ancora che la terza gara sarebbe stata la Freccia Vallone e sarebbe stato quasi un incubo. Del ciclismo non conoscevo praticamente nulla, stavo in fondo al gruppo perché mi intimoriva la sua "pancia" e ben presto quel timore sarebbe diventata una vera e propria paura». Mavi García si riferisce alla brutta caduta che la coinvolse in Argentina, all'ultimo anno in Bizkaia: picchiò la testa, restò traumatizzata da quel che era successo e, al ritorno in sella, si rese conto che quella paura la condizionava a tal punto da pensare di smettere per non stare così male ad ogni corsa.
Nei primi tempi, García faceva duathlon, atletica, ciclismo e continuava a lavorare nell'azienda di hotellerie in cui si occupava di contabilità da circa dodici anni. Successivamente grazie all'aspettativa, in Spagna denominata "excedencia", era riuscita a concentrarsi solo sullo sport: «L'excedencia permette di conservare il proprio posto di lavoro per almeno cinque anni, ovviamente non percependo più lo stipendio. Ogni anno, tornavo in azienda a firmare chiedendo altri 365 giorni e, poi, mi buttavo sull'allenamento per migliorare in tutte le discipline che praticavo. Decisivo è stato il momento in cui ho scelto di dedicarmi solo al ciclismo: lì i risultati sono fioccati ed il mio margine di crescita si è espanso di molto. Tutto assieme non si poteva più fare». Il 2018 è l'anno in cui Movistar le propone il primo contratto da professionista, è l'anno della conquista del suo primo Campionato Nazionale Spagnolo a cronometro ed è anche l'anno in cui García lascia definitivamente l'azienda in cui lavorava: «Ho sempre firmato contratti di un anno, solo ultimamente sono biennali, e, soprattutto all'inizio, credevo che sarebbe durata per due o tre anni, non mi aspettavo di certo di arrivare a quarant'anni ancora in sella. Ma, a parte questo, ho sempre fatto questa scelta perché nella vita si cambia e non potrei accettare di fare un lavoro in cui non mi riconosco più, soprattutto un mestiere complesso come quello della ciclista. Avevo paura, certo, come tutti in una situazione simile, anche in famiglia avevano dubbi, ma riconoscevano il mio talento e questo li ha spinti a incoraggiarmi in quella scelta».
In spagnolo si dice "nos quedamos con lo bueno" ed è la filosofia di Mavi: salvaguardare le cose buone, gli aspetti positivi, di quel che accade. L'ha applicata soprattutto l'anno scorso, una stagione in cui nulla girava come avrebbe dovuto e come avrebbe voluto: i risultati non arrivavano, ogni gara era un poco meglio o un poco peggio della precedente, ma non risolveva mai quel malessere persistente. «Stentavo a riconoscermi e non ne capivo il motivo: la mononucleosi, scoperta solo successivamente. Il risultato, nel ciclismo, ti permette di riprendere fiato, di vivere con serenità la gara successiva. Ogni volta mi dicevo che nella corsa successiva avrei fatto qualcosa di buono, non succedeva mai. Più il tempo in cui i risultati non arrivano si dilata, più diventa pesante, difficile da gestire, più pare impossibile tornare a fare risultato».
Così, anche lei che spiega di riuscire a gestire bene la pressione, almeno generalmente, e che sottolinea che gli obiettivi sono necessari per avere una direzione, ma, alla fine, dopo tutto il lavoro, non bisogna fare in modo che qualche traguardo non centrato possa mettere in discussione il percorso, rivela di essere particolarmente serena dopo il podio, terzo posto, centrato all'UAE Tour, ad inizio stagione: «Non pensavo ad un risultato di questo tipo, vuol dire che le cose stanno andando bene». L'anno scorso, dopo il secondo posto nel Campionato Nazionale Spagnolo a cronometro, ha avvertito intorno alla propria persona una delusione che non pensava di trovare: la sua storia con la maglia di campionessa nazionale ha origini lontane, quel 2018, per l'appunto, e l'ha spesso conquistata da sola, senza una squadra a sostegno, spesso con notevoli pressioni, per esempio quando la gara si è svolta a Maiorca, suo paese natale. «All'esterno sembra che per me sia facile, quasi scontato vincere, invece è dura, sempre più dura. Anche chi vince fa fatica, pure se è il più forte in corsa».
Spiega di essere cresciuta assieme al ciclismo, negli anni, e di essere contenta di aver potuto vivere questa crescita del movimento, l'unico neo potrebbero essere quei limiti posti alle squadre più piccole che, non raggiungendo il budget, resteranno escluse, però «ai molti passi in avanti corrisponde sempre qualche passo indietro, va accettato». Scalatrice, nei dintorni di Maiorca ha scalato non sa quante volte il Puig Major, una delle salite più lunghe della zona, ama il caldo, il sole di Maiorca e della Spagna che cerca invano in ogni parte del mondo e il mare che ha più che mai bisogno di vedere. Fra i momenti più belli della sua carriera ricorda la Strade Bianche del 2020, negli sterrati roventi dal sole d'agosto, superata solo da Annemiek van Vleuten, i più difficili, invece, fatica a trovarli. Non perché non ce ne siano stati, anzi, è la prima ad ammettere che sono stati molti, ad esempio quell'inizio di stagione in UAE Team Emirates, nel 2022, anno in cui centrò il terzo posto al Giro d'Italia, quando tutti si aspettavano da lei "Pogačar" in versione femminile, ma il suo voler salvare il buono le impedisce di restare fissa su quelli: «Quando le cose vanno male, tendiamo tutti a pensare che andranno sempre così. Forse è naturale, ma non è vero. Non andranno sempre male, miglioreranno o, comunque, cambieranno. Questa è la certezza che deve farci forti».
Il questionario cicloproustiano di Matteo Fabbro
Il tratto principale del tuo carattere?
Diretto e deciso.
Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Onestà.
Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
Il carattere.
Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
Umorismo.
Il tuo peggior difetto?
Testardo.
Il tuo hobby o passatempo preferito?
Cucinare.
Cosa sogni per la tua felicità?
Il benessere mio e della mia famiglia.
Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
Perdere qualcuno.
Cosa vorresti essere?
Vorrei essere il vento.
In che paese/nazione vorresti vivere?
Italia.
Il tuo colore preferito?
Blu.
Il tuo animale preferito?
Mangusta.
Il tuo scrittore preferito?
Tolkien e Coelho.
Il tuo film preferito?
American Pie.
Il tuo musicista o gruppo preferito?
883.
Il tuo corridore preferito?
Peter Sagan.
Un eroe nella tua vita reale?
Nessun eroe.
Una tua eroina nella vita reale?
Nessun eroina.
Il tuo nome preferito?
Fari (soprannome).
Cosa detesti?
Scarafaggi.
Un personaggio della storia che odi più di tutti?
Nessuno.
L’impresa storica che ammiri di più?
Annibale e gli elefanti.
L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Sagan al Fiandre.
Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Giro d'Italia.
Un dono che vorresti avere?
30 cm in più di altezza.
Come ti senti attualmente?
Bene ma non benissimo.
Lascia scritto il tuo motto della vita:
"Volere è potere".
Il questionario cicloproustiano di Greta Marturano
Il tratto principale del tuo carattere?
Timidezza.
Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Sincerità e fedeltà.
Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
Sincerità.
Il tuo peggior difetto?
A volte permalosa.
Il tuo hobby o passatempo preferito?
Cucinare oppure seguire qualche serie televisiva o film su Netflix.
Cosa sogni per la tua felicità?
Avere con me le persone più care e fare quello che più mi piace.
Cosa vorresti essere?
Sempre me stessa.
In che paese/nazione vorresti vivere?
Sono un poco patriottica, forse, ma l'Italia va bene.
Il tuo colore preferito?
Blu.
Il tuo animale preferito?
Tartaruga.
Il tuo corridore preferito?
Van der Poel.
Un eroe nella tua vita reale?
Papà e mamma sempre visti come i miei eroi fin da quando ero piccola.
Cosa detesti?
Le bugie e le persone false.
L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Ci sono tante imprese che mi sono rimaste impresse ed è forse per questo che mi sono sempre più appassionata al ciclismo.
Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Non ci si ritira mai, in nessuna gara.
Un dono che vorresti avere?
Serenità.
Come ti senti attualmente?
Bene e serena.
Lascia scritto il tuo motto della vita
“Quando arrivi al limite, superalo”.
Il questionario cicloproustiano di Omar Di Felice
Il tratto principale del tuo carattere?
Riservatezza.
Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
La discrezione e l’onestà.
Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
La discrezione e la dolcezza.
Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
La capacità di rispettare gli spazi e la diversità che ci caratterizza.
Il tuo peggior difetto?
La testardaggine.
Il tuo hobby o passatempo preferito?
Leggere.
Cosa sogni per la tua felicità?
Un mondo con più gentilezza.
Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
Non poter pedalare.
Cosa vorresti essere?
Sono felice di ciò che sono.
In che paese/nazione vorresti vivere?
In un’Italia con maggior cura per il prossimo, meritocrazia e rispetto per i deboli (anche , e soprattutto, in strada).
Il tuo colore preferito?
Giallo.
Il tuo animale preferito?
I rapaci notturni in generale.
Il tuo scrittore preferito?
Ne ho diversi: Walter Isaacson per le biografie, Murakami per i suoi romanzi, Bonatti e Moro per i loro racconti dalle spedizioni incredibili che hanno affrontato.
Il tuo film preferito?
Notting Hill (si è una commedia, lo so!).
Il tuo musicista o gruppo preferito?
Sigur Ros.
Il tuo corridore preferito?
Lo è stato Marco Pantani, poi ho conservato stima e ammirazione per molti campioni.
Un eroe nella tua vita reale?
Non ho eroi, solo persone che con il proprio esempio sono in grado di darmi stimoli e ispirazione.
Una tua eroina nella vita reale?
Non ho eroi, solo persone che con il proprio esempio sono in grado di darmi stimoli e ispirazione.
Il tuo nome preferito?
Marco
Cosa detesti?
L’invidia e l’odio.
Un personaggio della storia che odi più di tutti?
Mussolini.
L’impresa storica che ammiri di più?
La liberazione dal nazi-fascismo.
L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Pantani a Guzet de Neige (dire Les Deux Alpes sarebbe stato troppo scontato).
Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Scegliere di ritirarsi non è mai semplice.
Un dono che vorresti avere?
Maggior capacità di fregarmene.
Come ti senti attualmente?
In pace.
Lascia scritto il tuo motto della vita
“Se pensi è la fine, se pedali arrivi”.
Gaia Masetti vuole assomigliare a Marianne Vos
Nell'ottobre 2021, dopo due anni in Top Girls Fassa Bortolo, Gaia Masetti, a soli vent'anni, a fine stagione, era senza contratto: il passaggio nella categoria under23 aveva portato molti problemi fisici, lei stessa non si riconosceva più, nei pensieri c'era un altro lavoro. Se le cose non fossero cambiate, avrebbe provato il praticantato presso lo studio di qualche geometra, pur dubbiosa, a causa della sua indole di ciclista, di fronte all'idea di stare tutto il giorno alla scrivania, in ogni caso quel curriculum da inviare era già pronto. I rimpianti non facevano parte di quelle giornate autunnali, si ripeteva che più di così non poteva fare e, per rendere il ciclismo il suo mestiere, aveva davvero messo in campo tutto l'impegno dovuto ed ogni rinuncia necessaria. Ricorda che era poco più che una ragazzina, ed il ciclismo era solo un gioco, quando rifiutava ogni invito a ballare, la sera, anche in inverno, per il resto, nessun drink alcolico e le persone accanto a ripeterle: «Gaia, sei giovane. Se non le fai adesso queste cose, quando mai le farai? Lascia perdere il ciclismo, divertiti!». Non le ha mai ascoltate ed è certa di aver fatto bene: «A me non interessava: fosse anche restato solo un divertimento, volevo che fosse un divertimento serio. Non era ancora un lavoro, io, però, mi comportavo come se lo fosse. Difficile da capire e difficile da spiegare, ma io non so fare che così con gli impegni che mi prendo». Il rammarico, invece, era ben presente. Suo padre era stato amatore, aveva smesso rendendosi conto che il mondo amatoriale non gli corrispondeva più, suo fratello, Simone, aveva corso diverso tempo in bici, si era dovuto fermare a causa dell'asma da sforzo, così forte da rendere impossibile una carriera professionistica. Lei, cresciuta a pane e ciclismo, tra le mura di casa, «succede sempre così con la bicicletta», aveva avuto molti dubbi sull'iniziare a gareggiare, in quanto si trattava ancora di uno sport praticato maggiormente a livello maschile: all'improvviso una gara, un'altra, risultati, vittorie e pure l'orgoglio di essere dapprima una bambina, poi, una ragazzina che ce l'aveva fatta, in mezzo a tanti ragazzi. Non avere un contratto significava rimettere tutto in discussione, decidere che anche per lei era finita. Su tutto prevaleva un dolore sottile e pungente, perché aveva sentito quel che alcune persone, a lei vicine, dicevano: «Mi è arrivato addosso tanto schifo. Non ero preparata, non lo meritavo. Erano parole pesanti, di quelle che fanno davvero pensare di smettere. Non è successo perché il ciclismo era più importante, ma quello schifo sputato addosso mi ha fatto male, fatico a non pensarci».
Nel giro di un anno o poco più, il quadro era cambiato quasi completamente: il contratto l'aveva firmato con AG Insurance-Soudal Quick Step e, passato qualche mese, aveva capito che, se l'impegno fosse rimasto costante, il ciclismo sarebbe davvero stato il suo mestiere per diversi anni. Nelle prime settimane, tuttavia, a fronte di quel contratto, le difficoltà erano tante, forse ancora maggiori. Il Belgio non è così lontano, però, la prima volta in cui, ad inizio 2022, le è stato detto «al termine del ritiro di gennaio, resti con noi fino al Fiandre», anche Gaia Masetti ha avuto dubbi, timori. «Il carattere delle persone si forma, è qualcosa di dinamico. Il ciclismo per definizione contribuisce a modificarlo ed una delle prime volte in cui avviene è quando fai la valigia e vai lontano da casa per mesi. A molti sembra solo una valigia, in realtà, è enorme quell'istante, uno di quelli in cui ripensi all'essere donna ed alla scelta che hai fatto, che quella valigia ti costringerà a farla spesso. Partivo per tre mesi e, di fatto, partivo con estranei, con abitudini completamente diverse dalle mie e, anche volendo prescindere da questo, con persone che non conoscevo per nulla e con cui dovevo condividere tutto».
L'inglese è da perfezionare, Gaia Masetti è abbastanza introversa, tende a chiudersi, Jolien d'Hoore, suo direttore sportivo, le confesserà tempo dopo che, al primo ritiro, era talmente silenziosa ed in disparte, che lei non l'aveva quasi notata. «Mi capita di pensare alle volte in cui sono restata attaccata al ciclismo solo per la passione che ho e quel ritiro ne fa parte. Sarei tornata a casa, poi ho pensato a me, al fatto che quello che volevo diventare era più importante, lo era sempre stato». In quei mesi, i genitori, a casa, vedevano le sue gare in streaming: dure, talvolta durissime. Sicuramente si tratta di situazioni a cui Gaia Masetti non è abituata, le gare open a cui partecipava in Italia non avevano nulla a che vedere con la nuova realtà: «La classica gara open italiana prevede circa novanta chilometri con uno strappo di tre, quattro chilometri. La mia prima corsa all'estero è stata la Omloop Het Nieuwsblad: ho sofferto come un cane. Mi sono detta che forse avevo sbagliato a non andare a lavorare». Spiega Masetti che, in un percorso simile, «le mazzate sui denti sono all'ordine del giorno, se non ti stacchi, resti attaccata al fondo del gruppo a bocca aperta, altrimenti ti ritiri e pensi ai tuoi genitori che a casa hanno visto un altro tuo ritiro, l'ennesimo». Si tratta del periodo in cui, al termine di ogni gara, Masetti parla con D'Hoore, le dice che per lei è un altro ciclismo, completamente diverso da quello italiano, votato all'attendismo e all'azione finale, un ciclismo in cui, forse, si è sempre riconosciuta, per questo si definisce "italiana atipica", ma ha bisogno di tempo, deve capire, migliorare, imparare ad usare tutte le energie, con intelligenza, senza risparmiarsi mai, convincersi del fatto che, a forza di fare tutta quella fatica, i risultati arriveranno. Pare impossibile, dato tutto l'acido lattico che, in quei continui sforzi, le invade i muscoli, ma accade. Il 5 maggio 2023, Gaia Masetti conquista "La Classique Morbihan".
«Ho detto finalmente. Finalmente quella rabbia e quel dolore che mi portavo dentro per non essere stata capita si erano trasformati in una dimostrazione. Avevo lavorato per mostrare che, quell'autunno, si erano sbagliati e ci ero riuscita. Quella vittoria è stata soprattutto una rivincita. Forse sono fatta male, ma, in qualche momento, penso che vorrei farla vedere a chi mi ha deluso, far vedere cos'è successo». Sorride quando le chiediamo del Tour de l'Avenir, la sua prima volta in maglia azzurra, con atlete che non conosceva, con cui ha subito cercato di fare squadra, uno dei pilastri del ciclismo, nella sua filosofia, una delle più belle esperienze della sua carriera: «Credo di poter far bene su tutti i terreni. Ho scoperto, e non me l'aspettavo, di tenere anche a cronometro. In salite brevi, dai due, tre, ai sei chilometri, riesco a essere incisiva. Non sarò mai una scalatrice da grandi montagne, non è nella mia genetica, ma posso ancora crescere. Mi piacciono le classiche, sogno l'Amstel Gold Race e vorrei assomigliare a Marianne Vos». L'Amstel Gold Race l'ha scoperta alla seconda partecipazione, alla prima l'aveva detestata, odiata. Al ritorno, non solo ha capito che potrebbe essere la gara perfetta, ha anche avuto la certezza di quanto sia vero che il pubblico riesca a farti andare più forte, a fare meno fatica. Quando lo sentiva dire, lo leggeva, faticava a crederci. Marianne Vos, invece, l'ha sempre scrutata, cercando di cogliere ogni segreto, ogni dettaglio: quando, al Fiandre, le si è affiancata per complimentarsi del lavoro della sua squadra non voleva crederci: «Marianne Vos che parla con me? Che mi fa i complimenti? Ma ci rendiamo conto?».
Da bambina che guardava il ciclismo in televisione e ammirava l'eleganza di Alberto Contador, insomma, Gaia Masetti ce l'ha fatta davvero e, oggi, per sua stessa ammissione, la sua vita è al novanta percento legata al ciclismo: «Questo tipo di quotidianità tende ad allontanarti dalle amicizie, perché sei all'estero e perché è una vita che è difficile da capire e da accettare. La mia più grande amica mi conosce da anni eppure spesso ha dubitato, non ha compreso. Ora, che è un lavoro, sono aumentate le responsabilità, è aumentato quel che pretendo da me stessa, ma forse è aumentata anche la comprensione dall'esterno». Alle gare, ogni tanto, c'è anche Simone, il fratello: non da molto tempo, a dire il vero. Dopo aver lasciato le corse, a lungo è stato lontano dall'ambiente, abita vicino a Maranello, e lavora in un'azienda che costruisce le scocche per Ferrari, talvolta le fotografa anche, perché è appassionato di fotografia: «Un piccolo passo, ma mio fratello è tornato. Quella macchina fotografica ha iniziato anche a far foto alle cicliste. Averlo lì significa tanto, soprattutto significa poter parlare, confidarsi con sincerità estrema. Sono felice ed anche dispiaciuta perché so quanto avrebbe potuto dimostrare in sella. Però è tornato, va bene così».
Dopo tanti giorni lontana, quando torna a casa, Gaia Masetti prende la bicicletta e va verso Rocca Malatina: lassù c'è solo natura e tre rocce gigantesche, nelle cuffie soft rock e Indie, attorno il silenzio. Mentre lei che voleva diventare continua a diventare quel che vorrebbe essere, una ciclista molto simile a Marianne Vos.
Questionario cicloproustiano di Damiano Caruso
Il tratto principale del tuo carattere?
Schiettezza e sincerità.
Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Onestà.
Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
La femminilità.
Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
Che la loro amicizia è riferita alla mia persona e non alla mia figura.
Il tuo peggior difetto?
Sono un poco lunatico.
Il tuo hobby o passatempo preferito?
Quando è possibile, dedicare il mio tempo a famiglia e amici.
Cosa sogni per la tua felicità?
Seguire il percorso di crescita dei miei figli.
Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
Perdere la voglia di vivere.
Cosa vorresti essere?
Una brava persona e un buon padre.
In che paese/nazione vorresti vivere?
Italia.
Il tuo colore preferito?
Blu.
Il tuo animale preferito?
Cane.
Il tuo scrittore preferito?
Omero.
Il tuo film preferito?
Rocky.
Il tuo musicista o gruppo preferito?
Freddie Mercury.
Il tuo corridore preferito?
Damiano Caruso.
Un eroe nella tua vita reale?
Qualsiasi persona che aiuta un’altra persona in difficoltà.
Una tua eroina nella vita reale?
Mia moglie.
Il tuo nome preferito?
Oscar e Greta.
Cosa detesti?
L’ipocrisia.
Un personaggio della storia che odi più di tutti?
Tutti quelli che sono stati causa di morte di persone innocenti.
L’impresa storica che ammiri di più?
Il sacrificio dei giudici Falcone e Borsellino.
L’impresa ciclistica che ricordi di più?
La mia, sull’Alpe Motta, al Giro d’Italia nel 2021.
Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Da nessuna,
Un dono che vorresti avere?
Mangiare senza ingrassare.
Come ti senti attualmente?
Felice.
Lascia scritto il tuo motto della vita
Puoi mentire agli altri, ma non puoi mentire a te stesso.
Il questionario cicloproustiano di Cristina Tonetti
Il tratto principale del tuo carattere?
Testardaggine.
Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Saper dialogare e comprendere l’altro.
Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
L’umiltà.
Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
La sincerità.
Il tuo peggior difetto?
Permalosità.
Il tuo hobby o passatempo preferito?
Leggere e ascoltare musica/podcast.
Cosa sogni per la tua felicità?
Viaggiare e conoscere il mondo
Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
Perdere una persona amata.
Cosa vorresti essere?
Una scimmia.
In che paese/nazione vorresti vivere?
Italia.
Il tuo colore preferito?
Azzurro.
Il tuo animale preferito?
Panda.
Il tuo scrittore preferito?
Alessandro d’Avenia.
Il tuo film preferito?
Notting Hill e Invictus.
Il tuo musicista o gruppo preferito?
Gazzelle.
Il tuo corridore preferito?
Tadej Pogačar.
Un eroe nella tua vita reale?
Il papà.
Una tua eroina nella vita reale?
La mamma.
Il tuo nome preferito?
Lucrezia.
Cosa detesti?
La falsità delle persone.
Un personaggio della storia che odi più di tutti?
Hitler.
L’impresa storica che ammiri di più?
Nelson Mandela e la lotta all’Apartheid.
L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Froome sul Colle delle finestre, Giro d’Italia 2018.
Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Il Fiandre.
Un dono che vorresti avere?
L’empatia.
Come ti senti attualmente?
Consapevole e serena.
Lascia scritto il tuo motto della vita:
"Non credo nei momenti giusti ma nelle motivazioni forti”.
Il questionario cicloproustiano di Matteo Donegà
Il tratto principale del tuo carattere?
Non mollare mai.
Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
La qualità che l’uomo deve sempre dimostrare il proprio valore.
Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
La qualità di avere sempre la giusta tranquillità.
Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
La fiducia.
Il tuo peggior difetto?
Testardaggine.
Il tuo hobby o passatempo preferito?
Go Kart e motori.
Cosa sogni per la tua felicità?
Una carriera professionistica di valore nel ciclismo.
Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
La sofferenza della mia famiglia.
Cosa vorresti essere?
Un uomo felice.
In che paese/nazione vorresti vivere?
In Italia.
Il tuo colore preferito?
Nero e Blu.
Il tuo animale preferito?
Leopardo.
Il tuo scrittore preferito?
Giacomo Leopardi.
Il tuo film preferito?
Rocky.
Il tuo musicista o gruppo preferito?
Linkin Park.
Il tuo corridore preferito?
Cavendish.
Un eroe nella tua vita reale?
Mio padre.
Una tua eroina nella vita reale?
Mia madre.
Il tuo nome preferito?
Jason.
Cosa detesti?
Le persone infami e maleducate.
Un personaggio della storia che odi più di tutti?
Hitler.
L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Le ultime vittorie di Cavendish al Tour.
Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Giro d’Italia.
Un dono che vorresti avere?
Di ritornare nel passato.
Come ti senti attualmente?
Forte e convinto della strada che sto percorrendo.
Lascia scritto il tuo motto della vita.
Lavora duro e parla poco.
Il questionario cicloproustiano di Matilde Vitillo
Il tratto principale del tuo carattere?
Riservata al primo impatto, ma solare dopo essere entrati in confidenza.
Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Sincerità e umorismo.
Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
Fedeltà e amicizia.
Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
Potermi fidare di loro senza essere giudicata e la certezza che ci siano quando ho più bisogno di loro.
Il tuo peggior difetto?
Sono permalosa.
Il tuo hobby o passatempo preferito?
Guardare film o serie tv/leggere/scrivere.
Cosa sogni per la tua felicità?
Sto lavorando tanto sul conoscere me stessa.
Quale sarebbe per te la più grande disgrazia?
Non avere più al mio fianco la mia famiglia.
Cosa vorresti essere?
Talvolta meno sensibile.
In che paese/nazione vorresti vivere?
Sto benissimo nella mia bellissima Italia.
Il tuo colore preferito?
Rosso.
Il tuo animale preferito?
Cane.
Il tuo scrittore preferito?
Agatha Christie.
Il tuo film preferito?
Orgoglio e Pregiudizio.
Il tuo musicista o gruppo preferito?
Non ho un musicista, un gruppo o un genere preferito, mi piacciono le canzoni in base alla melodia e alle parole.
Il tuo corridore preferito?
Lotte Kopecky.
Un eroe nella tua vita reale?
Papà.
Una tua eroina nella vita reale?
Mia mamma.
Il tuo nome preferito?
Mi piace il mio.
Cosa detesti?
L'incoerenza e la mancanza di rispetto.
Un personaggio della storia che odi più di tutti? L’impresa storica che ammiri di più?
Non sono mai stata una cima in storia.
Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Beh, penso di non volermi ritirare da nessun tipo di corsa.
Un dono che vorresti avere?
La capacità di saper prendere le cose con leggerezza.
Come ti senti attualmente?
Serena.
Lascia scritto il tuo motto della vita
“Life goes on”,
Qualsiasi cosa capiti, qualsiasi brutto periodo tu stia passando, la vita va avanti, quindi non c’è bisogno di focalizzarsi su ciò che va male. È diventato il mio motto quest’anno.
Stellette, vittorie e il destino: intervista a Eleonora Camilla Gasparrini
Il primo ritiro di stagione di UAE Team ADQ ha cercato di lavorare con calma sul livello di preparazione, con l'intenzione di "fare fondo" più che intensità, attraverso tante ore in sella per trovare la condizione, anche approfittando del bel tempo in Spagna. Il clima in squadra è buono, sereno, rilassato, anche più dell'anno scorso, quando lo staff e la squadra si stavano formando e tutto era nuovo: il momento giusto per guardarsi indietro e fare il punto sulla stagione trascorsa da qualche mese. Il 2023 per Eleonora Camilla Gasparrini è stata un'annata positiva, soprattutto nella prima parte, tanti bei ricordi e, ciliegina sulla torta, la prima vittoria World Tour, al Tour de Suisse, il 19 giugno, in una giornata in cui era stranamente tranquilla, serena, senza pensieri particolari. Alla soglia dell'estate, quel lunedì, la preoccupava solamente una salita posta intorno a metà percorso, già vista in ricognizione, ma, con il ritmo della gara, l'imprevedibilità è all'ordine del giorno e, visti gli importanti nomi presenti, Gasparrini temeva selezione e buchi.
«Sono riuscita a tenere duro e, superato quel momento, ero convinta che qualcosa di buono potesse arrivare. Di certo non pensavo alla vittoria, anche se, da qualche settimana, nell'aria, quindi nelle gambe, c'era qualcosa di diverso». Ed in effetti, scorrendo il ruolino di marcia di quei giorni, si notano vari piazzamenti in top ten, in particolare alla Ride London: «Ero sempre lì, facevo tutto bene, poi, alla fine, per un motivo o per l'altro, per un errore o una casualità, qualcosa si inceppava, mi superavano e l'appuntamento con il successo era rimandato. Non l'ho mai immaginata la prima vittoria World Tour, perchè è una situazione troppo bella, troppo nuova, per riuscire a raffigurarsela prima che avvenga, ma in quei giorni pensavo che sarebbe potuto capitare». Quando Eleonora Gasparrini parte per il Tour de Suisse, tra l'altro, non sono neanche due settimane che nonno non è più con lei: racconta che sin dalla prima pedalata era proprio lui a portarla agli allenamenti, che spesso andava a vederla alle gare e, anche negli ultimi tempi, quando l'età gli impediva lunghe trasferte, la televisione era sempre accesa, a trasmettere le gare in cui correva la nipote. Gasparrini gli dedica la vittoria e, sorridendo, chiosa: «Forse quella tranquillità non era casuale».
Quello su cui invece c'è bisogno di lavorare è la seconda parte di stagione, dove la ventunenne di Torino ha avvertito un calo di condizione, una stanchezza persistente e un conseguente bisogno di staccare, mentalmente soprattutto. Parliamo del periodo successivo al Tour de France, quello che, però, traghettava verso il Mondiale in cui riprendere fiato era difficile e ancora dei giorni precedenti l'Europeo: «Ho capito che per me il riposo dopo una gara a tappe è necessario. Il punto è che dovrebbe essere programmato: non saranno mai cinque giorni, magari a nuotare, al mare, a farti perdere la forma, ma, dopo quei cinque, servono magari quindi giorni senza appuntamenti importanti. In quei momenti ho provato a rifiatare ma il Mondiale e l'Europeo erano dietro l'angolo. Quest'anno stiamo lavorando perché non accada, cambieremo qualcosa». Il Mondiale resta un'esperienza positiva, soprattutto perché è stata la prima volta, fra le élite, anche se la giornata non è, poi, andata esattamente come avrebbe voluto, ma c'è altro da salvare, da portare in questo 2024. «In realtà ho corso con atlete con cui corro sempre, però, sarà la maglia azzurra, sarà la responsabilità dell'essere convocata assieme a campionesse del nostro sport, l'emozione è differente, più grande. E tu ti senti piccola piccola, più piccola del solito».
Succede in particolare una sera, nella camera che Gasparrini condivide con Elena Cecchini: poche ore prima, lo staff della nazionale aveva distribuito delle magliette intime personalizzate con il nome dell'atleta e delle stelline ad indicare il numero dei mondiali corsi. Gasparrini non ricorda quante fossero le stellette sulla maglia di Cecchini, sicuramente diverse, sa, però, che sulla sua ce n'è solo una: «Mi ha fatto sorridere. Mi ha fatto capire che stavo diventando grande e, allo stesso tempo, che sono ancora piccola».
La nuova stagione parte presto, il 21 gennaio, da Maiorca, il focus è sul blocco delle classiche, successivamente un periodo in altura e dritti verso il Giro d'Italia. Spiega Gasparrini che le Classiche del Nord vanno vissute per poter essere comprese, la più iconica è senza dubbio il Fiandre, lei, però, punta all'Amstel: «L'ho corsa l'anno scorso per la prima volta, il percorso mi si addice, i muri sono duri, ripidi, ma non troppo, non c'è il pavé, è una gara nervosa e selettiva, con un circuito finale che mi piace molto, insomma, sembra fatta per me». Al Giro, invece, oltre ad essere di supporto alla squadra, cercherà di ritagliarsi il suo spazio nelle tappe con percorsi misti e mossi. In fondo, parlandoci, si capisce che Eleonora Gasparrini non è così diversa da quella del 2020, quando si affacciava al mondo élite: sempre i piedi ben saldi a terra, qualcuno le dice «anche troppo», lei ribatte che non sa essere che così ed essere così le piace. Certo, è un'atleta maggiormente matura, capace di usare le tabelle come base, ma anche di distanziarsene, di ascoltarsi e di capire ciò che il proprio corpo richiede, meno pignola: «L'ho imparato grazie a Davide Arzeni, grazie alle altre atlete che ho osservato, al tempo che passa. Se il tuo fisico dice no, insistere non ha alcun senso, io, però, prima insistevo, bastava che lo dicesse una tabella».
Cambiato è anche il ciclismo e lo ha fatto in maniera decisa in soli tre anni: «C'erano le gare minori in cui si poteva correre per fare ritmo, senza incorrere in stress eccessivi, ora non ci sono più. Si è sempre a tutta, ovunque si corra e si corre moltissimo. L'aver finito il periodo delle scuole mi ha sicuramente agevolato, per i tempi fuori dalle gare, per la possibilità di allenarsi al mattino, ma, quando ancora studiavo, il ciclismo femminile era un altro ciclismo». Quindi aumentano i sacrifici, pur se Eleonora Gasparrini li ha sempre fatti volentieri, felice di avere una quotidianità pesante, piena di impegni, spesso lontana da casa, ma senza alcuna monotonia, senza la noia che avrebbe fatto fatica a sopportare.
Seconda gara stagionale e subito prima vittoria per Gasparrini, in una delle prove della Challenge Mallorca 2024.
Per il resto, ha bandito i rimorsi ed i rimpianti: afferma sicura di credere nel destino o, almeno, in un filo conduttore che lega tutte le scelte che si fanno: «Ci sono dei motivi anche nelle scelte che a noi sembrano inconsapevoli. Sapere che ci sono aiuta a viverle in maniera genuina ed istintiva. A viverle meglio, insomma. E penso che tutti cerchiamo solo questo».
E il suo 2024 è iniziato proprio così: uno sprint di potenza e decisione, guidata sapientemente da Silvia Persico in un finale difficile, ostico. Una vittoria, la prima della stagione, nella terza prova del Challenge Mallorca, e siamo solo a fine gennaio