Il questionario cicloproustiano di Giovanni Bortoluzzi

Il tratto principale del tuo carattere?
Tranquillo.

Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Sincerità.

Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
Fedeltà.

Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
La comprensione che hanno del mio mondo/lavoro.

Il tuo peggior difetto?
Se mi impunto su di una cosa, trascuro le altre.

Il tuo hobby o passatempo preferito?
In questo momento credo i film.

Cosa sogni per la tua felicità?
Una famiglia e una casa mia (dopo un bel po' di vittorie però).

Cosa vorresti essere?
Saetta McQueen.

In che paese/nazione vorresti vivere?
America.

Il tuo colore preferito?
Azzurro.

Il tuo animale preferito?
Non so se è il mio animale preferito in assoluto ma l’aquila mi da quel senso di libertà da quando sono piccolo.

Il tuo scrittore preferito?
Non leggo abbastanza per dirlo.

Il tuo film preferito?
Genio ribelle.

Il tuo musicista o gruppo preferito?
Attualmente Naska.

Il tuo corridore preferito?
Mathieu van der Poel.

Un eroe nella tua vita reale?
L’inventore della Nutella.

Una tua eroina nella vita reale?
Ho sempre stimato la Regina Elisabetta.

Il tuo nome preferito?
Ovviamente il mio.

Cosa detesti?
Salire in macchina d’inverno, ché fa freddissimo.

L’impresa storica che ammiri di più?
Il cavallo di Troia.

L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Froome al Giro 2018… Anche se l’Amstel di Mathieu nel 2019 è stata qualcosa di assurdo.

Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Coppa Città di San Daniele.

Un dono che vorresti avere?
Fermezza.

Come ti senti attualmente?
Pronto per andare in vacanza.

Lascia scritto il tuo motto della vita.
“Bruciare le navi” loc. v. precludersi ogni possibilità di ripensamento rispetto a una decisione presa. Credo che per il significato che ha e per la storia che c’è dietro, sia un bel motto da tenere a mente.


Questionario cicloproustiano di Federica Venturelli

Il tratto principale del tuo carattere?
La determinazione

Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
La simpatia

Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
La sincerità

Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
La lealtà

Il tuo peggior difetto?
La pignoleria

Il tuo hobby o passatempo preferito?
La lettura

Cosa sogni per la tua felicità?
Vincere un Campionato del Mondo élite

Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
Dover abbandonare il ciclismo a causa di un infortunio

Cosa vorresti essere?
Ciò che sono, sono soddisfatta di quello che ho

In che paese/nazione vorresti vivere?
In Italia

Il tuo colore preferito?
Verde

Il tuo animale preferito?
Il pinguino

Il tuo scrittore preferito?
Non saprei scegliere tra Gianrico Carofiglio, Dan Brown e Giacomo Leopardi

Il tuo film preferito?
Nickname: enigmista

Il tuo musicista o gruppo preferito?
Pinguini Tattici Nucleari

Il tuo corridore preferito?
Mathieu van der Poel

Un eroe nella tua vita reale?
Giovanni Falcone

Una tua eroina nella vita reale?
Mary Wollstonecraft

Il tuo nome preferito?
Ilaria

Cosa detesti?
La vanità

Un personaggio della storia che odi più di tutti?
Bruto

L’impresa storica che ammiri di più?
La circumnavigazione del globo

L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Vittoria di van der Poel all'Amstel Gold Race 2019

Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Parigi-Roubaix

Un dono che vorresti avere?
Essere brava a cantare

Come ti senti attualmente?
Stressata

Lascia scritto il tuo motto della vita
“Se tu segui tua stella, non puoi fallire a glorioso porto” (Dante, canto XV Inferno)


Nairoman - Il ritorno

22 anni compiuti da meno di un mese: poco più che teenager. Preparato mentalmente sin dalla vigilia a quel finale di gara: «Sapevo di dover dare tutto in discesa». Uno scalatore così convinto dei propri mezzi, da sembrare spavaldo, temerario. Generoso. Convinto di ciò che c’è da sapere per emergere, corridore che da lì in poi avrebbe lasciato una traccia importante “quando la strada s’impenna”, verrebbe da dire. Vinse la tappa con arrivo sulla Sierra de Espuña, Vuelta a Murcia: era il suo primo successo da professionista. Staccò Tiernan-Locke (lo ricordate?) in salita, si difese in discesa, precedette sul traguardo Wouter Poels di una manciata di secondi, vinse poi anche la classifica finale della breve corsa a tappe spagnola. Da lì in poi avrebbe ottenuto tanti successi, non troppo diversi tra loro: il filo conduttore sarebbe stata la salita come mezzo per arrivare anche alle classifiche generali; salita, ma non per forza altissima montagna - chiuse proprio quel 2012 vincendo al Giro dell’Emilia, un traguardo durissimo per pendenze ma non di certo altitudine in stile Everest, dimostrando al mondo come uno scalatore colombiano avrebbe potuto fare altro, non solo vincere lì, dove osano le aquile.

Proseguì facendo incetta di traguardi di un certo peso: prima del Giro dell'Emilia, siamo sempre nel 2012, si sbloccò nel circuito World Tour: tappa al Delfinato. Uno stile che ancora doveva affinarsi, rapporto duro come piace ai puristi, seduto a macinare dopo essersi alzato per un attimo sulla sella, leggermente barcollante di spalle e con le ginocchia larghe, quel giovane colombiano iniziò a fare breccia nel cuore dei tifosi e in quello dei suoi dirigenti. La maglia della Movistar, così diversa da un punto di vista cromatico da quella che vediamo oggi, portata quasi svolazzante sulla schiena magra, di quella magrezza non malata, leggermente tisico, sì, ma come chi ancora doveva formarsi del tutto fisicamente. Unzue, storico team manager della squadra spagnola, dopo quel successo, ai microfoni non nascondeva come l’obiettivo dell’imperscrutabile giovane scalatore fosse già la Vuelta, nonostante la poca esperienza maturata tra i professionisti. Andò bene, non in maniera eccezionale in realtà, alla fine si tenne a galla per Valverde, alla fine chiuse 36° in classifica generale facendo 6° nella tappa di Cuitu Negro, manifesto al ciclogaragismo spagnolo. Una rampa con punte al 24% ottenuta asfaltando una vecchia pista da sci. Doveva essere una sfida Contador contro Purito Rodriguez, ma Valverde riuscì a tenere duro perdendo pochissimo dai due grandi favoriti di quella Vuelta, grazie soprattutto all’aiuto «di un giovane e promettente colombiano che gli pedalò di fianco per quasi tutta la giornata».

Nel 2013 la prima promessa fatta al Tour de France venne mantenuta e si racconta come quella prestazione «fece addolcire il tono di voce di Eusebio Unzue»; la promessa venne mantenuta salendo verso Annecy: vittoria di tappa al Tour de France e su di lui Unzue si sbilanciò: «La cosa che mi colpisce di più di questo corridore è la capacità di leggere la corsa. In questo mi ricorda Indurain. Ha carattere anche se a vederlo potrebbe non sembrare. Non teme nemmeno i belgi di due metri che gli corrono di fianco. Una volta ha tirato una borraccia in testa a uno perché questo rischiò di prenderlo in pieno, c’è anche un episodio in cui è andato a parlare a quattrocchi fino al pullman con un altro corridore». In quel Tour, oltre alla tappa vinta sull’inedito arrivo di Semnoz, Quintana vestirà la maglia bianca e quella a pois, salendo sul podio finale dietro a Chris Froome, al suo primo dei quattro Tour vinti, davanti a Purito Rodriguez e Contador. A soli 23 anni. Si sciolse, lui che a dispetto del suo sguardo impenetrabile è sempre stato definito uno dei più scherzosi in squadra. Pianse a fine tappa dedicando la vittoria all’ultimo colombiano a pois prima di lui: Mauricio Soler. « Ho al collo una medaglia che mi ha regalato come portafortuna», le sue parole.

Vinse il Giro d’Italia nel 2014, la Vuelta nel 2016, salì ancora sul podio al Tour de France, vestendo anche la maglia bianca di miglior giovane che appariva, addosso a quel colombiano con la faccia da vecchio, quasi un ossimoro ciclistico. Podi, tappe, maglie bianche oppure a pois, ma spesso sacrificato dalla sua squadra, la Movistar, in nome di quel Totem che portava il nome di Alejandro Valverde. Ogni qualvolta si muoveva divideva, e per anni la sua carriera è stata tutta un’etichetta. Se per Unzue era “come Indurain”, per Greg Lemond era “il nuovo Merckx”; “un incompiuto” da una parte i detrattori, i traditi, quelli che pensavano che Nairo Quintana potesse diventare il primo colombiano a vincere il Tour de France, dopo essere stato il primo a vincere il Giro, il secondo a vincere la Vuelta. Come se poi arrivarci così vicino fosse un’onta.

Il peso delle etichette difficilmente hanno scalfito il corridore. Nomignoli come “la sfinge” non gli sono mai dispiaciuti, come il tentativo di vedere in lui un supereroe costruito e poi destrutturato come in una sceneggiatura di Alan Moore: “Nairoman” lo chiamano ancora anche in Colombia dove resta un’autentica superstar.

“Il più forte colombiano della storia”: tifosi, ma non solo, tutto sommato numeri alla mano non ci siamo andati troppo lontano. Passato professionista nel 2012, due anni dopo aver portato la Colombia, a distanza di 25 anni dall’ultimo successo, al primo posto del Tour de l’Avenir, fino al 2022 ha vinto 51 volte: che dite? mica male per uno scalatore? Certo, ma bisognerebbe forse sottolinearlo di più. Lui che semplice scalatore non è mai stato. Vincere un grande giro è roba per corridori completi: lui nelle corse a tappe ha sempre dimostrato di essere attento anche quando davanti si battagliava tra i ventagli o si attaccava in discesa. Al suo apice è stato capace anche di difendersi a cronometro. Fino al 2022, dicevamo, perché poi all’improvviso la sua storia ha una brusca frenata. Si torna nel campo della controversia quando al Tour del 2022 viene trovato positivo al tramadolo e quel suo sesto posto finale viene cancellato. Licenziato dalla squadra, ha subito un anno di stop forzato, un ban silente, si direbbe. Fra pochi mesi lo rivedremo in azione, di nuovo in maglia Movistar «principalmente per aiutare Mas nei Grandi Giri» afferma sempre Unzue. Lui intanto appare in forma, si è allenato come non mai, dice, e in un ciclismo sempre più fatto da giovinastri esplosivi, non dispiace rivedere di nuovo il suo nome al via, che giovinastro che marcava differenza in salita lo è stato e forse lo vuole essere ancora. Anche a voi è mancato?

Foto in evidenza: ASO/PAuline Ballet


Il questionario cicloproustiano di Daniel Skerl

Qual è Il tratto principale del tuo carattere?
Vivacità e loquacità.

Quale è la qualità che apprezzi in un uomo?
Simpaticità, estroversione e onestà.

Quale è la qualità che apprezzi in una donna?
Se ci piacciamo reciprocamente.

Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
Il tempo che passano insieme a me.

Il tuo peggior difetto?
La pigrizia.

Il tuo hobby o passatempo preferito?
Il motorsport.

Cosa sogni per la tua felicità?
Una famiglia felice.

Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
Se mi nasce un figlio disabile.

Cosa vorresti essere?
Un figlio che ha reso i propri genitori orgogliosi e un padre ammirato dai propri figli.

In che paese/nazione vorresti vivere?
Opicina.

Il tuo colore preferito?
Rosso.

Il tuo animale preferito?
Il gatto.

Il tuo film preferito?
Cars (il primo).

Il tuo corridore preferito?
Nairo Quintana.

Un eroe nella tua vita reale?
Mio papà.

Una tua eroina nella vita reale?
Mia mamma.

Il tuo nome preferito?
Daniel.

Cosa detesti?
Se non posso fare ciò che vorrei e/o mi piacerebbe.

Un personaggio della storia che odi più di tutti?
Josef Mengele.

L’impresa storica che ammiri di più?
L’invenzione del motore a scoppio.

L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Froome Giro 2018.

Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Milano - Sanremo.

Un dono che vorresti avere?
Non lo so.

Come ti senti attualmente?
Parzialmente realizzato.

Lascia scritto il tuo motto della vita.
In life you make decisions and you don’t look back.


Matilde Vitillo: crescendo e cercando

Matilde Vitillo sta raccontando della sorella più piccola, dieci anni in meno, che già ora si cimenta con il ciclismo. La frase è veloce e quasi scivola via nella conversazione, però è importante, così la memorizziamo e torniamo a rifletterci pochi istanti dopo: «A quell'età, il ciclismo serve soprattutto per imparare a perdere». Già, ma cosa significa imparare a perdere e soprattutto perché è tanto importante.

Matilde Vitillo (Bepink) - Foto Massimo Fulgenzi/SprintCyclingAgency@2023

«Significa che nella vita, nonostante le molte similitudini, le cose sono più complesse che in una gara di ciclismo, soprattutto la vita non è una di quelle gare in cui si vince: la coppa, i fiori, il podio, gli applausi, non sono all'ordine del giorno. Anzi, spesso non ci sono proprio. Di vincere non capita molte volte, ma fare i conti con la vittoria, fuori dalla metafora, con quel che ci riesce semplice, con quello in cui riusciamo bene, è molto più facile. Quando le cose vanno bene, del resto, è sempre facile. Il punto è che, soprattutto nella società di oggi, si ha un disperato bisogno di sapere perdere, di riconoscere il valore della sconfitta e degli sconfitti. Credo che si debba imparare da bambini, perché da adulti non si impara più. E crescere convinti che conti solo vincere, impreparati ai fallimenti, alle delusioni, è un grosso problema. Non si impara, si molla, si lascia perdere appena si soffre, si resta scottati. Le prime gare in bicicletta, quelle in cui si perde sempre, te lo fanno capire molto bene». Vitillo accompagna tante volte la sorella alle gare e vede i genitori dei bambini riversare molte pressioni sulla loro prova, sul risultato, su quel che fanno o non fanno: si chiede il perché, si ricorda che lei queste pressioni non le ha mai avute e alla sorella, che, per carattere, tende a preoccuparsi, cerca di spiegarlo.
Per lei, poi, perdere, da bambina, era una cosa naturale, la definisce proprio così: si allenava solo quando poteva, talvolta andava alle gare senza prepararsi, non si aspettava molto, non si aspettava quasi nulla e tutto quello che arrivava era un di più. A fine gara, dice, era sempre contenta. La sconfitta vera, quella che fa stare male, che non fa dormire, l'ha conosciuta qualche anno dopo, da juniores secondo anno, in una cronometro. Era andata anche in ricognizione sul percorso perché teneva particolarmente a fare bene e tutto sembrava perfetto: «In curva, ho provato a superare una ragazza. Sono scivolata e finita malamente a terra, in un'aiuola, dall'altra parte della strada: a pezzi, sia per le ferite che per il morale. Mi è dispiaciuto, certo, ma, alla fine, cosa fare? Salvare il buono, senza lamentarsi troppo. Ora non farei più quel sorpasso. Ho imparato». Ripensandoci ride e il suo sembra ottimismo, in realtà, di lì a poco, ci confesserà di essere di indole pessimista, di pensare molto a quello che potrebbe non andare, di non avere quasi mai, prima di una corsa, la sensazione di poter vincere facilmente, di avere la gamba. Forse fa parte dell'introversione, sicuramente l'aiuta perché ancora oggi, come da bambina, a fine gara riesce a essere soddisfatta, qualunque cosa sia successa. A focalizzarsi sulla parte positiva e guardare oltre.

Matilde Vitillo (ITA - BePink) - Foto Massimo Fulgenzi/SprintCyclingAgency©2023

Classe 2001, di Frinco, Asti, al ciclismo non pensava proprio. Con i fratelli ha sempre fatto sport e spesso, quasi sempre, tutti e tre facevano lo stesso sport, che fosse il tennis, lo sci ed anche la danza classica. Solo una volta, Matilde Vitillo non ne voleva proprio sapere dello sport intrapreso dal fratello: la volta in cui, quello sport, era il ciclismo. «No, non lo praticherò mai. Io continuo a fare danza classica». Sì, disse proprio così, convinta. Servì poco meno di un anno per provare e decidere che la sua strada era questa: «Due parole: odi et amo. Non ci avrei mai pensato, non volevo nemmeno iniziare e ora fatico a pensarmi se non ciclista». Gioco di contrasti, come la prima volta in pista, stranamente con una bici con i freni, che rende tutto ancora più pericoloso: una brutta caduta, tirando i freni mentre si trova fra due biciclette, per paura. Catapultata in avanti, ammaccata e intimorita.
«Ricordo come ora il momento in cui il Commissario Tecnico della Regione mi accompagnò negli spogliatoi e mi aiutò a togliere la polvere dalle ferite. Mi segnarono quegli istanti, fu molto difficile e, fosse stato per me, non sarei più tornata in pista. Quel C.T. mi fece capire che dovevo riprovare: non potevo fuggire, scappare. Riprovai». La pista le ha insegnato la tattica, l'essere pronta, attenta, a gestire lo stress. Le piace, in particolare la corsa a punti, i risultati arrivano, ma lei non si sente una pistard, non è quella la sua vocazione. Si sente una passista-scalatrice: ama la fuga, ma sulle montagne deve tornare, per migliorare. Da giovane era già brava, è solo questione di recuperare quelle sensazioni. In pista invece vuole lavorare sulla resistenza.
Se non avesse fatto la ciclista, forse avrebbe studiato architettura o qualcosa di simile. Ci ha pensato anche quando si è trattato di iscriversi all'università, ma è un percorso difficile da portare avanti correndo in bicicletta. «Ed io so correre in bicicletta, non so cosa altro potrei fare»: un appunto messo lì, significativo, genuino. Nel periodo della scuola, pensava più alle gare in bici che allo studio e oggi si chiede se fosse giusto: sicuramente ha vissuto meglio lo studio grazie al ciclismo, a quei momenti di sfogo, di libertà. Che potesse diventare un lavoro l'ha capito grazie ad una convocazione in nazionale, da junior: «Erano dei test, nemmeno una gara. Ed io, pessimista come al solito, ero certa che avrei deluso le aspettative. Però, vedi, anche in quell'occasione mi sforzavo di trovare qualcosa di positivo: "Male che vada, avrai comunque un body della nazionale a casa". Mi salvavo così». Evidentemente non andò male.
L'anno scorso è stato da ricordare. Matilde Vitillo è emersa come una rivelazione, vari risultati importanti, soprattutto una vittoria, a la Vuelta a Burgos. I pensieri che volano, su come confermarsi, sul fatto che il 2023 sarebbe stato l'anno della consacrazione, di un passaggio importante. Purtroppo il 2023, per una serie di circostanze e vari problemi fisici, l'ha delusa: si aspettava di più.

Vuelta a Burgos Feminas 2022 - Matilde Vitillo (ITA - Bepink) - Foto Rafa Gomez/SprintCyclingAgency©2022

In Be-Pink c'è Walter Zini, colui che le ha insegnato praticamente tutto del ciclismo, con una visione di gara perfetta, anche dall'ammiraglia: «Walter è molto duro, rigido, ma non sbaglia un colpo. Quando ti dice di attaccare, puoi farlo ad occhi chiusi, perché è il momento giusto. Sigrid Corneo ha, invece, sempre rappresentato la parte di comprensione: "Basta l'impegno, poi quel che succede succede". Non so quale approccio preferisca, so che mi sono serviti entrambi per essere quella che sono oggi. Non è stato facile, ma ho deciso di cambiare squadra, di proseguire il percorso». Percorso è una parola chiave per Vitillo, che non parla di gare sognate o di traguardi, ma riflette molto sul continuare a crescere ed in ogni valutazione guarda il percorso più del risultato. Anche ora che deve confrontarsi con la fiducia che il nuovo team le ha consegnato: una fiducia di cui è felice, una fiducia che ha anche paura di deludere, com'è normale che sia.
Non parla nemmeno di sacrifici, ma di stile di vita, quello dei ciclisti, in cui si riconosce. Parla invece di fatica, essenziale, e dei suoi fratelli che la seguono ovunque e, se non possono partire, sono davanti ad uno schermo: loro che sono stati corridori e capiscono meglio di chiunque altro quel che prova. Nel suo vocabolario c'è anche la parola provare: da quella richiesta del team del politecnico di Torino, per testare un prototipo di bicicletta reclinata, una bicicletta su cui si corre da sdraiati: con una corona da 108 denti e un pacco pignoni da dodici velocità. «Non vedi fuori, se non attraverso degli schermi posti all'interno. Vieni lanciata ai dieci, quindici chilometri orari, poi inizi a pedalare, puoi raggiungere velocità altissime, fino ai 120 all'ora. Posso assicurare che è bellissimo: l'ho provato grazie al team policumbent, in Nevada, a "World Human Powered Speed Challenge". Ne sono grata». Un altro pezzo di percorso, per crescere.

Giro d'Italia Donne 2023 - Matilde Vitillo (ITA - BePink-Gold) - Foto Massimo Fulgenzi/SprintCyclingAgency©2023

Non ha mai avuto idoli o modelli nel ciclismo: spiega che è una domanda a cui non ha mai risposto. «Mai, tranne oggi. Perché quello che ha fatto Lotte Kopecky nell'ultimo anno mi ha toccato molto. Mi sono sentita e mi sento ispirata da lei: non solo per la ciclista che è, ma per la persona che ha dimostrato di essere. Per la sua semplicità e per come ha affrontato una perdita difficile, un grande dolore. Quindi, sì, da quest'anno ho un modello: è Lotte Kopecky». Sempre crescendo e cercando.


Il questionario cicloproustiano di Elena Bissolati

Il tratto principale del tuo carattere?
Testarda, determinata
Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Simpatia, essere premuroso e socievole
Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
Personalità, semplicità
Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
Stima, rispetto e pazzia
Il tuo peggior difetto?
Impulsiva, a volte impaziente
Il tuo hobby o passatempo preferito?
Ascoltare musica, disegnare, uscire con amici, guardare film/serie tv
Cosa sogni per la tua felicità?
Di non aver rimpianti e di godermi ogni cosa che faccio con serenità
Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
Per scaramanzia meglio non pensarci
Cosa vorresti essere?
Un animale
In che paese/nazione vorresti vivere?
Sono tradizionalista, mi piace il paese in cui vivo
Il tuo colore preferito?
Verde
Il tuo animale preferito?
La pantera
Il tuo scrittore preferito?
Non ne ho uno preferito, mi piace leggere thriller/gialli, narrativa/suspense
Il tuo film preferito?
Ce ne sono tanti... The others, Miglio Verde, Genio ribelle, Sette anime ed i "fantasy" come Harry Potter, La bussola d'oro, I pirati dei caraibi...e, come serie tv, Stranger Things
Il tuo musicista o gruppo preferito?
Linkin Park
Il tuo corridore preferito?
Kristina Vogel
Un eroe nella tua vita reale?
Mio papà e mio fratello
Una tua eroina nella vita reale?
Mamma
Il tuo nome preferito?
Marco
Cosa detesti?
La falsità e l'incoerenza
Un personaggio della storia che odi più di tutti?
Hitler
L’impresa storica che ammiri di più?
Il diritto al voto delle donne
L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Europei e mondiali in pista
Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Da quella che devo ancora fare
Un dono che vorresti avere?
L'invisibilità
Come ti senti attualmente?
Serena
Lascia scritto il tuo motto della vita
Tutto arriva al momento giusto. Sii paziente


Il questionario cicloproustiano di Sofia Bertizzolo

Il tratto principale del tuo carattere?
Decisione

Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Intraprendenza

Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
Praticità

Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
Sincerità

Il tuo peggior difetto?
Schiettezza

Il tuo hobby o passatempo preferito?
Curare il verde

Cosa sogni per la tua felicità?
La salute fisica e mentale delle persone a cui voglio bene

Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
La morte

Cosa vorresti essere?
Un gabbiano per volare sul mare

In che paese/nazione vorresti vivere?
Italia

Il tuo colore preferito?
Rosso

Il tuo animale preferito?
Leone

Il tuo scrittore preferito?
Non ne ho uno in particolare

Il tuo film preferito?
Il ciclone

Il tuo musicista o gruppo preferito?
Maneskin

Il tuo corridore preferito?
Non ne ho uno

Un eroe nella tua vita reale?
Nonno Vittorio

Una tua eroina nella vita reale?
La mia prima allenatrice donna, Fabiana

Il tuo nome preferito?
Eros

Cosa detesti?
Le persone indecise e il sushi

L’impresa storica che ammiri di più?
La Resistenza partigiana della Seconda Guerra Mondiale

L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Annemiek Van Vleuten che vince la "Course" con una rimonta incredibile su Van der Breggen. Mi sembra che fosse il 2018

Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Tutte le corse in cui vesto la maglia azzurra

Un dono che vorresti avere?
Essere sorda a comando per non sentire certi commenti infelici sulle donne

Come ti senti attualmente?
Libera e leggera

Lascia scritto il tuo motto della vita
L'esperienza conta più della grammatica


Il questionario cicloproustiano di Claudia Cretti

Il tratto principale del tuo carattere?
Sono una ragazza simpatica, sempre pronta ad una battuta e socievole

Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Degli uomini non considero molto la bellezza ma la capacità di ragionare e nel modo in cui usa la testa

Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
Delle donne noto subito se c'è una forte intesa

Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
La qualità migliore dei miei amici è quella di essermi stati vicino nei momenti più bui della mia vita e anche quelli di gioia e soddisfazione

Il tuo peggior difetto?
Si nota sia dal volto che da come parlo quando mi arrabbio

Il tuo hobby o passatempo preferito?
Amo leggere e ascoltare la musica, quando ho l'occasione mi piace andare nei musei e a volte ad un concerto

Cosa sogni per la tua felicità?
Dimostrare il mio valore e la mia forza nelle gare più importanti all'estero e viaggiare per conoscere la storia e la cultura delle persone fuori dall'Italia

Quale sarebbe per te la più grande disgrazia?
La scomparsa di una tra le persone a cui tengo molto

Cosa vorresti essere?
La sportiva più conosciuta in Italia

In che paese/nazione vorresti vivere?
Vorrei abitare o in Belgio o in Olanda: due paesi in cui rispettano ogni ciclista, pensano che il ciclismo sia lo sport migliore al mondo e utilizzano la bici sia per andare al lavoro, che per la spesa o per portare i nipoti /figli a scuola

Il tuo colore preferito?
Blu/fucsia

Il tuo animale preferito?
Cane, ti accompagna sempre

Il tuo scrittore preferito?
Ken Follet

Il tuo film preferito?
Ne ho visti molti, uno più bello dell'altro; forse uno tra i migliori è "La casa degli spiriti"

Il tuo musicista o gruppo preferito?
Vasco Rossi è il mio preferito, ma ascolto anche diversi generi: AC/DC, Beatles, Billie Eilish, Meduza

Il tuo corridore preferito?
Marco Pantani, ho iniziato ad andare in bici vedendolo alzare le braccia dopo gli arrivi con salite dure

Un eroe nella tua vita reale?
Giuseppe un poliziotto che ha contribuito a salvarmi la vita, rischiando la sua

Il tuo nome preferito?
Celeste

Cosa detesti?
Chi insulta e alcuni tipi di cibo

Un personaggio della storia che odi più di tutti?
Hitler

L'impresa storica che ammiri di più?
Nascita dei libri stampati: Gutenberg

L'impresa ciclistica che ricordi di più?
La mia vittoria agli Europei in pista a soltanto 17 anni

Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Dai mondiali. Si finiscono sia nel bene che nel male

Un dono che vorresti avere?
Capire bene le persone con cui parlo e che frequento

Come ti senti attualmente?
Felice dei miei risultati, ma pronta ad alzare l'asticella per puntare più in alto l'anno prossimo

Lascia scritto il motto della tua vita?
Ad maiora


Il questionario cicloproustiano di Elisa Longo Borghini

Il tratto principale del tuo carattere?
Determinazione.

Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Onestà.

Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
Onestà.

Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
La loro capacità di farmi sorridere e di farmi stare bene.

Il tuo peggior difetto?
Ho la memoria troppo lunga.

Il tuo hobby o passatempo preferito?
Leggere. Ma anche "fare niente", perché adesso a tutti piace dire che hanno mille hobby. A me piace anche riposare.

Cosa sogni per la tua felicità?
Avere l'orto.

Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
Perdere la memoria.

Cosa vorresti essere?
Il vento.

In che paese/nazione vorresti vivere?
Norvegia

Il tuo colore preferito?
Blu elettrico.

Il tuo animale preferito?
Il cane e l'asino.

Il tuo scrittore preferito?
Carlos Ruiz Zafón

Il tuo film preferito?
City of angels

Il tuo musicista o gruppo preferito?
Imagine Dragons / The Coldplay

Il tuo corridore preferito?
Mr G! Thomas!

Un eroe nella tua vita reale?
Mio papà.

Una tua eroina nella vita reale?
Rita Levi- Montalcini

Il tuo nome preferito?
Alessandro

Cosa detesti?
L'ananas sulla pizza

Un personaggio della storia che odi più di tutti?
Gavrilo Princip, anche se la Prima Guerra Mondiale sarebbe iniziata lo stesso.

L’impresa storica che ammiri di più?
La Resistenza.

L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Chris Froome sul Colle delle finestre, Giro 2018

Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Tour de France

Un dono che vorresti avere?
Un figlio, in futuro.

Come ti senti attualmente?
Assonnata.

Lascia scritto il tuo motto della vita
"Non maledire il buio, accendi una candela!"


Greta Marturano: scoprire il limite e oltrepassarlo

Ogni tanto, soprattutto dopo le cose belle, qualcuno, avvicinandosi a Greta Marturano, le chiede: «Ma non sei felice? Perché non gridi, non ridi a più non posso, non salti od esulti?». Lei prova a spiegare, come fa con noi, ma sa bene che non è facile capire: "Sono felice, talvolta anche molto felice, ma la mia felicità è dentro di me, la custodisco lì e ti dirò che, certe volte, mi pare persino di proteggerla, tenendola dentro. Certe sensazioni vivono solo dentro di me: è questo il punto". Viene pronunciata qui, per la prima volta, una parola che riveste grande importanza nella quotidianità di Greta Marturano: la timidezza.

Uno stato che fa parte di Marturano ragazza prima che atleta: «Sono sempre stata timida. Molto timida. Da bambina ancor di più. In ogni corsa, alla presentazione squadre, le atlete vengono chiamate per nome e cognome e alzano la mano per segnalare la loro presenza e salutare il pubblico. Io quella mano non l'ho mai alzata e, anzi, quando sento pronunciare il mio nome non vedo l'ora che si passi al nome successivo perché l'attenzione non sia focalizzata su di me. Non è facile, perché spesso la timidezza è scambiata per antipatia: non lo è. Solo che fuori dalla bicicletta trovo davvero difficile esprimermi». In sella, invece, "non si può essere timidi", è la certezza della venticinquenne di Cantù, per questo, da ciclista, Greta Marturano si sente un'altra persona e, da come ce lo dice, dal tono di voce, percepiamo che le piace.

Sua madre e suo padre correvano in bicicletta ben prima che lei nascesse: suo padre ha continuato anche dopo. Anche lei ha iniziato molto presto: a sei anni. Erano i tempi in cui correre in bicicletta significava soprattutto passare una domenica diversa dalle altre, magari andare a vedere il cugino correre o accompagnarlo alle gare. Certamente erano domeniche libere, nel senso più fisico del termine: «La libertà di una bicicletta è la libertà degli spazi aperti, senza mura e soffitti. Ci sono anche molte altre forme di libertà, quando si pedala, ma la prima è quella». Le normali domeniche finiscono, allo stesso modo quelle domeniche sono cambiate, si sono trasformate in qualcosa di diverso, pur cercando di mantenere almeno parte della spensieratezza che le contraddistingueva. In certi momenti è più semplice, in altri più complesso: «Le pressioni non vengono dall'esterno, vengono da me. Cerco di mettermene il meno possibile, ma, alla fine, mi sono convinta che, con il mio carattere, non sia facile vivere serenamente quel che accade. Così qualche pressione me la impongo sempre». Per anni, quella pressione autoimposta era la realizzazione del sogno di passare professionista, di poter fare del ciclismo un lavoro. Ora che ci è riuscita, che quel sogno si è avverato, anzi, che quel sogno l'ha avverato, Marturano vuole sapere, vuole conoscere. A costo di stare male.

Greta Marturano - Foto Photogomez/BettiniPhoto©2020

«Non mi è ancora accaduto di terminare una corsa e di sdraiarmi a terra, senza alcuna energia. Di sentirmi sfinita, finita. Non mi è ancora capitato e, sebbene sia una sensazione bruttissima da provare, vorrei provarla. Devo arrivare al limite: mi ci sono avvicinata parecchie volte, ma non l'ho mai toccato. Il giorno in cui capiterà, mi sarò conosciuta fino in fondo e, da lì, potrò davvero guardare avanti e dirmi dove voglio arrivare, dove posso arrivare». Scalatrice, con un buono spunto veloce che le permette di giocarsela in volate di gruppi ristretti, è affascinata dai percorsi nervosi: quando è passata nelle élite, ha iniziato a partecipare a quelle gare che considerava "da sogno" e questo è un orgoglio, ma il pensiero della vittoria bussa spesso. E la vittoria, quando arriverà, arriverà seguendo la legge di quella frase che a Greta piace tanto: "Se arrivi al limite, superalo".

Un detto che, a dire il vero, ha già applicato. L'estate scorsa, ad esempio. Era il 28 agosto, quando è arrivata la chiamata della Fenix-Deceuninck, nei giorni immediatamente successivi alla rottura della clavicola nella gara di Vittorio Veneto, nei giorni in cui continuava a chiedere ai medici quando sarebbe potuta tornare in sella: dopo una settimana era sui rulli, poi di nuovo in bicicletta, nonostante il dolore. «Piangersi addosso, lamentarsi, non è una soluzione- racconta- tanto più che le donne e gli uomini possono reagire a quel che accade, trovare soluzioni». Sì, le soluzioni che Greta Marturano ha imparato a trovare anche di fronte alle cose belle, perché anche lì c'è una parte che spaventa e di fronte a cui è necessario mettersi d'impegno e cercare una via da percorrere.

«In quella telefonata ero contenta ed impaurita. A tratti più contenta, a tratti più impaurita. Sarebbe stata la prima volta all'estero, da sola, con tutte persone che parlavano inglese ed il mio livello di inglese, in quella circostanza, non era adatto a sostenere una conversazione quotidiana». Giorni e giorni con un insegnante, a fare esercizi di comunicazione e di ascolto e sere e sere ad ascoltare podcast in lingua originale, due mesi per la precisione, poi la richiesta al suo coach: «Per favore, con me parla in inglese, ne ho bisogno». Gli ostacoli che capitano e che si superano perché, al primo training camp, tutti erano pronti a fare i complimenti a Marturano per come riusciva ad esprimersi, stupiti da quella capacità appresa in così poco tempo. Momenti che hanno a che vedere con il concetto di limite ma anche con quello di consapevolezza, di fiducia nei propri mezzi: «Mi sembra di sentire ancora Lucio Rigato, in Fassa Bortolo, quando mi telefonava una volta a settimana, anche nei momenti in cui "non sapevo da che parte fossi girata", e mi diceva di credere in me. Me lo diceva perché era lui a crederci, molto più di me. Anche adesso, ogni tre, quattro settimane ci sentiamo e Lucio è orgoglioso, così orgoglioso, di avermi affiancata nel percorso che mi ha portato fino a qui».

Greta Marturano - Foto Luca Bettini/SprintCyclingAgency©2023

Le è servito anche lo scorso mese di agosto, al Tour of Scandinavia, dove è avvenuta un'altra prima volta: una caduta, varie ammaccature, sbucciature, ferite, il ritiro, l'attesa in aeroporto e un volo da prendere da sola. Sempre in agosto, un mese per lei sfortunato, su cui, ancora dolorante, trova modo di ironizzare. Nel frattempo ripensa a quello che il Tour of Scandinavia le ha lasciato: due top ten ed un prestigioso quarto posto nella seconda tappa, dietro a Ludwig, van Vleuten e Cadzow.

«L'idea della squadra è quella di permettermi di sbagliare il più possibile. In un certo senso, vogliono che sbagli, perché il confronto dietro ogni errore mi permette di crescere. Avessi lavorato meno, durante la seconda tappa, probabilmente avrei fatto anche meglio, ma io stavo bene, non faticavo a stare con le prime. Ricordo che, ad un certo punto, dietro a van Vleuten, ho persino pensato al significato di essere alla sua ruota in una delle sue ultime gare prima del ritiro. C'è stato un momento in cui non capivo più niente e l'indicazione era di fare come mi sentivo. Credo sia stato giusto così: la prossima volta, però, saprò come gestirmi. Lo stesso vale per le volate: vero è che mi sono piazzata decima nella terza tappa, ma ho preso la volata in quarantesima posizione. Chissà, se fossi partita dalla posizione giusta, cosa avrei potuto fare». Tra le scelte della squadra, anche quella di proporre a Marturano un calendario con solo gare World Tour, perché solo gareggiando contro le più forti è possibile continuare il miglioramento. Un periodo di apparente blocco, con l'aumentare delle difficoltà, poi un ottavo posto in Sardegna, al Giro Donne e le cose che cambiano prospettiva, mentre il poter sbagliare senza alcun giudizio, rafforza il coraggio di agire.

Durante la quarta frazione del Tour of Scandinavia, una caduta. Greta Marturano porta i segni delle ferite e il male dell'impatto a terra ed è proprio questo a preoccupare lo staff della squadra che, a sera, chiede alla sua compagna di camera, Carina Schrempf, di controllare come stesse Marturano durante la nottata. Greta dorme, ma sente Schrempf che si avvicina al letto: «Ogni ora, ora e mezza, veniva a guardare se stessi meglio. Avevo il volo del ritorno alle sei del mattino. Alle tre e mezza si è svegliata con me, mi ha aiutato a portare valigie e zainetto in aeroporto, accanto all'albergo: "Non torno in camera, fino a che non passi i controlli". A causa dell'annullamento del volo, stando già male, sono andata in tilt: alle tre e mezza del mattino non potevo certo chiamare qualcuno per aiutarmi a riorganizzare il viaggio: "Tu mettiti tranquilla- mi ha detto Carina- non fare nulla. Dammi tempo, ti prenoto tutto io: vedrai che ce la facciamo". Ce l'abbiamo fatta, ho ancora dolore ovunque, l'importante è che non ci sia niente di rotto. Importante è stato ogni gesto di Carina, quella notte».

Qualche giorno dopo, Greta Marturano aveva già ripreso a pedalare: «Avrei dovuto fare un'ora, ne ho fatta una e mezza. Ne avevo bisogno, domani riposo, dopodomani ne farò due». Ha scelto di non seguire il Gp Plouay in televisione, per il dispiacere che ha provato nel non esserci, mentre al prossimo Giro di Romandia vuole continuare il percorso iniziato in Scandinavia, cercare le stesse sensazioni. Nel frattempo, sono sul tavolo idee e programmi per l'anno prossimo. Per scoprire il limite e andare oltre.