Il 5 febbraio 2023 a Hoogerheide

Non è il 30 ottobre del 1974 a Kinshasa, non è The Fight o Rumble in The Jungle. Non può essere Alì contro Foreman, perché è il 5 febbraio del 2023, a Hoogerheide, ed è van der Poel contro van Aert e viene presentato come il Mondiale di ciclocross più atteso di sempre.
Non c’è più niente da nascondere, basta pretattica: quello che si ha lo si tira fuori, sul percorso oppure altrove, comprese le foto che sui social vengono mostrate da stamattina: van Aert contro van der Poel in ogni forma ed età. Bambini in uno studio televisivo, uno con la faccia imbronciata, l’altro un po' stupito, contento, curioso, oppure sul podio a darsi un pugnetto poco convinto, o ce n'è una, più ricostruita, che raffigura un braccio di ferro tra i due, dove uno tiene lo sguardo fisso negli occhi dell’altro come un duello ripreso per il momento di maggiore tensione di uno spaghetti western.
Un western del Nord, belga e olandese, una questione per qualcuno di statistiche: van Aert ha vinto tot gare mentre van der Poel gli è superiore in questo e quello. È uno scontro fatto di polemiche, come ogni diatriba, serve a colorare la vigilia; è qualcosa in cui tutti si fanno da parte e lasciano la scena a loro. È l'apoteosi della superiorità. È devastante per gli altri. È un anticipo della stagione su strada, è il finale della stagione nel cross.
Non vorremmo mai spostare l’attenzione dalla corsa, ma bisognerebbe almeno citare, e lo facciamo, la quantità di gente, di colori e di rumori lungo tutto il percorso di Hoogerheide, Olanda.
Non vorremmo mai spostare l’attenzione dal colore tutto intorno, ma ci tocca ritornare in corsa: è quel che conta oggi. Dopo tre minuti attacca van der Poel, quarantatré secondi dopo i due se ne vanno, inizia il braccio di ferro, non li rivedono più. È un continuo logorarsi a vicenda, un domandarsi, giro dopo giro, chi vincerà? Chi è più forte dell’altro? Dove attaccherà Wout? E Mathieu sfrutterà le barriere?
Uno è spalluto, l’altro una sfinge. Uno attacca, l’altro risponde.
Uno prova ad allungare in un punto, l'altro cerca il proprio limite per evidenziare quello del suo avversario.
Avremmo voluto vederne ancora, e poi ancora, e ancora, ancora, fino a dire basta. Un altro giro, ma poi quell’ultimo giro è arrivato. C’è silenzio per un attimo, o almeno così pare di percepire, come in una di quelle piazze vuote a El Paso, Texas, oltre un secolo fa. C’è tempismo, potenza, c'è lo spiccato senso tattico che da un po’ di tempo è diventato parte del corredo agonistico di van der Poel che scatta sul rettilineo finale e vince.
E poi c'è quella domanda che sorge spontanea: l'idea dell’uno di andare così a tutta dall'inizio, può aver logorato l’altro svuotandolo dell'energia necessaria per fare la differenza prima della volata? Van Aert dice, più o meno, che è andata così, il 5 febbraio del 2023 a Hoogerheide.


Esattamente come quel bambino

Quel bambino che correva di fianco alle transenne, nella zona dei pullman delle squadre al Giro, è come se fosse ancora lì. Lì nel senso rimasto conficcato in uno spazietto della nostra mente, altrimenti come minimo sarebbe scattata una denuncia nei confronti dei genitori. Ha le ciabatte ai piedi (faceva caldo, eh), cade e si rialza ma lui vuole solo van der Poel e infatti urla "Vanderpuuul". Immaginatevelo inquadrato con una lunga carrellata.
Domenica, nella caratteristica Hulst, i bambini, questa volta olandesi e belgi, potranno fare più o meno la stessa cosa, magari con altre facce e altre cadenze. Magari non con le ciabatte ai piedi (altra denuncia in arrivo sennò) e visto il clima del nord pure con un piumino, una giacchina pesante, ma tuttavia loro saranno il contorno perché l'attesa è tutta per lui. E quindi ora la carrellata immaginatevela su van der Poel, magari con immagini risalenti al passato quasi remoto, perché, come ha detto lui: «A causa dei problemi della scorsa stagione, è come se fossi assente dal cross da due anni».
«Sto lavorando molto per risolvere i problemi alla schiena - racconta il classe '95, nipote e figlio d'arte, in conferenza stampa a tre giorni dal suo rientro nel circuito del ciclocross - perché resta la parte che mi preoccupa di più dell'inverno. Ora sto bene, lo stesso non si poteva dire dello scorso anno», quando, a causa del famoso incidente ai Giochi Olimpici di Tokyo, arrivò in inverno fatto a metà e finendo per disputare solo un paio di gare di cross, senza nemmeno prendere il via al Mondiale. Sarà infatti quella stagione senza titoli che lo porterà domenica, per la prima volta dopo quasi otto anni, a correre non con la maglia di campione di qualcosa (nazionale, europeo, mondiale), ma con quella di club.
Di recente per il corridore olandese, un intoppo, una ripartenza. Quest'anno, dopo il Giro d'Italia, un Tour appena percettibile con il ritiro (in buono stile oltretutto, arrivato dopo aver tentato la fuga da lontano con van Aert) e la ricerca della causa, per cercare di capire il perché la condizione pareva non volesse arrivare più. «Forse l'inverno difficile, i problemi alla schiena, forse le fatiche di un primo Grande Giro concluso dopo una primavera di corse a tutta e l'aver fatto un lungo ritiro subito dopo la Corsa Rosa. Forse una combinazione di tutti questi fattori». Si è cercato il sintomo, non si è mai arrivati a una verità assoluta.
Domenica a Hulst, in Olanda, Coppa del Mondo, non cercherà risposte: traspare una certa sicurezza dal suo modo di essere e comunicare: «Ho fame, amo correre e amo il ciclocross. Punto al Mondiale, ma penso di avere la forma giusta per vincere: è vero che partirò molto dietro e a Hulst non è facile rimontare essendo un percorso piuttosto veloce, ma mi sento pronto. Avete visto Pidcock? Lui ha dimostrato alla seconda gara di essere già in grado di vincere e quando rientrerà van Aert lo farà vedere anche lui». Perché dovrebbe essere diverso per uno dei più grandi crossisti di tutti i tempi?
Ha già annunciato che (lacrimuccia), il prossimo anno farà il Tour e non il Giro, perché non si sente ancora adatto a correrne di nuovo due nella stessa stagione (anche perché con la spavalderia con cui affronta le gare, minimo fonderebbe il motore) e spera di ritornare sano e senza problemi come il van der Poel di qualche stagione fa (eheh, ti piacerebbe, ma il tempo purtroppo passa per tutti).
Domenica a Hulst, mathieu van der Poel ripartirà, si rialzerà, dovesse cadere, esattamente come quel bambino che urlava il suo nome correndo lungo le transenne. Anche noi urleremo il suo nome, comodamente da casa. Sperando di non cadere a nostra volta dal divano perché iniziamo ad avere acciacchi e una certa età, e forse non ci rialzeremmo così facilmente come quel bambino. Né come, si spera, farà van der Poel.


Il monumentale del Tour 2022

 

Maggio adagio con il Giro d'Italia, a giugno ci sono da fare un po' di conti e vedere chi sta bene, chi cresce e chi cala perché poi arriva luglio e con Niña quest'anno c'è poco da scherzare; poi arriva luglio che per noi significa più che altro Tour de France. Si parte da Copenaghen per arrivare a Parigi, due capitali europee unite dalle biciclette nel giro di ventuno tappe (e tre giorni di riposo), con 176 corridori al via e tra loro un grande favorito, con due rivali, già battuti al Tour, e almeno una decina di altri contendenti alle parti nobili della classifica. Chiamiamoli outsider e procediamo.

IL BAMBINO IN GIALLO

Foto: ASO/Charly Lopez

 

Ha le sembianze di un bambino quel favorito - tanto che il suo compagno di squadra Majka lo chiama proprio così , "bambino", intendiamo, non favorito - e sembra fare tutto con leggerezza, gli piace dare spettacolo, non si nasconde quando deve attaccare da lontano; ci provò alla Vuelta al suo primo Grande Giro che chiuse sul podio, così, sbucando in mezzo agli altri contendenti con la stessa verve e la strafottenza apparente di un personaggio di un racconto di Mark Twain.

Guida il mezzo con perentoria calma e a tratti disumana facilità, è potente, magari non elegantissimo (ma c'è a chi piace, chi scrive, per esempio, è affascinato da quell'ondeggiare di spalle, da quella testa messa leggermente di traverso e la bocca socchiusa sempre pronta a imitare una smorfia tra la gioia e il dolore). Ha un ciuffo che esce dal suo casco (ma attenzione! Ieri si è presentato sul palco con un nuovo taglio!) che fa quasi tendenza.

Sorride spesso, ci verrebbe da dire sempre, e quest'anno si è voluto persino misurare nelle classiche del pavé buttando via l'eccesso di specializzazione che ha visto in parte distruggere lo spettacolo e portare alla monotonia il ciclismo da fine anni '90 a qualche stagione fa, e lui poi facendo così ha rischiato di vincere un Giro delle Fiandre.

Arriva dalla vicina (per noi) Slovenia e ha solo 23 anni e mezzo; un Tour lo ha ribaltato a cronometro, un altro lo ha fatto suo nella prima tappa di montagna, ma le insidie per Tadej Pogačar (sì parliamo proprio di lui se non lo avevate capito) non mancheranno.
Qualche punto debole: si dice possa essere il caldo e quest'anno al Tour ne farà tantissimo (nulla di nuovo) visto l'andazzo dell'estate; si dice che ancora soffra leggermente le scalate molto lunghe – contestualizziamo sempre però, dove soffre Pogačar, il 99,9% del gruppo si è già staccato. I tecnici della Jumbo hanno già dichiarato che batterlo sarà difficile se non impossibile, ma da qualche parte bisognerà iniziare se non altro per tuffarci nell'ignoto di ogni manifestazione sportiva, nonostante la presenza di singoli - o nel caso fosse un gioco di squadra, collettivi - all'apparenza dalle sembianze di imbattibili cannibali.

TUTTI PER TAMAU

 

Foto: Kei Tsuji/SprintCyclingAgency©2022

 

Tutti per "Tamau", il piccolino, allora, che avrà una squadra interamente dedicata a lui: d'altra parte come si potrebbe solo immaginare il contrario. Di lui ne abbiamo già parlato, del suo fedelissimo Rafał Majka ne abbiamo appena accennato, il polacco entrerà nelle rotazioni in salita insieme a George Bennett, praticamente ingaggiato quasi esclusivamente per dare man forte allo sloveno al Tour, e al nostro cavallo pazzo preferito, Marc Soler, che pare abbia trovato la quadra sotto la guida di Matxin.

Poi c'è Brandon McNulty. Di questi tempi farebbe comodo avere un corridore di riserva su cui fare affidamento per la classifica generale, non si sa mai: siamo in quel periodo storico dove da un giorno all'altro ti ritrovi fuori dalla corsa per un tampone positivo e la UAE Team Emirates ha già vissuto brutti momenti al Giro, vedi ritiro di Almeida a pochi giorni dalla fine. McNulty probabilmente in un'altra squadra farebbe classifica, qui al Tour sarà un gregario travestito da seconda punta. A dare brio alla squadra avrebbe dovuto esserci l'esperto e solido Trentin con il ruolo di tenere davanti Pogačar, consigliarlo, tirarlo fuori dai guai. Ma indovinate un po'? Positivo al Covid. Al suo posto rientra in extremis Marc Hirschi, che come Trentin vinse la prima corsa da professionista proprio al Tour e che, come sarebbe dovuto toccare all'italiano, abbandonerà velleità personali per aiutare il suo capitano, con il quale se le dava di santa ragione sin dalle categorie giovanili.

Poi ancora: Mikkel Bjerg che, risolti i tanti problemi fisici di questa stagione sarà la costante invece in pianura, con lui Vegard Stake Laengen sempre col compito di coprire il più possibile le spalle (ma anche a ripararlo dall'aria) al due volte vincitore del Tour.

TUTTI CONTRO TAMAU

 

Foto: ASO/Charly Lopez

 

Iniziamo da uno squadrone che fa "tremare le vene e i polsi". Magari non proprio nel senso dantesco del termine - non siamo di fronte alla bestia, la lupa, una delle tre fiere che spaventa Dante nel primo canto dell'Inferno - ma è una squadra che incute timore agli avversari, quello sì. Intanto: coppia di capitani. Primož Roglič e Jonas Vingegaard che citiamo in ordine di anzianità: i battuti, seppure in modo diametralmente opposto, da Pogačar negli ultimi due Tour de France. Inutile soffermarci su come è andata, piuttosto vediamo come potrebbe andare.

Roglič, al Delfinato, grazie a una squadra nettamente superiore alla concorrenza, sembra aver ritrovato quello smalto che, a causa di un problema fisico, ne aveva fatto scendere le quotazioni in stagione. Dopo tre Vuelta e due vittorie sfiorate tra Tour e Giro, dopo la caduta che lo mise fuori gioco lo scorso anno sulle strade francesi e vista anche la carta d'identità, per l'altra faccia della moneta slovena potrebbe essere l'ultima (o quasi) possibilità di provare a indossare la maglia gialla anche a Parigi, con l'Arc de Triomphe sullo sfondo.

 

Secondo, però, i si dice, partirà alla pari con Jonas Vingegaard; se analizzassimo grossolanamente l'ultimo Tour, il danese – che parte giocando in casa, motivazione in più - pagò da Pogačar praticamente quasi solo a Le Grand Bornand, per l'esattezza solo sul Colle de Romme dove il giovane sloveno inflisse distacchi d'altri tempi a tutti. Il giorno dopo perse altri 30 secondi, ma poi sul Ventoux lo mise in difficoltà, perdendo poi in volata nelle ultime due tappe di montagna, Saint-Lary-Soulan e Luz Ardiden. A crono si difende molto bene nonostante a vederlo paia decisamente un peso piuma, ma è capace di spingere forte e a cadenze impensabili; in stagione anche lui, a differenza di Pogačar, tanti alti e bassi, ma al Delfinato, dove ha corso in appoggio a Roglič, ha impressionato. A tratti più dello sloveno con il quale condivide lo stesso tetto. Anche se nella testa di molti si parte già battuti, qualcosa con questi due corridori gli olandesi possono inventarsela. Da capire se la squadra adotterà una tattica aggressiva fatta di attacchi fantasiosi, anticipi e imboscate, oppure deciderà di controllare per provare a piazzare qualche colpo nei finali di tappa più duri come successo nelle corse di questa stagione. L'impressione è che la seconda via potrebbe non bastare per scalfire Pogačar, mentre il primo modo renderebbe la corsa più spettacolare.

 

Foto: ASO/Pauline Ballet

 

C'è una terza stella in casa Jumbo Visma che brilla di luce propria a prescindere da discorsi riguardanti la classifica generale: Wout van Aert. Tuttofare del gruppo per antonomasia, van Aert insegue la maglia gialla il primo giorno, la maglia verde magari già dal secondo, ma le possibilità di vestire il simbolo del primato assoluto resteranno intatte fino alla prima tappa di montagna e anzi, tra ventagli e pavé sarà una pedina fondamentale nello scacchiere olandese, con la consapevolezza che un po', giusto un po', lavorerà per se stesso lanciando l'ennesima sfida alla sua nemesi, Mathieu van der Poel. Terreno ce n'è in abbondanza per farci divertire oltremodo.

 

Sepp Kuss, che vince all'ultimo il ballottaggio con Gesink e Dennis, e Steven Kruijswijk, oltremodo brillante come non lo si vedeva da anni al Delfinato, saranno gli sgrezzatori del gruppo in salita, Nathan van Hooydonck è l'uomo di riferimento per van Aert, Cristophe Laporte sarà la versione in tono minore dell'ex campione nazionale belga e dovrà lavorare tanto – se non solo - per la squadra, mentre Tiesj Benoot rappresenta il gregario jolly. A seconda della situazione lo troveremo davanti in pianura, in salita, in collina, persino sul pavé, sempre con le medesime garanzie di alte prestazioni. Otto corridori di cui almeno cinque sarebbero capitani altrove. Squadrone.

 

TUTTI (TANTI) GLI OUTSIDER

 

Foto: Vincent Kalut/PhotoNews/SprintCyclingAgency©2022

 

La lotta al podio e alle posizioni alte della classifica sarà incandescente come l'aria che si respira (“respira”, si fa per dire) in queste settimane. A guidare la fila dei pretendenti al podio Alexander Vlasov. Il russo, 4° al Giro lo scorso anno - senza mai farsi notare troppo - è forse una delle rivelazioni di questa stagione. Rivelazione si fa per dire: spieghiamoci. Vlasov era un corridore atteso al salto di qualità dopo le belle cose fatte vedere da giovane - vincitore del Giro Under 23 nel 2018 davanti ad Almeida e Stannard e 4° nella stessa stagione al Tour de l'Avenir dietro Pogačar, Arensman e Mäder - un corridore che già aveva fatto cose interessanti tra i professionisti (vittoria al Giro dell'Emilia post confinamento per la pandemia), ma quest'anno è sempre stato protagonista ovunque ha corso, gare a tappe o gare di un giorno, in montagna, a cronometro, sugli strappi e persino negli sprint ristretti. Un altro Vlasov a tratti scalatore (ma con alcuni limiti quando le salite superano un certo chilometraggio), a tratti puncheur, a tratti cronoman, che, se confermerà la crescita, sopporterà il grande caldo, riuscirà a dare continuità ai suoi risultati, resta come uno dei nomi più credibili nella lotta al podio. La BORA-hansgrohe, oltretutto, uno scherzetto lo ha già combinato e pure grosso al Giro, andando a vincere per la prima volta nella sua storia una corsa a tappe di tre settimane. Niente male per la squadra tedesca che nel giro di pochi anni è passata da essere una Professional invitata con tanto di polemiche al Giro (era il 2012) a una delle squadre riferimento in gruppo. Di fianco a Vlasov una squadra interamente dedicata alla sua casa: Lennard Kämna, fresco di titolo nazionale a cronometro, dopo la vittoria al Giro sull'Etna ci riprova con il Tour, dove per altro ha già conquistato un successo nel 2020: in salita sarà uno spauracchio delle fughe, ma potrà essere una pedina preziosa per la classifica di Vlasov. A caccia di tappe in casa BORA-hansgrohe anche Schachmann, lottatore e fondista per antonomasia, non disdegna le lunghe fughe, oltre a Konrad e Politt, entrambi andati a segno al Tour nel 2021, con questo ultimo che correrà con la maglia di campione di Germania e Grossschartner, lui invece fresco campione d'Austria. Infine presenti Danny van Poppel e Marco Haller; il primo veloce, regolare, utilissimo alla causa, darà una mano al suo capitano magari nella tappa delle pietre, ma proverà anche a togliersi qualche soddisfazione: potrebbe essere un abbonato alla top ten, mentre il secondo, anche lui veloce, coraggioso, sarà uomo squadra fondamentale: dalle fughe, agli sprint, al tenere al sicuro i propri capitani.

 

 

Sarà invece una Ineos Grenadiers a tre teste per la classifica. In origine doveva esserci Bernal, ma sappiamo com'è andata e dopo aver dirottato Carapaz al Giro, la squadra britannica si presenterà al Tour con buone credenziali, è vero, ma senza un nome così pesante da far pensare a un podio. Ai due capitani designati alla vigilia per fare classifica, Adam Yates e Daniel Felipe Martinez, si è aggiunto Geraint Thomas, 36 anni e in arrivo da mesi molto complicati. La vittoria al Tour de Suisse del gallese, maturata è vero dietro circostanze particolari visti i tantissimi ritiri per Covid e malanni vari, lo ha rilanciato anche nelle gerarchie di casa Ineos e grazie anche allo storico (una vittoria e un podio al Tour) e al pedigree di qualità, Geraint Thomas, per tutti G., partirà alla pari degli altri due. L'importante per lui sarà superare indenne le prime complicatissime tappe. Daniel Felipe Martinez, dopo il Giro 2021 chiuso al quinto posto e in crescita pur correndo da gregario, arriva un po' a fari spenti , ma occhio perché il ragazzo colombiano ha grandi qualità da mettere in strada, si difende a cronometro, sa scattare, ha coraggio. Coraggio che non si può certo inserire tra le caratteristiche principali di Adam Yates. Chi scrive lo vede un gradino inferiore agli altri due, ma la sua squadra la pensa diversamente e anche alcuni risultati maturati in passato potrebbero smentirci: 4° per esempio nel 2016 al Tour, quando vinse anche la maglia bianca e arrivo a poco più di 37” dal secondo posto di Bardet, oppure 4° lo scorso anno alla Vuelta quando riuscì ad andare anche più forte di Bernal. L'idea è quello di vederlo lottare comunque per una dignitosissima top ten oltre a inseguire quel successo di tappa che ancora gli manca in un Grande Giro. Il resto della squadra vedrà Tom Pidcock pronto a sfruttare le diverse tappe adattissime a lui e a lanciare l'ennesima bellissima sfida con gli altri due giganti del ciclocross, Filippo Ganna per la prima la maglia gialla della sua carriera e del Tour 2022, Luke Rowe, Jonathan Castroviejo e Dylan van Baarle invece per dare (quasi esclusivamente) il loro enorme contributo al lavoro di squadra.

 

Foto: Kei Tsuji/SprintCyclingAgency©2022

 

Punta il podio il duo Bahrain formato da Damiano Caruso e Jack Haig. Il siciliano ha chiuso 4° al Delfinato pur senza brillare e questo ci dà un'idea della dimensione in cui si trova in questo momento il classe '87 di Ragusa, secondo al Giro dello scorso anno dove a un certo punto fece pure tremare la maglia rosa di Bernal. Smaltiti i carichi, Caruso, sempre capace di correre davanti, superate le insidie delle prime tappe, in salita si propone come uno dei corridori più forti. Al suo fianco Haig, che ha caratteristiche differenti, meno solidità a cronometro, persino meno appariscente, partirà forse leggermente defilato, ma attenzione, l'australiano, lo scorso anno, dopo il ritiro al Tour a causa di una caduta (era partito anche fortissimo nelle prime due tappe) ha disputato una Vuelta così consistente da salire sul podio, e dunque sarà difficile tenerlo fuori dai discorsi di alta classifica. Squadra robusta, di livello quella di fianco ai capitani, seppure con qualche assenza. Senza Mäder ammalato, sarà Dylan Teuns a dare una mano in salita e perché no, potrà timbrare il cartellino dalla fuga, cosa che gli è già riuscita altre volte (l'ultima a Le Grand Bornand dodici mesi fa), con l'eterno Luis Leon Sanchez che avrà un occhio di riguardo per i suoi su tutti i terreni. Matej Mohorič è uno dei corridori più attesi per i successi di tappa, il jolly capace, se in giornata, di vincere su (quasi) tutti i terreni, mentre sarà compito di Fred Wright e Jan Tratnik muleggiare un po' ovunque e di Kamil Gradek farlo quasi esclusivamente in pianura.

 

Foto: Rafa Gomez/SprintCyclingAgency©2022

 

Per la classifica come non considerare Enric Mas, Movistar, il più regolare dei regolaristi, uno che ogni tanto ci prova a sferrare l'attacco che puntualmente viene riassorbito ma che comunque può fare male: quando ha la giornata buona riesce a essere tra i due/tre migliori scalatori del gruppo. Il 27enne spagnolo è un habitué dei piani alti della classifica dei Grandi Giri, due podi alla Vuelta e un quinto posto, un quinto e un sesto posto al Tour e il riscatto della Movistar, sin qui autrice di una stagione totalmente mediocre, passa proprio dal Tour di Mas, il quale però non va dimenticato arriva da un brutto ruzzolone al Delfinato. La squadra con Carlos Verona, Imanol Erviti (al suo 28° grande Giro, 1 in più di Nibali e LL Sanchez, tra i corridori in attività solo Valverde ne ha disputati di più, 32)), Gorka Izagirre, Matteo Jorgenson – occhio all'americano per le vittorie di tappa- , Gregor Mühlberger, Nelson Oliveira e Albert Torres è tutta per lui.

 

Foto: ASO/Pauline Ballet

 

C'è Ben O'Connor, AG2R Citroën, una delle rivelazioni dello scorso anno; una bella vittoria di tappa che lo ha lanciato in classifica, una discreta resistenza a crono e poi in tutte le tappe di montagna. Morale? 4° posto finale con l'intenzione di confermarlo o persino migliorarlo quest'anno. Va forte in salita, è regolare a crono, non ha paura di attaccare, ma in un Tour che rischia di essere chiuso per le prime tre posizioni, potrebbe, tramite la costanza di rendimento confermare un piazzamento nei primi cinque, sei della generale che sarebbe poi un risultato di grandissimo spessore.

Di fianco gli è stata costruita una formazione che cercherà comunque le vittorie di tappa, attesissimo da questo punto di vista Benoît Cosnefroy, con Mikaël Cherel gregario al suo ultimo Tour prima del ritiro a fine stagione, e Geoffrey Bouchard e Bob Jungels uomini da salita. Occhio all'ex commesso decathlon che potrebbe inseguire la tripletta dopo aver vinto la maglia dei GPM sia al Giro che alla Vuelta, mentre il lussemburghese sembra ritrovato dopo un paio di stagioni da incubo con problemi anche di natura psicologica. Aurélien Paret Peintre è un bel talento completo che pare un po' smarrito, Stan Dewulf andrà all'attacco quando potrà e infine Oliver Naesen che vince il ballottaggio con Van Avermaet (uno degli esclusi di lusso da questo Tour) e proverà a piazzarsi nelle volate – e perché no, potrebbe aver cerchiato di rosso la tappa di Arenberg.

 

Foto: Luca Bettini/SprintCyclingAgency©2022

 

Restando in Francia: Groupama-FDJ con un terzetto che non fa della continuità la sua arma migliore, ma che se dovesse trovare le tre settimane di grazia potrebbe dare fastidio a molti in salita e anche in classifica. David Gaudu (leader designato dopo un po' di gavetta e qualche piccolo passo falso, arriva da un Delfinato dove ha battuto van Aert in uno sprint in salita, salvo poi cedere in montagna), Thibaut Pinot e Michael Storer hanno potenzialmente tutto per essere tra i migliori scalatori della corsa e gli arrivi in cima di questo Tour potrebbero vedere il loro nome stampato in grande al termine della tappa.

La Cofidis punta alla top ten con il regolare Guillaume Martin e con il più discontinuo Ion Izagirre, stesso discorso per la Intermarché Wanty Goubert che lancia Louis Meintjes all'inseguimento di un bel piazzamento in classifica generale e per la DSM con Romain Bardet alla ricerca del riscatto dopo il ritiro dal Giro. Il francese ha le carte in regola per poter provare ad avvicinare il podio, ma resta più plausibile un piazzamento nei primi otto, dieci con una vittoria di tappa in montagna. A sentire lui ci sono ancora incognite sulla sua condizione fisica dopo il malanno che lo ha colpito sulle strade italiane.

Foto: Luca Bettini/SprintCyclingAgency©2022

 

 

Se la EF Education First avrà Rigoberto Uran e Ruben Guerreiro in lotta per la classifica - e il secondo anche per vincere qualche tappa e magari provare a indossare la maglia a pois - c'è un altro colombiano che scalpita per prendere il volo in salita: Nairo Quintana. L'Arkéa Samsic punta tutto su uno dei soli tre colombiani al via (record negativo da diversi decenni), schierandogli di fianco Warren Barguil che di recente ha sfiorato il successo nel campionato francese. In chiave classifica, da considerare anche Aleksej Lutsenko per l'Astana – che non arriva però da un momento felice a causa di problemi fisici e incidenti - , l'attempato duo Israel Premier Tech formato da Jakob Fuglsang (il più acclamato di tutti alla vigilia durante la presentazione dei team a Copenaghen) e Michael Woods (al via per la squadra israeliana ci sarà pure Chris Froome! senza alcuna ambizione, sarebbe bello vederlo in fuga ogni tanto), e poi ancora Pierre Latour per la TotalEnergies, il quale però viene da un brutto infortunio ed è sempre un corridore abbastanza difficile da decifrare e pronosticare. Infine citiamo anche Mattia Cattaneo Quick Step Alpha Vynil che, insieme a Caruso, rappresenta l'unica speranza di classifica per il ciclismo italiano al Tour. Che di questi tempi non è nemmeno poco.

RUOTE VELOCI (ANCHE VELOCISSIME)

Foto: ASO/Luis Angel Gomez/Foto Gomez Sport

 

Non saranno tantissime le volate (fino al secondo giorno di riposo rischiano di essere tra le 2 e le 4 in tutto) e quindi occhio alle sfide tra Jasper Philipsen, Fabio Jakobsen e Caleb Ewan che se le daranno di santa ragione per dividersi il risicato bottino di questo Tour. Jakobsen avrà la squadra più forte per questo tipo di esercizio: Yves Lampaert, Kasper Asgreen, Michael Mørkøv terzetto ultra collaudato al quale nelle ultime ore si aggiunge il neo campione di Francia Florian Sénéchal che sostituisce Tim Declercq positivo al Covid. Ewan, invece non avrà al Tour nessun componente del suo treno (Selig, Kluge, De Gendt, De Buyst) e dovrà cavarsela più o meno da solo se non con l'aiuto del sudafricano Reinardt Janse Van Rensburg. Per Philipsen c'è la possibilità di sprintare sia nei volatoni più classici che anche di tenere duro tra tappa del pavé e qualcosa di più impegnativo (e magari provare a insidiare van Aert per la maglia verde, diciamo insidiare perché la sfida sulla carta pare chiusa), senza dimenticare però chi avrà in casa, ovvero Mathieu van der Poel. L'olandese, dopo aver dato spettacolo al Giro, ci riproverà al Tour dove il livello è sicuramente più alto, ma non sarà certo questo a spaventare un corridore che sguazza nell'eccellenza. In generale la Alpecin (non più Fenix ma Deceuninck da questo Tour) ha una squadra equilibrata sia per dare l'opportunità ai due capitani di esprimersi al meglio (Silvan Dillier, Alexander Krieger, Edward Planckaert, Kristian Sbaragli e Guillaume Van Keirsbulck), sia per beccare le fughe nelle tappe più impegnative con Michael Gogl e Xandro Meurisse, quest'ultimo che potrebbe anche guardare alla classifica, magari non ai piani altissimi.

 

Per gli sprint ci sarà anche Wout van Aert che già il secondo giorno a Nyborg si getterà nella mischia, ma attenzione anche al nostro Alberto Dainese. Dopo i piazzamenti alla Vuelta, il velocista veneto della DSM si è sbloccato con una meravigliosa volata al Giro meritandosi la convocazione per la corsa francese. Di fianco a Dainese la squadra di matrice olandese porta l'esperienza e la classe di John Degenkolb con il quale potrebbe dividersi i compiti, magari lasciando al tedesco la possibilità di fare la propria corsa nella tappa di Arenberg. Ricordate come finì l'ultima volta che il Tour corse sul pavé? Vinse proprio lui.

La Cofidis fino a poche ore fa avrebbe puntato su Brian Coquard per le volate, ma il Covid lo ha fermato (sostituito da Périchon) e dunque ci sarà il tedesco Max Walscheid che arriva da una primavera di ottimo livello interrotta solo da un bruttissimo incidente mentre si allenava. Il tedesco punta a un bel risultato anche nella crono di apertura.

La Intermarché Wanty Goubert si affiderà ad Alexander Kristoff. Molto interessante oltretutto il trenino della squadra belga: con il norvegese, due corridori in grande forma come Andrea Pasqualon e Adrien Petit. L'Arkéa Samsic porta sulle strade francesi una coppia niente male di piazzatoni come Hugo Hofstetter e Amaury Capiot, ma la squadra bretone capitanata da Quintana e Barguil sarà tra le guastafeste soprattutto nelle prime tappe con un occhio a quelle nel nord della Francia: Matis Louvel e Connor Swift potranno scatenarsi su quei terreni.

Foto: Vincent Kalut/PhotoNews/SprintCyclingAgency©2022

 

Finito il discorso velocisti? Assolutamente no: TotalEnergies punta su Peter Sagan che è tornato al successo di recente al Tour de Suisse per poi rivincere pochi giorni fa per l'ottava volta negli ultimi dodici anni il campionato nazionale slovacco, mentre il Team Bike Exchange, escluso l'emergente Groves (che il prossimo anno andrà a correre con la Alpecin Deceuninck), porta una squadra interamente dedicata alle volate di Dylan Groenewegen e ai piazzamenti di Michael Matthews. Per gli australiani sarà vitale raccogliere più punti possibile in chiave salvezza. Jack Bauer, Luke Durbridge e Amud Jansen saranno i componenti del treno in pianura, Luka Mezgec il pesce pilota. Cristopher Juul Jensen il jolly che se in giornata potrà anche provare a vincere dalla fuga di giornata, mentre Nick Schultz avrà il compito di curare la classifica fin dove possibile. C'è spazio ancora per nominare un corridore italiano, Luca Mozzato. Il vicentino della B&B Hotels-KTM è corridore davvero interessante, veloce, ma non abbastanza per provare a battere i mostri della velocità che saranno al via del Tour; ha una certa attitudine nell'infilarsi nelle fughe e nel superare indenne i percorsi mossi (e chissà la tappa con arrivo ad Arenberg...). Resta da capire, vedendo alcune prestazione, quanto possa influire sul suo rendimento il grande caldo. Il Tour ci darà tutte le risposte.

 

Foto: ASO/Alex Broadway

 

Abbiamo lasciato da parte uno dei corridori più talentuosi e indecifrabili del gruppo: Mads Pedersen. Si parte dalla sua Danimarca, la condizione sembra essere la migliore (al Giro del Belgio non è mai uscito dai primi 9 posti), le motivazioni anche. C'è una crono il primo giorno che lo stuzzica, potrebbe chiudere nelle prime posizioni – ne ha le qualità – e poi provare ad andare a caccia della maglia gialla. Cosa potrebbe mai andare storto? Che è Pedersen, uno dei profili più difficili da leggere del gruppo. Talento che corre in proporzione alla discontinuità. Tuttavia difficile non pensare al suo nome nelle volate del Tour anche se presumibilmente si dividerà il compito e lo spazio in gruppo con Jasper Stuyven, mentre il mitico Tom Skuijns, insieme ad Alexander Kirsch, darà una mano importante ai due.

UNA QUESTIONE DI FUGHE E DI TAPPE

Si è iniziato ad accennare ai cacciatori di tappe, non per forza quelli che si muoveranno anche per la classifica e nemmeno quelli da volata. Un accenno agli assenti, o per meglio dire gli esclusi, perché hanno fatto rumore: su tutti Alaphilippe, Van Avermaet, i velocisti Groves, Merlier e Cavendish, e poi ancora Soren Kragh Andersen, Nibali, Valverde o Stannard. Mancherà purtroppo anche Bini Girmay il quale rimanda al Tour dell'anno prossimo il replay della sfida vista al Giro con van der Poel.

 

Ecco proprio Mathieu van der Poel sarà uno dei fari tra fughe, arrivi dove ci sarà da scattare (vedi tappa numero sei) o perché no se in gruppo si resta in pochi o c'è un ventaglio e magari non ci sono tutti i velocisti lui sarà pronto, e si farà trovare caldo già dalla cronometro.

La Francia andrà a caccia di successi parziali con il già citato Cosnefroy, ma anche con il terzetto della Cofidis formato da Victor Lafay, corridore che dopo il successo di tappa al Giro 2021 ha fatto un notevole salto di qualità, Anthony Perez – atteso nelle fughe che inseguirà probabilmente anche tanti punti dei GPM e Benjamin Thomas. Il talentuosissimo fuoriclasse della pista sarà al suo esordio al Tour e quando entrerà nella fuga giusta sarà uno degli uomini da temere maggiormente. La Groupama, detto di Pinot e Gaudu (e Storer) avrà altri due corridori di valore assoluto: Stefan Küng che non nasconde di andare a caccia della maglia gialla nelle prime tappe, è nella migliore stagione della vita e gli manca, incredibilmente, solo il successo. Partirà nella crono di Copenaghen con la maglia di campione europeo e nei giorni successivi, soprattutto con il rientro in Francia, ci sarà diverso terreno su cui dare spettacolo. C'è anche Valentin Madouas - sul podio al Fiandre quest'anno - corridore forte su tutti i terreni, ma da capire quale sarà il suo ruolo all'interno di una squadra che schiera anche Kevin Geniets, lussemburghese utilissimo alla causa dei suoi capitani.

Foto: ASO/Aurelien Vialatte

 

Sempre per quanto riguarda le squadre francesi detto degli Arkéa Samsic, completiamo citando diversi corridori delle altre due squadre Professional: TotalEnergies e B&B Hotels. I primi lanciano un terzetto temibilissimo due di loro hanno già lasciato il segno quest'anno in fuga in corse a tappe WT disputate in Francia: Mathieu Burgaudeau (vincitore di tappa alla Parigi-Nizza) e Alexis Vuillermoz (al Delfinato), con loro Anthony Turgis eterno piazzato, mentre dopo l'esclusione dello spagnolo Cristian Rodriguez, la squadra ha inserito all'ultimo momento Edvald Boasson Hagen. Fa sorridere vedere il norvegese al Tour nella stessa squadra di Peter Sagan: i due, ormai una decina di anni fa, erano pronti a lanciarsi una sfida epocale su tutti i terreni, sfida che non ci sarà mai a causa della notevole discontinuità del corridore norvegese e della superiorità a conti fatti dello slovacco. A chiudere il roster citiamo, se non altro per partigianeria, Daniel Oss, fedelissimo scudiero proprio del campione slovacco e uno dei 14 italiani al via, forse quello con meno ambizioni personali, forse quello più utile alla causa di un compagno di squadra. La B&B Hotels, invece, vuole ritrovare Franck Bonnamour, uno dei protagonisti delle fughe al Tour dello scorso anno, ma quest'anno un po' limitato da una brutta caduta a inizio stagione (miglior risultato per lui un 2° posto di tappa alla Parigi-Nizza dopo una lunghissima azione partita da lontano), mentre quest'anno pare abbia ritrovato una vecchia conoscenza delle montagne francesi: Pierre Rolland. Se cercate un candidato alla maglia a pois, il suo nome è uno dei più gettonati. Cyril Barthe, Alexis Gougeard e Jérémy Lecroq proveranno a lasciare il segno in fuga, mentre Cyril Lemoine per una manciata di giorni non sarà il corridore più vecchio al via: primato che appartiene a Philippe Gilbert.

Proprio dalla Lotto Soudal proseguiamo la carrellata dei cacciatori di tappa: cinque di loro hanno le carte in regola per vincere almeno una tappa con una bella azione a lunga gittata. Philippe Gilbert, Andreas Kron, Brent van Moer, Florian Vermeersch e Tim Wellens, cinque corridori che non hanno bisogno di presentazioni. Il capolavoro per loro sarebbe quello di riuscire a muoversi da lontano in più di uno sfruttando così qualità e superiorità numerica.

 

Foto: ASO/Alex BROADWAY

 

La Trek Segafredo punta sulle fughe di Giulio Ciccone e Bauke Mollema in montagna e sulla verve del giovane Quinn Simmons che sicuramente farà divertire il pubblico con la sua indole da attaccante, mentre a livello di carta d'identità sta quasi agli antipodi Simon Clarke, che insieme a Krists Neilands e Hugo Houle animerà le fughe per la Israel-Premier Tech.

In casa Quick Step da seguire Andrea Bagioli che avrà carta bianca per dire la sua nelle fughe e in alcune tappe impegnative (ma non durissime, occhio alla sesta e all'ottava tappa che sembrano disegnate per lui) mentre l'Astana punta forte su uno dei gioielli del ciclismo italiano, quel Gianni Moscon suo malgrado, a causa di problemi fisici, autore sin qui di una stagione anonima. Con lui Joe Dombrowski l'uomo per la tappe di montagna, Fabio Felline, tuttofare insieme all'inossidabile Andrey Zeits, Simone Velasco che a 26 anni e mezzo farà il suo esordio in un Grande Giro dopo una carriera passata tra le Professional e Alexander Riabushenko, inserito all'ultimo causa l'esclusione per Covid di Samuele Battistella.

 

Foto: Kei Tsuji/SprintCyclingAgency©2022

 

Se per la EF Education-EasyPost proveranno a vincere le tappa Alberto Bettiol, Magnus Cort Nielsen, Neilson Powless e Stefan Bissegger, e hanno tutti e quattro concrete possibilità, chiudiamo il discorso con la DSM che oltre a Bardet e Andreas Leknessund per la classifica - il norvegese dopo essersi sbloccato al Tour de Suisse, cerca conferme importanti al Tour - e a Dainese e Degenkolb per le volate, si farà vedere con Chris Hamilton in salita, ma occhio anche a Kevin Vermaerke e Nils Eekhoff (quest'ultimo aiuterà Dainese allo sprint) che proveranno a infilarsi nella fuga giusta magari in tappe non troppo dure.

Chiudiamo con quello che potrebbe essere il guastafeste per antonomasia di questo Tour, uno che se va in fuga rischi pure di non riprenderlo e che lo scorso anno con questo modo di fare irriverente ha dato la svolta alla vita agonistica della sua squadra, la Intermarché Wanty Goubert. Parliamo naturalmente di Taco van der Hoorn citando il suo successo al Giro. L'olandese sarà uno dei corridori da seguire con maggiore simpatia ed entusiasmo a questo Tour e l'occasione per fare il tifo per lui di certo non mancherà.

IL PERCORSO

 

Foto: Pauline Ballet

 

Si parte dalla Danimarca, storia arcinota ormai, con una breve crono di 13 km, il giorno dopo la tappa dovrebbe sorridere alle ruote veloci ma occhio al vento e a quel lungo ponte che potrebbe sensibilmente ribaltare la corsa spezzando il gruppo. Il terzo giorno sarà ancora appuntamento per i velocisti mentre quarta e quinta tappa, quella di Calais e poi quella del pavé con arrivo ad Arenberg hanno un pronostico del tutto aperto e potrebbero provocare diversi scossoni anche alla classifica generale.
La sesta tappa, quella che si concluderà a Longwy, oltre ad essere la più lunga del Tour con i suoi 220 km presenta un finale tortuoso che strizza l'occhio ai corridori tipo van der Poel e potrebbe tagliare fuori invece i velocisti.

 

È il preludio del primo arrivo in salita di questa edizione, l'8 luglio, tappa numero sette, finale a La Super Planche des Belles Filles, non una vera e propria tappa di montagna, ma un arrivo impegnativo che segnerà i primi distacchi, quello sì. Il giorno dopo si sconfina in Svizzera con arrivo su uno strappo, ma vista la prima parte sulla frazione numero 8 campeggia in grande la scritta “fuga all'arrivo”. Domenica 10 luglio, invece, prima del secondo riposo tappa di montagna quasi interamente in Svizzera con rientro in Francia proprio per l'ascesa finale, il Pas De Morgins, antipasto degli ultimi chilometri verso Chatel Les Ports du Soleil. Anche qui lecito immaginarsi una fuga all'arrivo. Il 12 luglio si riparte con un'altra tappa fatta di su e giù, tracciato suggestivo e con l'arrivo finale all'Eliporto di Megève, ascesa lunga ma tutt'altro che dura, stesso finale della tappa del Delfinato 2020 quando vinse Sepp Kuss.

 

È solo l'anticipo però di quello che succederà nei due giorni successivi con le due tappe più attese dell'intero Tour de France. Il giorno 13 da Albertville: Télégraphe, Galibier e arrivo sul Col du Granon dove Bernard Hinault vestì per l'ultima volta la maglia gialla al Tour. Era il 1986 e il corridore francese si staccò sull'Izoard. Il giorno dopo si arriva in uno di quei luoghi di culto per antonomasia del ciclismo: Alpe d'Huez. Tappa decisiva e come contorno anche il fatto di disputarsi il 14 luglio, con Galibier, di nuovo, Télégraphe, di nuovo, e l'infinita ascesa verso la Croix de Fer prima di scendere verso Bourg d'Oisans e iniziare la salita verso la mitica Alpe d'Huez, domata e dominata da Pantani, tanto che i primi tre migliori tempi di scalata continuano a essere i suoi. La due giorni successiva, Saint-étienne prima e Mende poi, chiamano a raccolta fuggitivi e delusi, sorte simile per la quindicesima tappa, domenica 17 luglio, con conclusione a Carcassone.

Riposo ed ecco l'ultima settimana di corsa. I Pirenei si avvicinano. A Foix chiamata a raccolta per chi vorrà fare la differenza non solo in salita, ma anche indiscesa: giù dal Mur de Péguère c'è spazio. Il giorno dopo tappa d'alta montagna con il duro arrivo di Peyragudes, 8 km a quasi l'8% di media. L'ultima volta che si arrivò da queste parti – ma con un disegno differente – vinse Romain Bardet. Giovedì 21, tappa 18 con l'arrivo classico a Hautacam sarà l'ultima occasione per gli scalatori di provare a fare la differenza e terreno, soprattutto nella seconda parte di gara ce ne sarà a volontà. Week end finale dedicato aalle ruote veloci con le tappe di Cahors e la conclusione sugli sugli Champs-Elysées, ormai classica per le volate all'interno di un Grande Giro e in mezzo l'impegnativa cronometro di 40,7 km di Rocamadour che darà l'ultimo decisivo (qualora ce ne fosse bisogno) scossone alla classifica.

I FAVORITI DI ALVENTO

MAGLIA GIALLA

⭐⭐⭐⭐⭐ Pogačar
⭐⭐⭐⭐ Roglič
⭐⭐⭐ Vingegaard
⭐⭐ Vlasov, O'Connor, Martinez, Mas, Gaudu, Fuglsang
⭐ G.Thomas, Bardet, Yates, Caruso, Haig, Guerreiro, Uran, Martin, Woods, Lutsenko, Cattaneo, Quintana, Latour

MAGLIA VERDE
⭐⭐⭐⭐⭐ van Aert
⭐⭐⭐⭐ Jakobsen
⭐⭐⭐ Sagan
⭐⭐ Philipsen, Matthews, Pedersen, van der Poel
⭐ Ewan, Mohoric, Vlasov, Pogačar, Roglič

MAGLIA A POIS
⭐⭐⭐⭐⭐ Pinot
⭐⭐⭐⭐ Rolland
⭐⭐⭐ Quintana, Barguil, Guerreiro
⭐⭐ Bardet, Bouchard, Perez, Ciccone
⭐ Mollema, Gaudu, Pogačar, Roglič, Vingegaard, Latour

MAGLIA BIANCA
⭐⭐⭐⭐⭐ Pogačar
⭐⭐⭐⭐ McNulty
⭐⭐⭐ Leknessund
⭐⭐ Storer, Pidcock
⭐ Jorgenson, Bagioli, Simmons

Foto in evidenza: ASO/Aurélien Vialatte


Ogni van

Ogni van (der Poel, der Hoorn, Aert) che ci esalta.
Seguire il Giro e trovarti van der Poel che si scatena.
Poi passa una settimana, o poco più - facciamo nove giorni per la precisione - e tocca a van Aert.
Che l'ultima volta che ha corso finiva terzo alla Liegi e la volta prima secondo alla Roubaix.
Che riprende in mano la bici
e conquista la volata al Delfinato dove,
«Avevo vinto le mie prime gare nel World Tour», ma ehi, lui sostiene che sarà qui (lì, di nuovo per la precisione) solo per aiutare Roglič e non penserà alla classifica a punti che in Francia ha sempre un certo fascino pure se è quella del Delfinato.
A tutti gli effetti un mini Tour de France.
«Però sto facendo un pensierino a un'altra vittoria di tappa» dice.
Per fortuna che lo specifica altrimenti ci stava prendendo una bella delusione a immaginarlo da oggi stare con le mani in mano quando invece ci sarebbe subito una bella occasione per ribadire. Anche se non in maglia tricolore ma con quella gialla.
Che poi lo vedi tirare il gruppo e persino scalare le montagne.
Ma poi si sa che con i van non è mai finita.
Perché ci siamo immaginati Taco van der Hoorn andare in fuga alla Brussels Classic e vincere. In realtà non ce lo siamo immaginati, è andata proprio così.


Elogio al Vanderpoelismo

Ci risiamo e non ce ne voglia nessuno: gli altri pedalano, mentre Mathieu è il ciclismo. Tempo fa qualcuno lo definiva vanderpoelismo. Abbiamo esagerato? Esageriamo volentieri.
Lo state vedendo a questo Giro? Attacca ogni giorno. Non vince? Chi se ne frega. Oh Mathieu, Mathieu, scusaci per la confidenza, ma quanto ci stai facendo divertire?!
Oh Mathieu, Mathieu, oggi più passavano i chilometri e più prendeva forma una cosa che pareva impensabile. Al diciassettesimo giorno di gara, che poi fanno praticamente venti, stavi per vincere una tappa di montagna. Non avrai mica tra le tue doti persino il recupero? Non avrai mica strane intenzioni per il futuro? Provocazione che arriva da diverse parti: e se un giorno disegnassero un Giro per te (e van Aert)?
Oggi non hai vinto? È come se avessi vinto.

Ma che motore hai? Stai facendo ricredere gli scettici, quelli del "ma tanto viene qui, vince una tappa e torna a casa". Non è nel tuo stile, quello che ti ha insegnato nonno Poulidor. Come invece è nel tuo stile concederti sempre nelle interviste prima e dopo la gara; fermarti alla partenza a firmare autografi e a sorridere ai tifosi. L'altro giorno dopo la tappa di Torino abbiamo visti due ragazzini inseguirti letteralmente dietro le transenne. Correvano in ciabatte e urlavano "Mathieu, Mathieu!". Ti sei fermato. L'altro giorno sul Santa Cristina hai avuto la lucidità di impennare e sorridere. La gente dopo il passaggio dei primi aspettava quel momento.

È nel tuo stile prendere il manubrio e strapazzarlo. Generoso in fuga – pure troppo- oggi la rinfrescata arrivata sin dalla sera prima sul percorso sembrava farti volare sulle salite. Tu, un ciclocrossista, un cacciatore di classiche, con quei dorsali e quel peso, sembravi all'improvviso come fatto per scalare le montagne. Hai rischiato in discesa, dove hai costruito parte della tua tappa e dove hai rischiato di chiudere anzitempo la giornata. Hai salvato quell'errore in curva, ma non si capisce ancora come.

Oggi hai attaccato, scusa volevamo dire, anche oggi hai attaccato. Era una tappa di montagna e pensavamo rimbalzassi all'indietro. “Indovinate chi c'è in fuga anche oggi?”. Ormai il ritornello all'ora di pranzo quando si cerca di capire chi è scattato e chi è davanti. La tua maglia verde con casco bianco e l'inconfondibile sagoma è sempre lì a prendere vento in testa al gruppo. Pensavamo fosse un altro dei tuoi tentativi "tanto per dare spettacolo". E invece.
Hai dato spettacolo, ma hai rischiato pure di portare a casa la tappa. Mica una qualunque. C'era una salita col nome fantasy, Menador, con una vista impagabile sul lago, Caldonazzo, c'erano le rocce che sfioravano la testa dei corridori e ammaccavano i camper dei tanti tifosi saliti fin su.
Ci hai provato e ti sono mancati pochi chilometri, ma chi se ne frega, dai.
Al traguardo erano tutti senza parole, un gruppo di giornalisti sudamericani si è scaldato quando ha visto partire Buitrago, degno vincitore oggi, eppure anche dentro di loro è rimasto quel piccolo rimpianto per non averti visto davanti a tutti sul traguardo. Oggi, Mathieu, non hai vinto. Domani, Mathieu, cascasse il mondo, ci riproverai.


Per una bicicletta

Il distacco tra Biniam Girmay e la Maglia Rosa più che in qualche decimo lo si potrebbe quantificare in biciclette. Una? Forse "una bicicletta e un po'", direbbe qualcuno, per dare un'idea più precisa alla misura. Girmay ci è andato vicino.
Era diviso il pubblico, tra lui e van der Poel, perché poi finisce sempre così, per quanto si vogliano salvare le apparenze, per quanto non si voglia perdere di vista il fatto che "nel ciclismo si tifa tutti, altrimenti finisci per non godertela". E allora c'è chi urlava: "Vai Bini!", e chi: "Vai Mathieu!"
Mancavano veramente pochissimi metri al traguardo per il sogno dell'"History Maker" come lo definisce sui social la sua squadra, l'Intermarché-Wanty-Gobert, ma poi vince van der Poel e va bene lo stesso.
Sorride Bini Girmay dopo essere rimasto accasciato vicino le transenne. «Deluso? Per nulla! È un grande risultato». Sorride mentre indossa la maglia bianca di miglior giovane a fine tappa.
Sorride in foto con Mathieu van der Poel. «È stata la volata più dura della mia vita, ma ci riproverò già domenica».
L'History Maker ha segnato il Giro 2022 come passaggio obbligato: vuole trasformare il suo universo attraverso una bicicletta. «Voglio diventare il primo nero africano a vincere una tappa in un Grande Giro» diceva nei giorni scorsi.
Si dice pronto a prendersi sulle spalle un intero continente, mentre un'intera nazione è diventata matta per lui: «Nel calcio i giocatori africani sono tra i migliori al mondo, nel ciclismo siamo ancora lontani, ma io voglio essere un esempio. Perché vincere una tappa in un grande Giro potrebbe essere da impulso alle nuove generazioni».
È stata una bicicletta di distacco a impedirgli di fare la sua ennesima rivoluzione, ma di certo non a impedire di parlare di lui. E di occasioni ne verranno ancora, e ancora, e ancora.


I colori di Mathieu van der Poel

Aspettavamo il Giro e aspettavamo Mathieu van der Poel come si attende sempre qualcosa di bello, lui - van der Poel - senza esagerare troppo, accelerando nel momento giusto, quello sì, è arrivato. Ha fatto sentire il rumore che fanno le sue gambe liberando potenza come un motore a quattro cilindri, e ha deflagrato.
Avete presente quel rumore? Chiedetelo a Girmay, Ewan, Bilbao, Kelderman che si sono visti superare dall'onda verdina della nuova maglia che sulle spalle di van der Poel è durata poco. Lo spazio di poco meno di 200 km: da domani sarà in rosa.
Aspettavamo anche Girmay è vero, c'è mancato poco. Sarebbe stata una storia interessante da raccontare, ma ce ne sarà l'occasione. Ha chiuso vincendo la Gent-Wevelgem, ha ripreso sfiorando la prima tappa del Giro - sì è vero in mezzo ha corso a Francoforte, ma tant'è.
Abbiamo atteso a lungo. Chiacchierando con amici, conoscenti e parenti e guardando distrattamente la fuga di giornata: erano Bais e Tagliani.
Abbiamo visto il Danubio oggi con tonalità sul verde. Abbiamo sorriso al folclore di diversi tifosi, cavalli, amazzoni e cavalieri che correvano di fianco al gruppo, abbiamo visto campi di colza, ottimi per scatenare api e fotografi.
Arrivava il traguardo sul Castello di Visegrád e quel traguardo lo guardava da lontano Lawrence Naesen, che vuoi per un gioco di prospettiva, vuoi per le pendenze che via via progredivano, pareva non riuscire ad avvicinarlo in nessun modo, nemmeno cambiando rapporto. Quel traguardo lo guardava da vicino Kämna, pareva il momento giusto. Niente, scartato.
Poi sono scattati. Fine dell'attesa a meno di un chilometro alla fine, curvi sulle loro bici con lo striscione che man mano sembrava farsi sempre più grande in faccia ai corridori. E mentre gli altri parevano attaccati con la forza, persino con i denti, alle loro biciclette, Mathieu van der Poel li superava, pareva ciclismo.
Aspettavamo van der Poel colorato di verde. Da domani e chissà, magari fino in Sicilia, lo troveremo colorato di rosa. Il colore del Giro d'Italia.


Il rumore dell'Inferno

Che rumore fa Tadej Pogačar che accelera sull'Oude Kwaremont e riprende tutti? Un suono simile a quello delle ruote che dapprima sfruttano la superficie centrale delle pietre, quella più consumata dal passaggio delle auto, per poi scorrere sulla linea laterale e, persino, sulla terra. Che rumore fa Mathieu van der Poel ancora nel gruppo, mentre alza la testa e si riporta sotto? Pensiamo al cambio che ingrana, a qualcosa che riporti a una variazione della situazione.
Un fruscio e qualcosa di più pesante. Suoni ricercati dall'orecchio e anche dalla vista, una sinestesia, una contaminazione dei sensi, perché quanto abbiamo sperato che quei due se ne andassero da soli? Quanto abbiamo controllato la posizione di Pogačar quando, poco dopo, a scattare sul Paterberg era van der Poel? Quanto abbiamo stretto i denti, quasi fossimo alla ruota dello sloveno, mentre van der Poel riusciva a stargli incollato per un sospiro al termine dell'ultimo Paterberg?
E non lontano da qui ci sono i Beffroi, le torri campanarie delle Fiandre, i loro carillon a scandire i momenti importanti per la città, i loro suonatori. Qui, invece, restano tutti i sognatori. Chi ha trasformato in un "cafè" un tronco di mulino e chi sognava di essere da solo sul Paterberg e non c'è riuscito. Poi quel numero sulla schiena di Laporte, il tredici, che dicono porti sfortuna. Alcuni lo mettono al rovescio, lui l'ha messo dritto e, nonostante la caduta in un fosso, era lì.

Ma Pogačar e van der Poel sfiniscono sia fisicamente che mentalmente, perché basta una leggera accelerata e gli altri sembrano fermi. Non possono fare altro, solo andare avanti, pietra dopo pietra. Meglio non guardare. Le ruote delle bici di Pogačar e van der Poel se ne infischiano delle pietre, scorrono veloci tra la gente che grida e non smette un secondo. Anche se tutto è passato. Il talento gasa, agita, come le nuvole nere sullo sfondo, nel finale, sbattute dal vento leggermente trasversale. E va via mentre inizia a piovere.
Il suono delle friggitorie, come l'olio bollente in cui tutto cuoce, sembra quasi portato via dall'aria che spostano i ciclisti. Un silenziatore, quel vento. Quasi fosse una foto, una delle tante nell'album di qualcuno. A fissare l'esatto momento in cui van der Poel, sul traguardo, capisce che è il momento di partire altrimenti è la beffa, un'altra beffa. A fissare quello in cui Pogacar resta intrappolato, dietro a van Baarle e Madouas, e finisce quarto, alzando le mani che ora pesano più di tutto e tornano a scendere come cade un peso.
Quel talento che può essere leggero o pesante. Leggero per van der Poel come per Kopecky, che hanno vinto, pesante per Pogačar come per van Vleuten che viene superata sulla linea d'arrivo, e non le capita spesso, intrappolata fra le tattiche di due compagne di squadra. La sicurezza in se stessi, certe volte, non serve a nulla. Certe volte, semplicemente non puoi. Forse avresti potuto muovendoti prima, partendo prima (ci ripenserà spesso Pogačar), forse nemmeno così. A noi viene in mente Marlen Reusser che, sotto la pioggia ghiacciata, stava quasi per andarsene, invece no. Anche la compagnia di Chapman non l'ha aiutata.
Che rumore fa tutto questo? Ora, all'Inferno, quello del Nord, sanno già la risposta, mentre i raggi di sole che spuntano dalle nuvole allungano le ombre degli atleti davanti a loro.


Siete pronti?

Buon Giro delle Fiandre a tutti, intanto. Oggi è quella giornata, la giornata. Quella che fa venire un po' di pizzicore nella pancia, quella che fa dire ai corridori che anche se sarà dura, sarà comunque uno spettacolo. Volerla fare, dire di averla fatta, sentire la folla che urla il tuo nome a pochi centimetri dalla faccia. Basta già questo.
I fiamminghi sono pronti da giorni, anzi da mesi, un rito sadico, che per loro è religione, organizzati per vedere in faccia i corridori faticare sui muri. Ci saranno fan club ovunque, tifosi da ogni parte del mondo, previste circa un milione di persone lungo il percorso, e si impazzirà per ogni essere vivente che passerà in bicicletta. Pazienza se mancherà van Aert, toglierà qualcosa alla contesa, è vero, ma quando arriverà il momento saranno grida di gioia e applausi dal primo all'ultimo. Senza distinzione.
Il tempo sarà quello di sempre, fiammingo: potrà cambiare repentinamente. Da un momento all'altro il cielo azzurra lascerà il campo a nuvole appesantite dal grigio. Le gambe saranno quelle di sempre: oliate in partenza per resistere al freddo, pronte a soffrire non appena la gara si accenderà.
Dove si accenderà? Non lo sappiamo, si faranno trasportare dal momento. Kruisberg/Hotond, Koppenberg, Taaienberg, oppure il circuito finale Oude Kwaremont-Paterberg prima di arrivare a Oudenaarde. Sarà la situazione a decidere, sarà un lampo che ispirerà i più forti.
I più forti chi sono? Tra gli uomini: Van der Poel, i Jumbo Visma (Benoot e Laporte) che senza van Aert forse saranno più liberi oppure chissà, più appesantiti dalla pressione. Pogačar, Asgreen, Mohorič, Turgis, Pidcock, Küng, Campenaerts eccetera. E tra le donne: van Vleuten, Kopecky, Longo Borghini, Vos e magari ci faremo ancora una volta sorprendere da Balsamo che da quando veste la maglia iridata sembra ancora più forte.
Bisognerà avere occhi dappertutto perché qui la strada fa paura e non ci sarà un momento in cui si potrà alleggerire la tensione. Saranno sollecitazioni ai muscoli, alle braccia, alla schiena. Sarà bellissimo, saranno le Fiandre nella loro massima espressione.
Siete pronti? Buon giro delle Fiandre a tutti. Anzi buona Ronde van Vlaanderen e che il casino abbia inizio.


Lo spirito del Nord

Il nome poteva quasi far paura: attraverso le Fiandre. Il suono rendeva l'idea di questo attraversamento, Dwars door Vlaanderen. Non è facile attraversare un luogo, pensate le Fiandre. Quasi un bosco di notte. Dove gli alberi e l'oscurità sono i settori in pavé e le vie che diventano evocative, come Mariaborestraat che è onomatopea e bici in piegamento. E tra quelle vie, quei tratti e quelle pietre si scompone il ciclismo, quasi un disegno futurista, una proiezione di colori e modi di viverlo: dai tifosi che corrono da una parte all'altra, alle bandiere che sventolano anche arricciate e ripiegate dal vento, alle birre e alle voci che parlano una lingua straniera di cui, nel tempo, hai imparato i termini chiave per seguire la corsa, per sapere cosa accade. Possiamo dirlo in molti modi, noi parliamo di uno spirito: lo spirito del Nord.

Uno spirito che è nel modo di attraversare le pietre, perché si potrebbe scrivere un libro sul dinamismo di un ciclista sulle pietre. O in un'idea: quella di Pidcock che attacca e prova a far la corsa dalla testa. Di Campenaerts che è lo spirito dell'attacco, dell'invenzione anche bizzarra, quasi dell'impossibile o del buffo. È lo spirito che serve per attraversare questi posti, che passano dalla dolcezza all'aspro in pochissimo. Questione di cielo grigio, di vento, di qualcosa di cupo che non sai spiegare ma attrae. Chiara Consonni conosce la lingua delle Fiandre, non quella che si parla, quella che serve per decifrarla e magari per vincere.

Guardate la sua volata, guardate chi ha battuto e l'apparente leggerezza che ci ha messo. Qualcosa che contrasta con la forza sui pedali in volata. Era lì, era sempre lì in questo inizio stagione, ma mancava sempre qualcosa. Quello spirito delle Fiandre di cui parlavamo si capisce così: tenendo duro e buttandosi nella mischia, sprigionando velocità che è fatica, certamente, ma anche capacità di darle un senso, di non appesantirla. Bastano le mani a gesticolare o l'espressione del volto e Consonni parla senza parlare.
Lo spirito è anche quello di Mathieu Van der Poel che fremeva già ai novanta chilometri dall'arrivo e, diciamocelo, non aspettavamo altro. Vederlo in azione è sempre bello, se poi quell'azione sa di ritorno anche di più. Si è detto più volte che, quando fa le cose lui, hanno un gusto particolare, hanno dentro un che di differente. Sarà questo spirito del Nord che nasce qui ma come vento non ha casa e lo porti ovunque. Puoi scoprirlo o averlo già dentro e ritrovarlo: manifestazione, apparizione. Avrebbe potuto risparmiarsi, fare attenzione, vincerla sì, ma vincerla diversamente. Lo ha fatto con tutto quello che ha, con tutto quello che è. Attaccando e rispondendo. Sollecitando anche la risposta degli altri, facendo esplodere la corsa perché basta uno scatto per movimentare una gara di ciclismo. Se poi a scattare è uno come lui, gli altri devono mettersi sull'attenti.

Lo spirito del Nord è quello che ti fa tirare fuori la parte più umana di te, quella delle sensazioni lasciate libere. Lo stesso accade in Pogačar e in Benoot. Lo spirito del nord è quello che ti fa vedere la bellezza ovunque sia, in ogni momento. Anche in una volata persa. Le mani di Benoot che battono mentre guarda van der Poel sono di questo spirito, di questo vento freddo che fa sudare.
Siamo rimasti a vedere e avremmo voluto non finisse perché la realtà fa per forza torto all'immaginazione. Ed è finita ma prosegue lo stesso. Domenica c'è il Fiandre. L’attraversamento continua.