Weird oppure bizzarro, e i milanesi che volevano spianare il Turchino

Metti una mattina presto al Velodromo Maspes-Vigorelli. Operai a lavoro. Cielo grigio e un po' di vento. Noi dentro ad annusare l'aria di un luogo sacro. Incrociamo quattro ragazzi, scopriremo subito essere olandesi, che hanno avuto la nostra stessa idea. E hanno la nostra stessa reazione: sgranano gli occhi davanti a quello che gli si mostra davanti. Sono qui in Italia per la Milano-Sanremo, ci dicono, «e una tappa qui al velodromo era dovuta».

Uno di loro prende e va sulle sue gambe. Goffo e ingobbito simula un pistard in piena azione – chissà nella sua testa chi era quel corridore - e prova a lanciarsi correndo a piedi fino in curva. Si ferma, sembra ansimare - in effetti le pendenze non sono mica male fino alla balaustra. Urla: «Weird!», bizzarro diremmo noi. Poi si gira e fa un segno con il pollice come dire “ok”.

Gli diciamo che è arrivata la notizia che al via della Milano-Sanremo ci sarà anche van der Poel, sgranano di nuovo gli occhi, ripetono «Weird!», e poi ci danno appuntamento a domani, saranno sul Poggio a tifare. Con la presenza di van der Poel, avranno uno stimolo in più nella lunga attesa prima che i corridori giungeranno sul bitorzolo occhiuto che guarda Sanremo. Loro lì dalla sera prima per un momento che durerà si e no qualche secondo. Tutto sul Poggio che, come da copione, deciderà e sconquasserà la corsa nei folli e adrenalinici quindici minuti finali.

Weird, davvero, bizzarro. Vigilia particolare. In una laterale dietro il velodromo ci sono bici parcheggiate su un cartello che recita “vietato appoggiare le biciclette”. Trasgressione. Attraversiamo Milano perché il così detto Quartier Generale è situato dall'altra parte della città rispetto alla partenza di domani che avverrà, per la prima volta, proprio dal Vigorelli.

Bizzarro, weird, davvero. Domanda: «Ma cosa intende lei per spianare il Turchino?». Risposta: «Portarlo letteralmente al livello del mare». Alcuni milanesi ci raccontano questa storia: qualcuno sosteneva che la presenza del Turchino fosse la causa della nebbia in Val Padana e in effetti c'è un video su YouTube che testimonia la teoria. A fine anni '70, in un programma che andava in onda sulla Rai condotto da Enzo Tortora, un personaggio che potremmo definire bizzarro sosteneva che abbattendo il Turchino la nebbia sarebbe scomparsa. Oggi il Turchino – vorremmo ben vedere – è ancora lì. Fa ancora parte del percorso. La nebbia in Val Padana c'è sempre, un po' meno di una volta, è vero. Pure la Milano-Sanremo resta lì, solida, nonostante tutto.

Bizzarra la vigilia, defezioni una dietro l'altra. Alaphilippe, Ewan e Stuyven fra i nomi più interessanti. Poi, invece, appare quello di van der Poel che destabilizza la vigilia degli appassionati e che si affiancherà a quelli di van Aert, Pogačar, Pedersen e diversi altri.

Diversi come gli scenari. Si prende da lontano la Milano-Sanremo. La si critica per un copione prestabilito, poi man mano che si avvicina ci si immaginano scenari di ogni genere. E Se Pogačar attaccherà sulla Cipressa? E se Roglič gli va dietro? E se arrivano tutti assieme? E se c'è vento a favore oppure contro? E se qualcuno spianerà il Poggio? L'importante è che nessuno spiani il Turchino. A 150 km dall'arrivo ci sembrerebbe un po' troppo, pure in un ciclismo bizzarro e spettacolare come quello di queste ultime stagioni.

I FAVORITI DI ALVENTO

⭐⭐⭐⭐⭐ van Aert
⭐⭐⭐⭐ Pogačar, Pedersen
⭐⭐⭐Kragh Andersen, van der Poel
⭐⭐ Laporte, Coquard, Démare, Matthews, Ganna, Mohorič
⭐ Pidcock, Hayter, Philipsen, Jakobsen, Kristoff, Roglič, Consonni, Garcia Cortina, Aranburu, Kwiatkowski, Sagan, Covi, Bouhanni, Nizzolo, Sénéchal, Van Avermaet, Turgis, Bettiol


Il ritorno di Mathieu van der Poel

Ieri ci ha investito all'improvviso un po' di nostalgia. Era il momento in cui il gruppo - davanti la fuga, dietro i migliori della classifica, non fa differenza - stava facendo i conti con l'asprezza dei muri fermani. Zone tecnicamente esaltanti per chi del pedalare ne fa un mestiere, strade che, si è detto spesso, meriterebbero una corsa di un giorno nel calendario internazionale per giustizia, ma per fortuna la Tirreno-Adriatico spesso e volentieri si ricorda di passare di qui.

Torniamo al punto, che è quel senso di nostalgia che ci stava prendendo vedendo il gruppo lungo l'asfalto marchigiano. La nostalgia di Mathieu van der Poel che qui avrebbe sicuramente provato a dare spettacolo, magari con un'azione efficace, magari invece con uno scatto dei suoi, quelli un po' ingenui, quelli tanto per, quelli per sentire il rumore delle sue gambe, per sgolfarsi; quelli che a noi semplici appassionati piacciono comunque da matti. E allora ci siamo ricordati di come, poche ore prima, venisse annunciato il suo ritorno alle corse.

Lo stiamo braccando sui social in questo periodo, seguendolo virtualmente in queste settimane nei suoi allenamenti in Spagna. Alterna lunghi con uscite brevi di qualità; correda spesso il tutto con foto di pausa caffè più dolce, oppure qualche immagine che vuole essere un po' poetica, un po' scanzonata, con i suoi compagni di viaggio vicino a un fiume, una cascata, un sorriso, un pollice all'insù; poi capita come qualche giorno fa che, di fianco al tipo di allenamento fatto, van der Poel metta una faccina abbastanza eloquente, forse perché poco soddisfatto del suo risultato, forse perché particolarmente stanco, forse perché, appunto, semplicemente è van der Poel: era la smile dell'omino che vomita.

Tuttavia, il suo ritorno sarà manna per gli appassionati, e sarà l'occasione per i suiveur italiani: dal 22 al 26 marzo lo vedremo alla Settimana Coppi & Bartali e terreno per qualche azione spettacolare ci sarà.

Poi, stando al calendario presentato, si virerà subito al Nord, su quelle pietre che ha già domato e dove si lancerà in una sfida che pare già epocale: 30 marzo Dwars door Vlaanderen, ma soprattutto La Ronde, il Giro delle Fiandre, del 3 aprile. La sfida sarà con Wout van Aert, Tadej Pogačar e Kasper Asgreen (una rivincita) e compagnia stellata.

Se tutto andrà come deve andare lo aspetteremo a tutta una serie di domeniche incandescenti: 10 aprile Amstel Gold Race e 17 aprile Paris-Roubaix, nulla da aggiungere. Una l'ha vinta con una delle azioni più spettacolari di questi anni, l'altra l'ha persa, pochi mesi fa, per mano di Sonny Colbrelli, ma è un'edizione che ha già segnato l'epoca. In mezzo la Freccia del Brabante, 13 aprile, anche lì ha già lasciato il segno nel 2019 e chissà. Una gara che sembra disegnata appositamente per i corridori à la van der Poel.

La prima parte di stagione non si sa come si chiuderà, prima di passare all'estate e probabilmente al Tour de France, perché si vocifera di come possa venire a correre il Giro d'Italia e basta solo il suo nome per alzare ulteriormente l'attesa - al momento lasciamo perdere discussioni su un suo ritiro a Giro iniziato: intanto non sarebbe male vederlo al via della Corsa Rosa.

Ora è tempo solo di segnarsi la data del suo ritorno e di dargli un bentornato. Come andrà andrà, anche se c'è da giurarci che lo rivedremo da subito competitivo, perché come ha detto van Aert «Se ha le gambe per tornare a correre significa che ha le gambe per fare da subito qualcosa». Nel ciclismo delle imprese e delle grandi firme, la sua a oggi, manca decisamente.


Viva van der Poel

Oggi van der Poel compie 27 anni (sembra ieri che...): viva van der Poel, auguri van der Poel. 27 anni e sulle spalle il macigno delle aspettative, il peso di essere già una leggenda di questo sport a prescindere dai risultati. Van der Poel cresciuto spalmando gare di bicicletta sul pane a colazione, pucciando nel latte biscotti al ciclocross; con il compito di spostare l'interesse di chi segue il ciclismo su strada e di chi si avvicina al fuoristrada.
Il compito meraviglioso di rallegrarci nei fine settimana, noi che, magari dopo una bella pedalata al sabato mattina, ci piazziamo davanti alla televisione per vedere van der Poel, sì, decisamente: viva van der Poel.
Ci sono ragazzini oggi che lo imitano, usano il suo stesso modello di occhiali, comprano la sua maglietta come fosse quella di un idolo calcistico e, quando corrono, nella testa si immaginano mentre ripetono i suoi gesti in gara, le sue scorribande, le sue fughe a volte scriteriate, le sue acrobazie, le sue smorfie, i suoi scatti vincenti che si concludono con esultanze da ricordare. Ci sono immagini di bambini che danno fuori di matto per un cinque battuto al volo, un autografo, una borraccia. Questo è van der Poel. Spauracchio per gli avversari in gara, che fa parlare quando in corsa non c'è, che piace perché a volte la sua dimensione eroica si rivela così teneramente umana. È persino battibile, fallibile.
Ci sono suiveur che sanno quanto fascino in più ci sia in una corsa quando c'è van der Poel. Quanta importanza ha van der Poel per il ciclismo e quanto sia importante il ciclismo per van der Poel.
Oggi potremmo parlare di quanto cambiare da una disciplina all'altra possa avergli fatto male alla schiena, quegli "attacchi che ha inflitto al suo corpo", come li ha definiti il suo fisioterapista. Ma no, oggi sarebbe la sede sbagliata. Potremmo parlare del suo problema al ginocchio, l'operazione, il mancato duello con van Aert, ma non è la giornata giusta.
Certo, però, è che la primavera (ciclistica) si avvicina, quelle delle classiche, e, abituati così bene, non sarebbe una primavera ciclistica senza van der Poel.
Incrociamo le dita se non possiamo fare altro, e oggi diciamo viva van der Poel, auguri van der Poel - di pronta guarigione, anche, ovviamente: riposati e fai il bravo che ti aspettiamo, il ciclismo ti aspetta.


Grappe, panettone, dei e van der Poel (oggi finalmente in gara)

A qualcuno può sembrare una cosa difficile da immaginare: Mathieu van der Poel, uno che aveva appena imparato ad andare in bicicletta e già lo trovavi in giro, con la classica bici più grande di chi la porta, per le gare più importanti del mondo, mentre suo papà si prendeva a legnate con i suoi avversari; uno che ha nei suoi geni Poulidor e che completa un'opera da romanzo conquistando quella maglia gialla che il nonno non aveva mai vestito; uno che quando corre appassiona chiunque, che a volta polarizza e catalizza, è vero, anche se non ci è ancora chiaro per quale motivo la passione per van der Poel non possa essere rivolta allo stesso modo anche su van Aert e viceversa, ma forse è il mistero della fede, è la regola non scritta del tifoso. Insomma uno così che bazzica nei libri di storia nel ciclismo con facilità, tocca immaginarselo che scorrazza con gli amici per i boschi in mountain bike.

Eppure anche van der Poel è umano e infatti come una persona normale cade quando è in giro con gli amici e si fa male. «E quell'infortunio ha rischiato di rovinare la mia intera stagione nel cross» ha raccontato qualche giorno fa in conferenza stampa.

E difatti esordio nel cross ritardato, ma uno come lui tuttavia non poteva che scegliere una prova che si corre in piena vacanza natalizia per farci gustare al meglio panettoni e grappe sul divano quest'oggi dalle ore 15.

In Belgio hanno scritto che la presenza di van Aert e van der Poel durante queste manifestazioni di fine anno, equivale a gustarsi del vin brulé davanti al camino.

A Dendermonde Mathieu ci sarà, anche se non al meglio della forma: il taglio al ginocchio rimediato nella caduta in mountain bike è una ferita che si rimargina, ma è un campanello d'allarme il problema alla schiena che si porta avanti da tempo e da lontano (da Tokyo).

Pretattica? Mah. Oggi non parte certo favorito, il che può sembrare una notizia, ma non lo è. Oltretutto a Dendermonde, gara che esalta le qualità podistiche del suo rivale preferito («mi aspettavo andasse forte, ma non che dominasse in questo modo»), sarà van Aert ad avere oneri e onori dell'uomo da battere, ma poco importa: non poteva esserci giorno migliore per stare sbracati sul divano: finalmente tutti e tre (c'è pure Pidcock), ma non è che esistono solo loro tre, Vanthourenhout, Iserbyt, Aerts, Sweeck, Hermans insomma ci sono praticamente tutti, pure gli italiani.

Certo, gli altri non dormono sonni felici: lo scorso anno quando quei due erano presenti nella stessa gara, nove volte, sono sempre finiti 1° e 2°. Volendo, per gli amanti della statistica: 6-3 il conto totale per l'olandese. Uno spettacolo.

Dei del ciclismo, per favore, preservateci il più tempo possibile i nostri eroi umani. E se magari vi avanza anche un po' di tempo, date uno sguardo pure a noi. Sono tempi duri ce n'è sempre bisogno.


Pidcock tra van Aert e van der Poel

Tom Pidcock non ci sta. Sfrontato come i suoi ventidue anni, cortese come un baronetto del Regno Unito, di Leeds. Elegante e redditizio su strada, deciso quando si destreggia nel fango come un occhio che cerca un varco nel fumo di Londra.
«Non voglio essere sempre terzo, corro per battere Wout e Mathieu» ha detto così a Het Nieuewsblad, chiamando van Aert e van der Poel per nome, un guanto di sfida, e ha gasato tutti perché Tom è uno da prendere sul serio, ciò che dice fa. Va bene il rispetto, la fiducia, l’orgoglio di essere fra loro ma il sale è quella voglia di ribellione, di provocazione, di mettere la propria ruota sporca di terra davanti alla loro. Ce la farà? Lo scopriremo.
Intanto ieri, a Rucphen, in Olanda, pur con l’assenza di van Aert e van der Poel, ha battuto Iserbyt e Vanthourenhout e non in un modo qualunque. Quasi con l’istinto di colui che sente l’odore della preda nella boscaglia e si sfregia coi rovi pur di prenderla. «Ad un certo punto mi sono detto: diavolo, ora dai tutto e vinci». La voglia di riscossa, di rivalsa. Prima Coppa del mondo fra gli élite, una di quelle pietre miliari di cui vi abbiamo parlato in questi giorni.
«Van Aert ha uno stato di forma incredibile ma anche io sto meglio di quanto potessi pensare» come se non lo vedessimo. Anche quando non ci riesce a vincere, come oggi a Namur, su quel fango che sa di Inghilterra, per dirla con le sue parole: due scivolate, qualche insicurezza e Vanthourenhout che va a vincere. Ma ha fatto la gara, ha messo pressione agli avversari, affamato, forse ancor di più dopo una sconfitta.
Van Aert, Van der Poel e Pidcock, rigorosamente in ordine sparso. Un tris d’assi da celare e poi gettare sul tavolo, mentre sotto le noccioline continuano a scricchiolare. La grande sfida è sempre più vicina e sarà una festa, comunque vada.


Natale in casa van Aert-van der Poel

Così come in foto ma nel ciclocross: van Aert contro van der Poel. Qui in azione ad Harelbeke, sull'asfalto, esattamente 8 mesi fa, affiancati: fra un mese li rivedremo (più o meno così) ma in mezzo al fango.
È vero, la stagione del CX ha già ripreso da un po'. C'è stata la trasferta a Fayetteville, Stati Uniti, per un assaggio del circuito che ospiterà i mondiali a fine gennaio; c'è quel folletto di Iserbyt che da settembre a oggi ne ha sbagliata una, massimo due. C'è stato il ritorno al successo dopo oltre un anno di Worst.
Ci sono gli azzurri che crescono bene sotto la nuova guida, ci sono volti nuovi e volti noti, rinascite e cedimenti, ma niente attira di più mediaticamente - ma non solo - dell'esordio stagionale dei due corridori in foto - ma certo non ci dimentichiamo che c'è anche Pidcock!
Così come in foto ma nel ciclocross, allora li aspettiamo, l'uno contro l'altro il giorno dopo Natale: rientreranno a dicembre entrambi, ma a Santo Stefano ci sarà il primo scontro diretto.
Se i loro programmi saranno confermati - e non dovrebbe essere altrimenti - saranno intanto cinque le sfide (le scriviamo per memorizzarle) a partire da Dendermonde (26 dicembre), passando per Diegem (29 dicembre), Loenhout (30 dicembre), Hulst (2 gennaio) ed Herentals, a casa van Aert, il 5 di gennaio.
Altro che Una Poltrona per Due o The Blues Brothers, altro che boxing day, o visite parenti, altro che panettoni e pandori: l'appuntamento per le vacanze di Natale sarà un nuovo capitolo della saga van Aert contro van der Poel.
Seduti sul divano con la pancia piena, oppure appena ritornati da un bel giro in bici per smaltire i bagordi natalizi sintonizziamoci per guardare come sgasano quei due. Jouissance: e chi vincerà poco importa.


Grazie ciclismo per questi momenti indimenticabili

Ciclismo e anno 2021 un binomio perfetto. Qualcosa che vorremmo riuscire a raccontare meglio ma forse più di ogni altro modo è stato lui a raccontarsi in maniera perfetta: esagerato, romantico, epico, preciso, spettacolare. Quello che abbiamo sempre chiesto e che spesso, nell'ultimo decennio, abbiamo solo visto (quando siamo stati più fortunati) a metà, relegato a episodi isolati.
Ciclismo e anno 2021 un pissi pissi bau bau tra due innamorati, e in mezzo noi; in realtà noi più che altro a fare da contorno ad applaudire; con gli occhi a cuoricino come la vignetta di un fumetto, persino il cuore che batte che pare uscire dal petto; o perché no, momenti irrefrenabili nei quali ci siamo alzati dal divano e non riuscivamo più a stare fermi nell'attesa di una volata, di un giro finale, di un centesimo in più o in meno, di un attacco decisivo, o anche scriteriato. A cercare con lo sguardo quel corridore su cui tanto puntavamo, a immaginarsi rimonte e rinascite, abbozzando per le delusioni, ma applaudendo tutti dal primo all'ultimo.
Ciclismo e anno 2021: un'intesa perfetta. Abbiamo provato a estrapolare alcuni momenti battezzandoli come “i momenti migliori della stagione”, ma potete immaginare quanto sia costato lasciarne fuori almeno altrettanti.

10) Bernal a Cortina (e sul Giau)

E chi se la dimentica quella giornata? Era il 24 maggio del 2021 e si imprecava perché le immagini non arrivavano: per via del maltempo non c'era copertura televisiva. Ci siamo affidati a una sorta di radiocronaca, come si usava una volta, ed ecco il gesto di Bernal che abbiamo definito quel giorno come di totale rispetto verso la corsa e i suoi tifosi; Bernal che sbuca sul nostro televisore solo nel finale, si leva via la mantellina nonostante freddo e fatica, con l'unico intento di mostrare la Maglia Rosa regalandoci una delle immagini simbolo del ciclismo 2021.

 

9) Roglič a Tokyo

Parrebbe uno sgarbo non inserire Roglič che in stagione ottiene 13 successi, uno più significativo dell'altro. Abbiamo scelto l'oro olimpico della prova a cronometro: perché è simbolo e perché vincere ai Giochi resta per sempre sulla pelle di ogni sportivo. Su un circuito pesante come un mattone, lungo e vallonato come una crono da Grande Giro, nonostante ciò, ahinoi ingenuamente pensavamo fosse tutto apparecchiato per Ganna, ma fu un dominio assoluto dello sloveno. 55'04'' il suo tempo volato via sopra i 48 orari di media. Oltre 1' sul secondo in un podio stellare, per una top ten degna di una prova di altissimo valore.

8 ) Viviani a Roubaix 2021

Il biennio a due facce di Elia Viviani vede dipinto il suo volto migliore in quel finale della corsa a eliminazione, solo pochi giorni fa, nel velodromo al coperto di Roubaix, mondiali su pista. Viviani che scalza via con una volata imperiosa il più giovane Leitão, come se la freschezza non contasse, ma solo colpo di pedale e talento; Viviani che da Tokyo in poi (bronzo nell'omnium, non va dimenticato) ha fatto nuovamente click: nella testa e nelle gambe. Viviani che a conti fatti porta a compimento una stagione iniziata fra i mugugni, conclusa con sette successi su strada, una medaglia olimpica e due mondiali su pista. Mica male.

7) Pogačar sul Col de Romme

Davanti c'era una fuga, mentre dal cielo pioggia grossa come biglie di vetro. E poi freddo e quindi mantelline, mica troppo normale a luglio seppure siamo sulle Alpi. Condizioni ideali per esaltare il ragazzetto col ciuffo biondo che spunta dal casco e che arriva (il ragazzo, ma volendo anche il ciuffo) dalle parti di Komenda, Slovenia. Siamo sul Col de Romme e mancano poco più di 30 km al traguardo: zona Pogačar. Lui attacca, stacca tutti, continua a guadagnare sul Col de la Colombière, devasta il Tour, prende la maglia gialla, alimenta (stupide quanto inutili) polemiche. Tra i suoi avversari diretti per la classifica generale il migliore è Vingegaard che paga 3'20''. Distacchi d'altri tempi per un corridore che riscrive la storia (di questo sport, sottolineiamo, altrimenti pare che esageriamo).

6) Van Aert Ventoux

E se si parla di storia (eheh) e Tour come non citare l'impresa di van Aert sul Mont Ventoux? Come non cantare le lodi di un ragazzo che, con la maglia tricolore belga, vince al Tour rispettivamente: in salita in fuga, dopo aver scalato il Mont Ventoux due volte e aver staccato fior fiori di corridori; a crono qualche giorno dopo; in volata sugli Champs-Élysées. Altro campione che pare essere arrivato da tempi diversi, ma in realtà è perché il ciclismo del 2021 è questo. Pochi calcoli, attacchi da lontano, corridori completi. La gente ringrazia.

5) Van der Poel Strade Bianche

E c'è Roglič, c'è Pogačar, c'è van Aert, non poteva mancare van der Poel. Era l'alba di una stagione magnifica e la Strade Bianche ci offrì uno spettacolo contornato da fuochi d'artificio. A giocarsi il successo il meglio del ciclismo mondiale con van der Poel che sullo strappo di Santa Caterina portava a scuola tutti, facendo segnare wattaggi mai visti. Staccava tutti, compreso Alaphilippe che poi qualche mese più tardi si rifarà invece con una serie di sparate delle sue. Di van der Poel si poteve mettere anche il sigillo sul Mur de Bretagne con quella maglia gialla simbolica a compimento di un finale lasciato in sospeso da nonno Poulidor. Abbiamo scelto gli sterrati senesi, non abbiamo fatto torto a nessuno.

4) Caruso al Giro 2021

Una delle emozioni più grandi di questo 2021 ce l'ha regalata Damiano Caruso al Giro d'Italia. Il suo podio non è figlio della retorica del gregario che finalmente si traveste capitano e vince, ma semmai è il sigillo di una carriera sempre ad alto livello. La vittoria sull'Alpe Motta con la curva dei tifosi che lo incita, la sua resistenza, l'aver staccato persino Bernal in maglia rosa ci danno la dimensione di quello che il corridore ragusano è. E secondo noi potrà ancora essere anche la prossima stagione, anche (o soprattutto) a 34 anni, nonostante il ciclismo dei giovani fusti.

3) Quartetto olimpico

Simone Consonni, Filippo Ganna, Francesco Lamon, Jonathan Milan: in rigoroso ordine alfabetico. La mattina dell'inseguimento a squadre a Tokyo è emozione pura. Lamon che lavora ai fianchi, poi si stacca, Consonni e Milan che fanno il loro lavoro pulito e di qualità, Ganna che trascina alla rimonta. E che rimonta! incredibile, impensabile a tratti insensata. Danimarca, dette Furie Rosse per un motivo, lo spauracchio da anni, i grandi favoriti: battuti sul filo dei centesimi. Una goduria che ci porteremo addosso tutte le volte che chiuderemo gli occhi e penseremo al 2021.


2) Mondiale su Strada (Da Remco a Julian)

E sì, perché domenica 26 settembre tra Anversa e Lovanio abbiamo assistito alla Corsa e non solo per l'assegnazione della maglia più bella del ciclismo (di tutto lo sport ?), ma perché due corridori hanno fatto in modo che difficilmente ce la dimenticheremo. Evenepoel ha esaltato; ha attaccato da lontanissimo come fosse uno di quei corridori di terza fascia che ci provano perché siamo a un mondiale ed è sempre bello portare in giro la maglia della propria nazionale; ha azzardato e non ha guadagnato, anzi, ancora oggi paga un presunto carattere poco accondiscendente secondo i due compagni di squadra che erano con lui nel finale (van Aert e Stuyven). Ma tant'è: a noi esalta con quel carattere che poi è il carattere del corridore vincente. Alaphilippe si è consacrato, invece. Ha attaccato tre, quattro, forse cinque volte: l'ultima è stata decisiva, nessuno ha avuto le gambe per seguirlo. Ci ha fatto letteralmente impazzire.

1) Colbrelli a Roubaix

E pensavamo di aver visto ormai tutto la settimana prima in quel bagno di umori e fragorosi pensieri. Pensavamo, in stagione, credevamo di aver visto un ciclismo italiano competitivo su (quasi) tutti i terreni. Pensavamo di non vincere più una corsa come la Roubaix poi è arrivato lui, Sonny Colbrelli e pochi minuti prima poteva esserci Moscon, ma la sfiga c'ha visto benissimo. Colbrelli invece è stato un sogno, per lui, per noi, per tutti.


Finalmente Paris-Roubaix

7112 giorni fa, oltre diciannove anni, l'ultima volta che pioggia e Paris-Roubaix si sono guardate negli occhi e poi parlate. Vinse Johan Museeuw, non uno qualsiasi, mai. Che su quelle strade rischiò di farsi amputare un ginocchio. Quel 14 aprile del 2002 fu praticamente il suo ultimo grande successo. Terzo arrivò Tom Boonen all'epoca giovane speranza belga e mondiale che nell'Inferno del Nord fece conoscere la sua leggenda fino a scoprirne poi la più grande beffa.

903 giorni dall'ultima Parigi-Roubaix. La più penalizzata delle corse causa pandemia. Quel giorno van Aert cadde, inseguì, poi saltò. Gilbert se ne andò via con Politt e lo superò dentro il velodromo intitolato a Stablinski. In mezzo tra quella e questa Roubaix il mondo ha conosciuto un po' di tutto, il ciclismo si è adeguato alle inevitabili trasformazioni.
Sagan ha smesso di dominare: 9 successi negli ultimi due anni e mezzo, su oltre 100 in carriera fino a quel giorno. Gilbert ha visto il suo declino accelerato da età, brutte cadute e infortuni. Froome non avrebbe vinto più un Grande Giro, anche lui invischiato tra cadute e tempo che passa. Sarebbe iniziata l'epoca degli sloveni e di Bernal, sarebbe arrivato Carapaz dall'Ecuador. Aru avrebbe smesso di correre, i danesi avrebbero raggiunto l'età dell'oro e Alaphilippe, in un paio di anni, avrebbe vinto due mondiali in fila. Evenepoel avrebbe fatto conoscere a tutti, sempre più velocemente, forza e spavalderia. E poi van Aert e van der Poel, e quel dualismo a riempire le pagine.

Già, van Aert e van der Poel (anche) oggi favoriti ma poi magari vincerà qualcun altro perché è il bello del ciclismo, perché è il fascino della Roubaix dove puoi essere in giornata di grazia, ma poi, appunto, il diavolo travestito da viscido pavé e (finalmente, diciamolo) da fango, ci mette sempre lo zampino. Figuriamoci domani che è prevista (altra) pioggia. E servirà una dose di fortuna incredibile oltre a malizia nella guida e poi quell'esperienza che arriva dal ciclocross risulterà fondamentale.

E allora sembrava veramente che non dovesse accadere più, come quando ti ritrovi a fare un incubo e non riesci a uscirne e ti senti soffocare e invece siamo qui a immaginarci il gruppo in fila per prendere Arenberg, a sperare che ne escano tutti intatti perché già è complicato di suo, immaginatevi dopo la pioggia, tutti sparati a limare che anche se guidi bene o salti come un grillo da un buco all'altro non sai mai cosa ti può accadere. E puoi forare nel momento decisivo, ti si può rompere la bici, eccetera.

Pensi alle Carrefour de l'Arbre e ai settori, e ai colori che saranno grigi e marroni, ai campi intorno pronti per la raccolta, all'erba più alta di quando è aprile, e a punti in cui ci sarà tifo indemoniato per tutti. E pensi a favoriti e outsider: da quanto tempo abbiamo sognato questo momento? Pensi all'armata Deceuninck che non ha i favoriti assoluti ma se sommi Asgreen, Sénéchal, Štybar e Lampaert puoi tirarci fuori il vincitore. Pensi a Stuyven che ha il colpo in canna ancora dal Mondiale; ti aspetti Sagan che per vincere quella volta si mosse da lontano e gli altri si guardarono. Pensi a Colbrelli (che sarà qui la prima volta e a Roubaix serve esperienza, tanta) o Moscon che qui ci fece sobbalzare per qualche istante quando entrò nel velodromo pizzicando il gruppo di testa e provò persino ad anticipare la volata.

E poi la lista dei nomi pare infinita ma non importa, quello che importa è che dopo quasi mille giorni torneremo a vedere quella che per la maggior parte del gruppo è "la gara che ho sempre sognato da bambino". Seppure sarà maledettamente dura, pure noi la sogniamo.
Bentornata Roubaix, Inferno del Nord, purgatorio di fatica, paradiso ciclistico.

IL PERCORSO

257 km: 54,5 di pavè diviso in 30 settori. Come da tradizione da una stella a cinque stelle per indicarne la difficoltà e dove a 5 stelle, i settori più difficili, i soliti tre: settore numero 19, Trouée d'Arenberg (95,3 km dall'arrivo) lungo 2.300 m, settore numero 11, Mons-en-Pévèle (48,6 km all'arrivo) 3.000 m di lunghezza, e infine settore numero 4, Carrefour de l'Arbre, (17,2 prima di tagliare il traguardo) 2.100 m di lunghezza. E in mezzo sarà il solito delirio dove quest'anno appunto, andrà pure aggiunto il fango.

I FAVORITI DI ALVENTO

⭐⭐⭐⭐⭐ Van Aert
⭐⭐⭐⭐ Van der Poel
⭐⭐⭐ Sénéchal, Štybar
⭐⭐ Stuyven, Asgreen, M.Pedersen, Kueng, Sagan, Politt
⭐ Van Baarle, Kwiatkowski, Moscon, Colbrelli, Lampaert, van der Hoorn, Turgis, Kristoff, Teunissen, Philipsen

Foto: ASO/Pauline Ballet


Il fascino di Tom Pidcock in un giardino giapponese

Un percorso così bello e curato nei minimi dettagli, un giardino giapponese. Elementi rifiniti da sembrare uno di quei diorama che ti appioppavano in qualche progetto complicato a scuola. Dicevi di averlo fatto tu, ma invece era tutta opera di tuo padre ingegnere e tua madre artista - benedetti genitori.
Un vincitore così giovane e ricco di fascino da sembrare uno di quegli attori brutti ma tremendamente carismatici, tipo Jeff Goldblum o Willem Dafoe.
Uno sconfitto di giornata oggi, parafrasando Philipp K. Dick, "più umano dell'umano", che ieri nessuno osava dirlo, mentre oggi in coro "non si improvvisa la mountain bike". Un errore, un peccato che lo rende così tremendamente tenero che lo vorresti strapazzare e dirgli con dolcezza, "Mathieu: sarà per la prossima volta". Si farà serio e incazzoso dopo oggi e di sicuro, forte com'è, ci riproverà fra tre anni a Parigi.
Un vincitore perfetto nella gestione, ormai superstar in miniatura, giapponese nel gestire e sfidare i trabocchetti del tracciato, iperviolento nel suo strapotere quando accelerava nei tratti in salita. Irresistibile e versatile come quegli attori brutti di cui sopra, in scala ridotta e forse per questo così a suo agio in quell'ambientazione creata ad hoc per esaltare le doti degli specialisti delle ruote grasse.
A tratti iconoclasta in un mondo rigido, con quell'orecchino sul lobo sinistro, lui che sulla bici sembra un bambino che sfugge agli ordini di casa: semplicemente affascinante Tom Pidcock.
E infine due parole per il terzo arrivato, lo spagnolo David Valero Serrano che finisce così forte che se invece di 9 giri ce ne fossero stati che ne so, altri 9, avrebbe forse vinto per dispersione. Se Pidcock è il fascino, lui, nei giorni di Olimpia, è stato un maratoneta.


Per la storia

Domani alle ore 8 ci sarà da divertirsi. Domani alle 8, mentre noi, comuni mortali, saremo schierati davanti a cappuccino e brioche, oppure avremo appena varcato la soglia dell'ufficio, o staremo facendo zapping con le occhiaia per la sbornia olimpica. Insomma, domani alle ore 8, segnatevelo: Mathieu van der Poel, che a differenza nostra di comune non ha nulla, proverà a fare ancora una volta la storia delle due ruote.
Mountain bike, XCO, inseguendo l'oro olimpico, nell'anno in cui ha conquistato la sua quarta maglia iridata (tra gli élite), la sesta in totale nel ciclocross. Eventualmente: nessuno come lui. E per alzare l'asticella c'ha messo vicino una bella maglia gialla qualche settimana fa al Tour, sia mai che in futuro, magari un figlio o un nipote viene fuori ancora più forte e lo possa superare. Intanto mettiamo giù più record possibili - avrà pensato.
Non sarà facile per uno che di comune non ha niente se non due gambe (ma che gambe), due occhi, due braccia (e pure lì...), dorsali corazzati, polmoni che potrebbe soffiare via tutti i problemi della terra se solo volesse.
Beh, insomma, a parte le esagerazioni: domani ore 8, ricordatevi che si fa la storia delle due ruote, segnatevi l'orario da qualche parte che poi venite a dire che nessuno vi aveva avvertito.
Certo: facile non sarà come averlo scritto o pensato. Schurter, campione in carica, tre medaglie olimpiche, otto titoli iridati, forse il più grande di sempre di questa disciplina, avrebbe qualcosa da ridire e sul circuito (molto tecnico, su e giù senza respiro), lo farà.
Idem Sarrou, che pochi giorni fa si è fatto male proprio allenandosi nel circuito di Izu, ma è il campione mondiale in carica, e poi Avancini, Flückiger, Koretzky. E poi Tom Pidcock, un altro che sfugge la normalità come fosse un problema che non lo riguarda. Un altro che, anche solo finendo sul podio, potrebbe fare la storia di questo sport.
Gli avversari sono grandi e van der Poel vorrà dimostrare di essere ancora più grande. Sì, domani alle ore 8 ci sarà da divertirsi.