Top&Flop - alvento weekly #6

TOP

DEGENKOLB

Anni tribolati alle spalle, si spera. Da qualche settimana la sua sagoma è sempre davanti  nelle corse del Nord. Alla Roubaix sta benissimo, sogna il podio che può arrivare vista la condizione espressa, ma poi un incidente (di corsa!) lo taglia fuori dalle primissime posizioni. Chiuderà comunque 7°.

TARLING E MIKHELS

Due dei tre più giovani al via. Il britannico della Ineos ha tirato, è caduto, è rientrato, ha chiuso la Roubaix fuori tempo massimo: la corsa l’ha voluta portare a termine ugualmente. L'estone della IWG, invece, anticipa, e si ritrova dentro Arenberg con i migliori, fino a quando un guaio meccanico lo costringe a fermarsi. Lui la corsa la chiude abbondantemente dentro quel tempo massimo a una ventina di minuti da van der Poel. Classe 2004 e 2003 rispettivamente: torneranno da quelle parti per essere protagonisti assoluti.

VAN AERT

Si è dovuto inchinare alla maledetta legge del destino. La foratura uscendo dal Carrefour de l’Arbre ci toglie quella che sarebbe stata la ciliegina sulla torta di questa indimenticabile primavera: il testa a testa con van der Poel dentro il velodromo.

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FLOP

POLITT

Attesissimo perché è da inizio stagione che va forte e invece resta sempre dietro a inseguire tra cadute (perlopiù degli altri) e problemi meccanici e non entra mai nel vivo della corsa. E un'altra primavera è passata da quel podio alla Roubaix...

MOHORIČ

Quando resta imbottigliato ad Arenberg ormai i migliori sono scappati via. Non dà mai l’impressione di essere sul pezzo, ma tornerà la prossima stagione per essere nuovamente tra i protagonisti.

STUYVEN

Un discorso simile riguarda Stuyven: percorre Arenberg con una foratura, ma probabilmente era troppo tardi per agganciare i migliori, anche se non avremo mai la controprova. Una serie di sfortunatissimi eventi rende amara la campagna del Nord per il forte belga che rivedremo tra qualche settimana protagonista al Giro.

 

 


Diavolo di un Mathieu

Nella vita, o meglio nel lavoro, sosteneva un personaggio importante della cultura popolare italiana, tale “Profeta di Fusignano”, servono tre fondamentali parametri che non solo aiutano ad andare avanti, ma permettono di avere successo o comunque realizzarsi in quelli che sono i propri obiettivi: “Pazienza, colpo d’occhio e… fortuna”. Edulcoriamo l’ultimo termine così, perché ci va, ma in realtà per capire di cosa stiamo parlando e per scoprire a quale organo appartenente al corpo umano si riferisse Arrigo Sacchi all’epoca, non serve nemmeno scomodare una veloce ricerca su Google.

Mathieu van der Poel la pazienza la mette da parte scavalcandola a suon di watt espressi in bicicletta; il colpo d'occhio è un arma che ha affinato nel ciclocross, insieme a quella sua abilità innata e poi allenata, pedalando con una tecnica unica, utile a dare potenza sul dritto o percorrere con leggerezza le curve; la fortuna, infine si sa, aiuta sempre gli audaci e il corridore olandese è sempre stato amante del rischio per natura.

Ora non vogliamo di certo semplificare, o non rendere onore al merito, a tal punto da intendere che la sua vittoria alla Roubaix sia arrivata grazie al (una buona dose di) culo (ecco la parola, ci è sfuggita, la lasciamo), per carità, ma quel diavolo di un Mathieu, nel pomeriggio del 9 aprile 2023, ne ha avuta e come sempre succede in questi casi, se l’è pure meritata.

La fortuna (o il suo contrario) e i pensieri intorno al suo condizionamento nella vita di tutti i giorni da sempre attrae i pensieri degli uomini. Si cercano significati nascosti e motivazioni: “per quale motivo uno è più fortunato di un altro?”. Può esprimere concetti riguardanti la superstizione e condizionare in maniera irrazionale (a chi non è mai capitato guardando una partita di pallone, magari dei calci di rigore, di non cambiare mai la propria posizione sul divano?), ma può essere anche semplicemente un momento racchiuso in qualcosa che potremmo definire stato di grazia, come quello che, dalla Milano-Sanremo, pare vivere Mathieu van der Poel.

Dicevamo: perché qualcuno è più fortunato di un altro? Chi lo sa, ma viene da chiedersi: perché in quel momento preciso in cui van der Poel si tocca con Degenkolb e il tedesco va a terra, van der Poel, omone, “califfo delle pietre” come lo ha definito il giornalista svizzero Stefano Ferrando, resta in piedi, e quando attacca van Aert subito dopo, lui lo segue, lo raggiunge e poche centinaia di metri dopo è proprio van Aert a forare e a dover abbandonare ogni idea di giocarsi la vittoria dentro al velodromo? (che finale sarebbe stato?). Forse la capacità di stare in piedi in quel frangente (lo scontro con Degenkolb) è figlia delle sue abilità, ma quella di vedere forare il suo avversario numero uno...

Abbiamo chiesto a Dainese un’impressione sulla sua Roubaix e nella nostra chiacchierata un punto è tornato fuori sovente «Ci vuole fortuna, ma quella fortuna bisogna andare a cercarsela, bisogna stare sempre davanti e già essere in decima posizione dentro Arenberg com’è successo a me, può non bastare».

Foto: Sprint Cycling Agency

Assurdo pensare a quali forze agiscano in quei frangenti. Alla rabbia che si prova per quello che è appena successo al belga, all’esaltazione nel vedere come l’olandese invece superi indenne ogni tipo di difficoltà. Quel diavolo di un Mathieu pochi minuti dopo azzarda una manovra che potremmo definire solo e soltanto vanderpoeliana: in una curva, su un più semplice settore di pavé, già testata in ricognizione (ma probabilmente senza lo spartitraffico di plastica in mezzo) arriva a tutta velocità e senza frenare dribbla un blocco giallo che sembra un enorme lego, lo dribbla come fosse un Roby Baggio degli anni ‘90. D'altra parte numero dieci chiama numero 10.

Un sospiro di sollievo per noi, naturalezza per lui: sappiamo che Mathieu, cascasse il mondo, quelle curve le affronta senza frenare - importante sarebbe una dichiarazione di non responsabilità in sovraimpressione: non provateci quando siete in bicicletta, nessuno di voi è bravo e fortunato come Mathieu in quel frangente.

A fine corsa gli hanno chiesto se nel finale avesse preso qualche rischio di troppo, ma lui, laconico: «Di nessun genere, ho sempre avuto il controllo della gara. Quando il destino è nelle mie mani non sono mai nervoso, non ho mai paura. Quando sono da solo posso permettermi di fare le cose che mi riescono meglio».

Diavolo di un Mathieu, al 9 aprile 2023 il tuo palmarès recita: 2 Fiandre, 1 Sanremo, 1 Roubaix, 1 Strade Bianche, 1 Amstel, 1 Brabante, 2 Dwars, tappe al Giro e al Tour per un totale di 42 successi su strada da professionista e non vogliamo scomodare l’extra.

Insomma, dai, fortuna e bravura, ti stai realizzando e, cosa che non guasta, ci stai facendo divertire parecchio.

 

Foto in copertina: ASO/Pauline Ballet

 


Alison Jackson: mai due volte la stessa strada

Quest'inverno, mentre la EF Education-TIBCO-SVB era in ritiro in Spagna per preparare la stagione, c'era un rituale che si ripeteva ogni giorno, prima degli allenamenti. Alison Jackson, la vincitrice della Paris-Roubaix Femmes, lo scorso 8 aprile, utilizzando un'applicazione, disegnava i percorsi da fare e, ogni giorno, il tragitto era diverso, con pari difficoltà altimetriche, ma diverso. All'inizio, nessuno ci faceva molto caso, se non fosse che, dopo molti giorni, con un sacco di strade già attraversate, una mattina, la traccia evidenziata da Jackson porta tutta la squadra in una strada sterrata, lontana dalla città, abbastanza dispersa, insomma, in una di quelle strade in cui si può finire per sbaglio, magari dopo essersi persi. Difficilmente, però, ci si va apposta, per allenarsi.
«Alison ma che ci facciamo qui? Torniamo sul percorso di ieri, era bello, non credi?» chiedono tutte.

«Sì, ma non si fa mai due volte la stessa strada, soprattutto in allenamento, dove si può cambiare. La mia applicazione serve a questo».
Non riusciamo a descrivervi a parole il volto sorpreso delle sue compagne, possiamo, tuttavia, riportarvi il primo pensiero che quel giorno ha fatto Letizia Borghesi, è lei stessa a dircelo: «E tu, per non rifare due volte la stessa strada, vai in questi tratti sterrati e malmessi? Sei tutta folle, ragazza mia». Il tutto seguito da una risata fragorosa che condividiamo con Letizia.

Sì, un tipo decisamente particolare Alison Jackson, ma di questo dovreste già esservi resi conto seguendo la Parigi-Roubaix: un attacco da lontano, di quelli che sembrano destinati al nulla, sempre davanti a tirare, a rischio di sfinirsi e poi perdere, la volata vincente nel velodromo e anche un balletto. Così, tanto per gradire. Quei balli, quelli che posta sui social, li impara dal web: quando l'allenamento finisce, distesa sul letto, in camera, vede moltissimi video di danza e prova a capire i passi, poi li imita. Ballare da sola, però, non la soddisfa molto, allora si è fatta una promessa: «Insegno a tutte le mie compagne a ballare, le filmo e, alla fine dell'anno, vediamo i progressi. Impareranno tutte». Ed anche qui, Borghesi se la ride: «Considerando il mio punto di partenza, un miglioramento lo vedrà di sicuro, ma non credo basti a soddisfarla».

Alison Jackson è nata a Vermilion, in Canada, il 14 dicembre del 1988. È cresciuta in maniera semplice, con le cose genuine che si vivono nelle zone rurali: andava nei campi, raccoglieva i sassi e li trasportava fino ad un camion che li avrebbe portati via. Ha confidenza con i minerali, con rocce e pietre, per questo, tempo fa, in una sgambata, ha detto a Borghesi: «Ma, sai, l'unica pietra che davvero vorrei avere a casa mia non è in Canada. È una di quelle pietre della Parigi-Roubaix». Ci è riuscita e ci è riuscita a modo suo.

Sì, perché alla riunione del mattino, non era minimamente programmato il suo attacco. Anzi, lei, Zoe Backstedt e Letizia Borghesi avrebbero dovuto stare tranquille e aspettare le fasi finali di gara, ad attaccare avrebbero pensato altre. Tranquille? Come no. Alison Jackson è subito andata in fuga. «È esuberante, istintuale. Avevamo capito tutte- continua Borghesi -che ci teneva particolarmente, non immaginavamo questa azione. Ha sentito che era giusto farlo e lo ha fatto. Cosa vuoi dirle?». Chissà che, prima di scattare, non abbia guardato il manubrio, dove, su pezzetti di nastro adesivo azzurro, aveva scritto a pennarello: "Don't think, just do". Per ricordarsi di non pensare, di agire solamente. Tra l'altro, ci hanno detto che è la prima volta che le hanno visto queste scritte sul manubrio. La conclusione potrebbe anche essere abbastanza facile: Alison Jackson sapeva che, pensandoci anche solo un attimo, una giornata così non l'avrebbe vissuta, perché pensandoci non avrebbe fatto quasi nulla di ciò che ha fatto. Così l'ha scritto, a promemoria, nel caso le venisse qualche dubbio.
A Letizia Borghesi si rompe la radiolina e, ad un certo punto, perde il contatto con la gara. Giusto poco dopo aver detto alle sue compagne che, con il vantaggio che il gruppo aveva lasciato, forse c'erano buone possibilità di far bene. Sì, appunto: "far bene". Vincere è un'altra cosa. Che Jackson ha vinto, lo viene a sapere dalla sua massaggiatrice, all'entrata nel velodromo, anche abbastanza delusa perché un problema tecnico negli ultimi chilometri, le ha impedito di giocarsi il finale con il gruppo. Il pensiero è lo stesso di quel giorno in Spagna, su una strada sterrata chissà dove: «Ma tu sei folle, ragazza mia».

Alison Jackson ha passato tante squadre, anche un anno in Italia, nel 2017, con la Bepink Cogeas, l'anno in cui ha scoperto che l'Italia le piace e ha imparato diverse parole italiane, poi Sunweb, Liv Racing, fino a quest'anno in Ef Education. Nel tempo, ha elaborato una sorta di filosofia personale per certe situazioni, tanto che in squadra ce lo dicono: «Serviva coraggio per lavorare come ha lavorato, mentre le altre si risparmiavano per l'eventuale volata. Vero. Però a lei interessava portare la fuga al traguardo, una sorta di sfida con il gruppo, anche a costo di perdere. Nella sua esuberanza c'è anche questo: "Noi siamo poche e stanche, ma vi faccio vedere che arriviamo noi". Mettiamola più o meno così". Queste cose le vive e le spiega, consiglia. A Letizia Borghesi, ad esempio, ha insegnato a studiare bene i percorsi prima delle gare, nel minimo dettaglio, perché "la gara si inizia a fare da lì». Dopo la Roubaix, il suo sogno da sempre, chissà quale sarà il suo prossimo traguardo. Di certo il suo modo di correre e lo spunto veloce la aiuteranno.

Paris Roubaix Femmes 2023 - 3rd Edition - Denain - Roubaix 145,4 km - 08/04/2023 - Alison Jackson (CAN - EF Education - TIBCO - SVB) - photo Luca Bettini/SprintCyclingAgency©2023

Vederla abbracciata a quel sasso, dopo un inizio di stagione che non è andato proprio come aveva immaginato, riporta indietro, all'infanzia, ad immaginarcela bambina curiosa, nella natura. E, sorridendo, porta avanti, ai prossimi balli, in cui, a quanto pare, vorrà coinvolgere anche quella grossa pietra. Chissà cosa ne verrà fuori.

Foto: Sprint Cycling Agency


Giro di Sicilia: una partenza, una poesia

Articolo di Fabio Gariffo, foto di Aristide Tassone

Sono la Piazza. Quella della partenza.
Deserta o gremita, centrale o alberata, occupata o attraversata. Il più delle volte inosservata.
Oggi sono io che osservo.
E non preferisco. Stamani accolgo.
Alle prime luci dell’alba il vociare rauco, il baccano di lavori e transenne. Che limitano, regolano.
A pochi, pochissimi, chilometri stanziano i fenicotteri della riserva naturale dello Stagnone, qui a Marsala. Con le loro esili gambe in acque che sanno di sale e di fenici, ieri hanno visto passare i grandi bus dei ciclisti, abitati da direttori e capitani, sogni e speranze, strategie e rassicurazioni.
Dove vadano a dormire i fenicotteri resta un mistero, in questa terra di misteri.
Ciò che sappiamo è che da qui parte il Giro di Sicilia: altro giro, altra corsa.
Benvenuti Signore e Signori!
Ogni partenza iberna le previsioni. Sospende il frizzante gusto dell’attesa, dal fascino inimitabile. Che ci fa innamorare, fuori e dentro il ciclismo, sport di delicato equilibrio; metafora di vita.

Sono la Piazza, col suo palco di ferro e legno.
A breve spumeggierà di musica e giovani ragazze sorridenti.
Ecco, arrivano i miei invitati e i loro sguardi. Quelli dei bambini e dei loro genitori. Assai diversi per trepidazione e innocenza.
Ecco i turisti, che non sapevano, in scia della festività pasquale appena trascorsa, celebrata dai più fortunati a Roubaix. Li riconosco subito dal naso all’insù e le gambe nude in ogni stagione.
Ecco gli amatori, che amano il ciclismo. Ognuno a modo suo.
È bello vederli la domenica mattina partire da qui con i loro buoni propositi per una “sgambata” sino alla vetta del monte Erice, faro in questo mare azzurro pianeggiante e di accecante luce.
Passano di fronte casa tua? - Usciamo domani? Si interrogano con la tipica cadenza liturgica di una lingua usualmente non declinata al futuro.
I pensieri degli uomini sono privati. Le emozioni no.
Emozioni, eccole, finalmente, ravvivarsi nei volti di tutti: sono arrivate le squadre!

Mi presento loro e le avvolgo. Il monumento che custodisce il ricordo dei mille garibaldini sembra compiacersi quest’oggi di un altro tipo di sbarco.
Un altoparlante - nome azzeccatissimo - scandisce i loro nomi. Con entusiasmo professionale.
Regalo loro carezzevoli raggi di sole fra aguzzi raggi di ruote al carbonio.
Giovani, esigenti, imberbi. E magri. Troppo magri secondo le nonne siciliane il cui affetto per i nipoti si misura in pranzi e i pranzi in doppie porzioni.
Perché da queste parti le arancine di riso non sostituiscono il pranzo e vanno pronunciate rigorosamente al femminile.
I corridori, adagiano con attenzione le loro bici nuove, perfette, ammalianti.
Firmano. Sigillando così la presenza e l’appartenenza. Io c’ero. Ho provato. Ce l’ho fatta.
Molti appassionati avrebbero voluto che dal pullman bianco del team UAE fosse sceso il piccolo principe alieno di nome Pogačar, ma poco importa. Abbiamo altri eroi in queste quattro tappe perché nessuna corsa, in fondo, è minore per chi l’affronta.
Atleti umili e nobili, semplicemente umani. Visti da vicino sembrano somigliare a tutti coloro che pedalano per diletto.
Sembrano. Da fermi.
Forse anche quest’anno, qualcuno di loro troverà un momento di raccoglimento.
Lo sguardo basso, le mani giunte, un veloce segno della croce. Come fece l’anno scorso Damiano Caruso, appena in sella, ben prima del chilometro zero di quel Giro di Sicilia che vinse.

Lui, il gregario, che si sacrifica; che rende sacro cioè. Lui, progenie della Trinacria, che vorrebbe bissare il successo.
Parlano del più e del meno, i corridori. Pronti a misurarsi tra loro e a misurare i loro watt.
In tandem con l’ombra di un imprevisto o un’incertezza, perché chi va in bici sa che tutto ciò che sembra scontato, il più delle volte non lo è.
Mentre i tanti curiosi coi loro piccoli e costosi telefoni sono pronti a scattare per condividere o mostrare un momento registrato, ma non vissuto nella consapevolezza del tempo presente e dei suoi doni incancellabili.
I corridori scatteranno anche loro.
Nell’immancabile fuga di giornata, per mostrare sponsor e potenzialità. Per dovere, per esistere e resistere.
Pronti ad arare le venature asfaltate di questa terra, prostituta d’Europa, concessa ad arabi e normanni, angioini e aragonesi. Terra contraddittoria, esagerata.
Con quali occhi la guardi, Lei ti appare.

Oggi, nella bellissima ma ventosa Marsala - come scriveva Cicerone - è festa.
Una festa pagana. Inebriante come l’omonimo vino di questa terra, un vino da meditazione.
Le riprese tv inquadreranno dall’alto, per qualche istante, le palme, i mulini a vento e il blu che circonda le Egadi. Forse ometteranno nella cartolina il rosso dei tramonti e il grigio dei pregiudizi e dei cliché.
Il soffio della Valle dei Templi di Agrigento asciugherà il sudore dei più audaci dopo circa 160 km.
Tutto, domani, tornerà alla normalità in questo straordinario quotidiano.
Io sono la piazza. Di vuoto piena.
Qui non vi è l’arrivo.
Qui vincono tutti.

 

 

 

 

 


Palio del Recioto: grandi e forti come il vino

Sotto il nome “Palio del Recioto” sono racchiuse tantissime cose. Oltre che una sagra del vino è un’enorme degustazione all’aperto e una serie di incontri sull’archeologia in Valpolicella. È un concorso enologico, un modo di avvicinarsi al vino per migliaia di persone e addirittura un torneo di bocce: la prima edizione si è svolta presso il Bar Ferrari di San Peretto, 32 partecipanti. Una tre giorni di festa che ha la sua «tradizionale chiusura», come afferma la Pro Loco di Negrar di Valpolicella, nel – questa è la nomenclatura ufficiale – Trofeo C&F Resinatura Blocchi. È una delle più dure gare internazionali per U23: per tutti, però, è “Palio del Recioto” anche questa.

Vinto nel passato da campioni quali Fabian Cancellara e un Caleb Ewan molto diverso dallo sprinter attuale (Pogačar arrivò secondo nel 2018), il Recioto attrae ogni anno il meglio della gioventù ciclistica mondiale. Anche grazie alla concomitanza con il Giro del Belvedere (che tipicamente si corre il giorno prima, in provincia di Treviso), la corsa tra i muri della Valpolicella anche quest’anno ha tra le partenti tante squadre-sviluppo di formazioni World Tour, come la Jumbo-Visma Development, l’Astana U23, l’AG2R U23 o la Groupama-FDJ Continental. Assieme a queste, vengono da tutta Italia (da tutto il mondo, in realtà) le migliori formazioni: la Bardiani, la Hagens Berman, la Colpack, la Trinity, la Zalf, la Biesse-Carrera, il Cycling Team Friuli.

Una squadra in particolare sta andando forte quanto al piano di sopra: la Jumbo-Visma sembra produca corridori-fotocopia. Sono tutti alti circa 185 cm, pesano una settantina di chili, tanti vengono dal nord Europa e sono tendenzialmente biondi. Altri segni particolari? Vanno fortissimo. Norvegese di Lillehammer, Johannes Staune-Mittet risponde bene a questo identikit: ha appena vinto il Giro del Belvedere e oggi è qui, alla partenza del Palio del Recioto, per provare a succedere al vincitore dell’anno scorso, Romain Grégoire.

Alla partenza del Recioto Staune-Mittet è evidentemente felice. Sta benone, confessa, nonostante una «notte molto calda in albergo». Gli chiedo con una battuta se abbia festeggiato abbondantemente la vittoria del giorno prima: rivela di no, semplicemente non funzionava l’aria condizionata in camera. Ha capito che «puoi sempre denudarti e dormire sopra le coperte. Insomma, sono pronto per la gara».

Mentre finisce la frase, aumenta il trambusto in zona partenza. Un paio di corridori della Hagens Berman saltano le transenne in tutta fretta per montare sulle bici: la corsa è partita! Le ruote iniziano a girare ma Johannes non ha nessuna fretta. Ha ancora il piede a terra quando mi dice che non vede «l’ora di correre oggi, sarà divertente». Infine, anche lui, parte.

Non è l’unico corridore con cui ho parlato in partenza. Con Cesare Chesini della Zalf si scherza, urlando come Carlo Vanzini, che ci sono PROBLEMI PROBLEMI PROBLEMI sulla bici di Davide De Pretto: il disco del freno tocca e serve la mano del meccanico per aggiustarlo. Sul palco del Belvedere Staune-Mittet ha detto a De Pretto che sarà «un combattimento anche oggi», ma lo scalatore di Piovene Rocchette è prontissimo e ha un compagno di squadra di nome Guerra Andrea: in un conflitto dovrebbe essere ben coperto.

Con un amico della zona, la mattina ho provato il percorso della gara. Per un amatore normale è completamente folle: si inizia con sei giri “normali”, con le salite della Masua e Jago. Sono unite da un chilometro di discesa tecnica e velocissima, al termine della quale si svolta secco a sinistra per attaccare il primo muro verso Jago. La seconda salita è detta anche “via dei Ciliegi” sebbene ormai ne siano rimasti giusto un paio: si vedono soprattutto vigne, vitigni dappertutto, e lingue di cemento su cui arrampicarsi in sella a una bicicletta.

Finiti i sei giri, un settimo passaggio a Jago è da approcciare da un’altra strada, infida. Sale, stretta e verticale, direttamente dal centro di Negrar. Una volta in cima, falsopiano e sorpresa: il muro cementato di via Tezol, con pendenze oltre al 20%. Questo è il punto decisivo della corsa: ennesimo falsopiano dopo il muro, discesa tecnica, salita finale (circa 7,5 km al 6,5% medio) verso Fiamene. Il finale, undici chilometri tra le località Fane, Prun e Torbe, è in discesa, ma il percorso è talmente selettivo (quasi 3000 metri di dislivello positivo) che il gruppo si sgretola ben presto.

«No se pol mia ber mentra cheialtri fan fadiga» scherza un anziano signore veneto dopo avermi visto con un bicchiere di rosso in mano. Siamo – come, a quanto pare, tutto il mondo ciclistico veneto – sullo strappo di Jago, che è perfetto: in cinque minuti a piedi sei al traguardo, i corridori vanno per forza di gravità piano e la cantina Recchia ha imbandito tavoli, bottiglie e risotti da far mangiare mezza Verona. Quassù c’è l’amatore Pietro, che stamattina ha incontrato durante l’allenamento Davide Formolo, residente a Monaco ma originario di San Rocco. Quassù ci sono compagni di liceo di Davide De Cassan, interessantissimo scalatore del Cycling Team Friuli, originario di Cavaion Veronese. Quassù ci sono scritte sull’asfalto per corridori locali, c’è Riccardo Meggiorini, c’è un tendone imbastito dalla famiglia Zamperini (altro bel corridorino della Zalf) che regala a tutti panini e vino, c’è Luca Giavara del Pedale Scaligero che dopo due giri ha già abbandonato la corsa e si sta godendo la festa. Ha affidato la bici a un signore con la felpa della Bocciofila Azzago ed è parte della baraonda.

La corsa, intanto, succede. Già ridotto all’osso dal circuito della Masua e Jago, il gruppo si sgretola ulteriormente su via Tezol. Coi migliori rimangono in pochi: tre Bardiani, due Jumbo-Visma, il campione del mondo junior in carica col nome da scrittore tedesco, Emil Herzog, De Pretto e pochissimi altri. Tanti provano a partire, ma chi si avvantaggia davvero è una coppia particolare. Né Giulio Pellizzari della Bardiani, né Tijmen Graat della Jumbo erano i favoriti, perché hanno compagni di squadra più quotati, ma sono ottimi corridori. «Sulla salita [di Fiamene] ho provato ad attaccarlo» rivela Pellizzari dopo la corsa, «anche se subito avevo paura perché da quello che dicono questo plana, vola. Lo guardavo, perdeva due/tre metri e rientrava. Ma non volevo tornare a casa col dubbio di non averlo attaccato».

Graat ha provato a staccare Pellizzari in discesa, senza risultato. I due collaborano e arrivano in centro a Negrar da soli. Entrambi in conferenza stampa raccontano di essersi parlati e di essersi confessati quanto siano poco veloci allo sprint. Pellizzari parte ai -200 per lanciarsi, Graat lo supera e gli dà almeno una bici di distacco. È la seconda vittoria della Jumbo-Visma in due giorni. Graat si è detto sorpreso dei suoi stessi miglioramenti: è un corridore molto diverso rispetto a quello di un anno fa, pur rimanendo uno scalatore.

È un po’ ciò che accade, mi spiega Fausto, amico ciclo-enologo, con l’uva di queste zone: dà vita sia al Recioto, che è un passito e quindi va bene con dolci al cioccolato, crostate di frutta e simili, sia – prolungando la fermentazione – all’Amarone, che è un vino diverso, ben più strutturato, adatto a carni rosse e grigliata. Tijmen Graat, Giulio Pellizzari e gli altri stanno diventando grandi e forti come il vino.

 


Il questionario cicloproustiano di Kasia Niewiadoma

Il tratto principale del tuo carattere?
Testa calda

Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Senso dell'umorismo

Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
Persistenza

Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
La loro onestà

Il tuo peggior difetto?
Ripensare alle esperienze passate

Il tuo hobby preferito?
Cucinare al forno

Cosa sogni per la tua felicità?
Essere vincente

Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
Un osso rotto

Cosa vorresti essere?
Un modello per altri coriddori

In che paese vorresti vivere?
Da qualche parte in cui ci sia il sole

Il tuo colore preferito?
Rosso barbabietola

Il tuo animale preferito?
Cane

Il tuo scrittore preferito?
In questo momento Murakami

Il tuo film preferito?
Girls Trip

Il tuo musicista o gruppo preferito?
Attualmente è Fred Again

Il tuo ciclista preferito?
Al momento Tadej Pogačar

Un eroe nella tua vita reale? Una tua eroina nella vita reale?
Tutte le mamme

Il tuo nome preferito?
Nome per un cane Coco (cocco), per una persona Basilicum, Lilianna

Cosa odi?
Non mi piace usare questa quella parola

Un personaggio della storia che odi più di tutti?
--

Quale impresa storica ammiri di più?
La caduta del muro di Berlino

Quale impresa ciclistica ricordi di più?
TDFF con Zwift 2022

Da quale gara non vorresti mai ritirarti?
Strade Bianche

Un dono che vorresti avere?
Vorrei poter parlare le dieci lingue più usate

Come ti senti attualmente?
Completamente a mio agio

Scrivi il tuo motto di vita
Continua a diffondere amore e luce, sorridi e non giudicare mai