Jetlag ride

Quando a fine agosto 2016 Elisa Scalambra e Andrea Schillirò al rientro a Milano dopo il mondiale di triathlon al quale Elisa (mamma, triatleta amatore e sportiva a tutto tondo) aveva partecipato in Australia, non si erano ancora abituati al cambio di fuso orario. Occhi sbarrati nel mezzo della notte, l’alba era per loro già mattina inoltrata. Svegliandosi ogni giorno prestissimo, nel pieno della forma, Andrea ed Elisa non riuscendo a stare fermi, si erano guardati in faccia e si erano detti: «E adesso cosa facciamo? Andiamo a pedalare!». E così hanno fatto un giro “a tutta” sul Naviglio, trascorrendo un paio d’ore in totale pace, prima del risveglio della città e dell’inizio delle varie attività lavorative, sfruttando quella parte della giornata per allenarsi. Qualche giorno dopo motivati dalla prima prova, hanno ripetuto l’uscita con alcuni amici e vedendo che la cosa riscuoteva successo, decisero di far diventare il Jetlag Ride in un appuntamento fisso, tutte le settimane stesso posto, stessa ora stesso percorso.

Il Jetlag sarebbe durato fino a che la luce e il passaggio all’ora solare lo avrebbero permesso e verso fine stagione si partiva con le luci accese: sveglia presto, prestissimo e due ore tirate, con l’obiettivo di spingere sui pedali senza pensare ad altro. «Era una figata!» ricorda Elisa entusiasta. Ripreso poi ad aprile e durato per tutta l’estate, il Jetlag Ride era un momento in cui ci si divertiva e si stava assieme fra amici, con la sola voglia di pedalare.

Nonostante sia molto legato ai protagonisti del triathlon milanese, il Jetlag Ride nasce in maniera più spartana rispetto alle tabelle di allenamento del mondo delle gare e legato a quel mondo del ciclismo a cui Elisa si era particolarmente affezionata. L’appuntamento era fisso alle 5.45 davanti alla chiesetta di San Cristoforo, «Chi c’è c’è e chi non c’è…amen! Magari ci ribeccava dopo». Si andava in gruppo sulla base di una traccia creata da Elisa e Andrea che si sviluppava principalmente lungo i Navigli con alcune deviazioni in stradine laterali per quando si aveva poco tempo. La traccia era rigorosamente sempre la stessa, tranne una variante “short edition” per quando la luce scarseggiava nei mesi autunnali inoltrati e una deviazione soprannominata “giro dei rilanci” – variante ricca di curve a gomito che obbligavano a rilanciare continuamente sui pedali pur di stare in gruppo e non perdersi.

Il mondo del triathlon è un po’ più organizzato – ma lo spirito del triatleta é diverso, si fanno più allenamenti con i compagni di squadra e si crea meno un substrato comunitario: «Il nostro scopo, dice Elisa, era più quello di coinvolgere le persone e pedalare assieme, creare una community, un gruppo di persone che volevano uscire in bici assieme. Pur praticando triathlon, anche se in maniera un po’ anomala, infatti durante la prima parte dell’anno fino ad aprile dedicavo più tempo al ciclismo che non alle restanti discipline. Ed era qualcosa che ci divertiva di più perché potevamo gareggiare insieme in bici».

Era reduce dell’esperienza in Australia dove «Anche se eri appena atterrato e non conoscevi nessuno riuscivi, facendo una semplice ricerca online e sui social media, a contattare i numerosi gruppi che si ritrovavano la mattina o dopo il lavoro, con la voglia di allenarsi e di condividere la passione per lo sport».
Questo era quello che a Milano mancava, un gruppo di amici o conoscenti con la stessa passione per lo sport che avevano voglia di fare cose assieme, ma soprattutto dove rintracciarle.

Lo scopo del Jetlag Ride era proprio sopperire a quel silenzio, a quella mancanza di comunicazione di qualcuno che dicesse, «Ehi noi ci siamo, tre volte la settimana pedaliamo qui, se vi va unitevi!» Se qualcuno da zero voleva pedalare e fare qualcosa assieme ad altri, il Jetlag era un buon momento per trovare un gruppo.

Il mondo del triathlon della domenica mattina alla Villa Reale di Monza é un po’ diverso, dato che le persone vogliono più che altro uscire e portare a casa il loro allenamento quotidiano e poi rientrare a casa o alle loro vite – meno legato al concetto di community come era invece lo spirito del Jetlag Ride.
Il triatleta vuole rispettare la tabella di allenamento con i propri compagni di sempre, quando uscivi per il Jetlag invece, facevi due chiacchiere, magari poi rischiavi di simulare una garetta con tanto di volata finale con persone sempre nuove che si aggregavano mano a mano.

«In Italia la concezione di triatlon organizzata su gruppi Facebook o Strava come è presente all’estero, non esisteva, se qualcuno da zero si fosse voluto allenare oppure uscire in bici o correre o nuotare con dei gruppi di sportivi non esisteva, quindi lo scopo del Jetlag Ride era anche quello, la creazione di una comunità ciclistica che vivesse altrove. C’erano anche ciclisti più lenti che non riuscivano a stare assieme e seguire il gruppo per tutta la durata del giro, ma la parte più tranquilla veniva fatta assieme e poi ci si separava in due e si continuava – poi magari ci si ribeccava alla fine e si viveva la bellezza di quello stare insieme, ritrovarsi e pedalare».

Lo scopo del Jetlag Ride è nobile e altamente comunitario, ma non dimentica la forte componente sportiva e di allenamento. Elisa e Andrea hanno avuto un bimbo nel 2018 e quindi, in quanto anima del tutto, non sono più riusciti a stare dietro pienamente alla gestione dell’evento e la cosa è andata un po’ scemando.

Elisa ricorda quelle uscite in maniera incredibilmente piacevole e speriamo tutti che il Jetlag Ride riprenda a breve o se volete crearne uno voi, sicuramente troverete un gruppo di volenterosi pronta a seguirvi!

Intanto vi alleghiamo qui la traccia della versione ufficiale – Spring Edition – se volete iniziare a scaldarvi le gambe e studiarvi il tracciato!

https://www.strava.com/activities/1465300724

Foto: Jetlag Ride/Facebook


Protagonisti: intervista a Fridabike

Per parlare di Cargo Bikes abbiamo intervistato Antonella che ci spiega il suo progetto: Fridabike.

Qual è la tua storia? 
Ho da sempre sognato di vedere le nostre belle città italiane più vivibili e libere dal traffico motorizzato. Ho capito che il ciclo attivismo non bastava e che qualsiasi altra idea avessi risultasse troppo poco impattante; così ho scelto una strada più rischiosa, ma più poetica: ho deciso, in tempi non sospetti, di aprire un negozio di Cargo Bike.

Quale la tua professione prima di aprire Fridabike?
Ero modella. Ho iniziato questa professione all’età di quindici anni con l’intento di cambiare vita dopo essermi laureata, ma questo lavoro si è protratto oltre ed ho iniziato a sentire l’esigenza di creare qualcosa di mio. Così nel 2015 ho fatto il salto di qualità, da modella a meccanico.

Secondo te com’è cambiato il modo di vedere il ciclismo e di praticarlo da parte dell’utente medio nato e cresciuto in città?
La gente è sempre andata in bicicletta a Milano, nonostante Milano. Ma dieci, quindici anni fa era una scelta coraggiosa, l’aria era irrespirabile, non c’erano percorsi ciclabili e nessuno parlava di politiche ambientali, praticamente non esistevano. Oggi la città è migliorata e non vanno in bicicletta solo i temerari, ormai ci vanno quasi tutti i residenti, come fosse la cosa più naturale del mondo. La sensazione di sicurezza è una percezione errata, c’è ancora moltissimo da fare per l’incolumità dei ciclisti. Siamo solo all’inizio.

In che modo  Fridabike  si impegna nella creazione di una community – motore pulsante dell’attività ciclistica come collante sociale e motore di autostima e aggregazione per numerose persone, spesso timide o sole o che non sanno bene come iniziare ad approcciarsi al mondo delle due ruote?
Anche se ho un negozio non mi sento una venditrice, quello che propongo è una storia possibile, una storia di come potrebbe migliorare la qualità della vita compiendo delle scelte responsabili. i miei clienti sono i testimonial di questa piccola rivoluzione che sta attraversando questa città.
Per diffondere il verbo abbiamo organizzato dei Cargo Raduni perché qualche anno fa ad avere una Cargo Bike ci si sentiva soli. Sono serviti a creare aggregazione tra i ciclisti di queste biciclette particolari.

Qual è stata la reazione dei milanesi ad un progetto di più ampio di ciclabilità urbana?
I ciclisti lo stavano aspettando come i bambini aspettano il Natale e sembra che a settembre potremo goderci la prima parte di un piano ciclabile promesso da tanti anni e mai realizzata  prima del Covid. Il bonus bici servirà ed è servito ad aumentare il numero dei ciclisti nelle grandi città, i neo-ciclisti vanno incoraggiati. E non dimentichiamoci il problema dei furti, ogni bicicletta rubata è un probabile ciclista perso che utilizzerà altri tipi di mobilità, magari impattanti sull’ambiente.

Pensi che Milano abbia le carte per mettersi in gioco in un progetto più ampio e ambizioso di mobilità ciclistica a tutto tondo?  
Mi aspettavo molto da Milano, negli ultimi anni è migliorata in quasi tutti i campi, e stavo aspettando il momento in cui qualcuno iniziasse  ad occuparsi del grave problema della mobilità, si sta facendo tutto ora, da pochi mesi, ma per fortuna molto velocemente. Milano ha tutte le carte in regola per permettersi un piano di mobilità ciclistica ambizioso, penso che l’amministrazione degli anni passati abbia sottovalutato i milanesi, che mi sembrano molto pronti al cambiamento. Una città che negli ultimi anni è stata meta turistica di successo non può più permettersi di morire di traffico, tutte le altre città europee si stanno liberando di questo problema.

In che modo  Fridabike    – e la bicicletta in senso più ampio – potranno aiutare e coinvolgere i più diversi strati sociali modificando completamente il modo di vivere le città?
Semplicemente dando l’esempio. Ogni bicicletta cargo venduta viene vista e fa venire la voglia a qualcuno di comprarla a sua volta. Vedere una bicicletta che gira per la città è pura bellezza e vedere una Cargo Bike, magari con dei passeggeri dentro, lo è ancora di più. Ogni bicicletta venduta rende un po’ più gradevole questa città.

Milano è una città relativamente piccola, geograficamente, se paragonata ad alcune grandi capitali europee, senza salite e con un crescente numero di ciclabili: cosa le manca per fare quel salto che la porti a competere con Amsterdam, Copenhagen o Berlino? 
Se lo smog avesse un colore tutti smetteremmo di inquinare, ma non ce l’ha e la gente da sola, senza guida, non è in grado di prendere decisioni drastiche.
Nelle città citate è chiaro che ci sia una volontà mediatica e politica di base: se una cosa fa male alla salute contrastiamola è attuiamo un cambiamento. In Italia i media e i politici tendono a non imbattersi in una battaglie impopolari come quella ambientale, che richiederebbe qualche sacrificio da parte dei cittadini. l cambiamenti che stanno avvenendo in Italia sono derivati esclusivamente dalla recente problematica Covid, sarebbero arrivati comunque, ma molto più lentamente. Non mi piace dire che sia un problema culturale, perché anche in Olanda la bicicletta non era nella cultura, ma la cultura si può cambiare se nasce un’esigenza nuova.

La tua gamma di servizi legati alla bici e non offre prodotti per ogni tipologia di utente: chi voglia farsi un giro nel fine settimana, pedalare su iconiche salite, accompagnare i bambini a scuola, raggiungere il luogo di lavoro, studio, trasportare pacchi o semplicemente fare la spesa. 
Come cerchi di restare sempre al passo con i tempi ed essere sempre in linea con le richieste del quartiere?
Vendo Cargo bike di tutti i tipi per tutti i bisogni, ma mi impongo dei limiti. Non posso assecondare tutte le richieste, ad esempio certi marchi ho deciso di non venderli. Vendo solo quello che piace a me e che soddisfa le mie esigenze qualitative. Preferisco vendere piuttosto di aggiustare! Per questo cerco di avere biciclette leggere e indistruttibili, rischiando di perdere qualche cliente che cerca qualcosa low cost.

Possiamo dire che Fridabike sia anche un progetto di riqualificazione e promozione di Milano e del quartiere attorno a voi?
Sì, fino a qualche mese fa sì. Gli eventi che abbiamo organizzato sono stati delle occasioni per entrare in contatto con la città. Per ora è tutto sospeso per la pandemia, ma l’aggregazione continua sui social, dai miei profili si capisce che l’impostazione non è di tipo commerciale, ma un dialogo con i miei clienti e aggiornamento su quello che sta succedendo riguardo le Cargo Bike e questa rivoluzione.

Cosa pensi dei più recenti eventi a tema due ruote come AbbraciaMi e Milano Bike City?
Penso che la maggior parte dei milanesi faccia chilometri e chilometri per passare weekend e non conosca il bosco in città, la Martesana, le Cascine nascoste, il parco Agricolo Milano Sud. AbbracciaMi é una bellissima iniziativa che dovrebbe moltiplicarsi. Milano Bike City é un evento che ha unito, per la prima volta in questa città, ciclisti, negozianti, attivisti, sportivi, ciclofficine e tutte le associazioni che operano nell’ambito della bicicletta, é fondamentale lavorare in squadra per avere più influenza nelle decisioni che riguardano la mobilità dolce.

Come valuti la Critical Mass a Milano?
Ho fatto la critical mass parecchie volte ed é sempre emozionante girare la città in bicicletta di notte in compagnia di duecento persone sconosciute. È stata un’occasione per conoscere tanti ragazzi e ragazze che si occupano, ognuno a suo modo, di sensibilizzazione dell’uso della bici. A Milano é molto seguita, penso sia un faro per i ciclisti urbani.

Infine, cosa potresti consigliare a chi dice che Milano non è a misura di bici e a tutte quelle mamme o persone che non vogliono portare bimbi a scuola in bici?
Dipende dal motivo per cui non lo fanno. Se pensano che la bici in città sia più faticosa o più lenta della macchina o dei mezzi pubblici li sfido a fare una prova perché non è così.
Se invece il motivo é la sicurezza potrei non dargli torto. In attesa che vengano create infrastrutture ciclabili li inviterei a verificare una strada alternativa. Di solito chi non va in bici non conosce alcune strade secondarie con pochissimo traffico.

Foto: Fridabike


Vigorelli-Ghisallo in bicicletta

Per chi vuole unire in una sola giornata due dei grandi monumenti del ciclismo lombardo ecco il giro perfetto.
Velodromo Vigorelli e Museo del Ghisallo: dalla magica e storica pista milanese, si parte per una delle più famose e frequentate salite lombarde di fama internazionale, il Ghisallo. Questo, oltre che ad essere un percorso molto bello e allenante, è anche una dichiarazione d’amore per il ciclismo e la sua storia, prendendo parte a quel movimento di protezione e “salvataggio” di entrambi i luoghi.

La salita del Ghisallo è una delle ascese più “classiche” se abitate a Milano.
Una volta che vi siete fatti un po’ la gamba in salita sui numerosi saliscendi brianzoli, arrivare in cima a questa iconica salita – parte del Giro di Lombardia e sede sia del Museo che di una iconica cappelletta che raccoglie maglie di grandi campioni, cimeli e biciclette storiche appese alle pareti – vi sentirete improvvisamente catapultati negli albi della storia del ciclismo italiano.

Chi vuole percorrere la Vigorelli-Ghisallo può scegliere tra due percorsi:  al Ghisallo infatti si sale da due versanti.

Foto: Stefano Losco

Il versante Sud è quello che affronta la salita da Canzo, mentre il versante Nord, quello “classico” parte da Bellagio. In funzione del proprio livello di preparazione si sceglierà il versante da affrontare. La salita tradizionale, vera e propria è quella che dal tornante dopo Asso, percorrendo la Valbrona, porta a Pescallo, minuscola e graziosa frazione di Bellagio.

Seguendo questa traccia uscirete da Milano verso il Parco Nord, seguendo il percorso ciclabile che raggiunge la Villa Monza, attraversando l’omonimo Parco per entrare in Brianza. Il percorso durante l’evento ufficiale è completamente segnalato, ma seguendo la traccia, non dovreste avere problemi anche a farla in altri periodi dell’anno. L’obiettivo futuro degli organizzatori è trasformare il tracciato della manifestazione, che si snoda tra le colline brianzole, in un percorso cicloturistico segnalato, in grado di fungere da fattore di promozione del territorio e del paesaggio attraversati.

Una volta arrivati in cima al Ghisallo l’emozione sarà tanta, ma non dimenticatevi la foto ricordo sotto la statua, una visita alla cappelletta, l’ingresso al museo, e il meritato panino al baretto lì accanto!

Link Komoot

Descrizione itinerario:

Da Milano al Ghisallo sono novanta chilometri, se si sale dal versante “classico” da Bellagio, dieci in meno da sud, che fu il primo ad essere affrontato dal Giro di Lombardia nel 1919. Si parte dal Vigorelli e si esce dalla città attraverso il Parco Nord. Da qui il percorso va alla ricerca dei pochi “vuoti paesaggistici” rimasti tra la pianura e le colline brianzole. Dopo il Parco di Monza è un continuo saliscendi, lungo strade a bassa intensità di traffico, tra ville, colline, campi coltivati, piccoli centri: Casatenovo, Monticello, Barzanò, Barzago, Sirone, Bosisio Parini, fino al lago di Pusiano.
Da qui i primi veri tornanti portano al lago del Segrino. Superata la stazione di Canzo-Asso si entra nell’alta valle del Lambro e comincia la parte più impegnativa dell’ascesa tra boschi e pascoli.
All’uscita di Asso è possibile girare per Valbrona per scendere sul lungolago a Onno e arrivare a Bellagio, dove inizia la salita tradizionale del Giro di Lombardia. Altrimenti si può salire lungo la vecchia strada che passa per l’abitato di Barni.
L’arrivo al Ghisallo, tra il Santuario e il Museo del Ciclismo, sotto lo sguardo delle statue dei grandi eroi del pedale – Coppi, Bartali, Magni – è un’emozione che ripaga le fatiche compiute per superare quasi 1.000 metri di dislivello.

Foto in evidenza: Eloise Mavian / Tornanti.cc


Milano in immagini: intervista a Tornanti.cc

Quando si parla di arte e biciclette impossibile non nominare Tornanti.cc: fotografi, appassionati capaci di donare stile unico al mondo della bicicletta e del ciclismo agonistico.

foto: © Massimo ‘Piacca’ Bacci


Eloise Mavian e Francesco Rachello – fotografi bravissimi, ciclisti e icone di stile nel mondo della bici: com’è nata questa passione diventata poi un lavoro?

La passione per la fotografia ce l’abbiamo avuta fin da sempre. Il padre di Eloise aveva un negozio di fotografia a Venezia quindi fin da piccola era circondata da macchine fotografiche e rullini.  Riguardo al ciclismo Francesco si è appassionato al mondo della fixed gear quando verso il 2009/2010 ha iniziato a dilagare a Milano. Eloise lo aveva solo guardato in tv con suo padre, soprattutto qualche tappa del Giro d’Italia, sua zia le diceva “guarda il Giro d’Italia che certi posti non li vedrai mai”. Nel 2010 David Trimble é sbarcato con la Red Hook Crit a Milano e Francesco si è immerso nella notte con i suoi flash caravaggeschi a fotografare i “padri pellegrini” a cavallo delle loro bici a scatto fisso. Nel 2012 Francesco ha conosciuto Eloise e le ha fatto scoprire questo mondo, amore a prima vista. Da quel momento non si sono più fermati.

Cosa vi piace del progetto di alvento.cc e del suo modo di porsi all’interno della comunità milanese di ciclisti e appassionati?
Nel panorama delle riviste di ciclismo italiane abbiamo sempre notato la scarsità di progetti editoriali che parlassero di questo sport andando oltre la cronaca o gli aspetti tecnici. Crediamo che Alvento abbia portato una ventata di freschezza, sforzandosi di raccontare il ciclismo in tante sue declinazioni.

Come pensate che i bicycle café, le ciclofficine, le pedalate di gruppo e gli eventi a tema bici possano migliorare la qualità della vita delle persone che vivono in una città come Milano?
Milano è una grande città che offre molte possibilità ha bisogno della creazione di community, di qualsiasi tipo sia la sua natura. Guardando strettamente al ciclismo ci sono molte realtà che aiutano l’aggregazione delle persone e la condivisione di una passione. In una città come Milano la bici è comunque un mezzo di trasporto fondamentale e abbiamo bisogno di più iniziative e di più spazi dedicati a questo. In quanto grande città a Milano nascono molti gruppi più o meno grossi di ciclisti e di appassionati di ciclismo, che però non hanno poi così tante occasioni di interagire gli uni con gli altri. Spazi e occasioni di incontro sono molto utili per questo.

Red Hook Criterium Milano. Foto: Tornanti.cc

Qual è la differenza fra Milano ed altre capitali europee in tema di ciclabilità urbana?
Milano avrebbe bisogno, come qualsiasi altra città Europea e non, di guardare a quelle città che vengono sempre prese come esempio: quelle olandesi o danesi dove la viabilità è strettamente legata all’importanza della bici. La stessa strada viene concepita in modo diverso non solo per le vie ciclabili ma anche per il movimento delle macchine. Viaggiando spesso in quelle zone ci siamo ritrovati a vedere come alcune città possano essere disegnate o ridisegnate nell’ottica di favorire gli spostamenti in bici il rispetto dei limiti di velocità da parte delle auto.
In queste città la mentalità delle persone è ovviamente quindi più aperta al ciclismo e c’è più rispetto per i ciclisti sulla strada, forse anche perché molte persone che usano la macchina usano anche la bici. L’Italia, tanto quanto altri paesi, dovrebbe cercare di dare più importanza alla bici come mezzo di trasporto non solo per l’ecologia ma anche per il benessere del cittadino stesso. L’uomo è sempre riuscito ad adattarsi ai cambiamenti drastici o no che siano, si ha solo bisogno di tempo e istruzione. La differenza che noi sentiamo di più rispetto ad altri paesi dove l’utilizzo della bicicletta è più diffuso è il rispetto per il ciclista urbano. Le “macchine milanesi” fanno abbastanza paura a volte.

Il nostro primo viaggio in bici è stato tanti anni fa tra i laghi della Baviera, un’esperienza molto bella nonostante Eloise fosse alle prime armi e alcune salite si facessero sentire la sera poi!

Francesco: da quando mi sono trasferito in Lombardia ho praticamente sempre vissuto fuori o ai margini di Milano. Mi piace l’idea di vivere in città ma di poterne uscire in bici velocemente. Probabilmente è anche perché sono cresciuto in un paesino di campagna.

Eloise: Per una uscita solitaria vado sul sicuro e mi godo 60km di natura lungo la ciclabile della Martesana.

Ci siamo conosciuti nel 2012 ma Eloise stava a Madrid dove ha studiato e vissuto per parecchi anni, l’anno dopo è venuta a vivere a Milano. Entrambi abbiamo sempre avuto l’idea di tornare a vivere a Madrid, è una città che ci piace molto, ma da quando lavoriamo in questo campo, con i numerosi viaggi fatti in Olanda e in Belgio per le gare, ci stiamo facendo un pensierino, magari più avanti tra qualche anno potremmo ritirarci nel fresco nord.
Anche se amiamo Venezia, città natale di Eloise, e tutto il Veneto in generale, per ora ci troviamo molto bene a Milano, è una città unica in Italia che è cresciuta molto negli ultimi anni ed ha un gran potenziale per poter migliorare. Dato il nostro lavoro la sua posizione è molto comoda per raggiungere le montagne e anche per muoversi in aereo in tutta Europa.

Red Hook Criterium Milano. Foto: Tornanti.cc

Come è nata la vostra passione per la bici? Come sono cambiati il vostro lavoro e la vostra vita da allora?
Il nostro rapporto con la bicicletta è sempre stato importante. Il padre di Eloise fin da quando lei era piccola la portava a fare un giro in bici la sera quando tornava da lavoro, nella città dove è cresciuta si spostava sempre in bici con le amiche. L’estate la passava nelle Dolomiti e tutta la famiglia si portava sempre la bici anche solo per dei piccoli giri in paese. Ha vissuto vari anni a Madrid ed aveva una singlespeed rossa che le faceva scoprire i dintorni della città dove si trovano cavalli bianchi.

Eloise: Da quando lavoro nel campo del ciclismo mi sto appassionando sempre più a questo sport e cerco di fare i miei giretti nei campi o qualche salitina.

Francesco: Da ragazzino usavo la bici per necessità per muovermi nel paesino dove vivevo e nei dintorni, anche perché non ho mai avuto un motorino come molti miei coetanei. Poi non ho più pedalato per anni. Mi sono appassionato alla bici grazie allo scatto fisso, una bici da pista è stato il primo mezzo con cui ho cominciato a muovermi su due ruote sia in città che per giri esplorativi in Brianza e dintorni. Dopo qualche anno sono passato alla bici da corsa come attività sportiva. Contemporaneamente ho cominciato ad appassionarmi al ciclismo professionistico per lavoro e mi ritengo fortunato perché posso utilizzare le mie conoscenze ed esperienze che faccio per passione nella mia professione.

Eloise, cosa ti piacerebbe dire alle donne che non hanno mai pedalato per spiegare il bello di andare in bici? Francesco, cosa vorresti dire a tutti quei milanesi che dicono che Milano non è una città per le biciclette?
Per esplorare una città abbiamo sempre pensato che la scelta migliore fosse girarla a piedi o in bici. La libertà di movimento e possibilità di raggiungere più luoghi anche remoti è essenziale, perdersi nei meandri di una città è una bella esperienza. Milano in bici, soprattutto ad agosto, è favolosa se non l’avete provata fatelo! Se avete bisogno di suggerimenti: Eloise ha una single speed con ruote grosse per essere più comoda e tranquilla sul pavè e tra le mille rotaie dei tram, Francesco invece gira più agilmente con una bici da ciclocross.

Come pensate che Milano e la sua deformazione in tema di stile e design abbia influenzato il modo di concepire la bicicletta?
Probabilmente c’è più passione per la bici a Milano che altrove perché per una serie di motivi c’è più attenzione per la componente estetica delle biciclette e per il loro design. Rispetto a come viene vissuto il ciclismo in molte altre parti dell’Europa si tende di più a utilizzare mezzi pensati per altri ambiti (ciclismo su strada o su pista) per gli spostamenti di tutti i giorni.

Red Hook Criterium Milano. Foto: Eloise Mavian / Tornanti.cc

Avete una formazione sportiva o pensi che sia necessario per avvicinarsi al mondo delle due ruote?
Francesco: Ho praticato vari sport anche a livello agonistico e il ciclismo è quello che mi ha appassionato di più e più a lungo. Probabilmente uno dei motivi è che può diventare più facilmente una componente integrante della propria vita (pendolarismo, viaggi, eccetera) e non restare solo uno sport da praticare con tempi e modalità predefinite. Sicuramente la componente agonistica ha un forte fascino per me.

Eloise: A scuola ho provato vari sport tra cui basket e pallavolo ma quello che mi era piaciuto di più era canottaggio. Mi piaceva la sua dinamica, il lavoro di squadra e mi dava la libertà di stare in mezzo alla natura della laguna di Venezia e di scoprire luoghi che non potresti normalmente.

Secondo voi è cambiato il modo di vedere il ciclismo e di praticarlo da parte di sempre più ragazze? Come vedete l’impegno di tornanti.cc nella creazione di una community – motore pulsante dell’attività ciclistica come collante sociale e motore di autostima e aggregazione per numerose donne, spesso timide o sole o che non sanno bene come iniziare ad approcciarsi al mondo delle due ruote?
Abbiamo pensato qualche volta di organizzare una serie di “Tornanti Ride” periodiche per dare il nostro contributo all’integrazione dei vari ciclisti e gruppi di ciclisti milanesi. Non abbiamo mai concretizzato questa idea per mancanza di tempo. Ci piacerebbe comunque eventualmente che queste uscite in bici non fossero per sole donne, però vorremmo che ci fosse assolutamente una componente femminile importante.

RHC Milano. Foto: Tornanti.cc

Qual è stata la reazione dei milanesi ad un progetto di più ampio di ciclabilità urbana? Non solo post-covid, ma iniziato anche prima con i vari progetti di piste ciclabili ed eventi a tema bici quali Milano Bike City e prima ancora il Bicycle Film Festival?
È fin troppo facile ignorare le voci di chi considera la mobilità in bici come qualcosa che ha poco senso o che vede l’andare in bici come una attività leziosa per borghesi. Questo atteggiamento è purtroppo ancora molto presente a Milano, per contrastarlo ci sono molte cose che si possono fare, fra cui usare la bici il più possibile in città.
A Milano sarebbe utile avere più piste ciclabili all’interno della città ma anche alcune che portino al di fuori nei paesi limitrofi per poter favorire le “gite” della domenica a famiglie o gruppi di amici e per incentivare chi voglia fare commuting durante la settimana di lavoro. Molti gruppi si stanno muovendo per far si che questo diventi realtà, fortunatamente a Milano ci sono molte persone che si riuniscono per una miglioria della viabilità, che sia per semplice diletto di andare in bici, ma anche per quelle famiglie che per esempio portano i bambini in bici a scuola e li educano sul codice della strada.

Foto: Tornanti.cc


Zibidino magic hour

Per chi vuole fare una scampagnata tranquilla e non stancarsi troppo o sciogliere un po’ le gambe dopo una giornata in ufficio questo giro è perfetto.
Magic Zibidino, uno dei miei itinerari preferiti attorno a Milano con partenza e ritorno dall’iconica Darsena, meta perfetta per un caffè prima di andare o di una birra con vista canali e movida al rientro!

Link Strava della Zibidino Magic Hour 

L’itinerario di cinquantadue chilometri collega il Naviglio Pavese al Naviglio Grande, snodandosi tra risaie, campi e fattorie nel Parco Agricolo Sud di Milano, lontani dal rumore e dal traffico. E’ totalmente pianeggiante (fatta eccezione per qualche cavalcavia) e quasi interamente su strade secondarie o ciclabili e quasi tutto su asfalto.
Può essere percorso in un senso o nell’altro, ma fatto come da traccia ha le migliori curve e viste su cascine e la torre di Rozzano si staglia come la Tour Eiffel, fatto al tramonto ha poi un che di speciale…

Foto: Stefano Losco


Milano e le cargo bikes

Meno che in altre città europee, ma anche a Milano si iniziano a vedere cargo bikes guidate da bike messenger al lavoro, mamme che vanno a prendere i figli a scuola, ragazzi che vanno a fare la spesa, proprietari di cani che preferiscono portare il loro amato al parco in bici invece che in auto.

Le cargo bikes vedono un futuro tutto in discesa.
Biciclette cargo significa una bici con molto più spazio di carico rispetto alle bici “classiche”, che possono essere sfruttate anche per faccende quotidiane come l’accompagnare i figli a scuola o trasportare la spesa in maniera più agile, senza tralasciare la questione del trasporto merci.

Secondo i dati pubblicati da uno studio di City Changer Cargo Bike, un progetto finanziato dall’Unione Europea per diffondere l’utilizzo delle bici cargo, il 2019 ha fatto registrare un balzo in avanti delle vendite, arrivando a 28.500 bici vendute e nel 2020, forse in ragione di un lockdown che ha esaltato il valore di città meno trafficate, il volume delle vendite sembra toccare quota 43.600 pezzi. Possiamo quindi farci un’idea di quale sia la tendenza.

L’introduzione e l’applicazione su larga scala delle cargo bikes nelle aree urbane ha dimostrato di essere un punto di svolta per le città: migliora i livelli generali di diffusione della bicicletta utilizzata sia per il trasporto merci che passeggeri, lo spazio urbano viene utilizzato in maniera più efficiente, la qualità dell’aria, i livelli di sicurezza e la qualità della vita migliorano. Tuttavia, questa soluzione innovativa è presente solo in poche città e Milano ci sta arrivando anche se il loro pieno potenziale non è ancora stato raggiunto in nessuna città europea.

City Changer Cargo Bike (CCCB) mira a cambiare questa situazione e aumentarne l’adozione. CCCB prenderà i migliori esempi e competenze di implementazione delle cargo bike in Europa e imparerà da essi al fine di trasferirli su larga scala a nuove città e contesti. Le biciclette cargo potranno sostituire il 25% delle consegne commerciali nelle città, il 50% del servizio commerciale e dei viaggi di manutenzione e il 77% dei viaggi logistici privati ​​(shopping, tempo libero, trasporto di bambini), buoni numeri e con prospettive di crescita notevoli.

Inoltre, le bici da carico fanno nascere una cultura della bicicletta completamente nuova: modelli di bici da carico multiuso, alla moda e rinnovati concetti logistici. Le cargo bikes non più utilizzate, fisse e parcheggiate possono essere rapidamente trasformate in arredo urbano mobile e quindi svolgere anche una funzione di place maker.

CCCB ha come obiettivi quello di sensibilizzare le parti interessate nel settore pubblico, privato e commerciale, utilizzare strumenti innovativi per l’adozione e il trasferimento tra città precursori e città seguaci, stabilire condizioni favorevoli per l’utilizzo delle cargo bikes e infine ridurre la congestione, le emissioni di co2.
Cargo bike non solo per i pacchi in consegna, anzi.

Che questo tipo di bicicletta possa rappresentare un business, ce lo ricordano sia Antonella di Frida Bikes che Francesco di TrikeGo, anima dell’omonimo negozio presente solo da poco in zona nord della città grazie ad una vetrina presente all’interno di un angolo di una pasticceria di Via Imbonati che, avendo molto più spazio libero in seguito alle nuove normative di distanziamento sociale, ha pensato di investire in questa direzione.

Il modello più antico e conosciuto è la Bakfiets di origine olandese oppure la Christiania Bike, una bici gigantesca con cassone anteriore, in legno, che si può trovare in versione a due o tre ruote, nata in onore dell’omonimo quartiere di Copenhagen dove, vi garantisco, ho visto persone fare traslochi di intere case usando solo la bici.

Il triciclo con le due ruote anteriori ai lati del cassone è sicuramente più stabile, al contrario la versione a due ruote con l’anteriore più piccola da 20”, è più stretta, maneggevole e veloce. Nel nord Europa è abbastanza normale usare queste bici soprattutto adibite al trasporto dei bimbi piccoli. Di solito sono grosse e pesanti, ma la versione in alluminio con la patte anteriore allungata e un sistema di sterzo avanzato, oppure anche la nuova Omnium, sono decisamente più leggere e veloci – tutto relativo perché si tratta pur sempre di pesi abbondantemente sopra i 20kg – e molto usate anche dai corrieri in bicicletta.

Molti produttori inoltre offrono di tutti i modelli anche la versione a pedalata assistita utilizzabili anche per spostare grossi carichi oppure in zone collinari o se si devono affrontare salite. Il mercato delle cargo bikes è molto più avanti per quello che riguarda il mondo dell’elettrico, rispetto ad altre tipologie di biciclette, dal momento che sono nate quasi subito con l’idea di una pedalata assistita.

L’altra grossa fetta del mercato cargo è occupata dalle biciclette longtails, dotate di una parte posteriore allungata in cui il carico è posto dietro il ciclista, sulla ruota dietro, con il carro opportunamente allungato.

L’attenzione per l’ambiente e la mobilità urbana sono oramai un must anche per i grandi marchi, sdoganando il mondo delle biciclette cargo da un mercato di nicchia.

Per il suo quarantesimo compleanno, Francesco di TrikeGo si è regalato una svolta nella sua vita mettendo in strada il primo prototipo di bici cargo realizzata dopo aver appreso l’arte della saldatura da un amico fabbro di Milano e la relativa produzione è stata poi seguita da un telaista di Sasso Marconi. Secondo lui, le bici “sono facili” e basta impegnarsi un po’ assieme alla voglia di imparare mista a spirito imprenditoriale ed il gioco è fatto. Oggi Francesco è a capo di una piccola azienda con quattro dipendenti che si impegna nella produzione e realizzazione di mezzi customizzati che rispondono alle più diverse esigenze. TrikeGo produce tutto in Italia, dalle bici alle cappottine delle versioni per bambini, che vengono cucite con i tessuti cerati della barca a vela.

Grazie alla recente vetrina – il TrikeGo point – pronunciato all’italiana – presso la Pasticceria Tomaselli in zona Dergano, la visibilità del mondo cargo ha subito un’impennata – unito anche ai finanziamenti ed incentivi che il Governo Italiano ha messo a disposizione delle famiglie. La scelta vincente è stata anche quella di offrire, come fanno anche altri punti vendita cargo, un servizio di noleggio dei vari modelli di biciclette in modo tale che i potenziali acquirenti o semplici curiosi, possano provare i mezzi e vivere in prima persona la praticità e facilità di guida delle biciclette cargo.

Le famiglie possono così farsi un giro nel vicino Parco Nord e divertirsi in totale spensieratezza, trasformando, quasi involontariamente, un normale pomeriggio in un momento promozionale che faccia provare la comodità di lasciare a casa l’auto anche per quelle situazioni che prima si pensava fossero ad essa incredibilmente legate.

Da giugno ad oggi è stato registrato un notevole aumento delle vendite per tutti quegli utenti che provano le bici e non possono più farne a meno innamorandosene perdutamente grazie anche alla totale personalizzazione dei colori. Quello che emerge da queste ricerche e osservazioni dei dati era la mancanza di un’offerta adeguata alla domanda che, seppur presente, non sapeva come e dove rivolgersi. Come per esempio la fetta di mercato ricoperta da Dinamociclo, un altro negozio di bici cargo in Via Pellegrino Rossi, che vende anche tricicli per adulti per aiutare nella mobilità quotidiana persone disabili e dare loro la possibilità di muoversi in bici. Vengono anche offerti servizi di rateizzazione slegati dalle banche, ma erogati in base alle esigenze dei privati in modo da rendere ancora più fruibile l’accesso alle cargo.

Secondo Riccardo, venditore ma anche esperto di mobilità urbana, sabbiamo fatto un salto in questo recente periodo della fase due post covid-19 concentrando anni di evoluzione sociale e di mobilità urbana in pochi mesi, rivelandosi questo come un periodo estremamente positivo e proficuo per il settore del ciclo sperando che non sia solo un abbaglio, ma che il cambiamento si radichi nella mente delle persone e nei loro modi di vivere il quotidiano. Come chi non aveva una bici è corso ai ripari rendendosi conto della grande carenza nel loro stile di vita, allo stesso modo è cambiato a livello professionale il modo di vedere il lavoro smart e le diverse necessità tecnologiche di infrastrutture che mancavano a molte aziende o ad interi settori che non avevano mai considerato di avere una presenza online.

Milano si è comunque rivelata essere una città estremamente ricettiva per tutto quello che ha riguardato il mondo delle iniziative sulla mobilità urbana, come le biciclette condivise o free floating, gli scooter elettrici o il car sharing, quindi perché non iniziare anche con il mondo cargo bikes?

Il passato lavorativo e le origini di copywriter legato al mondo della comunicazione sono estremamente tangibili nell’approccio di Francesco al “fare cargo” avendo anche creduto in una start up che ora è un’azienda a tutti gli effetti con base ad Arese, poco fuori Milano. Mentre invece Riccardo di Dinamociclo ha una formazione nel web e informatica e ha sfruttato queste sue conoscenze per avviare, parallelamente al negozio e all’officina di biciclette, anche una rete che unisse il mondo delle consegne in bici cargo alla vendita online per alcune piccole aziende che hanno deciso di investire in una forma di mobilità sostenibile.

L’anticonformismo delle famiglie che scelgono di approcciarsi all’universo delle cargo bikes andrà poi rinominato in nome di un modo più naturale di vivere la città su biciclette capaci di portare carichi quasi come una piccolo utilitaria.

Molto spesso pensiamo che l’auto sia indispensabile in alcune situazioni della nostra vita quotidiana, come per esempio fare la spesa o portare alcuni carichi, ma non ci rendiamo conto di quanto l’utilizzo degli autoveicoli si riveli, sul lungo e breve termine, non solo a livello di costi, ma anche di praticità, essere molto meno funzionale di una bici con un bel cestino, oppure e ancora meglio, di una cargo.

Chi sceglie di avvicinarsi al mondo delle bici cargo non deve più sentirsi o venir visto come un outsider, bensì come un illuminato, furbo e consapevole di quanto la sua scelta sia un mattone concreto posto alle fondamenta di una città più sostenibile.

Foto: TrikeGo


Moda e stile anche in bicicletta

Milano e la sua attitudine in tema di stile e design hanno sicuramente influenzato il modo di concepire la bicicletta, anche se è normale che ci siano città più o meno adatte all’utilizzo delle due ruote.  Milano, piano piano, si sta evolvendo ed eventi a tema moda o l’immancabile salone del mobile hanno influenzato attività che hanno scelto la bici come core aziendale. Il fatto che la bici sia anche una moda è un bene se pensiamo ad una più ampia di diffusione del mezzo: l’obiettivo sarà quello di cercare di viverla come qualcosa di sempre più stabile e presente nelle nostre giornate con benefici comprovati.

Non serve limitarsi a leggere le varie statistiche o ricerche sugli effetti miracolosi delle due ruote, ma vedere come l’oggetto stesso sia stato numerose volte scelto come protagonista dell’arte o stimolo per progetti culturali ci dà la conferma del suo ruolo sociale. Le varie mostre a tema bici, come quella più recente, la Steel is Real di Columbus presso la galleria Antonio Colombo, quella in Triennale nel 2018 o la New Craft del 2016 hanno visto non solo la partecipazione di grandi telaisti, come Cinelli o il grande Dario Pegoretti, ma anche di designers, artisti, influencer e giornalisti di svariati settori rendendo la bici un fenomeno sempre più radicato.

Mi piace vedere come la bicicletta sia riuscita, a partire da Duchamp, arrivando fino ad oggi, a consolidarsi sempre più nel contesto artistico e di ricerca e come gli avvenimenti culturali abbiano il loro peso nella formazione di una coscienza nuova.

Se vogliamo avvicinarci all’ambito più legato alla moda stile in bici, possiamo considerare l’esperienza di Milly de Mori, art director e fondatrice di un brand femminile di abbigliamento ciclistico. Milly ci racconta com’è nato il suo progetto di disegnare i capi di No Gods No Masters, il marchio fondato principalmente per indossare dei capi che potessero soddisfare le esigenze delle donne in bici, avendo lei stessa notato un buco di offerta di un prodotto di alta gamma che fosse performante e bello da indossare. «Vado in bici ormai da 15 anni – racconta – e quando ho iniziato le proposte per donna non solo erano limitatissime (bici, selle, accessori e abbigliamento), ma soprattutto entry level perché la donna in bici rappresentava per il settore un campione non significativo. Così ho afferrato quest’opportunità per andare contro corrente e vedere cosa succedeva. Negli anni la situazione è cambiata e il mercato ha cominciato a notare che finalmente ci siamo anche noi. Dietro al brand però vive anche una mission che va oltre al puro capo tecnico che ha come obiettivo quello di sostenere e promuovere l’emancipazione della donna anche attraverso la bici. Da qui il nome del brand No Gods No Masters (senza dei e padroni) che risuona come un inno alla libertà per poter praticare questo favoloso sport lontano dai condizionamenti nell’affrontare una dimensione di fatica ed incertezza come quella che il ciclismo ci mette davanti».

Dietro lo slogan No Gods No Masters c’è una bellissima storia che ci riporta indietro al movimento delle suffragette a New York all’inizio del Novecento, impegnate nell’emancipazione della donna nella società di allora in cui i diritti erano azzerati sia in casa che nelle fabbriche. Le donne si battevano reclamando parità di diritti e stipendi, cose su cui si sta ancora lottando un secolo dopo.

Vediamo sempre più ragazze andare in bici in città o nei weekend in percorsi più lunghi in bici da corsa. Forse abbiamo finalmente superato la comunicazione generale della bici come mezzo sportivo legata solo alla figura dell’uomo e ci sono le basi per far cadere questi stereotipi di genere.

Sicuramente l’essere milanese e l’aver lavorato per tanti anni nella moda per marchi del lusso ha portato Milly ad apprendere l’arte del mestiere affinando il suo gusto su canoni estetici di un certo tipo, che ritroviamo in NGNM, capace di competere per qualità e stile con i più grandi marchi internazionali di abbigliamento ciclistico.

NGNM ha recentemente sviluppato una collaborazione con un noto marchio di bici italiano e milanese, Cicli Drali, essendo le loro due realtà partite più o meno allo stesso tempo hanno voluto aiutarsi vicendevolmente e fare sistema. «L’unione fa la forza, dice Milly, specialmente tra le realtà piccole ed indipendenti come le nostre. Essendo NGNM molto attivo nell’organizzare uscite in bici per donna in varie città come Milano, Londra, Bristol, Amsterdam e ora anche Berlino, mi piaceva l’idea di formare un piccolo team amatoriale di donne con base a Milano sotto il brand NGNM per poter organizzare delle uscite e partecipare a qualche granfondo. Ho chiesto agli amici di Drali se erano interessati ad una divisione femminile della loro ASD, visto che oltre al team Drali Steal impegnato nei criterium, hanno una divisione amatoriale. Così è partita la NGNM / DRALI con una maglia che porta entrambi i marchi. Il fato vuole che con il Covid-19 tutte le manifestazione che avevamo in programma siano saltate, perciò sarà il 2021 il vero battesimo di questo piccolo team».

Restando in tema donne, moda e ciclismo ho chiesto a Milly come fosse cambiato il modo di vedere il ciclismo e di praticarlo da parte di sempre più ragazze e ci ha confermato i numeri crescenti presenti nelle varie statistiche.

«Oggi non c’è uscita in cui non incroci almeno due o tre donne in bici, da sole o in gruppo. Diciamo che la massa critica è aumentata e questo a sua volta ha mille ripercussioni. Il mio sogno è quello di vedere sempre più gruppi di ragazze e donne che escono assieme. Nelle uscite tra donne si vive un altro modo di andare in bici, si è alla pari e i ritmi e velocità da sostenere sono più umani. Ma il cameratismo e lo spirito di squadra che s’instaurano sono poi la chiave di volta: la sensazione di poter essere completamente autosufficienti è già di per sé una grande conquista».

Oltre ad avere a cuore il comfort in sella, NGNM si impegna anche nella creazione di una community – motore pulsante dell’attività ciclistica come collante sociale e soprattutto stimolo di autostima e aggregazione per numerose donne, spesso timide o sole o che non sanno bene come iniziare ad approcciarsi al mondo delle due ruote. «Siamo stati fin da subito molto attive su questo fronte organizzando delle uscite solo per donne in varie città europee, come Londra, Bristol, la Provenza, Amsterdam, Milano e la Versilia grazie ad una rete di ambassador e amici del brand. Siamo riusciti anche a coordinarle lo stesso giorno creando così un evento internazionale, oltre ad una community remota e un senso di appartenenza a qualcosa di più grande di una semplice uscita nella propria città. Da inizio anno abbiamo iniziato una collaborazione con Zwift organizzando un’uscita ufficiale che si chiama NGNM Women Crush Wednesday e che attrae ormai una solida base di cicliste dal Sud Africa alla Colombia, Canada, US e tutta l’Europa. Semplicemente magico poter pedalare ed interagire con così tante ragazze, a volte i nostri gruppi sono anche di ottanta presenze. Il gruppo Facebook creato proprio per le nostre “Zwifters” è molto attivo e vibrante, oltre alla community su Strava che conta oggi più di 500 iscritte dove vedere le attività’ di ognuna, sostenerci a vicenda e potersi scambiare informazioni su percorsi, allenamenti eccetera».

Anche la comunicazione di No Gods No Masters è incentrata ad offrire informazioni utili alla pratica della bici, in modo che ognuna possa conoscere meglio la materia e rendersi indipendente come per esempio i Tech Fridays, venerdì in cui si parla della meccanica della bici e come risolvere piccoli problemi tecnici oppure i mercoledì in cui si parla di nutrizione, con ricette e info per l’alimentazione sana prima-durante-dopo l’allenamento, mentre il giovedì è incentrato sul corpo con consigli di allenamento, stretching, potenziamento… insomma un impegno informativo e formativo a tutto tondo per aiutare chi si approccia alla bici.

Foto: NGNM


Costruttori: Cicli Drali

Fare bici è un’arte. Ne sanno qualcosa i vari telaisti e protagonisti delle diverse fasi di realizzazione di una bicicletta: progettazione, disegno, saldatura e montaggio.

La forma attuale delle biciclette nasce intorno al 1860, anche se la paternità del brevetto non è chiarissima. Ma alla fine chi se ne importa, sono passati quasi due secoli. Quello che ci importa è che, da quel momento in poi, la forma della bicicletta si è evoluta, sono nati nuovi materiali, ingranaggi e la meccanica è migliorata, ma la sostanza non è cambiata. Le biciclette accompagnano i milanesi attraverso le diverse epoche fino a quella attuale, in cui pedalare è diventato sinonimo di scelta intelligente. Saranno nate forse meno di due secoli fa, ma abbiamo tutti in mente quelle biciclette con i freni a bacchetta e i sellini larghi in cuoio, parcheggiate nei cortili di Milano che ne hanno fatto la storia.

Con una città pianeggiante che sorge in pianura e con qualche secolo di ritardo, i milanesi si stanno rendendo conto che muoversi in bicicletta dovrebbe essere la soluzione più intelligente per chi ci vive.

Grazie a una crescita esponenziale di piste ciclabili e servizi di bike sharing, negli ultimi dieci anni si inizia a concepire una città su misura di ciclista, per la gioia dei vari produttori di biciclette, che, nel frattempo, non hanno mai smesso di lavorare per una rivoluzione a due ruote.

L’innalzamento del target di chi sceglie di utilizzare una bicicletta nel quotidiano, e non solo per allenamenti, gare o uscite domenicali, ha avvicinato i più al mondo del telaio artigianale, prodotto su misura e in pochi numeri.

Nonostante la criticità del periodo post covid – in italia non siamo ancora pronti a recepire il ciclismo in massa anche perché, come mi racconta Gianluca Pozzi, amministratore delegato di Cicli Drali “bonus e ciclabili non sono sufficienti a fare del nostro paese un mercato ciclabile” e questo lo avevamo intuito anche dalle parole di altri rappresentanti della bicicletta milanese.

La storia di Cicli Drali, formata da soli tre soci più il Signor Drali, è però una di quelle che merita di venire raccontata, soprattutto oggi, in un momento in cui la maggior parte delle produzioni, ciclistiche, ma non solo, sono state dislocate.

Questo trasferimento delle fabbriche di prodotti sportivi, outdoor e attrezzatura in Oriente, Taiwan o Cina, ci fa dimenticare che anche noi italiani sappiamo fare, che abbiamo sempre fatto e che possiamo continuare a farlo. E’ vero, i costi saranno un po’ più alti di quelli delle grosse produzioni, però valore, cura e personalizzazione che emergono in un prodotto costruito al 100% dietro casa, hanno sicuramente un altro sapore.

Carlo Drali, insieme al figlio Giuseppe, ha fatto strada nella storia delle bici. Maestro costruttore di telai da corsa, il Signor Drali, come ho scoperto viene chiamato dai suoi collaboratori, ha dedicato alla bicicletta vita e ingegno, costruendo biciclette magiche che hanno pedalato le più iconiche strade lombarde.

Giuseppe Drali ha imparato il mestiere dal padre Carlo, il quale realizzò telai che regalarono vittorie a icone del ciclismo come Fausto Coppi.
Oggi, alla rispettabile età di 90 anni – passati – il signor Drali ha accettato di rimettersi in gioco e di ricominciare con entusiasmo l’avventura, rinnovando il mito con nuovi telai e modelli.

In uno spazio rinnovato, la cui vetrina è ora a in zona Milano sud in Via Palmieri, dietro la “grande classica” ciclabile del Naviglio Pavese, Cicli Drali ricomincia l’attività. Giuseppe e Alessandro, assistenti e apprendisti del Signor Drali, riprendono la produzione di telai secondo l’arte originale dei maestri dell’acciaio.

L’area espositiva ospita le prime biciclette che testimoniano la storia del marchio Drali e le nuove biciclette prodotte negli ultimi mesi.

Abbiamo bisogno di ridare valore all’italianità e se questo significa passare da negozi di bici con prodotti di alta qualità, ben venga. Entrando da Cicli Drali, la loro scelta di optare per un mercato ad alta qualità si nota fin da subito nella selezione dei marchi accessori che entrano nel negozio come caschi firmati Poc, navigatori Garmin e abbigliamento di alta gamma di durevole fattura.

Passando un po’ di tempo con i pochi, ma buoni soci di Cicli Drali, sentiamo subito quell’aria di italianità che si respira a tutto tondo, assieme alla tradizione artigiana che ha fatto la storia ciclistica del nostro paese. La storia, infatti, che è parte attiva della formazione del marchio, rivela una costante apertura ed evoluzione fino ai giorni nostri, come si evince da quell’albero genealogico presente anche sul loro sito internet, simbolo di una crescita continua che vive però del suo passato, come nelle migliori famiglie in cui ci si tramandano le tradizioni di generazione in generazione.

Non è però oggigiorno pensabile di essere naïve e scollegati dal contesto in cui si opera limitandosi a guardare indietro: per portare avanti le proprie idee, bisogna essere pienamente consapevoli di come si debba stare sul mercato e capendo quali sono le azioni necessarie per non farsi travolgere o rischiare di soccombere. È questa duplice valenza e posizionamento del marchio che ha colpito il loro modo di fare azienda.

La paura e il timore della competizione con la concorrenza cinese sono vive e razionali nelle parole di Gianluca la cui formazione ingegneristica è tangibile, soprattutto quando si parla del nascente e in costante espansione mercato delle e-bike. Nonostante dovremmo essere aggiornati e informati su ciò che stiamo comprando, le persone che vanno in negozio spesso non sono preparate in materia e quindi spiegare loro le ragioni che sottostanno a visibili differenze di prezzo finale, non è facile, specialmente quando si tratta di ciclisti che si sono da poco avvicinati al mondo delle due ruote.

Possiamo spendere cifre molto diverse quando si tratta di biciclette, elettriche e non, ma capire verso cosa è meglio puntare in base a cosa ci serva veramente e gli eventuali costi di manutenzione, non sono fattori da sottovalutare quando ci si approccia ad una bicicletta.

Mi è piaciuta moltissimo la tematica sollevata da Gianluca durante la nostra chiacchierata legata ai suoi dubbi sulla mancanza di tecnici specializzati, formati per assistere il nascente settore delle bici elettriche. Un conto è fare manutenzione a motori Bosch, Shimano, Yamaha o di altri marchi più rinomati e diffusi, un’altra questione è invece gestire in officina le biciclette elettriche con i motori più diversi, magari assemblati direttamente in Cina o integrati nel telaio che ci arrivano senza istruzioni e senza indicazioni su come vadano trattati. «I nostri meccanici, sono specializzati in biciclette, non in motorini», dice lucidamente Gianluca.

Per sopperire a questa mancanza e con uno sguardo decisamente lungimirante, il team di Cicli Drali si è subito impegnato per formare i propri dipendenti sulle ultime tendenze della meccanica ed elettronica ciclistica; così facendo si crea un organico sempre preparato sulle nascenti necessità dell’universo ciclistico capace di lavorare al meglio anche sulla loro linea di biciclette elettriche tutte spinte da motori Polini, 100% made in Italy.

 

L’importanza di investire nella formazione del personale è ancora sconosciuta e poco praticata in Italia. All’estero si è capito anni fa che fare didattica ai propri dipendenti non sia tempo perso, ma un tempo prezioso che avrà un ritorno visibile e sul lungo termine faciliterà il lavoro di tutti.

Dovremo aspettarci di vedere un’evoluzione nei prossimi anni, sia dal punto di vista di chi pedala biciclette, ma anche dal punto di vista di chi le produce.
I ciclisti sono più esigenti, i telaisti sono più esperti. La combo può portare a risultati sorprendenti a livello di tecnica e performance.

Milano è cambiata e molti dei suoi ciclisti si vogliono distinguere rispetto ad anni fa non accontentandosi più di biciclette prodotte in serie assemblate da operai senza nome. Il mondo della customizzazione e del “su misura” è il futuro per una crescente fetta di mercato con un’elevata capacità economica e un’alta preparazione tecnica. È normale vedere dei fenomeni di disaffezione quando le cose sono troppo diffuse, ma la forza di una piccola azienda, come quella di Drali, è certa. Ovviamente i loro numeri e fatturato non possono essere paragonabili a quelli delle grandi aziende, ma aspettando di vedere se in Cina rallenteranno mai la produzione, dobbiamo dare una possibilità a chi non ha voluto mollare e ha continuato a produrre biciclette valide qui dietro casa.

«Dobbiamo ancora capire come si evolveranno le cose – dice Gianluca – e se ancora in molti verranno ammaliati dai più bassi costi di produzione e abbandoneranno il nostro paese in nome del risparmio offerto dalla Cina: il carbonio lo abbiamo inventato noi. Non possiamo mollare proprio adesso».

Le sue parole un po’ mi commuovono e mi fanno rivivere l’anima vera che ha mosso il nostro paese nel settore della bicicletta, quella bicicletta lì, che era dei nostri nonni, dei grandi campioni che da qui sono partiti e arrivati lontano.

Non possiamo rischiare di dimenticarci tutto questo.

Oggi Cicli Drali si impegna nella sponsorizzare di una squadra corse, DRALI MILANO  che svolge attività agonistica per rinnovare quelle emozioni e quei successi conquistati da diversi campioni del passato in sella a biciclette Drali.

Per non restare indietro con le ultimissime tendenze in fatto di esplorazione, Drali ha anche scelto di fare ingresso nel mondo delle biciclette gravel, ovvero mezzi da strada in carbonio realizzate su misura e personalizzate, ma adatte a terreni fuoristrada e sterrati che convivono con le prestigiose bici a scatto fisso artigianali. L’obiettivo è quello di svolgere attività fixed a livello nazionale e internazionale partecipando ai più importanti eventi come Criterium Italia, Reed Hook Crit e Rapha Nocturne permettendo un test continuo ai loro mezzi.

Molte delle biciclette realizzate da Drali sono progettate su misura, ma vengono fatte anche e-bike o altre tipologie di biciclette più accessibili. Per riposizionarsi al meglio su un mercato competitivo come quello del ciclo, i Drali si sono impegnati in un progetto di re-branding intenso, marketing e comunicazione, ricercando agenti e distributori anche all’estero. Va bene produrre in casa, ma poi è necessario guardare oltre confine, dove la nostra manualità e storia possano venire apprezzate pienamente.

Il grande problema, mi spiega Gianluca, è nel montaggio e nella componentistica. Come facciamo a far capire che due biciclette, solo apparentemente identiche, sono assemblate con componenti, cambio e altre parti del tutto differenti e che saranno quelle a rendere una bici molto più performante, reattiva e fluida dell’altra influenzando la qualità del prodotto finale e quindi anche del suo prezzo? Come far capire che la differenza di prezzo rivela bici qualitativamente “diverse” e non solo migliori o più “belle”? Come evitare di diventare dei moderni Don Chisciotte del ciclismo parlando la stessa lingua della domanda senza suonare “venditori” o propagandisti, ma cercando di educare e comunicare alla cultura delle due ruote?

La questione delle differenze peculiari delle biciclette è estremamente difficile da comunicare ad un pubblico sempre più ampio e meno specializzato. Viviamo tutta la fatica di chi cerca di raccontare, descrivere e vendere biciclette di valore in un periodo in cui i prezzi si tendono ad abbassare sempre a scapito della qualità.

Anche quando non c’è concorrenza, bisogna impegnarsi a comunicare ed educare le persone in merito.

Artigianato significa valore e know-how. Peccato ce lo siamo persi.

Sorprendente invece la reazione del Giappone per quello che riguarda il mondo delle biciclette per il quale ha sempre avuto grande conoscenza e consapevolezza e comprendendo pienamente il valore di ciò che si stava comprando.

Sarà quindi necessaria, secondo Gianluca, una formazione a tutto tondo – sia dal punto di vista del target e di chi lavora nel mondo del ciclismo – andando di pari passo alle necessità nuove e alla fondamentale educazione del ciclista al rispetto delle regole, all’utilizzo del casco e alla stipula di assicurazioni.

Bisogna creare un mondo nuovo attorno alle necessità della bici se la si vuole vedere come oggetto di trasporto e non economico – sviluppare un sistema di infrastrutture ampie e dedicate aiuterà ad eliminare i conflitti inserendola armonicamente nel contesto in essere.

Molto spesso la paura che venga rubata limita la diffusione e l’acquisto di biciclette di qualità, ma se ci fossero più azioni concrete rivolte al rispetto e tutela del mezzo e dei suoi proprietari, forse potremmo davvero muoverci in una direzione nuova. Le premesse ci sono, concretizziamole.

Foto: Valeria Rossini

 


Gravel del Duca

Gravel del Duca

62km nella Zona Est di Milano che mi sono stati suggeriti da un grande amico e compagno di avventure in bici, Francesco Piccoli, nonché amante di questo giro che non sarà il più fortunato per paesaggi e strade, ma è una bella sorpresa. E il Duca è un mattacchione, passaggi segreti e curve inaspettate.

Si parte da una cascina con torre molto bella dove c’è anche un museo etnografico, di cui forse il nome è sconosciuto, vicino a Rodano. Il primo pezzo è su uno sterrato che si alterna in continuazione con l’asfalto. Non mancano i luoghi per un vero e proprio sightseeing agricolo: cascine, chiesette, le muzze (i canali agricoli del milanese) con relativi ponti e un paio di piccoli paesini tutti molto carini. Sul tracciato si trovano rogge, marcite, fontanili, ma il pezzo forte è senza dubbio il Sentiero del Duca una strada alberata lunga un paio di chilometri che ti riporta a Rodano: dulcis in fundo!

Unico possibile problema: raggiungere la traccia da Milano bisogna uscire da Via Corelli – zona Ortica – e fare alcuni pezzi senza ciclabile, ma se stiamo bene sulla destra, single file, fila indiana, come dicono all’estero, all good.

«Prima di partire per un viaggio in bici in Austria, ho seguito un’altra traccia di un amico, dice Francesco, che potrebbe unirsi e rendere più piacevole uscita e rientro a Milano» ma si sa, la bici è anche improvvisazione. Quindi non abbiatene se alcuni pezzi non vi sono congeniali, ma ci sono sempre opzioni per allungare, tagliare, scorciatoie, pause caffè o gelato nelle location più varie.

Link Strava Gravel del Duca

C’è anche la traccia delle Terre di Mezzo che passa anche da Mordor…ma quella è un’altra saga.
Foto: Stefano Losco


Eventi: Milano BFF, Milano Bike City e Milano Bicycle Coalition

MILANO BICYCLE FILM FESTIVAL

Atmosfera stimolante di ricerca e voglia di andare oltre alla semplice visione “sportiva” della bicicletta, sapeva di questo l’aria che si respirava nella Milano del Bicycle Film Festival. Ammetto una certa nostalgia per questo avvenimento culturale e artistico a tema due ruote che, con la sua prima edizione italiana e milanese nel 2006, era finalmente riuscito ad abbattere le varie differenze di genere ciclistico portando tutti gli amanti delle due ruote dentro una stessa sala, mossi dalla medesima passione, guardando gli stessi incredibili filmati.

Con la sua atmosfera internazionale e imprinting culturale, il BFF aveva trasmesso l’immagine della bicicletta come un oggetto artistico, apolitico, e che potesse aiutare e illuminare i più, indipendentemente da credenze e provenienze, portando verso una nuova concezione del concetto di ciclismo come ricorda Giovanni Morozzo, fondatore di Ciclica e produttore dell’edizione milanese del festival nel 2012 e 2013. Nonostante l’evento abbia subito un’interruzione per qualche anno, mi piace ricordare come sia stato un momento nevralgico nella creazione di una community delle due ruote.

Non dobbiamo dimenticare che il BFF era un festival cinematografico nato prima di internet e quindi vantava ancora il privilegio di avere proiezioni e filmati visibili solo lì, in quelle sale, in quel momento. Questo fu un contributo in più nella costruzione di un’attenzione attorno alla comunità ciclistica aumentandone il valore e mantenendo il focus sul festival. Numerosi eventi collaterali erano stati pensati, infatti, con l’obiettivo di costruire un evento a trecentosessanta gradi.

Founding director Brendt Barbur racing gold sprints

Milano diventava, per una settimana, capitale mondiale della bicicletta grazie ad un’idea, nata 20 anni fa a New York, di Brendt Barbur. Oggi il Bicycle Film Festival è presente in quattro continenti e rappresenta un volano di quella rivoluzione a pedali che, come abbiamo visto, sta arrivando anche a Milano. Le emozioni vissute durante le proiezioni serali al Cinema Mexico o i vari eventi collaterali organizzati, assieme al party finale, erano uniche nel loro genere e anche Brendt Barbur, ideatore e fondatore del festival, ancora ricorda con nostalgia, come mi ha raccontato in una recente telefonata.

Il Bicycle Film Festival è stato da sempre sinonimo di quella celebrazione di ogni genere di ciclismo, attraverso i film, l’arte e la musica rivelandosi un momento particolare e irripetibile in cui si era stati in grado di percepire concretamente la comunità della bicicletta a Milano. Come ricorda Marco Mucig, videomaker, appassionato ciclista, papà e motore della parte di comunicazione del festival per molti anni. «Il concetto di community non era così sdoganato come lo è adesso, ma il festival ha unito le persone grazie al suo obiettivo culturale, di ricerca, indagine, stimolo e parte attiva del fenomeno della bici come catalizzatore di una subcultura che trovasse in essa il suo mezzo di espressione, così come lo era a lungo stato lo skateboard».

BFF Milano Alleycat

Esplorare la città in bici influenza il modo in cui la si racconta: crescita e apprendimento continuo tipici della bicicletta sono tangibili nei lavori di Marco. Smarrimento, esplorazione e scoperta sono più facili grazie alla dimensione della bicicletta che ci regala ogni volta una prospettiva diversa di un qualcosa che normalmente non vedresti.

Marco, non essendo nato a Milano, vive e scopre la città in bici, grazie ad un mezzo vintage assemblato con pezzi di recupero da Jacopo Volpe (che è stato a lungo l’anima di Dodici Cicli) – perché allora i componenti d’epoca erano i più economici dato che non erano ancora diventati di moda – riuscendo così ad entrarne subito nell’animo. La collaborazione con il BFF è nata tramite un amico, anche lui ciclista, che lo ha messo in contatto con loro. Non è stata solo la passione per la bici a creare il seguito del Festival, ma una visione comune su un modo diverso e nuovo di vivere la città condividendo valori che hanno creato una subcultura. «Conoscevo già il BFF e la scena newyorchese attraverso un documentario che avevo visto e che mi aveva ispirato e affascinato, ma è entrando in contatto con questa community che mi sono poi appassionato al progetto. Così come il design, anche la moda, ha preso molto dal mondo del ciclismo: vediamo infatti molti grandi nomi del fashion che hanno creato nel tempo linee di abbigliamento dedicate alla bicicletta con la ripresa di una subcultura nata proprio in seno al periodo del BFF».

Il festival ha unito molte delle realtà milanesi e le ha messe in contatto con un movimento internazionale, che da New York a Tokyo ha unito molte persone contribuendo a creare quel legame capace di superare i confini. In alcuni anni le istituzioni avevano remato contro la realizzazione del festival non recependole il valore di forte collante sociale per comunicare e vivere un nuovo modo di stare in città.

MILANO BIKE CITY

Foto: Francesco Rachello/Tornanti.cc

Ci sono anche altri pareri legati a questo evento, come sostiene Roberto Peia. «Il bellissimo Bicycle Film Festival è stato, a mio parere, soprattutto un momento di autocelebrazione: ci si trovava tra di noi, la casta degli eletti, a vedere rari filmati che mai sarebbero passati nelle sale cinematografiche, a scorrazzare per la città, a scolarsi tante birrette e mangiare caldarroste. Altro respiro invece quello di Milano Bike City dove gli eventi erano a trecentosessanta gradi, organizzati dalle varie “tribù” di ciclisti, imprenditori del mondo bici e giornalisti».

Milano Bike City, organizzato in collaborazione con Ciclica e svoltosi ad ottobre 2019, é riuscito a coinvolgere il Comune, una radio importante e l’intento di arrivare a chi delle bici conoscesse ancora poco o nulla. MBC voleva comunicare a chi ancora avesse paura di usare la bici in città, che un altro mondo era possibile che esisteva un reticolo di realtà ed esperienze attive a Milano che da anni si battevano per far crescere idee, spazi ed eventi che muovessero culturalmente ed economicamente la città. Sono attive da anni diverse aziende di bike messenger, artigiani, negozi e marchi di biciclette, associazioni per la promozione della mobilità sostenibile, gruppi di attivisti, società di bike sharing, realtà industriali, tour operator cicloturistici, squadre e manifestazioni sportive che aspettano solo il momento di farsi conoscere.

Non sempre si è riusciti, ma il tentativo c’è stato e qualcosa sembra abbia prodotto. Milano Bike City contemplava un ricco programma di eventi sparsi in varie location dedicati alla bicicletta, al ciclismo e alla mobilità sostenibile promossi dall’Assessorato al Turismo, Sport e Qualità della Vita del Comune di Milano.

Per due settimane le due ruote sono state il mezzo prediletto dai cittadini milanesi, cogliendo l’occasione per esplorare la città in ogni suo quartiere, incontrare persone, assistendo ad eventi dal centro alla periferia. Il tutto pensato in concomitanza con la Settimana Europea della Mobilità Sostenibile in cui la bici veniva spinta come mezzo di trasporto, proseguendo con Bike Up parlando della bici del futuro, quella a pedalata assistita, che oramai sembra essere divenuta parte attiva del nostro presente.  Anche Regione Lombardia si era fatta promotrice dell’evento organizzando tour in bici alla scoperta delle bellezze del territorio.

Foto: Francesco Rachello/Tornanti.cc

E’ importante fermarsi un attimo e ripercorrendo questa breve panoramica che coinvolge due avvenimenti apparentemente molto diversi, ma animati dalla stessa passione: la celebrazione della bicicletta in tutte le sue forme. Entrambi i momenti avevano come scopo quello di far vivere la bici, i suoi luoghi e protagonisti a chi non li conoscesse e solidificare il legame con gli addetti al settore.

Abbiamo visto Milano cambiare e così molte città grazie alla bicicletta ed è stato un cambiamento positivo. Sicuramente il festival ne è stato un catalizzatore importante per quello che può venire considerato uno dei movimenti più significativi di questo secolo: un punto di incontro e un’occasione di scambio e allo stesso modo Milano Bike City lo ha fatto in maniera più organizzata e supportata anche dall’alto.

Qualcosa si sta muovendo e lo stiamo vivendo sulla nostra pelle.

Ovviamente i fattori che hanno contribuito alla crescita del ciclismo urbano sono molti, come abbiamo già visto, partendo anche dalle persone che chiedono di poter spostarsi in città senza essere costrette a guidare l’auto per una o due ore al giorno.

MILANO BICYCLE COALITION

15 Ottobre 2018 SuperMi100 una pedalata di 100 km attorno a Milano nell’ambito di “Super – il Festival delle Periferie a Milano” Foto Francesco Rachello / Tornanti.cc

A dar voce a tutte le realtà che utilizzano già la bici ogni giorno in città ci pensa Milano Bicycle Coalition, una piattaforma di contenuti e servizi dedicati alla mobilità sostenibile attiva nell’area di Milano che vuole contribuire alla diffusione di una “cultura alta della bicicletta” in cui il le due ruote vengano usate e viste come occasione di integrazione sociale, crescita culturale ed economica, amicizia e consapevolezza.

Milano Bicycle Coalition ha l’ambizione di contribuire alla pacificazione dei rapporti sulle strade, uscendo dalla logica delle categorie contrapposte, come citano i vari sostenitori sul loro manifesto. Inoltre, assieme alle numerose comunicazioni sui social, newsletter e canali di informazione, Milano Bicycle Coalition si propone di attivare una serie di progetti e iniziative che facciano crescere la quantità e la qualità dei ciclisti urbani, trasformando il tema della ciclabilità in una grande opportunità per tutta la città.

Fra le loro iniziative più importanti e significative possiamo citare il bollettino ciclistico milanese e AbbracciaMI. Il bollettino consiste in una serie di aggiornamenti e introduzione ai fatti a tema due ruote da Milano e dal mondo mentre AbbracciaMI è un tracciato attorno a Milano pensato da La Città Intorno.

Red hook Crit Milano at BFF. Foto: Alessio Baù

La Città Intorno è un programma triennale di intervento partecipativo sul territorio, che coinvolge in prima persona gli abitanti dei luoghi individuati e che ha come scopo il processo di rigenerazione urbana che valorizzi la multidisciplinarietà lavorando su tempi medi, esprimendo una nuova visione sulle città che ne rimetta al centro le periferie. Sulla scia di questo intento è stato quindi creato un percorso circolare, una circonvallazione allargata che corre attorno alla città e unisce persone, attività e luoghi, attraversando gli spazi urbani abitati e in trasformazione.

AbbracciaMi è un’azione dedicata a una mobilità nuova, sostenibile e ciclopedonale, per migliorare la qualità della vita di tutti nei quartieri della città che permette di unire vari quartieri, parchi e zone di Milano senza mai passare dal centro. Pedalare sul percorso di AbbracciaMI, sostengono gli organizzatori, serve oggi a rendere questo itinerario una buona pratica che stimoli la realizzazione della circle line. AbbracciaMI è il sogno di un percorso ciclistico attorno alla città di Milano, un vero e proprio abbraccio in bicicletta. L’itinerario è già in gran parte percorribile, quasi sempre su ciclabili, attraverso parchi e giardini, su strade a basso traffico.

Un altro esempio di grande riqualificazione delle periferie è il progetto del “boschetto” di Porto di Mare, collocato nella zona sud di Milano confinante con il parco della Vettabbia e la vicina abbazia di Chiaravalle, riqualificato dal Comune di Milano assieme a Italia Nostra e il centro di Forestazione Urbana regalando ai cittadini anche una pista di mountain-bike.

Esiste una mappa disponibile online che illustra i principali ambienti del parco e che spiega come orientarsi e muoverti lungo i vari sentieri a piedi o in bici.

Il processo di rigenerazione dell’area di Porto di Mare è uno dei vari esempi di riqualificazione ambientale, urbanistica, edilizia, economica e sociale attuati dal Comune di Milano per comparti periferici e degradati che ci aiuteranno a riappropriarci di una città in cui le bici saranno il nuovo motore pulsante.

Foto in evidenza: Tornanti.cc