Percorsi ciclabili: Super Mi 100
Milano, una città in divenire. Cambia costantemente e continuamente. Ti allontani un attimo, stai via per le ferie o per lavoro, torni, e qualcosa attorno a te è cambiato: quella pasticceria in cui facevi sempre colazione è diventata un coworking, il ristorante cinese sotto casa si è trasformato in una eno-gastro-libreria, la via che ti portava al parco ora è a senso unico, e quel parcheggio segreto che ti permetteva di sfuggire alle strisce blu adesso ospita una piazza condivisa. L’animo di una città come Milano è così fluido nel tempo e negli spazi che le tracce e i segni sono per loro natura destinati ad essere passeggeri e in divenire. Per questo, se volessimo pensare ad un percorso ciclabile che ne circumnavighi i confini, difficilmente potrebbe essere circoscritto, segnato e incasellato all’interno di indicazioni precise.
Così è stato per Super Mi 100, un percorso ciclabile di 100 Km intorno a Milano ideato nel 2016 e progettato grazie a una serie di ricognizioni in bici effettuate nell’estate 2018, durante le quali i partecipanti hanno disegnato una traccia che è stata percorsa nella sua interezza il 14 ottobre 2018 durante la festa di Super, il Festival delle Periferie, un momento di grande importanza per la rivalutazione urbana e sociale delle periferie come elemento di connessione fra i suoi abitanti e motore propulsivo della città, abbandonando il ruolo di satelliti passivi che si limitano a gravitare ai margini.
Super Mi 100 è una costola di Super, il grande Festival delle periferie, nato attraverso l’associazione culturale TumbTumb per dare forma narrativa a tutto ciò che esiste, cresce e si attiva nelle periferie di Milano.
TumbTumb è gruppo eterogeneo che vuole partire dalle storie e dai luoghi di chi li abita, li amministra e li costruisce per connettere competenze, esperienze, punti di vista e relazioni, interessato dalla contaminazione e dalla possibilità di sperimentare linguaggi, pratiche di ricerca e comunicazione, dove le storie e le relazioni si intrecciano con la tecnologia per proporre nuove forme d’azione sociale e politica capaci di far emergere una città in mutamento, che c’è e quella nascosta che ancora si deve svelare.
Come dice il nome stesso, Super è un grande archivio di pratiche, azioni e realtà vive e in divenire che viene pian piano costruito e rappresentato attraverso continue forme immediate, performative e popolari che coinvolgono il pubblico e chiunque si mostri disponibile a farne parte.
Un nobile lavoro di ascolto e di coinvolgimento diretto di chi abita e vive la periferia, di chi la amministra e costruisce, per comporre una trama di racconti, film, disegni, illustrazioni, fotografie, suoni, spettacoli e parole che descrivano in maniera esclusiva e nuova un territorio limitrofo di cui spesso si parla in negativo e si hanno racconti frammentati e parziali.
La bellezza e la modernità di Super Mi si percepiscono nel suo essere un percorso flessibile, liberamente interpretabile da chiunque e modificabile in base a nuove scoperte, nuovi suggerimenti e nuovi passaggi, dal momento che “la città è in costante mutamento, crediamo che un percorso di questo tipo debba essere digitale e fluido, facilmente modificabile e ri-adattabile,”ricorda Michele Aquila, padre e anima del progetto.
Super Mi 100 è un progetto e, come tutti i progetti, non vuole inventare nulla di nuovo. L’idea è quella di investigare un problema esistente: ovvero come muoversi intorno a Milano in maniera circolare in bici. Il tema è ricorrente, almeno da quando esistono gli insediamenti urbani come li intendiamo oggi, per arrivare a questa conclusione, tuttora aperta e in divenire, è stata raccolta una collezione di progetti, idee, spunti e riferimenti utili per capire da dove partire e dove si può arrivare.
Cosa significa esattamente percorso ciclabile digitale?
La domanda sorge spontanea dal momento che l’idea della bici è sempre più concreta e, anche in tempi di lockdown e chiusure, speriamo sempre e comunque connessa all’aria aperta e alla sua connessione materiale con il terreno. Digitale, in questo caso significa senza cartelli o segni dipinti a terra, ma basato su una traccia liberamente scaricabile dal web. “Usiamo le infrastrutture che già esistono e le ricuciamo in uno dei tanti possibili – e speriamo piacevoli – modi”, prosegue Michele.
Qualche consiglio tecnico:
L’agilità di un percorso completamente digitale implica la necessità di dotarsi di un dispositivo per seguire la traccia e venire guidati nella sua esplorazione: uno smartphone con installata un’App che possa leggere i formati di navigazione o, se già ne possedete uno, un ciclocomputer andranno benissimo. Se ne possedete già uno probabilmente sapete già cosa significa scaricare una traccia e caricala sul vostro dispositivo. Se non avete la minima idea di cosa sia un ciclocomputer potete tranquillamente affidarvi al vostro amico smanettone che magari ne sa più di voi e uscire in bici assieme oppure potete provare dal vostro smartphone ricordandovi di portare con voi un battery pack, perché in modalità navigazione la batteria del telefono non dura a lungo, e di fissare il vostro telefono sul manubrio della bici per evitare di dover seguire la traccia estraendo in continuazione lo smartphone dalla tasca, giacca, zaino etc.
Ecco la traccia disponibile su komoot:
https://www.komoot.it/tour/346566150
Il progetto di Super Mi 100 raccontato nel sito ufficiale:
Link:
http://iosonosuper.com/progetti/super-mi-100
e il nuovo profilo instagram:
https://www.instagram.com/super_mi_100/
Foto: Tornanti.cc
Ladra di biciclette: intervista a Mariateresa Montaruli
Per il nostro dossier su Milano, abbiamo anche intervistato Mariateresa Montaruli, la fondatrice del blog: Ladra di biciclette
Sei una giornalista e fondatrice di un blog a tema ciclistico con un’occhio particolare alle donne in sella. Com’è nato il tuo progetto?
Accorgendomi che non c’era nulla online e offline che raccontasse il mondo della bicicletta dal punto di vista femminile, più morbido e inclusivo di ciò che ci piace e ci fa contente. Dopo anni di collaborazioni con periodici femminili a diffusione nazionale, ho trasferito quell’esperienza sul settore cycling.
Come pensi che vivere in città abbia influenzato il tuo modo di concepire la bicicletta?
Sono stata per anni una ciclista urbana. Facevo la spesa al mercato portandola a casa in due cestelli e andando alle conferenze stampa in bicicletta. La funzione della bici come mezzo di trasporto veloce e green era prevalente allora. Il gusto per una bici più raffinata nell’estetica è intervenuto quando ho avuto la mia prima bici di corsa, un telaio Rebellato del 1975, in perfetto stile vintage.
Come è nata la tua passione per la bici?
Andando in bici. Ho cominciato talmente tanto tempo fa, in città, che non ricordo un episodio scatenante. Sicuramente il ritrovamento della bici vintage nel cortile della mia casa di ringhiera, 7 anni fa, ha contribuito a farmi fare il salto da ciclista urbana a ciclista escursionista e blogger di bicicletta.
Come sono cambiati il tuo lavoro e la tua vita da allora?
Da anni non ho più la macchina: tutti i miei spostamenti sono ormai in bicicletta, se non a piedi con il cane. Nel lavoro, sono passata da reporter di viaggi a giornalista e blogger specializzata in cicloturismo, bicicletta, mobilità dolce, con un attenzione particolare alle storie di donne del mondo bici.
Cosa ti piacerebbe dire alle donne che non hanno mai pedalato per spiegare il bello di andare in bici?
La bici è riappropriazione di tempo e spazio per sé. E’ gioco, è pura sensorialità, è il gusto del vento in faccia e delle uscite di gruppo. E’ viaggiare senza filtri e intermediazioni, in perfetta connessione con la natura.
Secondo te è cambiato il modo di vedere il ciclismo e di praticarlo da parte di sempre più ragazze?
Le donne sono ormai tante. C’è un interesse crescente anche nei confronti del viaggio in bicicletta. Ma il ciclismo sportivo femminile ha ancora bisogno di maggiore esposizione mediatica e sponsorizzazioni.
Foto: Ladra di biciclette/Facebook
Fare Gravel a Milano è possibile
Se pensate che Milano sia solo asfalto e traffico non è così.
Poco lontano dal centro città ci sono numerose strade nelle campagne completamente immerse nel verde che vi lasceranno piacevolmente sorpresi.
Oltre ai popolari percorsi ciclabili che scorrono lungo i Navigli, rimarrete stupiti da come, semplicemente girando l’angolo, vi potrete ritrovare in piccoli borghi, antiche osterie, campi, aziende agricole, fattorie e luoghi decisamente inaspettati che vi faranno dimenticare il rumore e le automobili che invadono ogni giorno la città dipingendo un quadro agricolo e storico variegato.
Ne sa qualcosa Paolo Tagliacarne, fondatore dell’ASD Turbolento e dell’omonimo blog che raccoglie suggerimenti e percorsi gpx scaricabili che, suddivisi per difficoltà e chilometraggio, partono dal centro città e vi conducono in paesaggi memorabili. Una sezione interessante è quella legata alle “Strade Zitte” – che vede come uno dei protagonisti principali il Parco Agricolo Sud Milano, un’ampia area a semicerchio che si lungo il perimetro a sud della provincia del capoluogo composta da ben sessantuno Comuni.
Percorsi e strade che appartengono al patrimonio del territorio e del paesaggio italiano. Un patrimonio che Turbolento porta a disposizione di chi le voglia conoscere e percorrere. Oggi con un contenuto innovativo (app per Arda e GTL) e un significato ulteriore (cicloturismo di prossimità, in autonomia).
Dalle Strade Zitte nascono tutte le loro iniziative, dalla Chase the Sun alla Milano Gravel, per la cui realizzazione hanno iniziato a mappare qualche centinaio di chilometri di strade sterrate attorno a Milano, prevalentemente nell’area ad Ovest-Sud-Ovest della città tra i Navigli, il Parco Agricolo e la valle del Ticino.
Dai cinquantatré chilometri della Gravel delle Terre di Mezzo, ai quaranta dalla Gravel Bonsai, ottima per gli allenamenti invernali. Al percorso della Gravel di Primavera riservata come Club Ride o tour accompagnato (settanta chilometri tra andata e ritorno da Milano Naviglio Grande, con giro di boa al Lido di Motta Visconti). Il circuito delle Gravel Roads si completa con i due tracciati da cento e centocinquantacinque chilometri della Milano Gravel, la madre di tutte le gravel. Il percorso lungo è nato una decina di anni fa, quando ancora si usavano bici da corsa o ciclocross e il termine gravel non esisteva. Qualcuno partecipava con la storica Cinelli Passatore, antesignana delle moderne gravel bike, nata nel 1989, figlia di un Rampichino e di una Supercorsa, pietre miliari nella storia Cinelli.
Abbazie, canali, risaie sono solo alcune delle tipicità del panorama del Parco Agricolo Sud che si estende fino a Pavia, Bereguardo, Morimondo e altre interessanti località. Il Parco Agricolo Sud è attrezzato con zone pensate per svago, cultura e sport: camminate, trekking, navigazione, cicloturismo. Ovviamente anche l’enogastronomia ha un ruolo rilevante con ristoranti, trattorie e monumenti collocati all’interno di un qualificato ambiente agricolo metropolitano.
Si comprende appieno l’essenza del Parco, la valorizzazione e riqualificazione delle aree agricole ed è da qui che parte il progetto, nato per promuovere un territorio adiacente alla città che si rischiava di veder dimenticato e messo in secondo piano rispetto al turbine e all’eclettismo della vita urbana.
Esistono anche ventisette Punti Parco dislocati all’interno dei suoi confini pensati per promuovere le iniziative e le attività ed è possibile ottenere informazioni sul patrimonio agricolo, ambientale, culturale, artistico. Aziende agricole, associazioni, cooperative, consorzi e piccole società sono solo alcuni dei suoi rappresentanti, alcuni situati alle porte di Milano altri “sparsi” per la campagna.
Il Parco è un punto i riferimento per i cittadini e soprattutto per le scuole che possono “sfruttarne” le realtà più variegate per attività didattiche, spettacoli teatrali, educazione ambientale, laboratori tematici, mostre, visite guidate e anche escursioni a piedi o in bici con guide specializzate. Se siete di Milano o se ci siete capitati per studio o lavoro, sicuramente non potete perdervi una parte così importante del patrimonio storico lombardo.
Oltre alla componente naturalistica il Parco rappresenta infatti anche una risorsa culturale in cui trovare edifici di valore architettonico distribuiti in angoli poco conosciuti del territorio. Case e palazzi testimoniano il modo di lavorare e di vivere la civiltà contadina attorniati da un reticolo di strade rurali e percorsi ciclabili che vi aiuteranno a scoprire queste zone. Essendo percorsi in parte già allestiti e altri in fase di allestimento, una bici gravel sarà quello che vi servirà per spostarvi il più agevolmente possibile dal pavé sconnesso al fondo sterrato che collega canali, agriturismi e chiesette semi abbandonate in uno scenario tipico della “bassa”.
Alcune strutture e relativi percorsi sono maggiormente noti e frequentati, basti pensare alle abbazie di Chiaravalle, di Viboldone e di Mirasole, mete di gite domenicali in famiglia o sede di mercatini e fiere. Altre parti invece rimangono sommerse tra le risaie e le marcite ed è lì che potrete arrivare tranquillamente in bici e tornare a casa con la sensazione di essere stati in luoghi lontani – se non geograficamente, almeno storicamente, in cui il tempo sembrerà essersi fermato.
Inoltre, guardando un po’ oltre i confini della città, Paolo e il suo gruppo hanno anche iniziato a proporre percorsi “ciclo-alpini” da pedalare con bici da corsa o gravel alla scoperta di collegamenti alpini in cui magari la bici va spinta per alcuni tratti, o portata in spalla. Ovviamente con attrezzatura adeguata, soprattutto le scarpe.
Sarà la nuova frontiera del cicloturismo? Stiamo a vedere.
Vi suggeriamo anche un breve ma speciale itinerario – che partendo dalla zona del Naviglio Pavese vi collegherà fino alla zona del Naviglio Grande che ho soprannominato Zibidino Magic Hour – che potete fare mentre i vostri amici sono fare l’happy hour, ma li raggiungerete subito dopo!
Questa è solo una delle possibili proposte, per non dimenticare i fantastici percorsi attorno ai laghi di Varese e le sue ciclabili, il lago di Como, le grandi classiche brianzole, le ciclovie presenti in Valtellina, Val Brembana e chi più ne ha più ne metta, tutte facilmente raggiungibili in poco più di un’ora di bici+treno dal centro città e poi da li esplorare facendovi sentire in vacanza in un semplice weekend.
Dai che Milano non è così grigia e nebbiosa come dicono!
Foto in evidenza: Francesco Rachello/Tornanti.cc
Milano e il velodromo Vigorelli: la storia
Milano è cambiata, i quartieri, le sue architetture, nuovi palazzi costruiti, periferie gentrificate, luoghi storici rivalutati e altri dimenticati. La città è un continuum e se ti ci allontani per un po’, nemmeno troppo tempo, quando ricapiti in alcune zone ti sembra di vedere cose nuove, locali inaugurati, altri chiusi e abbandonati.
Non bisogna mai dare nulla per scontato quando si tratta di urbanistica, piani regolatori e tendenze dell’abitare. Ci sono però alcuni luoghi iconici che non vogliamo né possiamo dimenticare. Uno fra questi è il Velodromo Maspes-Vigorelli.
Il Velodromo è il simbolo di un ciclismo che ha fatto la storia, di una città che ha vissuto gli anni d’oro della bicicletta su pista, di un’epoca in cui le due ruote univano i cuori e muovevano le persone.
Il Velodromo Vigorelli, eretto e pre-inaugurato nel 1934, nasce ufficialmente nel 1935.
L’idea di un velodromo semicoperto poco distante dal precedente velodromo Sempione è di Giuseppe Vigorelli, industriale e in gioventù corridore su pista.
Il giovane velodromo diventa da subito un prestigioso punto di riferimento per la passione sportiva dei milanesi che ne affollano le tribune per gare di sprint, inseguimento, corse all’americana e grandi incontri di boxe sul ring al centro del prato.
La sua pista incredibilmente scorrevole e veloce per gli standard dell’epoca e attira corridori da tutto il mondo diventando teatro di sfide memorabili, record mondiali e traguardo di importanti corse su strada come il Giro d’Italia, il Giro di Lombardia e il Trofeo Baracchi.
Il velodromo continua la sua attività sino al 1975 quando viene chiuso per poi rinascere nel 1984. Ma in seguito alla grande nevicata del 1985 la tettoia che ricopre le tribune crolla sul parquet della pista, causando ingenti danni e da allora inizia il declino dell’impianto. Verrà ricostruita la tettoia ma l’impianto continuerà a rimanere chiuso, riaprirà di nuovo nel 1998 dopo l’ennesimo restauro per poi chiudere nuovamente nel 2001.
Progetti e promesse si susseguono nel corso degli anni, ma la mancanza di fondi e la poca considerazione per il luogo distolgono l’attenzione dal Vigorelli che rimane abbandonato per anni.
Da semplice impianto sportivo diventa un luogo mitico, vero e proprio tempio del ciclismo internazionale come mi racconta Daniele D’Aquila, anima odierna del velodromo ed enciclopedia vivente di tutti gli eventi e momenti che hanno reso questo monumento un luogo così unico e importante.
Monumento, sì, perché il Velodromo Vigorelli avendo più di cinquant’anni è consacrato monumento nazionale e dalla sua nascita vi corrono campioni e ragazzini che hanno imparano ad andare in bicicletta sulle sue curve sopraelevate.
Ci sono stati poi anni in cui il velodromo sembrava essere stato dimenticato, in cui il Comune aveva ben altri progetti e successivamente lo voleva trasformare in qualcosa di totalmente diverso e completamente distaccato da tutta quell’aura del grande ciclismo che lo aveva reso pietra miliare nel cuore degli abitanti. Sono stati i cittadini stessi a battersi per tenerlo in vita, evitandogli una triste fine fra un grattacielo e un centro commerciale.
«Se siamo riusciti a salvare la pista è anche perché le cose sono cambiate e i milanesi se ne sono accorti» dice Daniele. La nuova coscienza ecologica, una rinnovata attenzione alla bici e una sempre più diffusa consapevolezza del valore di una mobilità sostenibile, hanno fatto capire alle persone la preziosità e la fortuna di avere in casa uno spazio come il Velodromo Vigorelli.
La crisi economica e la destrutturazione dei mezzi di trasporto, grazie anche alla diffusione della cultura ciclistica minimalista diffusa dai bike-messenger, che avevano bisogno di biciclette compatte, leggere e che richiedevano poca, se non minima manutenzione, hanno riportato attenzione allo scatto fisso assieme ad una nuova voglia di ciclismo specificamente urbano.
Ci siamo quindi ricordati del ciclismo su pista e del fatto che a Milano ne avessimo una mecca – paragonabile ai più grandi monumenti dello sport mondiale, ai grandi stadi e centri olimpici, ma che stava per venire distrutta e convertita. Si sono così attivati vari movimenti auto-organizzati spinti dalla necessità di riportare in vita il Vigorelli – facilitati da una nuova coscienza ciclistica animata dal forte legame con la città.
Il Comune di Milano aveva avviato un bando di riprogettazione, ma furono i cittadini a schierarsi contro la sua chiusura: nacque allora il Comitato Velodromo Vigorelli che aveva come obiettivo quello di salvare e rilanciare il Velodromo per rimetterlo a disposizione di più persone possibili, non limitandosi ad un pubblico di élite, ma rendendolo uno spazio sportivo vivo e attivo a tutto tondo.
In attesa di istituire una Scuola di Ciclismo per ragazzi si sono spalancate le porte per portare più gente possibile a rivivere l’impianto e permettere ai milanesi di vedere quello che vi accadeva all’interno, di passeggiare sugli spalti e di sentire l’emozione di un posto che aveva segnato la storia dello sport tanto quanto lo stadio di San Siro o l’Ippodromo.
Le persone iniziavano così ad entrare, chiedere informazioni, capire quanto fosse accessibile e praticabile. Signore che magari avevano paura di utilizzare la bicicletta in città per ragioni legate al traffico e scarsa padronanza del mezzo due ruote, iniziarono a frequentare il Velodromo per aumentare dimestichezza con la bici per sentirsi poi più sicure una volta in strada.
E’ possibile oggi noleggiare performanti bici da pista Look – marchio francese, il più rinomato per telai da pista, che già forniva bici al velodromo di Saint-Quentin-en-Yvelines, e che ha scelto di metterci la faccia per abbracciare questa storia e campagna di comunicazione urbana.
La presenza al Vigorelli diventa un biglietto da visita vendibile per tutto il mondo e forte potere comunicativo con biciclette performanti presenti in numerose taglie e montate con un rapporto tipico per potersi approcciare alle curve paraboliche: 48/15-16.
Il Comitato Velodromo Vigorelli ha fondato anche una società sportiva ed organizza numerose attività non solo sportive in programma al suo interno, come presentazioni di libri, visite guidate e scuole di sicurezza in bici e mobilità urbana, trasformando il Velodromo in uno spazio vivo e attivo durante tutto l’arco dell’anno.
La multidisciplinarietà delle iniziative accolte contempla anche pedalate in bici che terminano o partono dal Velodromo, come la famosa Vigorelli – Ghisallo che permette di visitare, in una sola uscita in sella, due luoghi unici che hanno fatto la storia del ciclismo italiano. L’uscita è stata creata in collaborazione con Carola Gentilini – direttrice del Museo del Ciclismo Madonna del Ghisallo – in nome dei buoni rapporti presenti fra le istituzioni per salvare i due luoghi più importanti del ciclismo lombardo.
La casuale necessità di recupero di entrambi i monumenti che contemporaneamente stavano vivendo un momento di crisi è stato il motore che ha messo in moto l’evento, ai cui organizzatori si è poi affiancato Upcycle Bike Cafè.
La visione che il Comitato Velodromo Vigorelli ha dell’impianto mira a renderlo uno spazio vivo e frequentato in cui «andare una sera e vedere ciò che succede» spiega Daniele. «Vorremmo che il Velodromo diventasse una meta in cui recarsi quando ad una serata fra amici ci si domanda: “cosa facciamo stasera?Andiamo al Vigorelli!”…»
Una tematica molto sentita è quella legata alle presentazioni di libri sul ciclismo, il filone del ciclismo narrato sempre più in voga negli ultimi anni. Si cerca anche di aprire il Velodromo a tutte quelle persone che non pensavano di aver nulla a che fare con la bici, ma che vi ci si ritrovano grazie a visite guidate per il FAI, Openhouse e Touring Club Italiano che risultano interessanti anche per chi non è strettamente legato al ciclismo.
La sua pista, diventata la più veloce al mondo con un adattamento di costruzione per un errore di progettazione dell’edificio, è carica di personaggi storici che vi hanno corso, ricca di storie annesse e connesse che rendono il Vigorelli un luogo godibile ai più dove fare cultura e storia del ciclismo.
Daniele mi racconta di aver sempre fatto sport e la bici era una delle varie attività fatte da bambino, ma sulla scia del nonno bianchista di eccezione con la predilezione per la bici da pista, si avvicinò presto alla vita del Velodromo fino a diventarne anima e mente creativa battutasi per tenerlo in vita.
Come tutti gli impianti sportivi di un certo tipo, la pista aveva un costo notevole e la si voleva abbattere in nome del nascente quartiere di City Life che considerava il Vigorelli come uno spazio inutile, lasciandovi un piccolo campetto al centro per il football americano.
Anche se assurdo tutto ciò era possibile perché il Velodromo era monumento nazionale, ma solo nella sua struttura esterna, non era chiaro se la cosa riguardasse anche la pista. Ci si batté allora affinché anche la pista, anima del Vigorelli, godesse del vincolo di tutela del monumento da parte dei Beni Culturali, venendo rivalutata e spinta a nuova vita dalla ASD che nacque di conseguenza.
Il Vigorelli ritorna ad essere un luogo popolare, non nel significato politico ma nel senso più sociale del termine, carico di quella forte valenza emotiva e storica che fanno parte della rinnovata cultura ciclistica odierna.
Riportare al Vigorelli buona parte della cittadinanza grazie al ciclismo, secondo sport più popolare al mondo dopo il calcio, non è missione da poco, ma «abbiamo rimesso il Vigorelli sul mappamondo ciclistico e allora le persone che vogliono sanno dove poterci trovare». Normalmente Daniele si definisce pessimista, ma visti i risultati ottenuti c’è da essere più che ottimisti.
Ovviamente i problemi ci sono e le difficoltà sono tante, il costo del mantenimento della struttura è alto, ma se ripensiamo alla strada e alla fatica fatta e fino a dove sono arrivati tutti i volontari e operatori del Velodromo, non possiamo che essere speranzosi per un futuro del Vigorelli e quindi anche del ciclismo.
Mi piace citare la canzone “Tomorrow people” di Ziggy Marley che Daniele ama canticchiare a sé stesso ripetendosi che se non conosci la tua storia non puoi andare avanti: non possiamo pretendere di voler costruire un futuro, se non sappiamo da dove proveniamo. Lo sapevano in Jamaica, lo abbiamo riscoperto noi oggi.
La voce di speranza e positività rispetto ad un domani ciclabile del Velodromo e di tutta Milano non tarda a farsi sentire riecheggiando fra le scalinate del Vigorelli e arrivando fino in quegli angoli di città che non vogliono sentire.
Foto in evidenza: Tornanti.cc
Negozi di biciclette a Milano
Avere un negozio di biciclette, significa molto più che fare riparazioni o compravendita di mezzi a due ruote. Scegliere di investire le proprie conoscenze ed energie mettendosi dall’altro lato del bancone, è una mission, una vocazione, un contributo alla diffusione di una cultura ciclabile e di tutto quello che la circonda. Se avete voglia di relazionarvi col pubblico, di raccontare, consigliare e sapere ascoltare i vostri clienti, forse questo potrebbe essere il vostro piano b.
Ce lo possono dimostrare i numerosi meccanici ciclisti presenti in città e consapevoli del loro ruolo all’interno della società, indipendentemente dal negozio di riferimento da voi scelto. Con pazienza e meticolosità vi sapranno aggiustare freni, sostituire camere d’aria, fissare una serie sterzo o raggiare una ruota ad alto profilo. Che si tratti di scattanti bici da pista, pesanti city bike o le colorate biciclette dei vostri bimbi, poco importa, vi aiuteranno a ritrovare quel sorriso perduto che solo la gioia di una bicicletta ben funzionante ci sa regalare.
Tutto ciò è ancor più vero in una città come Milano che nonostante abbia abbracciato con disinvoltura alcune innovative tendenze urbane, su altri fronti, come lo è stato quello della bicicletta, si è dimostrata a lungo diffidente.
Basta girare per le strade e vedere una cargo bike o andare in metropolitana per notare bici pieghevoli utilizzate assieme ai mezzi pubblici per gli spostamenti più lunghi. In questa estate 2020 abbiamo sentito sempre più racconti di volenterosi pronti a organizzare le proprie vacanze in bicicletta o scegliere le due ruote come mezzo di trasporto privilegiato. La bici è lenta ma inesorabile e così sono i cambiamenti che porta con sé, come ci ricorda Piergiorgio Petruzzellis, anima de La Stazione delle Biciclette. «Le persone che fanno viaggio in bici ci sono da sempre, noi ci siamo limitati ad intercettare quel pubblico sperduto e diffuso offrendo una base comune di servizi e prodotti (bici travel, borse o soluzioni per il trasporto). I nostri clienti sono molto differenziati, andiamo dal semplice utilizzatore della bici come scelta di mobilità, all’appassionato cicloturista. Poiché siamo specializzati nella fornitura di pezzi rari abbiamo anche una serie di clienti ciclomeccanici dilettanti».
La Stazione delle Biciclette nasce con l’obiettivo di fornire servizi innovativi per chi fa della bicicletta uno stile di vita alimentata da un gruppo di soci con i background più variegati, ma tutti uniti dalle due ruote. Meccanici, padri di famiglia, pedalatori, organizzatori di gare di ciclocross, cronoscalate urbane e pilastri di un’ampia porzione di ciclisti milanesi, sempre presenti a tutti gli eventi a tema due ruote del capoluogo.
La Stazione delle Biciclette è molto più di un semplice negozio di bici. Quando ti avvicini al loro spazio e punto vendita, che ora sono due, uno in Corso Lodi e uno al Villaggio Barona, ti rendi conto di quanto si nasconda in negozio o dentro l’officina. La loro vetrina, infatti, non è e non vuole essere una boutique delle due ruote, ma un centro di diffusione della cultura ciclistica. Gli eventi promossi al di fuori della normale attività di negozio sono prima di tutto mossi dalla passione che alla lunga si spera possa cambiare la cultura della bicicletta e quindi impattare positivamente anche sulle attività commerciali. «Ci piace pedalare e parlare di bici, ci piace toccarle, ammirarle, studiarle» dicono. E si vede.
Il progetto della Stazione delle Biciclette iniziò grazie ad un bando di concorso emesso dal Comune di San Donato Milanese al quale i soci vi parteciparono come associazione nata dall’esperienza della Critical Mass. Si volle dare una veste più ufficiale a ciò che già veniva fatto con le ciclofficine di strada.
In quel periodo, Davide Maggi generatore di idee e anima de La Stazione, stava facendo un dottorato di ricerca in Ingegneria Ambientale, ma sentiva fosse giunto il momento di cambiare indirizzando le proprie energie su un progetto più suo.
Questo nuovo percorso, intrapreso oramai quindici anni fa, vide una fase di grande fermento culturale e sociale legato al mondo della bicicletta, come per esempio l’attenzione portata alle due ruote dalla critical mass e dalla nascita delle prime ciclofficine popolari. Un esempio fra tutte è La Stecca – Piubici, ciclofficina milanese sviluppatasi grazie all’Associazione degli Artigiani che organizzava serate a tema ciclistico ospitate nel centro autogestito Bulk, situato in pieno centro città vicino al Cimitero Monumentale, prima ancora del nascente quartiere Isola e Chinatown.
Le persone cambiano, crescono e così nascono anche nuove necessità di creare e trovare lavoro. Avendo fatto esperienza che l’associazionismo puro non funzionava, i fondatori de La Stazione decisero di trasformare il progetto in un negozio a tutti gli effetti, mantenendo la stessa sede, ma ampliandosi a livello di soci e dipendenti. Venne così data la piena gestione de La Stazione in mano a Davide e si riuscì a vivere un momento di incredibile progettualità dal basso legata alla bici in città. Tutto ciò venne reso possibile anche grazie al retroscena culturale dell’area di San Donato Milanese impegnato a ridare dignità a luoghi apparentemente molto frequentati da pendolari, ma scarsamente vissuti dai suoi cittadini, come questi spazi periferici, sedi di interscambio fra mezzi pubblici e automobile.
Il primo negozio della Stazione delle Biciclette venne infatti costruito accanto ad un ampio parcheggio in corrispondenza della fermata capolinea della linea gialla della metropolitana milanese, contribuendo a fare il primo passo verso una valorizzazione di questi spazi urbani dimenticati.
Pigi, ovvero Piergiorgio Petruzzellis, altra figura fondamentale all’interno della Stazione, all’epoca dipendente di un’azienda in cui metteva a frutto la sua formazione da ingegnere, dopo lavoro passava sempre in negozio a vedere come andavano le cose e se c’era qualcosa da fare. Instancabile, dopo poco decise anche lui di cambiare stile di vita e abbracciare al 100% la causa della ciclabilità e del nascente negozio di bici.
Col tempo La Stazione delle Biciclette rivelò la sua anima più socialmente impegnata, proponendo eventi a tutto tondo sul tema due ruote, come i Campionati di Ciclomeccanica – giornate in cui varie squadre si sfidavano con lo scopo di riportare in vita veri e propri rottami che altrimenti sarebbero finiti in qualche discarica, trasformandoli il mezzi creativi, cargo, tall bike, etc. Con gli anni un evento di nicchia come questo ha preso piede e vive oggi di vita propria coinvolgendo appassionati e ciclofficine da tutta Italia.
Milano ha poi vissuto il boom dello scatto fisso per uso urbano, con le prime gare alley-cat organizzate “illegalmente” la mattina presto in giro per la città. La Stazione iniziò a produrre biciclette minimali, come la 666, modello realizzato su misura per sopperire alla mancanza di certe tipologie di biciclette. Si misero allora a ricercare telaisti, calcolare misure e capire cosa si facesse oltralpe iniziando ad importare una cultura nuova del fare bici.
Lo scatto fisso vide la sua evoluzione nel ciclocross e nel single speed e anche qui La Stazione delle Biciclette diede il via ad eventi, come i Campionati Italiani Singlespeed di Ciclocross che poi proseguirono autonomamente in varie zone della Lombardia, Veneto e regioni limitrofe.
Un altro grande amore è quello per il viaggio in bici, panorama meno competitivo, ma non meno gratificante. «In italia mancavano biciclette come le volevamo noi, come ci servivano per i nostri viaggi: iniziammo allora a sviluppare prodotti ad hoc per portare avanti anche il settore del cicloturismo e del viaggio e nuova proposta per i clienti».
Possiamo quindi vedere come le diverse tendenze che ha seguito la bicicletta non erano che un riflesso dell’evoluzione delle passioni dei loro proprietari: ciclomeccanica, scatto fisso, ciclocross, pieghevoli, 20” pollici, bikepacking etc.
«L’integrazione tra differenti mezzi di trasporto è l’obiettivo con cui viene progettata e pianificata la mobilità nelle nostre città, ricordano Davide e soci. Negli anni abbiamo sviluppato un’ottima conoscenza ed esperienza in tema di mobilità ciclistica. Oltre alla parte più legata al negozio di bici, siamo in grado di fornire a enti locali e amministrazioni pubbliche una vasta gamma di servizi e consulenze: dalla semplice scelta delle rastrelliere più adatte, alle consulenze complete riguardo piani della mobilità dolce e agli interventi sul territorio per favorire la ciclabilità».
«Per promuovere sempre di più l’utilizzo della bicicletta ci siamo specializzati in accessori e componenti non convenzionali, per trasformare la bicicletta in un vero e proprio strumento di trasporto quotidiano o nella compagna di viaggi e avventure. Sempre con un occhio di riguardo alle esperienze estere abbiamo sviluppato un’offerta di biciclette all’avanguardia per quanto riguarda la bici come mezzo di trasporto: cargo bike e pieghevoli, come compagna di viaggio, e come strumento per favorire uno stile di vita agile, leggero e sostenibile. Da ultimo abbiamo sviluppato una linea di biciclette realizzate su misura realizzate a mano e completamente personalizzate a seconda delle esigenze del cliente. Da sempre promuoviamo la cultura della bicicletta, con attenzione agli aspetti tecnici e innovativi, organizzando serate, eventi, e partecipando a fiere e manifestazioni».
I vari soci de La Stazione hanno creato una linea di biciclette artigianali realizzate su misura e completamente personalizzabili a seconda delle esigenze del cliente. E non è tutto: da loro si possono trovare anche accessori e componenti non convenzionali, per trasformare la propria bicicletta in un vero e proprio strumento di trasporto quotidiano o nella compagna di viaggi e avventure.
Il vero blocco alla mobilità ciclabile non è la mancanza di una bicicletta, le cantine milanesi ne sono piene. «I problemi sono altri – ci ricorda Pigi – la percezione della bici come mezzo pericoloso, le poche e scomode piste ciclabili, la scarsa attitudine degli italiani a muoversi, i furti, le assicurazioni» È vero che l’incentivo statale può servire, ma non può bastare da solo a farsi motore del cambiamento.
Il tutto come applicazione concreta di un vivere la bici in maniera divertente anche in città spingendone il più possibile l’utilizzo contribuendo alla di una comunità e diventandone un punto di riferimento anche fuori dal negozio. «Abbiamo scommesso sulla bicicletta, ci abbiamo creduto e piano piano qualcosa si è mosso» dicono soddisfatti i vari soci.
Se volete scoprire dove vanno i vari ragazzi quando escono dal negozio, potreste seguire Davide in un giro sul circuito di Porto di Mare: «l’ho visto rinascere ed è uno spettacolo», dichiara.
A Milano la situazione per le strade è molto migliorata nel corso degli anni, ma è normale che rimanga sempre un margine di pericolo come in qualsiasi altra cosa, ma prima o poi bisognerà pur cominciare. E la bici è anche un grande strumento di libertà, sopratutto in una città congestionata come Milano che non ha però tutti i lati negativi delle megalopoli quali Los Angeles o dei numerosi sottopassi e strade a scorrimento veloce di altri centri urbani.
Parlando di biciclette a Milano, non possiamo non citare Rossignoli – storica famiglia di origini pavesi ma trapiantata milanese da generazioni e che dal 1900 si prende cura della storia della città a pedali. Come dimostra la costante fila di clienti in attesa dentro e fuori il negozio, Rossignoli è la testimonianza dei mille volti del ciclismo, della sua anima più urbana che coinvolge gli strati più diversi della popolazione.
Con tenacia e passione hanno vissuto sulle proprie ruote una storia molto lunga, dalle difficoltà della seconda guerra mondiale al boom economico degli anni ’50, fino alla Milano-da-bere degli anni ’80, quando si preferivano auto e motorini alla bicicletta, arrivando fino ai giorni nostri. Abbiamo aspettato a lungo questa sperata rivoluzione che sta cambiando la testa ai cittadini: andare in bicicletta è diventata una scelta intelligente, sostenibile e persino elegante, ma non è sempre stato così.
Ne sanno qualcosa i nostri nonni, quando fare il ciclista, quello professionista che si allenava per correre in bicicletta, era roba da privilegiati, di quelli che potevano provare ad inseguire la gloria in sella: tutti gli altri comuni mortali impiegavano la bici per semplici spostamenti di lavoro o quotidiane necessità.
Chi poteva pedalare per puro piacere era fortunato.
In occasione del Salone del Mobile, nel cortile interno del negozio-officina, viene ogni anno ospitata la mostra Biciclette Ritrovate a testimonianza dei mille lavori che in passato utilizzavano la bicicletta. Se siete interessati al suo risvolto più contemporaneo vi suggerisco un’interessante ricerca sulla relazione fra uomo e bici. E’ disponibile online un pdf con la raccolta di immagini della mostra Urban Cycles di Franco Chimenti, fotografo che aveva esposto il suo lavoro in occasione del Fuorisalone. Accanto alle biciclette d’epoca, venivano raccontati i protagonisti della Milano che pedala, attraverso delle coppie di immagini che accostavano ritratti e dettagli, rivelando l’anima e gli outfit più diversi di chi ha scelto le due ruote come mezzo di spostamento e perché no, come stile di vita.
cit. dal catalogo della mostra:
Franco Chimenti, colma una lacuna e ci mostra una nuova varietà in rapida espansione demografica, il ciclista urbano, appartenente sì al genere ‘Homo’ ma alla nuova specie dell’Homo sapiens cyclisticus che rappresenta una sicura evoluzione del semplice ‘sapiens’. Questi suoi scatti vogliono essere classificatori e rivelatori e tendono a sistematizzare il mondo attorno a sé e a dare un senso logico al caos: ogni ciclista è con la propria bicicletta, in un punto urbano a lui congeniale, una figurina di un album impossibile da completare. Ma non è un album formato da figurine di un’identica specie: ciò che differenzia ciascuno dei soggetti ritratti e, per certi aspetti, lo rivela scientificamente, è il particolare. Con quel particolare Franco ‘firma’ il ritratto e ci mostra lo straordinario principio che è alla base della specie: siamo così terribilmente uguali,
siamo così magnificamente diversi.
Oltre alle più classiche attività di riparazione e vendita di biciclette, Rossignoli ha da qualche anno iniziato anche a noleggiare biciclette per turisti o visitatori che decidono di visitare la città in sella evitando mezzi pubblici, taxi, car sharing esplorando a ritmo più lento e a misura d’uomo la classica frenesia milanese.
La famiglia ha anche rilevato e ristrutturato completamente uno storico negozio di biciclette presente in zona Solari con lo scopo di ampliare la loro missione ciclabile, lasciando inalterato arredamenti e spirito del locale, in nome del rispetto per la famiglia Zanazzi, famosa discendenza di ciclisti.
Giovanna Rossignoli, responsabile del settore ciclo del marchio milanese, intende conservare lo spirito e gli spiriti della bicicletta, in tutte le declinazioni, che aleggiano nella bottega con officina, piccola per spazio ma grande per valenza, come sanno molti appassionati che ritrovano così un luogo del cuore ciclistico.
Di chi ha finalmente capito che Milano è una città pianeggiante che sorge in pianura e che muoversi in bicicletta dovrebbe essere la soluzione più intelligente.
La famiglia Rossignoli prova a spiegarlo ai suoi concittadini più o meno dal 1900, affrontando periodi in cui la bici non andava molto di moda.
Evidentemente la famiglia Rossignoli sa bene che non si può pedalare verso il futuro se non si sistemano i conti con il passato – non producendo e vendendo solo biciclette da città e da corsa, ma restando sempre al passo con le nuove necessità di un mercato in espansione con accessori, cestini, caschi, lucchetti performanti e abbigliamento da pioggia – insomma tutto ciò di cui potreste avere bisogno per affrontare al meglio ogni singolo giorno in sella.
Rossignoli, oltre ai suoi mezzi storici, propone anche altri marchi che vengono montati e assemblati all’interno di un’officina specializzata che, in momenti di necessità, si ingrandisce con meccanici a chiamata – come l’amico Gabriele Di Lorenzo della Ciclofficina Balenga – che arriva in soccorso per dare una mano a tutti quei ciclisti in cerca di assistenza.
Perché si sa, affinché le bici durino, bisogna amarle e prendersene cura anche se per riparazioni e assistenza, ultimamente sarà necessaria più pazienza del solito, dal momento che, data la location situata lungo una delle principali arterie a traffico limitato, quale Corso Garibaldi, la lista di attesa, soprattutto in tempi di Coronavirus, è più lunga che mai. Invece di demordere, possiamo prendere questo come un indicatore del rinnovato e riscoperto amore per le due ruote.
Da veri milanesi imprenditori, alla famiglia Rossignoli piace anche collaborare con le aziende realizzando bici ad hoc, noleggiarle per film, spot e servizi fotografici, sfilate e arredamento di interni ribadendo la loro presenza in contesti urbani e modaioli. Come sostengono gli stessi Rossignoli: “Noleggiamo anche agli stessi milanesi per scoprire la loro città. Perché la nostra storia nasce e cresce a Milano, città dalle mille meraviglie nascoste.”
Ognuno di voi avrà poi il suo ciclista di fiducia, il suo negozio sotto casa in cui portare la bici in caso di necessità, per acquistare alcuni accessori o semplicemente curiosare le ultime tendenze. Quale che sia la vostra scelta, la mia voleva essere solo una piccola analisi di tutto quel mondo che si cela dietro le vetrine dei numerosi negozi di bici a Milano, e spero un po’ ovunque nel mondo.
Mi piace ricordare mio nonno che, indipendentemente da ciò che avesse da fare, passava una, due o tre ore al giorno a chiacchierare con amici e conoscenti presso il suo “amico ciclista” che magari inizialmente amico non era, ma lo diventò abbastanza rapidamente. E quando crei legami così, genuini e veri, non puoi più farne a meno.
La bici unisce e crea relazioni. Su questo non possiamo essere più sicuri.
Vi elenco qui alcuni dei principali ciclisti che conosco personalmente e che mi sento di consigliarvi in caso foste in zona. Ognuno di loro ha la sua anima e il suo perché, magari entrate anche solo per salutare o vedere come “pimpare” la vostra bici o progettare l’acquisto di una nuova: perché si sa, il numero corretto di bici è quella che avete più una.
Lo dice anche la matematica:
NUMERO CORRETTO DI BICI = QUELLE CHE AVETE+1
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Velociclista
Dove: via Conchetta 17 – 20146 Milano
tel +39 3470314802
orari lun 14-19.30 + mar-ven 8.30-12/15-19.30 + sab 8.30-12
email info@velociclista.it
La bicicletteria
Dove: via Ascanio Sforza 87 – 20141 Milano
tel. 02 8461286
email: info@labicicletteria.it
IAMO bici
Dove: Via Giovanni Antonio Amadeo 39 – 20133 Milano
tel. +39 3334776318
orari: mar-ven 9.30-12/15-19.30 + sab 9.30-12.30/14.30-18
email: iamobici@gmail.com
La ciclistica
Dove: Via Pellizza Da Volpedo 12 – 20149 Milano
tel. +39 02 36550328
orari: lun 15.00-19.00 + mar-sab 10.00-13.30 /14.30-19.00
email officina@laciclisticamilano.it
Foto in evidenza: la stazione della bicicletta
Milano e bici critica: massa marmocchi e critical mass
Ogni giovedì sera un gruppo di milanesi noncuranti di meteo avverso e temperature basse si raduna alla Loggia dei Mercanti, a due passi da Piazza del Duomo, pronto a invadere le strade di Milano in sella alle loro bici.
Vedrete ogni tipo di ciclisti e mezzi a due ruote: studenti, casalinghe, giovani manager, compiti uomini d’affari, anziane signore in city-bike, grazielle, pieghevoli, cargo, all bikes, telai vintage, mountain-bike, biciclette da pista a scatto fisso o leggere bici da corsa.
Se passate per caso in zona verso le 22 vi sembrerà di essere in un quartiere di San Francisco, città natale di questo fenomeno spontaneo che, nel 1992, iniziò a riunire regolarmente svariati ciclisti con il semplice ma significativo scopo di pedalare in gruppo nelle strade affermando l’idea che incentivando l’uso della bicicletta la mobilità urbana sarebbe diventata migliore e più sostenibile.
Dal 2002, e con un numero crescente di ciclisti, si ricreano per le strade di Milano quegli stessi ingorghi di automobili che vediamo ogni giorno nel traffico, ma composti da biciclette, quasi facendoci vivere un mondo capovolto. È questo che la “massa critica” vuole affermare: il diritto di circolare in sicurezza assieme alle automobili, godendo della loro stessa considerazione, dello stesso rispetto, degli stessi diritti, quindi anche quello di bloccare la circolazione semplicemente muovendosi in tanti, tutti insieme.
La Critical Mass è una di quelle esperienze uniche nel suo genere, che non puoi non vedere se vieni o vivi a Milano e cerchi qualcosa di autentico.
Ci si diverte a cercare le radici di questo gruppo che a Milano è nato diciotto anni fa assieme alla Ciclofficina Popolare nel centro sociale Bulk, un enorme spazio occupato situato poco lontano dall’attuale Chinatown, vicino al Cimitero Monumentale, luogo attivo per eventi e sede di concerti, ciclofficine, proiezioni cinematografiche, ma demolito definitivamente nel 2013.
Nonostante possa suonare come un movimento sovversivo, fuorilegge e disorganizzato, la critical mass ha le sue basi e fondamenti in un uso condiviso dello spazio urbano nel rispetto di tutti i veicoli della strada. La Critical Mass non é una manifestazione organizzata, ma viene alimentata dal disagio dei ciclisti in strade dominate dalle auto.
Negli anni ci si è battuti in sempre più località per questo cambiamento a pedali, rispettoso dell’ambiente, di un nuovo modo, più sano, sostenibile e a misura d’uomo nel vivere e godere delle bellezze della città. Ce ne siamo accorti tutti con Expo 2015 e ce ne accorgiamo ogni giorno passeggiando per le vie di Milano.
Secondo Luca Boniardi la Critical Mass non è un progetto, è una “situazione”, un momento di incontro per vivere la città in maniera diversa e rimettere al centro dello spazio la bici (o altri mezzi di locomozione attiva, come pattini e monopattini) e ritrovarsi tra bella gente. «Penso che bisogna uscire dall’ambito ristretto dell’attivismo e accendere le luci sulla bici o in generale sulla mobilità attiva e sostenibile in qualsiasi modo. Ben vengano tutte quelle esperienze che di fatto rappresentano un presidio sul territorio come i bicycle café, le ciclofficine, le pedalate di gruppo e gli eventi a tema bici».
Luca ha conseguito un dottorato in Scienze Ambientali all’Università degli Studi di Milano e segue ora un progetto di ricerca del IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano sull’esposizione all’inquinamento atmosferico in città: la sua volontà è quella di migliorare Milano permettendo alle nuove generazioni di muoversi attivamente, in autonomia e liberamente.
Dall’incontro di persone simili spinte dalle stesse affinità di vedute sono nati tanti progetti: ciclofficine popolari, eventi di vario genere e tra questi anche la Massa Marmocchi e cioè un gruppo di persone che assieme si impegnavano ad accompagnare a scuola i bimbi in bicicletta la mattina.
La Massa Marmocchi ha in seno diverse anime, dal genitore, al volontario, ci spiega Luca. Lui, come volontario, punta a favorire la costituzione di gruppi di genitori che portino il tema della mobilità attiva (e autonoma) all’interno delle proprie scuole: i suoi sforzi in futuro andranno proprio in quella direzione, cercare il meccanismo per rendere virale e diffusa capillarmente questa esperienza.
C’è una sempre crescente porzione di cittadini che guardano la città in modo diverso, che utilizzano la bicicletta come altri mezzi attivi e/o sostenibili, tutto questo grazie soprattutto alla spinta delle nuove generazioni. Non si sta imponendo loro di cambiare abitudini, ma solo chiedendo loro di far spazio ad una generazione che sta già vivendo la città in modo diverso e vuole lasciare in eredità una Milano più a misura di tutti ai cittadini di domani.
La condizione di emergenza dovuta al Covid-19 ci sta dando una mano. Quando si sosteneva che le ciclabili potevano essere realizzate semplicemente con vernice e pennello, la risposta era negativa. Ora stiamo vedendo che non solo è possibile ma che, fatte così, vengono ben viste anche da cittadini prima scettici che hanno visto i loro affari crescere grazie ad una ciclabile davanti alla vetrina o dai genitori liberatisi dell’ansia del parcheggio abituati a portare i figli a scuola solo in macchina.
Per rendere Milano una città ciclabile come Amsterdam, Berlino o Copenhagen bisognerebbe partire da un progetto di narrazione continua sui pregi della mobilità attiva, continuando a rendere evidente la mobilità ciclistica con interventi diffusi e leggeri per favorire la ciclabilità Dalla segnaletica, alle corsie ciclabili, da un utilizzo capillare di strumenti come le “case avanzate” e il senso unico, eccetto bici e ai controviali e strade a prevalente percorrenza pedonale e ciclabile.
Potremmo migliorare le nostre città rendendo più evidenti i vantaggi indiscutibili dell’andare in bici, lottando nelle sedi opportune per interventi al passo con i tempi e impegnandoci per rendere le due ruote più popolari, nel senso di renderle un mezzo riconosciuto da tutte e tutti e non solo da chi ne ha già avuto l’esperienza. «Dagli amministratori – conclude Luca – devono arrivare però ancora scelte di vero contrasto all’utilizzo smodato dell’auto. Una buona fetta di potenziale ciclisti, non usa la bici per paura. Non saranno le ciclabili in sede a cambiare le cose, ma una riduzione netta del numero di veicoli a motore (Milano è tra le città con il più alto numero di macchine per abitante tra le grandi europee), una decisa riduzione della velocità in città, almeno nei quartieri e un più capillare presidio delle forze dell’ordine, purtroppo spesso poco sensibili sul tema».
FIAB (Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta), per esempio, è un’organizzazione riconosciuta dal Ministero dell’Ambiente con sede anche a Milano, quale associazione di protezione ambientale che ha come finalità principale la diffusione della bicicletta quale mezzo di trasporto ecologico, in un quadro di riqualificazione dell’ambiente urbano ed extraurbano. Riunendo oltre 160 associazioni autonome locali sparse in tutta Italia con lo scopo di promuovere l’uso della bicicletta sia come mezzo di trasporto quotidiano che per i viaggi in bici, FIAB spinge anche per un turismo rispettoso dell’ambiente, che faccia bene alla salute ce he sempre più sembra abbia preso piede in questa estate 2020 così anomala dal punto di vista della mobilità e ospitalità alberghiera.
Le associazioni aderenti alla FIAB si battono per ottenere interventi e provvedimenti a favore della circolazione sicura e confortevole della bicicletta, per migliorare la vivibilità urbana con piste ciclabili, moderazione del traffico, politiche di incentivazione, uso combinato bici+mezzi collettivi di trasporto, organizzando manifestazioni e presentando proposte e progetti. Quindi se non sapete da dove iniziare per avvicinarvi al mondo delle due ruote, rivolgervi al centro FIAB più vicino a voi potrebbe essere un buon inizio.
Sono ampiamente riprese le iniziative della Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta come per esempio l’invito a lasciare a casa l’auto, almeno per un giorno, e accompagnare i figli a scuola passeggiando o pedalando. L’iniziativa, che normalmente coincide con l’arrivo della primavera, dà simbolicamente il via al conto alla rovescia per l’atteso appuntamento di Bimbimbici 2020, una campagna nazionale ideata e promossa da FIAB volta ad incentivare la mobilità sostenibile e a diffondere l’uso della bicicletta tra i giovani e giovanissimi.
L’iniziativa intende perciò riaffermare il tema della sicurezza e della salute legata al movimento dei più piccoli attraverso gli spostamenti quotidiani, cosa che la Massa Marmocchi stava già portando avanti per le strade di Milano in maniera autonoma e autogestita.
L’idea è quella di sensibilizzare le famiglie verso un nuovo tipo di mobilità non solo possibile e auspicabile, ma anche divertente, come sostengono da anni i milanesi impegnati nella massa marmocchi, ritrovandosi per portare a scuola in bici i figli propri o degli altri. Si spera così facendo che la giornata organizzata in maniera ufficiale da FIAB e Bimbimbici diventi la quotidianità per tutte le famiglie che vorranno iniziare una nuova abitudine verso un modello di mobilità sostenibile che faccia bene a noi e alle nostre città.
Foto: Francesco Rachello / Tornanti.cc
Costruttori: Cinelli
Fondendo Design e Performance Cinelli ha dato il via, negli anni Ottanta, ad un nuovo modo di vivere la bicicletta con valori creativi, anticonformisti e controcorrente e sicuramente Milano ha influenzato il posizionamento dell’azienda in quest’ottica alternativa ed innovativa. L’azienda infatti non potrebbe essere così se non fosse milanese.
Avere fabbrica e polo creativo a pochi chilometri dal centro cittadino riesce a tenere Cinelli al passo con tutto ciò che accade e gravita nel capoluogo lombardo, ma non solo.
Il background di Antonio Colombo è estremamente legato e connesso al mondo dell’arte, della musica e del design italiano e internazionale.
Entrando negli uffici del team Cinelli si respira subito un’atmosfera cosmopolita in cui periferia, camion e capannoni diventano un ricordo lontano.
Quadri, oggetti artistici, cycling caps e poster coloratissimi accolgono il visitatore meglio che in una galleria d’arte. Dico meglio perché qui si respira la storia del ciclismo in ogni angolo e si vede quanto sia la passione a muovere ogni singola persona che vi lavora.
Usare l’espressione lavoro mi sembra quasi fuori luogo, ma probabilmente accecata dall’emozione del momento e delle immagini di Bruce Springsteen accanto a Bartali, Coppi, Keith Haring e della Bauhaus tutte assieme, non riesco bene a cogliere nei volti delle anime di Cinelli quell’aria sottotono tipica del mondo della produzione. Mi sembra che ci siano più che altro menti in fermento, vogliose di comunicare la loro passione e conoscenza del fare bici, di trasmetterlo offrendo qualcosa di sempre nuovo, bello e funzionale a tutti coloro che, come loro, non vedono l’ora di inforcare la propria bici e andare.
Che sia in giro per la città, su strade gravel, in velodromo o per una più giorni in montagna, la gamma di biciclette Cinelli ha tutto quello che avreste sempre sognato in una bici con il surplus di un design e di una ricerca grafica di qualità che non lascia nulla al caso.
Arte,cultura e design: in Cinelli e tutto è estremamente connesso, dai modelli, materiali e nomi delle biciclette come in riferimento alla musica, grande passione di Antonio Colombo.
La bici gravel Zydeco, con il suo utilizzo pensato per i terreni più accidentati, richiama infatti la musica saltellante dai ritmi veloci, e dominata dall’accordion diatonico e dal caratteristico strumento ritmico a sfregamento conosciuto col nome di rub-board o frottoir, in origine pensata per le sale da ballo.
Cinelli è stata la prima azienda a portare l’arte nel mondo della bicicletta. Negli anni si moltiplicano le collaborazioni sempre fertili con i più importanti designers e artisti da tutto il mondo: dalla Laser di Keith Haring, al logo Cinelli disegnato da Italo Lupi, fino alla Supercorsa in edizione limitata realizzata da Barry McGee, o agli accessori di Mike Giant e all’attuale Art Program, la bici d’artista è la più autentica ed esclusiva espressione del marchio Cinelli.
Il capitale umano in un simile progetto è fondamentale.
Oltre a regalare alla comunità ciclistica oggetti di un innegabile valore, Cinelli ha anche il pregio di aver dato il proprio contributo al tessuto della bicicletta, italiano e non, credendo in un ciclismo comunitario che coinvolgesse svariate fette di mercato soddisfacendo le richieste più diverse: dal pedalatore urbano, all’atleta di gare criterium, allo stradista domenicale incallito.
La missione di Cinelli parte dalla città di Milano per andare oltre, seguendo l’evoluzione dei modi di pedalare e dei diversi modi di fare ciclismo.
La gamma di bici Cinelli offre prodotti per ogni tipologia di utente: per chi voglia farsi un giro nel fine settimana, scalare iconiche salite, accompagnare i bambini a scuola, raggiungere il luogo di lavoro, studio, trasportare pacchi o semplicemente fare la spesa.
I valori comunitari della bici restano sempre alla base del linguaggio utilizzato dall’azienda per comunicare con un orecchio sempre all’ascolto delle esigenze di chi va e vive la bicicletta ogni giorno.
Milano è una città molto europea e questo sicuramente aiuta i suoi abitanti ad avere una visione internazionale per quello che riguarda le tendenze che la abitano e così è Cinelli: un business che ha nel DNA l’attitudine a intercettare e interpretare ciò che accade all’estero, pur restando fortemente milanese nell’anima, restituendo ai cittadini molto di ciò che carpisce fuori confini, come un hub – un catalizzatore di tendenze e connessioni – come farebbe un profeta di tendenze.
Antonio Colombo, ancora oggi Presidente di Cinelli, entra nell’azienda di famiglia negli Anni Settanta. L’azienda, A.L. Colombo, era dagli anni venti un colosso specializzato nella produzione di tubi speciali d’acciaio, utilizzati per la fabbricazione di biciclette, automobili, motociclette, aeroplani; leader, negli anni trenta, col marchio Columbus, nella produzione di mobili razionali in tubolare di acciaio, in collaborazione con l’eccellenza internazionale del design e dell’architettura: Breuer, Terragni, Bottoni, Figini e Pollini, tra gli altri.
Il marchio Columbus viene dedicato nel 1977 all’esclusiva produzione di tubi speciali in acciaio per biciclette e si conferma leader di settore fino all’avvento del carbonio. Con la successiva acquisizione del marchio Cinelli da Cino Cinelli (professionista negli anni trenta e quaranta e poi geniale inventore e artigiano che ha regalato al ciclismo moderno il primo manubrio in alluminio e il primo pedale a sgancio rapido, l’M71) si crea un vero e proprio polo milanese della bicicletta: tubi, biciclette e componenti, che prende il nome, che conserva tutt’oggi, di Gruppo.
La visionaria mente di Colombo vede oltre il presente e trasforma l’azienda facendo viaggiare le invenzioni del “design made in Cinelli”.
La bicicletta era cambiata e così il suo modo di concepirla.
Si inizia a parlare di progetto totale grazie alla nascita del modello Laser che abbandona le congiunzioni introducendo la saldatura tubo su tubo nei telai da strada.
Cinelli e il suo modo di fare ciclismo sono estremamente radicati nel tessuto urbano: design, arredamento, grandi nomi del design e lifestyle sono vivi nell’azienda.
Ogni anno ad aprile, durante il Salone del Mobile, i dipendenti vengono invitati a visitare il Fuorisalone, facendo incetta di stimoli e tendenze creative in voga nel mondo della creatività legata al disegno di interni ma non solo.
Entrando nella sezione Columbus dell’azienda si respira un inconfondibile odore di acciaio e si vedono macchinari in continua funzione accanto ad un piccolo ma incredibile “museo” del design che raccoglie una nicchia della produzione di mobili razionalisti, sedie e poltrone create a cavallo degli anni Trenta e Quaranta con i tubi Columbus.
Per raccontare le tante storie presenti in questa vicenda imprenditoriale unica, è stato organizzato il ciclo di mostre dedicate al centenario, dal titolo “Columbus Continuum”. Il ciclo ha raccolto in tre mostre cento anni di storia dell’azienda milanese: dai mobili in tubolare metallico ai telai delle biciclette raccontati attraverso le serie tubi più rappresentative e innovative nella storia del ciclismo, per arrivare a Traguardo Volante, la mostra inaugurata il 24 settembre e dedicata alla stretta relazione tra Columbus, Cinelli e l’arte.
Columbus oggi produce quello che in azienda piace denominare “artigianato industriale”: tubi speciali sia per piccoli telaisti sia per grandi marchi. A questa produzione ha affiancato negli ultimi vent’anni quella di forcelle in carbonio.
L’importante è essere sempre al passo con le tendenze vivendo Milano come una porta verso il mondo e non in maniera autoreferenziale: questo approccio può far fare il salto di qualità nel modo di fare azienda, ma anche ad ognuno di noi nel suo modo di approcciarsi alla città e al ciclismo.
Non possiamo lamentarci che le cose non sono come le vorremmo e non facciamo nulla per cambiarle, ma ci limitiamo a guardare nostalgicamente e in maniera delusa e disillusa, le altre città europee.
Senza suonare banali e propagandisti, dovremmo davvero cercare di essere il cambiamento che vogliamo vedere attorno a noi. L’essere esterofili, sia a livello umano che lavorativo, non deve venir visto come una denigrazione del nostro essere italiani e milanesi, ma un modo per cercare di capire il valore aggiunto di ciò che abbiamo e trasformarlo tenendoci sempre al passo con i tempi, dando il nostro contributo unico e peculiare alle dinamiche di trasformazione in atto.
Possiamo citare qui il grande esempio del Rampichino o della linea Hobootleg prodotti da Cinelli. Rampichino è stata la prima MTB italiana, forse europea. Ispirata alle MTB americane ma reinterpretata secondo lo spirito e il DNA di Cinelli e distribuita nella sua prima edizione attraverso la rivista Airone – si compilava un tagliando d’ordine inserito nella rivista e si acquistava solo così. Per non dire della più recente linea di biciclette da viaggio Hobootleg, riferita per vocazione e letteratura agli Hobo americani e al loro spirito libero e avventuroso.
Cinelli è sempre stata un’azienda attenta alle necessità non solo dei ciclisti, ma anche della sua città, come ricorda la presenza nella campagna per salvare il Velodromo Vigorelli, la collaborazione a diverse edizioni del Bicycle Film Festival, l’aver attratto a Milano le Red Hook Criterium, gare a circuito per biciclette da pista organizzate a seguito delle edizioni newyorkesi nate per l’appunto a Brooklyn sotto il grande gancio rosso di Red Hook, zona iconica della periferia urbana.
L’impegno dell’azienda è molto forte anche per quello che riguarda il sostegno al cicloturismo, a partire dai modelli della gamma Hobootleg per arrivare al sostegno al Politecnico di Milano nei progetti per la creazione di itinerari ciclabili come VENTO o alla valorizzazione di itinerari ciclistici nelle zone del Parco Agricolo Sud Milano, supportando l’associazione sportiva Turbolento.
Da più di 70 anni Cinelli è una garanzia nella produzione di telai e biciclette: nonostante abbiano visto cambiare il modo di andare in bici degli italiani e degli abitanti di una città in continua evoluzione come Milano, sono riusciti a capirne le richieste, anticipandole e offrendo prodotti in linea con la domanda.
Un esempio potrebbe essere il mondo del gravel che risuona come una commistione di stili e di macro comportamenti del ciclista, oppure la grande riscoperta dell’acciaio anche nei telai più moderni.
Non possiamo quindi che apprezzare il ruolo catalizzatore di Cinelli nel riversare a Milano stimoli e ispirazioni prese da fuori, anche se paradossalmente, parlando con i vari protagonisti dell’azienda, il suo nome è ancora molto più conosciuto all’estero che in Italia sottovalutando spesso l’aspetto tecnico e performante dei suoi prodotti abbagliati da colori, grafiche e accessori non convenzionali.
Si sa che preziosità, hand-made, ricercatezza, leggerezza, customizzazione sono valori che non sempre vengono capiti da chi si sofferma a guardare solo la superficie delle cose, ma basta prendere in mano un tubo Columbus e fare un paio di pedalate su una bicicletta Cinelli, per capire di cosa stiamo parlando.
Gli standard creativi sono alti e l’impegno è quello di continuare nel solco di questa tradizione, sviluppando sempre nuovi prodotti.
Foto: Valeria Rossini
Milano è anche bicycle café
Mi piacerebbe iniziare questo viaggio nella vita ciclistica milanese, partendo dalla sua componente più sociale, legata a eventi e comunicazione: i bicycle café.
Officine meccaniche, negozi, bistrot, bar e co-working, sbarcati da qualche anno anche a Milano, i bicycle café sono spazi in cui realtà e necessità differenti si uniscono in maniera giovane e dinamica: mangiare qualcosa, lavorare in modalità smart, scoprire nuovi giri in bici o guardare una tappa di una grande corsa.
Speciali vetrine su un mondo unico fatto di incontri, i bicycle café si distinguono per aggregazione e condivisione, in cui l’amore per il ciclismo non è che il legame e l’occasione per scoprire un mondo green, sostenibile e aperto a tutti.
Se sei nato a Milano o ci vivi per lavoro, studio e famiglia, sai che qui si va sempre di corsa. La bici ci aiuta a rallentare e vivere la città diversamente e migliora la qualità della vita, di tutti, ciclisti e non.
Anche se il Nord Europa ha sempre avuto una marcia in più per quello che riguarda lo sviluppo ed il sostegno della cultura delle biciclette, Milano ci sta arrivando e in questo periodo di cambiamenti, la capitale lombarda vuole farsi vedere e primeggiare anche per quello che riguarda la varietà di eventi offerti nel mondo delle due ruote e lo sviluppo di servizi come il bike sharing a flusso libero.
Nella capitale italiana del design, ogni cosa diventa di moda e perché le nuove tendenze possano piacere e venire apprezzate devono passare nella cerchia dello stile, condivisione e comunicazione. Ne sa qualcosa Barbara Bonori, responsabile della comunicazione di Upcycle e pilastro portante di tutti gli eventi del locale. «Dalla colazione, all’aperitivo e cena, vi accogliamo a braccia aperte: potrete rilassarvi o concentrarvi e lavorare, grazie ad un’ottima connessione wi-fi, su un lungo tavolo in legno da condividere con amici o sconosciuti che fra un croissant e una torta fatta in casa potranno diventare nuovi compagni di avventure a pedali. Da noi è stato possibile vedere riunite le varie dimensioni del fare bici, spesso separate e divise in compartimenti stagni, invece che essere parte di un sistema di vasi comunicanti, tutti uniti dalle due ruote».
E’ questo il grande contributo di Upcycle alla realtà ciclistica milanese, abolire le differenze: infatti qui la parola d’ordine è inclusività, condivisione non solo del grande tavolo, ma anche di tracce gps, racconti di viaggi, grandi salite o nuovi itinerari: scambi di opinioni e ricordi di vecchie uscite che confluiscono in nuovi progetti nati anche loro un po’ per caso, davanti ad una birra e patate al burro e aneto che sanno tanto di voglia di prendere la bici e viaggiare.
Upcycle vuole dare spazio a tutte le tipologie del fare bici – il fatto di non avere un’officina meccanica è da sempre un grande cruccio fra tutti i soci fondatori, ma forse il fatto di ospitare una semplice stazione di autoriparazione invece che un locale vero e proprio è un modo per non posizionarsi in nessuna nicchia ciclistica, continuando a rivendicare la natura aperta di integrazione dei diversi settori della bici: urbana, strada, gravel, mountain bike, turismo etc.
«Credo fosse il 2010 – racconta Roberto Peia, giornalista, ex corriere in bici e uno dei soci fondatori di Upcycle, il primo bicycle café milanese – e in quel periodo la sede operativa di UBM (la compagnia di corrieri in bici Urban Bike Messenger) era presso i locali di Avanzi, attuale gestore del Coworking e socio di Upcycle. L’avevo scelto come base perché era un bel posto con gente interessante e nel cortile c’era giusto lo spazio per le nostre bici e le prime cargo. Un giorno Matteo Bartolomeo, allora amministratore delegato di Avanzi, mi chiese cosa ne pensassi in merito alla possibilità di aprire un bicycle café… Bell’idea! In Italia non ne esiste ancora uno – sapevo di Look Mum No Hands di Londra, del Keirin Café di Berlino e di molti altri negli USA, tutti molto frequentati anche dai bike messengers».
Matteo portò Roberto nell’hangar, che ora è il luogo dove si tengono gli eventi, che allora era un garage d’auto sporco e puzzolente e gli illustrò il progetto di ingrandimento del coworking e di come utilizzarne una parte per farne un bicycle café. Il loro scopo era quello di far capire le potenzialità ciclabili di Milano: i vari organi direttivi avevano in passato puntato più sulle auto e sui trasporti pubblici, che sulla bicicletta.
«I milanesi – ricorda Roberto – che sono stati per anni bombardati da pubblicità di auto, potenza e velocità si sono adeguati e, senza quasi accorgersene, hanno lasciato che la loro città diventasse un gran parcheggio inquinato e pericoloso. Come cittadini, abbiamo poi sofferto della mancanza o della poca preparazione di progettisti non ascoltando invece quei ciclisti, organizzati e non, che da tempo dimostravano nei fatti che Milano era una città ciclabile, forse anche più di Berlino o Copenhagen, per quanto riguarda meteo, distanze, dislivelli».
Upcycling, il termine che dà origine al nome del locale, significa aumentare il senso delle cose riciclate conferendo loro un nuovo significato ambientale e sociale – un recycling che ridia vita alla materia, dando quel valore aggiunto alla società nella sua totalità capace di mettere al centro la persona e i suoi bisogni.
La bicicletta è da sempre sinonimo di unione e condivisione e uno dei punti di forza di Upcycle è la ricca lista di eventi a cui è possibile partecipare.
Ascoltando i racconti emozionati di chi ha cambiato la propria vita grazie alla bicicletta, molti clienti di Upcycle si sono avvicinati alle due ruote e hanno scelto questo bicycle café come partenza simbolica per il loro primo viaggio di cicloturismo. Ogni mese inoltre, viene presentata una bici ed esposta nel locale, magari di un telaista famoso, di un ciclista d’eccezione o magari “semplici” biciclette ricche di storia che hanno viaggiato e raggiunto luoghi mitici.
E’ bello vedere come persone spesso divise dai diversi modi di fare bici, si ritrovino qui unite e senza differenze disposte a veder crollare i dogmi nel loro modo concepire il ciclismo. L’importante è andare in bici, il come verrà di conseguenza.
Dobbiamo ricordarci però di non sottovalutare il ruolo fondamentale della sicurezza stradale partendo dall’educazione degli automobilisti al rispetto delle bici e allo stesso tempo educare i ciclisti al rispetto delle regole della strada, perché si sa, fra una bici e un’auto, indipendentemente dalle ragioni, le due ruote sono il veicolo più debole. Non possiamo nascondere che a Milano, come in molte altre città, gli incidenti più o meno gravi che coinvolgono ciclisti sono ancora troppo frequenti: le ragioni possono essere le più svariate, ma il nostro obiettivo deve essere quello di ridurli il più possibile.
Il progetto di Milano è così importante perché traccia una linea su come resettare le città. È un’opportunità irripetibile per guardare le strade e assicurarsi che siano impostate per raggiungere i risultati che vogliamo ottenere: non sol per muoversi in auto il più velocemente possibile, ma permettendo a tutti di spostarsi in sicurezza.
Pierfrancesco Maran ha dichiarato: «Dobbiamo accettare che per mesi o forse un anno ci sarà una nuova normalità e dobbiamo creare buone condizioni per vivere questa nuova normalità per tutti. Nel prossimo periodo a Milano decideremo parte del nostro futuro per il prossimo decennio: prima stavamo pianificando per il 2030 ora la nuova fase, la chiamiamo 2020. Invece di pensare al futuro, dobbiamo pensare al presente».
Un presente futuro, ecco cosa stiamo vivendo.
Abbiamo invece piacevolmente notato come la bici sia in grado di appianare le differenze di genere e migliorare la qualità della vita di tutti, uomini e donne: una volta superate le prime paure nell’approcciarsi alla bicicletta, aumenterà anche la sicurezza in voi stessi. Per quello che riguarda i numeri delle donne cicliste, ho conosciuto sempre più ragazze che si sono cimentate in imprese più o meno epiche, integrandosi perfettamente nella community ciclistica che in questi anni si è creata a Milano.
Ho chiesto a Roberto cosa ne pensasse della reazione dei milanesi ad un progetto di più ampio respiro di ciclabilità urbana, non limitato al periodo post-covid, ma iniziato tempo prima con i vari progetti di piste ciclabili ed eventi a tema bici – vedi Milano Bike City e prima ancora il Bicycle Film Festival. «Credo che i milanesi siano da tempo pronti ad una nuova situazione e che non aspettassero altro che accadesse qualcosa che inducesse gli amministratori a darsi una mossa. E paradossalmente questo è successo con il Covid-19. La reazione è stata positiva e lo dimostrano le cifre dei passaggi di ciclisti sulle nuove ciclabili progettate dal Comune. Un altro esempio di come i milanesi hanno risposto positivamente e riposto fiducia nella bici lo ha fornito Massa Marmocchi, l’esperimento, ottimamente riuscito, di papà e soprattutto mamme che hanno cominciato a portare i loro figli a scuola in bicicletta, all’inizio con l’aiuto di qualche partecipante a Critical Mass a far da servizio d’ordine. Sono soprattutto le azioni e i comportamenti, i buoni esempi che generano mutamenti sociali. E, anche se forse solo nel subconscio, per i milanesi vedere i corrieri in bici che durante il lockdown venivano a portar loro cibo e quant’altro nelle loro comode case, potrebbe aver fatto scattare un pensiero del tipo: “Ma se ce la fanno loro a muoversi con queste bici scassate, con ‘sto freddo e senza la giacca in goretex… non è che magari posso farcela anch’io?»
Possiamo quindi ritenerci speranzosi verso il futuro a pedali della città.
Il racconto di una ripresa e rimessa in vita delle bici a prescindere da modi e credo è la sintesi della storia di un altro locale, uno spazio a tema due ruote in cui la trasformazione è il motto principale.
REcicli, sta per Cicli Realmente Usati e nasce dall’idea di due giovani fratelli milanesi Jacopo e Valerio Borgato e del loro padrino Cesare, che nel 2010 decidono di trasformare la propria cantina in una piccola officina ciclistica recuperando vecchie bici abbandonate nei cortili e riportandole in vita. Dalla cantina di famiglia si allargano in un negozietto dietro il Parco Sempione e da lì, nel giugno 2016, decidono di fare il grande salto e aprire una nuova e ben fornita officina-negozio con un accogliente angolo bar e tavola fredda in un tranquillo angolo a due passi dalla movida milanese dei Navigli.
Il mondo del ciclismo e della bici sta notevolmente crescendo, come sottolinea Valerio ricordando la sua gioventù:. «Quindici anni fa molti ragazzini volevano il motorino, oggi chiedono ai genitori una bici» e questo non fa che renderci tutti più felici e attenti a tematiche quali ambiente ed ecosostenibilità con statistiche visibili legate all’aumento di bici legate alla presenza di aree a traffico limitato.
I tavoli e l’arredamento interno del locale sono fatti a mano dalla famiglia con cimeli e pezzi di modernariato recuperati negli anni, come una serie di fantastiche sedie pieghevoli da cinema che conferiscono allo spazio quell’atmosfera della Milano di una volta che tanto si intona con la cornice del vicino Vicolo delle Lavandaie o della Darsena.
Qui da REcicli oltre che costruire e riparare biciclette si costruiscono relazioni. «Da noi – sottolinea la mamma, Anna, entusiasta – è importante parlare, creare un legame con il pubblico che renda REcicli un bicycle café aperto a tutti» perché si sa, la bicicletta ci porta lontano, ma al tempo stesso avvicina le persone.
Fatica e sforzi propri del ciclismo mettono ancora una volta sullo stesso livello sia grandi campioni che semplici appassionati.
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Forse ad alcuni di voi sembrerà strano veder nominato Deus Ex Machina, leader mondiale nella customizzazione di motocicli, all’interno della lista dei bicycle café milanesi, ma l’apertura di uno spazio completamente dedicato alle biciclette all’interno del già noto cortile occupato dal Deus Café e Store, ne giustifica pienamente la presenza.
Nel 2016 ha aperto i battenti in zona Isola lo spazio Deus Cycleworks, la sezione del marchio australiano Deus Ex Machina interamente dedicata alle biciclette, diventandone il dipartimento ciclistico ufficiale.
La location di Deus Cycleworks, in un interno in stile vech Milàn, è il luogo perfetto per immergersi a trecentosessanta gradi nel mondo delle moto e delle biciclette progettate su misura.
Progettate la vostra prossima bicicletta curandone la creazione nei minimi dettagli con gli esperti meccanici di Deus Cycleworks, mentre bevete un ottimo cocktail preparato secondo la migliore tradizione australiana.
Contatti:
Via Thaon di Revel 3, Milano
Deus ex Machina
Facebook: @deuscycleworks
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Una cascina di campagna nel cuore di Milano. Un luogo unico e incredibile in cui il tempo sembra essersi fermato seppur in costante evoluzione e fermento. Cascina Cuccagna è un ristorante, un ostello, uno spazio espositivo, uno spaccio alimentare a km zero e una ciclofficina.
La ciclofficina presente nel cortile interno della Cascina Cuccagna è una delle meglio organizzate e frequentate della città di Milano. Durante i lavori di restaurazione di Cascina Cuccagna il progetto ha accolto fin da subito l’idea di inserire uno spazio dedicato alla diffusione esperienze del mondo della bicicletta, mezzo di trasporto simbolo di una Milano passata e sempre più icona delle città del futuro.
La ciclofficina Cuccagna è uno spazio di valorizzazione pratica della bicicletta che incoraggia la mobilità creativa attraverso l’apprendimento condiviso alla manutenzione della bici il tutto mentre imparate a coltivare un orto urbano o leggete un libro durante una pausa pranzo all’aperto in un ristorante biologico con prodotti provenienti dalle campagne circostanti.
Le attività organizzate dalla ciclofficina della Cascina Cuccagna sono molteplici e il sabato chiunque può usufruire liberamente dell’attrezzatura presente e, con la guida dei ciclo-meccanici, provare a riparare la propria bicicletta. Siete pronti a sporcarvi le mani? Soddisfazioni e risparmio garantiti!
Contatti:
Via Cuccagna 2/4, Milano
Ciclofficina Cuccagna
Facebook: @cascinacuccagna
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Le Biciclette vi sorprenderà: un American bar e bistrot con bici d’artista appese sulle pareti assieme a quadri e opere d’arte.
Chi frequenta la “Milano da bere” sarà sicuramente stato a Le Biciclette almeno una volta, magari invitato dagli amici a prendere un aperitivo durante un vernissage di una mostra di nuovi talenti artistici emergenti. Nel corso dei suoi oramai quindici anni di vita, Le Biciclette è diventato il punto di riferimento per una Milano intelligente e ricettiva verso tutto ciò che spazia dall’arte contemporanea, al design, alla ristorazione , alla musica di qualità e all’amore per le due ruote.
Un locale dal clima sempre informale, che vi colpirà per l’eleganza dei suoi ampi spazi con un ampio bancone da bar che durante l’aperitivo fa spazio a un buffet vario e di qualità, non a caso sempre frequentatissimo. Dal martedì alla domenica sera soddisfate la vostra voglia di carboidrati con una buona pizza nei weekend lasciatevi ingolosire da un menù in continuo cambiamento. Con l’arrivo della bella stagione, prendete posto fuori e vi sentirete subito in vacanza.
Se volete fare il pieno di energie prima di una pedalata sui vicini Navigli, vi consigliamo il ricco brunch domenicale: una vera chicca!
Contatti:
Via Torti 2, Milano
Le Biciclette
FB: @lebicicletteartbarbistrot
Jetlag ride
Quando a fine agosto 2016 Elisa Scalambra e Andrea Schillirò al rientro a Milano dopo il mondiale di triathlon al quale Elisa (mamma, triatleta amatore e sportiva a tutto tondo) aveva partecipato in Australia, non si erano ancora abituati al cambio di fuso orario. Occhi sbarrati nel mezzo della notte, l’alba era per loro già mattina inoltrata. Svegliandosi ogni giorno prestissimo, nel pieno della forma, Andrea ed Elisa non riuscendo a stare fermi, si erano guardati in faccia e si erano detti: «E adesso cosa facciamo? Andiamo a pedalare!». E così hanno fatto un giro “a tutta” sul Naviglio, trascorrendo un paio d’ore in totale pace, prima del risveglio della città e dell’inizio delle varie attività lavorative, sfruttando quella parte della giornata per allenarsi. Qualche giorno dopo motivati dalla prima prova, hanno ripetuto l’uscita con alcuni amici e vedendo che la cosa riscuoteva successo, decisero di far diventare il Jetlag Ride in un appuntamento fisso, tutte le settimane stesso posto, stessa ora stesso percorso.
Il Jetlag sarebbe durato fino a che la luce e il passaggio all’ora solare lo avrebbero permesso e verso fine stagione si partiva con le luci accese: sveglia presto, prestissimo e due ore tirate, con l’obiettivo di spingere sui pedali senza pensare ad altro. «Era una figata!» ricorda Elisa entusiasta. Ripreso poi ad aprile e durato per tutta l’estate, il Jetlag Ride era un momento in cui ci si divertiva e si stava assieme fra amici, con la sola voglia di pedalare.
Nonostante sia molto legato ai protagonisti del triathlon milanese, il Jetlag Ride nasce in maniera più spartana rispetto alle tabelle di allenamento del mondo delle gare e legato a quel mondo del ciclismo a cui Elisa si era particolarmente affezionata. L’appuntamento era fisso alle 5.45 davanti alla chiesetta di San Cristoforo, «Chi c’è c’è e chi non c’è…amen! Magari ci ribeccava dopo». Si andava in gruppo sulla base di una traccia creata da Elisa e Andrea che si sviluppava principalmente lungo i Navigli con alcune deviazioni in stradine laterali per quando si aveva poco tempo. La traccia era rigorosamente sempre la stessa, tranne una variante “short edition” per quando la luce scarseggiava nei mesi autunnali inoltrati e una deviazione soprannominata “giro dei rilanci” – variante ricca di curve a gomito che obbligavano a rilanciare continuamente sui pedali pur di stare in gruppo e non perdersi.
Il mondo del triathlon è un po’ più organizzato – ma lo spirito del triatleta é diverso, si fanno più allenamenti con i compagni di squadra e si crea meno un substrato comunitario: «Il nostro scopo, dice Elisa, era più quello di coinvolgere le persone e pedalare assieme, creare una community, un gruppo di persone che volevano uscire in bici assieme. Pur praticando triathlon, anche se in maniera un po’ anomala, infatti durante la prima parte dell’anno fino ad aprile dedicavo più tempo al ciclismo che non alle restanti discipline. Ed era qualcosa che ci divertiva di più perché potevamo gareggiare insieme in bici».
Era reduce dell’esperienza in Australia dove «Anche se eri appena atterrato e non conoscevi nessuno riuscivi, facendo una semplice ricerca online e sui social media, a contattare i numerosi gruppi che si ritrovavano la mattina o dopo il lavoro, con la voglia di allenarsi e di condividere la passione per lo sport».
Questo era quello che a Milano mancava, un gruppo di amici o conoscenti con la stessa passione per lo sport che avevano voglia di fare cose assieme, ma soprattutto dove rintracciarle.
Lo scopo del Jetlag Ride era proprio sopperire a quel silenzio, a quella mancanza di comunicazione di qualcuno che dicesse, «Ehi noi ci siamo, tre volte la settimana pedaliamo qui, se vi va unitevi!» Se qualcuno da zero voleva pedalare e fare qualcosa assieme ad altri, il Jetlag era un buon momento per trovare un gruppo.
Il mondo del triathlon della domenica mattina alla Villa Reale di Monza é un po’ diverso, dato che le persone vogliono più che altro uscire e portare a casa il loro allenamento quotidiano e poi rientrare a casa o alle loro vite – meno legato al concetto di community come era invece lo spirito del Jetlag Ride.
Il triatleta vuole rispettare la tabella di allenamento con i propri compagni di sempre, quando uscivi per il Jetlag invece, facevi due chiacchiere, magari poi rischiavi di simulare una garetta con tanto di volata finale con persone sempre nuove che si aggregavano mano a mano.
«In Italia la concezione di triatlon organizzata su gruppi Facebook o Strava come è presente all’estero, non esisteva, se qualcuno da zero si fosse voluto allenare oppure uscire in bici o correre o nuotare con dei gruppi di sportivi non esisteva, quindi lo scopo del Jetlag Ride era anche quello, la creazione di una comunità ciclistica che vivesse altrove. C’erano anche ciclisti più lenti che non riuscivano a stare assieme e seguire il gruppo per tutta la durata del giro, ma la parte più tranquilla veniva fatta assieme e poi ci si separava in due e si continuava – poi magari ci si ribeccava alla fine e si viveva la bellezza di quello stare insieme, ritrovarsi e pedalare».
Lo scopo del Jetlag Ride è nobile e altamente comunitario, ma non dimentica la forte componente sportiva e di allenamento. Elisa e Andrea hanno avuto un bimbo nel 2018 e quindi, in quanto anima del tutto, non sono più riusciti a stare dietro pienamente alla gestione dell’evento e la cosa è andata un po’ scemando.
Elisa ricorda quelle uscite in maniera incredibilmente piacevole e speriamo tutti che il Jetlag Ride riprenda a breve o se volete crearne uno voi, sicuramente troverete un gruppo di volenterosi pronta a seguirvi!
Intanto vi alleghiamo qui la traccia della versione ufficiale – Spring Edition – se volete iniziare a scaldarvi le gambe e studiarvi il tracciato!
https://www.strava.com/activities/1465300724
Foto: Jetlag Ride/Facebook
Protagonisti: intervista a Fridabike
Per parlare di Cargo Bikes abbiamo intervistato Antonella che ci spiega il suo progetto: Fridabike.
Qual è la tua storia?
Ho da sempre sognato di vedere le nostre belle città italiane più vivibili e libere dal traffico motorizzato. Ho capito che il ciclo attivismo non bastava e che qualsiasi altra idea avessi risultasse troppo poco impattante; così ho scelto una strada più rischiosa, ma più poetica: ho deciso, in tempi non sospetti, di aprire un negozio di Cargo Bike.
Quale la tua professione prima di aprire Fridabike?
Ero modella. Ho iniziato questa professione all’età di quindici anni con l’intento di cambiare vita dopo essermi laureata, ma questo lavoro si è protratto oltre ed ho iniziato a sentire l’esigenza di creare qualcosa di mio. Così nel 2015 ho fatto il salto di qualità, da modella a meccanico.
Secondo te com’è cambiato il modo di vedere il ciclismo e di praticarlo da parte dell’utente medio nato e cresciuto in città?
La gente è sempre andata in bicicletta a Milano, nonostante Milano. Ma dieci, quindici anni fa era una scelta coraggiosa, l’aria era irrespirabile, non c’erano percorsi ciclabili e nessuno parlava di politiche ambientali, praticamente non esistevano. Oggi la città è migliorata e non vanno in bicicletta solo i temerari, ormai ci vanno quasi tutti i residenti, come fosse la cosa più naturale del mondo. La sensazione di sicurezza è una percezione errata, c’è ancora moltissimo da fare per l’incolumità dei ciclisti. Siamo solo all’inizio.
In che modo Fridabike si impegna nella creazione di una community – motore pulsante dell’attività ciclistica come collante sociale e motore di autostima e aggregazione per numerose persone, spesso timide o sole o che non sanno bene come iniziare ad approcciarsi al mondo delle due ruote?
Anche se ho un negozio non mi sento una venditrice, quello che propongo è una storia possibile, una storia di come potrebbe migliorare la qualità della vita compiendo delle scelte responsabili. i miei clienti sono i testimonial di questa piccola rivoluzione che sta attraversando questa città.
Per diffondere il verbo abbiamo organizzato dei Cargo Raduni perché qualche anno fa ad avere una Cargo Bike ci si sentiva soli. Sono serviti a creare aggregazione tra i ciclisti di queste biciclette particolari.
Qual è stata la reazione dei milanesi ad un progetto di più ampio di ciclabilità urbana?
I ciclisti lo stavano aspettando come i bambini aspettano il Natale e sembra che a settembre potremo goderci la prima parte di un piano ciclabile promesso da tanti anni e mai realizzata prima del Covid. Il bonus bici servirà ed è servito ad aumentare il numero dei ciclisti nelle grandi città, i neo-ciclisti vanno incoraggiati. E non dimentichiamoci il problema dei furti, ogni bicicletta rubata è un probabile ciclista perso che utilizzerà altri tipi di mobilità, magari impattanti sull’ambiente.
Pensi che Milano abbia le carte per mettersi in gioco in un progetto più ampio e ambizioso di mobilità ciclistica a tutto tondo?
Mi aspettavo molto da Milano, negli ultimi anni è migliorata in quasi tutti i campi, e stavo aspettando il momento in cui qualcuno iniziasse ad occuparsi del grave problema della mobilità, si sta facendo tutto ora, da pochi mesi, ma per fortuna molto velocemente. Milano ha tutte le carte in regola per permettersi un piano di mobilità ciclistica ambizioso, penso che l’amministrazione degli anni passati abbia sottovalutato i milanesi, che mi sembrano molto pronti al cambiamento. Una città che negli ultimi anni è stata meta turistica di successo non può più permettersi di morire di traffico, tutte le altre città europee si stanno liberando di questo problema.
In che modo Fridabike – e la bicicletta in senso più ampio – potranno aiutare e coinvolgere i più diversi strati sociali modificando completamente il modo di vivere le città?
Semplicemente dando l’esempio. Ogni bicicletta cargo venduta viene vista e fa venire la voglia a qualcuno di comprarla a sua volta. Vedere una bicicletta che gira per la città è pura bellezza e vedere una Cargo Bike, magari con dei passeggeri dentro, lo è ancora di più. Ogni bicicletta venduta rende un po’ più gradevole questa città.
Milano è una città relativamente piccola, geograficamente, se paragonata ad alcune grandi capitali europee, senza salite e con un crescente numero di ciclabili: cosa le manca per fare quel salto che la porti a competere con Amsterdam, Copenhagen o Berlino?
Se lo smog avesse un colore tutti smetteremmo di inquinare, ma non ce l’ha e la gente da sola, senza guida, non è in grado di prendere decisioni drastiche.
Nelle città citate è chiaro che ci sia una volontà mediatica e politica di base: se una cosa fa male alla salute contrastiamola è attuiamo un cambiamento. In Italia i media e i politici tendono a non imbattersi in una battaglie impopolari come quella ambientale, che richiederebbe qualche sacrificio da parte dei cittadini. l cambiamenti che stanno avvenendo in Italia sono derivati esclusivamente dalla recente problematica Covid, sarebbero arrivati comunque, ma molto più lentamente. Non mi piace dire che sia un problema culturale, perché anche in Olanda la bicicletta non era nella cultura, ma la cultura si può cambiare se nasce un’esigenza nuova.
La tua gamma di servizi legati alla bici e non offre prodotti per ogni tipologia di utente: chi voglia farsi un giro nel fine settimana, pedalare su iconiche salite, accompagnare i bambini a scuola, raggiungere il luogo di lavoro, studio, trasportare pacchi o semplicemente fare la spesa.
Come cerchi di restare sempre al passo con i tempi ed essere sempre in linea con le richieste del quartiere?
Vendo Cargo bike di tutti i tipi per tutti i bisogni, ma mi impongo dei limiti. Non posso assecondare tutte le richieste, ad esempio certi marchi ho deciso di non venderli. Vendo solo quello che piace a me e che soddisfa le mie esigenze qualitative. Preferisco vendere piuttosto di aggiustare! Per questo cerco di avere biciclette leggere e indistruttibili, rischiando di perdere qualche cliente che cerca qualcosa low cost.
Possiamo dire che Fridabike sia anche un progetto di riqualificazione e promozione di Milano e del quartiere attorno a voi?
Sì, fino a qualche mese fa sì. Gli eventi che abbiamo organizzato sono stati delle occasioni per entrare in contatto con la città. Per ora è tutto sospeso per la pandemia, ma l’aggregazione continua sui social, dai miei profili si capisce che l’impostazione non è di tipo commerciale, ma un dialogo con i miei clienti e aggiornamento su quello che sta succedendo riguardo le Cargo Bike e questa rivoluzione.
Cosa pensi dei più recenti eventi a tema due ruote come AbbraciaMi e Milano Bike City?
Penso che la maggior parte dei milanesi faccia chilometri e chilometri per passare weekend e non conosca il bosco in città, la Martesana, le Cascine nascoste, il parco Agricolo Milano Sud. AbbracciaMi é una bellissima iniziativa che dovrebbe moltiplicarsi. Milano Bike City é un evento che ha unito, per la prima volta in questa città, ciclisti, negozianti, attivisti, sportivi, ciclofficine e tutte le associazioni che operano nell’ambito della bicicletta, é fondamentale lavorare in squadra per avere più influenza nelle decisioni che riguardano la mobilità dolce.
Come valuti la Critical Mass a Milano?
Ho fatto la critical mass parecchie volte ed é sempre emozionante girare la città in bicicletta di notte in compagnia di duecento persone sconosciute. È stata un’occasione per conoscere tanti ragazzi e ragazze che si occupano, ognuno a suo modo, di sensibilizzazione dell’uso della bici. A Milano é molto seguita, penso sia un faro per i ciclisti urbani.
Infine, cosa potresti consigliare a chi dice che Milano non è a misura di bici e a tutte quelle mamme o persone che non vogliono portare bimbi a scuola in bici?
Dipende dal motivo per cui non lo fanno. Se pensano che la bici in città sia più faticosa o più lenta della macchina o dei mezzi pubblici li sfido a fare una prova perché non è così.
Se invece il motivo é la sicurezza potrei non dargli torto. In attesa che vengano create infrastrutture ciclabili li inviterei a verificare una strada alternativa. Di solito chi non va in bici non conosce alcune strade secondarie con pochissimo traffico.
Foto: Fridabike