Il Monumentale del Giro 2022

Avremmo potuto iniziare con un copia e incolla del pezzo sul Giro del 2021, d'altra parte la storia si ripete. Puntuale, imperterrita, spesso cinica e brutale, come il ciclo della vita o più nello specifico delle stagioni. Semplicemente un susseguirsi di azioni. Come fosse su due ruote. Come la bicicletta: quella che ci fa innamorare e ci fa chiacchierare durante l'anno come fosse la cosa più importante e seria del mondo (a tratti, lo è). Quella che in questo periodo dell'anno abbiamo ricominciato a prendere in mano con più abitudine e costanza, prima pochi chilometri da mettere nelle gambe, poi giri sempre più lunghi.

La bicicletta, che poi diventa ciclismo, che qui in Italia, inevitabile, diventa Giro d'Italia. Una volta all'anno. A qualcuno basta così, altri ne vorrebbero ancora, ma ci rivedremo a fine corsa per tirare le somme.

Avremmo potuto iniziare con un copia e incolla e ripetere le stesse battute. Sull'attesa, sulle birre bevute al Nord che lasciano spazio alla cucina italiana. Oppure avremmo potuto raccontare qualcosa sulla storia di questa corsa che partirà domani da Budapest per l'edizione numero 105. Avremmo potuto approfondire un po' di geografia parlando di territorio e di Ungheria.

Già l'Ungheria. Vestita di rosa da giorni, quel rosa che macchierà poi in maniera indelebile la passione dei tifosi lungo le strade italiane. Territorio e quindi Sicilia, dove ci si aspettano folle oceaniche, o meglio mediterranee, e poi si arriverà fino in Veneto, attraversando tutto la Penisola e noi con loro, in fila, di seguito, oppure davanti, lo vedremo giorno dopo giorno, lo scopriremo assieme.

Avremmo potuto romanzare e lasciarci andare al flusso dei pensieri, ma a noi, in questo pezzo, interessa più che altro concretizzare le sensazioni percepite che girano intorno ai corridori. Le loro gambe, le loro energie, il loro storico. Analizziamo i favoriti, i pretendenti, i partecipanti (quasi) dal primo all'ultimo; e in parte citiamo anche gli assenti, e partiamo proprio da loro, o meglio da lui.

Mancherà come purtroppo accade spesso nella "nostra corsa", il campione uscente, in questo caso Egan Bernal. Un terribile incidente quest'inverno ha letteralmente rischiato di spazzarlo via dal mondo del ciclismo, lui invece si è rialzato in tutti i sensi, cammina con un bastone, ma, grazie al progresso della scienza più che alla magia (anche se quel gusto irreale quando si tratta di Colombia rimane), a fine mese potrebbe tornare in gara, lui che in gara ha rischiato di non tornarci più.
La sua assenza ci fa male (per correttezza specifichiamo che avrebbe partecipato al Tour e non al Giro), ma gli vogliamo così bene da avergli dedicato la premessa. Tanto tornerà, siamo sicuri.

Ora, però, lasciamo da parte Bernal e i sentimenti: è tempo di conoscere i presenti al via del Giro d'Italia numero 105.

UNA ROSA QUANTO MAI APERTA

 

La tappa finale del Giro 2022 - Crono con arrivo a Verona - ricalca quella del Giro del 2019 quando a vincere fu proprio Richard Carapaz. Foto: Luis Angel Gomez/SprintCyclingAgency©2022.

 

Edizione senza un favorito assoluto, ma un bel numero di corridori che, più o meno, partiranno con simili prospettive. Iniziamo da chi questa corsa l'ha già vinta e che anzi, vista l'assenza citata di Bernal e quella (meno sentita, non ce ne voglia il simpatico ragazzo londinese) di Geoghegan Hart, è l'ultimo vincitore del Giro d'Italia tra i partecipanti: Richard Carapaz, che di Bernal e Geoghegan Hart, oltretutto, è anche compagno di squadra.

Si è visto poco, ma lo si teme molto, lui Campione Olimpico, lui sì, al via col dorsale numero 1; stagione di alti e bassi, ma soprattutto di malanni, fattore numero uno nel condizionare il rendimento dei corridori in questo 2022.

Quando è stato bene ha vinto. Per esempio alla Volta Catalunya lo ha fatto portando la giustizia ecuadoriana in maglia Ineos su quella terra, attaccando da lontano con (il quasi connazionale) Higuita. Se ne sono andati facendo saltare in aria la breve corsa a tappe spagnola. Ecco, da considerare proprio questo: Carapaz sa vincere, sa inventare, sa stupire. Ama scoprire i punti deboli degli avversari e insinuarcisi dentro come uno di quei malanni che lo hanno colpito. Può trovare una fetta di terra e farla sua mentre gli altri magari vittime del morbo dell'attendismo stanno ancora discutendo di ciò che si potrebbe fare e di ciò che si è fatto. Anche nel momento in cui non dovesse avere la migliore condizione, il corridore ecuadoriano avrebbe comunque la capacità di dare sfogo alla sua idea fatta di attacchi mai banali. Il percorso, poi, tortuoso, infido, ricco di trabocchetti gli si addice. Largo alla fantasia, largo a Ricky Carapaz.

La squadra è forte? No, a tratti è fortissima. Questa primavera si è dibattuto su una Ineos interessata, per la prima volta nella sua storia, più verso le corse di un giorno che quelle a tappe: niente di più sbagliato. Si è detto, scritto, che un cambio di rotta orientato alla classiche sarebbe stata un'intuizione data dalla presenza di un corridore che a oggi appare imbattibile - ma non esiste nessun corridore imbattibile, paradossalmente non lo era nemmeno Merckx - ovvero Pogačar. I risultati primaverili invece sono stati il risultato della capacità di sfruttare pienamente le enormi risorse a disposizione della squadra - altrimenti come vogliamo definire chi ha nella propria rosa corridore affermati come Kwiatkowski e van Baarle, può giostrare a piacimento il motore di Ganna e il talento di Pidcock, o lanciare due giovani come Sheffield e Turner? Capitalizzare, non ribaltare la propria filosofia e negare i concetti seguiti per un decennio.

All'entità Ineos interessa vincere tutto, senza distinzioni. Il fatto stesso di aver pensato a Bernal per lanciare la sfida allo sloveno al Tour dovrebbe far tacere le voci di una squadra britannica remissiva contro le armi di Tadej Pogačar, ma stiamo perdendo il filo come spesse accade. Non ci fossero dei limiti alla decenza apriremmo una parentesi dietro l'altra. Ci perdonerete.

 

Richie Porte sulle strade del Giro che lo lanciarono anni fa in maglia bianca, correrà l'ultima grande corsa a tappe di tre settimane in carriera - Foto Ilario Biondi/SprintCyclingAgency©2022

 

E dunque torniamo in medias res: la Ineos al Giro è competitiva e costruita perfettamente per dar fuoco se ce ne fosse bisogno, per controllare in altri casi, per dominare in maniera assoluta se e solo se il ciclismo si giocasse sulla carta e non avesse poi a che fare con i verdetti di strada e gambe. Diteci voi, leggendo i nomi, se questa squadra appare come meno orientata ai Grandi Giri: Pavel Sivakov e Richie Porte saranno un lusso che pochi altri si possono permettere e che resteranno in zona classifica il più a lungo possibile. C'è qualcosa che devono temere: le cadute. Devono stare in piedi, cosa mai banale quando si parla di loro, cosa mai scontata quando di mezzo c'è una corsa così importante - occhio già all'imbocco della salita di Visegrád e alle tappe di Messina e Napoli.

Ben Tulett farà il suo esordio in una grande corsa a tappe, tenete presente questo nome. Dovesse proseguire sul filo tirato in queste settimane dagli altrettanto giovani Turner ('99) e Sheffield ('01), potrebbe stupire. Adatto alle corse vallonate, nelle sua gambe c'è l'idea di fare classifica un giorno in un Grande Giro. È qui per imparare e fare esperienza. Ci sarà Jhonatan Narvaez, che una tappa al Giro l'ha già vinta, ottima primavera la sua fino alla caduta alla Gent-Wevelgem che ne ha messo a repentaglio la sua presenza qui. Corridore tuttofare perfetto per la causa. E poi, a dimostrazione dell'importanza data alla corsa, è presente il loro miglior gregario in assoluto, Jonathan Castroviejo, che probabilmente rivedremo anche al Tour, e con lui Salvatore Puccio: la sua utilità non ha bisogno di essere narrata.

Infine Ben Swift che si ritaglierà un ruolo simile a quello di Narvaez: tuttofare da pianura e per le prime trenate in salita. Vedremo come diceva un fortissimo corridore italiano degli anni '90 che non aveva la sfera di cristallo, ma lasciava sempre attoniti i suoi interlocutori con questa espressione. Vedremo, perché il ciclismo, si sa, resta un gioco liquido adattissimo a stracciare tutti i pronostici e a farsi beffe di coloro che ci si sono cimentati.

Nessun favorito assoluto, dunque, nemmeno Carapaz al via con la squadra sulla carta più forte, in coabitazione con la Bahrain-Victorious. Bahrain-Victorious che punta tutto su Mikel Landa. Lo spagnolo, celebre fondatore di quel movimento culturale chiamato Landismo, che noi attendiamo sul gradino più alto del podio - noi generico, noi tifosi, perché si sa, difficile non amarlo, nonostante la pletora di odiatori per vocazione a cui mandiamo i nostri saluti - che anzi più che aspettarlo saremmo capaci anche di spingerlo su quel gradino più alto. Ma ci accontenteremo di vederlo scattare in salita con le mani basse sul manubrio e fare la differenza lì, dove osano gli scalatori. Terreno ce ne sarà in abbondanza.

 

Mikel Landa in questa primavera spesso si è dedicato alla sua squadra: l'impressione è che tutto sia stato fatto in funzione Giro d'Italia. Saprà reggere la pressione? - Foto Gregory Van Gansen/SprintCyclingAgency©2022

 

E se questa non sarà l'ultima chiamata per conquistare il Giro d'Italia, poco ci manca, inutile girarci attorno. Poi si sa, quando si tratta di Landa ci sono i fantasmi delle cadute, gli spettri della crisi, gli zombi del ritiro in corsa per un qualsiasi motivo. Quest'anno Landa avrebbe tutto per vincere - tanta salita e poca crono, forma (della vita?) - alla Liegi corsa per Teuns ha mostrato una gamba straripante, - squadra di grande livello. In poche parole: forza Landa è arrivato il momento!

 

Pello Bilbao potrebbe mettersi in proprio, ma sarà al servizio del suo connazionale Landa - Foto Massimo Fulgenzi/SprintCyclingAgency©2022

 

Pello Bilbao sarà la sua spalla fidata, un amico che non ti molla nel momento di difficoltà, sarà il perfetto sostituto nel caso di débâcle del capitano. Sarà anche uno che, vista la condizione palesata nel 2022, potrebbe anche andare a caccia di una maglia rosa nelle prime tappe - chissà magari sull'Etna - e poi tenere duro in classifica. Vedremo, anche stavolta detto con la flemma di Gianni Bugno.

A sostenere i due baschi Wout Poels e Santiago Buitrago: il primo, olandese,  d'esperienza, il secondo, colombiano, di freschezza. Poels spesso ingiudicabile per alti e bassi, quando è in giornata resta uno dei corridori più completi del gruppo quando la strada sale - e chissà dovesse essere un Giro freddo, lui che ama il freddo, potrebbe fare decisamente comodo ai suoi. Il secondo sarà perfetto per scandire il ritmo in salita e chissà che non possa anche cercare di vincere una tappa. Jan Tratnik non ha bisogno di presentazioni. Primavera eccezionale la sua, gregariato con i fiocchi (nel suo caso con i baffi e la barbetta), ma andrà anche a caccia di successi parziali, infine Jasha Sütterlin e Domen Novak a far fatica più o meno di nascosto.

 

Due Grandi Giri corsi in carriera per Almeida. Due Giri d'Italia: 4° e 6°. La maglia Rosa vestita per 15 giorni, l'obiettivo quest'anno sarà salire sul podio e vestire la Maglia Bianca. Se nel secondo caso parte favorito, nel primo caso la concorrenza è molto più che agguerrita - Foto Luis Angel Gomez/SprintCyclingAgency©2022

 

Terzo, in ordine di preferenza per chi scrive, João Almeida (UAE-Team Emirates). Apparso non sempre al meglio in stagione, Almeida è un corridore che prima o poi il segno finale sulla maglia rosa lo lascerà. Dopo i 15 giorni con l'effige del leader stampato addosso nel 2020, e la terza settimana in crescendo del 2021 - in coincidenza con il ritiro dalla corsa di Evenepoel - Almeida ha puntato tutte le sue energie fisiche e mentali sul Giro 2022. Avrebbe sicuramente preferito qualche chilometro in più a cronometro, ma ogni traguardo (anche le tappe vallonate), vedrà il suo nome spuntare nelle prime posizioni. Già migliorare lo storico delle sue prime partecipazioni (4° e 6°) significherebbe salire sul podio: mica male! Attorno a lui Davide Formolo che ormai ha messo da parte velleità di classifica, ma sarà utilissimo alla causa, mentre per far sentire a casa il proprio capitano l'UAE dispone di due portoghesi pronti a dare una mano al capitano: Rui Costa in salita e Rui Oliveira in pianura.

 

Simon Yates torna per il 5° anno consecutivo al Giro. Vittoria finale sfiorata nel 2018 -Froome lo mandò gambe all'aria- 8° nel 2019 e ritirato nel 2020. Terzo lo scorso anno. Il conto per lui, nella sua corsa preferita, è aperto

 

Con pensieri di alta classifica c'è Simon Yates - Team Bike Exchange - lo scorso anno lo inserimmo ingenuamente come favorito della corsa in quanto usciva da un Tour of The Alps scintillante. Quest'anno arriva tra alti e bassi (vittoria di tappa alla Parigi-Nizza, due successi di tappa nel recente Giro delle Asturie, ma in mezzo qualche battuta d'arresto anche lui per problemi di salute più che di condizione), ma il Giro 2022 è il suo grande obiettivo stagionale, forse di carriera. C'è spazio, con tappe miste e diversi arrivi in salita, per far emergere le sue qualità. Non dovesse riuscire a vincere (o ripetere il podio del 2021), di sicuro un modo per lasciare il segno lo troverà provando a conquistare di nuovo qualche tappa (è a quota 4).

La squadra è tutta per lui, non fortissima, ma funzionale: segnaliamo su tutti Matteo Sobrero che sogna la crono di Budapest, Tanel Kangert, tantissima esperienza anche di posizionamento finale nella classifica generale, e Lucas Hamilton, che arriva da una stagione difficile, ma un paio di stagioni fa, almeno a tratti, sembrava potesse diventare corridore per i Grandi Giri. Il suo oggi, invece, sarà tutto da ricostruire, ma soprattutto sarà rivolto agli obiettivi Rosa di Simon Yates.

PRINCIPALI ALTERNATIVE

 

Bardet qui alla Tirreno 2021.  Arriva dal successo al TotA, occhio però, la corsa a tappe di preparazione al Giro non ha mai visto una sfida vera in salita, ma spesso si è risolta nei finali di gara o su strappi brevi. - Foto: Luca Bettini/BettiniPhoto©2021

 

I quattro favoriti, in ordine, li abbiamo messi, ma non ci saranno mica solo loro. Romain Bardet per la DSM, dopo la vittoria al Tour of the Alps vorrebbe riportare la Maglia Rosa in Francia a 33 anni dell'ultima volta (Fignon, 1989). Va forte e le strade italiane sono perfette per lui. Ideale il disegno con poca crono gli piace e chissà, arrivasse pure il brutto tempo, sarebbe uno capace di esaltarsi. Tuttavia ha già specificato, nemmeno troppo tra le righe, che dovesse capire di non poter lottare per il podio, potrebbe puntare solo alle tappe. In DSM un'alternativa c'è, ed è forse uno dei corridori che affascina maggiormente in questo Giro d'Italia: Thymen Arensman. Il lungo che pare infinito scalatore olandese classe 1999 è corridore così completo da far paura per il presente e per il futuro. Regolare, anche difficile da staccare, dovrà stare attento a non cadere. Anche lui, che arriva dal ciclocross, tende troppo spesso a finire per terra.

 

 

Dalla Colombia con l'Astana ecco Miguel Ángel López, corridore indecifrabile come tanti, è vero, ma lui lo è in particolare, forse è l'emblema, il termine massimo. López che per mezzi tecnici e picchi di prestazioni (a volte va forte persino a cronometro!) ci stupisce non abbia ancora vinto un Grande Giro, ma è López e ci piace anche così. Potrà essere ago della bilancia della corsa, dovesse, per i soliti motivi (cadute, giornate no, litigi con chiunque, persino con gli spettatori) uscire di classifica, avrebbe comunque le gambe per fare la differenza sulle montagne della terza settimana e sugli arrivi in salita - gli piacciono soprattutto quelli irregolari - e magari andare a caccia della maglia azzurra. La squadra è più o meno tutta per lui con Vincenzo Nibali nominato battitore libero e tutta una serie di corridori forti in salita: Davide de la Cruz, Joe Dombrowski (entrambi puntano alle fughe in montagna, ma potrebbero essere anche alternative in classifica), Harold Tejada (che sarà il fedelissimo di MAL) e Vadim Pronskiy. In rosa anche due esperti corridori italiani come Valerio Conti e Fabio Felline a lavoro un po' per loro stessi un po' per la causa kazaka. Privi di ruote veloci e dopo alcuni mesi molto complicati ci aspettiamo gli uomini guidati in ammiraglia da Martinelli spesso all'attacco.

 

Dopo essere arrivato a pochissimi secondi (volendo anche chilometri e minuti) dalla vittoria del Giro nel 2020, Jai Hindley torna per salire sul podio nella Corsa Rosa, ma attorno a lui e a i suoi compagni di squadra sono tanti i punti interrogativi - Foto Luis Angel Gomez/SprintCyclingAgency©2022

 

Ci sarà una squadra nel suo complesso da tenere d'occhio per la classifica e che annovera almeno tre corridori che proveranno ad agguantare il podio (e due di loro ci sono già riusciti): la BORA-hansgrohe. Wilco Kelderman, Jay Hindley (geniale l'idea di ricostruire la coppia Sunweb che finì sul podio nel 2020) ed Emanuel Buchmann rappresentano un terzetto di regolaristi che proverà a giocarsi le proprie carte in maniera per altro del tutto simile: costanza di rendimento in salita. La strada deciderà chi dei tre potrà essere alla fine il capitano assoluto: noi, se dovessimo puntare un centesimo, lo spenderemmo su Hindley che a inizio stagione ha fatto intravedere le cose migliori, anche se arriva da problemi di salute spuntati fuori durante le Ardenne. Buchmann si è visto poco, anche lui vittima di malanni, mentre Kelderman si è fatto notare, come spesso gli accade, più nell'elenco di chi è caduto in gara che nelle primissime posizioni degli ordini d'arrivo. Peccato perché qualche anno fa intorno al suo nome c'era parecchio clamore.

Di fianco a loro suoneranno la batteria Cesare Benedetti in pianura, la chitarra Ben Zwiehoff in montagna, il basso Giovanni Aleotti un po' ovunque, mentre alla tastiera Patrick Gamper tenterà di inserirsi nelle fughe. Lennard Kamna, ottimo solista, quelle fughe proverà a portarle fino all'arrivo come (solo, appunto) lui sa fare.

 

LA TERZA FILA

 

In diversi potrebbero giocarsi il nome di Martin come sorpresa di questo Giro d'Italia - Foto Luis Angel Gomez/SprintCyclingAgency©2022

 

Terza fila: che non vuol dire essere fuori dalla lotta per il podio. La Cofidis si affida a uno dei corridori più continui e regolari del circuito: Guillaume Martin. Quando in giornata, il francese è temibile non solo in alta montagna, ma anche in quelle tappe miste dove bisogna saper essere esplosivi, avere colpo d'occhio, fiutare il momento giusto. Esordio al Giro per lui particolarmente affezionato all'Italia (tre vittorie su sette in carriera ottenute su queste strade, con un successo nel 2019 al Giro di Sicilia proprio sull'Etna dove è rimasto ad allenarsi in queste ultime tre settimane, prima da solo e poi in compagnia del suo preparatore), con uno storico negli altri Grand Tours in continuo progresso e che lo ha visto chiudere in top ten nel 2021 sia il Tour (ottavo assoluto) che la Vuelta (nono). Porterà punti preziosi alla sua squadra per restare nel World Tour, cercherà egli stesso punti preziosi magari per la conquista della maglia dei gran premi della montagna. Dovessimo scegliere per lui (ma tuttavia, chi siamo noi per scegliere per lui?) gli chiederemmo più che regolarità, qualche bella fiammata nelle tappe che gli si addicono maggiormente. Con lui in salita Rémy Rochas, Anthony Perez e Davide Villella, affidabili co-équipier ma anche a caccia di gloria personale.

La EF punta su Hugh Carthy, pressoché impalpabile in stagione, che non arriva a fari spenti, ma quei fari sembra averli rotti facendo manovra in garage. In generale la squadra americana è una di quelle che ha fatto più fatica quest'anno. Suggestione Diego Camargo per la salita, corridore di cui si parla troppo poco ma a chi scrive piace parecchio. Occhio anche a Jonathan Caicedo, si torna sull'Etna dove colse due stagioni fa il successo più importante in carriera, e atteso a dare bei segnali quando la strada sale. Potrebbe anche lottare per la maglia azzurra dei GPM magari insieme al suo compagno Simon Carr.

 

Tom Dumoulin è, insieme a Carapaz e Nibali, uno dei tre vincitori del Giro presenti qui -  Foto Luca Bettini/SprintCyclingAgency©2022

 

C'è Tom Dumoulin, in questo elenco, messo dopo tanti nomi non per mancanza di rispetto ma per una concreta idea sul rendimento di un corridore che un anno fa aveva smesso di correre. Avrebbe preferito avere decisamente più chilometri a cronometro per pensare di puntare al podio finale, ma magari qua e là lo vedremo davanti. In casa Jumbo-Visma da seguire con più attenzione Tobias Foss (obiettivo maglia bianca?), lo scorso anno 9° in classifica finale e che compirà 25 anni lungo il percorso, e Sam Oomen, corridore fantasma: non lo vedi mai, ma poi a fine gara te lo ritrovi nelle prime dieci, quindici posizioni di classifica. Edoardo Affini, gregarione in pianura, non nasconde le sue ambizioni per la prima cronometro e con una buona gamba può provare la stoccata da finisseur, Gijs Leemreize e Koen Bouwman (salita), Pascal Eenkhoorn e Jos Van Edmen (pianura) saranno gli altri corridori a completare la selezione con compiti prevalentemente di gregariato.

 

Alzi la mano chi avrebbe immaginato solo qualche stagione fa di ritrovarsi con Lorenzo Fortunato come uomo di punta del ciclismo italiano per la classifica generale. Merito suo, vincitore lo scorso anno sullo Zoncolan dalla fuga e 16° posto finale con una terza settimana in crescendo - e merito di Basso e della sua Eolo-Kometa. La squadra ha puntato sul ragazzo bolognese pronto ancora a stupire in questa edizione di Giro  - photo Luca Bettini/SprintCyclingAgency©2022

 

C'è un po' d'Italia (poca poca, ahi noi, mala tempora currunt) anche per la classifica. Detto di Nibali e Formolo, i quali difficilmente cureranno le parti nobili della Generale, ma saranno chiamati a svolgere incarichi diversi (fughe e lavoro di squadra), i nomi più interessanti saranno, in ordine di possibilità: Lorenzo Fortunato (Eolo-Kometa, visto in buona condizione nella recente Vuelta Asturias chiusa al secondo posto in classifica generale), Giulio Ciccone (un punto interrogativo per una primavera decisamente travagliata) e l'eterno Domenico Pozzovivo: potremmo esagerare definendolo leggendario. Visto l'altissimo rendimento della sua squadra, non esageriamo invece nell'immaginarcelo, dovesse tutto filare liscio, in lotta per un posto nei dieci. A quarant'anni sarebbe uno spettacolo.

 

OUTSIDER

 

Volete scommettere su una sorpresa? Ecco Sosa della Movistar, tra gli scalatori (o forse lo scalatore più forte) più forti al Giro - Foto Rafa Gomez/SprintCyclingAgency©2022

 

Con pensieri di classifica, infine, Iván Ramiro Sosa (Movistar, e potrebbe essere uno dei pretendenti principali alla maglia azzurra dei gran premi della montagna) si candida a essere una delle sorprese di questa corsa. È in forma e in salita non sono molti quelli che potrebbero stargli a ruota. Spesso gli manca la continuità, cosa non da poco in un Grande Giro, ma nella giornata singola, in salita, può vincere ovunque. Dovesse mettere vicino tutti i pezzi, potrebbe lasciare molti a bocca spalancata e altri con le gambe dure a fare zig zag in salita. Attorno a lui e a Valverde, un occhio lo meritano il giovane Oier Lazkano e Antonio Pedrero, aficionado del Giro chiuso nelle ultime stagioni al 22° e al 19° posto.

 

Attila Valter in maglia rosa durante il Giro 2021 - Foto Ilario Biondi/BettiniPhoto©2021

 

 

Si segnala al via il trio Trek-Segafredo (oltre a Ciccone) Juanpe Lopez, per la salita, Mattias Skjelmose, giovanissimo classe 2000 e che proverà a fare classifica, Bauke Mollema, che potrebbe  cercare una vittoria di tappa al Giro che manca alla sua collezione - ha vinto sia al Tour che alla Vuelta; e poi Attila Valter (Ungheria, Groupama) che sogna di vestire la Maglia Rosa proprio in Ungheria, lui che lo scorso anno l'ha vestita dopo la tappa di Ascoli Piceno chiudendo poi al quattordicesimo posto la classifica finale. In questa edizione di Giro punta anche la maglia bianca.

Poi Eduardo Sepulveda (Drone Hopper) e Filippo Zana (Bardiani), che vedremmo meglio andare a caccia di belle fughe per vincere una tappa, uomini di punta per la classifica nelle Professional italiane che non si chiamano Eolo; Jan Hirt  (Intermarché) e Harm Vanhoucke (Lotto) che già in passato hanno fatto vedere cose interessanti al Giro e potrebbero pure loro ambire alla classifica dei Gran Premi della Montagna. E poi c'è Mauri Vansevenant. Il giovane belga della Quick Step, dopo il forfait per un brutto incidente di van Wilder, sarà l'uomo di classifica della squadra belga. Lo danno molto in forma, teniamolo d'occhio. Ha vinto un Giro della Valle d'Aosta, seppure in modo rocambolesco (guadagnò minuti su minuti per un errore di percorso di gran parte del gruppo) e nella stessa stagione ha accarezzato anche l'idea di vincere il Tour de l'Avenir. Pure lui, come (quasi) tutta la squadra non arriva da una grande primavera, ma la rinascita belga (un'attesa estenuante) nei Grandi Giri passa anche dalle qualità del classe '99 figlio d'arte, tanto brutto e caratteristico da vedere soprattutto in salita, quanto efficace.

 

Tra i corridori da tenere d'occhio a questo Giro, l'asutriaco classe '98 Felix Gall, che dopo un po' di anni difficili sembra aver ritrovato la giusta pedalata - Foto Ilario Biondi/SprintCyclingAgency©2022

Infine una menzione per Felix Gall (AG2R). Il classe '98 austriaco, ex campione del mondo tra gli juniores, arriva da stagioni tribolate nelle quali non ha mai potuto esprimere pienamente (probabilmente non ci è nemmeno arrivato vicino) il suo potenziale; quest'anno sembra aver trovato la forma fisica e mentale e sarà il leader della squadra francese per la classifica, ma vista l'esplosività sugli strappi potrebbe trovare la sua giornata di gloria anche in qualche tappa vallonata.

 

ITALIANI

 

Alcuni li abbiamo già citati, ma riepiloghiamo, le speranze non sono così tante. Fortunato, Pozzovivo e Ciccone punteranno alla classifica, nemmeno troppo alta, ma il bolognese della Eolo dopo la Vuelta a Asturias ha visto crescere le sue quotazioni. Formolo e Nibali saranno l'uno principalmente gregario e l'altro libero di dare sfogo alla sua fantasia. Da misurare in chiave classifica generale la crescita di Zana. E quindi i corridori di casa, dove e quando possibile, andranno perlopiù a caccia di tappe.

 

C'è andato vicinissimo diverse volte, ma Vincenzo Albanese cerca ancora la prima affermazione in maglia Eolo - Foto Rafa Gomez/SprintCyclingAgency©2022

Vincenzo Albanese (Eolo-Kometa) è il nome più intrigante. In una primavera avara di soddisfazioni per il tricolore italiano, il suo undicesimo posto alla Sanremo è uno dei risultati migliori. Grande talento nelle categorie giovanili, forte sugli strappi, ottimo spunto veloce, Albanese in questo scorcio di stagione ha mostrato anche di tenere bene in salita. Questo cosa significa? Che già il primo giorno può sognare qualcosa di grande. Andrea Vendrame (AG2R) è un corridore che gli assomiglia. Spunto veloce, esplosivo, al Giro d'Italia ha dimostrato di migliorare con i giorni, sfiorando l'impresa tre anni fa a San Martino di Castrozza, trovandola lo scorso anno a Bagno di Romagna, una delle vittorie più emozionanti del Giro e la migliore affermazione della sua carriera. Quest'anno ci vuole riprovare, spazio in squadra ce n'è a sufficienza, manca forse un po' la condizione, ma il corridore veneto sulle strade della Corsa Rosa riesce sempre a tirare fuori qualcosa in più.

Alessandro Covi è una delle maggiori speranze del ciclismo italiano in ottica corse di un giorno, pur essendo stato nel 2018 (ottavo) e nel 2019 (quarto) il migliore italiano in classifica generale al Giro Under 23 . Crediti: Heinz Zwicky/BettiniPhoto©2021

 

C'è Alessandro Covi, partito benissimo quest'anno, poi ha rallentato, ma lo aspettiamo di nuovo energico lungo le strade del Giro. Lo scorso anno per poco non ha fatto sua una delle tappe simbolo dell'edizione 104, quella con arrivo a Montalcino, quella con le strade bianche. Quest'anno la possibilità che vada in fuga e ci riprovi spazia dal 99,9% al 100%. Il primo giorno, poi, ci sarebbe una tappa adattissima a lui, peccato però sembri perfetta anche al capitano Almeida e a Diego Ulissi che insegue, in quest'edizione di corsa rosa, la sua nona affermazione al Giro.

 

Il Giro di Ballerini sarà tutto in funzione degli sprint di Cavendish o potrà trovare un po' di gloria personale? - Foto Luca Bettini/SprintCyclingAgency©2022

 

Tra i classe '99 c'è Giovanni Aleotti, con carta bianca ci potrebbe provare su diversi terreni, ma rischia di rimanere chiuso a doppia mandata, anzi tripla, da una BORA a tre teste per la classifica, mentre Davide Ballerini sarà nel treno Quick-Step votato alla causa Cavendish. Matteo Sobrero (come il già citato Affini) sogna la seconda tappa (quella a cronometro) e magari dare qualche segnale in futuro anche per la classifica, mentre Mosca, Rota, De Marchi, come Rosa, Maestri, Rivi, Gavazzi, i due Bais, Ravanelli, Zardini, Tagliani, Tonelli e Rastelli proveranno a inserirsi nelle fughe. Spesso sarà quella di giornata, buona per gli sponsor, spesso sarà quella invece che arriverà al traguardo e allora bisognerà approfittare del momento: una grande corsa a tappe autorizza a sognare in grande, e proprio l'impresa di Alessandro De Marchi nel 2021, culminata con la Maglia Rosa indossata per qualche giorno, ne è la dimostrazione.

 

Regolarista se ce n'è uno, Oldani rischia di vedere lo spazio aereo personale chiuso dal jet van der Poel - Foto Rafa Gomez/SprintCyclingAgency©2022

 

 

Infine Stefano Oldani, anche lui in bilico tra il lavoro di squadra (c'è un certo van der Poel al via) e qualche bella volata (previa autorizzazione del fenomeno olandese). Le sue occasioni però potrebbero arrivare dalle fughe. E poi ci saranno i velocisti come vedremo nel capitolo successivo.

 

VELOCISTI

 

Quattro i nomi più altisonanti con altrettanti pesci pilota di qualità e di grande esperienza : Caleb Ewan (De Buyst ha dato forfait all'ultimo momento, sarà compito di Kluge e Selig pilotarlo), Mark Cavendish ( Mørkøv), Arnaud Démare (Guarnieri) e Fernando Gaviria (Richeze). Non servono presentazioni, ma sarà una sfida non solo di velocità, ma anche di treni e posizionamento, di lead-out e pelo sullo stomaco. Nel caso dei primi 3 la squadra sarà (quasi) totalmente votata alla loro causa e le tappe dove sfidarsi saranno molte, a partire dal terzo giorno. A loro si aggiunge il tedesco della Bahrain Phil Bauhaus, che cerca il colpo a effetto nella tappa di un Grande Giro dopo essere cresciuto in maniera esponenziale in queste ultime stagioni.

L'Italia punta principalmente su Giacomo Nizzolo e Alberto Dainese (in squadra con lui anche Cees Bol, capace di buoni risultati in volata anche al Tour), ma cercano piazzamenti e magari la giornata di gloria anche Simone Consonni e Davide Cimolai (stagione complicata per lui fin ora). Jakub Mareczko potrebbe trovare spazio nelle volate pure e "semplici" (non esistono volate semplici, esercizio folle tirato a volte all'esasperazione e che ti fa stare col fiato sospeso)  - sempre che non ci si voglia buttare in mezzo van der Poel -  Filippo Fiorelli è il nome Bardiani per gli arrivi più tortuosi e insidiosi e avrà di fianco uno dei corridori più esperti del gruppo, Sacha Modolo. Aggiungiamo a questa lista anche Edward Theuns (Trek-Segafredo) che cercherà qualche piazzamento allo sprint. Difficile che si esca da questi nomi, i quali, insieme ad alcuni che andremo a raccontare nel prossimo capitolo, verosimilmente lotteranno anche per la classifica a punti.

CACCIATORI DI TAPPE - ALCUNI FANTASTICI - E DOVE TROVARLI

 

Senza girarci troppo attorno: Mathieu van der Poel è il personaggio più atteso di questo Giro - Foto Gregory Van Gansen/PN/BettiniPhoto©2021

 

Alcuni di loro sono destinati a lasciare il segno, anzi diciamolo meglio: hanno già lasciato il segno nella storia del ciclismo. Alcuni di loro hanno un futuro incredibile davanti, altri stanno segnando il presente, altri ancora un passato glorioso che non vuole lasciare il campo a un ritiro all'orizzonte. Presto detto: parliamo di tre corridori concepiti per essere tra i grandi protagonisti dell'edizione 105 del Giro: Matheiu van der Poel, Biniam Girmay e Alejandro Valverde.

Mathieu van der Poel è il personaggio numero uno di questo Giro d'Italia. Andrà alla caccia della maglia rosa il primo giorno con la speranza magari di arrivarci fino alle pendici dell'Etna: sarebbe una grande promozione per il Giro, sarebbe un lusso che il corridore olandese ha già annunciato vorrebbe concedersi. Difficile dire quali e quante tappe gli si addicono dipende da diversi fattori, ma ciò che è sicuro è che quando non sarà davanti a sprintare, lo potremmo trovare in fuga. Squadra, la sua, con altri corridori interessanti (alcuni citati, manca la menzione all'attaccante nato Dries De Bondt) ma che per forza di cose girerà tutta intorno al due volte vincitore del Giro delle Fiandre. Una scommessa aperta per certi versi: riuscirà a portare alla conclusione il Giro? Lui lo vorrebbe per riuscire a fare, dice, un salto di qualità ulteriore.

Bini Girmay: altro personaggio attesissimo - Foto Luca Bettini/SprintCyclingAgency©2022

Biniam Girmay a caccia anche lui di tappa e maglia il primo giorno ma non solo. A caccia di record di ogni genere, il classe 2000 eritreo, che verosimilmente si butterà anche negli sprint di gruppo è, insieme a van der Poel e a quei velocisti più continui, uno dei candidati alla maglia ciclamino.

 

Non tutti lo amano, è vero, ma il rispetto è immenso per questo corridore leggendario  - Foto Rafa Gomez/SprintCyclingAgency©2022

 

Alejandro Valverde: perché come minimo una tappa proverà a portarla a casa. Non avrà lo scatto devastante di un tempo (fisiologico), ma anche lui vorrebbe già piazzarsi il primo giorno e poi chissà provare il colpo magari sull'Etna non dovesse esserci una grossa selezione. Nonostante i 42 anni, il suo Giro d'Italia sarà tutto da scoprire. Ci piacerebbe vederlo fuori classifica, ma cercare la vittoria in fuga: sarebbe una degna conclusione di una carriera in cui ha vinto praticamente tutto, sarebbe un modo anche per rischiare di farsi qualche tifoso in più tra quelli che non amano particolarmente la sua condotta di corsa.

 

Non solo Bini, dall'Eritrea pedala forte anche Natnael Tesfatsion - Foto Roberto Bettini/SprintCyclingAgency©2022

 

 

C'è un'Eritrea che pedala fortissimo che non è solo quella di Bini Girmay. C'è Natnael Tesfazion, ennesima scommessa vinta da Gianni Savio e Giovanni Ellena, che avrebbe tutte le carte in regola per piazzarsi bene nelle tappe miste, ma anche per andare a caccia di successi nella fuga giusta. Veloce, resistente, il portacolori della Drone Hopper è un corridore del quale non siamo ancora riusciti a capire i margini. Che paiono importanti e potrebbero portarlo a ricalcare le orme del suo connazionale. Chissà che l'anno prossimo (suggestione del tutto casuale) non si possano persino ritrovare a correre nella stessa squadra.

 

Tappe al Tour e alla Vuelta Magnus Cort Nielsen è un nome che fa paura, in volata e in fuga - Foto Luis Angel Gomez/BettiniPhoto©2021

 

 

 

Altra ruota veloce con licenza di fuga e vittoria è quella di Magnus Cort Nielsen. Il danese appartiene a quel quintetto al via del Giro (Bardet, Lopez, Mollema e Calmejane sono gli altri) che insegue il successo da affiancare alle tappe conquistate al Tour e alla Vuelta. Una tripletta ambiziosa. Arriva al Giro dopo un brutto infortunio, ma strada facendo la sua condizione crescerà, diventando con ogni probabilità uno dei punti di riferimento in gruppo quando ci sarà da scappare via, soprattutto nella seconda parte di Corsa Rosa.

Fuga decisiva di cui è specialista Lennard Kämna. Il tedesco è corridore da giornata di grazia e quando si veglia col piede giusto rischia di essere imbattibile. In alta montagna o nelle tappe miste, il corridore della BORA se lo ritrovate davanti per forza di cose dovrete battezzarlo come favorito per il successo. A caccia di fughe fino all'arrivo ci sono anche Mauro Schmid (Quick-Step, vincitore a Montalcino nel 2021), il compagno di squadra James Knox che potrebbe anche fare classifica, uno dei fuggitivi più attesi, l'estone Rein Taaramäe (Intermarché-Wanty-Gobert) e i suoi compagni di squadra Barnabás Peák e Loic Vliegen; e poi ancora Alex Dowsett (Israel-Premier Tech), uno dei personaggi che ci piace di più in gruppo, Nans Peters, Nicholas Prodhomme e Lilian Calmejane (AG2R), Jefferson Cepeda (Drone Hopper, che proverà a tenere duro sia per la generale che per la maglia dei GPM) e il suo compagno di squadra Andrii Ponomar che sarà, con i suoi nemmeno 20 anni, il più giovane al via per il secondo anno di fila. Chris Hamilton, piazzato alle spalle di Vendrame lo scorso anno a Bagno di Romagna, andando proprio all'attacco da lontano, aiuterà Bardet e Arensman a curare la classifica, ma non disdegnerà l'inseguimento al successo personale, e infine Samuele Zoccarato pronto a raccogliere lo scettro del miglior attaccante del Giro, magari con un bel successo di tappa, obiettivo dichiarato della sua squadra, la Bardiani-CSF-Faizané.

 

IL DISEGNO DEL GIRO

 

 

Tre giorni di riposo, tanti (troppi?) trasferimenti, con la Grande Partenza al venerdì, dall'Ungheria. Tre tappe all'estero prima di rientrare in Italia, dalla Sicilia per arrivare a Verona per la crono finale. Tappe distribuite in maniera equa, - diverse volate, diversi arrivi che fanno gola agli scattisti, tanti arrivi in salita, ma le cronometro... Ecco se parliamo di cronometro tocchiamo un tasto dolente di un disegno che, tutto sommato ci soddisfa (ci voleva un tappone di oltre 220 chilometri, ma in questo periodo pare passato di moda).  Può una grande corsa a tappe avere un tracciato con solamente 26,6 chilometri a cronometro distribuite nella seconda e nell'ultima tappa? Francamente no, ma ormai è fatta. Auspichiamo l'anno prossimo almeno 60/70 chilometri totali, servirebbero per rimettere tutto nell'ordine giusto.

Per il resto il disegno ci piace, forse avremmo apprezzato qualche arrivo in discesa in più, ma già solo per aver inserito la salita più bella del mondo - la Marmolada - il tracciato merita tutto sommato un voto alto.

Partenza scoppiettante il primo giorno con una tappa che vedrà gli scattisti misurarsi su uno strappo di quasi 4 km che porterà il gruppo sulle strade del suggestivo castello di Visegrád. Tappa che sembra aver scritto a caratteri cubitali: van der Poel vs Girmay. Ma occhio come sempre alle sorprese. Dopo la breve crono del giorno dopo e la volata in programma, ahinoi, domenica (insistere con le volate nei giorni feriali, continuiamo a trovarlo mortificante!), lunedì si torna in Italia per una giornata dedicata al trasferimento-riposo prima di vivere uno dei sette arrivi in quota. Martedì 10 maggio, infatti, da Avola fino all'Etna, salita infinita, ma non durissima e che verosimilmente cambierà il nome del leader della classifica. Dopo Messina il giorno dopo si risale in Calabria per un altro probabile arrivo allo sprint (Scalea) prima di una tappa interessante come quella di Potenza adattissima ai colpi di mano. Weekend tra Napoli - tappa che promette scintille oltre che uno dei panorami più belli che possa regalare una manifestazione sportiva - e il secondo arrivo in salita: Blockhaus. Rispetto all'Etna qui si inizieranno a contare distacchi importanti. Vero e proprio tappone appenninico, 191km e nemmeno un metro di pianura, come si usa dire.

Dopo il giorno di riposo si prosegue la marcia verso il nord: a Jesi tappa da fuga, a Reggio Emilia, mercoledì 18 maggio, volata. Piccolo commento: di nuovo, anche in questa edizione, ci ritroviamo una tappa di oltre 200km completamente pianeggiante. In pratica un lungo trasferimento in bici: serviva? Il giorno dopo la Parma-Genova è un'altra tappa destinata a vedere la fuga all'arrivo, ma si sale parecchio e dunque bisognerà avere una gran condizione per andarsene e restare lì davanti. Difficile che gli uomini di classifica possano tentare qualcosa. Stesso discorso per il giorno dopo verso Cuneo. Tappa breve: fuga all'arrivo oppure volata.

Il terzo week end di corsa, invece, sarà in crescendo. Verso Torino frazione secca, breve, con un circuito che prevede due passaggi a Superga e due sul Colle della Maddalena prima dell'arrivo a Torino: spettacolo assicurato. Arrivo in salita, invece, domenica. Tappa valdostana con tre belle salite lunghe ma senza pendenze impossibili, con l'ultima, verso l'arrivo di Cogne, non troppo impegnativa.

 

 

Gli ultimi cinque giorni di corsa verranno inaugurati da una delle frazioni più attese: la Salò-Aprica, con il Mortirolo (da Monno) e il Valico di Santa Cristina: serve dire altro? Sì forse che bisognerà dare un occhio anche alle discese. Ancora salita il giorno dopo con l'arrivo a Lavarone prima dell'ultima frazione tranquilla di questa corsa con probabile conclusione in volata (se ci saranno velocisti ancora in gara) a Treviso.

E poi ultimi tre giorni da casco allacciato e luci accese anche di giorno: venerdì 27 maggio la tappa friulana che si concluderà sul Santuario di Castelmonte, sopra Cividale del Friuli, provincia di Udine, è una frazione da non sottovalutare. Si sconfina in Slovenia e si affronta da Caporetto la salita di Kolovrat: pendenza costante del 10% che rimarrà nelle gambe. L'insidia più grande, però, sarà il rientro verso l'Italia, si passa nei verdi boschi del confine italo-sloveno dove sarà difficile trovare più di qualche metro di rettilineo. Un su e giù continuo fatto di curve insidiose e strade strette.

Sabato con l'atteso arrivo sulla Marmolada ne vedremo delle belle - neve permettendo. Chi scrive sogna già la selezione naturale verso Malga Ciapela, uno dei posti ciclisticamente più suggestivi dell'intero circo ciclistico. E infine domenica, la crono finale di Verona, corta, ma che potrebbe ancora decidere qualche piazzamento in classifica.

LE STELLINE DEI FAVORITI

MAGLIA ROSA
⭐⭐⭐⭐⭐ Carapaz
⭐⭐⭐⭐ Landa, Almeida
⭐⭐⭐ S.Yates, Bardet
⭐⭐ Martin, Bilbao, Lopez, Sivakov, Sosa, Arensman, Carthy
⭐  Hindley, Kelderman, Dumoulin, Foss, Fortunato, Porte, Valter, Vansevenant, Gall, Mollema, Ciccone, Valverde, Pozzovivo, Buchmann

MAGLIA BIANCA
⭐⭐⭐⭐⭐ Almeida
⭐⭐⭐⭐ Sosa, Arensman, Sivakov
⭐⭐⭐ Valter
⭐⭐ Foss, Gall
⭐ Vansevenant, Skjelmose, Buitrago, Tulett, Zana

MAGLIA AZZURRA
⭐⭐⭐⭐⭐ Sosa
⭐⭐⭐⭐ Lopez
⭐⭐⭐ Martin
⭐⭐ Ciccone, Buitrago, A.Cepeda, S.Yates, Mollema, J.Cepeda, Poels
⭐Camargo, Hirt, Taaramae, Fortunato, Landa, Carapaz, Perez

MAGLIA CICLAMINO

⭐⭐⭐⭐⭐ Van der Poel
⭐⭐⭐⭐ Ewan, Cavendish, Girmay
⭐⭐⭐ Nizzolo, Démare, Bauhaus
⭐⭐ Consonni, Albanese, Gaviria, Cort Nielsen
⭐ Valverde, Tesfatsion, Valter, Vendrame, Ulissi, Bol, Dainese

 

 


L'irrésistible

In Francia, tra ieri oggi, oltre a fargli i dovuti complimenti si domandavano, più o meno ironicamente: "Fino a quando Wout abuserà della nostra pazienza? Fino a quando mentirà sul suo stato di forma?"
La tesi, più o meno: van Aert sostiene di non essere al massimo, continua a dire di essere alla Parigi-Nizza per trovare la migliore condizione, eppure in 5 giorni di gara ha un ruolino di marcia del tutto pogačaresco, tanto che a sentirlo parlare a fine corsa pare gli si allunghi sempre più il naso. «Sono qui per trovare la gamba migliore. La parte di settimana che mi interessava ora è finita - raccontava ieri dopo la vittoria nella cronometro - il prossimo obiettivo sarà passare la maglia di leader a Roglič». C'è chi dubita pure su quest'ultimo passaggio, e in caso di annullamento sabato dell'arrivo sul Col de Turini, la salita più importante di questa edizione della corsa, c'è chi inizia a puntare seriamente su un suo successo finale.

In 5 giorni di gara, disputati tra Omploop Het Nieuwsblad e Parigi-Nizza, il belga ha ottenuto 2 vittorie, 1 secondo e 2 terzi posti. In Belgio ha staccato tutti sul Bosberg, alla Parigi-Nizza è il titolare della maglia gialla e di quella verde, se fosse più giovane (basterebbe poco, tre anni) avrebbe vestito anche la maglia bianca, se si fossero incontrate più salite forse pure quella a pois.
Uno di quei terzi posti è arrivato perché lui e Roglič hanno voluto omaggiare il compagno di squadra Laporte; il secondo posto - a Orléans - l'ha ottenuto alle spalle di Jakobsen, considerato il numero uno al mondo o poco ci manca, delle volate, in una giornata in cui van Aert cade e poi si dà decisamente da fare nei ventagli contribuendo a selezionare il gruppo. E a questo non vogliamo aggiungere ciò che nei pochi ciclocross stagionali ha messo vicino? Saremmo sgarbati come quelli che gli danno del bugiardo: 9 vittorie su 10 cross, con un quarto posto arrivato dopo un incidente meccanico con recupero dalle ultime posizioni.

Di cosa stiamo parlando dunque? Dell'irresistibile per antonomasia in questo momento. Almeno oltre le Alpi. Se alla Tirreno-Adriatico a Pogačar bastano pochi e semplici gran premi della montagna (e KOM su Strava) per stuzzicarne la voglia, alla Parigi-Nizza il computer di bordo di van Aert non appena vede il traguardo si mette in modalità Pac-Man divorando tutto quello che trova attorno.

Più che raccontare bugie, van Aert appare fisicamente tirato a lucido come non mai e si sente così bene da suppore di avere ancora margini di miglioramento; appare leggero mentalmente, carico - a differenza del finale di stagione 2021, con polemiche e débâcle che lo consumarono psicologicamente abbassandone di conseguenza le prestazioni.
Ora non vediamo il momento di gustarci una bella sfida tra lui e Pogačar e basta attendere a poco: la Milano-Sanremo è sempre più vicina. Come, si spera, anche la vera primavera.


Comprendere un dominio

Chi scrive non ha mai avuto grande passione per quei domini che si manifestano tramite la tripletta di una squadra, come successo ieri alla Parigi-Nizza: 1° Laporte, 2° Roglič, 3° van Aert, in un mini campionato monomarca griffato Jumbo-Visma, robe da Pro Cycling Manager (per i non appassionati: videogioco del genere manageriale sul ciclismo), oltretutto la seconda in pochi giorni - al Laigueglia fu il turno dell'UAE Team Emirates - e che sottolinea con i risultati le differenze tra alcuni squadroni - nel budget e nella costruzione delle rose - e altri.
Ma chi scrive trova semplici spiegazioni all'arrivo di ieri verso Mantes-la-Ville. Intanto doverosa premessa: l'arrivo in parata può piacere o non piacere, come abbiamo detto, si toccano le corde del puro gusto personale e delle emozioni che trasmettono, ma sono azioni che non dovrebbero sfociare nel campo del dubbio, altrimenti significherebbe prendere con le pinze qualsiasi risultato, di qualsiasi corridore, e non ci pare questo lo scopo della nostra narrazione, che fai dei gesti, della leggerezza nel raccontare storie e spunti, i nodi principali nei quali stringere il romanzo ciclistico.

Chi scrive prova a comprendere tecnicamente: l'attacco mirato degli olandesi - in verità in formato franco-belga-sloveno, ha avuto il primo affondo decisivo con una volata vera e propria di Nathan Van Hooydonck che fa esplodere il branco sull'ultima salitella di giornata, costringendo tutti gli avversari a mollare creando buchi e gruppetti lungo la Côte de Breuil-Bois-Robert risultando decisivo per dare l'abbrivio ai tre compagni di squadra e mandandoli verso il traguardo. Non c'è nulla di disturbante o fuori luogo in quello che si è visto, da un punto di vista tecnico, semmai può essere terrificante per gli avversari sul campo.

È una prova di forza schiacciante, ma di semplice lettura. Dopo la tirata di Van Hooydonck restano in tre a certificare lo stato di strapotere: due dei tre corridori attualmente più forti al mondo - manca il terzo che vinceva qualche ora prima, o meglio, dominava qualche ora prima sulle strade bianche della toscana senese- , e con loro Laporte, corridore che non è atterrato ieri su questo pianeta.

Solido, finora poco vincente, ma molto appariscente, corridore che su su una salitella non impossibile di poco più di un chilometro e mezzo come quella di ieri, terreno da classiche, va a nozze; nel 2021, sulle strade della Parigi-Nizza, ha conquistato due secondi posti di tappa, uno alle spalle di Roglič su uno strappetto, l'altro l'ultimo giorno dietro a Cort Nielsen, al termine di una tappa nervosa, fatta a tutta e con arrivo che sgranò il gruppo e mise in croce diversi uomini di classifica. Senza elencare altri buoni risultati ottenuti in un 2021 che ne affermarono il salto di qualità.

Anno dopo anno è cresciuto al punto di diventare uno degli elementi più interessanti fra quelli che hanno cambiato squadra durante l'inverno. In altre sedi lo hanno definito un van Aert in miniatura, per motore e risultati, le caratteristiche sono pressoché quelle, in tono minore.
Quella di ieri non deve far storcere il naso lasciando il campo a chissà quali dietrologie e anzi ci preme sottolineare ancora di più il bel gesto di van Aert e Roglič, capitani e fuoriclasse, che lasciano la vittoria a Laporte coscienti che quando il bottino si farà più succulento sarà il francese ex Cofidis a ricambiare quel segno di gratitudine fatto dai due capitani designati, mettendosi a lavoro per loro, o fungendo come pedina fondamentale quasi su ogni percorso. In vista di Sanremo e classiche del Nord il resto della compagnia è avvisato, la Jumbo-Visma fa ancora più sul serio di quello che avremmo immaginato.


Van der Poel al Giro? E all'Amstel chi ci pensa?

Si parla, in queste ore, della possibile presenza di Mathieu van der Poel al Giro, che dire: sarebbe una notizia incredibile per noi giromani; Mathieu van der Poel come catalizzatore, come trascinatore; sarebbe senza ombra di dubbio elemento polarizzante: non ce ne vogliano gli altri corridori, ma quando si muove van der Poel, è come se ci fosse, in quell'ammasso di bici su strada, qualcosa in più.
Sarà per il suo modo di correre, sarà perché spesso e volentieri preferisce l'azzardo alla sicurezza, il rischio, calcolato fino a un certo punto: si va all'attacco per entrare nella testa di chi segue il ciclismo e per vincere in maniera mai banale; per diversi motivi immaginarci van der Poel sulle strade della Corsa Rosa ci rende euforici, lo chiamano hype. Già, soltanto dire van-der-Poel-al-Giro è un bel motivo per aumentare la voglia proprio di Giro che a un certo punto dell'anno (di solito in concomitanza con la fine delle classiche) ti prende e diventa irrefrenabile.
Van der Poel nei giorni scorsi ha ricominciato ad allenarsi: ha posticipato la sua attività a causa di noti problemi fisici; lo abbiamo visto in Spagna in un momento di tregua dopo un allenamento, con Campenaerts davanti a una frittella; non ha ancora sciolto le riserve sul suo rientro in gara, e quindi siamo ben consapevoli che in realtà non si sa se verrà al Giro. Teniamo lì in un cassetto questa bella suggestione pronta da tirare fuori più avanti in caso di conferma.

Il fatto certo è che le sue corse stanno per iniziare questo week end in Belgio e lui non ci sarà. Dopo il primo assaggio fiammingo il fine settimana successivo ci saranno la Strade Bianche e poi la Tirreno-Adriatico dove lo scorso anno van der Poel ha piazzato un paio di quei suoi timbri tutt'altro che banali, difficili da dimenticare. Ha mangiato lo strappo di Santa Caterina verso Piazza del Campo, una sgasata di cui si è parlato molto per numeri fatti segnare, per le sensazioni lasciate. Poi alla Tirreno è stata la volta de “l'azione di van der Poel a Castelfidardo" che è già diventato totem per gli appassionati, archetipo sul modo di correre senza calcoli, un po' meno per chi analizza con più freddezza le corse, perché da lì poi si dice "un'azione che lo ha sfiancato e che forse gli ha precluso brillantezza per la Sanremo". Verrebbe da dire: e chi se ne frega, van der Poel è questo e ci piace per questo. Poi quando (e se) sarà il tempo di raccontare le occasioni mancate ne parleremo.

Ci sarà un momento in cui la primavera (ciclistica) sarà quasi verso il giro di boa, ci sarà una corsa che lui ha vinto, ormai sono passati quasi 3 anni, e per certi versi è stata la prima vittoria davvero importante nella sua carriera su strada. Fu una corsa pazza, tirata, entusiasmante – qui ci vuole – davvero fino all'ultimo metro; una corsa ricca di significato per gli olandesi, che la crearono perché negli anni '60 si ritrovarono senza una grande classica da contrapporre al calendario belga, italiano e francese, loro che della bicicletta ne fanno una ragione di vita.
E se qualcuno si fosse dimenticato di quell'Amstel Gold Race vinta da van der Poel, noi vi riproponiamo il finale a questo link www.youtube.com/watch?v=Yi4opDanurU.
Volume al massimo nelle casse o se siete in ufficio nelle cuffiette per rivedere la scena sul rettilineo d'arrivo, sperando di poter assistere ad altre imprese di questo genere targate MvdP, magari perché no, pure al Giro d'Italia. Sarebbe un lusso che ci concederemmo volentieri.


Una nazionale e un’idea di ciclismo: intervista a Paolo Sangalli

Paolo Sangalli ha le idee chiare al termine del suo primo ritiro da Commissario Tecnico con la Nazionale Italiana Femminile: «Quando siamo arrivati in Spagna eravamo un gruppo volenteroso di crescere. Ora che ripartiamo siamo una squadra: è diverso». Capiamo subito che alla base del suo lavoro ci saranno alcune idee portanti a permeare il tutto: ad esempio quella di squadra. Sangalli racconta che un momento, in particolare, sarà delicato in questo percorso, quello delle convocazioni per gli appuntamenti importanti. Se riuscirà a far passare l’idea di team, quel momento sarà più semplice. «Se le ragazze escluse si sentiranno comunque parte di una squadra, lo accetteranno meglio. Il loro senso di appartenenza resterà tale e non sarà ridimensionato da una scelta. Ma, perché questo accada, devo essere bravo a farle sentire squadra, non gruppo. Questo non vuol dire che non debbano restarci male: chi ci resta male, ci tiene. E noi abbiamo bisogno di queste persone».

Il ritiro ha volutamente riunito un gruppo eterogeneo, dalle atlete più esperte alle più giovani, dalla pista alla strada. Qualcuna, Vittoria Guazzini, al rientro da un infortunio. Così deve essere per Sangalli. «C’è un valore particolare nello stare insieme: lo scambio. Penso alle giovani generazioni e alla facilità con cui sono abituate ad ottenere le cose. Qualcosa che viene dalla società, anche dalla tecnologia, dove un click apre un mondo. Vedere la difficoltà con cui Elena Cecchini o Marta Bastianelli sono arrivate dove sono arrivate e vedere lo spirito che continuano a metterci credo sia importante». Il rischio, continua il C.T., è che ci si abitui alla maglia azzurra quasi fosse un’abitudine. Sangalli è perentorio: non può succedere.

Anche per questo, nel 2022 sarà presente alla maggior parte delle gare internazionali di ciclismo. Un messaggio per le sue atlete e anche per le altre nazionali. «Sarà un ribadire che sotto la maglia della squadra di appartenenza, quella della nazionale deve restare sempre. Che non ci si può mai scordare di essere parte dell’Italia. Un messaggio per noi e per le altre nazionali. L’Italia è “la squadra”». Sangalli pensa a Olanda, Germania, Francia e Polonia, le nazionali che teme di più guardando al nuovo anno.

Una presenza che Sangalli ha iniziato a far percepire scegliendo di recarsi in prima persona nei luoghi in cui già erano presenti i ritiri delle squadre, quel “vado io da loro” che disegna i contorni della disponibilità di cui si torna a parlare più volte nella chiacchierata. Una presenza che, però, nulla deve togliere all’indipendenza.

Paolo Sangalli vuole crescere atlete indipendenti, che da sole siano in grado di seguire un programma di allenamento e, soprattutto, di capire se e quando è il caso di fermarsi. «Non si devono seguire a tutti i costi le indicazioni di un preparatore se non ci si sente bene. Basta fare una telefonata, mandare una mail, e il preparatore sarà il primo a dirti di aspettare a fare quel tipo di lavoro nel giorno in cui starai bene. Saltare un giorno di allenamento, alleggerire un carico, non è grave. È grave non essere capaci di farlo, è grave quel senso di colpa che si instilla quando non lo si fa, perché non ti rende indipendente, perché non ti fa conoscere te stessa». Anche perché, a livello percentuale, i giorni in cui gli allenamenti non vanno come devono andare sono molti di più di quelli in cui è tutto perfetto.

“Sai cosa accade? Ci si inizia a dare colpe e a dirsi che non si va, che non va bene. Invece no. Voglio che le mie atlete imparino che l’importante è fare il massimo che quel giorno ti consente. Poco o tanto che sia. Se, poi, in gara trovi una fuoriclasse non è colpa tua. Se hai fatto il massimo, puoi solo levarti il cappello. Van Vleuten si allena con gli uomini? Non tutte possono farlo e non deve nemmeno interessarci. Per Elisa Longo Borghini, ad esempio, è uno stimolo: “Quando la vedo, la stacco”. Lavoriamo su questo». In questo senso, la direzione Sangalli avrà due parole chiare: equilibrio e conoscenza. In tutti i campi.

A breve, Sangalli organizzerà anche una riunione con le atlete più giovani in cui, con l’aiuto di nutrizionisti, esporrà alcuni principi chiave in tema. «Se a gennaio si hanno due chili in più non è così grave. Come se si ha un chilo in più all’inizio di una corsa a tappe: c’è tempo per smaltirlo. Iniziamo a ridimensionare l’equazione magrezza eccessiva uguale a velocità. Non è sempre così. Con i chili si perdono anche watt e muscoli. Bisogna fare una valutazione singola e bandire certe idee prive di senso».

Il tutto sempre nell’ottica dello stare insieme e del parlare. Così la presenza in ritiro di Marco Villa e Marco Velo, che si occupano di pista e cronometro nel nuovo organico federale, è un altro tassello fondamentale. «Velo è tornato a ribadire la necessità di usare spesso la bici da cronometro, almeno settimanalmente. La competenza di Villa ci aiuterà moltissimo anche per la strada: un dietro motore su pista migliora la gamba molto di più di un dietro motore su strada». Attenzione particolare sarà riservata anche alla comunicazione: occorrerà essere diretti e giusti per riuscire a essere ascoltati. Con la consapevolezza che con ogni ragazza bisognerà adottare un metodo di comunicazione diverso, riconoscendone carattere e sensibilità. Elisabetta Borgia, psicologa clinica e dello sport, lo affiancherà dandogli indicazioni in tema per capire come cambiare approccio dove le cose non funzionassero. «Rendere tutti sereni è semplice, basta dire: “fate ciò che volete”. Questo, invece, sarà un ambiente sereno proprio grazie alle regole, ai ruoli e al loro rispetto».

Un esempio è significativo: «Qualche giorno fa, una ragazza ha preso una salita con troppa calma, così mi sono avvicinato. “Immagina di essere ad una classica importante: dopo questa salita ci sarà una discesa e poi uno sprint. Se non avessi la forza per lanciare la volata?”. In poco tempo si è riportata sulle compagne e in discesa era addirittura davanti alle altre. Il mio dovere è toccare le giuste corde».

A giugno si conosceranno i percorsi degli Europei, per quelli dei Mondiali, invece, qualcosa si può già prevedere: i primi trenta chilometri saranno in leggera discesa, poi una salita di sei chilometri con una pendenza non proibitiva se non nei primi due, ma «tutto dipenderà dalle volte in cui verrà ripetuta». Per questo ogni valutazione si sposta in avanti, con un punto fermo: siamo la nazionale che veste la maglia iridata. «A febbraio, con le più giovani ci sarà anche Elisa Balsamo. Mi immagino cosa possa significare per una ragazza di vent’anni allenarsi con la Campionessa del Mondo. Credo che quella vittoria abbia dato qualcosa in più a ogni ragazza che in ogni categoria riceva una convocazione».

Paolo Sangalli non si ferma qui, dagli anni in ammiraglia vorrebbe qualcosa in più. «Vorrei che nel ciclismo tornasse a esserci quella componente di poesia che abbiamo avuto per tanti anni e che ultimamente si è persa dietro ai dati. Alle nostre atlete e a chi ci segue vorrei portare anche questa consapevolezza, di tutto ciò che c’è dietro la fatica».

Foto: Bettini


Se un campione sale in ammiraglia...

Erano le strade del Giro dell’Austria di diversi anni fa. Paolo Savoldelli, quel giorno, non riusciva proprio ad andare avanti sulle pendici del Großglockner. Ad un certo punto, Giovanni Fidanza, suo direttore sportivo, lo fece scendere di bici e salire in auto. Savoldelli si ritira, guarda avanti, alla stagione. Mentre è in auto con Fidanza, l’ammiraglia offre assistenza agli ultimi del gruppo, alla rete, ai velocisti che quel giorno pagheranno dazio. Ad un certo punto, vedendo la fatica degli ultimi ad arrivare in cima, Savoldelli si volta verso Fidanza: «Ma questi fanno sempre questa fatica? No, se avessi dovuto fare così tanta fatica io non avrei fatto il ciclista».

L’esempio è calzante e Fidanza, ora direttore sportivo di Isolmant Premac, ce lo racconta per spiegare come la concezione dei grandi campioni sia qualcosa di particolare, perché, spesso, i grandi campioni ragionano con le proprie gambe e possono arrivare a dare per scontato che tutti abbiano quelle stesse gambe, quella stessa forza. Tutto parte dal ritiro di Anna van der Breggen che il prossimo anno salirà in ammiraglia della SD Worx. Quanto è difficile per un campione passare dall’altra parte, dismettere la propria vita da atleta e ripartire da zero? Quali saranno i punti focali che l’olandese dovrà avere presente? Sì, perché i campioni sono coloro a cui, almeno nell’immaginario collettivo, viene tutto facile e quando ti viene tutto facile è particolarmente complesso immedesimarsi nella fatica altrui, nelle cadute e in ciò che è difficile, se non impossibile.

Foto: Ilario Biondi/BettiniPhoto©2014

Giovanni Ellena, direttore sportivo di Drone Hopper - Androni giocattoli, premette che non c’è una regola, una legge, ma qualche considerazione si può fare. Qualcosa che vada oltre Anna van der Breggen, e provi a costruire un discorso generale. Ci dice che a suo avviso per essere un buon direttore sportivo devi avere provato, nella vita, non per forza in sella, a non essere capace di fare qualcosa, devi avere sentito di essere “fra gli ultimi” in qualcosa. «La regola è la fatica, da lì viene l’umiltà. I ciclisti sono umili perché prendono spesso sberle, se fai il ciclista diventi per forza umile perché la vita ti distrugge qualunque presunzione di superiorità. Mi viene da pensare che quando vinci sempre, quando vinci spesso, hai meno difese contro la frustrazione perché ci sei meno abituato. Un grande campione che sale in ammiraglia deve cercare di ricordare quella volta in cui ha fallito e si è sentito un nulla prima di parlare alla squadra».

Il punto non è che i grandi non sperimentino la fatica, anzi. Il punto è che per doti, talento, riescano ad andare facilmente oltre quella fatica. In un ruolo da direttore sportivo, colui che segna una strada, una via, è fondamentale cancellare ciò che c’è stato prima e ripartire da capo. Franco Pellizotti, Bahrein Merida, osserva: «Quando ero corridore tutti pensavano a me, avevo tutte le cure possibili. Da direttore devi offrire quelle cure ad altri. Passi da essere il primo a essere l’ultimo. Da corridore alimenti il tuo ego con le vittorie e i titoli sui giornali, la gente che ti cerca. Se un corridore della mia squadra vince una gara, in pochi verranno a fare i complimenti a me. La mia soddisfazione è nell’essere ascoltato, nella fiducia. Devi gratificarti in questo modo». Già, ma come tornano a osservare Ellena e Fidanza è un passo complesso, anche solo da accettare perché «passi da essere il primo a essere uno dei tanti. E, se non cambi testa, finisci per chiedere ai tuoi corridori ciò che avresti fatto tu, magari per dire “se lo facevo io, facevo prima. È un errore mostruoso. Se smetti, smetti. Non sei più un corridore, ma dirigi, guidi gli altri e, per farlo, ti servono caratteristiche diverse».

Le statistiche che tutti nominano parlano chiaro: sono pochi i grandi campioni che sono poi saliti in ammiraglia. Stefano Zanatta, Eolo Kometa, introduce un altro punto, provando a vedere la cosa con gli occhi dei corridori. «Forse è anche più facile accettare la fatica dell’essere ultimi o di staccarsi in salita quando sai che chi ti chiede di farla l’ha provata». Ellena continua: «Certe volte, quando non sai più come incitare, lo chiedi “per favore”. “Per favore tieni duro, arriva in cima. So cosa provi. Mi ricorderò di questa cosa. Te ne sarò grato”».

Foto: Roberto Bettini/BettiniPhoto©2018

Zanatta pensa a Ivan Basso e Alberto Contador con cui collabora, seppur in altri ruoli, in Eolo Kometa. «Quando siamo in fuga, Alberto spesso dice: “Cosa ci vuole? Ora ha questi watt, come la salita cresce di pendenza, aumenta i watt e stacca tutti”. Certo, con le sue gambe. Ma quanti sono i corridori con le sue gambe? È difficile spiegarglielo perché lui ricorda le proprie sensazioni, è inevitabile». Prosegue Zanatta: «Al Giro di quest’anno siamo quasi sempre stati in fuga, il giorno in cui non c’eravamo, Basso mi ha subito detto: “Ma come? Non siamo davanti?”. Gli ho detto di stare tranquillo e di avere pazienza, gli ho detto che sempre davanti non si può essere. Ivan e Alberto stanno facendo questo percorso ed è un percorso che tutti i grandi campioni che assumono altri ruoli devono fare. Che sia in ammiraglia o altrove. Perché lì essere stati campioni non conta più». Anche perché, e qui Ellena è molto chiaro, qualunque corridore ha l’istinto a indicargli cosa fare, se non lo fa è perché non riesce, per questo non serve a nulla urlare nella radiolina.

La questione è questa: accettare di tornare a zero ed essere disponibili a imparare e quindi a sbagliare. «Un direttore sportivo ha studiato, non guida solo l’auto, conosce i regolamenti nel dettaglio e li rispetta. Conosce le regole non scritte e le rispetta. Puoi aver vinto di tutto, devi riprendere i libri e dirti che non ne sai nulla. Partire dalla prima pagina, non dai titoli. Questo è il consiglio».

Poi c’è quello su cui i campioni non hanno bisogno di consigli. Così chi ha vinto tante gare ha ben presente i punti in cui si può fare la differenza, la pressione che si dura a essere i favoriti, la responsabilità di dover vincere ed è fondamentale. «Alle Classiche del Nord- racconta Pellizotti- mandiamo direttori sportivi che le conoscano bene. Io non sarei in grado di dare buoni consigli, per il semplice fatto che molte cose non le saprei». Sicuramente, in queste scelte, aiuta il fatto di partire dalla squadra in cui hai corso, perché conosci l’ambiente e, da compagno di squadra, hai presente i punti di forza e di debolezza dei tuoi corridori. Pellizotti avverte: «È importante, ma nei primi tempi è difficile perché devi far capire che sei il direttore e non più il loro compagno». Fidanza prosegue: «L’autorevolezza non viene da ciò che hai vinto. Viene dal fatto che sai esattamente cosa dire, non consigli generali, ma dettagli. Che sai quando è il momento di parlare e soprattutto sai che non bisogna sempre parlare di gare, che gli atleti non vanno stressati altrimenti non rendono più».

In fondo, è questione di immedesimazione, anche di empatia. È questione di ricordare ciò che si è provato quando le cose andavano male, perché quando vanno bene non c’è nemmeno bisogno di parlare. Anche i campioni conoscono queste sfaccettature, sono quelle di quando non arrivi staccato di mezz’ora ma di venti secondi e perdi il traguardo che avevi inseguito. Quelle dei tuoi gregari che, staccati, sono arrivati mentre tu stavi tornando in albergo. Non è questione di ciò che si può fare o di ciò che è facile in assoluto, è questione di ciò che per il singolo è più o meno difficile. La prima cosa da ricordare per un campione che salga in ammiraglia è proprio che dirigere vuol dire aiutare gli ultimi, perché i primi la strada la trovano da soli. Per aiutare gli ultimi bisogna ricercare l’umiltà che ti fa essere ultimo anche se, nella tua carriera, sei sempre stato primo. È forse una delle cose più difficili, in assoluto, vivere delle sensazioni degli altri. Ma è inevitabile. Per capire e guidare.


Cosa Chiedere ancora a Tadej Pogačar

- Ha il miglior motore del circondario;

- Ha 23 anni e ha già vinto non quanto, ancora, ma come alcuni dei più grandi di questo sport, sì;

- 2 Tour de France in maniera completamente differente. Il primo con una cronometro che è già storia (esse minuscola, mi raccomando) facendo venire il mal di testa e i complessi a Roglič, spazzato via tenendo in salita un passo impossibile per chiunque nel ciclismo contemporaneo. Lasciando van Aert e Dumoulin interdetti a guardare il maxi schermo. Il secondo Tour lo ha vinto demolendo la concorrenza in una tappa di montagna, e poi amministrando (e vincendone almeno un altro paio di frazioni con meno margine, ma da padrone);

- È il numero uno del ranking UCI (per quello che può valere) e si è portato a casa anche il Vélo d'Or;

- Ha vinto Liegi-Tour-Lombardia nello stesso anno come solo Eddy Merckx (che ha fatto quel filotto due volte, e in un ciclismo completamente differente);

- Ha deciso, in una giornata di fine dicembre, di partecipare a una gara di ciclocross (lui che campione nazionale di ciclocross lo è già stato) in Slovenia e ha vinto pure lì, cadendo e rimontando, a dimostrazione che, quando uno è baciato dal talento, può tutto;

- E a proposito: quanto bello sarebbe vederlo gareggiare nel fango, qualche volta, contro la banda, ormai allargata, fiammingo-britannica?

- Ha disputato 3 grandi giri: due li ha vinti, il terzo è un podio alla Vuelta ottenuta al suo esordio in una grande corsa a tappe, vincendo tre frazioni. Avrebbe compiuto 21 anni solo qualche giorno dopo la fine di quella corsa;

- Si parla spesso di lui perché un ciuffo biondo gli esce dal casco;

- Si parla spesso di lui perché guida benissimo la bici, va forte su ogni terreno in tutti i sensi, chissà se a fine carriera non possa essere corridore capace di vincere tutte (proprio tutte) le classiche più importanti compresi mondiali, Giochi e tutti e tre i Grandi Giri?

- Si parla spesso di lui perché contrappone, all'eccessiva magrezza di diversi corridori che hanno vinto le corse a tappe più importanti negli anni precedenti, un bel fisico muscoloso tutt'altro che emaciato;

- Nel 2021 si è ritirato al Gp Plouay (dopo aver attaccato da lontano con Alaphilippe e Cosnefroy) e non gli accadeva dal 2019 (San Sebastian). Per trovare un altro ritiro precedente bisogna scendere al 2017 quando era al primo anno tra gli Under 23;

- Nel 2021 ha conquistato il bronzo nella prova in linea dei Giochi Olimpici e non pareva nemmeno nella sua giornata migliore;

- Quest'anno fra le tante cose proverà la doppietta Fiandre-Tour riuscita nella storia solo a Bobet e, tanto per cambiare, a Merckx;

- In futuro potrebbe provare a vincere Giro e Tour nello stesso anno e l'impressione che, a stretto giro di posta, se non lui, chi?

Foto: ASO/Alex Broadway


Un'idea di giovani: intervista a Roberto Reverberi

«Continuiamo semplicemente a fare ciò che abbiamo sempre fatto, solo anticipando i tempi» esordisce così Roberto Reverberi, direttore sportivo della Bardiani CSF-Faizanè quando gli chiediamo degli otto ragazzi, tra cui due juniores, che la squadra ha aggiunto all’organico nell’ambito del progetto giovani. «Parliamo di atleti da proiettare tra i professionisti passo dopo passo. Anche sulla spinta dei procuratori, se non si agisce prima, questi ragazzi giungono subito in squadre World Tour o in Continental satellite. Da lì, il rischio temo sia quello di bruciarli».
In quarant’anni di questo lavoro, Reverberi ha visto le cose cambiare: «Una volta, passavano in pochi, probabilmente con un talento più pronunciato sin dall’inizio. Oggi il professionismo ha alzato di molto l’asticella. Questi otto ragazzi non devono dimostrare nulla, non chiediamo vittorie o risultati. Li sgraviamo da ogni pressione. Vogliamo solo professionalità massima, soprattutto per loro. Perchè questi treni passano una volta sola e non si possono lasciare scappare. È importante che lo capiscano».

Per i grandi risultati, invece, bisogna attendere e l’attesa, per Reverberi, è opportunità e consapevolezza. «Sanno che hanno la squadra a loro disposizione in ogni momento, se dimostrano di stare bene. Sanno anche che alla loro età il risultato principale è la continuità, non il picco. Purtroppo questo è un momento difficile. Senza gare fuori dall’Europa, a causa della pandemia, non c’è quasi più la possibilità di confrontarsi con un livello più tranquillo, ma ci si va subito a scontrare con squadroni e performance di altissimo livello. È necessario affrontare quelli più bravi, perchè quella è la realtà del ciclismo, ma servono anche le gare in Cina o in Malaysia perché ti danno morale. Ti consentono di continuare a lavorare mentre aspetti di essere all’altezza».
Nella scelta dei ragazzi, Reverberi ha osservato coloro che se la cavavano da soli e che erano sempre fra i primi pur, magari, non essendo in squadre molto blasonate. «Nelle squadre molto forti, vincono anche atleti che magari non vincerebbero in team minori. Li aiuta la tattica, li aiuta il controllo della gara. Se un ragazzo, da solo o quasi, riesce a farsi valere merita questa possibilità. Sono minimo tre anni di contratto, per provarci. Potremmo fare anche meno, perché per vedere il talento puro bastano tre mesi. Noi aspettiamo, non abbiamo fretta. Non serve diventare campioni o fare cose straordinarie. Per qualcuno ci vuole più tempo e glielo diamo».

La considerazione si sposta sui ragazzi più giovani, gli juniores, che hanno ancora un percorso scolastico in essere. «Faranno una quarantina di gare, non di più. La priorità è lo studio. Tutelarli significa anche questo». Qui si apre una parentesi importante e Reverberi vuole fare chiarezza, soprattutto in merito alla discussione sull’opportunità del passaggio nel professionismo di ragazzi così giovani: «C’è un buco normativo, solo in Italia tra l’altro. Il regolamento in essere risale a quando le squadre si dividevano tra dilettantistiche e professionistiche, per questo non prende in considerazione le Continental. Questi ragazzi, correndo con le Continental, potrebbero tranquillamente correre con i professionisti senza problemi. Si ritiene, invece, che non possano passare professionisti in quanto, in Italia sono richiesti due anni da Under23 per il passaggio. Non dico sia sbagliato, dico che le norme dovrebbero essere uniformi». Non finisce qui, perché l’accento Roberto Reverberi lo sposta proprio sulla tutela dei giovani: «Offriamo un salario minimo dei team Professional che altrimenti non avrebbero. Cerchiamo di preservarli. Credo sia necessario un adeguamento della norma. Le cose cambiano e le norme devono riconoscerlo».

Di consigli se ne potrebbero dare tanti. L’ambiente aiuterà perché, oltre ai direttori sportivi, in squadra ci saranno uomini di esperienza a supporto. Reverberi non fa nomi. Dice che non ha senso, soprattutto per non creare quelle pressioni di cui tanto si parla. «Tranquillità e lavoro sodo devono andare di pari passo. Voglio che questi ragazzi imparino a considerare ogni gara a cui parteciperanno come quella giusta da vincere. Spesso guardano troppo in là, selezionano i traguardi. Non si fa. A questa età ogni volta in cui sei in corsa devi provare a vincere. È un punto di partenza, si lascia da parte ciò che si è già fatto nelle categorie minori e si riparte. Nella vita bisogna saperlo fare. Impararlo a vent’anni è importante».


La nutrizione di un ciclista: intervista a Erica Lombardi

Erica Lombardi, dietista dell'Astana Premier-Tech parte dal ruolo dell’educazione alimentare per parlare di ciclismo. «Le informazioni non mancano, ma molte, troppe direi, non sono scientifiche. Così i ragazzi e le ragazze si fanno proprie convinzioni, errate, difficili da sradicare. Fare educazione alimentare vuol dire parlare della potenzialità di una corretta nutrizione per ottenere prestazioni importanti, soprattutto vuol dire allontanarli da qualunque pratica illecita». Servirebbe l’introduzione della materia nelle scuole perché, anche al di fuori del ciclismo, investire nell’educazione alimentare significa crescere persone sane e risparmiare sulla spesa sanitaria.

Abbiamo parlato con Erica Lombardi di alimentazione nel ciclismo e di come le tematiche alimentari vengano gestite all’interno delle squadre professionistiche.

Nel ciclismo le cose sono cambiate nel tempo e, oggi, parlare di alimentazione è come parlare di allenamento: qualcosa di quasi scontato. «Ciò non significa che non ci siano più disturbi alimentari legati alla pratica sportiva. Sarebbe scorretta un’affermazione del genere, ma significa che si è presa coscienza del problema e che si sta agendo: le squadre cercano sempre più la consulenza di medici, dietisti e nutrizionisti». Il discorso di Lombardi è chiaro: è cambiato l’approccio. Si è iniziato a considerare il peso in rapporto alla potenza. Nel ciclismo femminile è evidente: «Credo che una volta la spinta alla magrezza venisse da persone non qualificate e non titolate alla gestione della nutrizione, proprio perché queste figure professionali non erano ancora presenti nel team. L'attenzione al peso c'è sempre, soprattutto per scalatori e scalatrici, ma sicuramente c'è anche una maggiore consapevolezza della gestione del peso tra i componenti dello staff e l'atleta stesso. Il confronto “sulla magrezza” tra atleti c'è sempre, ma ci sono figure professionali che riescono a rendere maggiormente consapevole l'atleta del proprio percorso individuale nutrizionale e a non farsi influenzare nel raggiungere pesi non funzionali alla salute e alla performance».

L’approccio, continua Lombardi, è personale, dal camice al pedale perché gli atleti hanno una particolare routine di vita che non consente un controllo sul lungo tempo. «È importante la quotidianità, l’imprinting. Un mese senza confronti, controlli e verifiche è impensabile». Per questo lei stessa si occupa di verificare il fabbisogno di ogni atleta e di guidarlo nelle scelte. «C’è la cosiddetta dieta a watt, ovvero in base ai watt che il ciclista dovrà sviluppare in una determinata tappa. Il ciclismo è uno sport situazionale. I nostri grafici tengono conto della tappa, dell’altimetria, del meteo e persino del ruolo del corridore. In una corsa a tappe gli atleti vivono una situazione di deficit costante e il dopo tappa è essenziale per permettere il recupero. Collaboriamo anche noi alla preparazione della musette degli atleti e siamo in grado di stabilire quanti gel dovrebbe assumere un atleta su quella determinata salita, almeno in linea teorica».

Il problema, spesso, è lo stress legato a questa tematica che porta l’atleta a rincorrere qualunque novità, per risolvere un proprio problema. «Le diete nuove rischiano di essere un problema in quanto ogni dieta deve essere verificata sulla singola persona. Non c’è alcun ingrediente magico, serve tempo e consapevolezza. Accade invece che ci si perda in questa rincorsa alla novità, talvolta dannosa». Tutto perché tenere sotto controllo il peso è difficile: «È una sorta di pendolo di Schopenhauer: la forma è difficile da raggiungere e anche più difficile da mantenere. Le situazioni stressogene, nel giusto limite, favoriscono il controllo dell’alimentazione. Se esagerate, portano al training eccessivo. Serve equilibrio». Per esempio quando si parla di nutrizione e di gusto: «Tendenzialmente ciò che è buono e gustoso non nutre, ma i ciclisti sono uomini. Bisogna abbinare il nutrimento a qualcosa che sia piacevole da assaporare».

Erica Lombardi torna così a parlare di ciclismo femminile. «Quando si verificano situazioni problematiche, bisogna parlare alle ragazze e chiarire l’importanza di una corretta alimentazione che non significa ingrassare. Sono cose diverse». Il punto è che, anche con un’alimentazione corretta, a causa dell’allenamento intenso, a volte, si verificano situazioni di amenorrea in quanto, comunque, il corpo di una donna, predisposto ad accogliere il feto, avrebbe bisogno di più grassi di quelli che ha il fisico di una ciclista. «Sono abbastanza frequenti questi casi e a lungo andare sono causa di problemi ossei. Anche qui la presenza di un apparato medico è essenziale».

Perché, se è vero che la pratica sportiva è certamente salutare, la pratica sportiva ad alti livelli può essere usurante e, in questo senso, è dovere di ogni professionista fare attenzione alla prevenzione.


Il coming out nel mondo dello sport: ne abbiamo parlato con Elisabetta Borgia

Le dichiarazioni di Irma Testa, pugile ventitreenne, medaglia di bronzo a Tokyo, in seguito al coming out di qualche settimana fa, hanno fatto molto parlare nel mondo dello sport.

Noi abbiamo voluto parlarne con Elisabetta Borgia, psicologa clinica e dello sport a stretto contatto con il mondo del ciclismo, per avere un suo punto di vista sulle difficoltà che, purtroppo ancora oggi, permangono nel parlare apertamente del proprio orientamento sessuale, in particolare in ambito sportivo.

«L’omosessualità - esordisce la Dott.ssa Borgia - c’è sempre stata e sempre ci sarà, non è un fatto nuovo. Ciò che è cambiato nel tempo è il modo di percepirla da parte della società. Già solo il fatto che queste dichiarazioni facciano parlare rende evidente come, ancora oggi, permanga un canone che la società considera comune e di cui l’omosessualità non fa parte. Altrimenti non ci sarebbe bisogno di parlarne».

Oggi l’omosessualità è considerata uno stato esistenziale come molti altri e il gesto di uno sportivo importante che la dichiara apre alla possibilità. «È un bene che sportivi di rilievo facciano questo gesto perché si tratta di un messaggio lanciato alle persone più giovani, a chi si sente più debole e non ha il coraggio di vivere allo scoperto la propria sessualità. Un gesto di ispirazione. È come dire: “Si può dirlo, si può ammetterlo”. Questo, però, apre la via a tutta un’altra serie di considerazioni». Le considerazioni di cui parla Elisabetta Borgia sono quelle relative, in primis, all’accettazione personale di questo stato esistenziale.

«Se non si accetta personalmente, si è maggiormente esposti alle ferite che possono venire dal mondo esterno. Sempre e soprattutto in alcuni mondi, per esempio il ciclismo che è un piccolo universo, fortemente predisposto alla condivisione, alla comunione di spazi e tempi. Fare coming out senza una completa accettazione di se stessi può essere pericoloso, in quanto poi si rischia di non essere in grado di reggere ciò che accade perché, purtroppo, per sbagliato che sia, non si può sapere come le persone reagiscono, cosa dicono. Accettarsi vuol dire mettersi, almeno parzialmente, al riparo da quelle ferite».

Il focus della dottoressa Borgia va proprio sul ciclismo e sulle modalità con cui si vive. «Un gregario che lavora per il proprio capitano ha, e aggiungerei deve avere, una confidenza e un feeling maggiore rispetto a quello che esiste fra colleghi in qualunque altro lavoro. Questo, da un lato, dovrebbe portare a una maggiore facilità nella comprensione di ciò che vive l’altra persona, dall’altro, però, espone a problematiche importanti in quanto tutti abbiamo timore del giudizio, in particolare da parte delle persone con cui abbiamo più rapporti. Nel ciclismo è molto difficile separare la sfera personale da quella lavorativa».

Nel ciclismo questo fatto è inevitabile e si estende a più fattispecie: partendo dal rapporto privilegiato fra compagni e arrivando alla condivisione di circa duecento giorni in giro per il mondo, delle camere di albergo. «Capite benissimo che il rischio di esporsi a battute e giudizi, per come va la società di oggi, c’è e ha un peso rilevante. Scegliere di esporsi vuol dire assumersene le conseguenze e fare i conti con ciò che la tua realtà lavorativa, e non, ti porta. Non è un caso che Irma Testa abbia deciso di parlarne solo dopo la medaglia olimpica, come a ricercare una sicurezza prima, una forza che le consentisse di essere veramente libera».

Borgia considera questa dichiarazione come la fase finale di un’elaborazione di un conflitto interno, un processo di accettazione intimo e consapevole. «Sai perché certe cose ci fanno star male più di altre? Certe affermazioni di persone ci feriscono in maniera particolare? Perché alcune “fanno risuonare” certe parti intime, alcuni “nervi scoperti” in tutti i campi della nostra vita. Ad esempio, capita che qualche atleta rimanga molto male per un commento di un tifoso particolarmente offensivo, ad esempio “sei un corridore finito”: ecco, questa affermazione avrà spazio nel corridore se, forse, intimamente ogni tanto questo pensiero o questo interrogativo gli è balenato nei momenti di difficoltà, se invece è un atleta sicuro di se stesso non subirà un condizionamento così forte. Questo avviene anche per quanto riguarda l’orientamento sessuale: se si è sicuri e tranquilli rispetto a questa sfera, se si è consapevoli di non essere sbagliati, ogni affermazione offensiva e discriminatoria, che chiaramente va perseguita, non avrà un potere deflagrante così forte».

Maggiori difficoltà sussistono nel ciclismo maschile rispetto a quello femminile in cui questa realtà è, invece, più accettata. «Dipende dalla caratterizzazione che la società offre di un determinato ruolo. Nell’arte, nello spettacolo, in alcuni casi è più semplice vivere la propria omosessualità in quanto non c’è quel machismo che nello sport abbiamo. Il ciclista deve essere perfetto, forte, senza macchia e senza paura e l’omosessualità, nello stereotipo della società, non si abbina a questo. Quando qualcuno dice: “È uno sport da uomini” inconsciamente fa riferimento a questa caratterizzazione. E pensare che, a livello di personalità, è la donna a essere maggiormente predisposta al sacrificio e alla fatica».

È il peso degli stereotipi e dei pregiudizi che la società si porta dietro da sempre. «Forse i nostri figli si troveranno a vivere una realtà differente e saranno in grado di sconfiggerli. Io sono positiva rispetto a questa cosa, il processo è iniziato ed inizia a farsi strada la predisposizione ad una visione diversa. Questi bambini cresceranno in un mondo dove inizia a entrare nell’immaginario collettivo la possibilità che la famiglia possa essere felice anche se con due uomini o due donne e dove anche i giocattoli, le fiabe e le pubblicità televisive prendono in considerazione la vera forma del mondo».

Foto: ASO / Alex BROADWAY