Grazie ciclismo per questi momenti indimenticabili
Ciclismo e anno 2021 un binomio perfetto. Qualcosa che vorremmo riuscire a raccontare meglio ma forse più di ogni altro modo è stato lui a raccontarsi in maniera perfetta: esagerato, romantico, epico, preciso, spettacolare. Quello che abbiamo sempre chiesto e che spesso, nell'ultimo decennio, abbiamo solo visto (quando siamo stati più fortunati) a metà, relegato a episodi isolati.
Ciclismo e anno 2021 un pissi pissi bau bau tra due innamorati, e in mezzo noi; in realtà noi più che altro a fare da contorno ad applaudire; con gli occhi a cuoricino come la vignetta di un fumetto, persino il cuore che batte che pare uscire dal petto; o perché no, momenti irrefrenabili nei quali ci siamo alzati dal divano e non riuscivamo più a stare fermi nell'attesa di una volata, di un giro finale, di un centesimo in più o in meno, di un attacco decisivo, o anche scriteriato. A cercare con lo sguardo quel corridore su cui tanto puntavamo, a immaginarsi rimonte e rinascite, abbozzando per le delusioni, ma applaudendo tutti dal primo all'ultimo.
Ciclismo e anno 2021: un'intesa perfetta. Abbiamo provato a estrapolare alcuni momenti battezzandoli come “i momenti migliori della stagione”, ma potete immaginare quanto sia costato lasciarne fuori almeno altrettanti.
10) Bernal a Cortina (e sul Giau)
E chi se la dimentica quella giornata? Era il 24 maggio del 2021 e si imprecava perché le immagini non arrivavano: per via del maltempo non c'era copertura televisiva. Ci siamo affidati a una sorta di radiocronaca, come si usava una volta, ed ecco il gesto di Bernal che abbiamo definito quel giorno come di totale rispetto verso la corsa e i suoi tifosi; Bernal che sbuca sul nostro televisore solo nel finale, si leva via la mantellina nonostante freddo e fatica, con l'unico intento di mostrare la Maglia Rosa regalandoci una delle immagini simbolo del ciclismo 2021.
9) Roglič a Tokyo
Parrebbe uno sgarbo non inserire Roglič che in stagione ottiene 13 successi, uno più significativo dell'altro. Abbiamo scelto l'oro olimpico della prova a cronometro: perché è simbolo e perché vincere ai Giochi resta per sempre sulla pelle di ogni sportivo. Su un circuito pesante come un mattone, lungo e vallonato come una crono da Grande Giro, nonostante ciò, ahinoi ingenuamente pensavamo fosse tutto apparecchiato per Ganna, ma fu un dominio assoluto dello sloveno. 55'04'' il suo tempo volato via sopra i 48 orari di media. Oltre 1' sul secondo in un podio stellare, per una top ten degna di una prova di altissimo valore.
8 ) Viviani a Roubaix 2021
Il biennio a due facce di Elia Viviani vede dipinto il suo volto migliore in quel finale della corsa a eliminazione, solo pochi giorni fa, nel velodromo al coperto di Roubaix, mondiali su pista. Viviani che scalza via con una volata imperiosa il più giovane Leitão, come se la freschezza non contasse, ma solo colpo di pedale e talento; Viviani che da Tokyo in poi (bronzo nell'omnium, non va dimenticato) ha fatto nuovamente click: nella testa e nelle gambe. Viviani che a conti fatti porta a compimento una stagione iniziata fra i mugugni, conclusa con sette successi su strada, una medaglia olimpica e due mondiali su pista. Mica male.
7) Pogačar sul Col de Romme
Davanti c'era una fuga, mentre dal cielo pioggia grossa come biglie di vetro. E poi freddo e quindi mantelline, mica troppo normale a luglio seppure siamo sulle Alpi. Condizioni ideali per esaltare il ragazzetto col ciuffo biondo che spunta dal casco e che arriva (il ragazzo, ma volendo anche il ciuffo) dalle parti di Komenda, Slovenia. Siamo sul Col de Romme e mancano poco più di 30 km al traguardo: zona Pogačar. Lui attacca, stacca tutti, continua a guadagnare sul Col de la Colombière, devasta il Tour, prende la maglia gialla, alimenta (stupide quanto inutili) polemiche. Tra i suoi avversari diretti per la classifica generale il migliore è Vingegaard che paga 3'20''. Distacchi d'altri tempi per un corridore che riscrive la storia (di questo sport, sottolineiamo, altrimenti pare che esageriamo).
6) Van Aert Ventoux
E se si parla di storia (eheh) e Tour come non citare l'impresa di van Aert sul Mont Ventoux? Come non cantare le lodi di un ragazzo che, con la maglia tricolore belga, vince al Tour rispettivamente: in salita in fuga, dopo aver scalato il Mont Ventoux due volte e aver staccato fior fiori di corridori; a crono qualche giorno dopo; in volata sugli Champs-Élysées. Altro campione che pare essere arrivato da tempi diversi, ma in realtà è perché il ciclismo del 2021 è questo. Pochi calcoli, attacchi da lontano, corridori completi. La gente ringrazia.
5) Van der Poel Strade Bianche
E c'è Roglič, c'è Pogačar, c'è van Aert, non poteva mancare van der Poel. Era l'alba di una stagione magnifica e la Strade Bianche ci offrì uno spettacolo contornato da fuochi d'artificio. A giocarsi il successo il meglio del ciclismo mondiale con van der Poel che sullo strappo di Santa Caterina portava a scuola tutti, facendo segnare wattaggi mai visti. Staccava tutti, compreso Alaphilippe che poi qualche mese più tardi si rifarà invece con una serie di sparate delle sue. Di van der Poel si poteve mettere anche il sigillo sul Mur de Bretagne con quella maglia gialla simbolica a compimento di un finale lasciato in sospeso da nonno Poulidor. Abbiamo scelto gli sterrati senesi, non abbiamo fatto torto a nessuno.
4) Caruso al Giro 2021
Una delle emozioni più grandi di questo 2021 ce l'ha regalata Damiano Caruso al Giro d'Italia. Il suo podio non è figlio della retorica del gregario che finalmente si traveste capitano e vince, ma semmai è il sigillo di una carriera sempre ad alto livello. La vittoria sull'Alpe Motta con la curva dei tifosi che lo incita, la sua resistenza, l'aver staccato persino Bernal in maglia rosa ci danno la dimensione di quello che il corridore ragusano è. E secondo noi potrà ancora essere anche la prossima stagione, anche (o soprattutto) a 34 anni, nonostante il ciclismo dei giovani fusti.
3) Quartetto olimpico
Simone Consonni, Filippo Ganna, Francesco Lamon, Jonathan Milan: in rigoroso ordine alfabetico. La mattina dell'inseguimento a squadre a Tokyo è emozione pura. Lamon che lavora ai fianchi, poi si stacca, Consonni e Milan che fanno il loro lavoro pulito e di qualità, Ganna che trascina alla rimonta. E che rimonta! incredibile, impensabile a tratti insensata. Danimarca, dette Furie Rosse per un motivo, lo spauracchio da anni, i grandi favoriti: battuti sul filo dei centesimi. Una goduria che ci porteremo addosso tutte le volte che chiuderemo gli occhi e penseremo al 2021.
2) Mondiale su Strada (Da Remco a Julian)
E sì, perché domenica 26 settembre tra Anversa e Lovanio abbiamo assistito alla Corsa e non solo per l'assegnazione della maglia più bella del ciclismo (di tutto lo sport ?), ma perché due corridori hanno fatto in modo che difficilmente ce la dimenticheremo. Evenepoel ha esaltato; ha attaccato da lontanissimo come fosse uno di quei corridori di terza fascia che ci provano perché siamo a un mondiale ed è sempre bello portare in giro la maglia della propria nazionale; ha azzardato e non ha guadagnato, anzi, ancora oggi paga un presunto carattere poco accondiscendente secondo i due compagni di squadra che erano con lui nel finale (van Aert e Stuyven). Ma tant'è: a noi esalta con quel carattere che poi è il carattere del corridore vincente. Alaphilippe si è consacrato, invece. Ha attaccato tre, quattro, forse cinque volte: l'ultima è stata decisiva, nessuno ha avuto le gambe per seguirlo. Ci ha fatto letteralmente impazzire.
1) Colbrelli a Roubaix
E pensavamo di aver visto ormai tutto la settimana prima in quel bagno di umori e fragorosi pensieri. Pensavamo, in stagione, credevamo di aver visto un ciclismo italiano competitivo su (quasi) tutti i terreni. Pensavamo di non vincere più una corsa come la Roubaix poi è arrivato lui, Sonny Colbrelli e pochi minuti prima poteva esserci Moscon, ma la sfiga c'ha visto benissimo. Colbrelli invece è stato un sogno, per lui, per noi, per tutti.
«Vi ricordate da dove siamo partiti?» Intervista a Diego Bragato
«Vi ricordate da dove siamo partiti?», è questa la prima cosa che ha detto Filippo Ganna ai suoi compagni, dopo essere sceso dal podio dell’inseguimento a squadre.
Diego Bragato, preparatore degli azzurri dell'Italpista, ricorda bene quella serata in taxi, in Messico, dopo una prova di Coppa del Mondo in cui l'Italia non era entrata nelle prime otto. Accanto a lui c'era Liam Bertazzo: «Gli dissi che continuando a lavorare così saremmo andati lontano, mi guardò e: “Ma va! Dove vuoi che andiamo”. Ne abbiamo parlato l'altra sera».
Bragato lo ammette: all'inizio ci credevano solo i tecnici, la squadra sognava, ma la concretezza dei numeri era unicamente nelle mani dei preparatori. «Guardavamo gli altri quartetti e ci chiedevamo come facessero ad andare così veloci. I test, però, parlavano chiaro: avevamo i 1400-1600 watt che servivano per fare un buon lancio e anche i 500 watt che servivano per gestire una buona prova. Era solo questione di lavorarci, anno dopo anno perché risultati del genere li costruisci solo negli anni. Prima si parlava di qualche decimo di miglioramento, oggi si parla dell'Italia ai vertici alle Olimpiadi e ai Mondiali».
Diego Bragato sostiene che la marcia in più degli azzurri sia quella di essersi sempre sentiti tutti sulla stessa barca, anche quando le cose non andavano. «Marco Villa ha fatto sentire tutti parte integrante di questo gruppo. Nessuno si è mai sentito ai margini. Tutti i ragazzi sanno di contare. Spesso ci andiamo a scontrare con nazioni che si dedicano interamente alla pista, i nostri atleti, invece, sono atleti che vengono dall'attività su strada, come Ganna, Viviani, Consonni e lo stesso Milan. Questo accresce il valore dei risultati».
A Roubaix, non c'era troppa pressione, ma l'idea era chiara a tutti: «Non ce lo siamo detti apertamente, ma era evidente, che nessun risultato, tranne la vittoria, avrebbe potuto soddisfarci». Per questo, prima della finale con la Francia, Marco Villa ha chiamato a colloquio i ragazzi del quartetto. «La semifinale con la Gran Bretagna era filata anche troppo liscia. Intendiamoci: abbiamo fatto tutto quello che dovevamo fare, una prestazione ottimale. Solo che abbiamo vinto facilmente e, quando succede così, c'è sempre il rischio di rilassarsi. Villa ha ribadito che bisognava mantenere la stessa pressione, la stessa tensione contro la Francia». La Francia, tra l'altro, non aveva partecipato agli Europei, per preparare al meglio i Mondiali in casa. «Abbiamo stilato una tabella molto esigente. Sapevamo che la loro grinta avrebbe potuto metterci in difficoltà all'inizio, ma eravamo altrettanto certi che non avrebbero potuto reggere quel ritmo per tutta la gara. Ad un certo punto avrebbero ceduto e noi avremmo aumentato. E poi noi, alla fine, avevamo Ganna». Al posto di Lamon, che ha disputato le qualifiche, ha gareggiato Bertazzo: «Perché lo meritava avendo visto le Olimpiadi da bordo pista e perché era pronto. Le scelte di Villa sono sempre date da requisiti esclusivamente prestazionali. Per questo i ragazzi le accettano. Hanno visto dove possono portare».
Insieme a loro, la dedizione al lavoro di Simone Consonni, «Un ragazzo che sta crescendo sempre più, uno di quelli su cui puoi fare sicuro affidamento perché è schietto: se dice di essere pronto, dà tutto» e la freschezza di Jonathan Milan. «È il più giovane, come pensieri, come età, come atteggiamenti. Osserva sempre Ganna, lo segue e cerca di imitarlo, di imparare da lui. Filippo scherza su questa cosa, però la apprezza e prova a insegnargli tutto ciò che sa. Senza troppe parole, solo mostrandogli come fare. Nell'inseguimento individuale, Ganna era in finale per il bronzo, Milan per l'oro, avrebbero potuto essere avversari, eppure fino all'ultimo Filippo lo ha affiancato dandogli alcuni suggerimenti». Proprio quella finale per il terzo posto, a detta di Bragato, sarà molto utile a Ganna. «Ha mostrato professionalità fino all'ultimo, mentalmente era stanco, forse era anche una gara di troppo dopo la sua stagione, eppure ha dato tutto. I primi giri della semifinale sono stati un incidente di percorso, Ganna va più veloce anche in allenamento. È venuta fuori la sua umanità, è bello così». Nel post gara, Filippo Ganna ha parlato con Bragato: «Facile lottare per la maglia iridata, io lotto per il bronzo che è l'unica medaglia che mi manca. A parte gli scherzi: o esco di qui a piedi o con il record del mondo». Diego Bragato è restato ammirato dalla sua prova: «Avesse finito la finale, avrebbe frantumato il record del mondo. Secondo me, è partito anche troppo veloce».
Dall'altro versante, Marco Villa parlava con Milan: «Era entusiasta, sentiva, però, il peso di essere nella finale in cui tutti aspettavano Ganna. A bordo pista lo abbiamo applaudito. Marco glielo ha detto subito: “Comunque vada, devi essere fiero di ciò che hai fatto”».
Quando sabato sono scesi in pista Consonni e Scartezzini per la madison, Villa non c'era, e a bordo pista era appostato Bragato. La prima evidenza è rassicurante: Consonni e Morkøv, Italia e Danimarca, sono i più forti. L'Italia, però, non si monta la testa: fa una gara intelligente, guadagna punti agli sprint, guadagna due giri e «A posteriori, per un cambio sbagliato, non ci siamo giocati l'oro». Bragato va subito da Consonni a fine gara: «Questa è la dimostrazione evidente che non siamo da oro solo nel quartetto, possiamo essere a quel livello in qualunque disciplina, se continuiamo a lavorare». Il rammarico c'è, soprattutto per Scartezzini perché «Per come ha lavorato avrebbe meritato anche lui una maglia iridata. Michele sa che serve pazienza, il suo idolo è Viviani: quanto tempo ha aspettato Elia?».
Con Viviani, Bragato ha un rapporto particolare. Il veronese è stato il primo a volerlo come preparatore, anche su strada, quando Diego era giovanissimo e questa fiducia, per Bragato, ha voluto dire molto. La fiducia di Viviani ha, poi, portato la fiducia dell'intero gruppo. «La gamba c'era. I risultati di Scratch e Tempo Race, nell'Omnium lo testimoniano. Però Elia non era tranquillo, da questo sono venuti alcuni errori tecnico-tattici, per esempio quello che lo ha portato a sbagliare nell'eliminazione. Quella è stata la scossa per andarsi a prendere il podio. Nella corsa a punti, abbiamo visto il vero Viviani che, in queste prove, resta uno dei primi tre al mondo».
Bragato, sabato sera, lo affianca all'uscita del velodromo: «L'eliminazione di domani non sarà una gara singola per noi, sarà una continuazione della prova di oggi. Riparti da qui. Gli alti e bassi ci sono stati e li hai superati, ora puoi prenderti quella maglia iridata». Glielo ha ripetuto più volte, Bragato. Anche la mattina a colazione. Oggi, tuttavia, ha la certezza che anche un altro passaggio sia stato fondamentale: "Mentre Elia faceva i rulli, c'erano Scartezzini e Consonni che si stavano prendendo l'argento. Vederli lottare così lo ha aiutato. Vedere il gruppo di cui è capitano giocarsela così gli ha dato forza».
Bragato conosce sin troppo bene Viviani, sa che ha bisogno di tranquillità. Così prima della gara torna a parlarci: «Elia Viviani resta un campione qualunque cosa accada adesso. Fallo per te, Elia. Solo per te e per nessun altro. Vai a prenderti quella maglia perché te la meriti». Il finale lo sappiamo tutti. «Gli ultimi due anni sono stati difficili per Viviani. Quando le Olimpiadi sono state rimandate, ha sofferto molto. Sapevamo a cosa stavamo lavorando, ma dovevamo aspettare. “Abbi pazienza- gli dicevo- farai una grande Olimpiade e torneranno anche le vittorie su strada”. È successo proprio così».
Domani c'è il Mondiale
Quella corsa che tutti sognano: chi corre e chi aspetta, chi scrive e chi tifa. Quella gara che ti dà una maglia che, se ce ne fosse bisogno, rende ancora più unico il ciclismo. Potevamo fare una lista di trenta, quaranta nomi, fra quelli che vinceranno e indosseranno la maglia arc-en-ciel per tutto il 2022. Talmente tanti i possibili finali del multiverso di Leuven: un percorso che pare meno duro di quello che si prospettava alla vigilia e che si apre a diversi scenari. Ne abbiamo scelti dieci: diteci anche la vostra.
𝐖𝐨𝐮𝐭 𝐯𝐚𝐧 𝐀𝐞𝐫𝐭 è il più completo e continuo del 2021 e potrebbe vincere in qualsiasi modo. Gli argenti conquistati in diverse occasioni fra poche ore vorranno fondersi e come per una strana alchimia diventare oro. Corre in casa, tutti sono per lui, il gruppo è contro di lui (come si è sempre contro il più forte), ma se dovesse vincere, paradossalmente, non farebbe scontento nessuno. Almeno così ci piace credere.
𝐌𝐚𝐭𝐡𝐢𝐞𝐮 𝐯𝐚𝐧 𝐝𝐞𝐫 𝐏𝐨𝐞𝐥 arriva a fari spenti che sembra un po' un paradosso quando si parla di lui ma è così. Naïf nel modo di correre a volte, e anche di organizzare la sua stagione che difatti gli lascia strascichi fisici. C'è quella rampa a sei dall'arrivo che pare fatta apposta per il miglior van der Poel. Ma sarà il miglior van der Poel?
𝐉𝐮𝐥𝐢𝐚𝐧 𝐀𝐥𝐚𝐩𝐡𝐢𝐥𝐢𝐩𝐩𝐞 più di testa che di gambe perché il campione uscente in rare occasioni quest'anno ha dimostrato quell'attitudine vista la stagione precedente. Il discorso è che lui è Alaphilippe, non uno qualsiasi, e, se pure non al meglio: scommettereste mai contro uno così? In Francia hanno in cantiere una serie di piani alternativi da fare impallidire uno sceneggiatore folle e che vanno da Laporte a Cosnefroy, passando per Sénéchal e Démare e finendo a Turgis. Squadrone.
𝐌𝐚𝐭𝐭𝐞𝐨 𝐓𝐫𝐞𝐧𝐭𝐢𝐧 per l'Italia. Perché potevamo dire Colbrelli e la forma della vita, o Nizzolo e Ballerini e il loro spunto finale, ma se c'è un azzurro che si meriterebbe di vincere è lui. Uscito bene dalla Vuelta è in crescita, ha l'esperienza giusta, e sogna uno svolgimento simile ad Harrogate 2019 ma con finale completamente diverso.
𝐄𝐭𝐡𝐚𝐧 𝐇𝐚𝐲𝐭𝐞𝐫 è il più giovane fra quelli su cui scommetteremmo. Se non si conoscesse la sua stagione sembrerebbe folle inserirlo qui, ma va forte e soprattutto, un po' con caratteristiche simili a quelle di van Aert, potrebbe vincere (quasi) in ogni modo. Da valutare sulla lunga distanza , ma per la Gran Bretagna più lui che Pidcock.
𝐌𝐢𝐜𝐡𝐚𝐞𝐥 𝐌𝐚𝐭𝐭𝐡𝐞𝐰𝐬 perché ovunque ti giri lui c'è sempre. Magari non vince ma è lì. Si attacca e non ti molla e poi, visto lo spunto veloce, può infilarti. Il percorso è tagliato per lui che corre sempre davanti e coperto a ruota altrui e ha la forza giusta per resistere alle accelerate. In casa australiana però non fanno mistero di guardare con buon occhio il finale di Ewan. Nel caso arrivassero davanti entrambi: chi si sacrifica per chi?
𝐌𝐚𝐭𝐞𝐣 𝐌𝐨𝐡𝐨𝐫𝐢č è la punta di una Slovenia che presenta i dominatori di Tour (Pogačar) e Vuelta (Roglič) i quali forse si sarebbero aspettati (come anche noi umili osservatori) un tracciato più duro, ma con quel talento mai darli per vinti. Mohorič ha tutto per vincere: scatto, spunto, fondo, scaltrezza, forma e capacità di guida della bici. Ha già vinto due mondiali in passato che male non fa. Si saprà ripetere?
𝐑𝐞𝐦𝐜𝐨 𝐄𝐯𝐞𝐧𝐞𝐩𝐨𝐞𝐥 perché se vogliamo una gara spettacolare con attacchi che partono magari dalla media distanza, scorribande già nel circuito fiammingo con uomini forti, guardiamo lui. Che si dice pronto a spendersi alla causa van Aert ma è così ambizioso che un modo per cercare di far saltare il banco lo troverà. O almeno ci proverà.
𝐌𝐚𝐠𝐧𝐮𝐬 𝐂𝐨𝐫𝐭 𝐍𝐢𝐞𝐥𝐬𝐞𝐧 esce dalla Vuelta come uno spauracchio. È una delle punte di una formazione danese che da più parti hanno definito gli Avengers. Completo, alla stagione migliore della carriera, come tutto il movimento danese è all'apice. Può adattarsi alle più svariate situazioni: volata ristretta, corsa dura, persino fuga. Due anni fa Pedersen, domani l'iride potrebbe prendere di nuovo la strada della piccola nazione nord-europea.
𝐌𝐚𝐫𝐜 𝐇𝐢𝐫𝐬𝐜𝐡𝐢: ci piacciono quei nomi che potrebbero fare corsa dura e Hirschi è uno che calza a pennello in caso di selezione. Non è l'Hirschi del 2020, ma è in crescita e, seppure giovanissimo, lo stiamo imparando a conoscere come profilo che si ingrossa non appena si alza la posta in palio. La Svizzera sin qui al Mondiale è arrivata più volte vicina al colpo grosso: magari con Hirschi, che ha fondo e resistenza e alla fine di 270km si difende bene anche in uno sprint ristretto, è quella buona.
E poi ancora Sagan e Stuyven, Lampaert e Teuns, Kristoff e Asgreen, Pedersen e Valgren, magari Aranburu (la Spagna ogni tanto qualche scherzetto lo combina), Degenkolb o Politt. Bissegger e Almeida, Simmons, Kwiatkowski o Štybar. Qualcuno magari ce lo siamo lasciati per strada, ma insomma l'elenco ci pare sufficiente.
E i vostri favoriti chi sono?
Foto: Luigi Sestili
UCI e Gravel, ne parliamo con Enough
L'annuncio UCI, riguardante la creazione di una nuova serie gravel e di un campionato mondiale apposito, ha aperto un interessante dibattito nell'ambiente. Abbiamo scambiato qualche impressione con Federico Damiani, una delle anime del team Enough, che in Italia è velocemente diventato un riferimento nel settore: «Sono tematiche complesse in cui la lucidità di analisi è fondamentale. Prima di farsi un'idea specifica di ciò che potrebbe accadere, bisognerebbe conoscere in maniera accurata quello che l'UCI vorrà fare e a oggi questo non lo sa nessuno. La speranza è che venga salvaguardato il clima di condivisione e festa che, soprattutto qui in Europa, è alla base del mondo gravel. Nessuno, anche ai vertici, però ha detto che questo non avverrà». Damiani pone l'accento su un tema importante: si parla spesso di spirito e disciplina gravel, ma il termine gravel racchiude un insieme di cose talmente diverse da non potersi semplificare così. «È una disciplina così vasta da non essere una disciplina: credo che se questo avverrà, sarà sul modello americano, gare più veloci su fondo sterrato. In Europa, invece, abbiamo gare più lunghe e basate anche molto sulla fruizione del paesaggio, che si avvicinano di più al mondo ultracycling. Basta fare un confronto fra Unbound Gravel e Badlands».
Le gare lunghe, specifica Damiani, sono, in fondo, un modo diverso di viaggiare: «Di solito nel viaggio scegli tu dove andare, come e quando, riservandoti anche di rimandare. In queste gare invece è il mondo a “capitarti” addosso e tu lo vivi in quel momento».
Un indizio che propende per il modello americano è il fatto che, a quanto pare, sarà prevista una vera e propria Gravel Fondo Series per le qualificazioni agli eventi più importanti. «Qui i punti sono due. Il primo è capire in che relazione saranno questi eventi con il calendario gravel che conosciamo. Di certo, se i nomi maggiormente rappresentativi non dovessero partecipare a queste gare, il potenziale Campione del Mondo in carica sarà parzialmente delegittimato. Il secondo, invece, concerne il fatto che chi partecipa a questi eventi anche per il paesaggio e i luoghi che vede, e sono moltissimi, farà più fatica a dedicare un intero fine settimana a una gara che in realtà da questo punto di vista non offre nulla». A questo proposito gli fa eco Mattia De Marchi, recente vincitore di Badlands: «Dovremo essere noi bravi a raccontare alle persone che, qualunque sia la decisione presa, nella visione della bicicletta e del ciclismo non cambierà nulla: già adesso ci sono persone che hanno una maggiore propensione agonistica e altre che invece vogliono solo godersi il momento».
Già, perché tanto De Marchi quanto Damiani sono concordi sul dire che nessuna scelta UCI potrà mai cambiare ciò che il gravel significa per ciascuno. «Crediamo sia sbagliato togliere l'aspetto di festa e scambio dalle gare gravel, però non bisogna nemmeno demonizzare la parte di agonismo che c'è. Quella c'è in tutte le circostanze della vita, non si può fingere di non vederla». Mattia De Marchi continua: «Mantenere le relazioni è molto semplice: basterebbe dormire tutti nello stesso villaggio e preservare i momenti di convivialità. Evitare che ad un certo punto ci sia un fuggi fuggi ognuno nella propria camera di albergo perché “si deve gareggiare”. Se lo si farà, questa scelta potrà anche avere buoni effetti». Il vincitore di Badlands si riferisce alla possibilità che più professionisti si avvicinino a questo mondo, soprattutto coloro che soffrono l'eccessiva competitività, le rinunce e le pressioni. «Saranno pochi, magari, ma di certo qualcuno ci sarà e questo sarà il modo per raccontare un ciclismo diverso, per far capire che può esserci». Del resto, come Federico Damiani spiega bene: «Il mondo gravel non è più un mondo di nicchia e ovviamente crescendo ha iniziato a suscitare interessi commerciali. Peter Stetina ha detto che si sarebbe dovuti per forza arrivare a questo punto. Non so se “per forza”, ma che ci si sarebbe arrivati era prevedibile».
Di fronte a ciò che accade, allora, la domanda migliore che ci si possa fare è come leggerlo per trasformarlo in una opportunità. «Se si avvicinassero sempre più media? Se anche la televisione provasse a raccontare una gara in Kenya, ad esempio? Forse non in diretta, ma in leggera differita. Un sacco di persone seguono i nostri tracciati sulle mappe interattive - continua De Marchi - proviamo a pensare a cosa potrebbe voler dire seguire le immagini televisive. Non tanto per la cronaca, per raccontare il prima e il dopo. Per raccontare gli ultimi ancora più dei primi: è in loro che le persone si immedesimano».
Il mondo cambia e Federico Damiani fa notare che ciò che avviene ora nel gravel è già avvenuto nella mountain bike senza tutte queste discussioni: «Non mi risulta che ci siano persone che si domandano se sia corretto oppure no disputare una gara di cross country. Il punto è sempre il come. Penso alle regole: è del tutto ovvio che delle regole servano, ovunque non solo nel gravel. Ad oggi si rispettano anche tante regole non scritte, per esempio in alcuni eventi, fermarsi tutti assieme ai ristori e poi ripartire. Se ci saranno tante regole scritte, dubito che qualcuno rispetterà quelle non scritte. Anche perché il livello cresce sempre».
Detto che in ogni scelta è lecito seguire anche una logica commerciale, l'importante è che non ci si limiti esclusivamente a quella. «Si può parlare con i brand, ma è necessario parlare anche con gli atleti o gli organizzatori degli eventi e questo, purtroppo, al momento non è stato fatto. Speriamo che l’UCI lo faccia presto» si augurano Federico e Mattia.
Il giudizio è, quindi, sospeso almeno fino a quando non ne sapremo di più.
Il motore della polivalenza
Tra i vari spunti nati durante l'Europeo appena concluso, il discorso sulla multidisciplinarità che coinvolge i protagonisti di (quasi) tutte le gare ha un'importanza centrale.
Volendo stringere il campo ai medagliati fa impressione come molti di loro abbiano in comune la pratica di altre discipline, o un passato che non si è cibato di sola strada e in alcuni casi nemmeno di solo ciclismo. Su 36 medaglie assegnate nelle prove individuali ben 22 affondano le radici altrove - e da questo dato abbiamo tenuto fuori Evenepoel, ex calciatore.
Si parla di corridori di elevata caratura, senza ombra di dubbio, ma un talento non è tale se non è coltivato e allenato, ed è così che grazie al lavoro al di fuori della strada (ciclocross, mtb, pista) migliora l'esplosività, la capacità di esprimersi fuori soglia, l'abilità nella guida del mezzo, il colpo d'occhio, persino la qualità della pedalata. E la capacità di portare nelle varie specialità ciò che si è assorbito altrove, e in alcuni casi non per forza solo nel ciclismo, è un'importante tema di dibattito.
Il podio della gara juniores maschile è formata da due che in inverno praticano ciclocross: Grégoire e Martinez. Se Grégoire - un predestinato assoluto del ciclismo mondiale - sceglie il fango più per allenarsi in inverno e non perdere il colpo di pedale, Martinez è attualmente vice campione nazionale nel cx tra gli junior. Carente ancora nella capacità di guida, è proprio insistendo nel fuoristrada che riuscirà a limare i propri difetti. Dello stesso avviso è Uijtdebroeks (argento nella crono), da molti considerato il più grande talento tra i 2003: l'anno prossimo salterà direttamente da junior al World Tour, ma prima di farlo ha già detto che gareggerà nel ciclocross per migliorare le sue capacità di guida.
In mezzo ai due francesi è arrivato il norvegese Hagenes, uno che d'inverno fa sci di fondo e lo ha fatto anche a buon livello tanto da dominare una gara di coppa di Norvegia lo scorso anno. Alla domanda se continuerà con entrambe le attività ci ha risposto che l'impegno su strada con la Jumbo-Visma Development Team l'anno prossimo sarà centrale, ma che d'inverno continuerà a infilarsi gli sci ai piedi per mantenere la forma. E aggiungiamo noi: per staccare, rilassarsi e poi tornare a divertirsi in bici, altro punto focale del discorso.
L'ungherese Vas tra tutti è l'esempio più eclatante: il suo motore è impressionante, le sue caratteristiche sono un vero trattato sulla multidisciplinarità. Vas è stata battuta da Zanardi (a proposito: campionessa europea su pista), ma poche settimane fa arrivava quarta a Tokyo nella prova di Cross Country di MTB dietro le dominatrici svizzere, mentre in inverno è una che, seppur giovanissima, un po' alla volta mette con profitto la sua bici in mezzo o davanti alle élite olandesi.
Due terzi del podio della crono maschile under 23 arriva da pista (Price-Pejtersen, Danimarca) e ciclocross (Waerenskjold, Norvegia). Se il danese continua l'attività nei velodromi, il norvegese, dopo aver vinto diversi titoli nazionali, ora nel ciclocross si cimenta più per tenersi allenato che per un fatto puramente agonistico.
Il podio della crono maschile non ha bisogno certo di presentazione: Ganna e Küng su pista hanno giusto qualche risultato importante, mentre tra le donne élite, Reusser (oro nella crono) arriva da Triathlon (come anche Segaert, oro nella crono junior maschile) e Bike Marathon, Muzic (bronzo in linea) la puoi trovare gareggiare, a volte, nel ciclocross.
Una delle vittorie più imprevedibili della rassegna europea, quella di Thibau Nys, nasce proprio dalle brughiere, infangate o polverose a seconda del momento.
Di che leggenda del CX parliamo quando parliamo di suo padre Sven inutile dirlo, ma anche Thibau qualcosa ha fatto prima di sorprendere tutti nello sprint ristretto davanti al Duomo, incuriosendoci non tanto per la vittoria - fosse veloce si sapeva - quanto per essere riuscito a rimanere attaccato ai migliori: i limiti del classe 2002 belga sono ancora inesplorati e su strada potrà fare una carriera ancora superiore di quella accennata nel fuoristrada. Che continuerà comunque a praticare con profitto portando poi sull'asfalto tutto quello che avrà assorbito e imparato.
E ancora: Ivanchenko, oro nella crono junior femminile, ha dominato i recenti mondiali su pista di categoria con tre ori; Niedermaier, seconda, arriva dallo Sci Alpinismo, un mondo che continua a frequentare, mentre Uijen, terza, si difende bene anche su pista, come Le Huitouze, bronzo nella crono junior maschile, e Brennauer, bronzo élite femminile sempre contro il tempo.
Infine van Dijk, un oro e due argenti a Trento e un palmarès da favola a cronometro, ha iniziato la sua carriera sportiva nello speed skating praticato a buon livello - e buon livello per lo speed skating in Olanda significa avere una certa rilevanza.
Vuol dire poco o nulla, magari, in taluni casi, soprattutto se parliamo di attività svolte in età precoce, ma è evidente come questi motori abbiano iniziato a svilupparsi non solo lontano dalla strada, ma anche dalle due ruote. E così, all'apparenza, sembra male non faccia.
Anche l'Italia mostra qualcosa in ambito multidisciplinarità, pur rimanendo la pista ciò che dà maggiore impulso al movimento. Zanardi l'abbiamo già nominata, mentre Guazzini, campionessa europea a cronometro tra le Under 23 punta a diventare una big assoluta nei velodromi. E ci siamo fermati alle medaglie altrimenti l'elenco sarebbe sterminato.
Si iniziano anche a intravedere anche alcuni giovanissimi che partendo da esperienze maturate nel ciclocross (tre nomi: Realini, Masciarelli e Olivo, il quale va forte anche su pista) provano a ottenere risultati anche su strada. Qualcosa si muove anche da noi ed è arrivato il momento di investire ulteriormente e di spingere sull'acceleratore della polivalenza (che significa proprio il contrario dell'abbandonare un'attività a discapito dell'altra, soprattutto nel caso del ciclocross) che come abbiamo visto, può dare solo buoni frutti.
Foto: Bettini
Come un puzzle - TRENTINO 2021 - DAY 2
Anno dopo anno il serbatoio da cui si attinge nel settore a cronometro italiano è sempre più ricco di talento: Bonetto, Romele, Barale, Cipressa, tanto per citare ragazzi e ragazze che ieri mattina la medaglia nelle due prove junior non la conquistano, ma mostrano come il futuro abbia trovato le prossime locomotive.
Non importa che le medaglie non siano arrivate, anzi, non è un male. Il livello internazionale è estremamente alto, alcuni avversari sembrano già professionisti (e tra questi alcuni passeranno professionisti fra pochi mesi). C'è fermento, c'è voglia, c'è talento, passione, che ritrovi non solo in chi corre, ma anche in tutti quelli che aspettano un autografo dietro le transenne o nell'alpino che insiste per farsi fare una foto con il fan club di un corridore.
Tra questi talenti c'è Samuele Bonetto. 5° nella prova junior del mattino, lui dice di sentirsi un diesel e di lui dicono che ha margini importanti, e che quei margini li vedi dai piccoli errori che ancora compie (e per fortuna).
Corre senza computerino: «Vado a tutta da subito, corro a sensazione. Perché sono andato più forte nella seconda parte? Perché questo dice il mio motore». È un ragazzo, ma come tutti i ragazzi della sua età che fanno ciclismo pare ormai fatto e pronto.
Lo capisci dal potenziale, lo cogli subito da come parla. «A soli 3 secondi dal podio ci avrei messo la firma. Tra Europeo e Mondiale su pista, fino a Trento, sono stato sballottato qua e là» Sì, però, aggiunge, è stato un bel girare: campione europeo e mondiale dell'inseguimento in meno di un mese. Correndo, aggiunge, equipaggiato con una bici, casco compreso, con pezzi appartenenti a Ganna, Consonni, Milan, Lamon e Scartezzini. Praticamente un puzzle. «Non è che già a ottobre al Mondiale vuoi rubare il posto a questi campioni?» scherzo. «Ma va! Ne deve passare di acqua sotto i ponti», mi risponde. Schietto e divertito. Mica male 'sto Bonetto.
Foto: Bettini
Il Monumentale degli Europei di Ciclismo - TRENTINO 2021
Plumelec, Herning, Glasgow, Alkmaar, Plouay e Trento: che cos'hanno in comune queste città? Facile, visto il tema del dibattito, sono (state e saranno nel caso di Trento) le sedi dei Campionati Europei di ciclismo da quando, nel 2016, la manifestazione si è aperta ai professionisti.
Sagan, Kristoff, Trentin, Viviani e Nizzolo: e loro chi sono? Cinque tra i corridori più resistenti ed esplosivi del gruppo, a sprazzi qualcuno di loro persino il numero uno al mondo; quel tipo di corridori che se li vedi di fianco faresti bene a scrollarteli di dosso sapendo che ti potrebbero battere quattro volte e mezzo su cinque allo sprint. Sì, ma vogliamo sapere di più; entrando nell'argomento, chi sono? Ancora più facile: sono i cinque vincitori delle prime cinque edizioni degli UEC, i campionati europei, con Nizzolo, vincitore uscente, che non difenderà sulle strade di Trento la sua maglia bianca con una striscia celesta, una blu, un'altra azzurra e le stelline gialle: i colori che rappresentano l'Europa. Un po' a sorpresa, infatti, è rimasto fuori dagli otto scelti dal CT Davide Cassani.

Lo scorso anno, in Francia, proprio Nizzolo fu il terminale offensivo di una nazionale che corse alla perfezione, come per altro accadde nelle due precedenti edizioni; il velocista milanese infilò Démare, Ackermann e van der Poel sulla linea del traguardo dopo essere stato magnificamente pilotato da Ballerini, andando a chiudere una splendida doppietta: aveva conquistato il tricolore esattamente tre giorni prima.

Nel 2019 fu Viviani il goleador azzurro sul percorso di Alkmaar. Il velocista veronese visse una delle migliori stagioni in carriera e quel giorno, senza troppi dubbi, corse la sua miglior gara di sempre su strada. L'Italia, come al solito, si mostrò decisa e compatta, portò fuori la fuga decisiva e poi si affidò a un Elia tirato a lucido. Nel vento olandese il plurimedagliato olimpico andò via con Lampaert e Ackermann; rimase solo insieme al belga per poi batterlo allo sprint, vincendo praticamente per distacco con la risolutezza di un cacciatore di classiche navigato.

Del 2018 - poi indietro non torniamo più, promesso - si ricorda una delle edizioni più spettacolari con un podio che a rivederlo oggi fa quasi paura: Matteo Trentin, nel circuito di Glasgow, tra pioggia e una planimetria degna di uno slalom speciale, sconfisse Mathieu van der Poel e Wout van Aert che ancora all'epoca non erano, almeno su strada, sul fango sì, quei due Dioscuri che conosciamo oggi. Fu un'edizione spettacolare, snobbata da diversi big, ma indimenticabile per i nostri colori.
L'Italia, dunque, dopo aver vinto le ultime tre edizioni, si appresta così a ospitare un evento che anno dopo anno cresce d'importanza all'interno del calendario internazionale diventando così riferimento e appuntamento (quasi) da non perdere anche per i professionisti – basta vedere alcuni dei nomi presenti nella starting list.
E Trento, per gli Europei 2021, come vedremo a breve, mette in campo uno scenario estremamente affascinante dal punto di vista del paesaggio e complicato da quello tecnico; il percorso sarà, senza nemmeno farlo apposta, ancora un dolcetto da gustare per quei corridori simil-Sagan vecchia maniera, quelli che abbiamo già definito esplosivi, veloci e resistenti. Ma attenzione, come vedremo, diverse nazionali quelle ruote veloci ed esplosive le lasceranno a casa (chi per scelta tecnica, chi per prepararsi verso il Mondiale che si correrà settimana prossima) portando corridori che fanno della corsa d'attacco il loro mantra. Altre addirittura infarciscono il proprio roster di scalatori e scattisti. Le premesse per vederne delle belle e per variare le chiavi di lettura della gara ci sono tutte.
E toccherà a loro, ma non solo, mettere in strada il meglio che avranno nelle gambe e nella testa il 9 e il 12 settembre del 2021 per la cronometro individuale e poi per la gara in linea, come sempre l'appuntamento clou di ogni manifestazione ciclistica di questo tipo.
Sarà l'occasione anche per vedere le giovani speranze del vecchio continente: si partirà l'8 settembre con le prove a cronometro dedicate agli juniores, ragazzi e ragazze, e la staffetta mista dove l'Italia parte con ambizioni importanti. Il giorno dopo invece il menù sarà ricco che più ricco non si può con ben quattro gare contro il tempo: crono donne Under 23, crono donne élite, crono uomini Under 23 e infine a chiudere la giornata la crono individuale uomini élite su un percorso di soli 22,4 km.
Dal giorno 10 si cambia: il cronometro servirà, ma fino a un certo punto. Niente più prove contro il tempo: la tre giorni finale sarà dedicata a quelle che sono indubbiamente le gare più affascinanti, quelle in linea. Si parte venerdì con le due corse dedicate agli junior, maschile e femminile. La giornata si chiuderà con la gara Under 23 femminile, categoria un po' di mezzo, visto che a tutti gli effetti durante la stagione nel circuito di gare donne, non esiste.
Sabato? Uomini under 23 e donne élite a fare da antipasto alla gara di domenica: la prova in linea uomini.
I PERCORSI

Parlando proprio della prova su strada maschile: 179,2 km, non troppo lunga, siamo abituati a ben altro, ma proprio per questo motivo si apre a diversi scenari. La prima parte, di 73 km, sarà un tratto in linea con partenza da Trento: Piazza del Duomo quella non ufficiale, il km 0 in Corso del Lavoro e della Scienza. I primi 61 km induriranno le gambe dei corridori con le salite di Cadine e Vezzano, quello di Vigo Cavedine e poi su verso il Bondone che si affaccia sopra Trento, precisamente si arriverà fino ai 1040 metri di Candrai. Da lì, giù verso Trento da dove partirà il circuito che caratterizzerà tutte le altre gare in linea in programma con la salita del Povo da affrontare per ben otto volte.
Lo strappetto, a noi che lo abbiamo provato, lo ammettiamo, ha fatto del male, ma gli atleti lo supereranno più o meno agevolmente (3,6km al 4,7% difficilmente potrà mettere paura ai corridori più forti) una salita che faranno di rapporto e che nel momento clou scaleranno in sette, massimo otto minuti. L'ultimo passaggio sarà quello decisivo perché proietterà verso le medaglie. Resta da capire come verrà intepretata una corsa breve e con un circuito così particolare.
Per certi versi il tipo di percorso – al netto di un centinaio di chilometri in meno – può essere tagliato per corridori "da Sanremo" come li abbiamo già definiti: veloci per il finale, ma anche esplosivi in caso di attacco all'ultimo giro. Dopo la salita, una discesa velocissima, dritta, un altro strappetto prima di arrivare di nuovo in centro città. Da lì diverse curve, un paio a gomito che immettono verso il breve rettilineo d'arrivo che presenta un coefficiente di difficoltà da non sottovalutare: fondo in lastricato che in caso di pioggia risulterebbe ancora più insidioso. Il percorso non darà respiro: giro dopo giro, infatti, superando la linea del traguardo dopo circa 1 km si tornerà a salire. Difficile l'interpretazione e, difficile da capire chi, in ogni categoria, potrebbe essere l'uomo da battere.

Per quanto riguarda tutte le altre gare, invece, il percorso è interamente cittadino. Le sei cronometro individuali si disputeranno sulla medesima lunghezza e per le vie della città: 22,4 km. È vero, per i professionisti è un chilometraggio limitato, ma potrebbe stare proprio qui il fascino della corsa. Prova velocissima che esalterà i passistoni capaci di volare via nell'esercizio breve e a grandissime velocità.
Anche da un punto di vista planimetrico tutto sembra spingere verso medie da record. Interessante il fatto che, disputandosi tutte e sei le cronometro individuali sulla medesima distanza (la prova a squadra che chiuderà il programma di giovedì 8 sarà su due giri del percorso) si potrà fare anche un confronto tra i tempi delle diverse categorie: sicuramente qualche prestazione a sorpresa e che farà dibattere non dovrebbe mancare.

Se la prova in linea dei professionisti avrà una parte fuori città, tutte e cinque le altre gare in linea invece si disputeranno all'interno del circuito che abbiamo descritto sopra. 14,8 km da percorrere 5 volte per le junior, 6 volte per le under 23, 8 volte per gli junior e le élite, 10 volte per gli under 23. La selezione e l'esito finale dipenderà anche dal meteo: in caso di pioggia occhio al fondo stradale che in città (e sul ciottolato finale) può fare male; occhio pure alle curve che immettono alla linea d'arrivo: tecniche e adatte a chi, in caso di gruppetto, avrà gambe e coraggio per anticipare.
PROVA IN LINEA ELITE MASCHILE (domenica 12 settembre – partenza ore 12.30 – arrivo ore 17 circa)
Un pranzo solitamente inizia dall'antipasto, o ancora meglio: da inviti e prenotazioni. Da un'idea di menù. Nel nostro caso, svelati i piatti ci tuffiamo subito sulla portata principale: la prova in linea di domenica 12 settembre. Ci ha stupito un po' scorrere la starting list e vedere l'assenza di diversi corridori veloci che su un percorso di questo genere si sarebbero potuti esaltare, ma evidentemente le scelte dei tecnici mirano a una corsa con un disegno più imprevedibile e fatto di possibili attacchi da lontano. Oppure si pensa che su uno dei passaggi sul Povo qualcuno abbia le gambe per portare via di forza una fuga verso l'arrivo. Quello che è certo è che saranno moltissime le squadre che non vorranno arrivare allo sprint. Oltretutto il circuito si correrà per tre quarti in salita e discesa, pianura sarà pochissima e quella che ci sarà, sarà fatta di curve e di un tratto in ciottolato.

L'Italia, in quanto tri-campione uscente e nazione ospitante, non può che fregiarsi del titolo di nazionale di riferimento. Oltretutto sarà il penultimo grande torneo con Cassani alla guida e gli Azzurri hanno per questo tutta una serie di motivazioni in più. Dopo aver appreso con stupore l'assenza del campione in carica Nizzolo, l'idea principale è che si andrà per Sonny Colbrelli. Il campione italiano ha mostrato in questa stagione di poter ambire a ripetere l'impresa di Nizzolo nel 2020 che, come detto in precedenza, nel giro di pochi giorni sopra la maglia tricolore indossò quella da campione europeo. Oltretutto Colbrelli arriva da una vittoria al Tour of Benelux conquistata con uno strapotere che di recente si è vista di rado da parte di un corridore italiano.

In seconda battuta un Matteo Trentin che un titolo europeo lo ha già vinto, uno mondiale lo ha sfiorato e che esce da una Vuelta chiusa in crescendo. Con loro Diego Ulissi, adattissimo al chilometraggio ridotto e dotato di spunto veloce e Andrea Bagioli anche lui in arrivo dalla Vuelta e dunque con un ritmo gara che potrebbe anche tenerlo davanti nelle fasi più importanti. Quattro corridori messi in ordine di punta di velocità che potrebbero dire la loro qualora si dovessero trovare all'interno di un gruppetto ristretto nei momenti concitati e decisivi. Gli altri quattro azzurri spaziano dal talento ancora non del tutto mostrato di Gianni Moscon, carta da giocare in caso di attacco nel finale, ma utile anche se si dovesse tenere chiusa la corsa o ricucire per gli sprint dei compagni di squadra, fino al talento già invece ampiamente espresso di Filippo Ganna il quale presumibilmente sarà chiamato a tenere l'andatura o gli attacchi insieme a Giovanni Aleotti, che da neoprofessionista corona una stagione sopra le righe con una maglia azzurra. Infine Mattia Cattaneo, premiato per un'ottima stagione e anche lui probabilmente inserito per far fatica. Certo la caratura di tutti e otto ci fa ben sperare per una medaglia. Detto fuori dai denti: qualsiasi risultato dovesse arrivare al di fuori dei primi tre, sarebbe da prendere con delusione. Quello che non dovrebbe scarseggiare sarà lo spirito di squadra, sarà la voglia di dare spettacolo e mettere in mostra la maglia azzurra: in tutti gli anni della gestione Cassani (a parte qualche eccezione, vedi ad esempio Imola), l'impegno, il coraggio e la fantasia sono stati sempre presenti.

Le altre nazionali (assente ingiustificata la Gran Bretagna che avrebbe potuto schierare tra gli altri un Ethan Hayter in grande condizione) invece, se escludiamo la Norvegia con Kristoff, la Slovacchia con Sagan, la Spagna con Garcia Cortina e la Germania con Walscheid, sembrano orientate decisamente a una corsa tutta d'attacco.
Il Belgio ha l'attaccante dalla media distanza per antonomasia: Remco Evenepoel. Da valutare però la forma con cui arriva. Infatti, dopo un agosto da bambino prodigio qual è, Evenepoel qualche giorno fa si è ritirato dal Tour of Benelux per un malanno. Con lui Dylan Teuns per provare a partire sulla salita di Povo e portare via un gruppetto, mentre Gianni Vermeersch è la loro carta veloce, Philippe Gilbert quella di grande esperienza e da non sottovalutare (di recente sembra davvero un buon Gilbert), e Victor Campenaerts un outsider da temere: sta andando fortissimo quest'anno e al Giro ha lasciato la sua stramba impronta. Harm Vanhoucke, invece, è uno scalatore puro nato per attaccare da lontano, con lui Ben Hermans con un'idea simile. A chiudere il giovane Stan Dewulf corridore tagliato per le corse di un giorno e che mira a vestire i panni della carta a sorpresa, magari con una bella stoccata da finisseur.

L'Olanda punta su Bauke Mollema: servirebbe corsa durissima e forse un chilometraggio maggiore per esaltarlo, ma come sottovalutare il levriero di Groeningen? In caso di giornata calda occhio a lui. Ide Schelling è uno dei nomi nuovi tra i puncheur di quest'annata, ma ha bisogno di partire al momento giusto. Timo Roosen, Jan Maas (chiamato all'ultimo momento al posto dell'infortunato van Baarle), Koen Bouwman e Niki Terpstra sono qui a lavorare per gli altri, o per qualche fuga poco sanguinosa a fini del risultato finale, mentre Nick Van der Lijke è un po' il nome che non ti aspetti. La sua convocazione è figlia però di un'annata positiva che ci fa domandare come mai corra ancora per una Continental danese. Sarà lui la ruota più veloce nel comparto orange.
Abbiamo detto di una Slovacchia tutta per Peter Sagan: con la presenza dei fedelissimi Juraj (suo fratello) e Baska. L'ex campione del mondo è stato anche il primo vincitore della storia dell'Europei per professionisti e nelle ultime uscite, dopo aver firmato per il prossimo triennio con la francese Total Direct Energie, sembra aver acquisito nuova linfa. In caso di sprint ristretto a 25/30 corridori è sicuramente una delle ruote più veloci del carrozzone, ma la domanda da porsi è: riuscirà Sagan a restare agganciato a un gruppo così ristretto?

E abbiamo anticipato di una Norvegia che schiera un pezzo da novanta come Alexander Kristoff. Anche lui come Sagan ha già vinto un titolo europeo (esono le uniche due vittorie non italiane), preferirebbe freddo e magari un chilometraggio decisamente superiore ai 250 km (più è dura e più lui emerge), ma pure nel suo caso potarselo allo sprint sarebbe quanto meno pericoloso per gli altri. La nazionale scandinava (che come vedremo in seguito punta a fare incetta di medaglie nelle categorie giovanili), schiera una squadra affidabilissima che si farà trovare davanti in ogni fase di gara: Andreas Leknessund in caso di corsa dura o fuga dalla media o lunga distanza, Sven Erik Bystrøm è qualcosa in più del fratello di armi di Kristoff. Se puntate a un nome diverso per il podio, quello del ventinovenne di Haugesund, ex campione del mondo tra gli Under 23, fa proprio al caso vostro.
Ci sarà al via anche Odd Christian Eiking, che chissà che l'onda lunga di una storica Vuelta non lo porti a fare risultato anche qui, mentre Markus Hoelgaard e Kristian Aasvold vedono premiata una stagione di grande qualità e potrebbero essere pericolosissimi da portare allo sprint. Verosimilmente, però, si lavorerà tutti per Alexander Kristoff.

La Francia, come il Belgio, sceglie di non portare velocisti, anzi fa qualcosa in più: porta persino scalatori. Ed è infatti molta la curiosità intorno alla nazionale di Voeckler. Come si giocheranno le loro carte Thibaut Pinot e Romain Bardet? Aurelien Paret-Peintre veloce e resistente, è l'uomo giusto in caso di sprint ristretto mentre Franck Bonnamour (che all'ultimo ha sostituito G.Martin) è corridore uscito benissimo dal Tour de France e potrà farsi vedere in fuga, ma i gradi di capitano, su un tracciato nervoso, ma non impossibile, potrebbero dividersi tra la Bretagna di Warren Barguil e Valentin Madouas e soprattutto la Normandia di un Benoît Cosnefroy in grandissimo spolvero dopo il successo di Pluoay. Cosnefroy è, per chi scrive, probabilmente il favorito assoluto.

La Spagna arriva un po' in sordina vista l'assenza di Valverde caduto alla Vuelta; una Vuelta che restituisce diversi ritiri illustri come Luis Leon Sanchez o Landa, e costringe Aranburu - adattissimo al percorso - al forfait e dunque punterà tutto sulla buona vena del veloce Ivan Garcia Cortina, su David De La Cruz (anche se il tracciato nongli si addice) e sui fratelli Gorka e Ion Izagirre. Da seguire con attenzione Roger Adrià della Kern e Antonio Soto della Euskaltel, due nomi meno conosciuti al grande pubblico, ma di sicuro prospetto. Restando nella penisola iberica la scelta del Portogallo verte tutta su uomini affidabili, resistenti, esplosivi come Joao Almeida (capitano) e Rui Costa (vice). I due saranno affiancati da Ruben Guerreiro (da non sottovalutare andasse in fuga), i passisti Andre Carvalho, Nelson Oliveira e Rui Oliveira, e Rafael Reis uno dei grandi mattatori della recente Volta a Portugal.

Per l'Austria i nomi più interessanti - ma non gli unici - saranno Marco Haller (in caso di sprint ristretto), Michael Gogl e Tobias Bayer per una corsa selettiva, Alexandre Riabushenko sarà il capitano della Bielorussia, mentre Mihkel Räim (occhio a lui in caso di volata) e Rein Taaramäe guideranno l'Estonia. L'Ungheria avrà Attila Valter - in maglia rosa per qualche giorno al Giro quest'anno - e la Polonia con diverse assenze punta sul veloce Pavel Bernas; la Svizzera sarà tutta per Marc Hirschi, che nelle ultime settimane sta crescendo, anche se pare ancora lontano dai livelli del 2020, ma tra i selezionati figura anche uno dei corridori più in forma di questo 2021: ovvero Gino Mäder. e infine nell'Ucraina l'uomo di spicco sarà Mark Padun.
Mancano ancora le conferme ufficiali dei corridori che difenderanno i colori di Spagna (Garcia Cortina), Danimarca (Asgreen e Cort Nielsen), Germania (Walscheid e Steimle) e Slovenia (Pogačar, Mohorič e Roglič), tra le nazionali più importanti al via. Aggiorneremo l'articolo mano a mano che i nomi saranno ufficializzati.
LE STELLINE DEI FAVORITI
⭐⭐⭐⭐⭐ Cosnefroy
⭐⭐⭐⭐ Colbrelli, Pogačar
⭐⭐⭐ P.Sagan, Kristoff, Evenepoel
⭐⭐ Almeida, Trentin, Bagioli, Teuns, Mäder
⭐ Mollema, Bystrøm, Haller, Schelling, Guerreiro, Dewulf, Pareit-Peintre
ÉLITE DONNE (sabato 11 settembre - partenza ore 14.15)

Sarà ancora una volta Olanda contro Italia. Sarà Annemiek van Vleuten e Marianne Vos contro Elisa Longo Borghini e Marta Cavalli (in grande condizione) e magari, in caso di sprint più numeroso occhio a Elisa Balsamo (campione under 23 uscente). Le altre? Un po' le solite note. Lotte Kopecky (Belgio) soprattutto, ma occhio anche a Lisa Brennauer (Germania), Juliette Labous (Francia), Katarzyna Niewiadoma (Polonia), Cecilie Ludwig (Danimarca) e le due svizzere in grande forma: Marlene Reusser ed Elise Chabbey. Dopo quello che è accaduto a Tokyo, con la fuga bidone che ha premiato l'austriaca Anna Kiesenhofer (presente anche qui a Trento), ci immaginiamo un'altra condotta di gara da parte delle nazionali più forti.
LE STELLINE DELLE FAVORITE
⭐⭐⭐⭐⭐ van Vleuten
⭐⭐⭐⭐ Vos, Longo Borghini, Kopecky
⭐⭐⭐ Cavalli, Ludwig
⭐⭐ Niewiadoma, Reusser
⭐ Labous, Brennauer, Chabbey
UNDER 23 FEMMINILE (venerdì 10 settembre - partenza ore 16.30)

La categoria che durante l'anno non c'è torna forte per l'Europeo. L'Italia un anno fa conquistò una meravigliosa medaglia d'oro con Elisa Balsamo, su un percorso di questo genere l'Olanda però è di nuovo punto di riferimento con Wiebes, favorita per il titolo. Con lei occhio a Smulders e van Anrooij. Da seguire con attenzione per l'Italia, Guazzini, ma anche la crossista Realini e la forte pistard Zanardi, per la Danimarca Norsgaard, qual ora scegliesse la gara Under 23 a discapito della prova élite, e per la Francia Muzic e Le Net. Possibili outsider la Svizzera Rüegg, l'ungherese Vas e la portoghese Martins (quest'ultima per una corsa poco selettiva).
UNDER 23 MASCHILE (sabato 11 settembre - partenza ore 9.00)

Nella categoria che segna il passaggio ai professionisti c'è tanta carne al fuoco. Ci sono quelli che non aspetteranno uno sprint come Ayuso e ci sono quelli che prediligeranno l'arrivo di un gruppetto come Tobias Halland Johannessen (ma anche il suo gemello per un canovaccio simile). I francesi Retaillaeu che ha già mostrato sprazzi del suo talento come stagista in maglia AG2R e Lapeira o i nostri Baroncini e Colnaghi sperano in una gara non per forza dura. L'Italia però potrà contare anche su Zana. Il corridore della Bardiani sarà la nostra punta in caso di corsa decisa sulla salita del Povo, altrimenti, come detto, si andrà per Colnaghi, suo futuro compagno di squadra con la squadra dei Reverberi, e Baroncini, che poche settimane fa ha firmato con la Trek-Segafredo.
Ci sarà l'Olanda che su tracciati simili hanno fatto la voce grossa al recente Tour de l'Avenir e in altre corse giovanili: Hoole, Marijn Van der Berg e Van Uden sono tra i favoriti assoluti per il titolo essendo sia veloci in caso di sprint numeroso che abili ad arrivare davanti in caso di volata di un gruppetto. Anche il Belgio presenta una mezza corazzata: Van Tricht (di recente stagista Quick Step), il figlio d'arte Thibaut Njs, Vandenabeele (scalatore, percorso non adattissimo al ui che oltretutto non appare in grande forma) ma soprattutto Berckmoes. Il classe 2001, che l'anno prossimo passerà con la Top Sport Vlaanderen, potrebbe sfruttare, sulla salita del Povo, le sue doti di scattista e passista: sarà lui probabilmente il numero uno in casa belga. La Russia punta forte su Syritsa, corridore un po' indecifrabile come tutti i connazionali, ma che se in giornata può essere devastante, mentre la Slovenia si affida a Hočevar, temibile allo sprint e la Slovacchia al talentuoso Štoček.
JUNIOR FEMMINILE (venerdì 10 settembre - partenza ore 13.50)
Categoria che, vista anche la giovane età delle concorrenti, è tutta da scoprire: anche qui sarà Olanda (Geurts, Van der Meiden) contro Italia (Ciabocco, Barale e Cipressi ), con possibili inserimenti di atlete delle solite note: Francia, Russia e Germania su tutte.
JUNIOR MASCHILE (venerdì 10 settembre - partenza ore 9.00)
La gara Junior, che aprirà il programma di venerdì, vede come favoriti assoluti i norvegesi. Su tutti quel talento (clamoroso) di Per Strand Hagenes. Il nome del giovane norvegese va scritto e memorizzato perché potrebbe essere uno dei volti nuovi del ciclismo mondiale a stretto giro di posta, va forte anche nello sci di fondo e si giocherà l'oro con i suoi connazionali Fredheim e Braensetter, con lo spagnolo Romeo, i francesi Martinez, Rolland e Gregoire, lo slovacco Svrcek e soprattutto il belga Uijtdebroeks.
LE CRONOMETRO

Fitto programma anche quello delle prove contro il tempo che oltre alle 6 gare per le diverse categorie aggiunge anche la staffetta mista che chiuderà il programma del primo giorno e dove l'Italia sarà la favorita assoluta per la medaglia d'oro.
La prova più importante è sicuramente quella degli élite: si va per l'oro anche qui, dove Ganna, visto anche il percorso, è il maggiore candidato per il titolo. Sarà una sfida incandescente e di altissimo livello, però. A contendersi le medaglie infatti, oltre al nostro Ganna, sette nomi che danno assoluta garanzia: Pogačar, Evenepoel, Bissegger, Kung, Asgreen, Bjerg e Affini. Può Bastare? Le altre nazionali, invece, appaiono tagliate fuori con qualche piccola speranza per la Francia che schiera un Cavagna che di recente però non ha mostrato una grande forma e che dunque appare un gradino sotto, come il Portogallo con Nelson Oliveira.
Tra le donne élite sarà Van Vleuten il nome per l'oro, e occhio alla svizzera Reusser in grande condizione, mentre per l'Italia Bussi e Cecchini proveranno a salire sul podio, ma non sarà facile. Da seguire con attenzione la gara Under 23 uomini: Price-Pejtersen contro tutti (e per tutti diciamo norvegesi e olandesi: insomma ciò che il 2021 ha offerto). Mentre tra gli Junior la contesa potrebbe chiudersi a un Uijtdebroeks contro la Norvegia, ma occhio al campioncino all rounder svizzero Christen. Difficile se non impossibile che l'Italia possa arrivare a medaglia nelle due prove maschili giovanili.
Diverso il discorso tra le ragazze invece dove tra le junior si punta su Carlotta Cipressi per una medaglia e tra le Under 23, con Hanna Ludwig favorita per uno storico terzo titolo consecutivo, su Vittoria Guazzini.
Per le altre gare in programma l'articolo verrà aggiornata mano a mano che arriveranno le conferme sulla starting list ufficiale.
IL PROGRAMMA COMPLETO
Mercoledì 8 settembre 2021
09:15 - Cronometro individuale donne junior – 22,4 km
10:45 - Cronometro individuale uomini junior – 22,4 km
14:30 - Team Relay (crono a squadre uomini/donne) – 44,8 km (2 giri del circuito di 22,4 km)
Giovedì 9 settembre 2021
09:15 - Cronometro individuale donne under 23 – 22,4 km
10:45 - Cronometro individuale donne élite – 22,4 km
14:15 - Cronometro individuale uomini under 23 – 22,4 km
16:00 - Cronometro individuale uomini élite – 22,4 km
Venerdì 10 settembre 2021
09:00 - Prova in linea uomini junior – 107,2 km
13:50 - Prova in linea donne junior – 67,6 km
16:30 - Prova in linea donne under 23 – 80,8 km
Sabato 11 settembre 2021
09:00 - Prova in linea uomini under 23 – 133,6 km
14:15 - Prova in linea donne élite – 107,2 km
Domenica 12 settembre 2021
12:30 - Prova in linea uomini élite – 179,2 km
DOVE SEGUIRE LA CORSA
Alvento seguirà a modo suo giorno dopo giorno l'evento raccontando la corsa, i protagonisti e il dietro le quinte. Troverete i nostri articoli sul nostro sito, sulla nostra pagina Facebook, troverete qualche impressione su Twitter mentre su Instagram vi faremo vivere l'evento, sempre con uno sguardo alventiano, attraverso le "stories".
A questo indirizzo trovate le info sulla corsa, le starting list, le guide tecniche, la mappa e il programma di tutti gli eventi (non solo le gare, ma anche tutto quello che Trento offrirà in quei giorni): UEC EUROROAD TRENTINO 2021
Sito ufficiale di Trentino 2021: TRENTINO 2021
Foto in evidenza: Jered Gruber
Pauline Ferrand-Prevot e... i leoni da tastiera
Torniamo sul rapporto tra social network e atleti professionisti, dopo il post di qualche giorno fa sulle dichiarazioni di Chris Froome. Non prendeteci per ripetitivi, nemmeno per ossessionati. Semplicemente riteniamo che il rispetto della persona venga prima di tutto, prima del tifo e delle aspettative di prestazione.
È per questo che ci piace dare voce agli atleti che provano ad opporsi a questa brutta deriva. Magari il messaggio arriverà a poche persone, ma se riuscisse ad ingenerare un piccolo cambiamento, sarebbe già un successo.
Dopo le gare dei Mondiali di MTB della Val di Sole, Pauline Ferrand-Prevot, vera superstar del settore (nel 2014/15, a soli 23 anni, ha indossato la maglia iridata di campione del mondo in tre discipline ciclistiche diverse contemporaneamente, prima volta nella storia del ciclismo maschile e femminile), affida ai suoi canali social un messaggio di risposta ai numerosi attacchi ricevuti a seguito di quelle che sono state ritenute dai suoi fan delle prestazioni deludenti ai recenti Campionati del Mondo di Mountain Bike.
«La vita non ha a che fare solo con la vittoria o la sconfitta.
La vita di una persona ha piuttosto a che fare con l’essere o meno felici.
Non ho letto i commenti delle persone sulla mia gara di ieri perché non voglio che qualcuno possa decidere come mi devo sentire. Quello che posso dire a tutti è che sono molto felice della mia vita, anche se non ho vinto la medaglia olimpica e se non indosso la maglia iridata, e non ho alcuna intenzione di cambiare la mia vita per vincere un titolo olimpico o un mondiale.
La mia famiglia, i miei amici, la mia piccola Mauricette ed io siamo in salute.
Mi guadagno da vivere facendo ciò che più amo al mondo, correre in bici, e ho la fortuna di non definire tutto ciò ‘un lavoro’. Ho il privilegio di viaggiare per tutto il mondo, conoscendo nuove persone e potendomi confrontare con culture diverse dalla mia.
La vita non ha a che vedere solo con le vittorie o le sconfitte.
La vita ha a che vedere con l’imparare qualcosa, con i tentativi andati male ma con la possibilità di riprovarci.
Io vivo per raggiungere gli obiettivi che mi sono posta e non credo di averli ancora raggiunti tutti. Potrò sbagliare e potrò fallire, ma questo non mi impedirà di provarci ancora. Fino a quando non li avrò raggiunti».
Foto: Red Bull Content Pool
Chris Froome e i leoni da tastiera
Nei giorni scorsi Chris Froome ha pubblicato sul suo canale YouTube un video per raccontare l'esperienza all'ultimo Tour e tra le varie cose ha voluto prendere posizione sui sempre più numerosi e violenti attacchi che gli atleti subiscono da parte del pubblico dei social network.
Abbiamo deciso di riproporre i punti salienti del suo discorso, che condividiamo nel suo senso e nelle sue finalità.
«Dopo la fine del Tour de France mi sono preso qualche giorno di pausa perché avevo davvero bisogno di staccare. Dopo l’incidente del primo giorno è stato molto pesante per me portare a termine la corsa; ci siamo scontrati a più di 60 km/h: c’erano corridori e biciclette sparse ovunque, io ho sbattuto violentemente la parte alta della coscia contro qualcosa, credo fosse la bici di un altro corridore e il dolore era talmente forte da non riuscire nemmeno ad alzarmi in piedi e permettere ai soccorritori di aiutarmi a tornare in sella. Nonostante questo, sentivo che per me era fondamentale terminare il Tour de France, anche se pieno di lividi e con il dolore alle ossa che mi sono portato fino a Parigi; dopo tutto quello che mi era successo avevo bisogno di mettere quei chilometri nelle gambe e sono orgoglioso di esserci riuscito.
L’aspetto che mi ha colpito di più di questo Tour de France è stato il sostegno del pubblico: mai, neppure negli anni in cui ho portato la maglia gialla fino a Parigi o lottavo per riuscirci, la gente mi aveva sostenuto in questo modo. Nonostante fossi per la maggior parte del tempo in fondo al gruppo, le persone non smettevano di incitarmi, di spronarmi e di farmi sentire la loro vicinanza e il loro affetto. Avere il loro incoraggiamento mi ha aiutato a non mollare e per questo mi sento di ringraziarli di cuore.
Proprio questo sostegno da parte delle persone in un momento molto difficile per me mi ha fatto riflettere su un tema di cui hanno parlato alcuni atleti durante le Olimpiadi e che penso sia di fondamentale importanza, ovvero l’impatto che le eccessive critiche hanno sulla serenità psicologica ed in definitiva sulla salute mentale degli atleti.
A livello generale pare ci sia l’aspettativa, da parte del pubblico, di trovarsi di fronte non a delle persone normali, seppur eccellenti nel loro sport, ma a dei veri e propri extraterrestri in grado di reggere qualsiasi tipo di pressione e di attacco. Io credo che questo sia profondamente sbagliato perché non tutti gli atleti riescono a gestire questo tipo di stress.
Ci sono sempre più atleti che soffrono a causa di quello che gli utenti dei social network scrivono su di loro; i social media consentono a chiunque di sedersi dietro a uno schermo e insultare un atleta, con un linguaggio che le persone non si permetterebbero mai di avere se incontrassero lo stesso atleta, la stessa persona, per strada o al supermercato.
Io sono convinto che essere un atleta significhi lavorare duro per dimostrare le proprie capacità sportive nelle corse e negli eventi, ma non è incluso anche il fatto di avere questo carico ulteriore di energia per sopportare questo tipo di pressioni e di critiche, spesso eccessive e gratuite.
Quello che vorrei dire alle persone è di pensarci due volte prima di scaricare il loro odio e insultare o criticare ferocemente un atleta. Siamo tutti qua fuori per dare il meglio di noi, per ottenere i risultati migliori possibili quando rappresentiamo il nostro Paese o il nostro team. Provate a mettervi al nostro posto e magari abbiate un po’ più di pazienza quando non risultiamo all’altezza delle vostre aspettative, perché i primi a dispiacersi e a soffrire se i risultati non arrivano siamo proprio noi atleti».
Foto: Bettini
La sfida a Pogačar viene dal Nord
Il ciclismo del nord Europa vive, senza ombra di dubbio, il momento migliore della propria storia. A vittorie sporadiche e a volte isolate, nell'arco dei decenni, fa seguito un vivaio sempre più prolifico e di qualità da cui attingere.
Chiariamo: ciclismo del nord non con riferimento a Belgio e Olanda, ma ancora più su, Danimarca e Norvegia per la precisione.
I risultati dei danesi, recenti, sono sotto gli occhi di tutti, dal Mondiale di Pedersen all'esplosione di Vingegaard, passando per le monumento di Fuglsang e il Fiandre di Asgreen fino alla definitiva maturazione di corridori come Cort Nielsen, di recente vincitore di una tappa alla Vuelta, e diversi risultati di peso qua e là. E tanto altro arriverà grazie a interessanti giovani in rampa di lancio.
In una direzione simile (verso il vertice) si muove la Norvegia, che ai soliti noti (vedi Kristoff, e dove Hushovd e Arvesen sono stati un po' pionieri di questa nuova generazione, tanto che Arvesen ora è direttore sportivo della squadra norvegese UNO X-Pro Cycling Team, compagine emergente del ciclismo mondiale) affianca alcuni fra i maggiori talenti da seguire a livello assoluto: Foss, Leknessund e da quest'anno anche Tobias Halland Johannessen.
Il giovane "norge" Tobias, grazie anche all'aiuto del gemello Anders, è stato l'autentico dominatore del Tour de l'Avenir, concluso, pochi minuti fa, con due vittorie di tappa (che per la Norvegia diventano cinque su dieci se contiamo quella di Anders e le due di Wærenskjold) e la vittoria nella classifica generale, conquistata davanti a due corridori già presenti nel mondo del professionismo: lo spagnolo Carlos Rodriguez (INEOS Grenadiers) e l'italiano Filippo Zana (Bardiani). Rodriguez che oggi sfiora un'impresa clamorosa, rimontando 2'11 dei 2'18'' che aveva di distacco, con una fuga solitaria di quasi 50 km.
Tobias Halland Johannessen (per farla più breve: THJ), corridore esplosivo più che scalatore puro, è alla sua prima vera e propria stagione su strada dove si è diviso tra squadra Continental e Professional; arriva da mountain bike e ciclocross, vive vicino a Oslo e in alta montagna non si è mai praticamente testato: alla conquista del Tour de l'Avenir mette vicino anche il podio al Giro Under 23 alle spalle di quel fenomeno che porta il nome di Ayuso.
Nelle scorse settimane, THJ ha prolungato di tre anni il contratto con la Uno X Pro Cycling Team, la squadra, si diceva, rivelazione, della stagione, che a suon di investimenti vuole crescere a dismisura facendosi portavoce del movimento nordico.
In pochi anni, UNO X ha creato due squadre - prima la Continental, poi quella Professional - e ha lanciato diversi corridori sia norvegesi che danesi (i già citati Foss e Leknessund, ma anche Hindsgaul, il campione europeo U23 Hvideberg, il vice campione olimpico su pista Larsen, e poi Andersen, Wærenskjold, eccetera), si è messa in grande evidenza in diverse corse in Belgio, dal 2022 avrà la sua squadra femminile (già chiesta la licenza per far parte del Women's World Tour) e dal 2023 l'idea è chiara: Uno X vorrà entrare nel mondo del WT.
Uno X che lo scorso anno ha tesserato simbolicamente Johannes Klæbo, il fondista più forte del mondo.
Nella giornata di ieri, poi, al termine della fatica fatta sulle Alpi francesi dai ragazzi del Tour de l'Avenir, il CEO di Uno X, Vegar Kulset, tra il serio e il faceto (ma nemmeno troppo) scriveva così su Twitter: «Uno X Mobility (progetto fondato proprio da Kulset e improntato a diverse soluzioni per la mobilità sostenibile N.d.A.) e Uno X Pro Cycling Team invitano LEGO™ a unirsi con i propri mattoncini all'avventura norvegese-danese. Vingegaard e i fratelli Halland Johannessen nella stessa squadra potrebbero diventare dei seri avversari per Pogačar in un paio di anni».
Il vento del nord spira e sembra davvero fare sul serio.