Top&Flop - alvento weekly #6

TOP

DEGENKOLB

Anni tribolati alle spalle, si spera. Da qualche settimana la sua sagoma è sempre davanti  nelle corse del Nord. Alla Roubaix sta benissimo, sogna il podio che può arrivare vista la condizione espressa, ma poi un incidente (di corsa!) lo taglia fuori dalle primissime posizioni. Chiuderà comunque 7°.

TARLING E MIKHELS

Due dei tre più giovani al via. Il britannico della Ineos ha tirato, è caduto, è rientrato, ha chiuso la Roubaix fuori tempo massimo: la corsa l’ha voluta portare a termine ugualmente. L'estone della IWG, invece, anticipa, e si ritrova dentro Arenberg con i migliori, fino a quando un guaio meccanico lo costringe a fermarsi. Lui la corsa la chiude abbondantemente dentro quel tempo massimo a una ventina di minuti da van der Poel. Classe 2004 e 2003 rispettivamente: torneranno da quelle parti per essere protagonisti assoluti.

VAN AERT

Si è dovuto inchinare alla maledetta legge del destino. La foratura uscendo dal Carrefour de l’Arbre ci toglie quella che sarebbe stata la ciliegina sulla torta di questa indimenticabile primavera: il testa a testa con van der Poel dentro il velodromo.

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FLOP

POLITT

Attesissimo perché è da inizio stagione che va forte e invece resta sempre dietro a inseguire tra cadute (perlopiù degli altri) e problemi meccanici e non entra mai nel vivo della corsa. E un'altra primavera è passata da quel podio alla Roubaix...

MOHORIČ

Quando resta imbottigliato ad Arenberg ormai i migliori sono scappati via. Non dà mai l’impressione di essere sul pezzo, ma tornerà la prossima stagione per essere nuovamente tra i protagonisti.

STUYVEN

Un discorso simile riguarda Stuyven: percorre Arenberg con una foratura, ma probabilmente era troppo tardi per agganciare i migliori, anche se non avremo mai la controprova. Una serie di sfortunatissimi eventi rende amara la campagna del Nord per il forte belga che rivedremo tra qualche settimana protagonista al Giro.

 

 


Diavolo di un Mathieu

Nella vita, o meglio nel lavoro, sosteneva un personaggio importante della cultura popolare italiana, tale “Profeta di Fusignano”, servono tre fondamentali parametri che non solo aiutano ad andare avanti, ma permettono di avere successo o comunque realizzarsi in quelli che sono i propri obiettivi: “Pazienza, colpo d’occhio e… fortuna”. Edulcoriamo l’ultimo termine così, perché ci va, ma in realtà per capire di cosa stiamo parlando e per scoprire a quale organo appartenente al corpo umano si riferisse Arrigo Sacchi all’epoca, non serve nemmeno scomodare una veloce ricerca su Google.

Mathieu van der Poel la pazienza la mette da parte scavalcandola a suon di watt espressi in bicicletta; il colpo d'occhio è un arma che ha affinato nel ciclocross, insieme a quella sua abilità innata e poi allenata, pedalando con una tecnica unica, utile a dare potenza sul dritto o percorrere con leggerezza le curve; la fortuna, infine si sa, aiuta sempre gli audaci e il corridore olandese è sempre stato amante del rischio per natura.

Ora non vogliamo di certo semplificare, o non rendere onore al merito, a tal punto da intendere che la sua vittoria alla Roubaix sia arrivata grazie al (una buona dose di) culo (ecco la parola, ci è sfuggita, la lasciamo), per carità, ma quel diavolo di un Mathieu, nel pomeriggio del 9 aprile 2023, ne ha avuta e come sempre succede in questi casi, se l’è pure meritata.

La fortuna (o il suo contrario) e i pensieri intorno al suo condizionamento nella vita di tutti i giorni da sempre attrae i pensieri degli uomini. Si cercano significati nascosti e motivazioni: “per quale motivo uno è più fortunato di un altro?”. Può esprimere concetti riguardanti la superstizione e condizionare in maniera irrazionale (a chi non è mai capitato guardando una partita di pallone, magari dei calci di rigore, di non cambiare mai la propria posizione sul divano?), ma può essere anche semplicemente un momento racchiuso in qualcosa che potremmo definire stato di grazia, come quello che, dalla Milano-Sanremo, pare vivere Mathieu van der Poel.

Dicevamo: perché qualcuno è più fortunato di un altro? Chi lo sa, ma viene da chiedersi: perché in quel momento preciso in cui van der Poel si tocca con Degenkolb e il tedesco va a terra, van der Poel, omone, “califfo delle pietre” come lo ha definito il giornalista svizzero Stefano Ferrando, resta in piedi, e quando attacca van Aert subito dopo, lui lo segue, lo raggiunge e poche centinaia di metri dopo è proprio van Aert a forare e a dover abbandonare ogni idea di giocarsi la vittoria dentro al velodromo? (che finale sarebbe stato?). Forse la capacità di stare in piedi in quel frangente (lo scontro con Degenkolb) è figlia delle sue abilità, ma quella di vedere forare il suo avversario numero uno...

Abbiamo chiesto a Dainese un’impressione sulla sua Roubaix e nella nostra chiacchierata un punto è tornato fuori sovente «Ci vuole fortuna, ma quella fortuna bisogna andare a cercarsela, bisogna stare sempre davanti e già essere in decima posizione dentro Arenberg com’è successo a me, può non bastare».

Foto: Sprint Cycling Agency

Assurdo pensare a quali forze agiscano in quei frangenti. Alla rabbia che si prova per quello che è appena successo al belga, all’esaltazione nel vedere come l’olandese invece superi indenne ogni tipo di difficoltà. Quel diavolo di un Mathieu pochi minuti dopo azzarda una manovra che potremmo definire solo e soltanto vanderpoeliana: in una curva, su un più semplice settore di pavé, già testata in ricognizione (ma probabilmente senza lo spartitraffico di plastica in mezzo) arriva a tutta velocità e senza frenare dribbla un blocco giallo che sembra un enorme lego, lo dribbla come fosse un Roby Baggio degli anni ‘90. D'altra parte numero dieci chiama numero 10.

Un sospiro di sollievo per noi, naturalezza per lui: sappiamo che Mathieu, cascasse il mondo, quelle curve le affronta senza frenare - importante sarebbe una dichiarazione di non responsabilità in sovraimpressione: non provateci quando siete in bicicletta, nessuno di voi è bravo e fortunato come Mathieu in quel frangente.

A fine corsa gli hanno chiesto se nel finale avesse preso qualche rischio di troppo, ma lui, laconico: «Di nessun genere, ho sempre avuto il controllo della gara. Quando il destino è nelle mie mani non sono mai nervoso, non ho mai paura. Quando sono da solo posso permettermi di fare le cose che mi riescono meglio».

Diavolo di un Mathieu, al 9 aprile 2023 il tuo palmarès recita: 2 Fiandre, 1 Sanremo, 1 Roubaix, 1 Strade Bianche, 1 Amstel, 1 Brabante, 2 Dwars, tappe al Giro e al Tour per un totale di 42 successi su strada da professionista e non vogliamo scomodare l’extra.

Insomma, dai, fortuna e bravura, ti stai realizzando e, cosa che non guasta, ci stai facendo divertire parecchio.

 

Foto in copertina: ASO/Pauline Ballet

 


Alison Jackson: mai due volte la stessa strada

Quest'inverno, mentre la EF Education-TIBCO-SVB era in ritiro in Spagna per preparare la stagione, c'era un rituale che si ripeteva ogni giorno, prima degli allenamenti. Alison Jackson, la vincitrice della Paris-Roubaix Femmes, lo scorso 8 aprile, utilizzando un'applicazione, disegnava i percorsi da fare e, ogni giorno, il tragitto era diverso, con pari difficoltà altimetriche, ma diverso. All'inizio, nessuno ci faceva molto caso, se non fosse che, dopo molti giorni, con un sacco di strade già attraversate, una mattina, la traccia evidenziata da Jackson porta tutta la squadra in una strada sterrata, lontana dalla città, abbastanza dispersa, insomma, in una di quelle strade in cui si può finire per sbaglio, magari dopo essersi persi. Difficilmente, però, ci si va apposta, per allenarsi.
«Alison ma che ci facciamo qui? Torniamo sul percorso di ieri, era bello, non credi?» chiedono tutte.

«Sì, ma non si fa mai due volte la stessa strada, soprattutto in allenamento, dove si può cambiare. La mia applicazione serve a questo».
Non riusciamo a descrivervi a parole il volto sorpreso delle sue compagne, possiamo, tuttavia, riportarvi il primo pensiero che quel giorno ha fatto Letizia Borghesi, è lei stessa a dircelo: «E tu, per non rifare due volte la stessa strada, vai in questi tratti sterrati e malmessi? Sei tutta folle, ragazza mia». Il tutto seguito da una risata fragorosa che condividiamo con Letizia.

Sì, un tipo decisamente particolare Alison Jackson, ma di questo dovreste già esservi resi conto seguendo la Parigi-Roubaix: un attacco da lontano, di quelli che sembrano destinati al nulla, sempre davanti a tirare, a rischio di sfinirsi e poi perdere, la volata vincente nel velodromo e anche un balletto. Così, tanto per gradire. Quei balli, quelli che posta sui social, li impara dal web: quando l'allenamento finisce, distesa sul letto, in camera, vede moltissimi video di danza e prova a capire i passi, poi li imita. Ballare da sola, però, non la soddisfa molto, allora si è fatta una promessa: «Insegno a tutte le mie compagne a ballare, le filmo e, alla fine dell'anno, vediamo i progressi. Impareranno tutte». Ed anche qui, Borghesi se la ride: «Considerando il mio punto di partenza, un miglioramento lo vedrà di sicuro, ma non credo basti a soddisfarla».

Alison Jackson è nata a Vermilion, in Canada, il 14 dicembre del 1988. È cresciuta in maniera semplice, con le cose genuine che si vivono nelle zone rurali: andava nei campi, raccoglieva i sassi e li trasportava fino ad un camion che li avrebbe portati via. Ha confidenza con i minerali, con rocce e pietre, per questo, tempo fa, in una sgambata, ha detto a Borghesi: «Ma, sai, l'unica pietra che davvero vorrei avere a casa mia non è in Canada. È una di quelle pietre della Parigi-Roubaix». Ci è riuscita e ci è riuscita a modo suo.

Sì, perché alla riunione del mattino, non era minimamente programmato il suo attacco. Anzi, lei, Zoe Backstedt e Letizia Borghesi avrebbero dovuto stare tranquille e aspettare le fasi finali di gara, ad attaccare avrebbero pensato altre. Tranquille? Come no. Alison Jackson è subito andata in fuga. «È esuberante, istintuale. Avevamo capito tutte- continua Borghesi -che ci teneva particolarmente, non immaginavamo questa azione. Ha sentito che era giusto farlo e lo ha fatto. Cosa vuoi dirle?». Chissà che, prima di scattare, non abbia guardato il manubrio, dove, su pezzetti di nastro adesivo azzurro, aveva scritto a pennarello: "Don't think, just do". Per ricordarsi di non pensare, di agire solamente. Tra l'altro, ci hanno detto che è la prima volta che le hanno visto queste scritte sul manubrio. La conclusione potrebbe anche essere abbastanza facile: Alison Jackson sapeva che, pensandoci anche solo un attimo, una giornata così non l'avrebbe vissuta, perché pensandoci non avrebbe fatto quasi nulla di ciò che ha fatto. Così l'ha scritto, a promemoria, nel caso le venisse qualche dubbio.
A Letizia Borghesi si rompe la radiolina e, ad un certo punto, perde il contatto con la gara. Giusto poco dopo aver detto alle sue compagne che, con il vantaggio che il gruppo aveva lasciato, forse c'erano buone possibilità di far bene. Sì, appunto: "far bene". Vincere è un'altra cosa. Che Jackson ha vinto, lo viene a sapere dalla sua massaggiatrice, all'entrata nel velodromo, anche abbastanza delusa perché un problema tecnico negli ultimi chilometri, le ha impedito di giocarsi il finale con il gruppo. Il pensiero è lo stesso di quel giorno in Spagna, su una strada sterrata chissà dove: «Ma tu sei folle, ragazza mia».

Alison Jackson ha passato tante squadre, anche un anno in Italia, nel 2017, con la Bepink Cogeas, l'anno in cui ha scoperto che l'Italia le piace e ha imparato diverse parole italiane, poi Sunweb, Liv Racing, fino a quest'anno in Ef Education. Nel tempo, ha elaborato una sorta di filosofia personale per certe situazioni, tanto che in squadra ce lo dicono: «Serviva coraggio per lavorare come ha lavorato, mentre le altre si risparmiavano per l'eventuale volata. Vero. Però a lei interessava portare la fuga al traguardo, una sorta di sfida con il gruppo, anche a costo di perdere. Nella sua esuberanza c'è anche questo: "Noi siamo poche e stanche, ma vi faccio vedere che arriviamo noi". Mettiamola più o meno così". Queste cose le vive e le spiega, consiglia. A Letizia Borghesi, ad esempio, ha insegnato a studiare bene i percorsi prima delle gare, nel minimo dettaglio, perché "la gara si inizia a fare da lì». Dopo la Roubaix, il suo sogno da sempre, chissà quale sarà il suo prossimo traguardo. Di certo il suo modo di correre e lo spunto veloce la aiuteranno.

Paris Roubaix Femmes 2023 - 3rd Edition - Denain - Roubaix 145,4 km - 08/04/2023 - Alison Jackson (CAN - EF Education - TIBCO - SVB) - photo Luca Bettini/SprintCyclingAgency©2023

Vederla abbracciata a quel sasso, dopo un inizio di stagione che non è andato proprio come aveva immaginato, riporta indietro, all'infanzia, ad immaginarcela bambina curiosa, nella natura. E, sorridendo, porta avanti, ai prossimi balli, in cui, a quanto pare, vorrà coinvolgere anche quella grossa pietra. Chissà cosa ne verrà fuori.

Foto: Sprint Cycling Agency


Top&Flop - alvento weekly #5

TOP

Matteo Trentin

Uno dei misteri del ciclismo di questi ultimi due lustri e l’assenza nelle top ten di Fiandre e Roubaix di uno dei migliori interpreti in assoluto di questo tipo di gare. Nel giorno di Pogačar, Trentin si fa trovare pronto, per il suo compagno di squadra, perfetti tatticamente gli UAE con il miglior finalizzatore possibile, e per se stesso: per la prima volta entra nei 10 al Fiandre e fra pochi giorni c’è da sfatare il tabù anche alla Roubaix.

Kasper Asgreen (e la QS)

Quante gliene abbiamo dette in queste settimane, parlando di loro in negativo, ma al Fiandre si sono rivisti davanti e anche con un certo numero di corridori. La Quick Step non sarà (non lo è) nella sua migliore versione possibile, ma aiutano a rendere spettacolare la corsa e ottengono un importante piazzamento con Asgreen, settimo, al termine di una gara d’attacco.

SD Worx

Corrono un Fiandre praticamente perfetto. Lotte Kopecky vince, dietro Reusser e Vollering (seconda) rompono i cambi e favoriscono la fuga. C’è di più: Strade Bianche, Gent- Wevelgem, Dwars e Giro delle Fiandre. Cos’altro?

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FLOP

Tom Pidcock

Due Fiandre su due senza essere tra i protagonisti della corsa. Inquietante soprattutto il crollo nel finale - a meno che non sia successo qualcosa. È vero, arriva da una brutta caduta alla Tirreno che lo ha costretto a fermarsi per qualche giorno, ma da uno così ci si aspetta ben altro su questi palcoscenici. Ora lo aspettiamo sulle Ardenne.

Wout van Aert

Sempre nell’occhio della critica quando non vince, figuriamoci dopo un Fiandre in cui si fa staccare dai suoi due rivali e poi alla fine perde la volata per il podio da un Pedersen all’attacco da diverse ore. Alla Roubaix - la corsa per cui è tagliato maggiormente tra le due - per prendersi una rivincita, anche nei confronti delle (nostre) critiche.

Auto e moto al seguito

Tra scie date e non date a seconda del momento a condizionare la corsa, sorpassi azzardati e quella mossa che per poco non trasformava il Fiandre in una tragedia - un'auto si ferma a pochi centimetri da van Aert finito a terra - siamo abbastanza stufi di vedere certe scene in gara.


Inno ai fondisti

Caro lettore, anzi carissimo, ciò che segue non vuole essere una spiegazione sui fatti di domenica 2 aprile 2023,  su ciò che è accaduto nei quasi 280 km tra Bruges a Oudenaarde, una strada che fa a spallate tra muri, stradone e stradine, su e giù, destra e sinistra e poi prende un nome che nell'appassionato suona come il titolo di un'opera unica: De Ronde Van Vlaanderen. No, niente di tutto questo: perché di quella corsa ne avrete già pieni gli occhi e colma la testa di nozioni, istruzioni, punti di vista e racconti.

Ciò che sta per arrivare non ha la minima intenzione di entrare nel dettaglio e cercare di capire come e perché, ancora una volta, il ciclismo che stiamo vivendo ci esalta e ci tiene incollati dal primo all’ultimo chilometro - e il Fiandre di domenica 2 aprile 2023 ne è stato perfetto emblema.

D’altra parte come poteva la corsa più bella del mondo che premia atleti completi sotto ogni aspetto non essere il simbolo di un ciclismo che ha preso una strada che non vuole mollare per nessun motivo al mondo? (E giuriamo che non oggi, non in questa sede, parleremo di malinconia e nostalgia, di tempi che ci sono e che prima o poi non saranno più e per questo motivo dobbiamo goderceli appieno).

La strada che ha reso il ciclismo uno spettacolo (ci illudiamo: più vendibile di quello che è stato negli ultimi due decenni) che ci lascia a bocca aperta e ci fa perdere verso esclamazioni del tipo: “Santocielo! ma cosa stiamo vedendo!”, “Che gara pazzesca!”, eccetera.

No, caro lettore, anzi carissimo che hai come sempre la pazienza di seguire i nostri pensieri contorti, le poche righe che seguono vogliono essere un inno ai fondisti, a quei corridori che grazie a doti perlopiù innate e rifinite col tempo, riescono a tirare fuori il meglio in gare che superano i 230, i 250 km di corsa; quei corridori che, quando in gruppo si raschia il barile fino a far sanguinare le unghie, hanno qualcosa in più, quei corridori che dopo cinque, sei ore di sofferenza ciclistica, portano quella fatica estrema su un altro piano e ci convivono meglio di altri perché madre natura li ha graziati rendendoli perfettamente adatti proprio a una corsa come il Giro delle Fiandre di settimana scorsa, quelli che più la corsa è dura, lunga, complessa per tanti motivi (ritmo, clima, situazioni legate a cadute), hanno qualcosa in più di tre quarti di gruppo - e alcuni di loro saranno subito di nuovo protagonisti alla Roubaix.

Sono quei corridori alla Mads Pedersen, uno che a 24 anni toccava appena palla nelle corse normali e poi invece lo trovavi vincitore di un Mondiale tra i più complessi della storia recente per lunghezza e meteo, corso tutto al freddo e sotto il diluvio, dove diventava complicato alimentarsi bene, quasi al buio, un corridore che  senza conoscerlo abbastanza te lo ritrovavi 2° al Fiandre. È diventato il massimo esponente di una scuola (una Sacra Scuola, ha detto qualcuno) che negli anni ha visto Alexander Kristoff il suo totem: le corse sopra i 250 km come parco giochi dove far valere rispetto ad altri le proprie qualità. Mads Pedersen attacca ai 112 chilometri dall’arrivo e porta via la fuga decisiva e poi di nuovo parte da solo quando ne mancano diciannove pensando di potercela fare nel resistere al ritorno di quei due diavolacci impertinenti che dietro staccavano tutto quello che restava del povero gruppo. Aveva detto, Pedersen, corridore che a un certo punto della sua carriera, ben dopo il Mondiale vinto, ha fatto click e di conseguenza un salto di qualità enorme, che per vincere doveva anticipare. C'è quasi riuscito.

Sono quei corridori alla Neilson Powless, fondista eccezionale come sta dimostrando negli anni e come dimostra uno storico che nelle corse di un giorno dice: 1° San Sebastian (2021), 3° alla Dwars (2023, suo esordio tra i professionisti sulle pietre), 5° al Mondiale (2021), 5° al Fiandre l'altro giorno, 7° alla Sanremo (2023), 8° alla Liegi (2022) e buttiamoci dentro anche il 12° posto finale al Tour dello scorso anno. Una delle più liete sorprese delle ultime tre stagioni.

Ronde van Vlaanderen 2023 - Tour des Flandres - 107th Edition - Brugge - Oudenaarde 273,4 km - 02/04/2023 - Neilson Powless (USA - EF Education - EasyPost) - photo Luca Bettini/SprintCyclingAgency©2023

Kasper Asgreen, che nel momento più buio della storia della sua squadra tira fuori una prestazione che pensavamo non fosse più nelle sue corde e anche lui sui muri sembrava annaspare, poi bastava un cambio di inquadratura e te lo ritrovavi scollinare per primo. Oppure Fred Wright, altro che si è visto poco fino all’altro giorno e in una corsa così chiude di nuovo nei primi dieci esattamente come un anno prima: un britannico perfettamente tagliato per le pietre del Nord come non se ne vedono spesso.

E che dire di due come Stefan Küng e Matteo Trentin: loro fanno valere l’esperienza, loro fanno valere l’affinità con queste gare, loro guarda caso su quel podio del Mondiale vinto da Pedersen quella volta lì e non stiamo di certo a rivangare, non di nuovo. Loro con ruoli e caratteristiche diversi - uno capitano passista, l’altro uomo squadra veloce e se il ciclismo fosse uno sport solo di testa e lettura della gara, allora Matteo Trentin sarebbe il numero uno al mondo. E che dire di Matteo Jorgenson: 24 anni, americano come Powless, davanti in una corsa così a questi livelli a dimostrazione di essere uomo da gare dure lui che trova affinità anche col maltempo e con un dislivello elevato. Senza scomodare uno che riscrive i numeri di questo sport, Pogačar, va beh, che ha portato sul suo piano la corsa: per staccare i due van voleva gara dura e così è andata, così ha fatto, inventandosi un numero sull'Oude Kwaremont che ricorderemo per anni.

Non ce ne vogliano quei corridori che sopra un certo chilometraggio ancora non riescono ad esprimere al massimo il proprio potenziale (pensiamo a Pidcock), quei corridori che magari in una carriera non ci riusciranno mai, perché qualcosa si può affinare, vedi gli allenamenti, le tecniche di ogni genere, l’alimentazione, la testa, l’esperienza, eccetera, ma oggi la nostra storia, cari lettori, anzi carissimi, e dedicata a loro, ai fondisti, perché si nasce così, e in uno sport di fatica (perdonate la banalità) ormai le rare volte che si superano tot ore di gara vengono fuori loro, e corse come quelle di domenica al Fiandre esaltano il pubblico ma fanno brillare anche loro, adatti a stare in sella e dare sberle a tutti (dopo averne prese parecchie) per tante ore di fila. Anche se poi come ha scritto Trentin l'altro giorno, alla fine ciò che resta per tutti: "è un gran mal di gambe".

PS: e domenica alla Roubaix,  dal punto di vista del fondo ne vedremo ancora delle belle.


Top&Flop - alvento weekly #4

TOP

Rory Townsend e Ben Healy

Nonostante i problemi che da diverso tempo perseguitano la Federazione Ciclistica irlandese e un momento storico non dei più floridi a livello di talenti assoluti (ma occhio che Healy è un gran bel corridore che potrà sorprendere anche a più alti livelli), l’Irlanda si gode una inaspettata domenica di gloria. Ben Healy conquista, con un attacco solitario (marchio di fabbrica) a 14 km dalla fine, il Gp Larciano, a pochi giorni dal successo di tappa alla Coppi&Bartali, la sua prima vittoria nella massima categoria; Rory Townsend, velocista di terza fascia di quasi 28 anni e in forza alla Bolton Equities Black Spoke, squadra appena salita tra le Professional, conquista in Francia, davanti ad alcune tra le ruote veloci più in forma in assoluto del momento come Thissen o De Kleijn, la vittoria più importante in carriera. St Patrick's day nove giorni dopo.

Uno- X Pro Cycling Women

La costanza della squadra nordica in mezzo alle altre corazzate ormai non fa più notizia ed è maturo il grande successo, tra Belgio e Olanda le giallorosse si piazzano così:

2ª Maria Giulia Confalonieri a Le Samyn
2ª Susanne Andersen alla Ronde van Drenthe (e 5ª ancora Maria Giulia Confalonieri)
6ª Anouska Koster alla Omloop Het Nieuwsblad
6ª Amalie Dideriksen alla De Panne (e 11ª Julie Norman Leth)
7ª Elinor Barker alla Gent Wevelgem
11ª Maria Giulia Confalonieri alla Nokere Koerse

Risultati ottenuti con 6 ragazze diverse, risultati ottenuti da una squadra nata appena l'anno scorso.

Matej Mohorič

Perché ci crede sempre, perché è il miglior Mohorič mai visto e non è colpa sua se si deve scontrare con tre che contemporaneamente il ciclismo non è che abbia visto molte volte eppure lui è lì, si attacca come può al treno buono, e deve inventarsi sempre qualcosa per riuscire a sfuggire al destino. Ha la fantasia giusta: e come alla Milano-Sanremo lo scorso anno prima o poi il colpo grosso arriva.

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FLOP

Soudal Quick Step

Allo sbando e il fatto di esserlo nelle loro gare fa ancora più effetto. Il pezzo fatto da Jakobsen alla Gent - va all'attacco per rientrare sulla fuga che non vede nemmeno un QS dentro e rimbalza malamente dopo aver sbagliato un paio di curve bagnate - e poi quello degli altri compagni di squadra Asgreen, Lampaert, e van Lerberghe che tirano a tutta per rientrare su quell'attacco ottenendo come risultato il rimanere senza energie e consegnando la gara ad altri, rappresentano uno dei momenti più complicati e confusionari della loro storia al Nord. Merlier, nel finale, è senza compagni di squadra, visto l'inutile sforzo dei suoi ormai staccati ed è costretto tutto da solo a inseguire il terzo posto, che poi non arriverà. Nemmeno quella magra consolazione.

Ciclismo italiano (maschile)

In una settimana di tante tantissime corse solo Ciccone alza le braccia al cielo e nelle altre gare che contano si vede solo Ganna, fino alla caduta durante la Gent-Wevelgem, e Ballerini in crescita. Nono posto nel ranking UCI per nazionali (rispetto a settimana scorsa una posizione recuperata su una claudicante Colombia) e tanta amarezza a vedere come siamo messi. Chi ci solleverà? (E come e quando?)

Richard Carapaz

È vero che è appena tornato, ma ci ha messo un po’ di tristezza vedere la sua bellissima maglia di campione d’Ecuador arrancare in quella maniera al Catalunya. Arriveranno sicuramente momenti migliori, nel frattempo saremmo disposti a fare un fioretto per vederlo al Giro invece che al Tour. L’ultima volta che c’erano lui, Roglič e un terzo litigante, sappiamo bene com’è finita….


Il ciclismo di quelli lì

Continua a essere il ciclismo di quelli. Quelli che hanno alzato il livello e scavato un solco con la concorrenza. Quelli che sono due e poi quattro, e diventano cinque e se gliene togli un paio fa tre, almeno fino a quando la matematica non diventerà un’opinione. Continua a essere, anzi in realtà lo è da (relativamente) poco, ma ci stanno prendendo gusto, il ciclismo di Roglič ed Evenepoel che settimana scorsa al Catalunya hanno monopolizzato una corsa schiacciata dall’ingombrante presenza delle Corse del Nord, ma loro due non lo sanno o se ne fregano e hanno cercato di valorizzarla pure con numeri da record nonostante due maglie troppo brutte per essere vere: bianche con qualche inserto, uno verde e l’altro arancione. Una roba inguardabile.

Che c’azzecca il colore delle maglie con le loro prestazioni? Considerato che uno vestirebbe la più prestigiosa e riconoscibile del gruppo, quella iridata, l’altra un paio di anni fa ne sfoggiava un’altra altrettanto bella, quella di campione nazionale sloveno con il Triglav in bella vista - a proposito se non ci siete stati in Slovenia andateci, occhio solo al tratto dopo Postumia perché all’improvviso anche in una giornata di piena primavera si può scatenare l’inferno sotto forma di tempesta di ghiaccio e neve e non è un romanzo fantasy, né una corsa in Belgio - insomma considerato questo è giusto porre l’attenzione su quei pigiamoni da leader delle varie classifiche. Oltretutto così simili tra loro non si capiva chi fosse leader di cosa. Soprattutto a guardare le immagini dallo schermo di un computer.

Volta Ciclista a Catalunya 2023 - 102nd Edition - 7th stage Barcelona - Barcelona 136 km - 26/03/2023 - Remco Evenepoel (BEL - Soudal - Quick Step) - Primoz Roglic (SLO - Jumbo - Visma) - photo Luis Angel Gomez/SprintCyclingAgency©2023

Il ciclismo di Roglič ed Evenepeol è spettacolo ma pure avanspettacolo e qualche rubrica da seguire nel dopo cena. In Belgio ne vanno matti e per una volta pure in Spagna hanno apprezzato lo sceneggiato. Si beccano, scattano e si staccano, fingono, arrancano, concedono poco o nulla se non qualcosa a un velocista di cui si parla troppo poco - Groves, numero notevole il suo: vince la volata sulla bici di un compagno di squadra - e a un mezzo scalatore, di nome Ciccone: mezzo non perché non sia forte, ma perché l’altra metà sembra altro, un cacciatore di tappe, miste o di montagna, e chi scrive vorrebbe bramoso aizzatore di folle nelle classiche ardennesi, uno di quei corridori su cui bisognerebbe puntare per rimpinguare la magrissima pancia del ciclismo italiano ormai sempre più rachitico alla stregua di tutte le altre nazionali del ciclismo che contano da pochi anni o hanno sempre contato. Insomma quell’abruzzese che a 29 anni come da tradizione nostra è pronto e maturo per traguardi più importanti ed è pronto a lanciare una scialuppa al 2023 italico.

Catalunya, o Catalunya, dunque: cosa ci hai detto di memorabile? In a nutshell scrivono o persino dicono quelli che parlano male: al Giro Roglič ed Evenepoel continueranno a dare spettacolo, a punzecchiarsi, lo faranno per loro e per noi, ci faranno divertire e sinceramente a oggi non sapremmo nemmeno dire chi potrà prevalere sull’altro. Magari come già successo ne esce fuori un terzo, ma al momento quella lista è totalmente priva di nomi e idee. Evenepoel è uno che non le manda a dire, forse in questo senso è quello che appare più impulsivo e naturale. Prepariamo un bell'agenda per prendere appunti nei dopo tappa, il bimbo belga ci darà pagine da riempire.

Gent Wevelgem 2023 - 85th Edition - Ypres - Wevelgem 260,9 km - 26/03/2023 - Wout Van Aert (BEL - Jumbo - Visma) - Christophe Laporte (FRA - Jumbo - Visma) - photo Vincent Kalut/PN/SprintCyclingAgency©2023

Il ciclismo di quelli lì poi tocca il Nord in un pomeriggio di un giorno da cani, per loro ad Harelbeke, anzi da gattoni, perché si graffiano e trovano l’unico momento di tregua dalla pioggia tra il mercoledì di La Panne (oh finalmente Philipsen, che vittoria!) e la domenica pomeriggio del “Jumbo Visma Show" sulle strade della Gent-Wevelgem; spettacolo che non piace a tutti, e si capisce come una vittoria in parata possa far storcere il naso. Per chi scrive nulla di male nel vedere il capitano concedere la vittoria in una corsa dove tutto appare già scritto nel momento in cui Laporte e van Aert se ne vanno sul Kemmelberg lasciando gli altri a zigzagare e a fare equilibrismi per stare in piedi sulle pietre scivolose delle Fiandre Orientali. Anzi l'invito è: leggete questo pensiero ben articolato da Ilenia Lazzaro, giornalista di Eurosport, sull'argomento van Aert, corridore che come si muove sbaglia. Destino dei più grandi.

E insomma dicevamo: qualche giorno prima della Gent-Wevelgem, nel mini Fiandre che arriva ad Harelbeke, c'è stato un antipasto di quello che sarà questa domenica nella gara delle gare tra Bruges e Oudenaarde: Pogačar, van der Poel e van Aert che staccano tutti. Ecco il ciclismo di quelli lì. Uno che scatta qualche centinaio di volte, l’altro che accende la gara lontano dal traguardo come una sigaretta in mezzo a una platea di non fumatori, il terzo che è quello che fa più fatica a tenere certe sgasate, resiste e poi vince.

Un pomeriggio qualsiasi impreziosito dal modo di fare ciclismo di quelli lì.

Chissà come andrà in quello che sarà il Fiandre vero e proprio, la festa dei belgi, ma pure la nostra che quando si tratta di corse a quelle latitudini non capiamo più nulla, la nostra testa si riempie di spiriti come la casa de gli invasati di Shirley Jackson, e se poi i tre di cui sopra decidono di dare spettacolo in questo modo allora per noi è finita, preparate calmanti e camicie di forza.


10 nomi da seguire al Giro delle Fiandre

Sarà una di quelle giornate in cui varrà la pena seguire la corsa dalle prime pedalate fino alle ultime. È vero che il canovaccio iniziale prevede un centinaio di chilometri piatti, ma poi, dal secondo muro in avanti, diciamo più o meno dal primo dei tre passaggi sul Vecchio Kwaremont non c'è più spazio per sbadigli. Tutto d'un fiato.

Come da tradizione vi daremo 10 nomi da seguire, come per la Milano-Sanremo di quest'anno la corsa sarà valida anche per il Trofeo Monumento di Fantacycling e tra parentesi accanto al nome di ogni corridore, infatti, trovate la loro quotazione in crediti.

Però abbiamo deciso di fare così: inutile fare i nomi dei tre, dei big three come tocca chiamarli, van der Poel, van Aert e Pogačar (che su Fantacycling costano rispettivamente 52, 71 e 73 crediti), ma ne proponiamo altri, 'ché poi nel ciclismo non si sa mai cosa può accadere.

Grafica by Fanta-Cycling.com

DIECI NOMI DA SEGUIRE AL GIRO DELLE FIANDRE

GLI OUTSIDER

1. Cristophe Laporte (35 crediti) - Che poi metterlo tra gli outsider dopo che ha vinto Gent-Wevelgem, per concessione, e Dwars door Vlaanderen di forza, sembra un insulto, lui oltretutto con questa corsa ha sempre avuto un discreto feeling.

 

2. Matej Mohorič (28)- Invece per lui il rapporto con questa corsa è un po' nebuloso, ma un piazzamento nei 10 è alla portata visto lo storico stagionale, anche se tra botta alla Gent-Wevelgem e testa alla Roubaix, potremmo non vedere il miglior Mohorič 2023.

3. Stefan Küng (29) - Se cercate uno dei migliori interpreti in assoluto di queste corse guardate in casa dello svizzero che sulla scrivania in ufficio ha la bozza di un manuale che sta scrivendo e dal titolo: "il perfetto corridore da Fiandre". Il suo limite è che non vince (quasi) mai, mentre da considerare come il primo risultato importante al Fiandre lo abbia ottenuto solo l'anno scorso dopo una serie infinita di sfortune.

4 Valentin Madouas (23) - In poco tempo è diventato una garanzia assoluta su ogni terreno ed è stato proprio il Fiandre 2022 a sbloccarlo. Si ripeterà?

LE SCOMMESSE

5. Neilson Powless -(28)  Alla DDV lo aspettavamo; all'esordio da professionista sulle pietre non ha deluso e ha dimostrato di starci benissimo in quel gruppo di corridori completi capaci di primeggiare nelle corse a tappe (per il momento brevi), e nelle corse di un giorno di ogni tipo. Con spiccate doti da fondista il Fiandre può essere la sua gara.

6. John Degenkolb (6) - No, non siamo pazzi, né abbiamo tirato indietro l'orologio di un lustro: il baffetto che vedevate in queste gare spuntare in testa sui muri è proprio il suo, e vista età e incidenti avuti, merita una menzione e qualche occhio di riguardo. Sia al Fiandre che poi eventualmente alla Roubaix.

7. Nils Politt (11) - Uno dei corridori più riconoscibili in gruppo, un attaccante nato che finalmente, risolti i problemi fisici, sembra aver ritrovato quello smalto perduto. Può anticipare e piazzarsi in alto, ma può anche chiudere con i primi una volata a ranghi ristretti. Come non pensare a lui per le corse della Settimana Santa?

LE SORPRESE

8. Mikkel Bjerg (4) - Come Trentin dovrà lavorare duramente per il suo capitano, ma non ci stupiremmo se a fine corsa lo trovassimo nei primi dieci o a ridosso. Al momento gli diamo il premio come miglior gregario di questo inizio di stagione e che se lo faccia bastare!

9. Krists Neilands (2) - Visto che si parla di sorprese lo facciamo con il lettone, ma il corridore della Israel PremierTech nelle ultime due gare è sempre stato nel vivo della corsa chiudendo con un 12° e un 21° posto tra Harelbeke e Waregem. Niente male.

10. Davide Ballerini (15) - Ballerini a rappresentare una QS in difficoltà al Nord, ma non lui che arriva al Fiandre con piazzamenti interessanti: 6° alla OHN, 7° alla DDV, 11° a De Panne e 12° a Sanremo. Il suo problema è sempre stata l'affidabilità sopra un certo numero di ore di gara, ma visto che ci pare il miglior Ballerini visto al Nord finora (anche superiore a quello vittorioso alla OHN 2021) non gli resta che smentirci con un bel risultato al Fiandre, che aiuterebbe anche il ciclismo di casa nostra a smuovere questa sorta di depressione italica.

E naturalmente non ci siamo dimenticati dei vari Pidcock, Pedersen, Stuyven, Vanmarcke, Turner, Narvaez, Wright, Kristoff, Dewulf eccetera eccetera, ma 10 nomi sono 10 nomi... Buon Fiandre!

Regolamento del concorso

I consigli di Fantacycling

Foto: Sprint Cycling Agency


Dal Poggio puoi vedere

Che idea bislacca per un mondo che pare non abbia un futuro (ahia, iniziamo bene… direte voi) pensare di osservare da una montagnetta che arriva al massimo a trecentotrenta metri di altitudine ciò che potrà essere. O forse è proprio questo il paradosso o il punto, chissà.

Però dal Poggio (di Sanremo) puoi vedere tante cose, magari non la Tour Eiffel come riesce a Vinz e Said ne “l’Odio’’ da un palazzo del centro di Parigi, e nemmeno spegnere il mondo per un attimo con lo schioccare delle dita, ma mentre osservi ti fai ugualmente un po’ di domande e iniziamo da Pogačar: hanno fatto tutto bene lui e la sua squadra (almeno sino a lì)? Non è che magari poteva rispondere all’attacco di Mathieu van der Poel? Il problema è la caduta o l’atterraggio?

L’impressione è che lui e l’UAE abbiano svolto il compito (quasi) alla perfezione - qualcuno direbbe che peggio dello scorso anno era difficile - in una corsa dove è impossibile lanciarsi in chissà quali svolazzi studiati a tavolino: i punti dove fare la selezione sono quelli; i punti dove scattare si conoscono a memoria. Avviene una prima selezione sulla Cipressa, ma non devastante come dodici mesi prima, scelta fatta proprio per tenersi di fianco i suoi uomini e sgranare il gruppo nella breve ascesa successiva. Sul Poggio, infatti, sono perfetti nel lanciarlo, l’azione di Wellens, che cambia ritmo rispetto a quello più stabile tenuto dalla Bahrain, è una progressione che dimezza il gruppo e abbatte le speranze di quelle ruote velocissime che fino a poche centinaia di metri prima parevano muoversi più che bene (vedi Ewan, Ballerini o Cort Nielsen: più passavano i metri e più prendevano la forma degli spauracchi).

Prima che il belga, facendosi da parte, possa dare il via libera all'attacco del suo capitano, Trentin, manovra perfetta anche la sua, in nona ruota si sposta e fa il buco, Cosnefroy e un altro corridore della Alpecin - un Philipsen d’annata: finalmente sta sbocciando quel corridore che aspettiamo da cinque anni anche nelle corse di un giorno? vedremo… - non chiudono e davanti restano nell’ordine: Wellens, Pogačar , van der Poel, Pedersen, Ganna, Kragh Andersen, Mohorič, van Aert. Poi il belga dell’UAE dalla testa si leva di torno, parte Pogačar e restano in quattro, ma quello che pare l’affondo decisivo - ma non risolutivo - risulta essere il là, poco dopo, fondamentale per l’azione di van der Poel che sale a bocca chiusa mentre gli altri sono a tutta e che quando scatta pone fine alle ambizioni dello sloveno, dell’italiano e del belga.

E per rispondere dunque al primo quesito: Pogačar ha fatto tutto bene? Certo. E pareva il miglior Pogačar possibile - d’altra parte da febbraio fino a poche centinaia di metri dalla cabina telefonica che segna l’inizio della fine della salita del Poggio, aveva ammaliato per l’efficacia delle sue azioni. Ma il miglior Pogačar possibile per vincere la Milano-Sanremo: 1) deve arrivare da solo e staccare gente di questo calibro sulle dolci pendenze sopra Sanremo non è facile; 2) se arriva in un gruppetto deve sperare che in quel gruppetto non ci sia gente come van der Poel o van Aert (o come l’incredibile Ganna visto sabato, ma ci ritorneremo). Tertium non datur, e va bene così, a fine gara lo sloveno, protagonista di una Sanremo che non dimenticheremo, sorride soddisfatto della sua gara e rilancia per l’anno prossimo. Magari cambiando nuovamente spartito lui, visto che il percorso rimarrà verosimilmente sempre questo.

VAN DER POEL LOGORA CHI NON CE L’HA

Milano Sanremo 2023 - 114th Edition - Teams Presentation - Abbiategrasso - 17/03/2023 - Mathieu Van Der Poel (NED - Alpecin - Deceuninck) - photo Roberto Bettini/SprintCyclingAgency©2023

Dopo le domande è il tempo delle affermazioni: sulla forza di van der Poel e su quel qualcosa che sembra ogni volta mancare a Wout van Aert sul Poggio.

Van der Poel, in nemmeno troppe poche parole: dal suo incredibile filotto nelle corse cosiddette Monumento, fino a un un palmarès nelle gare di un giorno che appare così ricco, sontuoso, che a fine carriera - speriamo che questa arrivi più tardi possibile, ma tant’è - lo metterà tra i più grandi interpreti di sempre delle grandi classiche. Top ten in tutte e cinque le Monumento; una Milano-Sanremo, una Strade Bianche, una Amstel Gold Race, due Fiandre, un podio alla Roubaix, e ancora in un Fiandre e in una Milano-Sanremo. Tutto molto bello direbbe Pizzul, noi aggiungiamo esaltante al posto di bello: dai risultati statistici, al solito parallelismo con nonno Poulidor che francamente non stanca mai, e lo dice chi fa del cinismo un cavallo di battaglia, ma poi in realtà si scioglie davanti a certe situazioni.

E poi quell’azione che gli vale anche il record di sempre sul Poggio (5’40'' con un margine di errore di 2") con una delle manovre più incredibili a memoria di chi scrive e si presume anche di chi legge, azioni indimenticabili che con van der Poel iniziano pure a essere diverse, grazie alla sua capacità di esprimere potenza superiore a chiunque altro, sia che si parta da fermi - le famose volate a due dove risulta spesso imbattibile (con eccezioni) - alcune volate prese da lontanissimo, sforzi su pendenze a doppia cifra (Santa Caterina a Siena), o su pendenze dolci ma affrontate a tutta velocità come a Sanremo.

E dal Poggio osserviamo, guardando l’orizzonte, e vediamo il lavoro incredibile che stanno facendo nella sua testa papa Adri, la squadra, chi gli sta vicino e chiaramente quanto lui ci stia mettendo del suo. Tatticamente è diventato quasi perfetto in corsa, è vero a volte si concede qualcosa - per fortuna - basti pensare al Giro 2022 tutto all’attacco per la nostra gioia che lo abbiamo amato ancora di più, ma vi ricordate quando era così naïf che al Fiandre solo quattro stagioni fa rischiava di compromettere la sua salute per saltare i marciapiedi in bicicletta?

Oppure quando inizialmente stava al vento, troppo sicuro di sé, a cercare il posto giusto in gruppo, a defilarsi e risalire sprecando energie, o ancora: avete memoria di quell’azione - straripante, leggendaria è vero, ma… - alla Tirreno-Adriatico di due anni fa? Quell’azione gli tolse le energie necessarie per essere competitivo alla Milano-Sanremo. Quest’anno alla Tirreno si è allenato, ha fatto dei test, come sospettavamo si è nascosto. Questo, viene anche da pensare, può essere dato dai noti problemi fisici (schiena, ginocchio) che si porta dietro da tempo e che lui è riuscito a trasformare in occasione da sfruttare. Non si corre più per la gloria estemporanea, per vincere o piazzarsi ovunque, ma solo pochi obiettivi mirati. Possibilmente grossi.

Tutto questo lo porta a essere dominante sul Poggio, il numero uno al mondo nelle corse di un giorno, con buona pace del suo eterno rivale van Aert e dell’all-rounder per eccellenza, quel fuoriclasse di nome Tadej Pogačar.

VAN AERT SE POTESSE DIREBBE: «ABOLITE IL POGGIO»

E veniamo a van Aert: la sua squadra ha condotto la prima parte di gara, un uomo a testa per tutte le squadre che avevano un favorito alla vittoria finale, poi le cadute hanno coinvolto Tratnik (ben due volte, gli altri si sono visti pochissimo), facendogli mancare una pedina fondamentale nel finale e nel momento del dunque è rimasto solo - addirittura troppo indietro nel momento dell'accelerazione di Wellens, prima, Pogačar poi, e quelle energie sprecate per rimontare posizioni in gruppo gli sono costate care (qui torna quel concetto espresso che alla Milano-Sanremo non bisogna sprecare un goccio di energia); ed è qui che si è ancora una volta scontrato con la dura legge del Poggio, una salita che non digerisce pienamente. Quando vinse, nel 2020, fu l’unico a resistere ad Alaphilippe, è vero, ma si salvò per il rotto della cuffia, evidentemente certe sgasate massime su suolo italiano non le regge. Attenzione però, chiariamo il concetto: parliamo di “non digerisce il Poggio” magari rispetto a uno, due, tre corridori, con gli altri centocinquanta e passa già saltati!

Sabato scorso sulla salita sopra Sanremo è stato accucciato prima a ruota di sei/sette corridori, poi quando restavano in quattro, degli altri tre; è andato in affanno sull’accelerazione di Pogačar, ma ha chiuso lui il buco, caduto nella trappola di van der Poel (quando attaccano Pogačar e Ganna, è van Aert che ricuce), ha sprecato quelle energie utili per salvarsi dal devastante attacco dell’olandese poco dopo. Infine proprio per caratteristiche è evidente come al belga serviva arrivare in quattro per sperare di vincere. Ma ci sarà tempo per le rivincite già dalle prossime ore.

E INFINE GANNA, MA PER NOI È SOLO L’INIZIO

Milano Sanremo 2023 - 114th Edition - Abbiategrasso - Sanremo km 294 - 18/03/2023 - Filippo Ganna (ITA - INEOS Grenadiers) - photo Roberto Bettini/SprintCyclingAgency©2023

A 27 anni è arrivato il momento della sua massima maturità anche su strada. Poi che la sua disponibilità nell’essere sempre a disposizione del capitano di turno - cosa buona e giusta - non gli ha fatto crescere dentro quell’istinto necessario a muoversi nel momento opportuno è un dato di fatto e lo dice anche lui. Parole sue: «Non ho seguito van der Poel perché non sono abituato a giocarmi i finali di queste corse con certi corridori». Poi ha stupito; stupito così tanto che inizialmente ci si domandava: ma è Ganna quello a ruota di Pogačar o, e qui citiamo Bene (con la b maiuscola): “è forse il caso di una ubriacatura collettiva sdrucciolata sull’asse metonimico?”. Invece era realtà. Che poi in molti abbiano approfittato del pomeriggio davanti alla classicissima per darci dentro con birra o vino, buon per loro.

E infine ci dà speranza, in un momento in cui, possiamo dirlo senza timori di smentita, il ciclismo italiano affronta diverse difficoltà, abbiamo trovato un grande corridore che pensavamo fosse così iperspecializzato da non poter competere al livello che abbiamo visto sul Poggio, con tre dei quattro più forti corridori al mondo. E Ganna c’era, di diritto, per gambe, forma e palmarès, e con un bel messaggio: «Ora punto tutto sulla Roubaix». E allora fai una cosa: prendi il nostro cuore, Ganna, straccialo, calpestalo, fanne ciò che vuoi, tanto poi ci rivediamo dentro il velodromo francese, il tuo habitat naturale, la tua corsa.

 


Quella prima volta in Belgio

Il Cycling Team Friuli si affaccia nel mondo del ciclismo dal 2005 e negli anni ha scalato le gerarchie di quello che una volta avremmo definito dilettantismo - mentre oggi quel tipo di definizione lascia il tempo che trova: tra Continental, squadre Under 23, team di sviluppo, appare quasi obsoleto parlare ancora di dilettanti come categoria che prepara al salto tra i professionisti, ma questo è un altro discorso. Il Cycling Team Friuli, col tempo, è diventato un punto di riferimento in Italia di quella categoria trait d'union con il professionismo, quella categoria fondamentale per insegnare ai ragazzi quello che verrà.

Ha scaldato i motori qualche stagione fa lanciando al piano superiore uno dei nostri corridori preferiti - e più alvento di tutti - ovvero Alessandro De Marchi, vero simbolo della CTF della prima ora e ha proseguito nelle stagioni successive con i fratelli Bais (Davide e Mattia), Alessandro Pessot (oggi parte dello staff della squadra), Nicola Venchiarutti, Matteo Fabbro, Giovanni Aleotti, Andrea Pietrobon, Jonathan Milan, Fran Miholjevic e nel 2024 farà salire nella categoria maggiore Nicolò Buratti e Alberto Bruttomesso, per la verità quest'ultimo arrivato solo pochi mesi fa con l'obiettivo di prepararsi al meglio per il grande salto con il Team Bahrain Victorious, squadra di cui il CTF da un paio di stagioni è a tutti gli effetti il team di sviluppo.

Negli anni, i ragazzi guidati da Roberto Bressan e Renzo Boscolo, e in ammiraglia da Alessio Mattiussi e Fabio Baronti, si sono sempre distinti per far crescere gradualmente i propri atleti preparandoli al professionismo facendogli maturare esperienza all'estero, soprattutto nell'est Europa, ma dal 2023 qualcosa è leggermente cambiato. Attività al di fuori dell'Italia, sì, ma un po' più su di quella che ormai è la consolidata tradizione degli ex bianconeri friulani.

Abbiamo ascoltato uno dei tecnici della squadra, Alessio Mattiussi, fresco proprio della trasferta in Belgio alla Youngster Coast Challenge, e in procinto di ritornare lassù al Nord per disputare una della gare più attese del calendario Under 23: la Gent-Wevelgem che si correrà in una giornata piena zeppa di ciclismo da quelle parti, una sorta di mini-mondiale: quel giorno infatti, domenica 26 marzo, su quelle strade correranno anche gli juniores e ovviamente le due massime categorie rappresentate da donne e uomini élite.

Quest’anno un passo importante: per voi è la prima volta in Belgio.

Come Cycling team Friuli sì: lo scorso anno invece Buratti andò a correre proprio la Gent-Wevelgem con la maglia della Nazionale. Per questo 2023 abbiamo deciso di cambiare: noi di solito andiamo a disputare le corse nell’est Europa ma abbiamo sempre avuto il pallino di andare in Belgio, ma organizzare quel tipo di trasferte non è per nulla facile. Ci siamo riusciti grazie anche al supporto del Team Bahrain, e così abbiamo corso Youngster Coast Challenge e poi correremo la Gent.

Uno dei miei cavalli di battaglia, che porto avanti da sempre, è: per essere davvero competitivi tra i professionisti, nelle categorie giovanili bisogna andare al nord e quindi in Francia, Olanda e Belgio e scontrarsi contro le squadre che fanno abitualmente quel calendario e misurarsi su quel tipo di percorsi. Questo tipo di esperienza in che modo può servire ai ragazzi per essere poi pronti al piano di sopra?

Lo abbiamo visto sin dalla recon della Gent: un approccio diverso al modo di correre, percorsi vari e ricchi di ostacoli, l'imbocco dei muri è totalmente differente da un inizio salita in Italia. E poi ti trovi il pavé in mezzo ai paesi o all'improvviso nelle strade di campagna e ciò ti costringe ad alzare la soglia dell’attenzione: capitano imprevisti, cadute e forature. Questo porta a un interpretazione della corsa differente: ti tiene sempre sull’attenti, ti sollecita, un modo di correre più nervoso: dall'ammiraglia tutti chiedono di prendere davanti i muri o quei tratti particolari dal punto di vista tecnico, e il risultato è che il gruppo si allunga e si alza in maniera decisa il ritmo della corsa.

E senza dimenticare il vento.

In Italia, Slovenia, Croazia, dove corriamo spesso noi, puoi capitare la giornata di pioggia e vento, ma lì è all’ordine del giorno e infatti alla Youngster - dove per altro siamo stati fortunati con il meteo, niente pioggia e vento solo a tratti - in un momento in cui tirava un po’ di vento, le squadre development, Lotto e Uno-X su tutte, hanno provato ad attaccare aprendo i ventagli. È questa la chiave: o stai davanti e impari a correre in quella maniera, oppure se fuori dalla corsa.

 

Cosa ha dato ai tuoi ragazzi questa prima esperienza in Belgio?

Per loro è stato importante andare su qualche giorno prima. Di solito per far fronte al budget si va sempre a ridosso della corsa, mentre noi grazie al supporto della Bahrain siamo rimasti su per una settimana da lunedì a venerdì, abbiamo provato i percorsi e abbiamo vissuto quasi come un team World Tour: cinque giorni di trasferta, ricognizione di tutta la Gent e questo ti porta a capire già cosa vuol dire imboccare davanti un punto cruciale come il Kemmelberg ad esempio. Abbiamo provato il vero pavè belga e lo abbiamo fatto in bici, anche per capire i vari setup da usare: le ruote più adatte all’occasione, che rapporto utilizzare sui muri, perché la scelta è vasta, ma ti devi chiedere: qual è il più efficace? Anche per evitare cadute di catena e altri imprevisti. E poi è stato fondamentale fare la Youngster Coast Challenge prima della Gent-Wevelgem per farci un'idea di quello che troveremo domenica sia a livello di avversari che di percorso.

E qualche loro impressione?

Che si sgomita tanto per le posizioni.

Anche a livello di staff avete fatto un’esperienza tutta nuova. Vi siete avvalsi del supporto di qualcuno?

Lo staff era composto da me, Fabio Baronti e Alessandro Pessot, ma con noi c’era Borut Božič che ha corso molti anni anche in Belgio e ha portato la sua esperienza in questo tipo di percorsi, ci ha aiutato nell’analisi della gara, spiegandoci soprattutto quali sono i punti caldi di corse di questo genere.

Come si vive dall’ammiraglia una corsa così?

Da una parte con tranquillità, perché il meteo venerdì è stato clemente: non ha piovuto e ci sono stati pochi tratti battuti dal vento. Dall’altra tensione. Bruttomesso ha forato proprio su un ventaglio e quindi c’è stata un po' di concitazione: quello è stato il momento più critico, forse. Poi però dai muri in poi è stato molto emozionante: se generalmente le “nostre” corse si accendono nel finale e l’adrenalina sale nei chilometri che portano all’arrivo, qui la gara si anima da metà corsa con l'imbocco dei primi muri.

Ho visto un video del Kemmelberg dove i vostri ragazzi erano davanti, tutti nelle prime posizioni, c'era Olivo, Buratti… poi cos’è successo, troppo forti Segaert e Vangelhuwe?

I ragazzi hanno messo in pratica ciò che ci siamo detti e sul Kemmelberg, punto cruciale della corsa, erano davanti, nelle prime posizioni del gruppo, poi a causa di una caduta un paio dei nostri hanno messo il piede a terra e così ci siamo ritrovati a inseguire. A fine Kemmelberg il gruppo era allungatissimo prima del Roderberg, che si affronta praticamente subito dopo, e i Lotto hanno fatto un'azione di squadra, di forza, e da lì sono usciti Vangheluwe e Segaert (che poi si giocheranno il successo: vincerà Vangheluwe della Soudal Quick Step Devo, NdA), mentre a noi è mancato veramente pochissimo per agganciarli e mettere dentro uno dei nostri in quella che poi si rivelerà la fuga decisiva.

Il livello poi era molto alto.

Con nove squadre Development alla partenza, direi proprio sì. È stata un'esperienza importante, una gara riferimento.

E si torna al discorso fatto prima: per diventare un professionista a tutti gli effetti devi passare da qui, banalmente si dice: è una scuola.

Il nostro obiettivo infatti è quello di dare la possibilità ai ragazzi di misurarsi in queste gare e di affacciarsi poi al World Tour con delle basi solide da cui partire. Come team sviluppo della Bahrain dobbiamo riuscire a presentare loro corridori pronti e per farlo devono misurarsi su terreni di diverso genere. Più corse a tappe possibili, più esperienze al Nord possibili e, passami il termine, dobbiamo essere in grado di fornirgli un “prodotto completo”.

Anche perché il tempo "della scuola" finisce proprio in questa categoria, poi diventa un mestiere.

E nel World Tour il tempo per imparare è poco. Se arrivi che ti mancano le basi ti trovi a inseguire, e le squadre non aspettano.

 

Alla Gent-Wevelgem si alzerà l’asticella, sia come livello, che come obiettivi per voi, dopo l'esperienza alla Youngster Coast Challenge.

Le squadre saranno quelle viste alla Youngster Coast Challenge quindi il livello è il medesimo: molto alto. Se l'altro giorno si arrivava in volata come prevedibile, la Gent è più dura e verrà fuori anche più selettiva dell’anno scorso, perché hanno messo la doppia scalata al Kemmelberg con meno chilometri di distanza l'uno dall'altro e a una ventina dal traguardo. Aspettando anche di capire il meteo, noi non nascondiamo che saremmo agguerriti, ma soprattutto che andiamo lì per fare qualcosa di buono.

Per chiudere: da friulano ti chiedo di due miei corregionali che seguo con particolare attenzione: Bryan Olivo e Nicolò Buratti. Stagioni e profili diversi: Buratti doveva passare, non è passato, ma ha in mano un contratto per il 2024. Olivo ha qualità importanti e lo si attende a un passo successivo dal punto di vista del rendimento. Che obiettivi hanno in stagione?

Buratti dovrà principalmente fare esperienze importanti e formative come queste in Belgio ad esempio, in vista del salto con la Bahrain nel 2024, ma soprattutto dovrà riconfermarsi, che è la cosa più difficile, perché hai addosso gli occhi di tutti e ci sono le normali pressioni. Ma dalle poche gare sin qui disputate ha dimostrato di esserci. Alla Youngster era davanti per giocarsela e lo sarà anche domenica alla Gent.

Olivo lo scorso anno ha avuto un problema al ginocchio che lo ha tenuto fermo per tre mesi. Io ora lo vedo molto cresciuto e maturato, e come hai fatto notare bene tu all’imbocco del Kemmelberg era davanti. Se vogliamo dirla così, queste gare lo motivano un sacco, un po' anche perché lo riportano ai tempi di quando correva nel ciclocross e sono un tipo di corse in cui può dire la sua. Lui deve soprattutto riuscire a sbloccarsi: è forte su pista, va bene a crono, ma ora deve trovare il suo giusto spazio anche per capire come vincere su strada.