Dal Poggio puoi vedere

Che idea bislacca per un mondo che pare non abbia un futuro (ahia, iniziamo bene… direte voi) pensare di osservare da una montagnetta che arriva al massimo a trecentotrenta metri di altitudine ciò che potrà essere. O forse è proprio questo il paradosso o il punto, chissà.

Però dal Poggio (di Sanremo) puoi vedere tante cose, magari non la Tour Eiffel come riesce a Vinz e Said ne “l’Odio’’ da un palazzo del centro di Parigi, e nemmeno spegnere il mondo per un attimo con lo schioccare delle dita, ma mentre osservi ti fai ugualmente un po’ di domande e iniziamo da Pogačar: hanno fatto tutto bene lui e la sua squadra (almeno sino a lì)? Non è che magari poteva rispondere all’attacco di Mathieu van der Poel? Il problema è la caduta o l’atterraggio?

L’impressione è che lui e l’UAE abbiano svolto il compito (quasi) alla perfezione - qualcuno direbbe che peggio dello scorso anno era difficile - in una corsa dove è impossibile lanciarsi in chissà quali svolazzi studiati a tavolino: i punti dove fare la selezione sono quelli; i punti dove scattare si conoscono a memoria. Avviene una prima selezione sulla Cipressa, ma non devastante come dodici mesi prima, scelta fatta proprio per tenersi di fianco i suoi uomini e sgranare il gruppo nella breve ascesa successiva. Sul Poggio, infatti, sono perfetti nel lanciarlo, l’azione di Wellens, che cambia ritmo rispetto a quello più stabile tenuto dalla Bahrain, è una progressione che dimezza il gruppo e abbatte le speranze di quelle ruote velocissime che fino a poche centinaia di metri prima parevano muoversi più che bene (vedi Ewan, Ballerini o Cort Nielsen: più passavano i metri e più prendevano la forma degli spauracchi).

Prima che il belga, facendosi da parte, possa dare il via libera all'attacco del suo capitano, Trentin, manovra perfetta anche la sua, in nona ruota si sposta e fa il buco, Cosnefroy e un altro corridore della Alpecin - un Philipsen d’annata: finalmente sta sbocciando quel corridore che aspettiamo da cinque anni anche nelle corse di un giorno? vedremo… - non chiudono e davanti restano nell’ordine: Wellens, Pogačar , van der Poel, Pedersen, Ganna, Kragh Andersen, Mohorič, van Aert. Poi il belga dell’UAE dalla testa si leva di torno, parte Pogačar e restano in quattro, ma quello che pare l’affondo decisivo - ma non risolutivo - risulta essere il là, poco dopo, fondamentale per l’azione di van der Poel che sale a bocca chiusa mentre gli altri sono a tutta e che quando scatta pone fine alle ambizioni dello sloveno, dell’italiano e del belga.

E per rispondere dunque al primo quesito: Pogačar ha fatto tutto bene? Certo. E pareva il miglior Pogačar possibile - d’altra parte da febbraio fino a poche centinaia di metri dalla cabina telefonica che segna l’inizio della fine della salita del Poggio, aveva ammaliato per l’efficacia delle sue azioni. Ma il miglior Pogačar possibile per vincere la Milano-Sanremo: 1) deve arrivare da solo e staccare gente di questo calibro sulle dolci pendenze sopra Sanremo non è facile; 2) se arriva in un gruppetto deve sperare che in quel gruppetto non ci sia gente come van der Poel o van Aert (o come l’incredibile Ganna visto sabato, ma ci ritorneremo). Tertium non datur, e va bene così, a fine gara lo sloveno, protagonista di una Sanremo che non dimenticheremo, sorride soddisfatto della sua gara e rilancia per l’anno prossimo. Magari cambiando nuovamente spartito lui, visto che il percorso rimarrà verosimilmente sempre questo.

VAN DER POEL LOGORA CHI NON CE L’HA

Milano Sanremo 2023 - 114th Edition - Teams Presentation - Abbiategrasso - 17/03/2023 - Mathieu Van Der Poel (NED - Alpecin - Deceuninck) - photo Roberto Bettini/SprintCyclingAgency©2023

Dopo le domande è il tempo delle affermazioni: sulla forza di van der Poel e su quel qualcosa che sembra ogni volta mancare a Wout van Aert sul Poggio.

Van der Poel, in nemmeno troppe poche parole: dal suo incredibile filotto nelle corse cosiddette Monumento, fino a un un palmarès nelle gare di un giorno che appare così ricco, sontuoso, che a fine carriera - speriamo che questa arrivi più tardi possibile, ma tant’è - lo metterà tra i più grandi interpreti di sempre delle grandi classiche. Top ten in tutte e cinque le Monumento; una Milano-Sanremo, una Strade Bianche, una Amstel Gold Race, due Fiandre, un podio alla Roubaix, e ancora in un Fiandre e in una Milano-Sanremo. Tutto molto bello direbbe Pizzul, noi aggiungiamo esaltante al posto di bello: dai risultati statistici, al solito parallelismo con nonno Poulidor che francamente non stanca mai, e lo dice chi fa del cinismo un cavallo di battaglia, ma poi in realtà si scioglie davanti a certe situazioni.

E poi quell’azione che gli vale anche il record di sempre sul Poggio (5’40'' con un margine di errore di 2") con una delle manovre più incredibili a memoria di chi scrive e si presume anche di chi legge, azioni indimenticabili che con van der Poel iniziano pure a essere diverse, grazie alla sua capacità di esprimere potenza superiore a chiunque altro, sia che si parta da fermi - le famose volate a due dove risulta spesso imbattibile (con eccezioni) - alcune volate prese da lontanissimo, sforzi su pendenze a doppia cifra (Santa Caterina a Siena), o su pendenze dolci ma affrontate a tutta velocità come a Sanremo.

E dal Poggio osserviamo, guardando l’orizzonte, e vediamo il lavoro incredibile che stanno facendo nella sua testa papa Adri, la squadra, chi gli sta vicino e chiaramente quanto lui ci stia mettendo del suo. Tatticamente è diventato quasi perfetto in corsa, è vero a volte si concede qualcosa - per fortuna - basti pensare al Giro 2022 tutto all’attacco per la nostra gioia che lo abbiamo amato ancora di più, ma vi ricordate quando era così naïf che al Fiandre solo quattro stagioni fa rischiava di compromettere la sua salute per saltare i marciapiedi in bicicletta?

Oppure quando inizialmente stava al vento, troppo sicuro di sé, a cercare il posto giusto in gruppo, a defilarsi e risalire sprecando energie, o ancora: avete memoria di quell’azione - straripante, leggendaria è vero, ma… - alla Tirreno-Adriatico di due anni fa? Quell’azione gli tolse le energie necessarie per essere competitivo alla Milano-Sanremo. Quest’anno alla Tirreno si è allenato, ha fatto dei test, come sospettavamo si è nascosto. Questo, viene anche da pensare, può essere dato dai noti problemi fisici (schiena, ginocchio) che si porta dietro da tempo e che lui è riuscito a trasformare in occasione da sfruttare. Non si corre più per la gloria estemporanea, per vincere o piazzarsi ovunque, ma solo pochi obiettivi mirati. Possibilmente grossi.

Tutto questo lo porta a essere dominante sul Poggio, il numero uno al mondo nelle corse di un giorno, con buona pace del suo eterno rivale van Aert e dell’all-rounder per eccellenza, quel fuoriclasse di nome Tadej Pogačar.

VAN AERT SE POTESSE DIREBBE: «ABOLITE IL POGGIO»

E veniamo a van Aert: la sua squadra ha condotto la prima parte di gara, un uomo a testa per tutte le squadre che avevano un favorito alla vittoria finale, poi le cadute hanno coinvolto Tratnik (ben due volte, gli altri si sono visti pochissimo), facendogli mancare una pedina fondamentale nel finale e nel momento del dunque è rimasto solo - addirittura troppo indietro nel momento dell'accelerazione di Wellens, prima, Pogačar poi, e quelle energie sprecate per rimontare posizioni in gruppo gli sono costate care (qui torna quel concetto espresso che alla Milano-Sanremo non bisogna sprecare un goccio di energia); ed è qui che si è ancora una volta scontrato con la dura legge del Poggio, una salita che non digerisce pienamente. Quando vinse, nel 2020, fu l’unico a resistere ad Alaphilippe, è vero, ma si salvò per il rotto della cuffia, evidentemente certe sgasate massime su suolo italiano non le regge. Attenzione però, chiariamo il concetto: parliamo di “non digerisce il Poggio” magari rispetto a uno, due, tre corridori, con gli altri centocinquanta e passa già saltati!

Sabato scorso sulla salita sopra Sanremo è stato accucciato prima a ruota di sei/sette corridori, poi quando restavano in quattro, degli altri tre; è andato in affanno sull’accelerazione di Pogačar, ma ha chiuso lui il buco, caduto nella trappola di van der Poel (quando attaccano Pogačar e Ganna, è van Aert che ricuce), ha sprecato quelle energie utili per salvarsi dal devastante attacco dell’olandese poco dopo. Infine proprio per caratteristiche è evidente come al belga serviva arrivare in quattro per sperare di vincere. Ma ci sarà tempo per le rivincite già dalle prossime ore.

E INFINE GANNA, MA PER NOI È SOLO L’INIZIO

Milano Sanremo 2023 - 114th Edition - Abbiategrasso - Sanremo km 294 - 18/03/2023 - Filippo Ganna (ITA - INEOS Grenadiers) - photo Roberto Bettini/SprintCyclingAgency©2023

A 27 anni è arrivato il momento della sua massima maturità anche su strada. Poi che la sua disponibilità nell’essere sempre a disposizione del capitano di turno - cosa buona e giusta - non gli ha fatto crescere dentro quell’istinto necessario a muoversi nel momento opportuno è un dato di fatto e lo dice anche lui. Parole sue: «Non ho seguito van der Poel perché non sono abituato a giocarmi i finali di queste corse con certi corridori». Poi ha stupito; stupito così tanto che inizialmente ci si domandava: ma è Ganna quello a ruota di Pogačar o, e qui citiamo Bene (con la b maiuscola): “è forse il caso di una ubriacatura collettiva sdrucciolata sull’asse metonimico?”. Invece era realtà. Che poi in molti abbiano approfittato del pomeriggio davanti alla classicissima per darci dentro con birra o vino, buon per loro.

E infine ci dà speranza, in un momento in cui, possiamo dirlo senza timori di smentita, il ciclismo italiano affronta diverse difficoltà, abbiamo trovato un grande corridore che pensavamo fosse così iperspecializzato da non poter competere al livello che abbiamo visto sul Poggio, con tre dei quattro più forti corridori al mondo. E Ganna c’era, di diritto, per gambe, forma e palmarès, e con un bel messaggio: «Ora punto tutto sulla Roubaix». E allora fai una cosa: prendi il nostro cuore, Ganna, straccialo, calpestalo, fanne ciò che vuoi, tanto poi ci rivediamo dentro il velodromo francese, il tuo habitat naturale, la tua corsa.

 


Quella prima volta in Belgio

Il Cycling Team Friuli si affaccia nel mondo del ciclismo dal 2005 e negli anni ha scalato le gerarchie di quello che una volta avremmo definito dilettantismo - mentre oggi quel tipo di definizione lascia il tempo che trova: tra Continental, squadre Under 23, team di sviluppo, appare quasi obsoleto parlare ancora di dilettanti come categoria che prepara al salto tra i professionisti, ma questo è un altro discorso. Il Cycling Team Friuli, col tempo, è diventato un punto di riferimento in Italia di quella categoria trait d'union con il professionismo, quella categoria fondamentale per insegnare ai ragazzi quello che verrà.

Ha scaldato i motori qualche stagione fa lanciando al piano superiore uno dei nostri corridori preferiti - e più alvento di tutti - ovvero Alessandro De Marchi, vero simbolo della CTF della prima ora e ha proseguito nelle stagioni successive con i fratelli Bais (Davide e Mattia), Alessandro Pessot (oggi parte dello staff della squadra), Nicola Venchiarutti, Matteo Fabbro, Giovanni Aleotti, Andrea Pietrobon, Jonathan Milan, Fran Miholjevic e nel 2024 farà salire nella categoria maggiore Nicolò Buratti e Alberto Bruttomesso, per la verità quest'ultimo arrivato solo pochi mesi fa con l'obiettivo di prepararsi al meglio per il grande salto con il Team Bahrain Victorious, squadra di cui il CTF da un paio di stagioni è a tutti gli effetti il team di sviluppo.

Negli anni, i ragazzi guidati da Roberto Bressan e Renzo Boscolo, e in ammiraglia da Alessio Mattiussi e Fabio Baronti, si sono sempre distinti per far crescere gradualmente i propri atleti preparandoli al professionismo facendogli maturare esperienza all'estero, soprattutto nell'est Europa, ma dal 2023 qualcosa è leggermente cambiato. Attività al di fuori dell'Italia, sì, ma un po' più su di quella che ormai è la consolidata tradizione degli ex bianconeri friulani.

Abbiamo ascoltato uno dei tecnici della squadra, Alessio Mattiussi, fresco proprio della trasferta in Belgio alla Youngster Coast Challenge, e in procinto di ritornare lassù al Nord per disputare una della gare più attese del calendario Under 23: la Gent-Wevelgem che si correrà in una giornata piena zeppa di ciclismo da quelle parti, una sorta di mini-mondiale: quel giorno infatti, domenica 26 marzo, su quelle strade correranno anche gli juniores e ovviamente le due massime categorie rappresentate da donne e uomini élite.

Quest’anno un passo importante: per voi è la prima volta in Belgio.

Come Cycling team Friuli sì: lo scorso anno invece Buratti andò a correre proprio la Gent-Wevelgem con la maglia della Nazionale. Per questo 2023 abbiamo deciso di cambiare: noi di solito andiamo a disputare le corse nell’est Europa ma abbiamo sempre avuto il pallino di andare in Belgio, ma organizzare quel tipo di trasferte non è per nulla facile. Ci siamo riusciti grazie anche al supporto del Team Bahrain, e così abbiamo corso Youngster Coast Challenge e poi correremo la Gent.

Uno dei miei cavalli di battaglia, che porto avanti da sempre, è: per essere davvero competitivi tra i professionisti, nelle categorie giovanili bisogna andare al nord e quindi in Francia, Olanda e Belgio e scontrarsi contro le squadre che fanno abitualmente quel calendario e misurarsi su quel tipo di percorsi. Questo tipo di esperienza in che modo può servire ai ragazzi per essere poi pronti al piano di sopra?

Lo abbiamo visto sin dalla recon della Gent: un approccio diverso al modo di correre, percorsi vari e ricchi di ostacoli, l'imbocco dei muri è totalmente differente da un inizio salita in Italia. E poi ti trovi il pavé in mezzo ai paesi o all'improvviso nelle strade di campagna e ciò ti costringe ad alzare la soglia dell’attenzione: capitano imprevisti, cadute e forature. Questo porta a un interpretazione della corsa differente: ti tiene sempre sull’attenti, ti sollecita, un modo di correre più nervoso: dall'ammiraglia tutti chiedono di prendere davanti i muri o quei tratti particolari dal punto di vista tecnico, e il risultato è che il gruppo si allunga e si alza in maniera decisa il ritmo della corsa.

E senza dimenticare il vento.

In Italia, Slovenia, Croazia, dove corriamo spesso noi, puoi capitare la giornata di pioggia e vento, ma lì è all’ordine del giorno e infatti alla Youngster - dove per altro siamo stati fortunati con il meteo, niente pioggia e vento solo a tratti - in un momento in cui tirava un po’ di vento, le squadre development, Lotto e Uno-X su tutte, hanno provato ad attaccare aprendo i ventagli. È questa la chiave: o stai davanti e impari a correre in quella maniera, oppure se fuori dalla corsa.

 

Cosa ha dato ai tuoi ragazzi questa prima esperienza in Belgio?

Per loro è stato importante andare su qualche giorno prima. Di solito per far fronte al budget si va sempre a ridosso della corsa, mentre noi grazie al supporto della Bahrain siamo rimasti su per una settimana da lunedì a venerdì, abbiamo provato i percorsi e abbiamo vissuto quasi come un team World Tour: cinque giorni di trasferta, ricognizione di tutta la Gent e questo ti porta a capire già cosa vuol dire imboccare davanti un punto cruciale come il Kemmelberg ad esempio. Abbiamo provato il vero pavè belga e lo abbiamo fatto in bici, anche per capire i vari setup da usare: le ruote più adatte all’occasione, che rapporto utilizzare sui muri, perché la scelta è vasta, ma ti devi chiedere: qual è il più efficace? Anche per evitare cadute di catena e altri imprevisti. E poi è stato fondamentale fare la Youngster Coast Challenge prima della Gent-Wevelgem per farci un'idea di quello che troveremo domenica sia a livello di avversari che di percorso.

E qualche loro impressione?

Che si sgomita tanto per le posizioni.

Anche a livello di staff avete fatto un’esperienza tutta nuova. Vi siete avvalsi del supporto di qualcuno?

Lo staff era composto da me, Fabio Baronti e Alessandro Pessot, ma con noi c’era Borut Božič che ha corso molti anni anche in Belgio e ha portato la sua esperienza in questo tipo di percorsi, ci ha aiutato nell’analisi della gara, spiegandoci soprattutto quali sono i punti caldi di corse di questo genere.

Come si vive dall’ammiraglia una corsa così?

Da una parte con tranquillità, perché il meteo venerdì è stato clemente: non ha piovuto e ci sono stati pochi tratti battuti dal vento. Dall’altra tensione. Bruttomesso ha forato proprio su un ventaglio e quindi c’è stata un po' di concitazione: quello è stato il momento più critico, forse. Poi però dai muri in poi è stato molto emozionante: se generalmente le “nostre” corse si accendono nel finale e l’adrenalina sale nei chilometri che portano all’arrivo, qui la gara si anima da metà corsa con l'imbocco dei primi muri.

Ho visto un video del Kemmelberg dove i vostri ragazzi erano davanti, tutti nelle prime posizioni, c'era Olivo, Buratti… poi cos’è successo, troppo forti Segaert e Vangelhuwe?

I ragazzi hanno messo in pratica ciò che ci siamo detti e sul Kemmelberg, punto cruciale della corsa, erano davanti, nelle prime posizioni del gruppo, poi a causa di una caduta un paio dei nostri hanno messo il piede a terra e così ci siamo ritrovati a inseguire. A fine Kemmelberg il gruppo era allungatissimo prima del Roderberg, che si affronta praticamente subito dopo, e i Lotto hanno fatto un'azione di squadra, di forza, e da lì sono usciti Vangheluwe e Segaert (che poi si giocheranno il successo: vincerà Vangheluwe della Soudal Quick Step Devo, NdA), mentre a noi è mancato veramente pochissimo per agganciarli e mettere dentro uno dei nostri in quella che poi si rivelerà la fuga decisiva.

Il livello poi era molto alto.

Con nove squadre Development alla partenza, direi proprio sì. È stata un'esperienza importante, una gara riferimento.

E si torna al discorso fatto prima: per diventare un professionista a tutti gli effetti devi passare da qui, banalmente si dice: è una scuola.

Il nostro obiettivo infatti è quello di dare la possibilità ai ragazzi di misurarsi in queste gare e di affacciarsi poi al World Tour con delle basi solide da cui partire. Come team sviluppo della Bahrain dobbiamo riuscire a presentare loro corridori pronti e per farlo devono misurarsi su terreni di diverso genere. Più corse a tappe possibili, più esperienze al Nord possibili e, passami il termine, dobbiamo essere in grado di fornirgli un “prodotto completo”.

Anche perché il tempo "della scuola" finisce proprio in questa categoria, poi diventa un mestiere.

E nel World Tour il tempo per imparare è poco. Se arrivi che ti mancano le basi ti trovi a inseguire, e le squadre non aspettano.

 

Alla Gent-Wevelgem si alzerà l’asticella, sia come livello, che come obiettivi per voi, dopo l'esperienza alla Youngster Coast Challenge.

Le squadre saranno quelle viste alla Youngster Coast Challenge quindi il livello è il medesimo: molto alto. Se l'altro giorno si arrivava in volata come prevedibile, la Gent è più dura e verrà fuori anche più selettiva dell’anno scorso, perché hanno messo la doppia scalata al Kemmelberg con meno chilometri di distanza l'uno dall'altro e a una ventina dal traguardo. Aspettando anche di capire il meteo, noi non nascondiamo che saremmo agguerriti, ma soprattutto che andiamo lì per fare qualcosa di buono.

Per chiudere: da friulano ti chiedo di due miei corregionali che seguo con particolare attenzione: Bryan Olivo e Nicolò Buratti. Stagioni e profili diversi: Buratti doveva passare, non è passato, ma ha in mano un contratto per il 2024. Olivo ha qualità importanti e lo si attende a un passo successivo dal punto di vista del rendimento. Che obiettivi hanno in stagione?

Buratti dovrà principalmente fare esperienze importanti e formative come queste in Belgio ad esempio, in vista del salto con la Bahrain nel 2024, ma soprattutto dovrà riconfermarsi, che è la cosa più difficile, perché hai addosso gli occhi di tutti e ci sono le normali pressioni. Ma dalle poche gare sin qui disputate ha dimostrato di esserci. Alla Youngster era davanti per giocarsela e lo sarà anche domenica alla Gent.

Olivo lo scorso anno ha avuto un problema al ginocchio che lo ha tenuto fermo per tre mesi. Io ora lo vedo molto cresciuto e maturato, e come hai fatto notare bene tu all’imbocco del Kemmelberg era davanti. Se vogliamo dirla così, queste gare lo motivano un sacco, un po' anche perché lo riportano ai tempi di quando correva nel ciclocross e sono un tipo di corse in cui può dire la sua. Lui deve soprattutto riuscire a sbloccarsi: è forte su pista, va bene a crono, ma ora deve trovare il suo giusto spazio anche per capire come vincere su strada.

 


Top&Flop - alvento weekly #3

TOP

ALPECIN-DECEUNINK

Dillier per la costruzione da dietro, Hermans e Sbaragli a gestire palla, Vermeeersch per  difendere (il capitano), Philipsen la seconda punta che fa le finte, Kragh Andersen stoppa e serve gli assist e poi Mathieu van der Poel a finalizzare. Che squadrone la Alpecin vista a Sanremo! E come se non bastasse nei giorni successivi Philipsen vince una Brugge-De Panne bagnata e massacrante, Groves in volata al Catalunya. Che squadrone la Alpecin ovunque!

UAE TEAM EMIRATES

Si può essere tra i top pur senza essere vincenti? Certo, perché alla squadra di Pogačar gliene si dice sempre di ogni e invece alla Sanremo hanno fatto tutto quello che si doveva fare. Se poi di fronte hai un van der Poel di quel genere non ti resta che guardare e difenderti con i denti.

TREK SEGAFREDO

Al Trofeo Binda, bottino pieno: prima Shirin van Anrooij, seconda Elisa Balsamo. C'è la concretizzazione di un'azione solitaria da equilibristi e un lavoro di squadra che permette all'equilibrista di inventare ogni peripezia. Il riassunto? Dalle parole di Gaia Realini all'arrivo: "Che bella specorata". E poi quel Ciccone mai visto con questa continuità ad alti livelli.

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FLOP

WOUT VAN AERT

E non ce ne voglia Attila Valter che diceva: "Criticano e prendono in giro van Aert per i suoi piazzamenti”, ma a Sanremo van Aert era il favorito e invece arriva “solo” terzo… comunque di gare in cui rifarsi ce ne sono, altrimenti poi ci tocca pure dare ragione a Boonen e Museeuw.

ARNAUD DE LIE

Pensavamo che, entrando nella cabina telefonica, il giovane Arnaud si fosse trasformato in Superman e invece arriva la prima vera legnata della sua carriera. Si stacca sulla Cipressa da un gruppo con dentro ancora 70/80 corridori. Va bene che la Sanremo è la Sanremo, corsa lunga che può logorare, ma l’impressione è che questo non sia minimamente lo stesso Toro ammirato a inizio stagione. Cova un malanno, o è partito troppo forte, illudendoci?

BINI GIRMAY

Da un certo punto in avanti della scorsa stagione abbiamo l’impressione che il talentuosissimo corridore della Intermarché - al netto di alcuni risultati qua e là - non riesca più a esprimersi a quei livelli raggiunti tra Gand-Wevelgem e Giro nel 2022. Non vederlo nemmeno nel secondo gruppetto sul traguardo di Via Roma assume i contorni del mistero. Ma anche lui, come si suol dire, ha tutta la stagione davanti.


Di sloveni ubriachi, peli e sorrisi

IL SORRISO DI TADEJ

Pare che gli americani abbiano calcolato la grandezza di un asteroide passato nelle scorse ore vicino alla terra con la misura di sessantanove alligatori: chi siamo noi per non misurare la capacità di dominare una corsa in Pogačar?

Verrebbe da dire, anche: “questo ragazzo, Tadej Pogačar, è irreale”. Come definireste il suo impatto con il mondo del ciclismo? Da quando è cresciuto definitivamente in questo microcosmo sembra aver deciso di mettere per iscritto un regolamento tutto suo, ispirato a una civiltà in cui il cannibalismo era un rito, rappresentante quasi unico di un ciclismo dove si vince senza fare prigionieri e se possibile lo si fa con il sorriso stampato sul volto.

Prima era il ciuffo sbarazzino, poi la linguaccia sul traguardo de Il Lombardia rivolta a Mas o forse a se stesso e ai suoi tifosi, emblema di un modo di interpretare questo sport che di divertente sembrerebbe avere poco, in realtà, soprattutto nel momento in cui lo stai praticando; poi c'è stato quel momento durante la Parigi Nizza in cui, prima di stroncare Vingegaard e lasciarlo sul posto come un maleducato farebbe durante una passeggiata, in un sentiero, con una cartaccia, si volta verso la moto ripresa e sorride.

Ma più che irriverenza c’è consapevolezza; è l’affrontare la vita e il ciclismo così, come piace a noi, lui stacca o batte allo sprint - perché è notevole lo spunto veloce - gli avversari, e prova a farlo da febbraio a ottobre. Quest’anno non vuole mancare l’appuntamento caldo del Tour de France, con un successo finale, ma occhio anche a ciò che avverrà a breve perché dal 18 marzo al 23 aprile ci sono tre momenti segnati in grassetto, iniziando dalla Sanremo di domenica dove sarà costretto a gestire meglio, rispetto al 2022, la sua idea di fratricidio  - e siccome è una spugna lo farà - mettendo però giù corsa dura, forse pure durissima dalla Cipressa e gestendo gli attacchi, i suoi attacchi, sul Poggio. Magari non quattro, cinque di fila, ma uno ben assestato in uno dei punti focali sui quali si pone l'attenzione di tutti nella celebre salita prima della picchiata verso Sanremo.

Milano Sanremo 2022 - 113th Edition - Milano - Sanremo 293 km - 19/03/2022 - Tadej Pogacar (SLO - UAE Team Emirates) - Wout Van Aert (BEL - Team Jumbo - Visma) - photo POOL Fabio Ferrari/SprintCyclingAgency©2022

A qualcuno non piace il suo modo, oppure giudica insipido il suo rapporto con la stampa, un po’ freddo e banale, ma la gloria per Pogačar si raggiunge tagliando il traguardo per primo e basta: la vera novità per la nostra generazione di appassionati e osservatori è quella di trovarsi di fronte a un corridore che può vincere qualsiasi tipo di corsa, come accaduto poche volte in un passato ormai lontano.

Quello che importa non è quale storia abbia alle spalle, ma quale starà per scrivere: quando attaccherà e come; cosa si inventerà per vincere, in un momento storico nel quale la concorrenza è agguerrita su ogni percorso e varia, e dove lui è l'unica costante.

Pogačar non lascia nulla agli altri né al caso come nella penultima tappa di montagna alla Parigi-Nizza dove: «È stata dura, la prima vera giornata dura dell’anno ed è andata come previsto». Ovvero gol di Pogačar e palla al centro. Aveva bisogno di faticare e ha faticato e ha vinto. In quel modo leggero che conosce solo lui.

E siamo a quota 9 successi a marzo 2023 ovvero più della metà di tutto il 2021 (13) e di tutto il 2022 (16). Una crescita numerica inarrestabile.

ALTRO SULLA PARIGI-NIZZA

Paris Nice 2023 - 81st Edition - 7th stage Nice - Col de la Couillole 142,9 km - 11/03/2023 - Jonas Vingegaard (DEN - Jumbo - Visma) - photo Luca Bettini/SprintCyclingAgency©2023

C’è Vingegaard che rimbalza, solo che ora fa più rumore perché ha acquisito un nuovo status: lui è quello che ha battuto lo sloveno al Tour, che fa il capitano della squadra più forte e temuta, lui è quello che appare proprio il contrario del suo rivale e per tanti aspetti ed è interessante che la faccenda vada così: che se la sbrighi ognuno a modo proprio.

Perché se Pogačar c’ha quel sorriso stampato in faccia che lo si ama o ti irrita, Vingegaard, invece, è quello che dopo il Tour, travolto dalla popolarità e dallo stress, deve staccare e scappare, fino a quasi scomparire. È quello che non si pone al momento altri grossi obbiettivi a parte la grande corsa a tappe francese, pur correndo molto, per carità non entriamo nel dibattito; è quello che in bici pare un elemento freddo e distaccato mentre a fine gara si scioglie e cerca conforto al telefono parlando con sua moglie non appena finisce una corsa. È quello che nella prima tappa di montagna di questa Parigi Nizza ci prova, attacca, getta la sfida, ma si riduce a dare lo spunto a un Pogačar che forse, se possibile, è ancora più forte dello scorso anno. Vingegaard è quello che in Spagna solo pochi giorni prima faceva il Pogačar (ecco l'unità di misura) ma poi si stacca in Francia. «Andavano troppo forte per me» dirà in riferimento all’ultimo arrivo in salita quando, facendo l’elastico dietro Pogačar e Gaudu, riuscirà a rientrare salvo poi staccarsi durante lo sprint finale. Per luglio c'è tempo, avete voglia...

Paris Nice 2023 - 81st Edition - 4th stage Saint-Amand-Montrond - La Loge des Gardes 164,7 km - 08/03/2023 - David Gaudu (FRA - Groupama - FDJ) - photo Luca Bettini/SprintCyclingAgency©2023

E a proposito di luglio, status raggiunti e Tour de France: uno spettacolo vedere David Gaudu salito così tanto di livello da aver corso praticamente su quelli di Pogačar  Un bel vedere per il simpatico scalatore francese che ora, da qui all'estate dovrà cercare di superare il tritacarne mediatico d'oltralpe che rimarcherà un fatto: “potrà un francese vincere il Tour tot anni dopo Hinault?”.

Volate, in breve: bene Pedersen che sembra avere ancora con un po’ più di margine di miglioramento rispetto al 2023 e sarà tra gli outsider più credibili nei prossimi quattro week end di corse che vedranno la bellezza di quattro grandi classiche del ciclismo imperdibili (18 marzo, Milano-Sanremo, 26 marzo, Gent-Wevelgem, 2 aprile, Fiandre, 9 aprile, Paris-Roubaix); bene Merlier che si conferma il più forte velocista al mondo in questo momento dopo un anno così così; benissimo Kooij ormai una realtà tra gli sprinter puri; tanto da imparare invece per De Lie e per il suo treno, un corridore con abilità innate nello sgomitare al Nord ancora molto poco a suo agio (lui e il suo treno) nelle volate di gruppo soprattutto quando c'è ancora parecchia freschezza in giro.

IL LEAD OUT DI VAN DER POEL

Tirreno Adriatico 2023 - 58th Edition - 7th stage San Benedetto del Tronto - San Benedetto del Tronto 154km - 12/03/2023 - Jasper Philipsen (BEL - Alpecin - Deceuninck) - Mathieu Van Der Poel (NED - Alpecin - Deceuninck) - photo Tommaso Pelagalli/SprintCyclingAgency©2023

Parlare di volate di gruppo ci dà il giusto lancio per introdurre la Tirreno-Adriatico e prima di parlare di dominio sloveno anche qui, ecco un accenno a van der Poel che lancia perfettamente Jasper Philipsen nella tappa di Foligno dopo aver sbagliato tutto il giorno prima a Follonica facendo a pezzi chi gli stava a ruota e favorendo il lancio per Jakobsen.

Perfetto in terra umbra van der Poel: in un lead out che fa parlare perché arriva da uno dei corridori più amati dai tifosi e più forti del gruppo, perché lui sostanzialmente ha sempre fatto fatica in questo ruolo (e appunto il giorno prima…) ma come Pogačar, come tutti i fuoriclasse, ha un tratto distintivo che è la capacità di imparare subito dai propri errori e rimediare. E più o meno è simile ciò che accade nell’ultima tappa di San Benedetto del Tronto (a proposito, cari velocisti, massima stima per il vostro coraggio nell’affrontare arrivi di questo genere) anche qui pilota, con meno forza e meno precisione, ma è un bel vedere comunque, portando Philipsen e la sua squadra al successo numero due della stagione. Philipsen che batte Jakobsen per 2 a 1.

A proposito di Jakobsen: in questo inizio di stagione non sono mancate le vittorie, ma nemmeno i momenti in cui si vede che la paura prende il sopravvento. A San Benedetto del Tronto a un certo punto si rialza dalla ruota dei suoi compagni - invece loro perfetti nel portarsi davanti, ma appunto senza velocista al seguito. Normale dopo tutto quello che gli è successo, anzi per chi scrive resta come eccezione quello che è riuscito a fare negli anni dopo il grave incidente accorsogli al Giro di Polonia.

È stata una Tirreno Adriatico che ha vissuto sul vento contro e laterale che ha influenzato i finali di gara, soprattutto l’arrivo più importante, quello di Sassotetto; ha vissuto su un video che ha fatto il giro del mondo ciclistico e ci ha strappato un sorriso, soprattutto perché conseguenze non ce ne sono state, ma in realtà da ridere ci sarebbe poco nel vedere in diretta televisiva, mentre un corridore viene intervistato, un auto (dell’organizzazione?) che investe in pieno una bicicletta. Quel corridore, lo sapete tutti, è Ciccone, la bicicletta era la sua, e la reazione è un capolavoro di tempismo, tanto spontanea quanto empatica:c’è del genio nel salvataggio dello scattista abruzzese che riesce a censurare il finale di quella bestemmia entrando direttamente nella leggenda dei tormentoni di questo magnifico sport. Grazie Ciccone.

La Tirreno poi, ha vissuto momenti di dominio simili a quelli che avvenivano pochi chilometri più a nord ovest: uno sloveno su tutti anche qui, si tratta di Primož Roglič e anche qui di storie ce ne sarebbero da raccontare.

I PELI DI ROGLIČ

Tirreno Adriatico 2023 - 58th Edition - 3rd stage Follonica - Foligno 216 km - 08/03/2023 - Primoz Roglic (SLO - Jumbo - Visma) - photo Roberto Bettini/SprintCyclingAgency©2023

Non si può parlare sempre di contenuti tecnici, statistici, wattaggi, tattiche incomprensibili, corridori che dominano, giornalisti francesi che litigano su twitter, deve restare del tempo per Roglič che mostra fiero i peli delle gambe non depilati come ormai nemmeno più i ciclisti della domenica fanno (a parte chi scrive). Pare, si scoprirà dopo il primo dei tre successi di tappa consecutivi ottenuti nella corsa italiana, che lo sloveno della Jumbo Visma abbia fatto una scelta dettata dalla scaramanzia decidendo di non depilarsi fino al primo successo stagionale che è arrivato decisamente in anticipo rispetto alla tabella di marcia. Roglič, infatti, sarebbe dovuto rientrare alla Volta Catalunya nei prossimi giorni, ma dopo essersi testato in allenamento aveva deciso di correre la Tirreno con i risultati che tutti abbiamo visto. Tre tappe, la classifica finale, quella a punti e quella dei GPM.

Tirreno Adriatico 2023 - 58th Edition - 5th stage Morro d'Oro - Sarnano - Sassotetto 168 km - 10/03/2023 - Primoz Roglic (SLO - Jumbo - Visma) - photo Roberto Bettini/SprintCyclingAgency©2023

Un Roglič che si dimostra ancora una volta pressocché imbattibile su certi arrivi - certo, la concorrenza sin troppo sorniona ne ha favorito l'esito - soprattutto quando c’è da sprintare in un gruppetto dopo una salita: siamo convinti che così non basterà per vincere il Giro, ma potrebbe avere ancora margine per migliorare. Ancora Rogla, poi, protagonista nel dietro le quinte come si può vedere da questo siparietto e dall'occhio lucido.

Se quest’anno la corsa non ha lanciato troppi spunti dal punto di vista tecnico, ha lasciato i veri fuochi d’artificio per altri momenti, il contorno, tra bestemmie, peli e sloveni ubriachi dopo le premiazioni, ha raggiunto picchi incredibili.

E IN CHIAVE SANREMO?

Qualcuno si è nascosto o per meglio dire ha fatto dei lavori che torneranno utili più avanti: le sgasate di van der Poel in versione pesce pilota, le tirate di van Aert ad Osimo che hanno fatto arrabbiare pure Alaphilippe e ancora Ganna in alcuni finali di tappa, vanno in questo senso, mentre qualche dubbio resta sulla condizione di Bini Girmay, corridore che in Via Roma potrebbe arrivare a braccia alzate, ma che alla Tirreno non ha convinto fino in fondo - seppure un 3° e un 4° posto sono buoni risultati, ci mancherebbe. Probabilmente anche lui ha preferito nascondersi soprattutto negli arrivi più tortuosi, per poi farsi vedere solo nel momento giusto. Spesso nella Classicissima è quello che conta, a meno che non ti chiami Mohorič e vai in giro per il gruppo a canticchiare e a dire che in discesa stacchi tutti. Ma lo abbiamo detto: il ciclismo è pieno di gente forte, sì, ma anche meravigliosamente folle e geniale.

Foto in evidenza: ASO/Aurelien Vialatte


Top&Flop - alvento weekly #2

TOP

Jonas Gregaard

Il ragazzo danese cerca di rilanciarsi, ha lasciato l'Astana due anni fa sposando il progetto UNO-X Pro Cycling. Il ragazzo danese va in fuga quasi tutti i giorni alla Parigi-Nizza. Il ragazzo danese ha tre meriti:

1) Conquista la maglia a pois della celebre corsa a tappe di marzo rendendo orgogliosa la sua squadra che a luglio tornerà sulle strade francesi per il primo Tour della propria giovane storia.

2) "Costringe" un capitano consumato come Alexander Kristoff ad aiutarlo in fuga a conquistare punti decisivi alla conquista del primato.

3) Evita che Tadej Pogačar vada a casa con tutte, ma davvero tutte, le maglia di leader della Corsa verso il Sole.

Lorena Wiebes

Se ci fermassimo ai numeri, basterebbe dire che, per Lorena Wiebes, la vittoria alla Miron Ronde van Drenthe è la terza da inizio stagione, l’ultima solo una decina di giorni prima. Magari aggiungendo che è anche la terza consecutiva nell’albo d’oro della gara e solo Marianne Vos aveva fatto qualcosa di simile. Ma c’è di più, molto di più, in realtà.
Lorena Wiebes è fra i top di questa settimana per il modo di sprintare, per la netta sensazione di superiorità che ha, fino ad ora, offerto, per il tempismo che con cui parte e la capacità di levarsi quasi di ruota le avversarie. Tutto questo a soli 23 anni, con la maglia di campionessa europea addosso.

Giulio Ciccone

Del salvataggio geniale in diretta RAI ne abbiamo già parlato, ma il corridore abruzzese in queste prime settimane di corsa non è solo quello. È un corridore attivo che cerca il successo, battaglia con i migliori, si è già sbloccato e punta forte a qualche tappa al Giro. Con questa forma vogliamo vederlo anche sulle Ardenne perché può farci divertire.

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FLOP

Arnaud De Lie

Oneri e onori dell' essere considerato una sorta di ragazzo prodigio del ciclismo mondiale. La facilità con cui ha raggiunto diversi successi nei primi quindici mesi tra i professionisti si scontra con la dura realtà di una Parigi-Nizza nella quale si è perso in mezzo alle sgomitate degli altri sprinter (puri) e dei treni più collaudati. Attenzione però: Arnaud De Lie in testa e nelle gambe ha ben altro che le volate di gruppo e lo vuole dimostrare già da questa primavera.

Mikel Landa

Ma quello zigzag in salita alla Tirreno per le vie di Osimo, tra paletti e marciapiede, era proprio necessario caro Mikel? Hai fatto dei rifili che ci hanno fatto spaventare, ma a parte questo: ti rendi conto che continui a giocare con il nostro cuore quando scatti e poi non affondi? Ti prego Landa, vinci qualcosa! altrimenti non riusciamo a trovare pace.

La Ineos di Classifica

Può una squadra che presenta tra Parigi-Nizza e Tirreno-Adriatico, Dani Martinez, Pavel Sivakov, Thymen Arensman, Tom Pidcock e Tao Geogheghan Hart (quest'ultimo ha iniziato bene, lui non è un flop della settimana, anzi!) chiudere come miglior risultato con il 3° posto di THG in Italia e col 9° di Sivakov in Francia? Evidentemente sì, ma evidentemente non basta. Ci rivediamo al Catalunya, signori.

Foto: ASO/Aurelien Vialatte


Le Strade di Valter e Benoot

La Jumbo Visma fa notizia quando vince, la Jumbo Visma fa notizia quando non vince, figuriamoci alla Strade Bianche dove Attila Valter e Tiesj Benoot sono finiti nel mirino di critica e pubblico per alcune scene viste nel finale di gara e che hanno messo pepe alla discussione: esistesse ancora il “Processo alla Tappa” sarebbe stato uno dei punti principali su cui dibattere.

C’è stato un momento in cui il giovane ungherese Valter - stava benissimo, da Dio verrebbe da dire - rientrava sul primo gruppetto inseguitore di Pidcock, e fin qui non ci sarebbe nulla di male, non fosse che in quel gruppetto era presente Benoot che accoglieva il rientro del suo compagno di squadra, ben riconoscibile dalla maglia tricolore di campione nazionale, con un plateale gesto di disappunto.

La colpa di Valter sarebbe stata quella di fare da ponte tra il gruppetto Benoot e gli inseguitori che alla spicciolata faticavano su un tratto di sterrato in salita. E mica era finita qui!

La situazione pareva sfuggire di mano: a un certo punto i due sembravano aver interrotto il fresco idillio - per la prima volta si trovavano a correre assieme, nella stessa squadra e con la possibilità entrambi di cogliere il bersaglio grosso. Valter era dato da tutti alla vigilia come uno dei più accreditati outsider alla vittoria finale, Benoot, primo alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne della domenica precedente, è uno che ha pur sempre conquistato una Strade Bianche qualche stagione fa.

Andando avanti con i chilometri, sembrava che nessuno dei due volesse sacrificarsi per l'altro nel tentativo di ricucire su Pidcock; iniziavano a scattarsi in faccia, o almeno questa l'impressione da fuori, giusta o sbagliata che sia, ma di certo pareva vederli andare poco d’amore, ancora meno d’accordo, e chi era al traguardo da subito ha notato i due discutere animatamente finita la gara.

Il giorno dopo, intervenuto in una trasmissione di Eurosport Ungheria, Valter ha spiegato il suo punto di vista. «Non ho mai tirato nel gruppetto dietro, sarebbe stata una mossa da ciclista dilettante. E si vedeva chiaramente in televisione! Gli altri non ne avevano e io sono rientrato da solo su Benoot». Spiega Valter, di non aver fatto caso al gesto di Benoot che «chiaramente ha frainteso la situazione. Non sono quel tipo di persona, noi non siamo quel tipo di squadra. È vero: si possono commettere degli errori, io posso sbagliare, ma in questo caso si sarebbe trattato di uno sgarbo da egoista, non di uno sbaglio». Niente malafede, quindi, nell'azione di Valter anzi sorpresa da parte sua per il fraintendimento di Benoot.

E sull’immagine dopo il traguardo Valter chiarisce: «Gli ho chiesto scusa per alcuni errori commessi in gara e lui mi ha detto che non c’era nessun problema che da un certo punto di vista è andata meglio così». Benoot veste i panni del filosofo come riporta Valter: «Se uno di noi due avesse vinto, mi ha detto Benoot, ora non avremmo degli sbagli da cui imparare».

Alla fine hanno terminato la gara 3° Benoot e 5° Valter, per molte squadre del World Tour il bicchiere sarebbe stato mezzo pieno, ma non per la Jumbo Visma, da qualche anno a questa parte costruita per vincere, per dominare.  «E nemmeno per tutti i tifosi - aggiunge ancora il corridore ungherese che quest'anno punterà alle Ardenne e non disputerà alcun Grande Giro - come succede con Wout van Aert.  Messo sempre in discussione e a volte persino preso in giro per i suoi piazzamenti, i suoi secondi posti, ma è uno dei corridori più forti del mondo e con un palmarès importante». È proprio vero che la Jumbo Visma, vittorie o sconfitte, fa sempre notizia.


Le azzurre a Grenchen: al via gli europei su pista

Ci siamo! Oggi iniziano gli Europei su pista di Grenchen, in Svizzera. «Una pista che conosciamo bene- ci dice subito Diego Bragato- preparatore dell'Italpista- perché qui, pochi mesi fa, è avvenuto il record dell'ora di Filippo Ganna: 56,792. Non te li scordi più certi luoghi».
Sì, il velodromo è proprio quello, esattamente un anno dopo l'inizio del lavoro di Marco Villa con la nazionale femminile su pista. È stato «tutto nuovo», ci spiegano, il modo di rapportarsi con le atlete e anche l'organizzazione del lavoro. La mattina dell'Europeo, è appunto questa una delle prime osservazioni di Bragato: «L'aumento delle gare femminili su strada, con l'equiparazione dei calendari uomini e donne, ha senza dubbio rappresentato qualcosa di positivo per le squadre e per le stesse atlete. Devo anche dire che è diventata più difficile l'organizzazione del nostro lavoro, in vista di appuntamenti come l'Europeo. Le squadre femminili non hanno, spesso, un organico ampio quanto quelle maschili e indubbiamente la sottrazione di atlete di rilievo per gli appuntamenti della nazionale ha un peso rilevante. Un esempio: Vittoria Guazzini è arrivata qui da un ritiro, proprio in questi giorni. Abbiamo spesso lavorato singolarmente con le ragazze che, ancora una volta, hanno mostrato la loro professionalità. La situazione si gestisce per priorità, in vista dell'Olimpiade, probabilmente, chiederemo una ancor maggior collaborazione alle squadre».
Il progetto di Marco Villa è sempre lo stesso ed è focalizzato sulla continua crescita della squadra e la verifica di come le atlete reagiscono alle diverse situazioni, per questo motivo le atlete schierate varieranno e ognuna delle convocate avrà modo di mettersi alla prova. Bragato approfondisce il tema: «Se guardassimo solo alle medaglie, alla vittoria, potremmo schierare una ragazza particolarmente forte in tutte e cinque le gare. Sono cicliste di livello e agendo così avremmo quasi sicuro il risultato. Facendo in questo modo, però, non cureremmo la crescita del gruppo. Noi vogliamo che tutte le atlete siano pronte e sappiamo gestire le varie situazioni».
A Montichiari sono state effettuate le prove quasi definitive di ogni specialità, ma la decisione finale su chi verrà schierato in alcune discipline sarà presa solamente in mattinata. Una variante importante è quella della temperatura: mediamente a Grenchen, nel velodromo, è intorno ai 26 gradi, ma ieri, nelle prove, era inferiore, tra i 20 e i 22 gradi, «certamente è una pista molto veloce, ma una differenza di questo tipo permette di togliere circa mezzo secondo a giro, non è da poco. Per questo, stamani capiremo arrivati in pista come sarà la situazione e da lì torneremo a riflettere anche sui rapporti».
A Grenchen convocate: Paternoster, Zanardi, Balsamo, Barbieri, Guazzini, Fidanza, Alzini, Capobianchi e Vece. Di certo l'attenzione maggiore è puntata sul quartetto perché «abbiamo la nazionale Campione del Mondo, anche se non sarà con noi Chiara Consonni», un monito è tuttavia necessario: «Dobbiamo fare bene, le aspettative sono alte, ma ricordiamoci che siamo a febbraio e i mondiali sono stati a ottobre: le condizioni di forma sono per forza diverse». Fare bene significa anche racimolare i punti preziosi con uno sguardo su Parigi.
Per il quartetto, aggiunge Bragato, le avversarie da controllare sono indubbiamente la Gran Bretagna e la Germania: «Vanno davvero forte» è l'osservazione lapidaria. «Villa vorrebbe provare Elisa Balsamo e Vittoria Guazzini in coppia nella Madison, Rachele Barbieri, invece, nelle discipline di gruppo». A queste idee, dovrebbero aggiungersi: Letizia Paternoster nell'eliminazione e Martina Fidanza nello scratch.
Diego Bragato ci sottolinea un aspetto che sta sempre più cogliendo in questi giorni con le azzurre: «Si parla molto di mentalità vincente, di atlete vincenti. Ci sono molti modi per identificare cosa sia la mentalità vincente e cosa significhi averla. Io parto da un esempio banale: basta sedersi a tavola con queste ragazze per capire che non ragionano come si ragiona normalmente. Hanno qualcosa in più, una visione diversa. Lo capisci anche a pranzo. Credo questo racconti molto».
Ieri ancora una simulazione di una parte di gara. Stamani sveglia, colazione e richiami sui rulli, che verranno ripetuti anche in pista. Intanto si definiranno gli ultimi dettagli. Poi iniziano gli Europei di Grenchen, in Svizzera, dove Ganna ha stabilito il record dell'ora.


Spunti dal velodromo

È vero: ieri il conteggio delle medaglie per la nazionale italiana si è fermato (ieri a un certo punto si è anche fermato tutto il carrozzone, durante la Madison femminile, per un problema alle luci del velodromo: succede anche questo); e ancora bisogna metabolizzare per bene quello che è accaduto il giorno prima: perché Ganna ha registrato col pollicione e le gambone quella che resta senza ombra di dubbio una delle prestazioni indimenticabili della rassegna (e sbilanciandoci anche della storia recente del ciclismo italiano) - un venerdì sera da raccontare, ancora e ancora, e da rivedere: con Mathilde Gros che, battendo Emma Hinze nella semifinale della sprint femminile, dopo una lotta di nervi e sguardi, e poi conquistando l'oro, faceva impazzire il pubblico francese e pure la stampa di casa.
Tornando a ieri, però, cose ce ne sarebbero e ce ne sono da sottolineare anche o soprattutto al di fuori del contesto Italia.
Hayter ha dominato l'Omnium con una superiorità che potremmo definire imbarazzante - un imbarazzo direttamente proporzionale, come ben spiegato da Marco Grassi su Cicloweb, a quello provocato dalla regia, che non ci faceva capire nulla di quello che succedeva, e dagli stessi giudici che dovevano guardare e riguardare i video per capire chi, infine, si sarebbe dovuto mettere al collo il bronzo tra Gate e Larsen. Per la cronaca ce l'ha fatta il capellone neozelandese il quale speriamo prima o poi possa avere una chance importante anche su strada.
Nominiamo il giovane canadese Bibic (classe 2003 e già oro nello Scratch giovedì) prima di ritornare con due parole su Hayter. Bibic è un under 23 al primo anno e già lotta con gli élite, vince medaglie pesanti, non si ritira dalla contesa. Pure ieri c'ha provato e riprovato prima di "arrendersi" alla superiorità ed esperienza altrui. Qual ora dovesse mantenere (e crescere) avremmo trovato un futuro fuoriclasse della pista.
A proposito di fuoriclasse, Hayter. Fenomenale la sua condotta di gara nell'Omnium - di cui era campione in carica. Una gestione totale della superiorità: ha vinto una delle volate della corsa a punti finale tenendo in fila il gruppo per tre giri senza che nessuno riuscisse nemmeno ad affiancarlo. E dietro aveva gente come Thomas, Gate, Viviani, eccetera. Esce da questi quattro giorni, Hayter, con due ori al collo, e oggi la possibilità di vincerne un terzo. Niente male per il ragazzo londinese che in Inghilterra da anni è considerato una sorta di prescelto. Sia su strada che su pista.
Anche perché ha battuto Benjamin Thomas che l'ha spuntata per il secondo posto più di nervi (e classe, e attitudine, lui signore dell'Omnium, una rimonta d'argento consumata negli ultimissimi giri della "sua" corsa a punti, spinto dal pubblico che lo adora, giustamente) che di forma, visto che, parole sue, non è al massimo.
Oggi ci sarà una Madison che al via vede nomi di altissimo livello. C'è la rivincita tra Gran Bretagna e Francia (tra Hayter e Thomas che, come vuole il format, non saranno però da soli a difendere le proprie bandiere) ma con almeno altre sette, otto coppie, Italia compresa, pronte a inserirsi.
A proposito di Madison ieri è stata la giornata di Lotte Kopecky che grazie a un'azione furba e furibonda nel finale (aiutata chiaramente dalla compagna Bossuyt) è andata a rimpolpare un palmarès 2022 che ha semplicemente del clamoroso. Su strada: vittoria alla Strade Bianche, al Giro delle Fiandre e nella cronometro nazionale. Seconda alla Roubaix e al Mondiale.
Su pista: oro europeo nell'eliminazione e nella corsa a punti, oro mondiale nell'eliminazione e nella madison. E anche lei oggi ha un'altra (grossa) occasione nella corsa a punti che chiude il programma endurance femminile.
Ieri è stata anche la giornata di Franziska Brauße che non ha mollato mai nell'inseguimento femminile (a proposito: brava Paternoster che dopo tutto quello che le è successo trova un buonissimo 8° posto) resistendo alla rimonta di Botha e vincendo finalmente, dopo il bronzo nel 2020 e l'argento nel 2021, l'oro individuale.
E ieri è stata la giornata di Kouame che nei 500m femminili ha lasciato di sasso, ancora una volta, Hinze: per lei il velodromo francese si sta trasformando in uno strano crocevia. Anche se non ci sono incroci negli ovali, c'è il diavolo che aspetta la fortissima tedesca e quel diavolo porta diversi nomi francesi.
E nella prova di Keirin oggi ci sarà da diventare matti perché dentro ci sono tutte le protagoniste (anche quelle mancate, vedi Mitchell per esempio) della velocità femminile e alcune hanno il dente avvelenato. In più ci sarà tantissimo pubblico a spingere le ragazze di casa (presenti sia Gros che Kouame) che stanno facendo ammalare di piazzamenti le fortissime tedesche.
Infine due parole sull'Italia: ieri non è arrivata la medaglia (oggi ci si può rifare): pazienza! In ogni caso non possiamo che applaudire tanto da farci male alle mani per quello che continuano a fare tecnici e atleti della squadra azzurra (da più di un lustro ormai nel settore endurance e un po' alla volta si prova a costruire qualcosa nella velocità); sperando - per il momento invano, purtroppo - che prima o poi qualcosa si possa muovere (ma lo diciamo da anni) a livello di impianti.
Perché saremmo anche stufi di parlare di miracoli; preferiremmo rendere i risultati ottenuti in questa disciplina meravigliosa che è la pista, sistematici, facendo diventare la pista azzurra qualcosa di cui vantarci; un movimento da farci invidiare in tutto il mondo - che già si domanda come riesca l'Italia, senza letteralmente un velodromo (attenzione! iperbole voluta per sottolineare quello che fa l'Italia su pista nonostante le difficoltà), a fare quello che fa.
Anche se, a furia di sperare, diceva quello...


Alla maniera dei più grandi

Focus nella serata di Saint-Quentin-en-Yvelines. La rimonta di Balsamo nell'Omnium che partiva dalla gara a eliminazione, quella che lo scorso anno le aveva tolto qualcosa ai Giochi Olimpici di Tokyo. Nella corsa a punti un paio di ore dopo è andata com'è andata. Lei ci stava, ma ha vinto Jennifer Valente, americana, al primo titolo individuale dopo una carriera a battagliare e a piazzarsi. Pazienza, va bene così.
La lotta di sguardi come pugili sul ring tra Mathilde Gros ed Emma Hinze nella velocità femminile è una delle immagini del giorno. Gros va in finale sfruttando gambe immense, acido lattico e forza mentale e poi batte anche Lea Friedrich e vince l'oro, tra le urla del velodromo di casa che scandisce in delirio il suo nome.
Osservare, poi, Matteo Bianchi, classe 2001, in finale nel chilometro, dove non c'eravamo da tempo ma oggi sì, con dei ragazzini che non erano nemmeno nati l'ultima volta che l'Italia prendeva una medaglia, è stato un piacere. Vince chi doveva vincere - Hoogland - sul podio ci sale uno spagnolo - Martinez Chorro - per il quale a un certo punto abbiamo iniziato a tifare. Bianchi arriva quinto senza avere il fisico da colosso che hanno tanti altri, e anche così va benissimo. Un punto di partenza.
Tanti focus nella serata di Saint-Quentin-en-Yvelines, su Havik, olandese, che vince la corsa a punti a 31 anni e ci ricorda che in un ciclismo di talenti precoci non è mai troppo tardi per indossare la maglia più ambita del ciclismo e mettersi una medaglia preziosa al collo. Lui principalmente seigiornista, batte Kluge, Van Den Bossche, Strong, di mestiere anche stradisti. La bellezza della pista punto d'incontro di talenti.
La lotta di nervi tra Milan e Ganna con il ragazzo friulano, fortissimo ma non quanto bastava oggi per battere Ganna, che parte alla grande seguendo il suo schema. Un rapporto leggermente più agile (sic), 66x15 rispetto al 67x15 di Ganna.
Un modo di intendere l'inseguimento fatto di partenza a schioppo.
Una sorta di lepre per Filippo Ganna che stamattina ha pensato di non gareggiare per andare in vacanza, che in una settimana si prende record dell'ora, argento nell'inseguimento a squadre e poi oggi crea e firma l'ennesimo dipinto da esporre in un velodromo: medaglia d'oro nei quattro chilometri dell'inseguimento in 3:59.636, record del mondo, una serie di numeri che forse solo lui in tempi più o meno brevi potrà pensare di ritoccare ancora.


Tour de l'Avenir: tre giorni decisivi

Oggi riparte il Tour de l'Avenir dopo un po' di riposo per i ragazzi sotto i ventitré anni che competono per portare a casa "il Tour dei giovani".
Cos'ha detto finora la corsa? Intanto che la Germania conferma le buone impressioni viste in fase di presentazione: la miglior Germania probabilmente mai schierata su queste strade, superiore anche a quelle che nel 2016 si presentò con un trio che poi si è rivelato niente male anche nella massima categoria: Ackermann, Schachmann, Kämna.

Michel Hessmann, diventato capitano dei tedeschi strada facendo, oggi dovrà difendere la maglia gialla - e sarebbe una notizia se il portacolori della Jumbo Devo concludesse domenica la corsa nei primi 5. Ha sfiorato il successo in una tappa a livello individuale e vinto la cronosquadre che gli ha permesso di vestire il simbolo del primato. A dimostrazione della completezza e compattezza del team teutonico.
Forte sul passo, si difende bene sulle salite brevi, lo scorso anno su quelle più lunghe non andò male, anzi, chiuse in crescendo, anche se non è lui l'uomo forte di questa squadra per la classifica finale. Si attendevano Steinhauser ed Engelhardt, ma sarà Hannes Wilksich (DSM Devo, 3° in classifica a 33'' e già 7° al Giro Under 23 ) colui che proverà a far salire la Germania sul podio de l'Avenir a 13 anni da Sergej Fuchs. Da valutare però le sue condizioni dopo essere stato preso in pieno dalla bici dell'etiope Berhe in una rocambolesca caduta avvenuta in volata l'altro ieri nella quale è rimasto coinvolto anche uno dei favoriti assoluti, Uijtdebroeks.

Tra i maggiori pretendenti alla classifica finale è spuntato - si fa per dire - Tom Gloag (2° a 25''), pareva promesso sposo della Ineos e invece nel 2023 andrà a correre con la Jumbo Visma. Gloag è uno scalatore, ma dotato anche di spunto veloce come ha dimostrato nel giorno del successo di tappa a Chaillac, si difende bene sul passo e arriva da una stagione fin'ora sotto tono a causa di guai fisici. Lo scorso anno cadde in discesa nell'ultima tappa e si ritirò quando lottava per un piazzamento nei primi cinque.
Al 4° posto (35'') segue Lennert Van Eetvelt. Sempre attento fino a ora il belga, 2° al Giro alle spalle di Hayter e dal 2023 con la Lotto-Dstny, sarà una delle tre carte che si giocherà la nazionale tricolore nelle prossime giornate. Le altre due: Cian Uijtdebroeks, già professionista con la BORA-hansgrohe nonostante la giovanissima età - è un 2003 e sarebbe un primo anno tra gli Under -, è 9° in classifica a 1'16'' dopo aver perso terreno giorni fa a causa di una caduta.
La terza punta è William Junior Lecerf (5° a 48'') piccolissimo, scalatore puro, corridore che a causa delle sue dimensioni potrebbe avere difficoltà nel passaggio tra i professionisti, ma questo non è il momento di pensarci. Il giovane belga è stato protagonista di un piccolo caso alla vigilia della corsa; corre nella Lotto Under 23, ma dall'anno prossimo passerà in quella che diverrà la squadra di sviluppo della QuickStep. Ebbene, i tecnici della sua attuale squadra, innervositi dalla scelta, hanno deciso di non fornire al ragazzo le biciclette per disputare la corsa con la maglia della nazionale.
Tutti e tre i belgi sono rientrati prepotentemente in classifica dopo la cronosquadre - vittoria sfiorata per 2", grazie all'importante contributo di Alec Segaert e Thibau Nys - e da oggi pomeriggio proveranno a far saltare il banco.

Come ci proverà la nazionale di casa, la Francia, che l'altro ieri si è sbloccata dopo un avvio complesso - ma calcolato vista la squadra a disposizione - vincendo con Romain Grégoire l'arrivo di Oyonnax. Grégoire, come gli è riuscito più volte in stagione, nonostante sia anche lui un 1° anno e dalla prossima stagione a tutti gli effetti professionista in maglia Groupama, ha vinto da strafavorito provando prima ad attaccare sull'ultimo strappo, e poi, dopo essere stato ripreso, vincendo allo sprint.
A proposito di sprint: nei primi giorni notevole lo spettacolo messo in mostra da tre corridori: l'ormai esperto norvegese Waerenskjold, vincitore della prima tappa, non un semplice velocista, ma un corridore resistente e di fondo, che non disdegna attaccare, molto simile a un altro norvegese che l'anno prossimo ritroverà nella stessa squadra - la Uno X - ovvero Kristoff.
Van Uden, Olanda (e DSM), anche lui sta facendo la spola tra professionisti e under 23, era in avvio il favorito per le volate e una l'ha portata a casa, e terrà duro per vincere la maglia verde. A proposito di Olanda da sottolineare anche la buona corsa disputata sin qui da Loe van Belle (maglia gialla simbolica indossata dopo la crono esibizione del primo giorno, fondamentale in pianura per i suoi e 2° dietro Grégoire l'altro ieri), forse il meno quotato alla vigilia della nazionale dei Paesi Bassi.
Sebastian Kolze Changizi, Danimarca, che come il britannico Sam Watson di tappe non ne ha vinte, ma è sempre arrivato con i primi e come i due sopra menzionati ha provato a lasciare il segno cercando pure di anticipare le volate. Oltretutto la nazionale danese, senza una vera e propria stella a questo Avenir, ha vinto una tappa con Adam Jorgensen, che ne ha sfiorata un'altra ed è stata tra le formazioni più attive in fuga, cercando il successo da lontano anche con più di un corridore alla volta.
Tornando alla Francia: il peso della classifica è tutto sulle spalle di un altro 2003 prossimo al passaggio tra i professionisti, ovvero Lenny Martinez (13° a 1'50''). Talentuosissimo figlio (suo padre Miguel è stato campione olimpico nella Mountain Bike, medagliato mondiale nel ciclocross e ha corso anche su strada con la Mapei) e nipote d'arte (suo nonno Mariano vinse la maglia a pois al Tour nel 1978), Martinez, già in evidenza in alcune corse tra i professionisti, in salita è il corridore più atteso per fare la differenza e provare a vincere la corsa che la Francia insegue dal 2016 quando Gaudu vinse davanti a Ravasi e Costa. Quello di Gaudu è anche l'ultimo podio transalpino in questa gara. Il suo distacco può sembrare importante, ma terreno per recuperare ce ne sarà in abbondanza.
Capitolo Italia: Davide Piganzoli (10° a 1'29'') si conferma una garanzia di risultato dopo il 10° posto al Giro '21 e '22 e il 9° alla Corsa della Pace '22. Corre molto bene in gruppo, si è scoperto versatile - ha rischiato di vincere la tappa di Oyonnax (3°) in uno sprint ristretto ed è il campione italiano a cronometro - non ha dei veri e propri punti di forza al momento, ma nemmeno deboli e fa della regolarità e della continuità la sua arma migliore.
Alessandro Fancellu era il nome da recuperare e ci siamo: è stato in fuga l'altro giorno in una tappa difficile da correre e interpretare e con un bel gruppetto dove i danesi facevano la voce grossa. Non è ancora il Fancellu che ci si aspetta, ma sta ritrovando il colpo di pedale e ieri, nonostante la fuga, ha chiuso alla fine a ridosso dei migliori, davanti anche a diversi corridori blasonati. Anche la classifica, è a 2' di ritardo, è tutt'altro che compromessa.
Di Lorenzo Milesi se ne parla poco ma l'utilità del corridore della DSM in questo Avenir non ha confini. I primi giorni ha provato a vincere, è stato fondamentale per una buona cronosquadre e per tenere i capitani davanti. Ha piglio, motore, sa correre: appare già pronto per il grande salto.
Davide Dapporto c'ha provato a farsi vedere con una fuga; chiude l'esperienza all'Avenir finendo fuori tempo massimo nella cronosquadre a causa di un problema fisico. Quest'anno ha fatto il salto di qualità, ma correre più gare all'estero dovrebbe essere (anche) per lui una chiave fondamentale per capire che livello di corridore potrà essere e ambire così al passaggio tra i professionisti a stretto giro di posta.

Difficile giudicare invece le prove di Alberto Bruttomesso, velocista resistente, è il più giovane della compagnia azzurra (2003), ha sicuramente faticato nei primi giorni per l'alto livello incontrato, ma sarà tutta esperienza utile, e di Alessio Martinelli, talento importante per i percorsi vallonati, l'altro ieri arrivato staccatissimo, ma purtroppo per lui questa è una stagione partita benissimo ma che da un certo punto in avanti si è complicata parecchio per un problema fisico prima del Giro Under 23. Entrambi hanno qualità importanti da coltivare.
Restano fuori da questo discorso altri corridori che in salita proveranno a ribaltare e perché no, a vincere la corsa, ma questioni di ansia sulla prolissità personale impongono di restringere il tutto a un breve elenco: Leo Hayter (7° a 1'01''), l'altra punta della Gran bretagna, sorprendente dominatore del Giro Under, Johannes Staune Mittet (6° a 56''), che cerca il terzo successo di fila per la Norvegia in questa corsa dopo Foss e Johannessen, gli scalatori Dinham (18° a 2'33''), Australia, e Arrieta (20° a 2'46''), Spagna e due corridori meno forti in salita ma apparsi in ottima forma: Karel Vacek (26° a 3'29''), Repubblica Ceca e Arthur Kluckers (11° a 1'41''), Lussemburgo. I tre giorni decisivi partono da oggi.