La carovana pare infinita

Maurice Garin era un "ramoneur", ovvero uno spazzacamino, colui che pulisce la canna dei camini dalla fuliggine, per questo doveva essere molto magro, per muoversi con abilità in quel varco stretto. In bicicletta aveva iniziato a correre, insieme ai fratelli, inseguendo una speranza, che potesse allontanarlo dalla miseria, dopo la perdita del padre. Più o meno in questi giorni del 1903, Garin era alla partenza del primo Tour de France, quello che vinse, in poco più di 94 ore, per percorrere sei tappe.

Da un villaggio della Valle d'Aosta, alla cittadinanza francese, a Parigi. In più di centoventi anni di cose ne sono cambiate: Garin non vestì la maglia gialla, quella arrivò nel 1919 ed il primo a vestirla fu Eugène Christophe, lui che, nei giorni del Tourmalet, riparò la forcella della sua bicicletta in una bottega, a Sainte-Marie-de-Campan: c'era un fabbro ad aiutarlo. Ai tempi di Garin, il simbolo era una fascia verde. Il giallo, forse, è una delle cose che da quel momento non sono più cambiate: la maglia, le spighe di grano ed i girasoli. Firenze, dov'è il viola il colore simbolo, assieme al giglio, sarà tinta di giallo per la prima partenza del Tour de France dall'Italia, come Rimini, Cesenatico, Bologna, Piacenza, Torino, Pinerolo.

Firenze dove Bettiol indosserà la maglia tricolore, vinta qualche giorno fa, vicino alla casa di Alfredo Martini, la stessa casa dove si recò a pochi giorni dalla maturità, ma gli esami non finiscono mai e il Tour, che parte dalla Toscana, con il tricolore attaccato alla pelle, sarà un esame, un'emozione. Ne parlerà lui. Non è cambiata l'afa di luglio, la "canicule", quella che "scioglie" le strade, l'asfalto e chi è stato in Francia, sulle vette, sa che non è un modo di dire. La dieta dei corridori non comprende più cioccolata calda, tè, champagne e budino di riso, la preferita di Henry Cornet, ma esiste ancora la figura del "Lavoisier" per segnare i distacchi su una lavagna, con un gessetto e, sicuramente, qualcuno, in città, vedendo un bambino sfrecciare sempre in bicicletta, lo chiamerà "Tour de France", come si narra che gli abitanti di Meensel-Kiezegem, la sua città natale, chiamassero Eddy Merckx, quando scoprì la bici e non la mollò più, lui che di Tour ne vinse cinque. In Francia si continua ad andare a vedere il Tour "à la bonne franquette", ovvero "alla buona", come capita, ma questo non vale solo per la Francia, ma per il ciclismo in generale.

La carovana pare infinita, più lunga delle sue strade, c'è l'acqua che viene spruzzata, ci sono matite, penne, strani salvadanai, cioccolatini e anche salamini: un ricordo del giorno in cui qualcuno ti porta a scoprire il Tour e la sua grandezza, la sua "grandeur". L'eco di "Cent'anni di solitudine" non è casuale perché il Tour è fatto anche di solitudini, in maglia a pois, in fuga, oppure vicino alla voiture balai in coda, come è fatto di rimandi alla letteratura e alla poesia, da Petrarca a Baudelaire e viceversa. Di tappe simboliche, la quinta per Vincenzo Nibali, di anni magici, il 1998 per Marco Pantani. Tadej Pogačar giocava a biliardo qualche giorno fa, Vingegaard e van Aert se la ridevano in allenamento con la nuova divisa. La "Chanson de geste" che ha nome Tour de France parte domani e parte dall'Italia.


Più aero, più leggera: ecco la nuova Pinarello Dogma F

Sette Tour, tre Giri e due Vuelta, se parliamo delle grandi corse a tappe. Già solo questo basterebbe per spiegare la Pinarello Dogma F: una delle bici più tecnicamente evolute che ogni anno si rifà il trucco e si migliora. Perché è come una donna bellissima, elegante, una femme fatale che si rinnova in continuazione. «Tecnicità straordinaria, ma non manca mai uno dei tratti distintivi su cui Fausto Pinarello e tutti noi non arretriamo di un millimetro. Lo stile, la bellezza, l’eleganza con il suo design asimmetrico sono tratti distintivi. Fra le diverse cose da citare, voglio mettere in risalto una verniciatura particolare dal valor di 1500 euro al chilo per rendere l’idea. La F 2005 è ancora un oggetto del desiderio», afferma Federico Sbrissa, responsabile marketing Pinarello.
E nei giorni scorsi alvento è andata a testare questo classico gioiello Pinarello dopo il restyling della nuova versione. E lo abbiamo fatto sulle ascese dolomitiche scalando i mitici passi ladini del Sella Ronda.


«Il punto chiave è stato trovare il miglior equilibrio fra l’efficienza aerodinamica e il risparmio di peso. Rispetto alla edizione 2024, la nuova Dogma F è 108 grammi in meno. Abbiamo lavorato maggiormente sulla forma del telaio, sullo sterzo più stretto e sul movimento centrale con tubo obliquo. Il coefficiente di efficienza aerodinamica è migliore dello 0,2%. Ecco un dato importante anche perché non facile da raggiungere», ancora Sbrissa. Rimane la caratteristica della bici Dogma F intesa come mezzo totale a carattere racing: efficace in ugual modo per salita, discesa, pianura. Del resto, come anticipato in apertura, per primeggiare nei grandi giri di tre settimane sono utili biciclette che vanno bene su tutti i terreni, indistintamente.
Fra gli elementi tecnici prima di tutto ecco la prima volta dell’utilizzo del carbonio carbonio Torayca M4OX, una tipologia più evoluta. Più sottile la tubazione obliqua che permette un risparmio di peso. Più piccolo il tubo sterzo: guadagnati una decina di millimetri. La forma della scatola del movimento centrale è riprodotta dalla bici da pista di Ganna e, nonostante sia larga come quella del modello precedente, è più arrotondata nella sezione inferiore. Il movimento centrale Aero Kael è costruito per limare ancora in termini aero.
Nuovo disegno per la forcella Onda che è stata ridotta di peso e dotata di steli più sottili. Quindi i perni passanti chiusi da un profilo più ridotto in nome della aerodinamica. E dulcis in fundo il manubrio Talon Ultra Fast, ovviamente in carbonio, con barra superiore e attacco più sottile. Cambiamento della larghezza delle leve minore di due centimetri.
E adesso? Dopo il podio di Thomas al Giro d’Italia, le vittorie nelle gare di un giorno dove spicca quella di Pidcock all’Amstel Gold Race e un brillante Delfinato: all’attacco del Tour de France proprio con Bernal e Rodriguez.

https://pinarello.com/


Vesuvio Gravel: corsa dei sogni

«Il Vesuvio è una condizione della gente di Napoli. Anche magia, anche una sfida sportiva, se vogliamo, ma prima di tutto una condizione delle persone di questa città: svegliarsi la mattina e vedere questo vulcano, imponente, attivo, conoscendone la potenza, pur se quieto al momento, trasmette quella irrequietezza positiva piena di volontà di vivere ogni secondo al massimo che è, alla fine, il modus di esistere che c'è a Napoli»: in fondo, potrebbe essere tutto qui, in queste poche parole che Luca Simeone, presidente dell'Associazione "Napoli Pedala" e tra gli ideatori di Vesuvio Gravel, ci dice per esprimere l'importanza del Vesuvio nel nome di questa vera e propria festa danzante sui pedali che, il primo giugno scorso, ha raccolto cinquanta ciclisti, per "dividere" il Vesuvio, ovvero attraversarlo, salendo da un versante e sbucando dall'altro. Lassù, laddove il panorama cambia ogni mese, non solo ogni stagione, per questo qui dicono che sul Vesuvio bisognerebbe salire almeno una volta al mese ed i cambiamenti notati, di volta in volta, sarebbero innumerevoli, lassù, laddove nell'estate del 2017 e del 2018 divampava la stagione degli incendi ed il fuoco e le fiamme distruggevano ettari ed ettari di pineta, con segni e ferite ben evidenti ancora oggi. Da quel brutto ricordo è nata Vesuvio Gravel, un brutto momento che prova a guarire nella gioia di una condivisione collettiva.

Il primo giugno, quasi fosse un regalo, tutte le fattispecie climatiche si sono addensate sulle ginestre che disegnano macchie gialle e, forti, resistono alle variazioni della temperatura: freddo, caldo, vento e afa stagnante, «mancavano solo neve e grandine e la rigidità degli inverni più cattivi». La salita, lungo la strada Matrona, dal versante di Trecase fino a Largo Legalità, alterna strade di sanpietrini a quelle di sabbia e sabbione, per, poi, gettarsi su una discesa in cui sembra di "surfare" sulla ghiaia nera, interrotta dal rosa dei fiori, nelle narici il profumo di terra bagnata, contrasta con il verde della pineta dove il pino torna a regnare, nelle orecchie un concerto di uccelli, su tutti il canto dell'Upupa dal corpo marrone e nero, la natura è protagonista assoluta, mentre le gocce di sudore calano dalla fronte e l'odore di sale si mescola alla sensazione di fatica. «La Vesuvio Gravel- narra Luca Simeone- è scattata dalla parte occodentale di Napoli, quella dei Campi Flegrei, ora nota per i recenti fenomeni di bradisismo, da quella zona Plinio vide i primi nuvoloni neri durante l'eruzione del Vesuvio e mobilitò i soccorsi. Anche noi, ogni tanto, guardiamo quella zona e, proprio in corrispondenza del Vesuvio, vediamo delle nuvole che si ammassano sul vulcano: per fortuna sono solo nubi, ma il pensiero corre a quei tempi».

Lungo i 108 chilometri del percorso, si comprende sempre più come il gravel sia la modalità migliore per avventurarsi in questi luoghi, perché non è solo corsa e velocità e non è solo esplorazione e conoscenza del viaggio lento, bensì entrambi i fattori messi insieme, nonostante, Simeone lo precisa più volte, la bicicletta è, in fondo, una sola, ed un ciclista è un ciclista a prescindere dal mezzo su cui pedali, anche per questo qualcuno ha scalato il Vesuvio con una bicicletta vintage. «Si è generato un forte entusiasmo collettivo che ha diffuso il senso della scoperta tra tutti noi: le persone di Napoli erano contagiate dalla stessa meraviglia dei calabresi o dei romani, pur conoscendo già bene il posto: un arricchimento che passava di mano in mano, di sguardo in sguardo». Talvolta questa felicità deriva solo dal recupero di un pezzetto di terra, di un monumento, magari del Castello Mediceo di Ottaviano che, dopo anni, è tornato ad appartenere alla comunità, ad essere bene comune. Nel frattempo, il resto era tutto fatto dall'inizio di giugno: dal profumo di pomodori all'avvicinarsi dell'estate in terra vesuviana, dagli orti e dalla varietà di frutta e verdura pronta a maturare ed il tempo pareva una variante inutile, tanto si stava bene.


Il prossimo anno, Vesuvio Gravel diverrà un trail da percorrere in bikepacking, 350 chilometri in tre giorni: le persone già lo sanno e la dimensione del futuro è un sogno che inizia a respirarsi nell'aria: «Altrove sognare è un piacere, talvolta un lusso, a Napoli si sogna per necessità. Sono talmente tante le cose che non vanno, quelle da aggiustare e da sistemare che è obbligatorio provare ad immaginarle in maniera differente per modificarle. Spesso parte tutto da un gruppo di amici che si ritrovano, mettono assieme le loro idee e partono, può valere per l'imprenditoria o per un viaggio». Nel caso di Luca Simeone e di "Napoli Pedala", l'idea è quella di cambiare Napoli attraverso la bicicletta, con eventi in bicicletta di ogni tipo, soprattutto con una chiara propensione al racconto della realtà, quella che la fatica permette di vedere meglio: «Mi piace dire che le nostre sono pedalate d'inchiesta, dai quartieri popolari a quelli maggiormente aristocratici, osservando attentamente come sono e come cambiano, senza cancellare nulla, senza la rappresentazione da cartolina che spesso viene fatta: i Quartieri Spagnoli ad esempio. Un tempo, la domenica si sentiva il profumo di ragù, ora il profumo di curry, dato da diverse comunità di indiani che vi si sono stabilite in questi anni. Loro usano la bicicletta, loro acquistano biciclette, loro ci insegnano come usarla, come vivere la città in bici. Possiamo e dobbiamo imparare da loro».


E, a proposito di sogni, viene spontaneo parlare di Ciro Poppella, di quella sua bottega di dieci metri, all'inizio, dove già creava dolci, al rione Sanità mentre fuori avvenivano anche sparatorie: alcuni giornalisti chiesero a Poppella come si faceva a trovare la forza ed il coraggio di continuare. Lui disse che si focalizzava sul buono, sugli aspetti positivi e che, chissà, forse un domani avrebbe nevicato al rione Sanità. Da quel sogno nacquero i "Fiocchi di neve", un dolce che ora tutti conoscono, per cui tutti vanno matti. Questo non spiega tutto, ma molto sì.


Fede Bike Service, Alessandria

Nei pensieri di Federico Pezzano, in quei giorni, non c'era nulla di tutto ciò che, nella descrizione di questo primo pomeriggio di primavera ad Alessandria, tra via Teresa Michel e via Gaetano Donizetti, pare esistere da sempre: il modo di scherzare e di prendere in giro l'essere umano che hanno i ricordi, quando si intrecciano con il fluire del tempo. Pezzano, nel periodo giovanile, aveva intrapreso il mestiere di orafo incassatore, un lavoro particolarmente sviluppato nella sua zona: in un laboratorio, inseriva e fissava pietre preziose di varie tipologie in cavità apposite, predisposte, denominate "castoni", realizzate sulla struttura di un gioiello. Nei momenti liberi, approfondiva, in maniera minuziosa, tutto quel che riguardava i motori e, sin dai diciotto, diciannove anni, seguiva e praticava l'arte marziale del Taekwondo, le biciclette erano altrove. Forse, proprio in una piccola cantina della Lomellina, a cinquanta chilometri dal paese natale di Pezzano, nei dintorni di Pavia, non lontano dalla maestosa Piazza Ducale e dalla Torre del Bramante di Vigevano o dal borgo di Lomello, dove il padre di una ragazza, che ancora non conosceva, faceva il fabbro. Quel signore, anni prima, era stato un ciclista amatore di ottimo livello, con buone qualità, ben noto in zona. Quella ragazza, invece, di lì a poco, l'avrebbe incontrato, sarebbe diventata dapprima la sua fidanzata e successivamente sua moglie. Così pure lui, in quella cantina, era entrato: aveva visto i lavori del suocero e anche la bicicletta di quando era nel plotone dei professionisti. Un giorno, quando le cose si erano fatte serie, prendendolo da parte, quell'uomo si era rivolto a Federico, tra il serio ed il faceto: «Sembra che presto anche tu farai parte di questa casa. Devo dirti una cosa: quando ti metti a pedalare seriamente, ragazzo mio? A casa nostra non si può non aver confidenza con la bicicletta, non è proprio permesso. Sia chiaro». Non c'erano molte alternative: bisognava pedalare.

«La prima bicicletta con cui mi misi alla prova fu proprio la sua. Pensa che lui è sempre stato un uomo abbastanza minuto, non altissimo di statura, personalmente supero il metro e ottanta: per me era quasi una "biciclettina", eppure iniziai proprio così. Mi innamorai, come mi ero innamorato di sua figlia, e la scintilla scoppiò da quella piccola bicicletta». La curiosità ha varie possibilità di applicazione: Federico inizia ad applicarla alle biciclette, nello stesso modo in cui la applicava ai motori, con la medesima passione. Nel fine settimana, gareggia con amici, non solo, è anche il meccanico al seguito delle loro corse: mani sporche di olio e studi ed idee per risolvere le problematiche, prima del via, casco, pantaloncini, guantini e "garùn", come avrebbe detto Alfredo Binda, ovvero gambe, all'abbassarsi della bandierina e al via della contesa. Nel frattempo, a casa sua, aveva preso forma una piccola officina, in cui si cimentava nei primi lavoretti, con tanto di divanetto a rendere l'ambiente ospitale. Non mancava proprio nulla: un lavoro solido e un mezzo, un insieme di viti, bulloni ed ingranaggi, che gli aveva aperto un mondo in cui rifugiarsi a fine giornata. L'equilibrio si rompe proprio in quell'istante, circa sedici anni fa, per volontà di Federico, che si licenzia dall'incarico di orafo incassatore e ricomincia tutto dall'inizio. «C'era un'officina storica di biciclette, ad Alessandria, anch'essa gestita da padre e figlio. Il padre anziano si avvicinava alla pensione ed il figlio mi chiese di proseguire con lui la storia già iniziata: accettai e trascorsi dieci anni fra quelle mura, finché non iniziai ad avvertire una sensazione di malessere, quel posto iniziava a starmi stretto: volevo qualcosa che fosse pienamente mio, sviluppato e costruito attorno a ciò che immaginavo e in cui credevo». Sono sempre varie le ragioni dietro la percezione di "peso" che innesca il meccanismo del cambiamento, pur rischioso: alcune più evidenti, altre celate in dettagli che si vorrebbero differenti. «Ho in mente il bancone su cui facevamo le riparazioni: c'era disordine, attrezzi sporchi e logorati dal tanto uso. Avevo in mente un bancone in cui tutto fosse esposto, perfettamente pulito, ordinato: segno di trasparenza e professionalità. Come quando si entra nell'officina di un fabbro e lo si sceglie anche perché si nota l'attenzione con cui "cura" gli attrezzi del mestiere. Avevo in mente un'attività che fornisse un servizio: parola importante, da spiegare e da portare in una professione».

Federico Pezzano, da solo, metterà le basi di quello che, da lì a breve, sarà Fede Bike Service, nonostante le difficoltà e i dubbi dei primi periodi: «Io ho continuato, nonostante la pandemia che sarebbe emersa di lì a poco, e, da quel giorno, non conto le mattine che ho aspettato felice perché "sarei andato a fare il mio lavoro». Non è cosa da poco". Il fascino per la bicicletta è multiforme, ma l'espressione massima, almeno per Federico Pezzano, è nel meccanismo della ruota, più precisamente nel centrare la ruota: «Credo che il centro di questa "attrazione" sia legata al fatto che la ruota sia l'ultimo contatto della bicicletta con il terreno: un legame finissimo che, però, permette alla bici di sviluppare il suo movimento e la sua velocità. Un fatto che ho sempre osservato con grande attenzione». Allora si può iniziare ad indagare il concetto di servizio, ponendo, in primis, una distinzione tra mettersi al servizio e offrire un servizio: «Il primo concetto si ricollega a quel che prova a fare chiunque si relazioni con il pubblico. Il secondo concetto, quello di cui parlo io, si sostanzia in molte fattispecie differenti: ciò che fa la classica officina, la regolazione del cambio o il cambio delle pastiglie dei freni, ad esempio, e ciò che fa chi si occupa della messa in sella, ma non ci si può fermare qui. Offrire un servizio significa anche rendersi disponibili all'ascolto delle domande e dei dubbi, a prescindere dal fatto che il cliente scelga di far eseguire a noi il lavoro o meno, cercare di trovare una soluzione di fronte a qualunque problema si ponga». La scena più comune, da Fede Bike Service, infatti, è spesso quella di due persone sedute davanti ad un computer per minuti e minuti: l'acquisto avverrà, magari, online, in quell'ambiente, reso familiare anche dal tanto legno presente nell'arredamento, si apre un dialogo fitto, di domande e risposte, talvolta di interrogativi che restano sospesi nell'aria e permettono a Federico di crescere, di aggiungere ulteriore conoscenza alla propria professionalità. Intanto il concetto di bicicletta sta cambiando, gli esempi sono molteplici, quello più vicino a Pezzano viene da "Monferrando", un evento gravel che proprio Federico organizza: «La fatica sfocia in una festa bellissima, dove si trova il gusto di un panino gourmet, un bicchiere di vino, un dolce, la musica, la compagnia e anche una gara conclusiva: non sui pedali, ma cimentandosi nel cambio di una camera d'aria. Le persone, ormai, cercano questa cosa qui». L'attenzione al dato umano è certamente una prerogativa dell'approccio di Pezzano.

«Fare un buon lavoro, se possibile un ottimo lavoro, è importantissimo. Tuttavia anche il lavoro migliore se eseguito senza comprensione della persona con cui ci si relaziona è un passo fatto a metà, sbilenco, mancante di qualcosa. Donne e uomini possono passare sopra l'imperfezione, non passeranno mai sopra al non interesse, alla non empatia. Il motivo per cui riaprono quella porta è questo prima di ogni altro». Nell'ambiente si dice che Federico Pezzano riesca, spesso, a risolvere problemi di fronte a cui altri si fermano, lui ironizza, poi torna serio e aggiunge un altro punto alla lettura del proprio mestiere: «Non mi sento più bravo di nessuno, anzi, penso che il modo migliore di fare questo lavoro sia mettersi alla pari, di chiunque, dei clienti, come dei colleghi, perché solo così si impara e posso assicurare che almeno qualcosa si impara da tutti. I problemi che risolvo? Resto sveglio la notte a pensare fino a che non trovo la soluzione, come accadde tempo fa con un amico a cui smontai tutta la bicicletta la sera prima di un evento. Confesso che gli avevo già cercato una bici di scorta, per il timore di non riuscire a farcela». Del resto, Alessandria vive ancora la leggenda del "Campionissimo", di Fausto Coppi, l'idea della bicicletta sia come mezzo di locomozione che come mezzo sportivo è ben chiara nelle persone, altrettanto si può dire per la cultura della bici, quello che, forse, ancora manca, spiega Pezzano, è la comprensione del fatto che la bicicletta va oltre a questo: basti pensare a quanto fa bene alla nostra salute, alle endorfine che rilascia, alla sua capacità di liberare la mente, a tutta una serie di altri benefici di cui si parla ancora poco.

Al momento della realizzazione del locale, gli architetti hanno stoppato diverse proposte di Federico per l'arredamento del locale, tuttavia le più significative sono rimaste: il park tool in cui sono depositati tutti gli attrezzi da lavoro e l'atmosfera conviviale, in cui «si lavora seriamente ma c'è anche il momento dello scherzo, della battuta, dell'ironia, che è un toccasana», manca una spillatrice per la birra, un piccolo bar, un "bike bar", magari separato da una parete in vetro dall'officina, in modo da preservare un collegamento tra i due rami di Fede Bike Service. L'unico rammarico è il non essere riuscito a trasmettere ai propri figli la passione per la bicicletta, giocano a basket e sono attenti conoscitori di motori, che smontano e studiano in garage, in questo somigliano al padre da giovane. Proprio ad un garage è legata l'ultima storia di questa visita, una storia che torna indietro nel tempo: «Con il fatto che sistemavo le biciclette di tutti gli amici, davanti al mio garage c'erano sempre un sacco di automobili parcheggiate. Una sera, la situazione destò l'attenzione delle Forze dell'Ordine che mi citofonarono, chiedendo informazioni su cosa stesse accadendo. Spiegai, mostrai. Si fermarono anche loro ad osservarmi lavorare. Non è incredibile?». Sì, è incredibile ed è quello che la bicicletta può fare, lo sa Federico Pezzano, come lo sappiamo noi.


Alé La Merckx: appuntamento a fine giugno

Dopo le incredibili emozioni del Giro d’Italia, la cui tappa regina ha illuminato il cielo di Livigno, le due ruote tornano nel Piccolo Tibet, in occasione dell’Alé la Merckx, storica granfondo molto apprezzata dagli appassionati della disciplina. Disponibile in due versioni, lungo e breve, il percorso attraversa chilometri di natura incontaminata, mettendo gli atleti di fronte a grandi passi alpini, tornanti mozzafiato e ad importantissimi dislivelli: 2050 metri per il circuito più corto, addirittura 4100 per quello più impegnativo. Due gare distinte, da 96 e 173 chilometri rispettivamente, che partiranno entrambe dall’Aquagranda, il Centro di Preparazione Olimpica della località, luogo di allenamento di tantissimi campioni del ciclismo e non solo, visto che da decenni Livigno è tra le mete preferite di tutti i campioni del pedale, nel percorso di avvicinamento ai grandi impegni internazionali. Particolarmente scenografico sarà anche l’arrivo della gara, posto sul traguardo del Mottolino, a 2400 metri d’altitudine, lo stesso identico finale protagonista della tappa numero 15 del centosettesimo Giro d’Italia, chiuso domenica scorsa dal trionfo dello sloveno Tadej Pogacar.

Un’occasione unica e irripetibile per tutti gli atleti presenti al via, che potranno così cimentarsi su uno degli strappi più duri e iconici della grande corsa rosa: un instant classic che ha fatto brillare gli occhi a tutti gli appassionati del Mondo. E anche la perfetta ciliegina sulla torta di un tracciato che comprende alcuni dei passi più difficili e importanti del panorama ciclistico italiano, come l’Umbrail, il Foscagno e la Forcola. Veri e propri monumenti delle due ruote. Aperte fino al 24 giugno le iscrizioni online per garantirsi un pettorale, senza la necessità di specificare quale dei due tracciati, se il breve o il lungo, si desidera affrontare: la scelta, infatti, può essere presa in via definitiva direttamente sabato 29 giugno, data dell’Alé la Merckx. Per i ritardatari e gli indecisi, sarà comunque possibile completare l’iscrizione fino al giorno 28 giugno, alla vigilia della gara, di persona, direttamente a Livigno. Per tutti i partecipanti, è previsto un pacchetto completo di pettorale personalizzato, gadget, maglia da ciclismo Alé, rifornimento, assistenza, Food Quality Party e molto altro ancora.

Particolarmente allettante anche l’esclusiva promo Race-Relax, che combina l’iscrizione alla gran fondo e l’ingresso al centro benessere dell’Aquagranda ad un prezzo speciale di 80€. Per usufruirne, basterà inserire il codice RACE-RELAX durante la registrazione alla gara.

La promozione è valida fino al 20 giugno. Per ulteriori informazioni e iscrizioni, visita il sito: https://www.endu.net/it/events/granfondo-livigno/


La galassia di Buonconvento e Nova Eroica

Tutto attorno a Buonconvento, un giallo intenso divampa sulle colline: sono le spighe di grano, ormai mature, mentre il mese di giugno si appresta a lasciare il passo alla calura di luglio. Sono un dipinto in costante lavorazione quelle colline, puntinate di un verde acceso in primavera, brulle durante la stagione della raccolta, a ottobre, e gialle come se il riflesso del sole le colorasse nei primi giorni d'estate. Nei giorni di primavera, da queste parti, verso l'agriturismo in località Pieve Sprenna, quel giallo è quello dei primi fiori, qualche mese più tardi assumerà le sfumature dorate delle balle di fieno.

L'immaginario pittore che le ha disegnate continua a dosare con attenzione la tempera e a scegliere i toni più adatti al cambio del cielo, così l'armonia è costante. Essere in sella a una bicicletta, da queste parti, soprattutto sugli sterrati, è, alla fine, una ricerca di altri tempi, «di un'italianità di anni passati a cui siamo tutti legati, anche chi non era ancora nato, perché, a ben guardare, il nostro bel paese lo abbiamo scolpito così nella nostra mente e vorremmo restasse sempre nel modo di quel tempo speciale»: sono parole di Alessandro Davolio, Marketing Manager e Art Director, di Nova Eroica Buonconvento e questi paesaggi, se ci pensiamo, sono più che mai affini all'essere "eroici" nel senso ciclistico del termine. Sì, perché vi sono le strade bianche e polverose della Toscana, anche loro antiche, "quelle che, negli anni novanta, rischiavano di essere sottoposte all'imponente processo di cementificazione in atto e che Eroica ha sempre cercato di proteggere e tutelare, salvaguardando una zona dal fascino unico, nonostante gli sterrati si trovino in ogni parte del mondo" e perché pedalare nella polvere costa fatica, come sempre quando l'essere umano si fa motore della propria persona, forse ancor di più.


«Permettetemi una divagazione: ricordate i vecchi negozi di dischi e vinili, quelli in cui ci si addentrava alla ricerca di una nuova canzone da ascoltare? Oggi è sufficiente l'algoritmo di spotify per ottenere lo stesso risultato, almeno apparentemente. Ma il risultato è veramente il medesimo? Io credo di no. La strada più veloce, più facile, non è sempre la più bella, spesso, anzi, vale la pena addentrarsi in situazioni più complesse, fare più fatica, uscire dalla strada maestra che tutti percorrono perché la bellezza si annida altrove, pur se costa più sforzi. Le strade di cui parlo sono quelle che si percorrono in bicicletta, ma anche quelle metaforiche della vita di tutti i giorni, delle situazioni che accadono a tutti noi. La mentalità eroica apprezza la fatica, la ritiene bella, la eleva. Deve essere, però, una fatica sana, buona, per essere vissuta positivamente dalle persone». Il nostro problema, osserva Davolio, è che spesso la frenesia della società attuale, pur migliorando la produttività, annulla completamente ogni spazio libero, ogni possibilità di apprezzare qualcosa guardandosi attorno e, così facendo, moltiplica la stanchezza. Le donne e gli uomini che vivono l'esperienza di Nova Eroica, in questo senso, si proiettano in una galassia differente.

Una fotografia mai scattata, ma ben chiara nella mente di Alessandro Davolio: Vincenzo Nibali che, ad un ristoro, durante Eroica, alle nove del mattino, si gusta un uovo sodo con del sugo ed un bicchiere di buon vino. Non sono solo i giorni di Eroica a correre ad un tempo diverso, sono anche i luoghi: Gaiole in Chianti con le persone che giocano a bocce, al biliardino o a carte, ma anche Milano o Padova tutte le volte in cui una madre, ad esempio, decide di scegliere la bicicletta, con un seggiolino, per portare il proprio figlio a scuola. Si tratta di atti, in senso lato, "eroici" che permettono di avere un'altra visuale del circostante. «Posso dire, in prima persona, che la bicicletta mi ha cambiato la vita. Vi sono arrivato dopo un incidente in moto in cui ho rischiato la paralisi. Sono originario di Brescello, il paese di Don Camillo e Peppone, ad Eroica sono arrivato due anni dopo, grazie ad un amico. Da quel momento, ho scoperto tanto della bicicletta: la sua velocità, quella ideale per vedere il mondo, per apprezzarlo, la possibilità di introspezione che apre, mentre, in salita, i pedali scandiscono i pensieri. Nel frattempo si "sente" il proprio corpo, percependo ogni suo piccolo dettaglio».

La bicicletta, per Alessandro Davolio, ha confini ancora più vasti: pensiamo, ad esempio, al suo viaggio a Montpellier con quel vicino di casa che, sino a quel momento, non aveva mai davvero conosciuto: un viaggio che, ancora oggi, Davolio non esita a definire «il più bello di sempre». La fatica, nel percorso di conoscenza della bicicletta arriva prima: durante le pedalate iniziali quando tutto è più difficile che mai, persino la pianura, persino quello che, dopo qualche tempo, sembrerà ovvio, naturale. Il rapporto con la bicicletta si affina a forza di incertezze e dolore alle gambe ed il bello è che non si completa mai del tutto. Nel caso di Alessandro, un'altra tappa importante di questo percorso è stata la partecipazione a Nova Eroica essendo parte dello staff organizzativo, vivendo dall'interno l'eccitazione del momento, l'interazione fra gli iscritti, la voglia di mettersi alla prova e di superarsi, ma anche solo di provare: «Il nostro percorso Epic Route è finalizzato a questo: permettere a chiunque di vedere fino a che punto ci si può spingere sulla propria bici in una giornata. L'inclusività deve essere sempre maggiore per permettere a tutti di vivere la gioia, la festa, senza troppe aspettative. E la festa di Eroica è una festa senza soluzione di continuità, si rintraccia ad ogni ristoro, ad ogni piatto di ribollita o di pane con la finocchiona, in ogni attimo della giornata, a patto di volerlo».


La festa è una sorta di momento sacro, come il cibo, anche a Buonconvento. Un paese lungo la via Francigena, una tratta di pellegrinaggio, in cui tutte le persone sono sempre a contatto con la strada, con i viaggiatori, con il viaggio e con il suo senso più profondo: «Pare quasi Buonconvento sia distaccato dalla normale concezione spazio temporale e sia connesso profondamente alla realtà, in maniera lenta e umana. Saranno le sue mura medievali, quei mattoni che pare abbraccino. Come quella strada tra due colonne di cipressi, bianca e pianeggiante, che porta alla fattoria in località La Piana: una sorta di set cinematografico, abbandonato dagli attori, immerso nella pace e nella tranquillità. Buonconvento sono le persone che vi abitano, è Riccardo dell'Hotel Ghibellino e del ristorante Roma, una tappa quasi obbligata, per il piacere di incontrarsi, di salutarsi, anche se poi non ci si ferma a cena. Buonconvento è un insieme di tante cose che, forse, bisogna vivere per capire davvero». Allora, cosa si fa in questi casi? Ci si segna un appuntamento, quello del 22 giugno a Nova Eroica, a Buonconvento. Per strada, oppure sotto un tendone, a bere una birra e a parlare di biciclette. Un buon auspicio per l'inizio di questa nuova estate.

Qui il codice che gli abbonati di Alvento possono usare su MyEroica.cc :

ALVENTO_NOVA_2024

Foto: Paolo Penni Martelli


Il questionario cicloproustiano di Matteo Fiorin

Il tratto principale del tuo carattere?
Determinato.

Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Serietà in ciò che fa.

Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
Voglia di fare.

Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
Simpatia.

Il tuo peggior difetto?
Sono permaloso.

Il tuo hobby o passatempo preferito?
Videogiochi.

Cosa sogni per la tua felicità?
Vincere.

Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
Perdere una persona importante per me.

Cosa vorresti essere?
Ciclista professionista.

In che paese/nazione vorresti vivere?
Principato di Monaco.

Il tuo colore preferito?
Arancione.

Il tuo animale preferito?
Leone.

Il tuo scrittore preferito?
Non ne preferisco uno in particolare

Il tuo film preferito?
Escape plan.

Il tuo musicista o gruppo preferito?
Ascolto musica molto varia.

Il tuo corridore preferito?
Van Aert.

Un eroe nella tua vita reale?
Mio papà.

Una tua eroina nella vita reale?
Mia mamma.

Il tuo nome preferito?
Non ne ho uno.

Cosa detesti?
Lo yogurt.

Un personaggio della storia che odi più di tutti?
Non ce n'è uno in particolare.

L’impresa storica che ammiri di più?
Non saprei.

L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Froome sul colle delle finestre al Giro d'Italia.

Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Giro d'Italia.

Un dono che vorresti avere?
Leggere nella mente.

Come ti senti attualmente?
Abbastanza bene.

Lascia scritto il tuo motto della vita
"Il giorno più facile era ieri".


Fulcrum Sharq

Progettata per elevare l’esperienza di guida su qualunque tipo di percorso, dall’asfalto alle strade bianche, SHARQ è il risultato di un attentissimo lavoro dove ricerca, ingegneria avanzata, progettazione e test, si fondono per garantire la miglior performance possibile. Il tutto con una filiera dove ogni componente viene realizzato in Europa e assemblato in stabilimenti di proprietà.

Una ruota nuova, moderna, intelligente. Adatta davvero a tutto, dall’endurance all’allroad.
Con canale interno da 25 mm, perfetto sia per ruote da strada da minimo 30 mm sia per pneumatici più larghi e tassellati, e compatibile con sistemi tubeless e a camera d’aria, il cerchio è munito di mini-hook, che assicura la massima sicurezza. Come ogni ruota Fulcrum, il ponte non è forato e, quindi, tubeless nativo, senza necessità di ulteriore nastro.

WAVE RIM: UNA COMBINAZIONE TRA ONDE

Il nuovo design del cerchio – patent pending – nasce da un processo sperimentale, in cui siamo andati ad analizzare le reazioni di diverse soluzioni a condizioni di vento frontale e laterale che influenzano maneggevolezza e aerodinamica.

Il risultato di studi sperimentali, dove sono state analizzate le reazioni a condizioni di ogni tipo di vento, prende il nome di 2-Wave Rim ed è uno degli elementi distintivi di SHARQ, ovvero la loro forma ad onda. L’altezza del profilo varia da 42 a 47 mm, rispettivamente nella parte più alta e in quella più bassa dell’onda, per un totale di soli 1.440g.

In termini di resistenza al vento laterale, si registra un miglioramento del 21% in condizioni di vento tra 0° e 10° e fino al 30% tra 10° e 20°, rispetto a un profilo tradizionale di pari altezza.

IL NUOVO RAGGIO A3RO

Si chiama A3RO: un nuovo raggio piatto in acciaio, con una larghezza di 3 mm e uno spessore di 0,8 mm, che offre notevoli vantaggi a livello aerodinamico. Inoltre è stata rivista l’interfaccia mozzo-raggio: il foro prevede due fessure ulteriori accoppiate a una specifica schiacciatura alla base del raggio, che consente a questo di restare allineato e non ruotare, garantendo un supporto aerodinamico costante.

I raggi non si toccano mai tra loro così da mantenere la tensione nel tempo e, quindi, assicurare lo stesso livello di performance nell’intero ciclo di vita del prodotto, senza necessità di interventi meccanici per ovviare a eventuali cali di tensione.

Insomma, un modo nuovo di concepire una ruota, che noi apprezziamo davvero molto.

FULCRUM SHARQ 2.460 €
fulcrumwheels.com


Luoghi comuni (e meno comuni) sulla Valtellina

 

GRAVELLINA

Il 21 e 22 settembre 2024 ci sarà la prima edizione di Gravellina, un evento che nasce dall’amore per questa valle e le sue bellezze, paesaggistiche, storiche e culinarie. Un evento gravel senza classifica, dove il territorio sarà in primo piano non solo grazie al paesaggio, ma anche con la sua cultura e la sua accoglienza. Pedalare in Valtellina, tra le vigne, a settembre, significa annusare il paesaggio, ascoltare il rumore dell’inizio della vendemmia, prendersi il tempo per chiacchierare con i contadini e bere dalle fontane. L’evento proporrà un percorso lungo, due medi – uno sabato e uno domenica – e un giro facile la domenica mattina: il tutto accompagnato da soste culinarie, musica e, come ci piace, tempo perso, quello necessario per accorgersi di quello che c’è attorno a noi, in sella e non solo.

Il programma, le iscrizioni e tutte le informazioni sono qui: www.gravellina.com

Verbi solitamente applicati alla Valtellina, in senso lato: attraversare la Valtellina, percorrere in auto la Valtellina, mangiare i pizzoccheri in Valtellina, bere il vino o comprare le mele della Valtellina, pensare di dimagrire mangiando la bresaola della Valtellina. Più raramente si dice pedalare in Valtellina, lunga vallata che spesso si percorre verso un altrove ciclistico più famoso: lo Stelvio, il Gavia, Livigno, il Bernina per citarne alcuni. Non avendo la forza, nella vita, di sanare grandi ingiustizie, credo di poter invece coraggiosamente contribuire almeno a contraddire la convinzione errata che la Valtellina non sia, invece, il classico posto della Madonna in cui pedalare e anche godersi delle soste culinarie degne della nostra fame. La Valtellina è una valle che collega la Lombardia alla Svizzera e che, come tutte le valli lungo le quali nei secoli passati si potevano agilmente passare le Alpi, è stata altrettanto agilmente percorsa da eserciti, principi, re, cardinali, rivoluzionari e controrivoluzionari, cattolici e protestanti (che qui se le sono date alla grande), Franchi, Spagnoli, Etruschi, Longobardi e persino Liguri. Già, i Liguri. Sapere che i Liguri hanno avuto un ruolo non marginale nella storia della Valtellina mi ha colpito molto, non tanto perché non sia convinto della grandezza del popolo ligure, non fosse altro per la focaccia, De André e i carruggi, ma perché in effetti le Cinque Terre e la Valtellina hanno una cosa importante in comune, ossia i terrazzamenti, i vitigni e soprattutto una gran voglia di coltivarli molto faticosamente. E infatti pare siano stati proprio i Liguri, anticamente, a portare in Valtellina la vite e a segnare in maniera decisa il destino degli assolati e impervi versanti della valle, da cui arrivano oggi vini, soprattutto rossi, dotati di un carattere senza compromessi. È con questa idea, con atteggiamento da esploratore e giustiziere, che son partito dalla piazza di Sondrio, che di mattina potrebbe essere quella di altre mille città italiane: le persone che passeggiano, i monumenti, la luce, le montagne tutto attorno e il classico aplomb della ricca provincia italiana.
Il percorso che mi ha proposto Camillo, organizzatore di eventi come Valtellina Ebike Festival o Gravellina – di cui parleremo poi – è fatto di 70 chilometri di ininterrotta bellezza, e non è retorica.

Nella prima parte ci siamo scaldati le gambe lungo il famoso Sentiero Valtellina, dove si inizia presto a farsi un’idea di tutto quello che, passando in auto, ci era sfuggito, mannaggia a noi: vigneti, boschi, chiese, castelli, montagne e borgate di pietra. Iniziando a salire, sbuffando, perché le salite della Valtellina non sono quasi mai di quelle da fare fischiettando, il panorama si apre e la luce, essendo una valle soleggiata e aperta come poche, inizia a disegnare il paesaggio.
Da subito si intuisce che ogni metro di questa valle è frutto di secoli di lavoro e fatica: è una terra che è stata tanto attraversata da mercanti e contesa da eserciti, quanto da sempre coltivata, essendo molto più fertile delle vallate più a nord, come quelle degli invidiosi Grigioni; proprio per questo è diventata un territorio ricco, che ha fatto della sua posizione, della terra fertile, dell’abbondanza d’acqua e della tenacia dei suoi abitanti gli ingredienti per essere quello che è oggi.
Attraversandola in bici, salendo sul versante esposto a sud e guardandola dall'alto, la Valtellina dà il meglio di sé, mettendo nello stesso sguardo le vette innevate del Bernina e delle Orobie e la fascinosa durezza dei borghi di sasso e del fondo valle.

Si pedala lungo incredibili terrazzamenti verticali che ospitano vitigni antichi come le montagne, attraverso villaggi di pietra in cui persino i volti degli anziani sembrano scolpiti, di fronte a cattedrali la cui sproporzionata dimensione racconta di epoche in cui avere una chiesa grande era motivo di orgoglio, come negli anni '80 il figlio laureato. Mi segno posti e nomi come la Fracia, il Vecchio Torchio lungo la Via dei Terrazzamenti, il centro storico medievale di Ponte in Valtellina, i meleti di Chiuro, i mulini e i palazzi di Teglio; e poi ancora il Castel Grumello, che domina la valle e il monumentale santuario della Santa Casa a Tresivio; ma anche la passerella sulla gola delle Cassandre e il quartiere storico di Scarpatetti a Sondrio. A Teglio, paese a 900 metri di quota che dà il nome alla Valle, ha sede l’Accademia del Pizzocchero, a conferma del fatto che da questi parti con cibo e vino non si scherza e la preparazione del celebre piatto è una liturgia che non accetta ironia o variazioni, non sia mai che si voglia discutere della quantità di burro o della provenienza della farina di grano saraceno.
Riempito lo stomaco di quanto basta, in termini di calorie, per rientrare a Padova pedalando a 40 km/h, con la mia guida locale continuiamo a pedalare, ora col sorriso sereno di chi ha assaggiato lo Sfursat, il rosso di queste terre, come raccomandano tutti i nutrizionisti più in voga. Boschi di faggi, pini, abeti, torrenti, sentieri di colpo tecnici, tutti da guidare, e infine mulini, nascosti tra le rocce, completano l’esperienza e non c'è un metro in cui non venga la voglia di fermarsi per fare una foto perfetta per Tinder, Strava o la lapide. Il foliage e le geometrie precise dei terrazzamenti sembrano un quadro e la bellezza è senza compromessi: natura e paesaggio, uomo e storia.

A chiudere il giro, prima di rientrare a Sondrio, Castel Grumello, restaurato dal FAI, da cui si vedono montagne a non finire, si intuisce la dimensione di questa valle, che va dal Lago di Como a Bormio, e si immagina il tempo in cui qui, da queste torri, cavalieri e soldati guardavano lontano. Rientriamo a Sondrio dopo aver superato il vertiginoso ponte sulle Cassandre, 100 metri sopra il torrente Mallero, godendoci poi la divertente discesa che ci porta nella parte vecchia della città,
guidando veloci tra single track e ciottoli consumati dai secoli. Abbiamo percorso solo una parte della Valtellina, lungo il versante Nord della valle, attorno a Sondrio, non avvicinandoci a Tirano o al Lago di Como e abbiamo snobbato, per ora, le vallate laterali come la Val Masino, la Valmalenco, la Val Gerola e tante altre. Ce ne sarebbe da pedalare per una settimana, ma per questa volta preferisco preservare il matrimonio e tornare a casa.
Tornerò per la Gravellina.

Testo – Andrea Benesso
Foto – Ulysse Daessle


Mark Cavendish Cycling Masterclass

Ecco una gustosa novità in arrivo dal web, di cui sicuramente non avrete ancora sentito parlare. State a sentire.

Sport.xyz è la nuova piattaforma che offre masterclass online dei migliori campioni dello sport. È tutto molto semplice: andando sul sito ed acquistando la masterclass si ha diritto a vedere sessioni video esclusive di allenamento e interviste per imparare nuove skills tecniche e mentali da utilizzare nei propri allenamenti e in gara.

Quella con Cavendish tratta un'enorme varietà di argomenti: si parla di tecnica, performance e anche psicologia. Un Mark inedito, a fare da guida e pronto a condividere suggerimenti, indicazioni, conoscenze accumulate in una delle carriere più vincenti della storia di questo sport.

La masterclass si divide in tre sezioni.

INDOOR. Qua sono presenti tre differenti workout replicabili in modalità one to one - ognuno da circa 40 minuti - all'interno dei quali si alternano diverse tipologie di esercizi, come il lavoro in soglia aerobica, l'interval training, il lavoro in Z2 e un HIIT workout. All'interno delle tre sedute, oltre alla parte tecnica, ci sono anche numerosi dettagli e suggerimenti legati a tutte le tipologie di allenamento indoor usate da Mark. Volete un consiglio? Mettetevi sui rulli, premete il tasto play e allenatevi direttamente con lui - attenzione ai massacranti intervalli full gas!

INTERVISTA ESCLUSIVA. C’è poi la parte più discorsiva dove, in un’ampia collezione di capitoli narrativi, Mark condivide la parte più personale della sua esperienza, raccontando con dovizia di particolari aspetti della preparazione da ciclista professionista, della scoperta del talento, della vita di squadra e delle dinamiche di corsa nel gruppo. Riflessioni importanti anche in tema di mental health, partendo dai suoi pensieri rispetto al rapporto tra vita personale e lavoro, fino alla relazione con vittoria e sconfitta.

OUTDOOR. Infine ecco la sezione della Masterclass sul lavoro outdoor: un long take di mezz’ora di un suo esclusivo allenamento su strada, in Grecia. A bordo dell'auto del suo allenatore si può seguire una seduta di allenamento commentata direttamente da Mark.

Insomma, sono tre ore e mezza di informazioni davvero interessanti che cambiano la visione del ciclismo.
Decisamente alvento approved.

sport.xyz