Laudato si', mi' signore, per sorella nostra bicicletta
Sono convinto di questa cosa. Se ai tempi di Francesco d’Assisi – XIII secolo – fosse già stata inventata la bicicletta, il Santo Poverello l’avrebbe scelta per compagna di viaggio e il “cavallo di san Francesco” non sarebbero stati i piedi scalzi e il bordone del pellegrino, ma una semplice, essenziale macchina a pedali.
Credo che ne siano convinti anche gli amici de La Francescana Ciclostorica, di cui si è conclusa domenica la VII edizione, quattro giorni di sole, luce, nuvole in corsa e qualche acquazzone, a Foligno, nel cuore della valle Umbra, anzi: ne lu centru de lu mundu, come vuole una tradizione locale (a dire il vero, fino a non molti anni fa, c’era uno storico caffè del centro, giustappunto, che sosteneva che l’umbilicus urbis coincidesse con il birillo centrale del suo tavolo da biliardo: oggi il locale è stato dismesso e al suo posto, purtroppo, c’è il negozio di una catena di prodotti cosmetici).
A come Arnaldo Caprai
Alle cantine di Arnaldo Caprai, sotto il crinale di Montefalco, s’imbottigliano poesie. Del resto, lo diceva già Robert Louis Stevenson che «wine is a bottled poetry»: il vino è una poesia messa in bottiglia. Per questo c’è una linea di produzione per la quale su ogni tappo di sughero compaiono citazioni letterarie diverse intorno al mondo del vino. Al ristoro di ieri non c’era tempo di stapparle tutte le bottiglie, per il gusto “letterario” di assaggiarle. Ma lo chef Salvatore Denaro ha fatto preparare una gustosissima zuppa di lenticchie: praticamente un’Isola del tesoro.
B come Bevagna
Bevagna è uno dei meravigliosi borghi che si attraversano lungo i tracciati della Francescana, che ora, grazie a un accordo intercomunale sul territorio, stanno per diventare permanenti e quindi fruibili per tutto l’anno. Bevagna è un tesoro e il suo scrigno è piazza Silvestri. Due chiese affacciate, S. Michele e S. Silvestro, il palazzo dei Consoli e di fianco la scalinata che porta al piccolo, delizioso Teatro Torti; in mezzo una fontana. Tutt’intorno decine e decine di matrimoni: tutte le volte che ci sono passato c’è sempre qualcuno che si sposa. Ieri pomeriggio il vento alzava le gonne delle invitate, che si erano “messe giù da parata”. Ai tavolini della Bottega di Assù ho bevuto un ottimo grechetto. Dentro, tra gli scaffali pieni di libri e di illustri bottiglie di vino, facevano capolino, spiritose, Alda Merini e Maria Callas.
C come Carapace
Tra Montefalco e Bevagna, alla Tenuta di Castelbuono, in cima a una collina ricoperta di vigneti di Sagrantino, il Carapace è un gran premio della montagna. Per arrivarci, sono sceso di sella e ho spinto. In cima, all’ombra della grande cupola ricoperta di lastre di rame, dalla forma di una preistorica testuggine rugosa – come le crepe dei crinali vitati dei dintorni – mi aspettavano, a ricompensa dello sforzo di quella sessantina di chilometri che mi ero lasciato alle spalle, una memorabile porchetta speziata, morbida al taglio e croccante di cotenna, e un vigoroso bicchiere Rosso di Montefalco. I suddetti integratori hanno svolto poco dopo la loro funzione calorica sotto il temporale di incazzoso stravento che per mezz’ora ci accompagnati al ritorno verso Foligno.
E come Elia
Francesco era un Campionissimo e aveva i suoi gregari. Frate Rufino, frate Leone, frate Masseo… Ma il frate che avrebbe potuto essere un campione in proprio, per capacità e talento – come quando a Indurain toccava fare il gregario a Delgado o Froome a Wiggins – fu frate Elia da Cortona, che di fatto succedette a Francesco, dopo la sua morte, nella leadership dei Francescani Banesto o Sky. Finché, troppo vicino all’imperatore Federico II – in realtà, come già Francesco, Elia tentò invano di conciliare i due grandi poteri medievali di papato e impero – subì la scomunica. A Elia si deve, pochi anni dopo la morte del santo, l’edificazione di quella meraviglia della Basilica di Assisi. Secondo Luca Radi, uno dei motori creativi de La Francescana, saper scrivere un romanzo su Frate Elia, chiave di volta di tante vicende di politica e di cultura ancora poco note intorno alla metà del Duecento, sarebbe un colpo da best-seller. Spero tanto che lo scriva lui, un giorno.
F come Fioretti e Fiorelli
I luoghi che tocca La Francescana sono quelli della vita o della leggenda di san Francesco e che rievocano gli atti, le prediche e i miracoli del poverello d’Assisi. Ad esempio, tra Cannara e Bevagna, nella campagna di Piandarca, si trova il luogo della predica agli uccelli, una delle più celebrate scene degli affreschi di Giotto. Passando di lì anch’io ho ascoltato un concerto di pigolii, di cinguettii, di trilli e gorgheggi. Ma provenivano tutti dal movimento centrale della mia bicicletta, una Fiorelli Coppi del 1959, che ha la sua età e soprattutto un padrone che la trascura. Del resto dai Fioretti alla Fiorelli è un attimo.
G come Grazie
Le Grazie, figure della mitologia romana e simbolo della perfezione leggiadra a cui l’umanità dovrebbe tendere, sono tre: Aglaia, ovvero lo splendore; Eufrosine, la letizia; e Talia, la prosperità. E tre sono anche le Grazie della Francescana: Giada, Daniele e Pamela, e per di più sono intercambiabili in quanto a splendore, letizia e prosperità. Che volete di più? Grazie davvero.
I come Itinerari permanenti
La Francescana è una ciclostorica sui generis. Nata sette anni fa sull’onda della moda del vintage ciclistico, si è da tempo saputa intelligentemente smarcare dalle stanche e poco sensate emulazioni dell’Eroica. In questi anni ha portato a termine un sapiente e paziente lavoro di costruzione di reti e relazioni sul territorio e, grazie a questa attività che culmina nell’evento di settembre, ma che tesse tutto l’anno la sua tela, oggi l’Umbria si presenta come uno dei più interessanti e versatili territori ad alta vocazione ciclabile. Basta andare a vedere, sul sito lafrancescana.it, i cinque Percorsi permanenti tracciati di vario chilometraggio e di diversa tipologia in termini di caratteristiche altimetriche e di fondo stradale (strada, mtb, gravel): facendo perno su Foligno, si va dalla semplice passeggiata in pianura verso Bevagna (35 km), fino alle escursioni collinari verso Trevi (74 km), Montefalco (71 km) e Assisi, Spello e i borghi di pietra rosa (55 km), fino al grande anello della Valle Umbra (165 km) che unisce il territorio di dodici comuni e abbraccia una straordinaria offerta paesaggistica, storico-architettonica ed enogastronomica della regione.
M come maglie
Mi diverto sempre a leggere le storie e le geografie che posso immaginare guardando le coloratissime maglie dei partecipanti alle ciclostoriche. Dal Velo Club Pianello al Gruppo Sportivo I Maggio C. (Corte? Civita? Costa?) Maggiore; dal Diss. C.C. Huret al G.S. Cicli Caldaro; dal Mugello alla Idraulica Mirandola.
N come Next Generation
Quest’anno alla Francescana ho pedalato con mio figlio, Pietro, detto il Pepe. Gli ho dato la corroborante soddisfazione di aspettarmi sempre, e non per pochi minuti, in cima alle salite. Ovviamente senza farlo apposta. Bontà sua, ai ristori mi ha sempre lasciato qualcosa.
O come Osteria Ciclabile
Invece all’Osteria Ciclabile di via Gramsci, in centro a Foligno, non ho fatto prigionieri. Di lumache in umido, che amo tanto quanto le detestava il Barone Rampante – e del resto non sono Barone né tanto meno Rampante sulle salite, in bicicletta – ne ho mangiati ben due piatti: il mio e quello rifiutato da Guido P. Rubino, per il quale ritengo già un imperituro successo avergli fatto assaggiare, anni fa, un panino al lampredotto.
P come pesche all’alchermes
Sempre all’Osteria Ciclabile di Foligno ho assaggiato le pesche all’alchermes. Ma non erano nella lista del menu. Le ha tirate fuori come strepitoso bonus track della cena francescana Angela Guerra, che le ha preparate con le sue mani. W Angela Guerra! W le pesche all’alchermes. W il Baracca Lugo.
R come Rubbagalline
Sulla strada da Bevagna al Carapace ho attaccato bottone con un ciclista che pedalava su un improbabile condorino e indossava sopra i pantaloni lunghi e sotto un cappellino da pescatore della domenica, una maglietta rossa con scritto sopra RUBBAGALLINE. È stato uno degli incontri più piacevoli dei tanti fatti durante la giornata in sella. Il Rubbagalline è Gianluca Torpedine, aquilano, appassionato cultore di cose ciclistiche e di montagna. Abbiamo parlato di Abruzzo e di salite, di alpinismo e di Primo Levi. Alla prossima Rubbagalline!
S come Sfizio
Stava per iniziare a scatenarsi l’acquazzone, ma come rinunciare al banchetto con la pizza bianca alla cipolla di Cannara? E come non farsi raccontare dalla signora del banchetto che la “morte sua” della cipolla di Cannara è lo sfizio, una specie di “parmigiana di cipolle” che, non so come Francesco si è dimenticato di inserire nelle sue Laudes Creaturarum.
T come torchi
Foligno, come mi ha raccontato Luca Radi – che ho eletto a mia personale Treccani de lu centru de lu mundu – è un importante capitale della stampa. C’è infatti anche un bel museo che racconta questa secolare tradizione artigianale folignate. Qui, nel 1472, nella bottega di Evangelista Angelini, assistito da Johann Numeister, che veniva da Magonza dove aveva lavorato con Johann Gutenberg, venne stampata l’editio princeps, ovvero la prima edizione della Divina Commedia di Dante. Non solo: per vie avventurose e traverse, in una tipografia di Foligno è conservato il torchio speciale con cui Alessandro Manzoni fece stampare le copie dell’edizione del 1840, quella illustrata da Francesco Gonin, dei Promessi Sposi. Insomma da queste parti, con ottimi risultati, si torchiano uve e pure libri.
U come Umbria Bike Festival
Alle pedalate del sabato e della domenica, il programma della Francescana 2021 ha affiancato una vera e propria rassegna di eventi: presentazioni di libri (quello di Flavio Maria Tarolli, Il passe-partout del Novecento. 100 anni del mondo visti della bicicletta, Reverdito Editore, 2021, un viaggio nella storia e cultura del Novecento dalla prospettiva, culturale, sociale e tecnologica della “macchina a pedali”); e quello di Alessandra Schepisi e Pier Paolo Romio, 24 storie di bici (Il Sole24 Ore Edizioni) e di eventi teatrali come l’incontro con gli attori di Stravagante. Festival del paesaggio, introdotti da Marco Pastonesi, Andrea Satta e Marco Scarponi, della Fondazione Michele Scarponi; le tavole rotonde sul tema del cicloturismo e delle nuove frontiere della ciclabilità sostenibile – con Giancarlo Brocci, il padre dell’Eroica, Antonio Della Venezia, presidente del Comitato tecnico scientifico di FIAB, Ludovica Casellati, di Viagginbici, Guido P. Rubino di Cyclinside.it – fino a vari workshop sulla meccanica ciclistica e sulla medicina sportiva.
V come Velodromo Canapé
A Foligno c’è anche uno dei più antichi velodromi d’Italia, oggi trasformato in un bel parco pubblico. Si trova nel tratto di mura tra porta Todi e la torre del Seminario e venne realizzato come area di pubbliche manifestazioni alla fine del Settecento. Nel secolo successivo ospitò diverse manifestazioni ippiche, circensi, di voli con pallone aerostatico, fino a quando, a partire dal 1899, il Veloce Club folignate lo utilizzò per ospitare corse velocipedistiche. Nei primi anni del Novecento al Canapè corsero campioni come Ganna e Galetti, il francese Petit-Breton, fino ad arrivare agli anni Venti, per la precisione il 15-16 agosto 1925, quando in una riunione si cimentarono i più forti pistard-routier del momento, da Girardengo a Belloni a Pietro Linari. Al Canapé corse anche Alfonsina Strada, unica donna a prendere parte, insieme agli uomini, a un Giro d’Italia nel 1924.
Z come zecchiere
Di fronte alla facciata del Duomo di Foligno, c’è un’osteria. Si chiama Bacerotti e fin dal nome (Bacerotti, “ti bacerò”) è una bella promessa. Promessa mantenuta dopo aver apprezzato un’originalissima interpretazione della panzanella, con croccanti verdurine fresche accompagnate da croccante fiore di zucca, una tiepida insalata di faraona con quenelle di patate viola e una crême brulée al rosmarino che meritava di vincere la Giostra della Quintana. L’osteria sta nel luogo dove un tempo sorgeva la zecca pontificia: nel 1514 papa Leone X, il papa Medici, il grande committente di Raffaello, concede licenza di battere moneta a Giovanni Bacerotti. Il nome dello zecchiere folignate è tenuto alto da questa piccola preziosa osteria.
Luca Radi, gran tartufaio di storie, pare abbia scovato questi versi apocrifi del Cantico delle creature di san Francesco. Non giuriamo sull’autenticità filologica. Ma ci sentiamo di condividerne l’autenticità dello spirito.
«Laudato si', mi Signore,
per sorella nostra bicicletta,
ispecialmente se va' piano,
et nullo omo te mette fretta».
TRENTO CAPITALE
Le gocce di sudore che cadono sulla strada le posso quasi sentire.
Tanto è il silenzio, tanto è liscio e perfetto il fondo stradale.
Pedalo da quasi nove chilometri e la pendenza non ha mai mollato, salvo alcuni tratti. Dire che quel pneumatico là davanti scorra è una parola grossa.
Le salite al 10% mi piace metabolizzarle con calma, avvicinarmi preparato. Qui l’ho attaccata subito, uscito da Trento mi tocca una menata verso Candriai. Due punti a mio favore: il bosco e la quota che aumenta velocemente, uno dei vantaggi delle strade ripide, se vogliamo trovarne uno, e di conseguenza il fresco.
La città è la sotto, fa caldo. Buttando l’occhio in qualche tornante vedo scorrere l’Adige e la A22 con i suoi camion e i van dei turisti tedeschi che stanno tornando ad assaltare il Bel Paese. Curioso, da Trento quasi sempre ci passi, a meno che tu non ci viva, è difficile che succeda di fermarsi, ed è un peccato. Questa volta, invece, è stato proprio così. Sto bene e come sempre la meta vicina restituisce vigore, bevo un po’ alla borraccia e ho quel senso di euforia che ti fa sentire più forte, è sempre così in cima ad una salita.
Per un attimo mi balena l’idea di proseguire per altri dieci chilometri, tenendomi a sinistra raggiungerei la cima del Bondone. Mi rinfresca il solo pensiero della nevicata del 1956 e di Charly Gaul semi-assiderato, va bene così, per oggi mi accontento, il mio giro prevede una veloce discesa verso Sopramonte per andare ad imboccare la Valle dei Laghi.
Va detto che sono contromano rispetto ai programmi di giornata: sono qui per percorrere la traccia che a settembre assegnerà la maglia di campione europeo su strada, solo che il primo tratto che porterà i professionisti da Trento alla Valle dei Laghi, attraverso le gallerie, non è normalmente percorribile in bici e verrà chiuso appositamente per la gara. Achtung, warning, vietatissimo! Me l’hanno sottolineato un sacco di volte i ragazzi dell’organizzazione. Poco male, dove sono passato io è più bello, magari più duro, ma va bene così. Filo via e mi godo l’asfalto, che è una materia non troppo nobile, ma che chi pedala sa apprezzare e riconoscere come un sommelier fa con il vino buono. Questo attorno a Trento è da palati fini, come il Trentodoc del resto, e tra mangia e bevi eccomi a Terlago, sono finalmente nei pressi del percorso di gara. La gamba gira, ho voglia di giocare al professionista, non lo fate mai? Magari non proprio in modo esplicito, ma quando mi metto giù spianato a scaricare tutti i watt di cui dispongo (quelli-di-cui-dispongo), mi sento un po’ van Aert, Alaphilippe, quello che quel giorno mi solletica la fantasia. Lo facevo da bambino, lo faccio ancora adesso.
C’è chi ammette di farlo e chi mente.
Terlago affascina, con le sue costruzioni di un’altra epoca. Scattando le foto di questo servizio, qualche giorno prima, Jered e Ashley, che vengono dalla Louisiana, non riuscivano a staccare gli occhi da uno stabile d’epoca in vendita, proprio sulla strettoia dove la strada ricomincia a salire. È pazzesco cosa possano suscitare certi paesini delle vallate alpine agli stranieri che li vedono per la prima volta! Pedalo verso Vezzano, si sale un po’, immagino il gruppo con le divise delle nazionali che procede a velocità di crociera, magari controllando una fuga con qualche minuto di vantaggio. Adesso mi sento un po’ Daniel Oss, per rimanere in zona, che mena là davanti con i compagni in maglia azzurra a ruota, ma senza esagerare, l’azione vera sarà più avanti secondo il piano gara.
Un occhio mi cade sul bivio verso destra, i local mi avevano segnalato che da lì sale una strada che in sei chilometri circa porta a Lago Santo e Lago di Lamar. Il primo tratto è per veri scalatori, c’è anche un centina-io di metri ad un certo punto con pendenze ben oltre il 20%, dopo però si fa più pedalabile. Faccio finta di niente e tiro dritto, ho un gruppo da riportare a Trento, io. Poco più avanti, però, decido di deviare. Da Vezzano mi porto a Lon e da lì inizia la salita che collega a Ranzo: è un qualcosa di imperdibile. La strada provinciale 18 è scavata nella roccia e taglia in diagonale la parete che si affaccia sulla valle sottostante. Soffro anche di vertigini (e chi me lo fa fare?), il vuoto mi dà senso di smarrimento e lì sotto, alla mia sinistra, c’è uno strapiombo verticale che aumenta costantemente. Mi tengo sulla destra, appiccicato alla parete rocciosa più che posso, guardo il paesaggio in lontananza, vedo luccicare i laghi, torno con gli occhi sul mio Wahoo e spingo sui pedali per non farmi venire l’ansia: bello e spaventoso allo stesso tempo. A Ranzo bevo, riempio la borraccia e giro la bici, l’unica via per tornare indietro è quella appena percorsa e la picchiata in discesa sul lato destro della strada, quello dello strapiombo, è ancora più elettrizzante. Oltretutto la strada è stretta e non posso nemmeno stare troppo in mezzo, un’auto in salita sarebbe un guaio. Si va veloce, mi sento in parapendio, più che in bici, sembra davvero di volare. Mi hanno raccontato che salendo con una gravel, da Ranzo c’è poi una meravigliosa strada forestale sterrata che conduce al lago di Molveno: questa mi interessa, la segno nella lista delle cose che devo fare prima possibile.
Rieccomi sul percorso europeo, ho strizzato in discesa, lo ammetto ma sono a fondovalle e ora me la godo. E pensare che da Terlago a Vezzano avrei potuto scorrazzare in una fluida ed estetica ciclabile… Davanti al mio sguardo si apre la Valle dei Laghi, che è uno spettacolo, una serie di specchi d’acqua generati dal passaggio del Sarca, che poi andrà a sfociare nel lago di Garda. In queste situazioni la meraviglia del paesaggio ti fa sentire fortunato, ogni boccata d’aria ti dà un senso di stordimento e le gambe sembrano girare come non mai.
Ah, già che sono un Pro del gruppo! Poco prima fiancheggiavo un muro di roccia, ora sono a presa bassa tirando il rapportone tra filari ordinati di vigne, dove nasce il prezioso Vino Santo, con l’antico castello di Toblino sullo sfondo e la sua caratteristica posizione su un promontorio che lo fa sembrare sospeso sulle acque. Angolo Superquark: si dice che duemila anni fa, con le acque più alte di almeno due metri, questa fosse un’isolotta nel lago e che in epoca romana fosse considerata sacra e consacrata al culto delle fate e dei fati, divinità capaci di prevedere il futuro. Magari qualcuno dei corridori in lizza per la maglia a stelle proverà ad interrogarli, sfilando sulla veloce statale di fondo valle.
Intanto io continuo il mio giro e ogni tanto mi infilo in piccole deviazioni dalla rotta principale che permettono di attraversare zone rurali dal traffico automobilistico inesistente: sono quelle che rendono unica l’esperienza (e che mi permettono di tirare il fiato e abbassare il ritmo). Troppo bello guardarsi intorno. In vista del lago di Cavedine, ancora filari, che da queste parti sono maniacalmente ordinati e puliti e ancora wow! per lo scenario. Acqua verde placida, riflessi che ti incantano. Pedalare di fianco all’acqua piace a tutti, deve essere una deformazione mentale dei ciclisti, anche se mi risuonano in mente le parole di Ashley, che si era appostata da quelle parti per scattare un po’ di foto: «A voi piacciono tanto i laghi, a noi che dobbiamo fotografare molto meno. Sono difficili da far risaltare in foto, alla fine sembrano tutti uguali!».
Se lo dice lei… E non poteva esistere un giro più alvento di questo: di colpo mi sento rallentare da una forte brezza contraria. È inizio pomeriggio, ecco l’Ora del Garda.
Vento, una corrente che soffia da sud a nord, nei periodi caldi pressoché tutti i giorni, aumentando man mano che si allontana dal lago. È quel vento che fa la fortuna dei velisti a Torbole e dintorni, quello che in certe giornate ti inchioda e ti viene da maledirlo mentre superi lo specchio d’acqua di Cavedine, ma che col caldo estivo tutto sommato ti fa anche piacere.
Oggi si viaggia e a me piace stare alvento, ancora una volta gioco al corridore e mi immagino di avere i capi-tani dietro belli coperti e di menare per fendere l’aria e portarli freschi dove si scatenerà la bagarre per le medaglie. Ma ancora una volta il Trentino mi sbalordisce e mi risveglia dalle fantasie da corridore. Il paesaggio cambia di colpo, come fossi teletrasportato altrove: ho appena lasciato il lago di Cavedine sulla mia destra, inizio a salire per un breve tratto e al momento di scollinare, di colpo, dal verde dei prati e dei vigneti mi ritrovo in mezzo a rocce, massi e detriti in un vero paesaggio lunare. Le Marocche di Dro, mi spiegheranno poi. Una delle più grandi frane visibili in Europa, probabilmente di epoca post glaciale. Spettrale, sicuramente affascinante. Il vento da sud, il silenzio, una flora quasi mediterranea che spunta dove riesce tra le rocce e la leggenda dell’antico abitato di Kas che aleggia, distrutto dalle divinità per punire la lussuria dei suoi abitanti, si narra. Qualcuno vuole che anche Dante ne abbia parlato nel canto XII dell’Inferno, ma non tutti sono d’accordo ed eviterei una discussione del genere. Io mi godo la bella strada che serpeggia in discesa tra mezze curve e un particolare guard rail in metallo rosso.
Sullo sfondo il Castello di Arco, poco più a sud il Garda. Meraviglioso, andrei avanti a scendere così per molti chilometri ancora, ma sono già arrivato al bivio da cui si risale a Vigo di Cavedine, passando davanti alle maestose rovine di Castel Drena e alla sua torre medievale quasi intatta. Circa sei chilometri, la pendenza è regolare, tra 5-6%. La strada è larga e abbastanza trafficata, io sono discretamente bollito, ma provo a immedesimarmi ancora nei corridori: velocità alta, bivio, curva a destra, quelli davanti al gruppo in piedi con il 53 a rilanciare l’andatura dopo la discesa, e via a ritmo alto fino al gpm del Passo Sant’Uldarico di Vigo. E ancora stupore per me, che la prendo invece molto più easy e mi godo il paesaggio verde degli ulivi e degli immancabili vigneti, soprattutto quando imbocco la valle di Cavedine in direzione Lasino, quindi Vezzano.
In gara ci sarà poco da guardarsi intorno, qui il gruppo andrà a sessanta all’ora, sfruttando la leggera discesa e la strada larga (sempre quel bell’asfalto di cui parlavamo che fa tutta la differenza del mondo). Poco dopo Lasino (che si legge con l’accento sulla i e non c’entra con la bestia da soma), volendo, c’è la salita verso il Bondone meno nota, più da local, forse più dura, anche per come è fatta la strada, con lunghi rettilinei e pendenza costante, anche se il bosco mitiga il sole che nel pomeriggio picchia bello forte. Ma non mi faccio attrarre dalle sirene della salitona, non oggi che ho un compito da portare a termine e salgo comunque, regolare, verso Vigolo Baselga. C’è un po’ di traffico e scelgo la perfetta ciclabile: quando esistono e sono manutenute come si deve, in certi momenti sono una benedizione. Stringo i denti, la salita non è lunghissima ma nemmeno banale, vado su da Sopramonte a Candriai e ripercorro quel pezzo che stamattina sembrava così breve, sfrecciando in discesa. Già, perché il gruppo durante l’Europeo di qui transiterà in salita fino a Candriai per poi catapultarsi su Trento lungo il tratto del Bondone che ho pedalato in mattinata.
In un attimo sono giù, rientro a Trento ed ecco l’immancabile traffico cittadino. Facessi parte del gruppo immaginario che insegue la maglia di campione europeo mi attenderebbero otto giri a tutta di un circuito da tredici chilometri e circa 250 metri di dislivello, che passa dalla centralissima via Roma, si arrampica verso Povo nella zona universitaria e poi scende di nuovo, con velocità abbastanza sostenuta, verso la città, per passare nel quartiere delle Albere, disegnato da Renzo Piano, davanti al celebre Muse, per poi fiondarsi, dopo l’ultimo giro, sul traguardo di Piazza Duomo. Provo a pensare a chi potrebbero essere i favo-riti e rifletto sul fatto che una salitella, magari insignificante per un professionista, come quella di Povo, dopo otto tornate e dopo i 76 chilometri del circuito che ho appena pedalato, possa anche fare la differenza. Io mi accontento di un giro solo, in scioltezza, guardandomi attorno, apprezzando i tratti di una cittadina moderna, quasi mitteleuropea, in cui si respira benessere e welfare. Mi viene voglia di fermarmi qui per un po’ di tempo, per pianificare qualche giro nelle vallate circostanti. Da Povo, punto più alto del circuito cittadino, potrei proseguire verso i laghi di Levico e la Valsugana, con poco traffico, per pedalare su ciclabili perfette e magari affrontare qualche sfida di quelle serie, per esempio il Menador da Caldonazzo, anche se non sono proprio uno scalatore da 15%.
Non so a cosa abbiano pensato esattamente gli organizzatori del Campionato Europeo su strada di Trento quando hanno ottenuto l’assegnazione dell’evento, ma il potenziale per le due ruote attorno al capoluogo è sorprendente. Per varietà, per qualità delle strade, per servizi, al di fuori dagli snodi principali anche per il poco traffico. Insomma, il mio giro doveva essere una ricognizione per capire come mai l’UCI avesse scelto Trento come sede degli Europei su strada.
Ho ricaricato la bici in auto pensando di aver pedalato in una capitale moderna delle due ruote.
[servizio pubblicato su Alvento 16 di agosto 2021 - se ti interessa la copia cartacea, clicca qui]
I borghi in bici
In Trentino sono sei le località inserite nell’elenco dei Borghi più belli d’Italia: dalle Giudicarie all’Alto Garda, dalla Valle del Chiese alle valli dolomitiche. Noi, ovviamente, li abbiamo visitati… in bicicletta.
Appartati tra le montagne, circondati dai boschi o da distese coltivate, i borghi del Trentino aprono le porte facendo parlare le corti con le tipiche fontane in pietra, i porticati, i fienili e i ballatoi in legno dove ancora si fanno essiccare le pannocchie di granturco oppure le noci. È molto semplice: si parcheggia la bici e il viaggio ha così inizio, per ogni borgo.
San Lorenzo, borgo del benessere. Situato ai piedi delle Dolomiti di Brenta, questo borgo è nato dalla fusione di sette Ville: Berghi, Pergnano, Senaso, Dolaso, Prato, Prusa e Glolo. Camminando senza fretta tra le stradine delle sette frazioni si possono ancora osservare rare architetture rurali caratterizzate da elementi architettonici unici come i pont, le rampe carrabili per accedere ai depositi di fieno, gli essiccatoi e i fienili nella parte alta delle abitazioni. La parola d’ordine è relax, infatti molti maestri yogi e altri professionisti del benessere operano proprio qui. San Lorenzo è inoltre la patria della ciuiga, un insaccato presidio slow food al quale è dedicato un intero weekend di festa nel cuore dell’autunno, che si può degustare al Ristoro Dolomiti di Brenta, all’ingresso della Val d’Ambièz.
A San Lorenzo si arriva comodamente in bici da Molveno, costeggiando il lago fino all’Oasi di Nembia. Per proseguire evitando la strada provinciale, si può percorrere lo sterrato che scende in località Deggia, passando dal Santuario della Madonna di Caravaggio e dalla frazione di Moline prima di salire a San Lorenzo.
Rango, dal cuore rurale. Salendo verso l’altopiano del Bleggio, attraverso un paesaggio rurale disegnato dalle coltivazioni della patata di montagna, si giunge a Rango. Il portech de la Flor è la prima tipica struttura abitativa che salta agli occhi: il nucleo più antico e monumentale del borgo, esempio per tutti gli altri porteghi che nel tempo hanno impreziosito l’abitato. Portici, cantine, androni, grandi fontane e recinzioni in pietra, vie lastricate ed antiche dimore. La Noce del Bleggio, oggi presidio Slow Food, è alla base di tante gustose ricette locali e le hanno dedicato anche una facile passeggiata che si sviluppa su strade di campagna. Per una fetta di torta alle noci cotta nel forno a legna c’è il Panificio Riccadonna, mentre nel vicino abitato di Cavrasto l’Azienda agricola Il Noce è specializzata in prodotti a base di noci del Bleggio, dolci, pesti, olio e altro ancora.
Canale di Tenno, atmosfere medievali. Qui si passeggia sui viottoli selciati passando sotto archi, porticati e robuste mura che collegano le abitazioni l’una all’altra. Uno dei riferimenti nel borgo, conosciuto anche all’estero, è la Casa degli Artisti Giacomo Vittone che ospita esposizioni ed eventi artistici. La Locanda del Borgo nella piazzetta centrale è il posto giusto per uno spuntino e per assaggiare la vera specialità di questa zona, la carne salada e il suo contorno ideale di fasoi, i fagioli.
Bondone, il borgo sopra le nuvole. Affacciato sul Lago d’Idro, è l’ultimo accolto nei Borghi più belli d’Italia in Trentino. Siamo nel comune più a sud in Valle del Chiese, al confine con la Lombardia, dove questo borgo nasce storicamente come paese di carbonai. Camminare tra questa vie è come tornare indietro a stagioni lontane e dure, quando i carbonai e le loro famiglie vivevano qui solo per quattro mesi lasciando, poi, il borgo sprofondare nel silenzio. È piacevole pedalare sulla ciclabile che da Lardaro percorre la Valle del Chiese fino al Lago d’Idro con il suo esteso biotopo. Per raggiungere Bondone, invece, si sale per 4 km a pendenze toste ma comunque accessibili. Per una sosta con vista sul Lago d’Idro noi abbiamo scelto il Ristorante Pizzeria Miralago nella frazione di Baitoni. Insieme ai piatti di pesce si può degustare la polenta fatta con la famosa farina gialla di Storo, prodotto simbolo della Valle del Chiese.
Mezzano, per una fuga romantica. Nella valle di Primiero, questo borgo è un vero e proprio museo a cielo aperto. Da visitare semplicemente passeggiando lungo alcuni percorsi tematici che invitano a rintracciare tra le case i segni sparsi del rurale, ma in particolare le celebri cataste di legna che qui si fanno arte grazie all’iniziativa Cataste&Canzei. Al Caseificio di Primiero si può acquistare la famosa tosèla, formaggio fresco tipico di questa zona e in estate anche il burro Botìro di malga e dopo un giro nel paese si può sostare al Ristorante la Lontra. La pista ciclabile in Valle di Primiero, inizia a Masi di Imer: pianeggiante, collega tutte le località compreso Mezzano, che dista solo 1,5 km da Imer e 3 km da Fiera di Primiero. E dall’estate 2020 chi ha le gambe buone può raggiungere da Siror sul fondovalle direttamente San Martino di Castrozza grazie a ulteriori 9 km di ciclabile tutti nuovi.
Vigo di Fassa, ai piedi del castello di Re Laurino. Nelle Dolomiti del Trentino c’è un secondo Borgo più bello d’Italia, proprio sotto al gruppo del Catinaccio – Rosengarten, patrimonio mondiale UNESCO che la leggenda vuole dimora di Laurino, il re nei nani. Spostarsi in bici lungo la Val di Fassa è davvero semplice e molto appagante per gli occhi. Abbandonata la ciclabile si deve iniziare a salire per raggiungere l’abitato. Vigo conta tante frazioni e tra queste Tamiòn dove, tra le case con gli antichi fienili, sorge una chiesetta dedicata alla Santissima Trinità. Invece il santuario gotico di Santa Giuliana è uno dei più antichi della valle. È intitolato alla patrona della Val di Fassa e racchiude preziosi cicli di affreschi del XV Secolo. Sorge su un luogo di culto preistorico, il Doss del Ciaslìr, legato anche a vicende intrecciate con i processi per stregoneria che interessarono drammaticamente la comunità fassana nel 1627-28. Siamo sulla Strada dei formaggi delle Dolomiti che in Val di Fassa è rappresentata dal Cher de Fascia e dal Puzzone di Moena. Non mancano mai nei menù del ristorante tipico El Tobià a Vigo e dello stellato L’Chimpl nella frazione Tamiòn.
Foto © Jered Gruber – riproduzione riservata
Storie Rosa
San Martino di Castrozza è stato per tre anni sede di arrivo della Corsa Rosa, con le tappe del 1982 (nel secondo Giro vinto da Bernard Hinault, successo di tappa dello spagnolo Vicente Belda), del 2009 quando a imporsi fu Stefano Garzelli nel Giro vinto da Denis Menchov, e del 2019 con la vittoria di Esteban Chaves.
Molte le volte che hanno registrato il passaggio del Giro d’Italia sul Passo Manghen, lo storico valico tra Valsugana e Val di Fiemme. Tra le tante ricordiamo quella del Giro d’Italia del 1976 nella tappa Vigo di Fassa - Terme di Comano. In vetta al Manghen (prima delle due asperità di giornata) scollinarono in testa Francesco Moser e Roberto Poggiali. L’ obiettivo del tandem della Sanson era attaccare la maglia rosa De Muynck che il giorno prima aveva sfilato la rosa a Gimondi. Da abile discesista, Moser, creò il vuoto. Una volta tornati in valle, i due percorsero l’intero tratto della Valsugana improvvisando una cronometro a coppie. Che purtroppo, però, non fu sufficiente.
Un altro passaggio storico sul Passo Manghen è quello del 25 maggio 2012 nel corso della tappa da Treviso all’Alpe di Pampeago vinta dal ceco Roman Kreuziger davanti a Ryder Hesjedal che due giorni dopo, nella cronometro finale, si sarebbe aggiudicato il Giro con 16 secondi di vantaggio sullo spagnolo Joaquim Rodriguez.
Il Passo Rolle, invece, è stato il primo passo dolomitico ad essere affrontato dal Giro d’Italia nel 1937. Il primo a scollinare fu Gino Bartali che poi si aggiudicò anche la classifica finale. A ricordo di quel passaggio è stata realizzata in vetta al Rolle un’opera d’arte presentata durante la Dolomiti Alpina Vintage, alla presenza di Andrea Bartali, figlio di Gino. Nel 1962, in una edizione del Giro condizionata dalle nevicate durante le tappe dolomitiche, patron Vincenzo Torriani fu costretto a interrompere la tappa da Belluno a Moena proprio sul Passo Rolle, per la troppa neve caduta.
Il Giro in Val Rendena
Il primo ricordo è dell’8 giugno 1977. A Pinzolo, Giovanni Battista Baronchelli anticipa allo sprint Michel Pollentier. Il belga indossa la maglia rosa strappata a Francesco Moser il giorno prima all’arrivo di Col Drusciè. Fu un tappone davvero tremendo: Valparola, Gardena, Sella, Costalunga, Mendola, Campo Carlo Magno prima della picchiata su Pinzolo. Moser chiuse quella tappa al settimo posto a un minuto e 25 secondi e vide allontanarsi quasi definitivamente la sua possibilità di vestirsi di rosa in Piazza Duomo a Milano dove la corsa si concluse con il successo di Pollentier.
Il 19 maggio 1985 il Giro tornò a Pinzolo. Questa volta entrano in scena i big dello sprint. Vinse Giuseppe Saronni in maglia rosa. Dietro di lui Da Silva, Van der Velde e tutti gli altri. Vittoria finale di Bernard Hinault (al terzo centro su altrettante partecipazioni) davanti a Francesco Moser, vincitore delle cronometro di Verona e Lucca e, in volata, sul traguardo di Saint Vincent.
Quattordici anni dopo, il 4 giugno 1999, il Giro torna in Val Rendena. Si arriva a Madonna di Campiglio e si assiste all’ennesimo “show quotidiano” di Marco Pantani, già primo al Gran Sasso, al Santuario d’Oropa e all’Alpe di Pampeago. Massimo Codol, Laurent Jalabert e Gibo Simoni sono i primi a chiudere alle spalle del “pirata” sempre più dominatore di un Giro che può solamente perdere. Il giorno dopo, però, è il Giro a perdere il più grande.
Il 24 maggio 2015 Madonna di Campiglio è nuovamente arrivo di tappa. Il terreno è per gli scalatori che rispondono all’appello appena la strada inizia a salire. Il primo sotto lo striscione di arrivo è Mikel Landa. Terzo chiude Alberto Contador. Lo spagnolo conferma la maglia rosa indossata il giorno prima nella crono di Valdobbiadene e, da Madonna di Campiglio, si avvia a vincere il Giro.
Le 23 grandi salite
Ok le ciclabili, ok i borghi, ok gli aperitivi a base di Trento d.o.c., ok tutto. Ora però è arrivato il momento di vestirci aderenti, depilare la gamba e fare salire i battititi.
Ecco 23 grandi salite tutte davvero meravigliose su cui misurarci.
La più bella? Ditecelo voi.
Trovate tutte i file gpx nella nostra raccolta 23 grandi salite Trentino su Komoot.
Passo Pampeago
Distanza: 10,4 km
Dislivello: 1000+
Monte Bondone
Distanza: 17,4 km
Dislivello: 1371+
Fai delle Paganella
Distanza: 11,6 km
Dislivello: 824+
Monte Velo
Distanza: 12,3 km
Dislivello: 1147+
Passo Pordoi
Distanza: 11,5 km
Dislivello: 793+
Passo Rolle - Primiero
Distanza: 22,5 km
Dislivello: 1411+
Passo Manghen - Valsugana
Distanza: 23,1 km
Dislivello: 1795+
Passo Coe
Distanza: 19,6 km
Dislivello: 1522+
Sega di Ala
Distanza: 11 km
Dislivello: 1301+
Passo Durone
Distanza: 10,1 km
Dislivello: 613+
Passo Mendola
Distanza: 15 km
Dislivello: 621+
Passo Manghen – Fiemme
Distanza: 16 km
Dislivello: 1396+
Passo Tonale
Distanza: 15 km
Dislivello: 1078+
Madonna di Campiglio
Distanza: 15,6 km
Dislivello: 979+
Campionissimi – Palù di Giovo
Distanza: 6,4 km
Dislivello: 443+
Menador
Distanza: 8,2 km
Dislivello: 900+
Peio Fonti
Distanza: 9,5 km
Dislivello: 476+
Polsa
Distanza: 18,9 km
Dislivello: 1127+
Vetriolo
Distanza: 13,1 km
Dislivello: 1080+
Panarotta
Distanza: 14,8 km
Dislivello: 1499+
Gardeccia
Distanza: 6,2 km
Dislivello: 654+
Passo Rolle – Predazzo
Distanza: 19,9 km
Dislivello: 1008+
Passo Daone
Distanza: 8,1 km
Dislivello: 838+
Foto © Jered Gruber - riproduzione riservata
DoGa - Dalle Dolomiti al Garda
Dopo aver parlato delle 11 ciclabili del Trentino eccoci con la dodicesima che, però, merita un capitolo tutto suo. Si tratta di DoGa, dove Do sta per Dolomiti e Ga sta per Garda. Avete quindi capito di cosa si tratta?
Un itinerario cicloturistico da 110 km con partenza in Val di Sole, a Malè, che vi porta direttamente a Riva del Garda. Dalle Dolomiti al Garda, appunto, attraverso strade secondarie e forestali immerse nel verde e poco battute.
Un percorso dove la parola sostenibilità la fa da padrone, tanto che anche il luogo di partenza si consiglia di raggiungerlo in treno, tramite il collegamento ferroviario Trento-Malé-Mezzana, passante da Mezzocorona e partente da Trento (stazioni di Trenitalia).
Il percorso non è una barzelletta e quindi è adatto sono a persone davvero allenate, basti pensare che si devono superare ben tre passi dolomitici, per un totale di oltre 2000 metri di dislivello. Ovviamente è obbligatorio pedalare su una mtb o una gravel, altre bici sono decisamente sconsigliate o sarebbe meglio dire vietate.
Non ne siete sicuri? Ecco come è divisa la superficie stradale:
- 51 km di strade secondarie, asfaltate;
- 25 km asfaltati di piste ciclabili, asfaltate;
- 20 km di strade forestali, sterrate;
- 14 km di strade principali.
Il tragitto si divide fondamentalmente in tre parti: la Val di sole a nord, la zona del Parco Naturale Adamello-Brenta che collega le zone montane e quelle collinari intorno a Cormano Comano Terme al centro, ed infine i dolci mangia e bevi che conducono sulle sponde del Lago di Garda a sud.
Per esperienza personale possiamo dirvi che potete stare tranquilli per quanto riguarda pezzi di ricambio ed eventuali guasti perché in tutta la zona ci sono negozi, officine, noleggi e chi più ne ha più ne metta. Quindi ok partire con tutto il necessario, ma non esagerate.
Infine, per chi non ha la gamba così affilata, è stata creata una variante denominata “dolcevita” che comunque non è una passeggiata: si salta il passo Daone e si risparmiano circa 500m di dislivello, ma la bellezza del percorso siate certi che non cambia.
Qua il link per i due tracciati DoGa: 1 e 2
Foto © Jered Gruber - riproduzione riservata
Le 11 ciclabili
Oltre 400, sì avete capito bene, oltre 400 chilometri di ciclabili su cui pedalare con bici da strada, mountain bike, gravel, e-bike o una semplice bici da cicloturismo. Insomma, ce n’è davvero per tutti i gusti. Dai percorsi più tosti come quella della Val d’Adige, fino a quelli più semplici e adatti a una gita con la famiglia.
Ecco qua l’elenco completo con tanto di traccia Komoot. Ora, davvero, non avete più scuse.
Valli di Fassa e di Fiemme
Avete presente la Marcialonga? Ecco, quando non c’è più la neve, su quello stesso percorso si può pedalare tra foreste di abeti e larici, con le Dolomiti del Latemar e del Catinaccio a far da sfondo.
Distanza: 42 km
Dislivello: 52+ 640-
Livello: medio
Valli del Chiese
Si parte dalla foce del fiume Chiese e si arriva fino a Bondo attraversando tutti i centri abitati della Valle. Detta anche la ciclabile sul luogo del “giudizio”, non per quanto riguarda le vostre condizioni fisiche, ma in senso storico: è la terra delle sette Pievi e cioè delle sette chiese principali.
Distanza: 27,9 km
Dislivello: 444+ 1-
Livello: facile
Valle del Primiero
Avete mai pedalato con le Pale di San Martino sullo sfondo? Questa ciclabile, davvero alla portata di tutti, sembra più che altro una cartolina, potete starne certi.
Distanza: 9,5 km
Dislivello: 188+ 89-
Livello: facile
Val Rendena
La ciclabile segue il corso del fiume Sarca partendo poco sopra il Lago di Ponte Pià, più precisamente dall'abitato di Ragoli, e finisce a Carisolo. Tutta all’interno del Parco Naturale Adamello – Brenta, è una vera e propria immersione nella natura.
Distanza: 23 km
Dislivello: 380+ 36-
Livello: medio
Val di Sole
La pista ciclabile della Val di Sole parte dal ponte di Mostizzolo, al confine con la Val di Non, e porta fino a Cogolo di Peio seguendo il corso del torrente Noce. Un consiglio? Approfittatene per fare una mezza giornata di rafting, ne vale la pena.
Distanza: 33,9 km
Dislivello: 664+ 120-
Livello: medio
Valle dei Laghi
Laghi, vigneti, sapori e castelli. La ciclopedonale della Valle dei Laghi parte dalle sponde del lago di Garda e risale la valle, passando per i Laghi di Cavedine, Santa Massenza e Toblino.
Distanza: 39 km
Dislivello: 572+ 219-
Livello: medio
Adige Garda
La ciclabile collega la Vallagarina alla zona del lago di Garda ed è collegata a quella della valle dell'Adige che passa da Trento e Rovereto. Una sgambata da circa 20 km, decisamente alla portata di tutti!
Distanza: 19,6 km
Dislivello: 100+ 210-
Livello: facile
Valle dell’Adige
Dalla provincia di Bolzano fino a quella di Verona, attraversando tutta l’intera provincia di Trento: è questo il tragitto della più lunga tra le ciclabili del Trentino. Attraverso vigneti e frutteti, questo percorso permette di pedalare quasi totalmente su strade completamente chiuse al traffico.
Distanza: 81,8 km
Dislivello: 250+ 125-
Livello: medio
Nel 2021 la ciclovia "Green Road dell'Acqua" ha conquistato il premio Italian Green Road Award 2021
Valsugana
Per i local è “la via del Brenta”, per tutti è una delle ciclabili più belle in Europa. Dalla Valsugana fino al confine con la provincia di Vicenza, la pista si snoda lungo i suoi 52 km affiancando per molti tratti il fiume Brenta. Nonostante si pedali su strade secondarie aperte alle automobili, il traffico è praticamente pari a zero.
Distanza: 52,5 km
Dislivello: 50+ 280-
Livello: medio
Val di Ledro
Un percorso molto corto ma decisamente spettacolare con il valore aggiunto del lago dove specchiarsi. Per godere a pieno consigliamo una bici gravel o la mtb, ma se siete abili nella guida potete divertirvi anche con una bici da corsa.
Distanza: 8,5 km
Dislivello: 90+ 60-
Livello: facile
Val di Non
Per cosa è famosa la Val di Non? Per le mele! E infatti questo tracciato è immerso nei meleti che, ad aprile, durante la fioritura, diventano come una nuvola bianca. Ma sappiate che rimane un posto fantastico anche in tutti gli altri mesi!
Distanza: 20,3 km
Dislivello: 389+ 500-
Livello: facile
Qua il link alla raccolta su Komoot.
Foto © Jered Gruber - riproduzione riservata
Il percorso degli Europei di ciclismo
Dunque, quando siamo stati a Trento non l’abbiamo fatto solo per una scelta personale: in realtà eravamo curiosi di testare il percorso degli Europei in programma dall'8 al 12 settembre 2021.
È vero che siamo un magazine improntato più su ciò che c’è dietro alla pedalata, ma è anche vero che ci piace un sacco stare in sella e appena abbiamo la possibilità attacchiamo i pedali e andiamo..
L’occasione era molto ghiotta e non potevamo di certo farcela scappare: non capita tutti i giorni di avere una competizione così importante a tre ore di macchina.
Quindi ok la città, ok il vino, ok i musei, ma era arrivato finalmente il momento di menare un po’.
Per prima cosa abbiamo visionato il percorso su mappa ma c’era qualcosa che non filava. Abbiamo allora provato a creare la traccia su Komoot e in un attimo il problema è saltato fuori: la gara, per un breve tratto, passerà su strade che normalmente sono chiuse al traffico ciclistico. Quindi non c’erano grosse alternative: bisognava creare al volo una rotta adatta a noi.
Detto, fatto: Komoot ci ha creato un gpx perfetto, pronto per essere testato. Anzi, vi diremo di più, anche più bello del percorso originale, perché i professionisti dovranno affrontare qualche galleria che scambieremo con una salita tra alberi e con una vista pazzesca sulla valle. Che poi, caso vuole, è proprio la prima avversità che si trova: 11 km e circa 700 m di dislivello per scollinare a Candriai e dirigersi verso Terlago dove la vegetazione cambia e gli alberi fanno spazio ai vitigni. Ma non solo.
È qua che si inizia a capire che qualcosa si sta modificando perché le pareti delle montagne cambiano colore e ci si immerge in uno scenario completamente diverso. È il momento della roccia ma di quella grigia grigia con le striature bianche bianche e ci si pedala praticamente immersi: a destra, a sinistra e, dopo un attimo, anche sotto i piedi. Sì perché siamo entrati nelle Marocche di Dro che è una zona davvero incredibile: sembra di essere sulla luna con vista Lago di Garda. Scambiamo due chiacchiere con qualche local e ci spiegano che si tratta di detriti, risalenti a frane e crolli avvenuti durante il ritiro dei ghiacciai circa 20.000 anni fa.
È questo il giro di boa della prima parte di percorso, da qua infatti si torna indietro, dirigendosi di nuovo a Candriai da dove inizia la strada che ci riporta a Trento, questa volta da fare in discesa invece che in salita. Il che permette di godersi decisamente di più la vista sulla vallata, oltre che offrire la possibilità di tirare un po’ il fiato.
Una volta rientrati a Trento, eccoci sul percorso cittadino, che i professionisti dovranno affrontare per ben 8 volte: un giro di circa 13 km e 200m di dislivello dove la salita del Povo è la parte decisamente più dura. È lì che, quasi sicuramente, i big partiranno all’attacco. È lì che si giocheranno la vittoria. Non ne siete convinti? Come si diceva una volta “provare per credere”: Trento è davvero dietro l’angolo.
La traccia del percorso caricata su Koomot la trovate qui.
Foto © Jered Gruber - riproduzione riservata
Trento, perché no?
Sarà la città di partenza e di arrivo del prossimo europeo di ciclismo su strada, ma questa non può essere l'unica motivazione per decidere di visitare Trento.
Non può essere solo questa la scusa per scegliere il capoluogo come base per la vostra vacanza sulle due ruote perché, a pensarci bene, spesso i percorsi di europei e mondiali non sono assolutamente belli e le città ospitanti lo sono ancora di meno.
C’è una buona notizia invece in questo caso: per Trento tutto questo discorso non vale. Non ne siete ancora sicuri? Prendetevi qualche minuto.
Innanzitutto è una delle città italiane ai primi posti per qualità della vita e dell’ambiente, oltre ad essere ricca di arte e storia. È in poche parole la base perfetta per scoprire il Trentino.
Tre parole per descriverla: storia, ricerca, natura.
La storia è quella dei principi-vescovi, per secoli signori incontrastati della città e che la fecero diventare punto di incontro tra il Mediterraneo e il resto del continente. Fulgidi esempi di quest’epoca, fra gli altri, sono il Castello del Buonconsiglio o il prezioso Museo Diocesano. Punto di riferimento per la ricerca e l’innovazione grazie all’Università degli Studi di Trento le Fondazioni Edmund Mach e Bruno Kessler fino al MUSE - Museo delle Scienze. Ultimo, ma non per importanza, la natura, ma qua non c’è granché da dire: basta guardarsi intorno per capire cosa può offrire questo territorio.
Noi, ovviamente, l’abbiamo scoperta in bicicletta. Che sia una pieghevole o una bici da corsa, che siate in jeans o attillati con le vostre divise, poco importa: l’importante è farlo sulle due ruote. Perché? Perché è comodo e hai tutti i servizi necessari. Quindi la risposta è: perché no?
Poi, e su questo potete davvero starne certi, è perfetta per andare a scalare le storiche salite che distano solo pochi chilometri e, se non siete abbastanza allenati, di sicuro troverete treni o bus che vi riporteranno in città.
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Trentino in bici
La scusa era più che buona, andare a provare il percorso degli Europei di Trento.
Bene, benissimo, ho pensato. Però a noi amanti delle due ruote questa è una cosa che può capitare molto spesso, se vogliamo che capiti.
Sappiamo benissimo che ciclisti e runner sono tra le poche categorie che possono misurarsi nello stesso stadio in cui poi si sfideranno i campioni, che per noi non è nient’altro che una strada.
Per questo che il test della traccia dei campionati europei è diventato solo il pretesto per dire ok, andiamo là, e scopriamo qualcosa che non conosciamo.
Ed è stata una figata.
Sì perché, per i pochi che ancora non lo sanno, il Trentino è davvero il paese dei balocchi per chi ama la bici, in tutte le sue sfumature.
Innanzitutto ci sono le ciclabili, che più che piste sono autostrade dedicati ai ciclisti: delle bicistrade insomma. Belle, larghe, segnalate e soprattutto lunghe: sì perché il senso di queste vie è proprio quello di congiungere posti molto lontani tra di loro soprattutto fuori dai centri urbani più grandi. Sono 11 quelle di cui parleremo e vanno dalle Dolomiti fino al Garda coprendo oltre 430 km di tragitto tutto perfettamente asfaltato.
E come in ogni bicistrada che si rispetti è necessario creare dei punti dove fermarsi a sgranchire le gambe, prendere una boccata d’aria e rilassarsi un attimo durante il viaggio: ed ecco i bicigrill, strutture distribuite lungo i percorsi che offrono ristoro, servizi igienici e un collegamento con la rete stradale automobilistica, insieme al noleggio di bici ed e-bike, presente nelle principali località turistiche del territorio provinciale.
Ce ne sono 19 in Trentino e, fidatevi, sono comodissimi.
Noi siamo stati qualche giorno lì in giro e di sicuro non siamo persone che sentono la necessità di “menare” sempre e comunque. Abbiamo quindi alternato delle giornate in cui ci siamo sfidati su alcune delle 23 grandi salite del trentino e delle giornata in cui abbiamo approfittato dei paesaggi per goderci la tranquillità dei vari servizi bici + treno e bici + bus, che poi è una situazione perfetta per condividere le piste ciclabili anche con amici e famigliari meno allenati.
Infine abbiamo sentito la necessità di sentirci davvero alvento e abbiamo fatto un giro sulla DoGa: l’itinerario più wild costruito su strade secondarie e non asfaltate che parte dalla Val di Sole e finisce sul Garda.
Insomma siamo stati pochi giorni ma abbiamo fatto tante cose e tutte differenti. Ce n’è davvero per tutti i gusti.
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