Milano e bici critica: massa marmocchi e critical mass

Ogni giovedì sera un gruppo di milanesi noncuranti di meteo avverso e temperature basse si raduna alla Loggia dei Mercanti, a due passi da Piazza del Duomo, pronto a invadere le strade di Milano in sella alle loro bici.

Vedrete ogni tipo di ciclisti e mezzi a due ruote: studenti, casalinghe, giovani manager, compiti uomini d’affari, anziane signore in city-bike, grazielle, pieghevoli, cargo, all bikes, telai vintage, mountain-bike, biciclette da pista a scatto fisso o leggere bici da corsa.

Se passate per caso in zona verso le 22 vi sembrerà di essere in un quartiere di San Francisco, città natale di questo fenomeno spontaneo che, nel 1992, iniziò a riunire regolarmente svariati ciclisti con il semplice ma significativo scopo di pedalare in gruppo nelle strade affermando l’idea che incentivando l’uso della bicicletta la mobilità urbana sarebbe diventata migliore e più sostenibile.

Dal 2002, e con un numero crescente di ciclisti, si ricreano per le strade di Milano quegli stessi ingorghi di automobili che vediamo ogni giorno nel traffico, ma composti da biciclette, quasi facendoci vivere un mondo capovolto. È questo che la “massa critica” vuole affermare: il diritto di circolare in sicurezza assieme alle automobili, godendo della loro stessa considerazione, dello stesso rispetto, degli stessi diritti, quindi anche quello di bloccare la circolazione semplicemente muovendosi in tanti, tutti insieme.

Foto: Tornanti.cc

La Critical Mass è  una di quelle esperienze uniche nel suo genere, che non puoi non vedere se vieni o vivi a Milano e cerchi qualcosa di autentico.
Ci si diverte a cercare le radici di questo gruppo che a Milano è nato diciotto anni fa assieme alla Ciclofficina Popolare nel centro sociale Bulk, un enorme spazio occupato situato poco lontano dall’attuale Chinatown, vicino al Cimitero Monumentale, luogo attivo per eventi e sede di concerti, ciclofficine, proiezioni cinematografiche, ma demolito definitivamente nel 2013.

Nonostante possa suonare come un movimento sovversivo, fuorilegge e disorganizzato, la critical mass ha le sue basi e fondamenti in un uso condiviso dello spazio urbano nel rispetto di tutti i veicoli della strada. La Critical Mass non é una manifestazione organizzata, ma viene alimentata dal disagio dei ciclisti in strade dominate dalle auto.

Negli anni ci si è battuti in sempre più località per questo cambiamento a pedali, rispettoso dell’ambiente, di un nuovo modo, più sano, sostenibile e a misura d’uomo nel vivere e godere delle bellezze della città. Ce ne siamo accorti tutti con Expo 2015 e ce ne accorgiamo ogni giorno passeggiando per le vie di Milano.

Secondo Luca Boniardi la Critical Mass non è un progetto, è una “situazione”, un momento di incontro per vivere la città in maniera diversa e rimettere al centro dello spazio la bici (o altri mezzi di locomozione attiva, come pattini e monopattini) e ritrovarsi tra bella gente. «Penso che bisogna uscire dall’ambito ristretto dell’attivismo e accendere le luci sulla bici o in generale sulla mobilità attiva e sostenibile in qualsiasi modo. Ben vengano tutte quelle esperienze che di fatto rappresentano un presidio sul territorio come i bicycle café, le ciclofficine, le pedalate di gruppo e gli eventi a tema bici».

Luca ha conseguito un dottorato in Scienze Ambientali all’Università degli Studi di Milano e segue ora un progetto di ricerca del IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano sull’esposizione all’inquinamento atmosferico in città: la sua volontà è quella di migliorare Milano permettendo alle nuove generazioni di muoversi attivamente, in autonomia e liberamente.

SuperMi100 una pedalata di 100 km attorno a Milano nell’ambito di “Super – il Festival delle Periferie a Milano” Foto: Francesco Rachello / Tornanti.cc

Dall’incontro di persone simili spinte dalle stesse affinità di vedute sono nati tanti progetti: ciclofficine popolari, eventi di vario genere e tra questi anche la Massa Marmocchi e cioè un gruppo di persone che assieme si impegnavano ad accompagnare a scuola i bimbi in bicicletta la mattina.

La Massa Marmocchi ha in seno diverse anime, dal genitore, al volontario, ci spiega Luca. Lui, come volontario, punta a favorire la costituzione di gruppi di genitori che portino il tema della mobilità attiva (e autonoma) all’interno delle proprie scuole: i suoi sforzi in futuro andranno proprio in quella direzione, cercare il meccanismo per rendere virale e diffusa capillarmente questa esperienza.

C’è una sempre crescente porzione di cittadini che guardano la città in modo diverso, che utilizzano la bicicletta come altri mezzi attivi e/o sostenibili, tutto questo grazie soprattutto alla spinta delle nuove generazioni. Non si sta imponendo loro di cambiare abitudini, ma solo chiedendo loro di far spazio ad una generazione che sta già vivendo la città in modo diverso e vuole lasciare in eredità una Milano più a misura di tutti ai cittadini di domani.

La condizione di emergenza dovuta al Covid-19 ci sta dando una mano. Quando si sosteneva che le ciclabili potevano essere realizzate semplicemente con vernice e pennello, la risposta era negativa. Ora stiamo vedendo che non solo è possibile ma che, fatte così, vengono ben viste anche da cittadini prima scettici che hanno visto i loro affari crescere grazie ad una ciclabile davanti alla vetrina o dai genitori liberatisi dell’ansia del parcheggio abituati a portare i figli a scuola solo in macchina.

Foto: Francesco Rachello / Tornanti.cc

Per rendere Milano una città ciclabile come Amsterdam, Berlino o Copenhagen bisognerebbe partire da un progetto di narrazione continua sui pregi della mobilità attiva, continuando a rendere evidente la mobilità ciclistica con interventi diffusi e leggeri per favorire la ciclabilità Dalla segnaletica, alle corsie ciclabili, da un utilizzo capillare di strumenti come le “case avanzate” e il senso unico, eccetto bici e ai controviali e strade a prevalente percorrenza pedonale e ciclabile.

Potremmo migliorare le nostre città rendendo più evidenti i vantaggi indiscutibili dell’andare in bici, lottando nelle sedi opportune per interventi al passo con i tempi e impegnandoci per rendere le due ruote più popolari, nel senso di renderle un mezzo riconosciuto da tutte e tutti e non solo da chi ne ha già avuto l’esperienza. «Dagli amministratori – conclude Luca – devono arrivare però ancora scelte di vero contrasto all’utilizzo smodato dell’auto. Una buona fetta di potenziale ciclisti, non usa la bici per paura. Non saranno le ciclabili in sede a cambiare le cose, ma una riduzione netta del numero di veicoli a motore (Milano è tra le città con il più alto numero di macchine per abitante tra le grandi europee), una decisa riduzione della velocità in città, almeno nei quartieri e un più capillare presidio delle forze dell’ordine, purtroppo spesso poco sensibili sul tema».

FIAB (Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta), per esempio, è un’organizzazione riconosciuta dal Ministero dell’Ambiente con sede anche a Milano, quale associazione di protezione ambientale che ha come finalità principale la diffusione della bicicletta quale mezzo di trasporto ecologico, in un quadro di riqualificazione dell’ambiente urbano ed extraurbano. Riunendo oltre 160 associazioni autonome locali sparse in tutta Italia con lo scopo di promuovere l’uso della bicicletta sia come mezzo di trasporto quotidiano che per i viaggi in bici, FIAB spinge anche per un turismo rispettoso dell’ambiente, che faccia bene alla salute ce he sempre più sembra abbia preso piede in questa estate 2020 così anomala dal punto di vista della mobilità e ospitalità alberghiera.

Foto: Tornanti.cc

Le associazioni aderenti alla FIAB si battono per ottenere interventi e provvedimenti a favore della circolazione sicura e confortevole della bicicletta, per migliorare la vivibilità urbana con piste ciclabili, moderazione del traffico, politiche di incentivazione, uso combinato bici+mezzi collettivi di trasporto, organizzando manifestazioni e presentando proposte e progetti. Quindi se non sapete da dove iniziare per avvicinarvi al mondo delle due ruote, rivolgervi al centro FIAB più vicino a voi potrebbe essere un buon inizio.

Sono ampiamente riprese le iniziative della Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta come per esempio l’invito a lasciare a casa l’auto, almeno per un giorno, e accompagnare i figli a scuola passeggiando o pedalando.  L’iniziativa, che normalmente coincide con l’arrivo della primavera, dà simbolicamente il via al conto alla rovescia per l’atteso appuntamento di Bimbimbici 2020, una campagna nazionale ideata e promossa da FIAB volta ad incentivare la mobilità sostenibile e a diffondere l’uso della bicicletta tra i giovani e giovanissimi.

L’iniziativa intende perciò riaffermare il tema della sicurezza e della salute legata al movimento dei più piccoli attraverso gli spostamenti quotidiani, cosa che la Massa Marmocchi stava già portando avanti per le strade di Milano in maniera autonoma e autogestita.

L’idea è quella di sensibilizzare le famiglie verso un nuovo tipo di mobilità non solo possibile e auspicabile, ma anche divertente, come sostengono da anni i milanesi impegnati nella massa marmocchi, ritrovandosi per portare a scuola in bici i figli propri o degli altri. Si spera così facendo che la giornata organizzata in maniera ufficiale da FIAB e Bimbimbici diventi la quotidianità per tutte le famiglie che vorranno iniziare una nuova abitudine verso un modello di mobilità sostenibile che faccia bene a noi e alle nostre città.

Foto: Francesco Rachello / Tornanti.cc


Costruttori: Cinelli

Fondendo Design e Performance Cinelli ha dato il via, negli anni Ottanta, ad un nuovo modo di vivere la bicicletta con valori creativi, anticonformisti e controcorrente e sicuramente Milano ha influenzato il posizionamento dell’azienda in quest’ottica alternativa ed innovativa.  L’azienda infatti non potrebbe essere così se non fosse milanese.

Avere fabbrica e polo creativo a pochi chilometri dal centro cittadino riesce a tenere Cinelli al passo con tutto ciò che accade e gravita nel capoluogo lombardo, ma non solo.

Il background di Antonio Colombo è estremamente legato e connesso al mondo dell’arte, della musica e del design italiano e internazionale.
Entrando negli uffici del team Cinelli si respira subito un’atmosfera cosmopolita in cui periferia, camion e capannoni diventano un ricordo lontano.
Quadri, oggetti artistici, cycling caps e poster coloratissimi accolgono il visitatore meglio che in una galleria d’arte. Dico meglio perché qui si respira la storia del ciclismo in ogni angolo e si vede quanto sia la passione a muovere ogni singola persona che vi lavora.

Usare l’espressione lavoro mi sembra quasi fuori luogo, ma probabilmente accecata dall’emozione del momento e delle immagini di Bruce Springsteen accanto a Bartali, Coppi, Keith Haring e della Bauhaus tutte assieme, non riesco bene a cogliere nei volti delle anime di Cinelli quell’aria sottotono tipica del mondo della produzione. Mi sembra che ci siano più che altro menti in fermento, vogliose di comunicare la loro passione e conoscenza del fare bici, di trasmetterlo offrendo qualcosa di sempre nuovo, bello e funzionale a tutti coloro che, come loro, non vedono l’ora di inforcare la propria bici e andare.
Che sia in giro per la città, su strade gravel, in velodromo o per una più giorni in montagna, la gamma di biciclette Cinelli ha tutto quello che avreste sempre sognato in una bici con il surplus di un design e di una ricerca grafica di qualità che non  lascia nulla al caso.

Arte,cultura e design: in Cinelli e tutto è estremamente connesso, dai modelli, materiali e nomi delle biciclette come in riferimento alla musica, grande passione di Antonio Colombo.

La bici gravel Zydeco, con il suo utilizzo pensato per i terreni più accidentati, richiama infatti la musica saltellante dai ritmi veloci, e dominata dall’accordion diatonico e dal caratteristico strumento ritmico a sfregamento conosciuto col nome di rub-board o frottoir, in origine pensata per le sale da ballo.

Cinelli è stata la prima azienda a portare l’arte nel mondo della bicicletta. Negli anni si moltiplicano le collaborazioni sempre fertili con i più importanti designers e artisti da tutto il mondo: dalla Laser di Keith Haring, al logo Cinelli disegnato da Italo Lupi, fino alla Supercorsa in edizione limitata realizzata da Barry McGee, o agli accessori di Mike Giant e all’attuale Art Program, la bici d’artista è la più autentica ed esclusiva espressione del marchio Cinelli.

Il capitale umano in un simile progetto è fondamentale.

Oltre a regalare alla comunità ciclistica oggetti di un innegabile valore, Cinelli ha anche il pregio di aver dato il proprio contributo al tessuto della bicicletta, italiano e non, credendo in un ciclismo comunitario che coinvolgesse svariate fette di mercato soddisfacendo le richieste più diverse: dal pedalatore urbano, all’atleta di gare criterium, allo stradista domenicale incallito.

La missione di Cinelli parte dalla città di Milano per andare oltre, seguendo l’evoluzione dei modi di pedalare e dei diversi modi di fare ciclismo.
La gamma di bici Cinelli offre prodotti per ogni tipologia di utente: per chi voglia farsi un giro nel fine settimana, scalare iconiche salite, accompagnare i bambini a scuola, raggiungere il luogo di lavoro, studio, trasportare pacchi o semplicemente fare la spesa.

I valori comunitari della bici restano sempre alla base del linguaggio utilizzato dall’azienda per comunicare con un orecchio sempre all’ascolto delle esigenze di chi va e vive la bicicletta ogni giorno.

Milano è una città molto europea e questo sicuramente aiuta i suoi abitanti ad avere una visione internazionale per quello che riguarda le tendenze che la abitano e così è Cinelli: un business che ha nel DNA l’attitudine a intercettare e interpretare ciò che accade all’estero, pur restando fortemente milanese nell’anima, restituendo ai cittadini molto di ciò che carpisce fuori confini, come un hub – un catalizzatore di tendenze e connessioni – come farebbe un profeta di tendenze.

Antonio Colombo, ancora oggi Presidente di Cinelli, entra nell’azienda di famiglia negli Anni Settanta. L’azienda, A.L. Colombo, era dagli anni venti un colosso specializzato nella produzione di tubi speciali d’acciaio, utilizzati per la fabbricazione di biciclette, automobili, motociclette, aeroplani; leader, negli anni trenta, col marchio Columbus, nella produzione di mobili razionali in tubolare di acciaio, in collaborazione con l’eccellenza internazionale del design e dell’architettura: Breuer, Terragni, Bottoni, Figini e Pollini, tra gli altri.

Il marchio Columbus viene dedicato nel 1977 all’esclusiva produzione di tubi speciali in acciaio per biciclette e si conferma leader di settore fino all’avvento del carbonio. Con la successiva acquisizione del marchio Cinelli da Cino Cinelli (professionista negli anni trenta e quaranta e poi geniale inventore e artigiano che ha regalato al ciclismo moderno il primo manubrio in alluminio e il primo pedale a sgancio rapido, l’M71) si crea un vero e proprio polo milanese della bicicletta: tubi, biciclette e componenti, che prende il nome, che conserva tutt’oggi, di Gruppo.

La visionaria mente di Colombo vede oltre il presente e trasforma l’azienda facendo viaggiare le invenzioni del “design made in Cinelli”.
La bicicletta era cambiata e così il suo modo di concepirla.

Si inizia a parlare di progetto totale grazie alla nascita del modello Laser che abbandona le congiunzioni introducendo la saldatura tubo su tubo nei telai da strada.

Cinelli e il suo modo di fare ciclismo sono estremamente radicati nel tessuto urbano: design, arredamento, grandi nomi del design e lifestyle sono vivi nell’azienda.

Ogni anno ad aprile, durante il Salone del Mobile, i dipendenti vengono invitati a visitare il Fuorisalone, facendo incetta di stimoli e tendenze creative in voga nel mondo della creatività legata al disegno di interni ma non solo.

Entrando nella sezione Columbus dell’azienda si respira un inconfondibile odore di acciaio e si vedono macchinari in continua funzione accanto ad un piccolo ma incredibile “museo” del design che raccoglie una nicchia della produzione di mobili razionalisti, sedie e poltrone create a cavallo degli anni Trenta e Quaranta con i tubi Columbus.

Per raccontare le tante storie presenti in questa vicenda imprenditoriale unica, è stato organizzato il ciclo di mostre dedicate al centenario, dal titolo “Columbus Continuum”. Il ciclo ha raccolto in tre mostre cento anni di storia dell’azienda milanese: dai mobili in tubolare metallico ai telai delle biciclette raccontati attraverso le serie tubi più rappresentative e innovative nella storia del ciclismo, per arrivare a Traguardo Volante, la mostra inaugurata il 24 settembre e dedicata alla stretta relazione tra Columbus, Cinelli e l’arte.

Columbus oggi produce quello che in azienda piace denominare “artigianato industriale”: tubi speciali sia per piccoli telaisti sia per grandi marchi. A questa produzione ha affiancato negli ultimi vent’anni quella di forcelle in carbonio.

L’importante è essere sempre al passo con le tendenze vivendo Milano come una porta verso il mondo e non in maniera autoreferenziale: questo approccio può far fare il salto di qualità nel modo di fare azienda, ma anche ad ognuno di noi nel suo modo di approcciarsi alla città e al ciclismo.
Non possiamo lamentarci che le cose non sono come le vorremmo e non facciamo nulla per cambiarle, ma ci limitiamo a guardare nostalgicamente e in maniera delusa e disillusa, le altre città europee.

Senza suonare banali e propagandisti, dovremmo davvero cercare di essere il cambiamento che vogliamo vedere attorno a noi. L’essere esterofili, sia a livello umano che lavorativo, non deve venir visto come una denigrazione del nostro essere italiani e milanesi, ma un modo per cercare di capire il valore aggiunto di ciò che abbiamo e trasformarlo tenendoci sempre al passo con i tempi, dando il nostro contributo unico e peculiare alle dinamiche di trasformazione in atto.

Possiamo citare qui il grande esempio del Rampichino o della linea Hobootleg prodotti da Cinelli. Rampichino è stata la prima MTB italiana, forse europea. Ispirata alle MTB americane ma reinterpretata secondo lo spirito e il DNA di Cinelli e distribuita nella sua prima edizione attraverso la rivista Airone – si compilava un tagliando d’ordine inserito nella rivista e si acquistava solo così. Per non dire della più recente linea di biciclette da viaggio Hobootleg, riferita per vocazione e letteratura agli Hobo americani e al loro spirito libero e avventuroso.

Cinelli è sempre stata un’azienda attenta alle necessità non solo dei ciclisti, ma anche della sua città, come ricorda la  presenza nella campagna per salvare il Velodromo Vigorelli, la collaborazione a diverse edizioni del  Bicycle Film Festival, l’aver attratto a Milano le Red Hook Criterium, gare a circuito per biciclette da pista organizzate a seguito delle edizioni newyorkesi nate per l’appunto a Brooklyn sotto il grande gancio rosso di Red Hook, zona iconica della periferia urbana.

L’impegno dell’azienda è molto forte anche per quello che riguarda il sostegno al cicloturismo, a partire dai modelli della gamma Hobootleg per arrivare al sostegno al Politecnico di Milano nei progetti per la creazione di itinerari ciclabili come VENTO o alla valorizzazione di itinerari ciclistici nelle zone del Parco Agricolo Sud Milano, supportando l’associazione sportiva Turbolento.

Da più di 70 anni Cinelli è una garanzia nella produzione di telai e biciclette: nonostante abbiano visto cambiare il modo di andare in bici degli italiani e degli abitanti di una città in continua evoluzione come Milano, sono riusciti a capirne le richieste, anticipandole e offrendo prodotti in linea con la domanda.
Un esempio potrebbe essere il mondo del gravel che risuona come una commistione di stili e di macro comportamenti del ciclista, oppure la grande riscoperta dell’acciaio anche nei telai più moderni.

Non possiamo quindi che apprezzare il ruolo catalizzatore di Cinelli nel riversare a Milano stimoli e ispirazioni prese da fuori, anche se paradossalmente, parlando con i vari protagonisti dell’azienda, il suo nome è ancora molto più conosciuto all’estero che in Italia sottovalutando spesso l’aspetto tecnico e performante dei suoi prodotti abbagliati da colori, grafiche e accessori non convenzionali.

Si sa che preziosità, hand-made, ricercatezza, leggerezza, customizzazione sono valori che non sempre vengono capiti da chi si sofferma a guardare solo la superficie delle cose, ma basta prendere in mano un tubo Columbus e fare un paio di pedalate su una bicicletta Cinelli, per capire di cosa stiamo parlando.
Gli standard creativi sono alti e l’impegno è quello di continuare nel solco di questa tradizione, sviluppando sempre nuovi prodotti.

Foto: Valeria Rossini


Milano è anche bicycle café

Mi piacerebbe iniziare questo viaggio nella vita ciclistica milanese, partendo dalla sua componente più sociale, legata a eventi e comunicazione: i bicycle café.

Officine meccaniche, negozi, bistrot, bar e co-working, sbarcati da qualche anno anche a Milano, i bicycle café sono spazi in cui realtà e necessità differenti si uniscono in maniera giovane e dinamica: mangiare qualcosa, lavorare in modalità smart, scoprire nuovi giri in bici o guardare una tappa di una grande corsa.

Speciali vetrine su un mondo unico fatto di incontri, i bicycle café si distinguono per aggregazione e condivisione, in cui l’amore per il ciclismo non è che il legame e l’occasione per scoprire un mondo green, sostenibile e aperto a tutti.

Se sei nato a Milano o ci vivi per lavoro, studio e famiglia, sai che qui si va sempre di corsa. La bici ci aiuta a rallentare e vivere la città diversamente e migliora la qualità della vita, di tutti, ciclisti e non.

Anche se il Nord Europa ha sempre avuto una marcia in più per quello che riguarda lo sviluppo ed il sostegno della cultura delle biciclette, Milano ci sta arrivando e in questo periodo di cambiamenti, la capitale lombarda vuole farsi vedere e primeggiare anche per quello che riguarda la varietà di eventi offerti nel mondo delle due ruote e lo sviluppo di servizi come il bike sharing a flusso libero.

Barbara Bonori – Upcycle

Nella capitale italiana del design, ogni cosa diventa di moda e perché le nuove tendenze possano piacere e venire apprezzate devono passare nella cerchia dello stile, condivisione e comunicazione. Ne sa qualcosa Barbara Bonori, responsabile della comunicazione di Upcycle e pilastro portante di tutti gli eventi del locale. «Dalla colazione, all’aperitivo e cena, vi accogliamo a braccia aperte: potrete rilassarvi o concentrarvi e lavorare, grazie ad un’ottima connessione wi-fi, su un lungo tavolo in legno da condividere con amici o sconosciuti che fra un croissant e una torta fatta in casa potranno diventare nuovi compagni di avventure a pedali. Da noi è stato possibile vedere riunite le varie dimensioni del fare bici, spesso separate e divise in compartimenti stagni, invece che essere parte di un sistema di vasi comunicanti, tutti uniti dalle due ruote».

E’ questo il grande contributo di Upcycle alla realtà ciclistica milanese, abolire le differenze: infatti qui la parola d’ordine è inclusività, condivisione non solo del grande tavolo, ma anche di tracce gps, racconti di viaggi, grandi salite o nuovi itinerari: scambi di opinioni e ricordi di vecchie uscite che confluiscono in nuovi progetti nati anche loro un po’ per caso, davanti ad una birra e patate al burro e aneto che sanno tanto di voglia di prendere la bici e viaggiare.

Upcycle vuole dare spazio a tutte le tipologie del fare bici – il fatto di non avere un’officina meccanica è da sempre un grande cruccio fra tutti i soci fondatori, ma forse il fatto di ospitare una semplice stazione di autoriparazione invece che un locale vero e proprio è un modo per non posizionarsi in nessuna nicchia ciclistica, continuando a rivendicare la natura aperta di integrazione dei diversi settori della bici: urbana, strada, gravel, mountain bike, turismo etc.

«Credo fosse il 2010 – racconta Roberto Peia, giornalista, ex corriere in bici e uno dei soci fondatori di Upcycle, il primo bicycle café milanese – e in quel periodo la sede operativa di UBM (la compagnia di corrieri in bici Urban Bike Messenger) era presso i locali di Avanzi, attuale gestore del Coworking e socio di Upcycle. L’avevo scelto come base perché era un bel posto con gente interessante e nel cortile c’era giusto lo spazio per le nostre bici e le prime cargo. Un giorno Matteo Bartolomeo, allora amministratore delegato di Avanzi, mi chiese cosa ne pensassi in merito alla possibilità di aprire un bicycle café… Bell’idea! In Italia non ne esiste ancora uno – sapevo di Look Mum No Hands di Londra, del Keirin Café di Berlino e di molti altri negli USA, tutti molto frequentati anche dai bike messengers».

Foto: RECICLI

Matteo portò Roberto nell’hangar, che ora è il luogo dove si tengono gli eventi, che allora era un garage d’auto sporco e puzzolente e gli illustrò il progetto di ingrandimento del coworking e di come utilizzarne una parte per farne un bicycle café. Il loro scopo era quello di far capire le potenzialità ciclabili di Milano: i vari organi direttivi avevano in passato puntato più sulle auto e sui trasporti pubblici, che sulla bicicletta.

«I milanesi – ricorda Roberto – che sono stati per anni bombardati da pubblicità di auto, potenza e velocità si sono adeguati e, senza quasi accorgersene, hanno lasciato che la loro città diventasse un gran parcheggio inquinato e pericoloso. Come cittadini, abbiamo poi sofferto della mancanza o della poca preparazione di progettisti non ascoltando invece quei ciclisti, organizzati e non, che da tempo dimostravano nei fatti che Milano era una città ciclabile, forse anche più di Berlino o Copenhagen, per quanto riguarda meteo, distanze, dislivelli».

Foto: Upcycle

Upcycling, il termine che dà origine al nome del locale, significa aumentare il senso delle cose riciclate conferendo loro un nuovo significato ambientale e sociale – un recycling che ridia vita alla materia, dando quel valore aggiunto alla società nella sua totalità capace di mettere al centro la persona e i suoi bisogni.

La bicicletta è da sempre sinonimo di unione e condivisione e uno dei punti di forza di Upcycle è la ricca lista di eventi a cui è possibile partecipare.
Ascoltando i racconti emozionati di chi ha cambiato la propria vita grazie alla bicicletta, molti clienti di Upcycle si sono avvicinati alle due ruote e hanno scelto questo bicycle café come partenza simbolica per il loro primo viaggio di cicloturismo. Ogni mese inoltre, viene presentata una bici ed esposta nel locale, magari di un telaista famoso, di un ciclista d’eccezione o magari “semplici” biciclette ricche di storia che hanno viaggiato e raggiunto luoghi mitici.

Foto: RECICLI

E’ bello vedere come persone spesso divise dai diversi modi di fare bici, si ritrovino qui unite e senza differenze disposte a veder crollare i dogmi nel loro modo concepire il ciclismo. L’importante è andare in bici, il come verrà di conseguenza.

Dobbiamo ricordarci però di non sottovalutare il ruolo fondamentale della sicurezza stradale partendo dall’educazione degli automobilisti al rispetto delle bici e allo stesso tempo educare i ciclisti al rispetto delle regole della strada, perché si sa, fra una bici e un’auto, indipendentemente dalle ragioni, le due ruote sono il veicolo più debole. Non possiamo nascondere che a Milano, come in molte altre città, gli incidenti più o meno gravi che coinvolgono ciclisti sono ancora troppo frequenti: le ragioni possono essere le più svariate, ma il nostro obiettivo deve essere quello di ridurli il più possibile.

Il progetto di Milano è così importante perché traccia una linea su come resettare le città. È un’opportunità irripetibile per guardare le strade e assicurarsi che siano impostate per raggiungere i risultati che vogliamo ottenere: non sol per muoversi in auto il più velocemente possibile, ma permettendo a tutti di spostarsi in sicurezza.

Pierfrancesco Maran ha dichiarato: «Dobbiamo accettare che per mesi o forse un anno ci sarà una nuova normalità e dobbiamo creare buone condizioni per vivere questa nuova normalità per tutti. Nel prossimo periodo a Milano decideremo parte del nostro futuro per il prossimo decennio: prima stavamo pianificando per il 2030 ora la nuova fase, la chiamiamo 2020. Invece di pensare al futuro, dobbiamo pensare al presente».

Foto: RECICLI

Un presente futuro, ecco cosa stiamo vivendo.

Abbiamo invece piacevolmente notato come la bici sia in grado di appianare le differenze di genere e migliorare la qualità della vita di tutti, uomini e donne: una volta superate le prime paure nell’approcciarsi alla bicicletta, aumenterà anche la sicurezza in voi stessi. Per quello che riguarda i numeri delle donne cicliste, ho conosciuto sempre più ragazze che si sono cimentate in imprese più o meno epiche, integrandosi perfettamente nella community ciclistica che in questi anni si è creata a Milano.

Ho chiesto a Roberto cosa ne pensasse della reazione dei milanesi ad un progetto di più ampio respiro di ciclabilità urbana, non limitato al periodo post-covid, ma iniziato tempo prima con i vari progetti di piste ciclabili ed eventi a tema bici – vedi Milano Bike City e prima ancora il Bicycle Film Festival. «Credo che i milanesi siano da tempo pronti ad una nuova situazione e che non aspettassero altro che accadesse qualcosa che inducesse gli amministratori a darsi una mossa. E paradossalmente questo è successo con il Covid-19. La reazione è stata positiva e lo dimostrano le cifre dei passaggi di ciclisti sulle nuove ciclabili progettate dal Comune. Un altro esempio di come i milanesi hanno risposto positivamente e riposto fiducia nella bici lo ha fornito Massa Marmocchi, l’esperimento, ottimamente riuscito, di papà e soprattutto mamme che hanno cominciato a portare i loro figli a scuola in bicicletta, all’inizio con l’aiuto di qualche partecipante a Critical Mass a far da servizio d’ordine. Sono soprattutto le azioni e i comportamenti, i buoni esempi che generano mutamenti sociali. E, anche se forse solo nel subconscio, per i milanesi vedere i corrieri in bici che durante il lockdown venivano a portar loro cibo e quant’altro nelle loro comode case, potrebbe aver fatto scattare un pensiero del tipo: “Ma se ce la fanno loro a muoversi con queste bici scassate, con ‘sto freddo e senza la giacca in goretex… non è che magari posso farcela anch’io?»

Possiamo quindi ritenerci speranzosi verso il futuro a pedali della città.

Foto: RECICLI

Il racconto di una ripresa e rimessa in vita delle bici a prescindere da modi e credo è la sintesi della storia di un altro locale, uno spazio a tema due ruote in cui la trasformazione è il motto principale.

REcicli, sta per Cicli Realmente Usati e nasce dall’idea di due giovani fratelli milanesi Jacopo e Valerio Borgato e del loro padrino Cesare, che nel 2010 decidono di trasformare la propria cantina in una piccola officina ciclistica recuperando vecchie bici abbandonate nei cortili e riportandole in vita. Dalla cantina di famiglia si allargano in un negozietto dietro il Parco Sempione e da lì, nel giugno 2016, decidono di fare il grande salto e aprire una nuova e ben fornita officina-negozio con un accogliente angolo bar e tavola fredda in un tranquillo angolo a due passi dalla movida milanese dei Navigli.

Il mondo del ciclismo e della bici sta notevolmente crescendo, come sottolinea Valerio ricordando la sua gioventù:. «Quindici anni fa molti ragazzini volevano il motorino, oggi chiedono ai genitori una bici» e questo non fa che renderci tutti più felici e attenti a tematiche quali ambiente ed ecosostenibilità con statistiche visibili legate all’aumento di bici legate alla presenza di aree a traffico limitato.

Foto: RECICLI

I tavoli e l’arredamento interno del locale sono fatti a mano dalla famiglia con cimeli e pezzi di modernariato recuperati negli anni, come una serie di fantastiche sedie pieghevoli da cinema che conferiscono allo spazio quell’atmosfera della Milano di una volta che tanto si intona con la cornice del vicino Vicolo delle Lavandaie o della Darsena.

Qui da REcicli oltre che costruire e riparare biciclette si costruiscono relazioni. «Da noi – sottolinea la mamma, Anna, entusiasta – è importante parlare, creare un legame con il pubblico che renda REcicli un bicycle café aperto a tutti» perché si sa, la bicicletta ci porta lontano, ma al tempo stesso avvicina le persone.
Fatica e sforzi propri del ciclismo mettono ancora una volta sullo stesso livello sia grandi campioni che semplici appassionati.

——————————————————————————————————————————————-

Forse ad alcuni di voi sembrerà strano veder nominato Deus Ex Machina, leader mondiale nella customizzazione di motocicli, all’interno della lista dei bicycle café milanesi, ma l’apertura di uno spazio completamente dedicato alle biciclette all’interno del già noto cortile occupato dal Deus Café e Store, ne giustifica pienamente la presenza.

Nel 2016 ha aperto i battenti in zona Isola lo spazio Deus Cycleworks, la sezione del marchio australiano Deus Ex Machina interamente dedicata alle biciclette, diventandone il dipartimento ciclistico ufficiale.
La location di Deus Cycleworks, in un interno in stile vech Milàn, è il luogo perfetto per immergersi a trecentosessanta gradi nel mondo delle moto e delle biciclette progettate su misura.

Progettate la vostra prossima bicicletta curandone la creazione nei minimi dettagli con gli esperti meccanici di Deus Cycleworks, mentre bevete un ottimo cocktail preparato secondo la migliore tradizione australiana.

Contatti:
Via Thaon di Revel 3, Milano
Deus ex Machina
Facebook: @deuscycleworks

——————————————————————————————————————————————-

Una cascina di campagna nel cuore di Milano. Un luogo unico e incredibile in cui il tempo sembra essersi fermato seppur in costante evoluzione e fermento. Cascina Cuccagna è un ristorante, un ostello, uno spazio espositivo, uno spaccio alimentare a km zero e una ciclofficina.

La ciclofficina presente nel cortile interno della Cascina Cuccagna è una delle meglio organizzate e frequentate della città di Milano. Durante i lavori di restaurazione di Cascina Cuccagna il progetto ha accolto fin da subito l’idea di inserire uno spazio dedicato alla diffusione esperienze del mondo della bicicletta, mezzo di trasporto simbolo di una Milano passata e sempre più icona delle città del futuro.

La ciclofficina Cuccagna è uno spazio di valorizzazione pratica della bicicletta che incoraggia la mobilità creativa attraverso l’apprendimento condiviso alla manutenzione della bici il tutto mentre imparate a coltivare un orto urbano o leggete un libro durante una pausa pranzo all’aperto in un ristorante biologico con prodotti provenienti dalle campagne circostanti.

Le attività organizzate dalla ciclofficina della Cascina Cuccagna sono molteplici e il sabato chiunque può usufruire liberamente dell’attrezzatura presente e, con la guida dei ciclo-meccanici, provare a riparare la propria bicicletta. Siete pronti a sporcarvi le mani? Soddisfazioni e risparmio garantiti!

Contatti:
Via Cuccagna 2/4, Milano
Ciclofficina Cuccagna
Facebook: @cascinacuccagna

——————————————————————————————————————————————-

Le Biciclette vi sorprenderà: un American bar e bistrot con bici d’artista appese sulle pareti assieme a quadri e opere d’arte.
Chi frequenta la “Milano da bere” sarà sicuramente stato a Le Biciclette almeno una volta, magari invitato dagli amici a prendere un aperitivo durante un vernissage di una mostra di nuovi talenti artistici emergenti. Nel corso dei suoi oramai quindici anni di vita, Le Biciclette è diventato il punto di riferimento per una Milano intelligente e ricettiva verso tutto ciò che spazia dall’arte contemporanea, al design, alla ristorazione , alla musica di qualità e all’amore per le due ruote.

Un locale dal clima sempre informale, che vi colpirà per l’eleganza dei suoi ampi spazi con un ampio bancone da bar che durante l’aperitivo fa spazio a un buffet vario e di qualità, non a caso sempre frequentatissimo. Dal martedì alla domenica sera soddisfate la vostra voglia di carboidrati con una buona pizza nei weekend lasciatevi ingolosire da un menù in continuo cambiamento. Con l’arrivo della bella stagione, prendete posto fuori e vi sentirete subito in vacanza.
Se volete fare il pieno di energie prima di una pedalata sui vicini Navigli, vi consigliamo il ricco brunch domenicale: una vera chicca!

Contatti:
Via Torti 2, Milano
Le Biciclette
FB: @lebicicletteartbarbistrot


Jetlag ride

Quando a fine agosto 2016 Elisa Scalambra e Andrea Schillirò al rientro a Milano dopo il mondiale di triathlon al quale Elisa (mamma, triatleta amatore e sportiva a tutto tondo) aveva partecipato in Australia, non si erano ancora abituati al cambio di fuso orario. Occhi sbarrati nel mezzo della notte, l’alba era per loro già mattina inoltrata. Svegliandosi ogni giorno prestissimo, nel pieno della forma, Andrea ed Elisa non riuscendo a stare fermi, si erano guardati in faccia e si erano detti: «E adesso cosa facciamo? Andiamo a pedalare!». E così hanno fatto un giro “a tutta” sul Naviglio, trascorrendo un paio d’ore in totale pace, prima del risveglio della città e dell’inizio delle varie attività lavorative, sfruttando quella parte della giornata per allenarsi. Qualche giorno dopo motivati dalla prima prova, hanno ripetuto l’uscita con alcuni amici e vedendo che la cosa riscuoteva successo, decisero di far diventare il Jetlag Ride in un appuntamento fisso, tutte le settimane stesso posto, stessa ora stesso percorso.

Il Jetlag sarebbe durato fino a che la luce e il passaggio all’ora solare lo avrebbero permesso e verso fine stagione si partiva con le luci accese: sveglia presto, prestissimo e due ore tirate, con l’obiettivo di spingere sui pedali senza pensare ad altro. «Era una figata!» ricorda Elisa entusiasta. Ripreso poi ad aprile e durato per tutta l’estate, il Jetlag Ride era un momento in cui ci si divertiva e si stava assieme fra amici, con la sola voglia di pedalare.

Nonostante sia molto legato ai protagonisti del triathlon milanese, il Jetlag Ride nasce in maniera più spartana rispetto alle tabelle di allenamento del mondo delle gare e legato a quel mondo del ciclismo a cui Elisa si era particolarmente affezionata. L’appuntamento era fisso alle 5.45 davanti alla chiesetta di San Cristoforo, «Chi c’è c’è e chi non c’è…amen! Magari ci ribeccava dopo». Si andava in gruppo sulla base di una traccia creata da Elisa e Andrea che si sviluppava principalmente lungo i Navigli con alcune deviazioni in stradine laterali per quando si aveva poco tempo. La traccia era rigorosamente sempre la stessa, tranne una variante “short edition” per quando la luce scarseggiava nei mesi autunnali inoltrati e una deviazione soprannominata “giro dei rilanci” – variante ricca di curve a gomito che obbligavano a rilanciare continuamente sui pedali pur di stare in gruppo e non perdersi.

Il mondo del triathlon è un po’ più organizzato – ma lo spirito del triatleta é diverso, si fanno più allenamenti con i compagni di squadra e si crea meno un substrato comunitario: «Il nostro scopo, dice Elisa, era più quello di coinvolgere le persone e pedalare assieme, creare una community, un gruppo di persone che volevano uscire in bici assieme. Pur praticando triathlon, anche se in maniera un po’ anomala, infatti durante la prima parte dell’anno fino ad aprile dedicavo più tempo al ciclismo che non alle restanti discipline. Ed era qualcosa che ci divertiva di più perché potevamo gareggiare insieme in bici».

Era reduce dell’esperienza in Australia dove «Anche se eri appena atterrato e non conoscevi nessuno riuscivi, facendo una semplice ricerca online e sui social media, a contattare i numerosi gruppi che si ritrovavano la mattina o dopo il lavoro, con la voglia di allenarsi e di condividere la passione per lo sport».
Questo era quello che a Milano mancava, un gruppo di amici o conoscenti con la stessa passione per lo sport che avevano voglia di fare cose assieme, ma soprattutto dove rintracciarle.

Lo scopo del Jetlag Ride era proprio sopperire a quel silenzio, a quella mancanza di comunicazione di qualcuno che dicesse, «Ehi noi ci siamo, tre volte la settimana pedaliamo qui, se vi va unitevi!» Se qualcuno da zero voleva pedalare e fare qualcosa assieme ad altri, il Jetlag era un buon momento per trovare un gruppo.

Il mondo del triathlon della domenica mattina alla Villa Reale di Monza é un po’ diverso, dato che le persone vogliono più che altro uscire e portare a casa il loro allenamento quotidiano e poi rientrare a casa o alle loro vite – meno legato al concetto di community come era invece lo spirito del Jetlag Ride.
Il triatleta vuole rispettare la tabella di allenamento con i propri compagni di sempre, quando uscivi per il Jetlag invece, facevi due chiacchiere, magari poi rischiavi di simulare una garetta con tanto di volata finale con persone sempre nuove che si aggregavano mano a mano.

«In Italia la concezione di triatlon organizzata su gruppi Facebook o Strava come è presente all’estero, non esisteva, se qualcuno da zero si fosse voluto allenare oppure uscire in bici o correre o nuotare con dei gruppi di sportivi non esisteva, quindi lo scopo del Jetlag Ride era anche quello, la creazione di una comunità ciclistica che vivesse altrove. C’erano anche ciclisti più lenti che non riuscivano a stare assieme e seguire il gruppo per tutta la durata del giro, ma la parte più tranquilla veniva fatta assieme e poi ci si separava in due e si continuava – poi magari ci si ribeccava alla fine e si viveva la bellezza di quello stare insieme, ritrovarsi e pedalare».

Lo scopo del Jetlag Ride è nobile e altamente comunitario, ma non dimentica la forte componente sportiva e di allenamento. Elisa e Andrea hanno avuto un bimbo nel 2018 e quindi, in quanto anima del tutto, non sono più riusciti a stare dietro pienamente alla gestione dell’evento e la cosa è andata un po’ scemando.

Elisa ricorda quelle uscite in maniera incredibilmente piacevole e speriamo tutti che il Jetlag Ride riprenda a breve o se volete crearne uno voi, sicuramente troverete un gruppo di volenterosi pronta a seguirvi!

Intanto vi alleghiamo qui la traccia della versione ufficiale – Spring Edition – se volete iniziare a scaldarvi le gambe e studiarvi il tracciato!

https://www.strava.com/activities/1465300724

Foto: Jetlag Ride/Facebook


Protagonisti: intervista a Fridabike

Per parlare di Cargo Bikes abbiamo intervistato Antonella che ci spiega il suo progetto: Fridabike.

Qual è la tua storia? 
Ho da sempre sognato di vedere le nostre belle città italiane più vivibili e libere dal traffico motorizzato. Ho capito che il ciclo attivismo non bastava e che qualsiasi altra idea avessi risultasse troppo poco impattante; così ho scelto una strada più rischiosa, ma più poetica: ho deciso, in tempi non sospetti, di aprire un negozio di Cargo Bike.

Quale la tua professione prima di aprire Fridabike?
Ero modella. Ho iniziato questa professione all’età di quindici anni con l’intento di cambiare vita dopo essermi laureata, ma questo lavoro si è protratto oltre ed ho iniziato a sentire l’esigenza di creare qualcosa di mio. Così nel 2015 ho fatto il salto di qualità, da modella a meccanico.

Secondo te com’è cambiato il modo di vedere il ciclismo e di praticarlo da parte dell’utente medio nato e cresciuto in città?
La gente è sempre andata in bicicletta a Milano, nonostante Milano. Ma dieci, quindici anni fa era una scelta coraggiosa, l’aria era irrespirabile, non c’erano percorsi ciclabili e nessuno parlava di politiche ambientali, praticamente non esistevano. Oggi la città è migliorata e non vanno in bicicletta solo i temerari, ormai ci vanno quasi tutti i residenti, come fosse la cosa più naturale del mondo. La sensazione di sicurezza è una percezione errata, c’è ancora moltissimo da fare per l’incolumità dei ciclisti. Siamo solo all’inizio.

In che modo  Fridabike  si impegna nella creazione di una community – motore pulsante dell’attività ciclistica come collante sociale e motore di autostima e aggregazione per numerose persone, spesso timide o sole o che non sanno bene come iniziare ad approcciarsi al mondo delle due ruote?
Anche se ho un negozio non mi sento una venditrice, quello che propongo è una storia possibile, una storia di come potrebbe migliorare la qualità della vita compiendo delle scelte responsabili. i miei clienti sono i testimonial di questa piccola rivoluzione che sta attraversando questa città.
Per diffondere il verbo abbiamo organizzato dei Cargo Raduni perché qualche anno fa ad avere una Cargo Bike ci si sentiva soli. Sono serviti a creare aggregazione tra i ciclisti di queste biciclette particolari.

Qual è stata la reazione dei milanesi ad un progetto di più ampio di ciclabilità urbana?
I ciclisti lo stavano aspettando come i bambini aspettano il Natale e sembra che a settembre potremo goderci la prima parte di un piano ciclabile promesso da tanti anni e mai realizzata  prima del Covid. Il bonus bici servirà ed è servito ad aumentare il numero dei ciclisti nelle grandi città, i neo-ciclisti vanno incoraggiati. E non dimentichiamoci il problema dei furti, ogni bicicletta rubata è un probabile ciclista perso che utilizzerà altri tipi di mobilità, magari impattanti sull’ambiente.

Pensi che Milano abbia le carte per mettersi in gioco in un progetto più ampio e ambizioso di mobilità ciclistica a tutto tondo?  
Mi aspettavo molto da Milano, negli ultimi anni è migliorata in quasi tutti i campi, e stavo aspettando il momento in cui qualcuno iniziasse  ad occuparsi del grave problema della mobilità, si sta facendo tutto ora, da pochi mesi, ma per fortuna molto velocemente. Milano ha tutte le carte in regola per permettersi un piano di mobilità ciclistica ambizioso, penso che l’amministrazione degli anni passati abbia sottovalutato i milanesi, che mi sembrano molto pronti al cambiamento. Una città che negli ultimi anni è stata meta turistica di successo non può più permettersi di morire di traffico, tutte le altre città europee si stanno liberando di questo problema.

In che modo  Fridabike    – e la bicicletta in senso più ampio – potranno aiutare e coinvolgere i più diversi strati sociali modificando completamente il modo di vivere le città?
Semplicemente dando l’esempio. Ogni bicicletta cargo venduta viene vista e fa venire la voglia a qualcuno di comprarla a sua volta. Vedere una bicicletta che gira per la città è pura bellezza e vedere una Cargo Bike, magari con dei passeggeri dentro, lo è ancora di più. Ogni bicicletta venduta rende un po’ più gradevole questa città.

Milano è una città relativamente piccola, geograficamente, se paragonata ad alcune grandi capitali europee, senza salite e con un crescente numero di ciclabili: cosa le manca per fare quel salto che la porti a competere con Amsterdam, Copenhagen o Berlino? 
Se lo smog avesse un colore tutti smetteremmo di inquinare, ma non ce l’ha e la gente da sola, senza guida, non è in grado di prendere decisioni drastiche.
Nelle città citate è chiaro che ci sia una volontà mediatica e politica di base: se una cosa fa male alla salute contrastiamola è attuiamo un cambiamento. In Italia i media e i politici tendono a non imbattersi in una battaglie impopolari come quella ambientale, che richiederebbe qualche sacrificio da parte dei cittadini. l cambiamenti che stanno avvenendo in Italia sono derivati esclusivamente dalla recente problematica Covid, sarebbero arrivati comunque, ma molto più lentamente. Non mi piace dire che sia un problema culturale, perché anche in Olanda la bicicletta non era nella cultura, ma la cultura si può cambiare se nasce un’esigenza nuova.

La tua gamma di servizi legati alla bici e non offre prodotti per ogni tipologia di utente: chi voglia farsi un giro nel fine settimana, pedalare su iconiche salite, accompagnare i bambini a scuola, raggiungere il luogo di lavoro, studio, trasportare pacchi o semplicemente fare la spesa. 
Come cerchi di restare sempre al passo con i tempi ed essere sempre in linea con le richieste del quartiere?
Vendo Cargo bike di tutti i tipi per tutti i bisogni, ma mi impongo dei limiti. Non posso assecondare tutte le richieste, ad esempio certi marchi ho deciso di non venderli. Vendo solo quello che piace a me e che soddisfa le mie esigenze qualitative. Preferisco vendere piuttosto di aggiustare! Per questo cerco di avere biciclette leggere e indistruttibili, rischiando di perdere qualche cliente che cerca qualcosa low cost.

Possiamo dire che Fridabike sia anche un progetto di riqualificazione e promozione di Milano e del quartiere attorno a voi?
Sì, fino a qualche mese fa sì. Gli eventi che abbiamo organizzato sono stati delle occasioni per entrare in contatto con la città. Per ora è tutto sospeso per la pandemia, ma l’aggregazione continua sui social, dai miei profili si capisce che l’impostazione non è di tipo commerciale, ma un dialogo con i miei clienti e aggiornamento su quello che sta succedendo riguardo le Cargo Bike e questa rivoluzione.

Cosa pensi dei più recenti eventi a tema due ruote come AbbraciaMi e Milano Bike City?
Penso che la maggior parte dei milanesi faccia chilometri e chilometri per passare weekend e non conosca il bosco in città, la Martesana, le Cascine nascoste, il parco Agricolo Milano Sud. AbbracciaMi é una bellissima iniziativa che dovrebbe moltiplicarsi. Milano Bike City é un evento che ha unito, per la prima volta in questa città, ciclisti, negozianti, attivisti, sportivi, ciclofficine e tutte le associazioni che operano nell’ambito della bicicletta, é fondamentale lavorare in squadra per avere più influenza nelle decisioni che riguardano la mobilità dolce.

Come valuti la Critical Mass a Milano?
Ho fatto la critical mass parecchie volte ed é sempre emozionante girare la città in bicicletta di notte in compagnia di duecento persone sconosciute. È stata un’occasione per conoscere tanti ragazzi e ragazze che si occupano, ognuno a suo modo, di sensibilizzazione dell’uso della bici. A Milano é molto seguita, penso sia un faro per i ciclisti urbani.

Infine, cosa potresti consigliare a chi dice che Milano non è a misura di bici e a tutte quelle mamme o persone che non vogliono portare bimbi a scuola in bici?
Dipende dal motivo per cui non lo fanno. Se pensano che la bici in città sia più faticosa o più lenta della macchina o dei mezzi pubblici li sfido a fare una prova perché non è così.
Se invece il motivo é la sicurezza potrei non dargli torto. In attesa che vengano create infrastrutture ciclabili li inviterei a verificare una strada alternativa. Di solito chi non va in bici non conosce alcune strade secondarie con pochissimo traffico.

Foto: Fridabike


Vigorelli-Ghisallo in bicicletta

Per chi vuole unire in una sola giornata due dei grandi monumenti del ciclismo lombardo ecco il giro perfetto.
Velodromo Vigorelli e Museo del Ghisallo: dalla magica e storica pista milanese, si parte per una delle più famose e frequentate salite lombarde di fama internazionale, il Ghisallo. Questo, oltre che ad essere un percorso molto bello e allenante, è anche una dichiarazione d’amore per il ciclismo e la sua storia, prendendo parte a quel movimento di protezione e “salvataggio” di entrambi i luoghi.

La salita del Ghisallo è una delle ascese più “classiche” se abitate a Milano.
Una volta che vi siete fatti un po’ la gamba in salita sui numerosi saliscendi brianzoli, arrivare in cima a questa iconica salita – parte del Giro di Lombardia e sede sia del Museo che di una iconica cappelletta che raccoglie maglie di grandi campioni, cimeli e biciclette storiche appese alle pareti – vi sentirete improvvisamente catapultati negli albi della storia del ciclismo italiano.

Chi vuole percorrere la Vigorelli-Ghisallo può scegliere tra due percorsi:  al Ghisallo infatti si sale da due versanti.

Foto: Stefano Losco

Il versante Sud è quello che affronta la salita da Canzo, mentre il versante Nord, quello “classico” parte da Bellagio. In funzione del proprio livello di preparazione si sceglierà il versante da affrontare. La salita tradizionale, vera e propria è quella che dal tornante dopo Asso, percorrendo la Valbrona, porta a Pescallo, minuscola e graziosa frazione di Bellagio.

Seguendo questa traccia uscirete da Milano verso il Parco Nord, seguendo il percorso ciclabile che raggiunge la Villa Monza, attraversando l’omonimo Parco per entrare in Brianza. Il percorso durante l’evento ufficiale è completamente segnalato, ma seguendo la traccia, non dovreste avere problemi anche a farla in altri periodi dell’anno. L’obiettivo futuro degli organizzatori è trasformare il tracciato della manifestazione, che si snoda tra le colline brianzole, in un percorso cicloturistico segnalato, in grado di fungere da fattore di promozione del territorio e del paesaggio attraversati.

Una volta arrivati in cima al Ghisallo l’emozione sarà tanta, ma non dimenticatevi la foto ricordo sotto la statua, una visita alla cappelletta, l’ingresso al museo, e il meritato panino al baretto lì accanto!

Link Komoot

Descrizione itinerario:

Da Milano al Ghisallo sono novanta chilometri, se si sale dal versante “classico” da Bellagio, dieci in meno da sud, che fu il primo ad essere affrontato dal Giro di Lombardia nel 1919. Si parte dal Vigorelli e si esce dalla città attraverso il Parco Nord. Da qui il percorso va alla ricerca dei pochi “vuoti paesaggistici” rimasti tra la pianura e le colline brianzole. Dopo il Parco di Monza è un continuo saliscendi, lungo strade a bassa intensità di traffico, tra ville, colline, campi coltivati, piccoli centri: Casatenovo, Monticello, Barzanò, Barzago, Sirone, Bosisio Parini, fino al lago di Pusiano.
Da qui i primi veri tornanti portano al lago del Segrino. Superata la stazione di Canzo-Asso si entra nell’alta valle del Lambro e comincia la parte più impegnativa dell’ascesa tra boschi e pascoli.
All’uscita di Asso è possibile girare per Valbrona per scendere sul lungolago a Onno e arrivare a Bellagio, dove inizia la salita tradizionale del Giro di Lombardia. Altrimenti si può salire lungo la vecchia strada che passa per l’abitato di Barni.
L’arrivo al Ghisallo, tra il Santuario e il Museo del Ciclismo, sotto lo sguardo delle statue dei grandi eroi del pedale – Coppi, Bartali, Magni – è un’emozione che ripaga le fatiche compiute per superare quasi 1.000 metri di dislivello.

Foto in evidenza: Eloise Mavian / Tornanti.cc


Milano in immagini: intervista a Tornanti.cc

Quando si parla di arte e biciclette impossibile non nominare Tornanti.cc: fotografi, appassionati capaci di donare stile unico al mondo della bicicletta e del ciclismo agonistico.

foto: © Massimo ‘Piacca’ Bacci


Eloise Mavian e Francesco Rachello – fotografi bravissimi, ciclisti e icone di stile nel mondo della bici: com’è nata questa passione diventata poi un lavoro?

La passione per la fotografia ce l’abbiamo avuta fin da sempre. Il padre di Eloise aveva un negozio di fotografia a Venezia quindi fin da piccola era circondata da macchine fotografiche e rullini.  Riguardo al ciclismo Francesco si è appassionato al mondo della fixed gear quando verso il 2009/2010 ha iniziato a dilagare a Milano. Eloise lo aveva solo guardato in tv con suo padre, soprattutto qualche tappa del Giro d’Italia, sua zia le diceva “guarda il Giro d’Italia che certi posti non li vedrai mai”. Nel 2010 David Trimble é sbarcato con la Red Hook Crit a Milano e Francesco si è immerso nella notte con i suoi flash caravaggeschi a fotografare i “padri pellegrini” a cavallo delle loro bici a scatto fisso. Nel 2012 Francesco ha conosciuto Eloise e le ha fatto scoprire questo mondo, amore a prima vista. Da quel momento non si sono più fermati.

Cosa vi piace del progetto di alvento.cc e del suo modo di porsi all’interno della comunità milanese di ciclisti e appassionati?
Nel panorama delle riviste di ciclismo italiane abbiamo sempre notato la scarsità di progetti editoriali che parlassero di questo sport andando oltre la cronaca o gli aspetti tecnici. Crediamo che Alvento abbia portato una ventata di freschezza, sforzandosi di raccontare il ciclismo in tante sue declinazioni.

Come pensate che i bicycle café, le ciclofficine, le pedalate di gruppo e gli eventi a tema bici possano migliorare la qualità della vita delle persone che vivono in una città come Milano?
Milano è una grande città che offre molte possibilità ha bisogno della creazione di community, di qualsiasi tipo sia la sua natura. Guardando strettamente al ciclismo ci sono molte realtà che aiutano l’aggregazione delle persone e la condivisione di una passione. In una città come Milano la bici è comunque un mezzo di trasporto fondamentale e abbiamo bisogno di più iniziative e di più spazi dedicati a questo. In quanto grande città a Milano nascono molti gruppi più o meno grossi di ciclisti e di appassionati di ciclismo, che però non hanno poi così tante occasioni di interagire gli uni con gli altri. Spazi e occasioni di incontro sono molto utili per questo.

Red Hook Criterium Milano. Foto: Tornanti.cc

Qual è la differenza fra Milano ed altre capitali europee in tema di ciclabilità urbana?
Milano avrebbe bisogno, come qualsiasi altra città Europea e non, di guardare a quelle città che vengono sempre prese come esempio: quelle olandesi o danesi dove la viabilità è strettamente legata all’importanza della bici. La stessa strada viene concepita in modo diverso non solo per le vie ciclabili ma anche per il movimento delle macchine. Viaggiando spesso in quelle zone ci siamo ritrovati a vedere come alcune città possano essere disegnate o ridisegnate nell’ottica di favorire gli spostamenti in bici il rispetto dei limiti di velocità da parte delle auto.
In queste città la mentalità delle persone è ovviamente quindi più aperta al ciclismo e c’è più rispetto per i ciclisti sulla strada, forse anche perché molte persone che usano la macchina usano anche la bici. L’Italia, tanto quanto altri paesi, dovrebbe cercare di dare più importanza alla bici come mezzo di trasporto non solo per l’ecologia ma anche per il benessere del cittadino stesso. L’uomo è sempre riuscito ad adattarsi ai cambiamenti drastici o no che siano, si ha solo bisogno di tempo e istruzione. La differenza che noi sentiamo di più rispetto ad altri paesi dove l’utilizzo della bicicletta è più diffuso è il rispetto per il ciclista urbano. Le “macchine milanesi” fanno abbastanza paura a volte.

Il nostro primo viaggio in bici è stato tanti anni fa tra i laghi della Baviera, un’esperienza molto bella nonostante Eloise fosse alle prime armi e alcune salite si facessero sentire la sera poi!

Francesco: da quando mi sono trasferito in Lombardia ho praticamente sempre vissuto fuori o ai margini di Milano. Mi piace l’idea di vivere in città ma di poterne uscire in bici velocemente. Probabilmente è anche perché sono cresciuto in un paesino di campagna.

Eloise: Per una uscita solitaria vado sul sicuro e mi godo 60km di natura lungo la ciclabile della Martesana.

Ci siamo conosciuti nel 2012 ma Eloise stava a Madrid dove ha studiato e vissuto per parecchi anni, l’anno dopo è venuta a vivere a Milano. Entrambi abbiamo sempre avuto l’idea di tornare a vivere a Madrid, è una città che ci piace molto, ma da quando lavoriamo in questo campo, con i numerosi viaggi fatti in Olanda e in Belgio per le gare, ci stiamo facendo un pensierino, magari più avanti tra qualche anno potremmo ritirarci nel fresco nord.
Anche se amiamo Venezia, città natale di Eloise, e tutto il Veneto in generale, per ora ci troviamo molto bene a Milano, è una città unica in Italia che è cresciuta molto negli ultimi anni ed ha un gran potenziale per poter migliorare. Dato il nostro lavoro la sua posizione è molto comoda per raggiungere le montagne e anche per muoversi in aereo in tutta Europa.

Red Hook Criterium Milano. Foto: Tornanti.cc

Come è nata la vostra passione per la bici? Come sono cambiati il vostro lavoro e la vostra vita da allora?
Il nostro rapporto con la bicicletta è sempre stato importante. Il padre di Eloise fin da quando lei era piccola la portava a fare un giro in bici la sera quando tornava da lavoro, nella città dove è cresciuta si spostava sempre in bici con le amiche. L’estate la passava nelle Dolomiti e tutta la famiglia si portava sempre la bici anche solo per dei piccoli giri in paese. Ha vissuto vari anni a Madrid ed aveva una singlespeed rossa che le faceva scoprire i dintorni della città dove si trovano cavalli bianchi.

Eloise: Da quando lavoro nel campo del ciclismo mi sto appassionando sempre più a questo sport e cerco di fare i miei giretti nei campi o qualche salitina.

Francesco: Da ragazzino usavo la bici per necessità per muovermi nel paesino dove vivevo e nei dintorni, anche perché non ho mai avuto un motorino come molti miei coetanei. Poi non ho più pedalato per anni. Mi sono appassionato alla bici grazie allo scatto fisso, una bici da pista è stato il primo mezzo con cui ho cominciato a muovermi su due ruote sia in città che per giri esplorativi in Brianza e dintorni. Dopo qualche anno sono passato alla bici da corsa come attività sportiva. Contemporaneamente ho cominciato ad appassionarmi al ciclismo professionistico per lavoro e mi ritengo fortunato perché posso utilizzare le mie conoscenze ed esperienze che faccio per passione nella mia professione.

Eloise, cosa ti piacerebbe dire alle donne che non hanno mai pedalato per spiegare il bello di andare in bici? Francesco, cosa vorresti dire a tutti quei milanesi che dicono che Milano non è una città per le biciclette?
Per esplorare una città abbiamo sempre pensato che la scelta migliore fosse girarla a piedi o in bici. La libertà di movimento e possibilità di raggiungere più luoghi anche remoti è essenziale, perdersi nei meandri di una città è una bella esperienza. Milano in bici, soprattutto ad agosto, è favolosa se non l’avete provata fatelo! Se avete bisogno di suggerimenti: Eloise ha una single speed con ruote grosse per essere più comoda e tranquilla sul pavè e tra le mille rotaie dei tram, Francesco invece gira più agilmente con una bici da ciclocross.

Come pensate che Milano e la sua deformazione in tema di stile e design abbia influenzato il modo di concepire la bicicletta?
Probabilmente c’è più passione per la bici a Milano che altrove perché per una serie di motivi c’è più attenzione per la componente estetica delle biciclette e per il loro design. Rispetto a come viene vissuto il ciclismo in molte altre parti dell’Europa si tende di più a utilizzare mezzi pensati per altri ambiti (ciclismo su strada o su pista) per gli spostamenti di tutti i giorni.

Red Hook Criterium Milano. Foto: Eloise Mavian / Tornanti.cc

Avete una formazione sportiva o pensi che sia necessario per avvicinarsi al mondo delle due ruote?
Francesco: Ho praticato vari sport anche a livello agonistico e il ciclismo è quello che mi ha appassionato di più e più a lungo. Probabilmente uno dei motivi è che può diventare più facilmente una componente integrante della propria vita (pendolarismo, viaggi, eccetera) e non restare solo uno sport da praticare con tempi e modalità predefinite. Sicuramente la componente agonistica ha un forte fascino per me.

Eloise: A scuola ho provato vari sport tra cui basket e pallavolo ma quello che mi era piaciuto di più era canottaggio. Mi piaceva la sua dinamica, il lavoro di squadra e mi dava la libertà di stare in mezzo alla natura della laguna di Venezia e di scoprire luoghi che non potresti normalmente.

Secondo voi è cambiato il modo di vedere il ciclismo e di praticarlo da parte di sempre più ragazze? Come vedete l’impegno di tornanti.cc nella creazione di una community – motore pulsante dell’attività ciclistica come collante sociale e motore di autostima e aggregazione per numerose donne, spesso timide o sole o che non sanno bene come iniziare ad approcciarsi al mondo delle due ruote?
Abbiamo pensato qualche volta di organizzare una serie di “Tornanti Ride” periodiche per dare il nostro contributo all’integrazione dei vari ciclisti e gruppi di ciclisti milanesi. Non abbiamo mai concretizzato questa idea per mancanza di tempo. Ci piacerebbe comunque eventualmente che queste uscite in bici non fossero per sole donne, però vorremmo che ci fosse assolutamente una componente femminile importante.

RHC Milano. Foto: Tornanti.cc

Qual è stata la reazione dei milanesi ad un progetto di più ampio di ciclabilità urbana? Non solo post-covid, ma iniziato anche prima con i vari progetti di piste ciclabili ed eventi a tema bici quali Milano Bike City e prima ancora il Bicycle Film Festival?
È fin troppo facile ignorare le voci di chi considera la mobilità in bici come qualcosa che ha poco senso o che vede l’andare in bici come una attività leziosa per borghesi. Questo atteggiamento è purtroppo ancora molto presente a Milano, per contrastarlo ci sono molte cose che si possono fare, fra cui usare la bici il più possibile in città.
A Milano sarebbe utile avere più piste ciclabili all’interno della città ma anche alcune che portino al di fuori nei paesi limitrofi per poter favorire le “gite” della domenica a famiglie o gruppi di amici e per incentivare chi voglia fare commuting durante la settimana di lavoro. Molti gruppi si stanno muovendo per far si che questo diventi realtà, fortunatamente a Milano ci sono molte persone che si riuniscono per una miglioria della viabilità, che sia per semplice diletto di andare in bici, ma anche per quelle famiglie che per esempio portano i bambini in bici a scuola e li educano sul codice della strada.

Foto: Tornanti.cc


Zibidino magic hour

Per chi vuole fare una scampagnata tranquilla e non stancarsi troppo o sciogliere un po’ le gambe dopo una giornata in ufficio questo giro è perfetto.
Magic Zibidino, uno dei miei itinerari preferiti attorno a Milano con partenza e ritorno dall’iconica Darsena, meta perfetta per un caffè prima di andare o di una birra con vista canali e movida al rientro!

Link Strava della Zibidino Magic Hour 

L’itinerario di cinquantadue chilometri collega il Naviglio Pavese al Naviglio Grande, snodandosi tra risaie, campi e fattorie nel Parco Agricolo Sud di Milano, lontani dal rumore e dal traffico. E’ totalmente pianeggiante (fatta eccezione per qualche cavalcavia) e quasi interamente su strade secondarie o ciclabili e quasi tutto su asfalto.
Può essere percorso in un senso o nell’altro, ma fatto come da traccia ha le migliori curve e viste su cascine e la torre di Rozzano si staglia come la Tour Eiffel, fatto al tramonto ha poi un che di speciale…

Foto: Stefano Losco


Milano e le cargo bikes

Meno che in altre città europee, ma anche a Milano si iniziano a vedere cargo bikes guidate da bike messenger al lavoro, mamme che vanno a prendere i figli a scuola, ragazzi che vanno a fare la spesa, proprietari di cani che preferiscono portare il loro amato al parco in bici invece che in auto.

Le cargo bikes vedono un futuro tutto in discesa.
Biciclette cargo significa una bici con molto più spazio di carico rispetto alle bici “classiche”, che possono essere sfruttate anche per faccende quotidiane come l’accompagnare i figli a scuola o trasportare la spesa in maniera più agile, senza tralasciare la questione del trasporto merci.

Secondo i dati pubblicati da uno studio di City Changer Cargo Bike, un progetto finanziato dall’Unione Europea per diffondere l’utilizzo delle bici cargo, il 2019 ha fatto registrare un balzo in avanti delle vendite, arrivando a 28.500 bici vendute e nel 2020, forse in ragione di un lockdown che ha esaltato il valore di città meno trafficate, il volume delle vendite sembra toccare quota 43.600 pezzi. Possiamo quindi farci un’idea di quale sia la tendenza.

L’introduzione e l’applicazione su larga scala delle cargo bikes nelle aree urbane ha dimostrato di essere un punto di svolta per le città: migliora i livelli generali di diffusione della bicicletta utilizzata sia per il trasporto merci che passeggeri, lo spazio urbano viene utilizzato in maniera più efficiente, la qualità dell’aria, i livelli di sicurezza e la qualità della vita migliorano. Tuttavia, questa soluzione innovativa è presente solo in poche città e Milano ci sta arrivando anche se il loro pieno potenziale non è ancora stato raggiunto in nessuna città europea.

City Changer Cargo Bike (CCCB) mira a cambiare questa situazione e aumentarne l’adozione. CCCB prenderà i migliori esempi e competenze di implementazione delle cargo bike in Europa e imparerà da essi al fine di trasferirli su larga scala a nuove città e contesti. Le biciclette cargo potranno sostituire il 25% delle consegne commerciali nelle città, il 50% del servizio commerciale e dei viaggi di manutenzione e il 77% dei viaggi logistici privati ​​(shopping, tempo libero, trasporto di bambini), buoni numeri e con prospettive di crescita notevoli.

Inoltre, le bici da carico fanno nascere una cultura della bicicletta completamente nuova: modelli di bici da carico multiuso, alla moda e rinnovati concetti logistici. Le cargo bikes non più utilizzate, fisse e parcheggiate possono essere rapidamente trasformate in arredo urbano mobile e quindi svolgere anche una funzione di place maker.

CCCB ha come obiettivi quello di sensibilizzare le parti interessate nel settore pubblico, privato e commerciale, utilizzare strumenti innovativi per l’adozione e il trasferimento tra città precursori e città seguaci, stabilire condizioni favorevoli per l’utilizzo delle cargo bikes e infine ridurre la congestione, le emissioni di co2.
Cargo bike non solo per i pacchi in consegna, anzi.

Che questo tipo di bicicletta possa rappresentare un business, ce lo ricordano sia Antonella di Frida Bikes che Francesco di TrikeGo, anima dell’omonimo negozio presente solo da poco in zona nord della città grazie ad una vetrina presente all’interno di un angolo di una pasticceria di Via Imbonati che, avendo molto più spazio libero in seguito alle nuove normative di distanziamento sociale, ha pensato di investire in questa direzione.

Il modello più antico e conosciuto è la Bakfiets di origine olandese oppure la Christiania Bike, una bici gigantesca con cassone anteriore, in legno, che si può trovare in versione a due o tre ruote, nata in onore dell’omonimo quartiere di Copenhagen dove, vi garantisco, ho visto persone fare traslochi di intere case usando solo la bici.

Il triciclo con le due ruote anteriori ai lati del cassone è sicuramente più stabile, al contrario la versione a due ruote con l’anteriore più piccola da 20”, è più stretta, maneggevole e veloce. Nel nord Europa è abbastanza normale usare queste bici soprattutto adibite al trasporto dei bimbi piccoli. Di solito sono grosse e pesanti, ma la versione in alluminio con la patte anteriore allungata e un sistema di sterzo avanzato, oppure anche la nuova Omnium, sono decisamente più leggere e veloci – tutto relativo perché si tratta pur sempre di pesi abbondantemente sopra i 20kg – e molto usate anche dai corrieri in bicicletta.

Molti produttori inoltre offrono di tutti i modelli anche la versione a pedalata assistita utilizzabili anche per spostare grossi carichi oppure in zone collinari o se si devono affrontare salite. Il mercato delle cargo bikes è molto più avanti per quello che riguarda il mondo dell’elettrico, rispetto ad altre tipologie di biciclette, dal momento che sono nate quasi subito con l’idea di una pedalata assistita.

L’altra grossa fetta del mercato cargo è occupata dalle biciclette longtails, dotate di una parte posteriore allungata in cui il carico è posto dietro il ciclista, sulla ruota dietro, con il carro opportunamente allungato.

L’attenzione per l’ambiente e la mobilità urbana sono oramai un must anche per i grandi marchi, sdoganando il mondo delle biciclette cargo da un mercato di nicchia.

Per il suo quarantesimo compleanno, Francesco di TrikeGo si è regalato una svolta nella sua vita mettendo in strada il primo prototipo di bici cargo realizzata dopo aver appreso l’arte della saldatura da un amico fabbro di Milano e la relativa produzione è stata poi seguita da un telaista di Sasso Marconi. Secondo lui, le bici “sono facili” e basta impegnarsi un po’ assieme alla voglia di imparare mista a spirito imprenditoriale ed il gioco è fatto. Oggi Francesco è a capo di una piccola azienda con quattro dipendenti che si impegna nella produzione e realizzazione di mezzi customizzati che rispondono alle più diverse esigenze. TrikeGo produce tutto in Italia, dalle bici alle cappottine delle versioni per bambini, che vengono cucite con i tessuti cerati della barca a vela.

Grazie alla recente vetrina – il TrikeGo point – pronunciato all’italiana – presso la Pasticceria Tomaselli in zona Dergano, la visibilità del mondo cargo ha subito un’impennata – unito anche ai finanziamenti ed incentivi che il Governo Italiano ha messo a disposizione delle famiglie. La scelta vincente è stata anche quella di offrire, come fanno anche altri punti vendita cargo, un servizio di noleggio dei vari modelli di biciclette in modo tale che i potenziali acquirenti o semplici curiosi, possano provare i mezzi e vivere in prima persona la praticità e facilità di guida delle biciclette cargo.

Le famiglie possono così farsi un giro nel vicino Parco Nord e divertirsi in totale spensieratezza, trasformando, quasi involontariamente, un normale pomeriggio in un momento promozionale che faccia provare la comodità di lasciare a casa l’auto anche per quelle situazioni che prima si pensava fossero ad essa incredibilmente legate.

Da giugno ad oggi è stato registrato un notevole aumento delle vendite per tutti quegli utenti che provano le bici e non possono più farne a meno innamorandosene perdutamente grazie anche alla totale personalizzazione dei colori. Quello che emerge da queste ricerche e osservazioni dei dati era la mancanza di un’offerta adeguata alla domanda che, seppur presente, non sapeva come e dove rivolgersi. Come per esempio la fetta di mercato ricoperta da Dinamociclo, un altro negozio di bici cargo in Via Pellegrino Rossi, che vende anche tricicli per adulti per aiutare nella mobilità quotidiana persone disabili e dare loro la possibilità di muoversi in bici. Vengono anche offerti servizi di rateizzazione slegati dalle banche, ma erogati in base alle esigenze dei privati in modo da rendere ancora più fruibile l’accesso alle cargo.

Secondo Riccardo, venditore ma anche esperto di mobilità urbana, sabbiamo fatto un salto in questo recente periodo della fase due post covid-19 concentrando anni di evoluzione sociale e di mobilità urbana in pochi mesi, rivelandosi questo come un periodo estremamente positivo e proficuo per il settore del ciclo sperando che non sia solo un abbaglio, ma che il cambiamento si radichi nella mente delle persone e nei loro modi di vivere il quotidiano. Come chi non aveva una bici è corso ai ripari rendendosi conto della grande carenza nel loro stile di vita, allo stesso modo è cambiato a livello professionale il modo di vedere il lavoro smart e le diverse necessità tecnologiche di infrastrutture che mancavano a molte aziende o ad interi settori che non avevano mai considerato di avere una presenza online.

Milano si è comunque rivelata essere una città estremamente ricettiva per tutto quello che ha riguardato il mondo delle iniziative sulla mobilità urbana, come le biciclette condivise o free floating, gli scooter elettrici o il car sharing, quindi perché non iniziare anche con il mondo cargo bikes?

Il passato lavorativo e le origini di copywriter legato al mondo della comunicazione sono estremamente tangibili nell’approccio di Francesco al “fare cargo” avendo anche creduto in una start up che ora è un’azienda a tutti gli effetti con base ad Arese, poco fuori Milano. Mentre invece Riccardo di Dinamociclo ha una formazione nel web e informatica e ha sfruttato queste sue conoscenze per avviare, parallelamente al negozio e all’officina di biciclette, anche una rete che unisse il mondo delle consegne in bici cargo alla vendita online per alcune piccole aziende che hanno deciso di investire in una forma di mobilità sostenibile.

L’anticonformismo delle famiglie che scelgono di approcciarsi all’universo delle cargo bikes andrà poi rinominato in nome di un modo più naturale di vivere la città su biciclette capaci di portare carichi quasi come una piccolo utilitaria.

Molto spesso pensiamo che l’auto sia indispensabile in alcune situazioni della nostra vita quotidiana, come per esempio fare la spesa o portare alcuni carichi, ma non ci rendiamo conto di quanto l’utilizzo degli autoveicoli si riveli, sul lungo e breve termine, non solo a livello di costi, ma anche di praticità, essere molto meno funzionale di una bici con un bel cestino, oppure e ancora meglio, di una cargo.

Chi sceglie di avvicinarsi al mondo delle bici cargo non deve più sentirsi o venir visto come un outsider, bensì come un illuminato, furbo e consapevole di quanto la sua scelta sia un mattone concreto posto alle fondamenta di una città più sostenibile.

Foto: TrikeGo


Costruttori: Cicli Drali

Fare bici è un’arte. Ne sanno qualcosa i vari telaisti e protagonisti delle diverse fasi di realizzazione di una bicicletta: progettazione, disegno, saldatura e montaggio.

La forma attuale delle biciclette nasce intorno al 1860, anche se la paternità del brevetto non è chiarissima. Ma alla fine chi se ne importa, sono passati quasi due secoli. Quello che ci importa è che, da quel momento in poi, la forma della bicicletta si è evoluta, sono nati nuovi materiali, ingranaggi e la meccanica è migliorata, ma la sostanza non è cambiata. Le biciclette accompagnano i milanesi attraverso le diverse epoche fino a quella attuale, in cui pedalare è diventato sinonimo di scelta intelligente. Saranno nate forse meno di due secoli fa, ma abbiamo tutti in mente quelle biciclette con i freni a bacchetta e i sellini larghi in cuoio, parcheggiate nei cortili di Milano che ne hanno fatto la storia.

Con una città pianeggiante che sorge in pianura e con qualche secolo di ritardo, i milanesi si stanno rendendo conto che muoversi in bicicletta dovrebbe essere la soluzione più intelligente per chi ci vive.

Grazie a una crescita esponenziale di piste ciclabili e servizi di bike sharing, negli ultimi dieci anni si inizia a concepire una città su misura di ciclista, per la gioia dei vari produttori di biciclette, che, nel frattempo, non hanno mai smesso di lavorare per una rivoluzione a due ruote.

L’innalzamento del target di chi sceglie di utilizzare una bicicletta nel quotidiano, e non solo per allenamenti, gare o uscite domenicali, ha avvicinato i più al mondo del telaio artigianale, prodotto su misura e in pochi numeri.

Nonostante la criticità del periodo post covid – in italia non siamo ancora pronti a recepire il ciclismo in massa anche perché, come mi racconta Gianluca Pozzi, amministratore delegato di Cicli Drali “bonus e ciclabili non sono sufficienti a fare del nostro paese un mercato ciclabile” e questo lo avevamo intuito anche dalle parole di altri rappresentanti della bicicletta milanese.

La storia di Cicli Drali, formata da soli tre soci più il Signor Drali, è però una di quelle che merita di venire raccontata, soprattutto oggi, in un momento in cui la maggior parte delle produzioni, ciclistiche, ma non solo, sono state dislocate.

Questo trasferimento delle fabbriche di prodotti sportivi, outdoor e attrezzatura in Oriente, Taiwan o Cina, ci fa dimenticare che anche noi italiani sappiamo fare, che abbiamo sempre fatto e che possiamo continuare a farlo. E’ vero, i costi saranno un po’ più alti di quelli delle grosse produzioni, però valore, cura e personalizzazione che emergono in un prodotto costruito al 100% dietro casa, hanno sicuramente un altro sapore.

Carlo Drali, insieme al figlio Giuseppe, ha fatto strada nella storia delle bici. Maestro costruttore di telai da corsa, il Signor Drali, come ho scoperto viene chiamato dai suoi collaboratori, ha dedicato alla bicicletta vita e ingegno, costruendo biciclette magiche che hanno pedalato le più iconiche strade lombarde.

Giuseppe Drali ha imparato il mestiere dal padre Carlo, il quale realizzò telai che regalarono vittorie a icone del ciclismo come Fausto Coppi.
Oggi, alla rispettabile età di 90 anni – passati – il signor Drali ha accettato di rimettersi in gioco e di ricominciare con entusiasmo l’avventura, rinnovando il mito con nuovi telai e modelli.

In uno spazio rinnovato, la cui vetrina è ora a in zona Milano sud in Via Palmieri, dietro la “grande classica” ciclabile del Naviglio Pavese, Cicli Drali ricomincia l’attività. Giuseppe e Alessandro, assistenti e apprendisti del Signor Drali, riprendono la produzione di telai secondo l’arte originale dei maestri dell’acciaio.

L’area espositiva ospita le prime biciclette che testimoniano la storia del marchio Drali e le nuove biciclette prodotte negli ultimi mesi.

Abbiamo bisogno di ridare valore all’italianità e se questo significa passare da negozi di bici con prodotti di alta qualità, ben venga. Entrando da Cicli Drali, la loro scelta di optare per un mercato ad alta qualità si nota fin da subito nella selezione dei marchi accessori che entrano nel negozio come caschi firmati Poc, navigatori Garmin e abbigliamento di alta gamma di durevole fattura.

Passando un po’ di tempo con i pochi, ma buoni soci di Cicli Drali, sentiamo subito quell’aria di italianità che si respira a tutto tondo, assieme alla tradizione artigiana che ha fatto la storia ciclistica del nostro paese. La storia, infatti, che è parte attiva della formazione del marchio, rivela una costante apertura ed evoluzione fino ai giorni nostri, come si evince da quell’albero genealogico presente anche sul loro sito internet, simbolo di una crescita continua che vive però del suo passato, come nelle migliori famiglie in cui ci si tramandano le tradizioni di generazione in generazione.

Non è però oggigiorno pensabile di essere naïve e scollegati dal contesto in cui si opera limitandosi a guardare indietro: per portare avanti le proprie idee, bisogna essere pienamente consapevoli di come si debba stare sul mercato e capendo quali sono le azioni necessarie per non farsi travolgere o rischiare di soccombere. È questa duplice valenza e posizionamento del marchio che ha colpito il loro modo di fare azienda.

La paura e il timore della competizione con la concorrenza cinese sono vive e razionali nelle parole di Gianluca la cui formazione ingegneristica è tangibile, soprattutto quando si parla del nascente e in costante espansione mercato delle e-bike. Nonostante dovremmo essere aggiornati e informati su ciò che stiamo comprando, le persone che vanno in negozio spesso non sono preparate in materia e quindi spiegare loro le ragioni che sottostanno a visibili differenze di prezzo finale, non è facile, specialmente quando si tratta di ciclisti che si sono da poco avvicinati al mondo delle due ruote.

Possiamo spendere cifre molto diverse quando si tratta di biciclette, elettriche e non, ma capire verso cosa è meglio puntare in base a cosa ci serva veramente e gli eventuali costi di manutenzione, non sono fattori da sottovalutare quando ci si approccia ad una bicicletta.

Mi è piaciuta moltissimo la tematica sollevata da Gianluca durante la nostra chiacchierata legata ai suoi dubbi sulla mancanza di tecnici specializzati, formati per assistere il nascente settore delle bici elettriche. Un conto è fare manutenzione a motori Bosch, Shimano, Yamaha o di altri marchi più rinomati e diffusi, un’altra questione è invece gestire in officina le biciclette elettriche con i motori più diversi, magari assemblati direttamente in Cina o integrati nel telaio che ci arrivano senza istruzioni e senza indicazioni su come vadano trattati. «I nostri meccanici, sono specializzati in biciclette, non in motorini», dice lucidamente Gianluca.

Per sopperire a questa mancanza e con uno sguardo decisamente lungimirante, il team di Cicli Drali si è subito impegnato per formare i propri dipendenti sulle ultime tendenze della meccanica ed elettronica ciclistica; così facendo si crea un organico sempre preparato sulle nascenti necessità dell’universo ciclistico capace di lavorare al meglio anche sulla loro linea di biciclette elettriche tutte spinte da motori Polini, 100% made in Italy.

 

L’importanza di investire nella formazione del personale è ancora sconosciuta e poco praticata in Italia. All’estero si è capito anni fa che fare didattica ai propri dipendenti non sia tempo perso, ma un tempo prezioso che avrà un ritorno visibile e sul lungo termine faciliterà il lavoro di tutti.

Dovremo aspettarci di vedere un’evoluzione nei prossimi anni, sia dal punto di vista di chi pedala biciclette, ma anche dal punto di vista di chi le produce.
I ciclisti sono più esigenti, i telaisti sono più esperti. La combo può portare a risultati sorprendenti a livello di tecnica e performance.

Milano è cambiata e molti dei suoi ciclisti si vogliono distinguere rispetto ad anni fa non accontentandosi più di biciclette prodotte in serie assemblate da operai senza nome. Il mondo della customizzazione e del “su misura” è il futuro per una crescente fetta di mercato con un’elevata capacità economica e un’alta preparazione tecnica. È normale vedere dei fenomeni di disaffezione quando le cose sono troppo diffuse, ma la forza di una piccola azienda, come quella di Drali, è certa. Ovviamente i loro numeri e fatturato non possono essere paragonabili a quelli delle grandi aziende, ma aspettando di vedere se in Cina rallenteranno mai la produzione, dobbiamo dare una possibilità a chi non ha voluto mollare e ha continuato a produrre biciclette valide qui dietro casa.

«Dobbiamo ancora capire come si evolveranno le cose – dice Gianluca – e se ancora in molti verranno ammaliati dai più bassi costi di produzione e abbandoneranno il nostro paese in nome del risparmio offerto dalla Cina: il carbonio lo abbiamo inventato noi. Non possiamo mollare proprio adesso».

Le sue parole un po’ mi commuovono e mi fanno rivivere l’anima vera che ha mosso il nostro paese nel settore della bicicletta, quella bicicletta lì, che era dei nostri nonni, dei grandi campioni che da qui sono partiti e arrivati lontano.

Non possiamo rischiare di dimenticarci tutto questo.

Oggi Cicli Drali si impegna nella sponsorizzare di una squadra corse, DRALI MILANO  che svolge attività agonistica per rinnovare quelle emozioni e quei successi conquistati da diversi campioni del passato in sella a biciclette Drali.

Per non restare indietro con le ultimissime tendenze in fatto di esplorazione, Drali ha anche scelto di fare ingresso nel mondo delle biciclette gravel, ovvero mezzi da strada in carbonio realizzate su misura e personalizzate, ma adatte a terreni fuoristrada e sterrati che convivono con le prestigiose bici a scatto fisso artigianali. L’obiettivo è quello di svolgere attività fixed a livello nazionale e internazionale partecipando ai più importanti eventi come Criterium Italia, Reed Hook Crit e Rapha Nocturne permettendo un test continuo ai loro mezzi.

Molte delle biciclette realizzate da Drali sono progettate su misura, ma vengono fatte anche e-bike o altre tipologie di biciclette più accessibili. Per riposizionarsi al meglio su un mercato competitivo come quello del ciclo, i Drali si sono impegnati in un progetto di re-branding intenso, marketing e comunicazione, ricercando agenti e distributori anche all’estero. Va bene produrre in casa, ma poi è necessario guardare oltre confine, dove la nostra manualità e storia possano venire apprezzate pienamente.

Il grande problema, mi spiega Gianluca, è nel montaggio e nella componentistica. Come facciamo a far capire che due biciclette, solo apparentemente identiche, sono assemblate con componenti, cambio e altre parti del tutto differenti e che saranno quelle a rendere una bici molto più performante, reattiva e fluida dell’altra influenzando la qualità del prodotto finale e quindi anche del suo prezzo? Come far capire che la differenza di prezzo rivela bici qualitativamente “diverse” e non solo migliori o più “belle”? Come evitare di diventare dei moderni Don Chisciotte del ciclismo parlando la stessa lingua della domanda senza suonare “venditori” o propagandisti, ma cercando di educare e comunicare alla cultura delle due ruote?

La questione delle differenze peculiari delle biciclette è estremamente difficile da comunicare ad un pubblico sempre più ampio e meno specializzato. Viviamo tutta la fatica di chi cerca di raccontare, descrivere e vendere biciclette di valore in un periodo in cui i prezzi si tendono ad abbassare sempre a scapito della qualità.

Anche quando non c’è concorrenza, bisogna impegnarsi a comunicare ed educare le persone in merito.

Artigianato significa valore e know-how. Peccato ce lo siamo persi.

Sorprendente invece la reazione del Giappone per quello che riguarda il mondo delle biciclette per il quale ha sempre avuto grande conoscenza e consapevolezza e comprendendo pienamente il valore di ciò che si stava comprando.

Sarà quindi necessaria, secondo Gianluca, una formazione a tutto tondo – sia dal punto di vista del target e di chi lavora nel mondo del ciclismo – andando di pari passo alle necessità nuove e alla fondamentale educazione del ciclista al rispetto delle regole, all’utilizzo del casco e alla stipula di assicurazioni.

Bisogna creare un mondo nuovo attorno alle necessità della bici se la si vuole vedere come oggetto di trasporto e non economico – sviluppare un sistema di infrastrutture ampie e dedicate aiuterà ad eliminare i conflitti inserendola armonicamente nel contesto in essere.

Molto spesso la paura che venga rubata limita la diffusione e l’acquisto di biciclette di qualità, ma se ci fossero più azioni concrete rivolte al rispetto e tutela del mezzo e dei suoi proprietari, forse potremmo davvero muoverci in una direzione nuova. Le premesse ci sono, concretizziamole.

Foto: Valeria Rossini