Sono sempre una ciclista: intervista a Chiara Doni
Era ormai diverso tempo che Chiara Doni aveva deciso: avrebbe voluto diventare una ciclista professionista. Da sempre, il suo lavoro le assorbe ogni istante e Chiara racconta di sentirsi in gabbia, di non essere pronta a passare, in quella gabbia, tutti gli anni di una carriera lavorativa: «Per il mio lavoro ho rinunciato a tanto. Dirò di più: da molto tempo la mia vita è ed è stata solo e soprattutto lavoro. Qualcosa che assorbe ogni attimo della quotidianità e, come sempre, quando accade così, a risentirne è tutto il resto: i rapporti, le relazioni, il tempo libero. Come sostenere questa situazione?».
La boccata d'aria è, per lei, la corsa a piedi, infatti si cimenta spesso nelle mezze maratone, almeno fino a che un problema ad un piede glielo impedisce: dopo dieci chilometri di gara inizia ad accusare dolore e proseguire diventa impossibile. Il caso vuole che, proprio in quel momento, in palestra, cominci a interessarsi di biciclette, di ciclismo: settecento euro per una bici. Un tentativo, un diversivo all'inizio, qualcosa che possa accompagnarla fuori dai pensieri: «Si dice "pannolati", giusto? Ecco, i miei primi giri in bicicletta erano proprio assieme ad un gruppo di "pannolatissimi", non sto esagerando. Però stavo bene, mi divertivo. Uscivamo al mattino alle sette, sette e mezza, perché, per mezzogiorno, le loro mogli li volevano a tavola, a pranzo. Se tardavamo, ricordo che iniziavano a squillare i cellulari: "Dove siete? Quando arrivate?". Era il segnale che bisognava pedalare per non tardare troppo». Chiara Doni non pensava ad altro, però, nei suoi giri, accumulava coppette su Strava e questo qualcosa doveva pur voler dire.
«Non mi sono mai sentita abbastanza, non mi sono mai piaciuta: è valso per ogni campo della mia vita. Riconoscersi brava in qualcosa, o, ancora di più, molto brava non era per me. Si tratta di una forma di insicurezza che non so da dove origini, con cui però bisogna convivere ed io a conviverci ho imparato, tra alti e bassi. Tra le cose che mi permettono di conviverci c'è lo sport. Vogliamo parlare della bicicletta? Parliamo della bicicletta: l'insicurezza c'è ed è tanta fino a che non agganci il pedale e parti, dopo sparisce, ed è bellissimo liberarsene per chi se la porta sempre addosso». Talmente è tanta l'insicurezza che, alcune volte, si sceglie anche di non andare, di non partire: a Chiara Doni è successo così per la Maratona delle Dolomiti, che pur aveva atteso, aveva voluto. Niente, non è riuscita ad affrontarla: il timore e l'insicurezza l'hanno bloccata. Non è partita. Racconta Chiara del momento in cui quei dubbi svaniscono, in cui si prende consapevolezza, e questo ci porta dritti alla Zwift Academy che Doni ha frequentato, arrivando alla fase finale. «Il momento in cui attacchi e resti da sola: ti volti e non c'è nessuno. Quello è lo snodo di ogni cosa. Alla Zwift Academy, in salita, mi è successo e quella salita me la sono goduta: affaticata, ma serena, tranquilla. Qualcuno ha ritenuto che non fossi la migliore, che non dovessi vincere io e va bene così. Chissà se le cose fossero andate diversamente. Di sicuro quello che è accaduto lì, mi ha convinto del fatto che i numeri li ho».
Ed allora si torna all'inizio, ve l'avevamo già detto: Chiara Doni aveva deciso che avrebbe voluto diventare una ciclista professionista. Al suo fianco c'è Luca Vergallito, dapprima coach, poi compagno. Vergallito analizza i numeri, le prestazioni, con il distacco e l'oggettività necessaria per confermare che quella possibilità c'è, che, se vuole, può provarci, deve provarci. Doni non lo dice in casa, in famiglia. A saperlo, all'ultimo, sarà suo padre: «Mi ha detto che stavo facendo una follia: mollare il lavoro che avevo scelto, a trentotto anni, dopo essermi affermata, era una sciocchezza. Soprattutto era assurdo farlo senza avere alcuna certezza. Sono sincera, quel discorso me l'aspettavo, forse anche per questo avevo aspettato a parlarne. Lo capisco bene, alla luce dell'affetto che un genitore ha per i figli. Ma non lo condivido, non ci riesco. Forse il mio lavoro non l'ho nemmeno scelto desiderandolo veramente, forse l'ho scelto perché le circostanze, l'ambiente che vivevo, mi hanno convinto che fosse giusto così. In ogni caso, perché non dovrebbe esserci la possibilità di cambiare? Soprattutto: perché questa possibilità deve essere preclusa solo per l'età, per i miei trentotto anni?». Il ragionamento non finisce qui: Doni è perfettamente consapevole dei rischi di una scelta del genere, sa che, a trentotto anni, si possono avere due, tre, quattro anni nel professionismo, poi bisogna smettere. Ha già pensato ad un percorso, un progetto strutturato, che parta dalla sua laurea in biologia, dalla specializzazione in tossicologia, e, attraverso un master all'estero, le permetta di lavorare nel mondo del ciclismo anche al termine del professionismo. Un progetto che le permetta di leggere, di studiare, cosa che ora non riesce a fare perché passa già tutto il giorno sulle pagine ed a sera è stanchissima. Un progetto che, però, probabilmente, non viene capito.
L'età, i trentotto anni, sono uno dei punti a cui chi l'ha criticata si è aggrappato spesso: «In alcuni casi, mi hanno fatto sentire davvero vecchia. I commenti sulla mia età si sono susseguiti per mesi. Ripeto: perché a trentotto anni non si deve poter credere di cambiare, di farcela? A qualsiasi età ci si può evolvere». A fine luglio, la telefonata che aspettava, mentre sta pedalando sulla Forcola: Jayco AlUla le propone di correre, come stagista, il Giro dell'Emilia e la Tre Valli Varesine. All'inizio piange per la felicità, poi la tensione, la preoccupazione, tutto quello che c'è da fare ed i conti con le aspettative che chi propone una possibilità di questo tipo legittimamente nutre, ma anche con le proprie aspettative. Si tratta di un qualcosa che la prende completamente per settimane e si placa solo quando incontra la squadra: «Se avessi potuto scegliere, per la preoccupazione che avevo e per la solita insicurezza, non sarei partita nemmeno questa volta, come per la Maratona delle Dolomiti, non potevo, così ho corso». La difficoltà maggiore è nello stare in gruppo: ci sono spallate, spinte e Doni si sposta appena qualche atleta vuole farsi strada in mezzo al plotone: «Letizia Paternoster mi ha fatto da mamma, mi ha aiutato a mettere il numero, mi ha spiegato che dovevo provare a tenere la posizione e che una ciclista non cede mai il posto che ha conquistato. Poi arriva la fatica ed a me la fatica piace, entusiasma cercare il miglioramento, mettermi alla prova». La gara termina, Chiara arriva sessantasettesima e le voci della gente si fanno sentire : «Motorone, motorone e poi arriva oltre il sessantesimo posto?».
Cita questa, ma ce ne sono molte altre a cui si sforza di non pensare: «Sanno che sono caduta? Che la mia bici non frenava? Ho fatto tutta la gara con l'angoscia di andare addosso a qualcuno, di provocare una caduta. A San Luca non funzionava il cambio, mi è scesa la catena, un signore ha cercato di aiutarmi ma c'era poco da fare. Sono ripartita con la bici di scorta, anche se, a quel punto, avrei potuto tranquillamente ritirarmi, non l'ho fatto, perché non volevo un DNF nella mia prima e forse unica volta al Giro dell'Emilia, e, nonostante i crampi, sono andata a riprendere atlete che mi avevano superato. Questo chi critica non lo sa. Purtroppo c'è ignoranza, non ci si rende conto di quanto possa far male un giudizio non pesato, molte persone, poi, parlano per frustrazione personale. Credo che si debba davvero dare retta a poche persone: ascoltare tutti, ma capire quali parole fare proprie e quali invece ci avvelenano. Noi affidiamo tutto ai social, ma le persone non sono come appaiono su Instagram, quello è, di fatto, un modo per nascondersi».
Chiara Doni si chiede cosa avrebbe potuto dire oggi, se quelle gare fossero andate diversamente, se avesse avuto tra le mani quel contratto che invece non avrà. Parla di due ferite, la Zwift Academy e questa avventura, ferite che, come sempre, sono andate ad incidere nei sogni, nelle cose a cui più si è legati. Ferite che, spesso, sono connesse a quel che si è, a quel che si fa: «In discesa, qualche volta ho pensato di lasciare andare di più i freni, ma, proprio in quell'istante, mi veniva in mente il mio lavoro, il fatto che, se fossi caduta facendomi male, sarebbe stato un problema ed il giorno dopo mi aspettavano in ufficio. Non posso negarlo, nella mia testa c'era anche questo». Ma, nonostante le ferite, la bicicletta resta importante nella quotidianità di Chiara ed in quel mondo continua a credere ci sia un posto anche per lei, senza farsi spaventare eccessivamente dalle paure, perché, altrimenti, non varrebbe la pena esserci, avere la possibilità di fare, di impegnarsi. Questo è il punto e Chiara Doni lo racconta con convinzione, mentre ci saluta: «Sono insicura, ma ho imparato a battermi per le cose in cui credo, per far sentire la mia voce e spronare chi ha un dono, un talento, a non lasciare perdere. La storia di Luca Vergallito la conosciamo tutti».
Il questionario cicloproustiano di Giovanni Bortoluzzi
Il tratto principale del tuo carattere?
Tranquillo.
Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Sincerità.
Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
Fedeltà.
Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
La comprensione che hanno del mio mondo/lavoro.
Il tuo peggior difetto?
Se mi impunto su di una cosa, trascuro le altre.
Il tuo hobby o passatempo preferito?
In questo momento credo i film.
Cosa sogni per la tua felicità?
Una famiglia e una casa mia (dopo un bel po' di vittorie però).
Cosa vorresti essere?
Saetta McQueen.
In che paese/nazione vorresti vivere?
America.
Il tuo colore preferito?
Azzurro.
Il tuo animale preferito?
Non so se è il mio animale preferito in assoluto ma l’aquila mi da quel senso di libertà da quando sono piccolo.
Il tuo scrittore preferito?
Non leggo abbastanza per dirlo.
Il tuo film preferito?
Genio ribelle.
Il tuo musicista o gruppo preferito?
Attualmente Naska.
Il tuo corridore preferito?
Mathieu van der Poel.
Un eroe nella tua vita reale?
L’inventore della Nutella.
Una tua eroina nella vita reale?
Ho sempre stimato la Regina Elisabetta.
Il tuo nome preferito?
Ovviamente il mio.
Cosa detesti?
Salire in macchina d’inverno, ché fa freddissimo.
L’impresa storica che ammiri di più?
Il cavallo di Troia.
L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Froome al Giro 2018… Anche se l’Amstel di Mathieu nel 2019 è stata qualcosa di assurdo.
Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Coppa Città di San Daniele.
Un dono che vorresti avere?
Fermezza.
Come ti senti attualmente?
Pronto per andare in vacanza.
Lascia scritto il tuo motto della vita.
“Bruciare le navi” loc. v. precludersi ogni possibilità di ripensamento rispetto a una decisione presa. Credo che per il significato che ha e per la storia che c’è dietro, sia un bel motto da tenere a mente.
Questionario cicloproustiano di Federica Venturelli
Il tratto principale del tuo carattere?
La determinazione
Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
La simpatia
Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
La sincerità
Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
La lealtà
Il tuo peggior difetto?
La pignoleria
Il tuo hobby o passatempo preferito?
La lettura
Cosa sogni per la tua felicità?
Vincere un Campionato del Mondo élite
Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
Dover abbandonare il ciclismo a causa di un infortunio
Cosa vorresti essere?
Ciò che sono, sono soddisfatta di quello che ho
In che paese/nazione vorresti vivere?
In Italia
Il tuo colore preferito?
Verde
Il tuo animale preferito?
Il pinguino
Il tuo scrittore preferito?
Non saprei scegliere tra Gianrico Carofiglio, Dan Brown e Giacomo Leopardi
Il tuo film preferito?
Nickname: enigmista
Il tuo musicista o gruppo preferito?
Pinguini Tattici Nucleari
Il tuo corridore preferito?
Mathieu van der Poel
Un eroe nella tua vita reale?
Giovanni Falcone
Una tua eroina nella vita reale?
Mary Wollstonecraft
Il tuo nome preferito?
Ilaria
Cosa detesti?
La vanità
Un personaggio della storia che odi più di tutti?
Bruto
L’impresa storica che ammiri di più?
La circumnavigazione del globo
L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Vittoria di van der Poel all'Amstel Gold Race 2019
Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Parigi-Roubaix
Un dono che vorresti avere?
Essere brava a cantare
Come ti senti attualmente?
Stressata
Lascia scritto il tuo motto della vita
“Se tu segui tua stella, non puoi fallire a glorioso porto” (Dante, canto XV Inferno)
Nairoman - Il ritorno
22 anni compiuti da meno di un mese: poco più che teenager. Preparato mentalmente sin dalla vigilia a quel finale di gara: «Sapevo di dover dare tutto in discesa». Uno scalatore così convinto dei propri mezzi, da sembrare spavaldo, temerario. Generoso. Convinto di ciò che c’è da sapere per emergere, corridore che da lì in poi avrebbe lasciato una traccia importante “quando la strada s’impenna”, verrebbe da dire. Vinse la tappa con arrivo sulla Sierra de Espuña, Vuelta a Murcia: era il suo primo successo da professionista. Staccò Tiernan-Locke (lo ricordate?) in salita, si difese in discesa, precedette sul traguardo Wouter Poels di una manciata di secondi, vinse poi anche la classifica finale della breve corsa a tappe spagnola. Da lì in poi avrebbe ottenuto tanti successi, non troppo diversi tra loro: il filo conduttore sarebbe stata la salita come mezzo per arrivare anche alle classifiche generali; salita, ma non per forza altissima montagna - chiuse proprio quel 2012 vincendo al Giro dell’Emilia, un traguardo durissimo per pendenze ma non di certo altitudine in stile Everest, dimostrando al mondo come uno scalatore colombiano avrebbe potuto fare altro, non solo vincere lì, dove osano le aquile.
Proseguì facendo incetta di traguardi di un certo peso: prima del Giro dell'Emilia, siamo sempre nel 2012, si sbloccò nel circuito World Tour: tappa al Delfinato. Uno stile che ancora doveva affinarsi, rapporto duro come piace ai puristi, seduto a macinare dopo essersi alzato per un attimo sulla sella, leggermente barcollante di spalle e con le ginocchia larghe, quel giovane colombiano iniziò a fare breccia nel cuore dei tifosi e in quello dei suoi dirigenti. La maglia della Movistar, così diversa da un punto di vista cromatico da quella che vediamo oggi, portata quasi svolazzante sulla schiena magra, di quella magrezza non malata, leggermente tisico, sì, ma come chi ancora doveva formarsi del tutto fisicamente. Unzue, storico team manager della squadra spagnola, dopo quel successo, ai microfoni non nascondeva come l’obiettivo dell’imperscrutabile giovane scalatore fosse già la Vuelta, nonostante la poca esperienza maturata tra i professionisti. Andò bene, non in maniera eccezionale in realtà, alla fine si tenne a galla per Valverde, alla fine chiuse 36° in classifica generale facendo 6° nella tappa di Cuitu Negro, manifesto al ciclogaragismo spagnolo. Una rampa con punte al 24% ottenuta asfaltando una vecchia pista da sci. Doveva essere una sfida Contador contro Purito Rodriguez, ma Valverde riuscì a tenere duro perdendo pochissimo dai due grandi favoriti di quella Vuelta, grazie soprattutto all’aiuto «di un giovane e promettente colombiano che gli pedalò di fianco per quasi tutta la giornata».
Nel 2013 la prima promessa fatta al Tour de France venne mantenuta e si racconta come quella prestazione «fece addolcire il tono di voce di Eusebio Unzue»; la promessa venne mantenuta salendo verso Annecy: vittoria di tappa al Tour de France e su di lui Unzue si sbilanciò: «La cosa che mi colpisce di più di questo corridore è la capacità di leggere la corsa. In questo mi ricorda Indurain. Ha carattere anche se a vederlo potrebbe non sembrare. Non teme nemmeno i belgi di due metri che gli corrono di fianco. Una volta ha tirato una borraccia in testa a uno perché questo rischiò di prenderlo in pieno, c’è anche un episodio in cui è andato a parlare a quattrocchi fino al pullman con un altro corridore». In quel Tour, oltre alla tappa vinta sull’inedito arrivo di Semnoz, Quintana vestirà la maglia bianca e quella a pois, salendo sul podio finale dietro a Chris Froome, al suo primo dei quattro Tour vinti, davanti a Purito Rodriguez e Contador. A soli 23 anni. Si sciolse, lui che a dispetto del suo sguardo impenetrabile è sempre stato definito uno dei più scherzosi in squadra. Pianse a fine tappa dedicando la vittoria all’ultimo colombiano a pois prima di lui: Mauricio Soler. « Ho al collo una medaglia che mi ha regalato come portafortuna», le sue parole.
Vinse il Giro d’Italia nel 2014, la Vuelta nel 2016, salì ancora sul podio al Tour de France, vestendo anche la maglia bianca di miglior giovane che appariva, addosso a quel colombiano con la faccia da vecchio, quasi un ossimoro ciclistico. Podi, tappe, maglie bianche oppure a pois, ma spesso sacrificato dalla sua squadra, la Movistar, in nome di quel Totem che portava il nome di Alejandro Valverde. Ogni qualvolta si muoveva divideva, e per anni la sua carriera è stata tutta un’etichetta. Se per Unzue era “come Indurain”, per Greg Lemond era “il nuovo Merckx”; “un incompiuto” da una parte i detrattori, i traditi, quelli che pensavano che Nairo Quintana potesse diventare il primo colombiano a vincere il Tour de France, dopo essere stato il primo a vincere il Giro, il secondo a vincere la Vuelta. Come se poi arrivarci così vicino fosse un’onta.
Il peso delle etichette difficilmente hanno scalfito il corridore. Nomignoli come “la sfinge” non gli sono mai dispiaciuti, come il tentativo di vedere in lui un supereroe costruito e poi destrutturato come in una sceneggiatura di Alan Moore: “Nairoman” lo chiamano ancora anche in Colombia dove resta un’autentica superstar.
“Il più forte colombiano della storia”: tifosi, ma non solo, tutto sommato numeri alla mano non ci siamo andati troppo lontano. Passato professionista nel 2012, due anni dopo aver portato la Colombia, a distanza di 25 anni dall’ultimo successo, al primo posto del Tour de l’Avenir, fino al 2022 ha vinto 51 volte: che dite? mica male per uno scalatore? Certo, ma bisognerebbe forse sottolinearlo di più. Lui che semplice scalatore non è mai stato. Vincere un grande giro è roba per corridori completi: lui nelle corse a tappe ha sempre dimostrato di essere attento anche quando davanti si battagliava tra i ventagli o si attaccava in discesa. Al suo apice è stato capace anche di difendersi a cronometro. Fino al 2022, dicevamo, perché poi all’improvviso la sua storia ha una brusca frenata. Si torna nel campo della controversia quando al Tour del 2022 viene trovato positivo al tramadolo e quel suo sesto posto finale viene cancellato. Licenziato dalla squadra, ha subito un anno di stop forzato, un ban silente, si direbbe. Fra pochi mesi lo rivedremo in azione, di nuovo in maglia Movistar «principalmente per aiutare Mas nei Grandi Giri» afferma sempre Unzue. Lui intanto appare in forma, si è allenato come non mai, dice, e in un ciclismo sempre più fatto da giovinastri esplosivi, non dispiace rivedere di nuovo il suo nome al via, che giovinastro che marcava differenza in salita lo è stato e forse lo vuole essere ancora. Anche a voi è mancato?
Foto in evidenza: ASO/PAuline Ballet
Il questionario cicloproustiano di Daniel Skerl
Qual è Il tratto principale del tuo carattere?
Vivacità e loquacità.
Quale è la qualità che apprezzi in un uomo?
Simpaticità, estroversione e onestà.
Quale è la qualità che apprezzi in una donna?
Se ci piacciamo reciprocamente.
Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
Il tempo che passano insieme a me.
Il tuo peggior difetto?
La pigrizia.
Il tuo hobby o passatempo preferito?
Il motorsport.
Cosa sogni per la tua felicità?
Una famiglia felice.
Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
Se mi nasce un figlio disabile.
Cosa vorresti essere?
Un figlio che ha reso i propri genitori orgogliosi e un padre ammirato dai propri figli.
In che paese/nazione vorresti vivere?
Opicina.
Il tuo colore preferito?
Rosso.
Il tuo animale preferito?
Il gatto.
Il tuo film preferito?
Cars (il primo).
Il tuo corridore preferito?
Nairo Quintana.
Un eroe nella tua vita reale?
Mio papà.
Una tua eroina nella vita reale?
Mia mamma.
Il tuo nome preferito?
Daniel.
Cosa detesti?
Se non posso fare ciò che vorrei e/o mi piacerebbe.
Un personaggio della storia che odi più di tutti?
Josef Mengele.
L’impresa storica che ammiri di più?
L’invenzione del motore a scoppio.
L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Froome Giro 2018.
Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Milano - Sanremo.
Un dono che vorresti avere?
Non lo so.
Come ti senti attualmente?
Parzialmente realizzato.
Lascia scritto il tuo motto della vita.
In life you make decisions and you don’t look back.
Matilde Vitillo: crescendo e cercando
Matilde Vitillo sta raccontando della sorella più piccola, dieci anni in meno, che già ora si cimenta con il ciclismo. La frase è veloce e quasi scivola via nella conversazione, però è importante, così la memorizziamo e torniamo a rifletterci pochi istanti dopo: «A quell'età, il ciclismo serve soprattutto per imparare a perdere». Già, ma cosa significa imparare a perdere e soprattutto perché è tanto importante.
«Significa che nella vita, nonostante le molte similitudini, le cose sono più complesse che in una gara di ciclismo, soprattutto la vita non è una di quelle gare in cui si vince: la coppa, i fiori, il podio, gli applausi, non sono all'ordine del giorno. Anzi, spesso non ci sono proprio. Di vincere non capita molte volte, ma fare i conti con la vittoria, fuori dalla metafora, con quel che ci riesce semplice, con quello in cui riusciamo bene, è molto più facile. Quando le cose vanno bene, del resto, è sempre facile. Il punto è che, soprattutto nella società di oggi, si ha un disperato bisogno di sapere perdere, di riconoscere il valore della sconfitta e degli sconfitti. Credo che si debba imparare da bambini, perché da adulti non si impara più. E crescere convinti che conti solo vincere, impreparati ai fallimenti, alle delusioni, è un grosso problema. Non si impara, si molla, si lascia perdere appena si soffre, si resta scottati. Le prime gare in bicicletta, quelle in cui si perde sempre, te lo fanno capire molto bene». Vitillo accompagna tante volte la sorella alle gare e vede i genitori dei bambini riversare molte pressioni sulla loro prova, sul risultato, su quel che fanno o non fanno: si chiede il perché, si ricorda che lei queste pressioni non le ha mai avute e alla sorella, che, per carattere, tende a preoccuparsi, cerca di spiegarlo.
Per lei, poi, perdere, da bambina, era una cosa naturale, la definisce proprio così: si allenava solo quando poteva, talvolta andava alle gare senza prepararsi, non si aspettava molto, non si aspettava quasi nulla e tutto quello che arrivava era un di più. A fine gara, dice, era sempre contenta. La sconfitta vera, quella che fa stare male, che non fa dormire, l'ha conosciuta qualche anno dopo, da juniores secondo anno, in una cronometro. Era andata anche in ricognizione sul percorso perché teneva particolarmente a fare bene e tutto sembrava perfetto: «In curva, ho provato a superare una ragazza. Sono scivolata e finita malamente a terra, in un'aiuola, dall'altra parte della strada: a pezzi, sia per le ferite che per il morale. Mi è dispiaciuto, certo, ma, alla fine, cosa fare? Salvare il buono, senza lamentarsi troppo. Ora non farei più quel sorpasso. Ho imparato». Ripensandoci ride e il suo sembra ottimismo, in realtà, di lì a poco, ci confesserà di essere di indole pessimista, di pensare molto a quello che potrebbe non andare, di non avere quasi mai, prima di una corsa, la sensazione di poter vincere facilmente, di avere la gamba. Forse fa parte dell'introversione, sicuramente l'aiuta perché ancora oggi, come da bambina, a fine gara riesce a essere soddisfatta, qualunque cosa sia successa. A focalizzarsi sulla parte positiva e guardare oltre.
Classe 2001, di Frinco, Asti, al ciclismo non pensava proprio. Con i fratelli ha sempre fatto sport e spesso, quasi sempre, tutti e tre facevano lo stesso sport, che fosse il tennis, lo sci ed anche la danza classica. Solo una volta, Matilde Vitillo non ne voleva proprio sapere dello sport intrapreso dal fratello: la volta in cui, quello sport, era il ciclismo. «No, non lo praticherò mai. Io continuo a fare danza classica». Sì, disse proprio così, convinta. Servì poco meno di un anno per provare e decidere che la sua strada era questa: «Due parole: odi et amo. Non ci avrei mai pensato, non volevo nemmeno iniziare e ora fatico a pensarmi se non ciclista». Gioco di contrasti, come la prima volta in pista, stranamente con una bici con i freni, che rende tutto ancora più pericoloso: una brutta caduta, tirando i freni mentre si trova fra due biciclette, per paura. Catapultata in avanti, ammaccata e intimorita.
«Ricordo come ora il momento in cui il Commissario Tecnico della Regione mi accompagnò negli spogliatoi e mi aiutò a togliere la polvere dalle ferite. Mi segnarono quegli istanti, fu molto difficile e, fosse stato per me, non sarei più tornata in pista. Quel C.T. mi fece capire che dovevo riprovare: non potevo fuggire, scappare. Riprovai». La pista le ha insegnato la tattica, l'essere pronta, attenta, a gestire lo stress. Le piace, in particolare la corsa a punti, i risultati arrivano, ma lei non si sente una pistard, non è quella la sua vocazione. Si sente una passista-scalatrice: ama la fuga, ma sulle montagne deve tornare, per migliorare. Da giovane era già brava, è solo questione di recuperare quelle sensazioni. In pista invece vuole lavorare sulla resistenza.
Se non avesse fatto la ciclista, forse avrebbe studiato architettura o qualcosa di simile. Ci ha pensato anche quando si è trattato di iscriversi all'università, ma è un percorso difficile da portare avanti correndo in bicicletta. «Ed io so correre in bicicletta, non so cosa altro potrei fare»: un appunto messo lì, significativo, genuino. Nel periodo della scuola, pensava più alle gare in bici che allo studio e oggi si chiede se fosse giusto: sicuramente ha vissuto meglio lo studio grazie al ciclismo, a quei momenti di sfogo, di libertà. Che potesse diventare un lavoro l'ha capito grazie ad una convocazione in nazionale, da junior: «Erano dei test, nemmeno una gara. Ed io, pessimista come al solito, ero certa che avrei deluso le aspettative. Però, vedi, anche in quell'occasione mi sforzavo di trovare qualcosa di positivo: "Male che vada, avrai comunque un body della nazionale a casa". Mi salvavo così». Evidentemente non andò male.
L'anno scorso è stato da ricordare. Matilde Vitillo è emersa come una rivelazione, vari risultati importanti, soprattutto una vittoria, a la Vuelta a Burgos. I pensieri che volano, su come confermarsi, sul fatto che il 2023 sarebbe stato l'anno della consacrazione, di un passaggio importante. Purtroppo il 2023, per una serie di circostanze e vari problemi fisici, l'ha delusa: si aspettava di più.
In Be-Pink c'è Walter Zini, colui che le ha insegnato praticamente tutto del ciclismo, con una visione di gara perfetta, anche dall'ammiraglia: «Walter è molto duro, rigido, ma non sbaglia un colpo. Quando ti dice di attaccare, puoi farlo ad occhi chiusi, perché è il momento giusto. Sigrid Corneo ha, invece, sempre rappresentato la parte di comprensione: "Basta l'impegno, poi quel che succede succede". Non so quale approccio preferisca, so che mi sono serviti entrambi per essere quella che sono oggi. Non è stato facile, ma ho deciso di cambiare squadra, di proseguire il percorso». Percorso è una parola chiave per Vitillo, che non parla di gare sognate o di traguardi, ma riflette molto sul continuare a crescere ed in ogni valutazione guarda il percorso più del risultato. Anche ora che deve confrontarsi con la fiducia che il nuovo team le ha consegnato: una fiducia di cui è felice, una fiducia che ha anche paura di deludere, com'è normale che sia.
Non parla nemmeno di sacrifici, ma di stile di vita, quello dei ciclisti, in cui si riconosce. Parla invece di fatica, essenziale, e dei suoi fratelli che la seguono ovunque e, se non possono partire, sono davanti ad uno schermo: loro che sono stati corridori e capiscono meglio di chiunque altro quel che prova. Nel suo vocabolario c'è anche la parola provare: da quella richiesta del team del politecnico di Torino, per testare un prototipo di bicicletta reclinata, una bicicletta su cui si corre da sdraiati: con una corona da 108 denti e un pacco pignoni da dodici velocità. «Non vedi fuori, se non attraverso degli schermi posti all'interno. Vieni lanciata ai dieci, quindici chilometri orari, poi inizi a pedalare, puoi raggiungere velocità altissime, fino ai 120 all'ora. Posso assicurare che è bellissimo: l'ho provato grazie al team policumbent, in Nevada, a "World Human Powered Speed Challenge". Ne sono grata». Un altro pezzo di percorso, per crescere.
Non ha mai avuto idoli o modelli nel ciclismo: spiega che è una domanda a cui non ha mai risposto. «Mai, tranne oggi. Perché quello che ha fatto Lotte Kopecky nell'ultimo anno mi ha toccato molto. Mi sono sentita e mi sento ispirata da lei: non solo per la ciclista che è, ma per la persona che ha dimostrato di essere. Per la sua semplicità e per come ha affrontato una perdita difficile, un grande dolore. Quindi, sì, da quest'anno ho un modello: è Lotte Kopecky». Sempre crescendo e cercando.
Il questionario cicloproustiano di Elena Bissolati
Il tratto principale del tuo carattere?
Testarda, determinata
Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Simpatia, essere premuroso e socievole
Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
Personalità, semplicità
Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
Stima, rispetto e pazzia
Il tuo peggior difetto?
Impulsiva, a volte impaziente
Il tuo hobby o passatempo preferito?
Ascoltare musica, disegnare, uscire con amici, guardare film/serie tv
Cosa sogni per la tua felicità?
Di non aver rimpianti e di godermi ogni cosa che faccio con serenità
Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
Per scaramanzia meglio non pensarci
Cosa vorresti essere?
Un animale
In che paese/nazione vorresti vivere?
Sono tradizionalista, mi piace il paese in cui vivo
Il tuo colore preferito?
Verde
Il tuo animale preferito?
La pantera
Il tuo scrittore preferito?
Non ne ho uno preferito, mi piace leggere thriller/gialli, narrativa/suspense
Il tuo film preferito?
Ce ne sono tanti... The others, Miglio Verde, Genio ribelle, Sette anime ed i "fantasy" come Harry Potter, La bussola d'oro, I pirati dei caraibi...e, come serie tv, Stranger Things
Il tuo musicista o gruppo preferito?
Linkin Park
Il tuo corridore preferito?
Kristina Vogel
Un eroe nella tua vita reale?
Mio papà e mio fratello
Una tua eroina nella vita reale?
Mamma
Il tuo nome preferito?
Marco
Cosa detesti?
La falsità e l'incoerenza
Un personaggio della storia che odi più di tutti?
Hitler
L’impresa storica che ammiri di più?
Il diritto al voto delle donne
L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Europei e mondiali in pista
Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Da quella che devo ancora fare
Un dono che vorresti avere?
L'invisibilità
Come ti senti attualmente?
Serena
Lascia scritto il tuo motto della vita
Tutto arriva al momento giusto. Sii paziente
Il questionario cicloproustiano di Sofia Bertizzolo
Il tratto principale del tuo carattere?
Decisione
Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Intraprendenza
Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
Praticità
Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
Sincerità
Il tuo peggior difetto?
Schiettezza
Il tuo hobby o passatempo preferito?
Curare il verde
Cosa sogni per la tua felicità?
La salute fisica e mentale delle persone a cui voglio bene
Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
La morte
Cosa vorresti essere?
Un gabbiano per volare sul mare
In che paese/nazione vorresti vivere?
Italia
Il tuo colore preferito?
Rosso
Il tuo animale preferito?
Leone
Il tuo scrittore preferito?
Non ne ho uno in particolare
Il tuo film preferito?
Il ciclone
Il tuo musicista o gruppo preferito?
Maneskin
Il tuo corridore preferito?
Non ne ho uno
Un eroe nella tua vita reale?
Nonno Vittorio
Una tua eroina nella vita reale?
La mia prima allenatrice donna, Fabiana
Il tuo nome preferito?
Eros
Cosa detesti?
Le persone indecise e il sushi
L’impresa storica che ammiri di più?
La Resistenza partigiana della Seconda Guerra Mondiale
L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Annemiek Van Vleuten che vince la "Course" con una rimonta incredibile su Van der Breggen. Mi sembra che fosse il 2018
Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Tutte le corse in cui vesto la maglia azzurra
Un dono che vorresti avere?
Essere sorda a comando per non sentire certi commenti infelici sulle donne
Come ti senti attualmente?
Libera e leggera
Lascia scritto il tuo motto della vita
L'esperienza conta più della grammatica
Il questionario cicloproustiano di Claudia Cretti
Il tratto principale del tuo carattere?
Sono una ragazza simpatica, sempre pronta ad una battuta e socievole
Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Degli uomini non considero molto la bellezza ma la capacità di ragionare e nel modo in cui usa la testa
Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
Delle donne noto subito se c'è una forte intesa
Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
La qualità migliore dei miei amici è quella di essermi stati vicino nei momenti più bui della mia vita e anche quelli di gioia e soddisfazione
Il tuo peggior difetto?
Si nota sia dal volto che da come parlo quando mi arrabbio
Il tuo hobby o passatempo preferito?
Amo leggere e ascoltare la musica, quando ho l'occasione mi piace andare nei musei e a volte ad un concerto
Cosa sogni per la tua felicità?
Dimostrare il mio valore e la mia forza nelle gare più importanti all'estero e viaggiare per conoscere la storia e la cultura delle persone fuori dall'Italia
Quale sarebbe per te la più grande disgrazia?
La scomparsa di una tra le persone a cui tengo molto
Cosa vorresti essere?
La sportiva più conosciuta in Italia
In che paese/nazione vorresti vivere?
Vorrei abitare o in Belgio o in Olanda: due paesi in cui rispettano ogni ciclista, pensano che il ciclismo sia lo sport migliore al mondo e utilizzano la bici sia per andare al lavoro, che per la spesa o per portare i nipoti /figli a scuola
Il tuo colore preferito?
Blu/fucsia
Il tuo animale preferito?
Cane, ti accompagna sempre
Il tuo scrittore preferito?
Ken Follet
Il tuo film preferito?
Ne ho visti molti, uno più bello dell'altro; forse uno tra i migliori è "La casa degli spiriti"
Il tuo musicista o gruppo preferito?
Vasco Rossi è il mio preferito, ma ascolto anche diversi generi: AC/DC, Beatles, Billie Eilish, Meduza
Il tuo corridore preferito?
Marco Pantani, ho iniziato ad andare in bici vedendolo alzare le braccia dopo gli arrivi con salite dure
Un eroe nella tua vita reale?
Giuseppe un poliziotto che ha contribuito a salvarmi la vita, rischiando la sua
Il tuo nome preferito?
Celeste
Cosa detesti?
Chi insulta e alcuni tipi di cibo
Un personaggio della storia che odi più di tutti?
Hitler
L'impresa storica che ammiri di più?
Nascita dei libri stampati: Gutenberg
L'impresa ciclistica che ricordi di più?
La mia vittoria agli Europei in pista a soltanto 17 anni
Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Dai mondiali. Si finiscono sia nel bene che nel male
Un dono che vorresti avere?
Capire bene le persone con cui parlo e che frequento
Come ti senti attualmente?
Felice dei miei risultati, ma pronta ad alzare l'asticella per puntare più in alto l'anno prossimo
Lascia scritto il motto della tua vita?
Ad maiora
Il questionario cicloproustiano di Elisa Longo Borghini
Il tratto principale del tuo carattere?
Determinazione.
Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Onestà.
Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
Onestà.
Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
La loro capacità di farmi sorridere e di farmi stare bene.
Il tuo peggior difetto?
Ho la memoria troppo lunga.
Il tuo hobby o passatempo preferito?
Leggere. Ma anche "fare niente", perché adesso a tutti piace dire che hanno mille hobby. A me piace anche riposare.
Cosa sogni per la tua felicità?
Avere l'orto.
Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
Perdere la memoria.
Cosa vorresti essere?
Il vento.
In che paese/nazione vorresti vivere?
Norvegia
Il tuo colore preferito?
Blu elettrico.
Il tuo animale preferito?
Il cane e l'asino.
Il tuo scrittore preferito?
Carlos Ruiz Zafón
Il tuo film preferito?
City of angels
Il tuo musicista o gruppo preferito?
Imagine Dragons / The Coldplay
Il tuo corridore preferito?
Mr G! Thomas!
Un eroe nella tua vita reale?
Mio papà.
Una tua eroina nella vita reale?
Rita Levi- Montalcini
Il tuo nome preferito?
Alessandro
Cosa detesti?
L'ananas sulla pizza
Un personaggio della storia che odi più di tutti?
Gavrilo Princip, anche se la Prima Guerra Mondiale sarebbe iniziata lo stesso.
L’impresa storica che ammiri di più?
La Resistenza.
L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Chris Froome sul Colle delle finestre, Giro 2018
Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Tour de France
Un dono che vorresti avere?
Un figlio, in futuro.
Come ti senti attualmente?
Assonnata.
Lascia scritto il tuo motto della vita
"Non maledire il buio, accendi una candela!"