Scalo sogni: cosa può fare una bicicletta

Il viaggio di Ettore Campana è iniziato come quasi tutti i viaggi: dalla mente e dalla fantasia. Ettore, trent'anni, di Brescia, forse, non avrebbe nemmeno pensato che quell'idea sarebbe potuta diventare reale e, fino ad un certo punto, pareva non ci fossero neppure le condizioni per realizzarla o, quanto meno, per realizzarla proprio come l'aveva immaginata. Fino a che, un giorno, dopo aver rimandato più volte, Campana si è detto quel che spesso ci si dice, o ci si dovrebbe dire, quando si sceglie di partire: «Inizio il viaggio e, sulla strada, scoprirò il resto, lo affronterò». La frase che rompe gli indugi e porta in sella. Anche perché, il viaggio di Ettore Campana non appartiene solo a lui: l'idea è quella di un progetto dedicato ai bambini ricoverati nel reparto di Oncoematologia pediatrica dell'Ospedale di Brescia, per spronarli, attraverso un'avventura, a credere in loro stessi, nella possibilità di andare oltre i momenti difficili, facendo leva sul buon umore. Un'avventura perché ai bambini l'avventura piace, perché leggono avventure, sognano avventure ed un'avventura perché si scalano montagne, con solo una bicicletta su cui è fissata l'attrezzatura completa da alpinismo e scialpinismo.

«Quando sono andato in ospedale a trovare i bambini ricoverati, ho raccontato del mio viaggio e di quelle vette a cui sarei arrivato: ho visto come mi guardavano, anche la loro mente aveva iniziato a viaggiare. Le bandierine che ho portato con me sono servite ad alimentare quel viaggio: i bambini le hanno firmate tutte, sapendo che la loro firma, il loro nome, sarebbe venuto con me in cima, che anche loro, in un modo o nell'altro, avrebbero partecipato a questa scalata e così è stato. Sui monti, quelle bandierine sventolano ancora». Il messaggio è chiaro: come Ettore ha conquistato le vette, insistendo, sopportando la fatica e continuando a crederci, così devono ricordarsi di fare quei bambini nella quotidianità. Non è un caso il nome "Scalo sogni": scalo è il luogo in cui si approda, in cui si raggiunge la meta, finale o provvisoria: qui approda un uomo e approdano i sogni di chi, almeno con la mente, lo accompagna nel percorso. In totale, Ettore Campana percorrerà 2800 chilometri, di cui 2450 in bicicletta, con un dislivello totale di 37500 metri, con sedici colli alpini saliti in bicicletta, tra cui Stelvio, Gran San Bernardo, Forclaz, Cormet de Roselend e 33 cime scalate: il tutto in due mesi, dal 15 aprile al 13 giugno, tra Italia, Svizzera e Francia.

Il filo conduttore è stata la fatica che, ci spiega Campana, è la sensazione attraverso cui le cose restano: «Se togli la fatica, togli l'essenza. Credo sia importante il senso di fatica in quel che viviamo, nell'esplorazione del mondo, a piedi o in bicicletta, altrimenti sembra tutto scontato e le cose scontate non si fanno ricordare». Le scalate, all'inizio, sono qualcosa di lontano, a cui non si pensa, se non come possibilità, è il cervello umano a concentrarsi su pochi traguardi alla volta, a vedere solo una parte del tutto, soprattutto quando il tutto è così grande: «Pensavo solo a godermi il paesaggio ed ogni pedalata, almeno nei primi giorni. Ho imparato anche a fare così, perché le prime volte prevale la fretta di arrivare ed il resto si dimentica. Invece il percorso va valorizzato, come è da valorizzare la bicicletta, bisogna capire che mezzo straordinario sia e quante cose possa fare, quanto possa aiutare, essere d'ispirazione».

Il gruppo whatsapp creato da Campana ed i contatti continui con i genitori ed i bambini sono stati un modello a cui ispirarsi: «I bambini volevano sapere dove mi trovavo, volevano vedere foto e seguire il percorso delle bandierine firmate prima della partenza: è lo spirito di gruppo, il sentirsi parte di un progetto, il condividere un obiettivo e una meta, che incoraggia entrambe le parti nel loro tragitto. Un grosso aiuto, quando si è in difficoltà». Mentre si è ospedale, oppure mentre si sta scalando una montagna: «La conquista di una vetta è un tema delicato. Spesso si parla di "conquista dell'inutile" perché, se ci pensiamo, cosa resta dopo la discesa? Sembrerebbe effettivamente un vuoto, dopo il raggiungimento di quel che si desiderava. Non lo è: grazie all'abnegazione e alla fatica, quel percorso permette di crescere e cambiare. Se si è fortunati, anche di cambiare un poco, magari alleggerendola, la realtà di qualcuno che sa di quella scalata, di quella vetta raggiunta».

Ettore Campana se ne è reso conto quando, al ritorno, in ospedale, in una stanza, sono state proiettate le immagini ed i video della sua avventura: «Anche gli infermieri ed i dipendenti dell'ospedale mi hanno ringraziato. Hanno detto che il pensare al mio tragitto ha reso più piacevoli le loro giornate in corsia. Ho visto genitori che, grazie a quel gruppo whatsapp, hanno iniziato a conoscersi, a parlare dei figli, a sentirsi meno soli ad affrontare un periodo buio. In fondo, è incredibile che solo con una bicicletta e tanta forza di volontà accadano queste cose. Sì, incredibile, ma vero». Serviranno altri giorni, perché Campana realizzi tutto quel che è stato il suo viaggio. Di certo, lo scalo sogni, l'approdo, è raggiunto.


La fucilata di Glasgow

Quando Mathieu van der Poel è partito, a poco più di ventidue chilometri dalla conclusione di una gara che non dimenticheremo mai, in un attimo ha cancellato tutto quello che stava accadendo. C’è stato silenzio. Poi un lampo che fa a fette il cielo. Lo abbiamo guardato per qualche frazione di secondo, ammirandolo, come poco prima con quell’arcobaleno che spuntava sopra Glasgow, quando Alberto Bettiol si era messo in testa un’idea folle che ci ha fatto sognare a lungo.

Quando Mathieu van der Poel è scattato, avevamo già immaginato l’epilogo di una giornata lunga, troppo assurda per essere vera, di quella che ci riempie la bocca di aggettivi, di metafore, similitudini. Di quelle frasi che ci sembra di ripetere troppe volte riferite al ciclismo di questi ultimi tempi.

Quando Mathieu van der Poel è partito, sapevamo che per tutti gli altri era finita, e che per lui si sarebbe chiuso un cerchio: campione del mondo, lui, il corridore più forte del mondo nelle corse di un giorno, davanti ai corridori più forti del mondo nelle corse di un giorno e non solo, in una giornata così esaltante da riempire le pagine di epica e retorica.

Quando Mathieu van der Poel è caduto, abbiamo bestemmiato, ma lui ha continuato a darci dentro. Sanguinante, con il boa della scarpetta strappato via con lucidità, ha rimesso sulla giusta carreggiata i nostri sentimenti impazziti, le emozioni che da quasi sette ore continuavano a vibrare incontrollabili dietro una delle corse più difficile da comprendere a nostra memoria.

Su un circuito, criticato all’inverosimile, così labirintico da faticare a trovarne l’uscita, Italia e Danimarca, compatte, spettacolari, prendevano la corsa per la coda e la agitavano senza rispetto sul fuoco alimentato da curve, controcurve, strappi. Lui, l’olandese, sornione, con quella maglia bianca che si faceva sempre più del colore della sua pelle, rimontava posizioni e pedalava con un solo obiettivo in mente: una cartuccia da sparare, letale. Mancavano centinaia di chilometri quando la gara esplodeva e si selezionava come non abbiamo mai visto nemmeno sulle salite dei grandi giri.

Quando Matteo Trentin, sempre davanti, attento, con gambe e motivazioni a mille, cadeva, abbiamo imprecato contro le ingiustizie del destino; quando Bettiol partiva ci siamo emozionati; quando lo hanno ripreso non abbiamo avuto il tempo di capire cosa stesse succedendo. Mathieu van der Poel scattava, dietro lui arrancavano van Aert, secondo alla fine, Pogačar, terzo al traguardo, a completare un podio visto di rado dalla nostra generazione, e Pedersen, quarto, battuto dal terribile (ex) ragazzo sloveno, insomma, quando Mathieu van der Poel scattava, tre grandi corridori capivano come si sarebbe lottato solo per tentare di spegnere il fuoco delle proprie ambizioni iridate. La grandezza di un corridore la si misura anche dagli avversari.

Quando è partita la fucilata di Glasgow, Mathieu van der Poel ci ha fatto saltare in piedi, ed eravamo quasi al termine di una giornata di ciclismo di quelle che… da domani sarà difficile trovarne una simile. Ha vinto il più forte, che ora, per tredici mesi, vestirà la più bella maglia del mondo. La giusta fine di una giornata di ciclismo indimenticabile. E pazienza se lo abbiamo scritto altre volte, oggi, di questo sport, si è fatta la storia.

Foto: Sprint Cycling Agency


Il Monumentale del Mondiale di ciclismo 2023

Un Mondiale ad agosto non lo ricordavamo più o forse è un errore del nostro sistema. Quest’anno abbiamo già superato, anzi non lo abbiamo nemmeno vissuto, quel momento di decompressione post Tour de France, nel quale piano piano si raccolgono le idee, si riacquistano forze mentali perché tanto, pensavamo - sbagliando -, che all’evento con in palio la maglia iridata manca ancora tempo. E invece non va così: niente più analisi della forma tra corse agostane e Vuelta. Un’idea su chi sta bene o meno tocca farsela tra Tour e San Sebastian - al massimo in qualche corsetta qua e là tra fine luglio e primissimi giorno del mese successivo. Straniti, sì, ma non per questo meno carichi per una prova in linea maschile che invece di chiudere la rassegna iridata, chiude il primo week end. Niente prova in linea a fine rassegna come accade di solito come fosse la maratona o le staffette nei mondiali di atletica. Lo smarrimento passa subito, però, ovvero quelle sensazioni di distacco della prima ora in cui sembra che di questo Mondiale in linea non te ne freghi abbastanza; lo smarrimento passa a pochi giorni, a poche ore dal via di una gara che - non ce ne vogliano le altre della prima manifestazione che comprende (quasi) tutte le discipline delle due ruote a pedali- catalizza la maggior parte delle attenzioni.

Quella gara che, almeno per chi scrive, resta la più importante dell’anno. Quella che ti fa sognare e immaginare mille e più svolgimenti. Perché le altre corse le conosciamo, il Mondiale, invece, è ogni anno qualcosa di diverso.

Se la Strade Bianche ha acquisito degno fascino, e la Milano-Sanremo resta - un po’ a fatica- corsa riferimento che apre il calendario primaverile; se il Fiandre è la Gara per antonomasia, quella che sintetizza tutto ciò che è il ciclismo - e non a caso quest’anno l’ha vinta il corridore più completo - se la Paris-Roubaix è la gara più folle e amata - se il Giro per noi è il Giro, e poi c’è il Tour che si prende tutto, ecco che il Mondiale in linea, vuoi per quel sogno di vestire la maglia iridata, vuoi perché per una volta vedi i corridori sfidarsi con la maglia della nazionale, vuoi perché ogni anno ti esalti nello scoprire nuovi tracciati, e mille altri motivi, ognuno ha il suo, resta la corsa con il maggiore fascino.

NEL MERITO DI GLASGOW 2023 - SVOLGIMENTO

E difatti si arriva a una domenica di agosto, la prima domenica di agosto, a parlare di inseguimento alla maglia iridata. Di un Mondiale 2023 che andrà a premiare corridori veloci ed esplosivi, dotati di fondo, ma con una caratteristica che spicca di più sulle altre: la capacità di saper limare. Un percorso che sembra fatto apposta per chi arriva dal ciclocross con una spiccata attitudine da flandristi, amstelisti e brabantisti; un disegno che definire accidentato potrebbe non spiegare completamente le insidie di un circuito di 14,3 km da percorrere per 10 volte con una cinquantina di curve e 8 strappetti cittadini. Un tracciato, completo del suo tratto in linea, che misura 271 km per oltre 3.500 metri di dislivello.

Abbiamo detto: limare, essere veloci e scaltri, l’idea è che un inseguimento compatto è praticamente impossibile e il rischio che una fuga con dentro pezzi pregiati della starting list possa partire e non essere più ripresa (perché poi anche tatticamente sarà una corsa difficile da gestire, non avendo le radioline a disposizione, le squadre si inventeranno i modi più disparati, dai pizzini, agli informatori lungo la strada e chissà che altro), anche quando all’arrivo mancheranno tanti giri, è concreta. L’insegnamento che danno quando inizi a fare ciclismo echeggia nelle menti dei ragazzi: “stare davanti!”, in ogni modo possibile, e questo aumenterà il nervosismo che su un tracciato così irrequieto (e veloce) rischia di vedere realizzati gli effetti di una Mentos dentro una bottiglia di Coca Cola. Bisognerà farsi trovare davanti, quindi, e vorranno farlo tutti, e bisognerà avere una particolare dimestichezza con l’uso del mezzo, capacità che verranno amplificate - o chissà, ridimensionate come dopo aver pescato una carta malus dal mazzo - nel caso di possibile (probabile da quello che dicono gli ultimi report) maltempo. E se le cadute fanno parte del gioco, qui rischiano di essere un fattore determinante: tra curve, transenne, marciapiedi, asfalto viscido, rischi che inevitabilmente verranno presi per stare davanti, il caos dei rifornimenti, insomma, si salvi chi può in questo terno al lotto.

IL PERCORSO

Il sempre ottimo profilo Twitter Domestique propone un dettagliato report analizzando per filo e per segno il tracciato delle gare in linea, in particolare della prova di domenica 6 agosto. Parte iniziale di 124 chilometri, da Edinburgo, piatta o quantomeno appena nervosa nel tratto di apertura, e poi due salitelle. La prima, 5,7 km al 3%, una sciocchezza per i professionisti, la seconda, Crow Road, 3,8 km al 5,4% di media: dalla cima mancheranno ancora 174 km, in pratica sarà un lungo riscaldamento in cui sorridere ai fotografi o lasciare andare la fuga con dentro nazionali che non fanno paura ai fini del risultato finale, prima di entrare nella città più grande della Scozia.

Abbiamo detto del circuito: 14,3 km da percorrere 10 volte dagli élite, quasi una cinquantina di curve a 90 gradi e 8 brevissimi strappetti che faranno la differenza e allungheranno il gruppo, lo sgraneranno, sin dal primo passaggio. Inevitabile.

Dopo il primo passaggio, niente tappeto steso sotto le ruote dei corridori, ma un tratto di lastricato in pieno centro: 1,2 km. Dovesse piovere sarebbe un macello. Da Glasgow ci raccontano che, quando piove, su questa superficie si rischia di scivolare pure camminando.

Poi gli strappi a caratterizzare il percorso:

St Vincent Street-Dogluas Street: 565 metri, media del 5%, massima del 12%, si scollina a 12 km dal traguardo. Come scrivono sempre i ragazzi di Domestique: la più lunga ma non la più dura del tracciato.

Gilmorehill: 230 metri di lunghezza, media del 4,3%, massima del 6,8%: cima a 9,7 km dal traguardo. Da qui inizia un estenuante su e giù.

University Avenue: 250 metri con una media del 5,9% e una massima del 7,4: siamo a 8,9 km dall’arrivo.

Great George Street: 325 metri, media del 7.6%, massima sopra l’11%: siamo a 7.9 km dall’arrivo. A seguire una breve ma ripidissima discesa.

Kelvingrove Park è la quinta salita del percorso, è lunga 398 metri, ha una media del 6,2% e una massima del 7,6%. Siamo a 6.900 metri dal traguardo ed è seguita da una serie di curve e controcurve e da strade strette che attraversano il parco.

Scott Street: segna il ritorno in centro città: 154 metri, cortissima ma spacca gambe con la sua percentuale massima del 22,8  e la media del 12,9. 5,5 km dall'arrivo.

Montrose Street: l’ultima (decisiva, se non lo saranno state quelle prima) e attesissima salita. Quella che porta chi vive o studia a Glasgow verso l'Università: 163 metri, 13,4 % la media, 15,2% la massima, si scollina a 1,4 km dal traguardo.

Breve discesa, due curve ad angolo retto e arrivo in George Square con la strada che negli ultimi 400 metri continua a scendere.

10 FAVORITI

Mathieu Van der Poel - Matteo Trentin - Wout Van Aert - Foto Dario BelingheriPhoto©2018

MATHIEU VAN DER POEL

Il percorso sembra sia nato dopo aver analizzato nel dettaglio in qualche laboratorio ultra specializzato le sue caratteristiche: il fatto di essere ciclocrossista, brabantista, amstelista, flandrista, di essere il più esplosivo in gruppo, di essere veloce, di saper guidare come pochi, di avere soluzioni diverse per vincere, lo pone favorito assoluto. Al Tour si è preparato bene per questo appuntamento. Facciamo prima così: può perderla solo lui.

WOUT VAN AERT

La nemesi vanderpoeliana che ha staccato dal Tour nel momento in cui Vingegaard metteva in cassaforte la seconda maglia gialla per volare a casa dal nuovo erede di casa van Aert venuto al mondo. Lo abbiamo visto con gli occhi stanchi e la barba incolta, lo vediamo bene domenica in maglia iridata per caratteristiche simili a quelle di van der Poel. Anche se il Belgio porta tre punte pensiamo che più di altre volte questa sarà la sua corsa e la sua nazionale.

MADS PEDERSEN

Un terzo incomodo che non ha nulla da invidiare ai due van, Mads Pedersen, da un paio di stagioni è ormai a tutti gli effetti uno degli interpreti delle corse di un giorno più forti al mondo. Percorso (quasi) perfetto per lui, fondista, veloce, capace di resistere sugli strappi brevi. Uscito forte dal Tour, e se si aggiunge la (probabile) pioggia prevista sul percorso, le sue quotazioni salgono.

CHRISTOPHE LAPORTE

Capitano della Francia, Laporte ha corso tutto il Tour in appoggio a Vingegaard senza poter sognare giorni di libertà e quando ne ha avuto la possibilità - l’ormai celebre tappa numero 19 vinta da Mohorič, se l’è giocata contro alcuni corridori con cui si sfiderà a Glasgow. In volata non teme nessuno, nel su e giù del centro città ancora meno, limare sa limare. L’obiettivo è dichiarato: si va per una maglia iridata.

TADEJ POGAČAR

Difficile porre limiti al corridore più completo al mondo che se non altro - pur uscendo sconfitto dal Tour - torna subito in corsa e che corsa, facendo quello che gli riesce meglio: correre tutte le corse più importanti, correre perché gli va e basta. Già in passato lo abbiamo visto essere al via di un Mondiale, magari arrivando stanco da altre corse o in fase calante, perché Pogačar è così e allora se trovi il suo nome al via di una corsa non può essere che inserito tra i favoriti. Maestro della pioggia, temibilissimo allo sprint - soprattutto dopo 271 km - su di lui un paio di incognite: la prima è legata alla forma post Tour (già in passato ha mostrato il fianco dopo la Corsa Gialla), la seconda all’infortunio al polso che gli ha tolto un po’ di fiducia nella guida. Però mai scommettere contro di lui.

MICHAŁ KWIATKOWSKI

Tra Tour e Polonia è tornato il Kwiatkowski vecchio stampo, quello che per anni è stato, oltre che un gregario favoloso, anche uno degli outsider da battere praticamente in tutte le corse di un giorno in cui era presente. Ha già vinto un Mondiale, non teme nessuno, sa entrare nell’attacco giusto e magari staccare gli avversari su uno degli strappi del circuito o vincere in uno sprint ristretto. Occhio a lui, tra i corridori più in forma dell’ultimo mese di gara.

KASPER ASGREEN

A proposito di corridori tornati a fare sul serio di recente. Kasper Asgreen in due giorni al Tour è tornato a prendere dimestichezza con la vittoria, con la capacità di vincere in uno sprint ristretto contro gente altrettanto scaltra e veloce. Anche lui non teme né lunghezza del percorso, né sprint ristretti, altimetria instabile da mandarti al manicomio, né eventuale maltempo. Corre in quella che forse è la seconda squadra più completa al via. Occhio a lui anche in un eventuale attacco a lunga gittata.

JASPER PHILIPSEN

La carta belga in caso di sprint (ristretto), ma non solo: come dimostrato alla Roubaix e altrove, è capace di stare davanti anche su percorsi più nervosi e quello di Glasgow lo è il giusto. L’enigma davanti al quale si porrà il giovane corridore della Alpecin sarà, nel caso: quale dei due van aiutare? Il suo compagno di squadra - e pesce pilota al Tour, ma non solo - oppure il connazionale? E poi da capire quale sarà l'abito cucito su di lui, soprattutto come la prenderà, lui così ambizioso, se dovesse essere la carta nascosta del Belgio in mezzo al gruppo in attesa di uno sprint, con Evenepoel e van Aert, invece, a giocare più d'anticipo.

MICHAEL MATTHEWS

Non brilla come altre volte, ma come escluderlo? L'Australia ha un'ottima squadra che verosimilmente avrà carta bianca per attaccare da lontano mentre lui marcherà i favoriti con obiettivo il classico piazzamento nei 10. Immancabile.

REMCO EVENEPOEL

Il campione uscente, terza (?) punta di un Belgio fortissimo. L’incognita è su come potrà digerire un tracciato così tortuoso e nervoso che molti definiscono più simile a un circuito da crit race, ma con talenti di questo genere non si possono porre limiti, soprattutto dovesse attaccare da lontano. In Belgio si chiedono come sia possibile convincere il campione del mondo uscente a correre un po' più defilato e addirittura dargli compiti di attacco a lunga gittata, ma forse in Belgio si sono dimenticati come vinse l’edizione 2022 della prova iridata.

ANALISI DELLE SQUADRE

Wout Van Aert  - Remco Evenepoel  - Foto Luis Angel Gomez/SprintCyclingAgency/SprintCyclingAgency©2022

Analizziamo le squadre, partendo da quella del campione in carica, il Belgio, parlando perlopiù di quei corridori esclusi dalla lista dei 10 nomi fatti sopra.

BELGIO

Uno squadrone. Tiesj Benoot è una garanzia sia come uomo in appoggio che da battitore libero, stesso destino per Nathan Van Hooydonk, alla sua migliore stagione, ombra di Van Aert e uscito molto bene dal Tour. Jasper Stuyven ha pure lo spunto veloce, oltre a sapere lavorare molto bene per i compagni di squadra, Yves Lampaert è da anni uno dei più forti e regolari interpreti delle corse di un giorno, mentre Victor Campenaerts e Frederik Frison, in quota Lotto, arrivano, uno da un Tour corso sempre da protagonista e dove ha palesato una condizione in crescita, l'altro dalla migliore primavera della sua vita. Occhio anche a loro due, soprattutto in appoggio ai tanti capitani.

FRANCIA

Laporte capitano, Julian Alaphilippe e Valentin Madouas in seconda battuta, loro due che a Lovanio confezionarono uno degli attacchi decisivi che portarono Alaphilippe in cima al mondo per il secondo anno di fila. Temibilissimi su questo percorso e, visto un periodo non dei migliori, anche lontani dai riflettori. Benoît Cosnefroy è uno che in questo periodo dell’anno va forte, mentre Florian Sénéchal è cliente scomodo in caso di sprint ristretto. Olivier Le Gac e Remi Cavagna saranno i faticatori, ma ci proveranno anche da lontano.

DANIMARCA

Dopo il Belgio è l’altra squadra di riferimento. Se Pedersen e Asgreen saranno i leader, Søren Kragh Andersen e Magnus Cort Nielsen hanno poco da invidiare agli altri due, in più sono veloci, anche se magari non sempre affidabilissimi. Mattias Skjelmose ci può provare da lontano (e anche lui fermo allo sprint non è), avrà energie dopo un Tour corso sempre all'attacco? Da Mikkel Bjerg ci aspettiamo le proverbiali trenate, mentre Mikkel Honoré e Michael Mørkøv saranno chiamati a lavorare per la squadra, magari provando anche a inserirsi in qualche fuga.

GRAN BRETAGNA

Stride l’assenza di Pidcock, ma squadra ugualmente molto interessante con tanti corridori veloci, resistenti, adatti a un percorso del genere senza salite lunghe e senza un attimo di respiro dal punto di vista planimetrico e in più giocano praticamente in casa. Non c’è un vero e proprio leader, ma tanti giovani in rampa di lancio e con caratteristiche simili. Ben Turner si può sdoppiare nel ruolo di uomo squadra o capitano. Stagione complicata per via di tante cadute e malanni, proprio nell'anno in cui ha sbloccato la casella delle vittorie personali. Arriva dal ciclocross è abbiamo già spiegato quanto potrebbe contare domenica. Fred Wright ha il fiuto per l’azione giusta ed è veloce, mentre Sam Watson e Jake Stewart staranno coperti per sfruttare lo spunto veloce. Luke Rowe, Owain Doull, e i due Swift (Ben e Connor) probabilmente sacrificati alla causa dei giovani rampolli.

SLOVENIA

Tutto ruota attorno a Pogačar? Non è detto. Luka Mezgec è veloce e resistente, certo, è un outsider di seconda o terza fascia, ma anche al Tour ha mostrato di stare bene. Curiosità per vedere Tilen Finkšt e Jaka Primožič, corridori molto forti nelle gare dell’est. Domen Novak sarà l'ombra dei capitani, ma arriva da una stagione sottotono. Chiudono la selezione il classe 2000 Anže Skok, e il meno giovane Kristian Koren, con i suoi quasi 37 anni uno dei più anziani corridori al via.

SPAGNA

Alex Aranburu - Foto Luca Bettini/SprintCyclingAgency©2023

Dopo il forfait di Lazkano (uno dei possibili outsider, sostituito dal più grande dei fratelli Azparren), occhio ad Alex Aranburu alternativa ai big molto accreditata. Si esalta con la pioggia, sa guidare il mezzo come pochi, con un passato nel ciclocross, ed è veloce, anche se quest’anno ha perso un po’ di spunto per guadagnarne in resistenza. La cosa non è per forza un male. In caso di brutto tempo non è da scartare il nome di Ivan Garcia Cortina: entrambi i corridori della Movistar puntano a un posto in top ten. A proposito di pioggia e guida, occhio a Ion Izagirre, che di sicuro avrebbe preferito un percorso più duro, e a proposito di spunto veloce, il nome di Roger Adrià ronza sempre più spesso nelle orecchie dei suiveur. Il suo punto debole potrebbe essere la distanza. Chiudono la selezione Gonzalo Serrano, un abbonato ai piazzamenti nei primi venti, trenta, una sorta di Alejandro Valverde in formato ridotto, per caratteristiche e piazzamenti, Jesus Herrada, chiamato più per la sua esperienza (e chissà se anche quel 4° posto nell'Europeo a Glasgow di 5 anni fa dietro Trentin, van der Poel e van Aert ha pesato nella scelta) che per reali possibilità di fare risultato, e un altro Jesus classe ‘90, ma decisamente meno conosciuto: Ezquerra, quest’anno andato molto forte in alcune corse di un giorno dal profilo simile a quello del Mondiale.

OLANDA

L’Olanda è van der Poel principalmente, ma di fianco a lui c’è Dylan van Baarle, un corridore con un palmarès che parla da solo e che in caso di corsa dura può pure vincere. Olav Kooij è la carta per un eventuale (ma lo diciamo: poco probabile) sprint, ma il dislivello che incontrerà nel circuito finale potrebbe essere fatale per lui. Dan Hoole, Jan Maas e Oscar Riesebeek saranno i faticatori della prima ora, Pascal Eenkhoorn, in grande forma, carta da giocare nelle fughe, così come Mick van Dijke, ma per forza di cosa tutto ruoterà attorno a van der Poel.

AUSTRALIA

Solita squadra a più punte e ricca di alternative credibili a tutti i pretendenti al podio. Di Matthews abbiamo già detto. Harry Sweeny è uno dei pallini di chi scrive: ama la corsa dura, ha fondo e va forte col maltempo. Luke Plapp cerca il colpo di pedale per dare l’assalto alla medaglia nella crono, Simon Clarke è sempre pericoloso se trova la fuga giusta, mentre Luke Durbridge sarà un appoggio ideale per la squadra. C'è poi Kaden Groves, velocista che potrebbe tenere duro e poi piazzare il colpo in caso di sprint ristretto. Occhio anche a lui ‘ché si esalta col maltempo e non teme nemmeno le tante insidie del percorso, ma forse il chilometraggio, quello sì. Infine presenti Matthew Dinham e Alex Edmonson che sostituiscono Ewan e Stannard.

COLOMBIA

Non solo per onore di firma. Il capitano è Juan Sebastian Molano: col maltempo vola e senza l’incidente di questa primavera in Belgio avrebbe avuto concrete possibilità di giocarsi un piazzamento importante, visto anche lo spunto veloce. Fernando Gaviria è corridore al solito indecifrabile, ma che nella giornata buona potrebbe anche piazzarsi bene, mentre il resto della squadra appare più di supporto. Difficile aspettarsi qualcosa infatti dal velocista, Alvaro Hodeg, dagli scalatori, seppure molto forti, Rigoberto Uran, Santiago Buitrago, Harold Tejada, Jesus David Peña - quest’ultimo in grande forma di recente - né dal cronoman, Walter Vargas. Squadra comunque da tenere d’occhio in caso di corsa pazza.

USA

Novità sostanziali arrivate nelle ultime ore: fuori, rispetto alla pre selezione, Sheffield, Simmons e Jorgenson, dentro Larry Warbasse, Kevin Vermaerke e Will Barta. Completano la squadra: Sean Quinn, resistente e veloce, forse non ha tutte le carte giuste per ambire a qualcosa di importante, ma può buttarsi in fuga ed essere uomo pericoloso, Lawson Craddock che esce forte dal Tour e sarà pedina preziosa per la squadra, e infine Neilson Powless che dal Tour arrivava con qualche punto di domanda subito sbarrato al termine della Clasica di San Sebastian. In Francia si è sfiancato la prima settimana portando in giro la maglia a pois, finendo, nella seconda parte di corsa, per staccarsi troppo spesso anche da corridori che normalmente gli finiscono dietro. A San Sebastian (4° all'arrivo), però, è tornato il Neilson Powless capace di chiudere nelle prime sette posizioni Parigi-Nizza, Milano-Sanremo, Dwars e Ronde. In queste condizioni, se c’è una garanzia di piazzamento in caso di corsa per fondisti, quella arriva dal corridore della EF.

SVIZZERA

Stefan Küng - Foto Peter De Voecht/PN/SprintCyclingAgency©2023

 

Squadra interessante con Stefan Küng che insegue il podio sia in linea che a crono ed è un altro di quei corridori che in caso di brutto tempo (a furia di scriverlo domenica ci sarà sicuramente sole) sa tirare fuori qualcosa in più e non teme di certo la distanza, oltretutto da un po’ di stagioni è uno dei più forti interpreti delle corse di un giorno. In seconda battuta c’è Marc Hirschi che si sta ritrovando e non teme la lunga distanza. Silvan Dillier e Fabian Lienhard saranno il supporto, mentre Stefan Bissegger e Mauro Schmid hanno la fuga, anche dalla lunga distanza, nel sangue e possono essere molto temibili se ancora davanti nel finale. Lo diciamo? Lo diciamo: vanno forte anche con il maltempo.

NORVEGIA

Norvegia: con cinque punte su sei, buone per ogni soluzione. Alexander Kristoff l’uomo veloce, ma anche resistente, però arriva da un Tour deludente, sempre che non si sia nascosto per bene in ottica Mondiale. Pesano le 36 primavere? Lo scopriremo su un percorso adatto a lui. Søren Wærenskjold, altro corridore da corse del nord, veloce e resistente, da verificare su queste distanze, Andreas Leknessund starebbe benissimo in una fuga da lontano, Rasmus Tiller, invece, sta bene in mezzo ai big delle corse di un giorno. Infine Tobias Halland Johannessen, quello visto (e ritrovato) al Tour, può ambire a un risultato di peso.

PORTOGALLO

Joao Almeida e Ruben Guerreiro avrebbero preferito un tracciato ancora più selettivo, ma male non stanno, André Carvalho è perfetto per questo profilo, ma gli manca più di qualcosa per ambire a stare con i migliori, Nelson Oliveira proverà a entrare in fuga.

GERMANIA

Due corridori su tutti da tenere d’occhio: John Degenkolb e Nils Politt. Non servono spiegazioni sui perché. Interessante la presenza di Nico Denz che proverà a infilarsi in ogni fuga, prendendo magari quella decisiva, da seguire il giovane Michel Hessmann, già molto affidabile come uomo squadra, mentre Jonas Rutsch, insieme a Maximilian Schachmann, sarà battitore libero: entrambi capaci anche di provare a inserirsi in una top ten finale.

IRLANDA

Ben Healy  - Foto Massimo Fulgenzi/SprintCyclingAgency©2023

 

Ben Healy capitano con mire importanti a patto di arrivare da solo al traguardo - cosa non impossibile. Sam Bennett sembra presente più per una reale mancanza di alternative, mentre Rory Townsend avrebbe preferito un centinaio di chilometri in meno e allora lo avremmo seguito con attenzione, ma resta tuttavia un corridore interessante.

CANADA

Derek Gee per inseguire quel sogno solo sfiorato al Giro d’Italia, vederlo in fuga non è nemmeno quotato. Il Canada presenta una selezione tutto sommato interessante, un perfetto mix di esperienza, Guillaume Boivin e Hugo Houle, e freschezza, il giovane Nickolas Zukowsky.

LE ALTRE

La Nuova Zelanda ha in Paddy Bevin, l’uomo d’esperienza, ma punta soprattutto sui giovani Laurence Pithie e Corbin Strong, entrambi scaltri e veloci, mentre nell’Ecuador presente uno degli outsider più interessanti soprattutto in caso di maltempo: Jonathan Narvaez. Mathias Vacek e Adam Ťoupalík guidano la Repubblica Ceca, quest’ultimo sta ritrovando se stesso in questa stagione dopo essere stato più che una promessa da giovane (ve lo ricordate quando sconfisse van der Poel all’Arctic Tour of Norway?). Anche lui arriva dal ciclocross e un piazzamento nelle prime venti posizioni sarebbe l'inizio di una nuova carriera.

Nel Sudafrica presenti corridori veloci, e di esperienza, come Ryan Gibbons e Daryl Impey, il Lussemburgo si affida a due che nelle rispettive squadre sono garanzie assolute: Kevin Geniets e Alex Kirsch e l’Austria sarà guidata da Marco Haller, altro uscito forte dal Tour. Il Kazakistan ha due campioni del mondo Under 23, Lutsenko e Fedorov, in squadra, ma poche speranze francamente, anche se il primo citato sa trovare la giornata giusta in cui risulta essere competitivo in chiave successo - ma difficilmente quel giorno sarà domenica. Slovacchia e Israele si affidano a Peter Sagan e Itmar Einhorn e infine la Svezia a Lucas Ericsson e il Brasile a Nicolas Sessler.

L’ITALIA

Matteo Trentin - Foto Luca Bettini/BettiniPhoto©2018

 

In questi giorni, chi scrive ha deciso di recuperare - con grave ritardo sulla linea del tempo - una delle saghe mainstream del cinema d'azione più celebri di tutti i tempi: Mission: Impossibile. I primi due capitoli, grazie anche alla regia di De Palma e Woo (magari non i migliori De Palma e Woo), sono assolutamente godibili, e traslando il tutto alla corsa di domenica: la missione appare impossibile.

Tra gli otto convocati dal CT Bennati, cinque sono i più in forma e adatti al percorso: Matteo Trentin, Alberto Bettiol, Filippo Baroncini, Andrea Bagioli e Simone Velasco. Con loro Lorenzo Rota, che lo scorso anno arrivò a poche centinaia di metri dalla possibilità di salire sul podio, Daniel Oss, chiamato dopo un ottimo Tour, e Kristian Sbaragli.

Possibilità di podio? Poche in concretezza, ma la Squadra, come veniva chiamata fino a qualche tempo fa quando era punto di riferimento assoluto a ogni Mondiale, potrà dire la sua a patto che tutto quello prestabilito sia seguito alla lettera e che le cose vadano per il verso giusto. E ci vuole pure una botta di fortuna.

Andrea Bagioli - Foto Dario Belingheri/BettiniPhoto©2018

Tuttavia mai porre limiti alla capacità di Matteo Trentin di correre davanti e farsi trovare pronto nelle azioni decisive; mai dubitare di Alberto Bettiol apparso in crescita - anche se a San Sebastian ha ceduto nel momento clou, ma era al cospetto di tre che le montagne le divorano - pur con i suoi limiti a volte evidenziati sulle lunghe distanze. Bisogna avere fiducia in Filippo Baroncini e Andrea Bagioli perché sono due patrimoni del nostro ciclismo e se il primo deve ancora sbocciare tra i professionisti (e chi scrive sogna proprio il suo nome domenica nel finale, davanti), il secondo sembra finalmente aver trovato la giusta quadra. Oltretutto il corridore valtellinese si è spesso esaltato con la maglia della nazionale, lavorando per gli altri, magari domenica sarà il suo turno. Il suo spunto veloce, poi, potrebbe portare anche qualcosa di importante. Simone Velasco è nel momento migliore della sua carriera, lui è perfetto per inserirlo in una fuga dalla media distanza, magari insieme a Lorenzo Rota. Nel caso lo spunto veloce non gli mancherebbe. Infine Daniel Oss e Kristian Sbaragli, dopo aver lavorato uno per una vita di fianco a Sagan, l'altro in questi anni di fianco a van der Poel, correranno come gregari e portaborracce.

L’importante che la Nazionale interpreti una corsa all’attacco, senza nascondersi, senza incertezze, provando ad anticipare senza remore - lasciando magari uno o due tra Trentin, Bagioli, Baroncini e Bettiol a coprire i favoriti. Bisogna rischiare il tutto per tutto, ma non bisogna nemmeno esagerare: il fondo è un problema che spesso è venuto fuori nelle corse più importanti e quindi non si può nemmeno pensare di arrivare a 60/70km dall’arrivo dopo aver attaccato come matti e reso la corsa dura: noi ne pagheremmo le conseguenze e avvantaggeremmo chi fa della resistenza una dote. Insomma la coperta è corta per chi come noi non ha un corridore papabile alla vittoria finale sulla carta: un corridore tra i favoriti non ce l’abbiamo, ma ce lo avremmo avuto, Ganna, ma il suo obiettivo - e quello della Federazione - era chiaramente la pista. Spoiler: alla fine Ethan Hunt (Tom Cruise) le missioni impossibili le riesce sempre, bene o male, a portare a casa, quindi ci proviamo. Abbiamo perso edizioni in cui eravamo la squadra da battere, con diverse punte e spesso a vincere erano corridori considerati outsider. Magari è il giorno in cui tocca a noi incassare.

LE ALTRE GARE SU STRADA (paragrafo in aggiornamento: non tutte le startlist sono definitive)

Ad aprire il programma delle gare su strada, sabato 5 agosto, sarà la prova JR femminile, ore 10, 70 km, 5 giri del circuito spiegato sopra. Favorite? Ferguson e Sharp (Gran Bretagna), Venturelli (Italia), Bego, Comte e Gery (Francia), Moors e Van Sinaey (Belgio), Greve (Danimarca), Knaven e Molengraaf (Olanda), Holmgren (Canada).

Sempre sabato (alle ore 13) toccherà ai ragazzi della categoria juniores (o under 19) gara che si prospetta molto incerta ed equilibrata con tantissimi nomi candidati al successo e diverse nazionali che potrebbero vincere con tutti i convocati. Nove giri del circuito per un totale di 127,2 km. Dal Belgio selezioniamo De Schuyteneer, Widar e Sentjens, dall’Australia, Chamberlain, terzetto danese da seguire: Storm, Clemmensen e soprattutto Withen Philipsen corridore che va fortissimo anche in mountain bike. Francia e Gran Bretagna sarebbero da citare al completo, ma scegliamo Blaise, Grisel - soprattutto - e Seixas per i transalpini, Brennan e Smithson per i britannici. Al via pure Ben Wiggins, figlio d’arte. L’Olanda punta forte su Lughtart e soprattutto su Remijn che di nome fa Senna e va forte anche nel ciclocross, la Norvegia su Nordhagen, Haugland e Ingebrigtsen. L’Italia, dopo un paio di anni, torna ad avere una nazionale estremamente competitiva: Gualdi, Sierra, Bessega, Cettolin e Giaimi sono tutti candidati a un posto sul podio. La Spagna ha in Hector Alvarez uno dei prospetti maggiormente interessanti del panorama giovanile, ma occhio anche a Beloki (dal 2024 con la Ef e figlio proprio di quel Joseba), la Finlandia prova il colpaccio con Borremans, la Germania con Fietzke e Leidert, mentre l’Irlanda punta molto su O’Brien. Da non sottovalutare il neozelandese Guichard, il polacco Gruszczynski, lo svizzero Barhoumi, lo slovacco Novak, i cechi Barta, Bittner e Kral e gli sloveni con Erzen, Valjavec e Omrzel. Abbiamo lasciato per ultimo uno dei pezzi pregiati della categoria, ovvero l’americano AJ August che punta alla tutt’altro che semplice doppietta con la cronometro.

L’8 agosto (ore 13) iniziano proprio le cronometro con la Mixed Relay che si disputa nel circuito cittadino di Glasgow. Favorite Svizzera e Gran Bretagna, poi Australia in seconda battuta a giocarsi il podio con la solida Germania, l’Olanda e la Francia. Usa outsider, mentre l’Italia, sul podio per due anni di fila, senza Sobrero, Ganna, Affini e Longo Borghini difficilmente potrà puntare alle prime cinque posizioni.

Il 9 agosto, alle 14:30, tocca agli Under 23 che, come tutte le gare contro il tempo individuali, si terranno a Stirling a 40 km a nord di Glasgow, su un tracciato mosso con finale da non sottovalutare in cima allo strappo che porta a Castle Wynd. 36,4 km per gli Under 23: favorito d’obbligo il belga Alec Segaert. Aperta la lotta per le medaglie, tuttavia, con i danesi Bevort e Wang, il francese Paleni, l’inglese Charlton e l’altro belga Vervenne tra i maggiori pretendenti, ma occhio anche agli azzurri Olivo e Milesi (Lorenzo), lo spagnolo Romeo, l’olandese van Belle, l’australiano Mackenzie (argento tra gli junior un anno fa nel mondiale corso in casa), il croato Miholjevic e infine due tra i protagonisti assoluti quest’anno nella categoria: l’irlandese Rafferty e il norvegese Staune-Mittet.

Il 10 agosto le due crono femminili. Alle 11:15 le under 19:  con Toniolli che prova la difficile impresa di giocarsi una medaglia in un contesto che vede di nuovo favorite Van Sinaey (Belgio) e soprattutto Ferguson (Gran Bretagna). Alle 14 partono le élite: Marlen Reusser (Svizzera), Chloé Dygert (USA), Demi Vollering (Olanda), Grace Brown (Australia) e Audrey Cordon-Ragot (Francia), le favorite per il podio.

L’11 agosto in programma le crono maschili Junior (ore 10, 23 km) ed élite (ore 14:35, 48,1 km, apprezziamo molto quel “virgola uno”). Tra gli Under 19 tre nomi su tutti, August (USA), Chamberlain (Australia) e Nordhagen (Norvegia), ma la lotta alle medaglie è apertissima e coinvolge anche i due belgi Marivoet e soprattutto Sentjens, i danesi Storm e Just Pedersen, il tedesco Leidert, Ben Wiggins (Gran Bretagna), Adam Rafferty (Irlanda) e perché no, il nostro Giaimi. Occhio alle possibili (probabili) sorprese.

La gara élite in programma alle 14:35 vedrà sfidarsi principalmente Ganna contro i due belgi van Aert ed Evenepoel (quest’ultimo favorito?). Occhio anche agli svizzeri Küng soprattutto, ma in seconda battuta anche Bissegger. Dura per Pogačar ambire al podio, ma può avvicinarlo, così come i francesi Cavagna e Armirail, i danesi Bjerg e Asgreen, gli australiani Dennis e Vine, il campione uscente, il norvegese Foss, che non sta brillando quest’anno, ma anche il suo connazionale Wærenskjold vincitore lo scorso anno nella crono Mondiale per Under 23. Da seguire anche i due americani: Craddock e McNulty, corridori capaci di tutto e il giovanissimo Tarling, il nome nuovo della cronometro mondiale e meno di dodici mesi fa vincitore della prova iridata tra gli under 19.

Domenica il Mondiale su strada si chiuderà invece con la prova élite femminile: gli dedicheremo un approfondimento la prossima settimana.

INFINE NOTA DOVEROSA

L’UCI, con l'introduzione del super mondiale, ha aggiunto elementi alla nostra fame di consumatori bulimici gettando in pasto a noi appassionati un evento che prevede una gara dietro l’altra e non siamo riusciti a presentare tutto come avremmo voluto, pista, mtb, bmx, paraciclismo, ma seguiremo sui nostri canali social l’evento, giorno per giorno. Intanto a questo link trovate il programma delle gare iniziate ieri, giovedì 4 agosto, gare che potrete seguire in diretta tv e streaming su Eurosport e sulla Rai.

Buon Mondiale a tutti!

* gli orari segnalati sono quelli di Glasgow.


Il questionario cicloproustiano di Alessia Vigilia

Il tratto principale del tuo carattere?
Penso di potermi definire altruista, cerco di aiutare sempre gli altri quando è possibile

Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
L’umiltà

Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
La passione e l’umanità

Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
La semplicità con cui mi fanno stare bene

Il tuo peggior difetto?
Essere disordinata

Il tuo hobby o passatempo preferito?
Al momento curare l’orto e leggere

Cosa sogni per la tua felicità?
Riuscire a trovare la mia strada ed essere soddisfatta del mio percorso ogni giorno, nonostante gli alti e bassi che è normale che ci siano

Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
È un poco scontato forse, però sicuramente perdere le persone a me più care

Cosa vorresti essere?
Mi piacerebbe poter diventare professionista al 100% e magari essere così un esempio per qualcuno

In che paese/nazione vorresti vivere?
Italia al 100%

Il tuo colore preferito?
Azzurro

Il tuo animale preferito?
Delfino

Il tuo scrittore preferito?
Nicholas Sparks

Il tuo film preferito?
Le pagine della nostra vita

Il tuo musicista o gruppo preferito?
In realtà non ho nessuno in particolare, ascolto tutto, però la musica non deve mai mancare

Il tuo corridore preferito?
Pogačar, mi piace il modo in cui corre e l’umiltà che nonostante tutto riesce a dimostrare

Un eroe nella tua vita reale?
Mio papà, che nonostante alcune sfide non si è mai arreso

Una tua eroina nella vita reale?
La mia mamma, perché ha una forza ed un’energia infinita

Il tuo nome preferito?
Giulia, infatti ho scelto io che mia sorella si chiamasse così

Cosa detesti?
Essere in ritardo, ma puntualmente poi lo sono sempre

Un personaggio della storia che odi più di tutti?
Hitler

L’impresa storica che ammiri di più?
La lotta all’Apartheid

L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Penso quella di Michele Scarponi, al Giro, quando ha aspettato Nibali, per poi fargli vincere il Giro

Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Il Giro d’Italia

Un dono che vorresti avere?
Il teletrasporto, con la vita che facciamo a volte sarebbe bello poter tornare a casa in un attimo

Come ti senti attualmente?
Sono felice e motivata per il proseguimento di stagione

Lascia scritto il tuo motto della vita.
Conta chi resta, il resto non conta.
Tutto torna


Cara Biga, come una lettera alla bicicletta

Se Veronica Santandrea dovesse scrivere una lettera alla bicicletta, la inizierebbe come si iniziano di solito le lettere: "Cara Biga..." e via di parole in parole. Cara come "Cara" di Lucio Dalla, come quel verso "tu corri dietro al vento e sembri una farfalla", perché a lei la bicicletta pare davvero così. Biga, invece, è il nome che, a Bologna, la sua città natale, danno alle biciclette. Di più, dire Biga vuol dire parlare dell'insieme di tutto quel che di Bologna non le piaceva più, quando è partita per Torino, per lavoro, e di tutto quello che ha riscoperto, al ritorno, una mattina presto, salendo al San Luca.

«Per noi è scontato che ci siano i colli e le strade strette bolognesi, quasi soffocanti, tanto che a Torino volevo dimenticarle, attraverso i viali ampli della città piemontese. Il giorno in cui ho scalato il San Luca in bicicletta, in vetta, senza fiato, ho chiamato mia madre piangendo e gridando: "Ho fatto il San Luca". Quasi mi appartenesse. In quei momenti ho rimesso assieme passato e presente, ho trovato un altro modo di vedere questa città in cui ora vivo». Ma ritornando alla lettera, continuerebbe con una frase semplice e decisa: «Mi hai salvato e mi salverai».
E Veronica parla della bicicletta in generale. Sì, della "Ravaldona", come la chiama lei, la vecchia Graziella con cui girava le vie di Bologna da ragazza, «un cancello pesantissimo, fidati», e di ogni altra bicicletta che ha avuto e che avrà. «Ha curato una difficoltà che ho sempre avuto: mettere radici. Farsi terra e paese, come avrebbe detto Cesare Pavese. I miei genitori hanno sempre viaggiato molto e le mura di casa, per me, sono sempre state una costrizione. La bicicletta mi ha permesso di trovare la mia casa diversa: accetto le radici perché so che posso riprendere a viaggiare». Per questo Veronica ha venduto la moto che aveva e di cui era appassionata e si sposta solo in bicicletta. Tra chi le dice che vorrebbe assomigliarle e chi crede sia una follia «perché certe cose non si possono fare solo con una bicicletta». Invece sì, spiega Veronica, e aggiunge qualcosa: «Spero, con l'esempio, di dimostrare che una bicicletta può bastare, se davvero si vuole».

"Cara Biga", in realtà, non è una lettera, ma un progetto, un'idea di biciclette e di mondo, qualcosa che permetta di unire, di far incontrare attraverso la bicicletta. «Sai che spesso non mi ricordo neppure il nome delle persone con cui ho pedalato? Mi è successo qualche giorno fa, con un ragazzo, a Cesena: abbiamo parlato di tutto, cantato assieme. Non so come si chiamasse, ma ci siamo sentiti liberi. Conta questo, no?». E "Cara Biga" serve per questo: c'è l'idea di vivere un altro tempo in bicicletta, una velocità a metà tra la camminata e un'auto, quella perfetta per guardarsi attorno e vedere quel che non avevi mai guardato, pur avendolo sempre visto. Quando c'è qualcosa in comune, incontrarsi è più semplice. La bicicletta, poi, a quell'incontro può anche accompagnare. Per Veronica la Biga somiglia al suo cane, quella cagnolina che l'ha accompagnata per molti anni, in ogni cosa. È una compagna.
La salita? È follia, ci spiega Veronica, perché razionalmente non ci sono motivi per fare così tanta fatica, ma la si fa lo stesso e fa piacere farla. La discesa, invece, è musica, come il vento ed i suoi giochi mentre si scende. La discesa, però, è anche timore o almeno lo è stato: «Stavamo facendo una pedalata come tante, con amici. Dopo una salita, cantavamo contenti. Solo qualche secondo dopo, un amico è caduto, in seguito allo scoppio del tubolare. Uno spavento, grande, importante. Dopo quel giorno, ho pensato spesso a "Cara Biga", a questo progetto. Mi dicevo: "Io ho fatto questa scelta e chiedo alle persone di fare qualcosa di simile, ma guarda che rischio si può correre. Sto facendo la cosa giusta?”. Alla fine, mi sono detta di sì». Perché in ogni attività è insito un rischio e perché; comunque, la bicicletta non l'ha mai delusa, anche quando le ha fatto male, quando senza forze, infreddolita, in una giornata no, mentre voleva andare a vedere il mare, ha chiesto un passaggio ad un furgoncino dei netturbini.

Qualcuno non può raggiungerla e pedalare con lei, ma le scrive, basta una foto di un qualunque viaggio e "Ci sembra di essere lì, grazie" dicono tutti. Sì, perché, oltre a pedalare, raccontare un viaggio con una fotografia, Veronica è fotografa, o un video, permette di lasciare spaziare la mente anche di chi è altrove ed un viaggio così lo sogna.
E viaggiare in bicicletta è davvero diverso da ogni altro viaggio: basta pensare a una sera, in Liguria, qualche tempo fa. Veronica era in viaggio da giorni e quella sera si è resa conto solo troppo tardi di essere fuori zona rispetto al luogo in cui dormiva: «Era tardi, non potevo tornare dietro, dovevo cercare qualcosa nei dintorni. Ho trovato solo una stalla, con della paglia. Ho dormito su quella paglia e sapessi quanto ho dormito bene. Così bene da tornarci la sera dopo e da far colazione con il pastore, lì nei dintorni». È questa possibilità di adattarsi a renderlo diverso, perché, alla fine, si scopre che tante cose vorremmo davvero farle e chissà perché le evitiamo, quasi le allontaniamo. Sarebbe bello parlare di questo con quelle cento persone, arrivate da ogni dove, per festeggiare il compleanno di "Cara Biga", al promontorio di San Bartolo. Una biga per dare nuova forma alle cose, per non darle per scontate, per sforzarsi di guardarle da un'altra prospettiva, magari in compagnia. C'è tutto nella lettera di Veronica alla sua bicicletta e a tutte le biciclette che, in qualche modo, permettono la stessa rivoluzione. Simile al bruco che diventa farfalla, bella uguale. E, poi, in quella lettera ognuno può scrivere ciò che preferisce. Basta iniziare: "Cara Biga...".


Tour de France Femmes: tempo di bilanci

Il momento decisivo del Tour de France Femmes è stato, indubbiamente, a poco più di cinque chilometri dall'arrivo del Tourmalet quando, nella nebbia di un sabato sera di montagna, Demi Vollering è scattata e Annemiek van Vleuten non è riuscita a resisterle. L'avevamo riassunto con: "Vollering scatta, van Vleuten si stacca". Una frase secca, netta, come l'attimo clou di un Tour de France che, sin dal primo giorno, ha sempre fatto dell'imprevedibilità la sua cifra stilistica, grazie anche ad un percorso che, ben disegnato, ha consentito di mantenere a lungo l'incertezza sulla vittoria finale, con una risoluzione nella penultima tappa ed ancora il fiato sospeso nell'ultima, la cronometro di Pau: a quel punto, non tanto per la prima posizione, saldamente di Vollering, quanto per le altre posizioni del podio. Basti pensare che la sera del 29 luglio, dopo il Tourmalet, il podio vedeva Vollering precedere Niewiadoma e van Vleuten, con Kopecky quarta, seppur per pochi secondi, e la sera del 30 luglio, dopo la cronometro, giù dal podio è rimasta Annemiek van Vleuten, in seconda posizione è salita Lotte Kopecky, al terzo posto si è fermata Kasia Niewiadoma. Insomma, l'ulteriore riprova del fatto che, sulle strade di Francia, su quelle della Grande Boucle in particolare, i verdetti non sono tali fino alla fine.

GIGANTISMO SD-WORX: NON SOLO VOLLERING E KOPECKY

Tour de France Femmes 2023 - Demi Vollering - Foto Rafa Gomez/SprintCyclingAgency©2023

Pochi numeri: su otto tappe, le atlete, guidate in ammiraglia da Anna van der Breggen, ne hanno vinte ben quattro: la prima, con lo scatto in salita di Lotte Kopecky, che ha messo tutte nel sacco, la terza, con la volata vincente di Lorena Wiebes, la settima, con il numero di Vollering sul Tourmalet, e, infine, l'ottava, con la prestazione superlativa di Marlen Reusser a cronometro. In quest'ultimo caso, addirittura, il podio di tappa è composto totalmente da atlete SD-Worx: prima Reusser, seconda Vollering, terza Kopecky. Anche il podio finale affianca due atlete SD-Worx: Vollering prima, Kopecky seconda. Vollering in maglia gialla, Kopecky in maglia verde. Basta? No, potremmo anche aggiungere che la maglia gialla, in realtà, non ha mai lasciato le loro spalle: quando l'ha persa Kopecky, l'ha conquistata Vollering. E via così, di dato in dato, ma la netta superiorità della SD-Worx è già evidente. Talento, poliedricità, resistenza, gioventù ed esperienza. Salita, pianura, discesa, contro il tempo: almeno una atleta per ogni specialità, se non di più. Una corazzata. Si dice che la penalizzazione, inflitta a Vollering per la scia dell'ammiraglia sfruttata al fine di rientrare in gruppo nella quinta tappa (venti secondi), abbia ulteriormente acceso la rabbia agonistica dell'olandese e del suo team: può essere, ma per quanto visto sino a quel momento abbiamo dubbi rispetto ad un possibile esito differente. Demi Vollering sognava di superare van Vleuten e di farlo nel pieno del suo splendore agonistico: l'ha fatto. Ha interrotto il dominio nelle corse a tappe che durava da più di un anno e che fino a pochi giorni fa sembrava impossibile da interrompere. I segnali c'erano, è bene ricordarlo: basti pensare a "La Vuelta", dove Vollering, in salita, era parsa superiore. Quelli erano segnali, però, questa una certezza. La campionessa ventiseienne fatica ancora a crederci: la maglia gialla è lì a testimoniare che dubbi proprio non ce ne sono.

VAN VLEUTEN SCONFITTA MA...

Tour de France Femmes 2023 - Annemiek Van Vleuten - Foto Rafa Gomez/SprintCyclingAgency©2023

Siamo certi che una delle immagini più significative di questo Tour sia l'arrivo di van Vleuten alla cronometro di Pau. Il podio è ormai perso, Kopecky e Niewiadoma hanno fatto nettamente meglio di lei. C'è lo staff ad aspettarla, a ringraziarla per molte cose che sembravano scontate e scontate non erano, a darle una pacca sulla spalla e qualche borraccia, ma soprattutto tutta la comprensione che serve. Perdere non è facile per nessuno, forse ancora più difficile per una ciclista abituata a vincere e stra-vincere. Ancora meno facile, anche se sembra un paradosso, è a quasi quarantuno anni, quando si intuisce la fine della carriera e, probabilmente, vincere, almeno a livello psicologico, è ancora più importante. Tuttavia, proprio l'età deve far considerare normale un possibile calo (che, poi, molte atlete più giovani, sportivamente parlando, firmerebbero per prestazioni stile van Vleuten). Ha perso provando ad attaccare, da lontano, sull'Aspin, non risultando tuttavia incisiva nell'attacco, come le altre volte. Ha perso prima di un appuntamento importante quale è il Mondiale che è appena iniziato. Ricordiamo cosa accadde l'anno scorso, quando nessuno l'aspettava, almeno non così. La nazionale olandese sarà l'esaltazione del talento, una nazionale in cui ognuna potrebbe essere capitana: potrebbe essere un vantaggio, ma anche uno svantaggio. Di certo, ad Annemiek van Vleuten le sorprese piacciono. Teniamola d'occhio.

 

CHE TOUR, LOTTE KOPECKY!

Tour de France Femmes 2023 - Lotte Kopecky - Foto Rafa Gomez/SprintCyclingAgency©2023

Un paragrafo a parte lo merita Lotte Kopecky, seppur abbiamo già accennato al suo Tour. Tanti hanno fatto notare il suo modo di correre, sempre più simile a Wout van Aert: è vero. Kopecky piace perché è il contrario dell'ovvio: fa bene nelle tappe a lei adatte, tuttavia si inventa sempre qualcosa di nuovo, di non prevedibile, spesso, talvolta di prevedibile ma realizzato con una precisione millimetrica e una grinta che, comunque, tengono incollate al televisore, sorprendono. Una sequenza di immagini: l'attacco nella prima tappa, la volata nella seconda, persa da Lippert, il lavoro di squadra per la vittoria di Wiebes, gli attacchi, istinto e gambe che scalpitano verso Rodez, fino ad un Tourmalet che ha sorpreso anche lei ed a una cronometro in cui ha raggiunto e superato anche Moolman Pasio, partita prima di lei. Anna van der Breggen ha parlato di forma della vita, non si può darle torto. Il secondo posto finale, ai danni di Niewiadoma, che avrebbe meritato in egual modo, è un piazzamento di pregio ed un continuo inizio: cos'altro possiamo aspettarci da Kopecky?

 

IL TOUR DELLE FUGHE

Tour de France Femmes 2023 - Ricarda Bauernfeind - Foto Rafa Gomez/SprintCyclingAgency©2023

Una delle prime volte che abbiamo avvertito la possibilità di concretizzazione di una fuga da lontano eravamo a Montignac-Lascaux, nella terza tappa: la parola fuga era associata all'amaro per la mancata riuscita dell'attacco di Julie van de Velde, ripresa sul rettilineo finale, con il successo di Lorena Wiebes. In quella fuga avevamo sperato, come sempre si spera nel coraggio di chi parte da sola. Non sapevamo che da lì in poi il Tour de France sarebbe stato un fiorire di fughe con tanto di lieto fine. A partire dal giorno dopo, con la vittoria di Yara Kastelijn a Rodez: stessa squadra di van de Velde, quasi una restituzione di ciò che il plotone aveva tolto il giorno prima. Quasi fosse un romanzo. Azione da racconto anche quella di Ricarda Bauernfeind sulla strada di Albi: ventitrè anni, da un paesino rurale, dallo studio al ciclismo, vinse la prima gara che disputò, ma era l'unica a correre. Qui vince, da sola, beffando le tante che avrebbero voluto vincere. Un filo rosso, anzi giallo. E come definire l'azione di Emma Norsgaard nella sesta tappa? Una velocista, perché questo è di fatto Norsgaard, che vince con una fuga di novantuno chilometri, credendoci fino all'ultimo, rilanciando mentre il respiro del gruppo preme sul collo. Esempio di volontà, di desideri inesauribili. Resta il rimpianto per la bella fuga di Audrey Cordon Ragot che conquista quasi dieci minuti di vantaggio, resta maglia gialla virtuale per molti chilometri: cede a Kastelijn, ma vedere una ciclista così che fa una cosa simile fa bene. Pari discorso, seppur con implicazioni di classifica generale, vale per Kasia Niewiadoma, quando si invola da sola verso la vetta del Tourmalet: Vollering che la riprende e la stacca è l'inevitabile che si fa spazio nella nebbia, nella tappa decisiva, però questi tentativi sono il sale di qualunque giornata di ciclismo: il loro sapore resta.

LA CORSA DELLE ITALIANE

Tour de France Femmes 2023 - Elisa Longo Borghini - Foto Rafa Gomez/SprintCyclingAgency©2023

Torna in mente la nostalgia del possibile di Antonio Tabucchi. Sì, torna in mente a proposito del Tour de France di Elisa Longo Borghini e del suo ritiro dopo la sesta tappa a causa di un'infezione alla coscia, proprio prima della frazione del Tourmalet che la ciclista di Ornavasso aspettava da molto. Fino a quel momento, il Tour di Longo Borghini era stato di rilievo: sempre nelle posizioni che contano, con una squadra a proteggerla e guidarla. Cosa sarebbe successo al Tourmalet? Ce lo chiederemo spesso, non avremo la risposta, mentre Longo Borghini annuncia un periodo di pausa dalle corse proprio per questa infezione. Al netto di questo rimpianto, il miglior piazzamento di tappa delle italiane è il terzo posto di Silvia Persico, nella seconda tappa, seguito da top ten di Chiara Consonni, Elisa Balsamo, che sta recuperando, ma non è ancora Balsamo che conosciamo, Soraya Paladin e Vittoria Guazzini. Quest'ultima, con l'ottavo posto nella cronometro conclusiva a Pau, lancia un segnale importante di ripresa, dopo la frattura al bacino ed il rientro in corsa. In ottica classifica generale, invece, la prima azzurra è Erica Magnaldi, tredicesima, seguita da Silvia Persico, quattordicesima, che, probabilmente, avrebbe voluto qualcosa in più da questo Tour de France. Marta Cavalli conclude diciannovesima: "non dico sia stato un buon Tour, senza dubbio, però, è stato meglio di quello dello scorso anno". Per ritornare dai momenti difficili è fondamentale un approccio mentale che si focalizzi sui passi in avanti, Cavalli ci prova. Nelle note sparse mettiamo anche i tentativi di fuga e la fuga di Alice Maria Arzuffi verso Rodez.

KERBAOL E LABOUS: ORGOGLIO DI FRANCIA

Tour de France Femmes 2023 - Cedrine Kerbaol - Foto Rafa Gomez/SprintCyclingAgency©2023

Cédrine Kerbaol ha solo ventidue anni, è nata a Brest nel maggio del 2001. Quest'anno aveva vinto il Tour de Normandie Femminile e già lì avevamo potuto ammirare la sua tenacia, le sue doti in crescita ed evoluzione, dai campionati nazionali a cronometro conquistati nel 2021 e nel 2022, appena ventenne. C'era di che parlare, ma al Tour de France Femmes è tutto più grande, più difficile e la giovane età può essere una spinta, oppure un ostacolo, per mancanza di esperienza: nel suo caso è stata indubbiamente una spinta. Dodicesima nella classifica generale finale, quattordicesima al Tourmalet, con una tattica di corsa attenta a non sprecare energie inutili ed a proseguire del proprio passo, quando non si riesce a tenere le ruote delle migliori. Di Juliette Labous iniziamo a parlare con una domanda: senza il ritardo accumulato nella prima tappa, a Clermont-Ferrand, 1'26", come sarebbe stato il Tour della francese? Ha concluso al quinto posto, a 4'48" da Demi Vollering, ad occhio, senza quel 1'26", sarebbe arrivata vicinissima al podio. Un Tour combattivo, spesso a chiudere sulle rivali, quando non ad attaccare in prima persona. Classe 1998, ventiquattro anni, ed un percorso di miglioramento costante: l'orgoglio francese può soffiare forte.

Foto in evidenza: Sprint Cycling Agency


Breve ciclo-vocabolario del campionato italiano di Comano Terme 2023

Si consulta esattamente come un vocabolario, ma, mentre in un vocabolario ad ogni parola corrisponde un significato, qui ad ogni parola corrisponde una descrizione, di qualcosa che abbiamo visto o sentito nei giorni del Campionato Italiano. Le parole, del resto, sono le stesse che viviamo e scriviamo sempre, ma, guardandole bene, ascoltandole bene, in una gara di ciclismo, hanno qualcosa in più.

CIAO

National Championships Italy Women 2023 - Comano Terme - Comano Tarme 148km - 25/06/2023 - Marta Bastianelli (ITA - UAE Team ADQ) - Ilaria Sanguineti (ITA - Trek - Segafredo) - photo Massimo Fulgenzi/SprintCyclingAgency@2023

Forse una delle parole che meglio racconta l'Italia. Per un vecchio motorino degli anni settanta e perché "ciao" lo dicono anche i viaggiatori stranieri che passano dall'Italia. Una parola così semplice da pronunciare e da scrivere. "Ciao" per incontrarsi, "ciao" per lasciarsi. Anche solo per entrare in contatto e poi continuare a parlare in un'altra lingua. Una parola di fiducia istantanea, in certi casi. Fra i tanti "ciao", all'ingresso negli alberghi, all'uscita, per strada oppure in un bar, ne abbiamo scelto uno: quello di Marta Bastianelli che, sul palco della presentazione squadre della prova in linea del Campionato Italiano, domenica 25 giugno, saluta il pubblico, con un gesto della mano. Il Giro Donne, pochi giorni dopo, sarà la sua ultima gara, ma anche questa è un'ultima volta: l'ultimo Campionato Italiano. Fra le ragazze delle Fiamme Azzurre, notiamo Elena Cecchini che abbassa lo sguardo, Chiara Consonni che si passa una mano sul volto: hanno entrambe gli occhi lucidi. «Ma io non volevo piangere»: dicono a Bastianelli e, nel mentre, adesso, si stanno davvero lasciando piangere, senza più trattenere nulla. "Ciao", dice ancora Marta Bastianelli mentre scende gli scalini del palco, fra i giornalisti ed i fotografi. "Ciao", diciamo anche noi. Che buffa parola, pensandoci bene: una consonante, tre vocali. Potrebbe essere parte del linguaggio segreto di un bambino per quanto è strana. Invece, in certe occasioni, dire "ciao" e salutare con la mano è la più dura realtà degli adulti: il tempo che passa, le cose che finiscono. Buona strada, Marta!

CAMPER

Bianchi, talvolta appena lavati, talvolta con i segni dei precedenti viaggi, cicatrici che non fanno male. Camper di chi è appena arrivato, camper di chi la notte ha dormito in camper e la colazione la fa su un tavolino lì davanti. Camper delle famiglie degli atleti che si riconoscono subito perché sono vicino alla zona squadre e perché i loro finestrini non sono appostati in modo da vedere le montagne, ma in modo da vedere la strada su cui passerà la corsa. Camper di famiglia, delle vacanze che si avvicinano. Camper su cui risale qualche atleta, sudato, con una salvietta al collo. Camper come quello dei genitori di Letizia Borghesi che quel camper l'hanno acquistato proprio per seguire le gare di Letizia e Giada. Con una bandiera italiana avvolta da qualche parte, con la biancheria stesa lì vicino e qualche bicicletta appoggiata ai lati. Camper dei genitori degli atleti più giovani, appostati l'uno vicino all'altro. Qualcuno ci dice: «I genitori, ad una gara di ciclismo, non sostengono solo i figli, si sostengono anche fra di loro». Ecco cos'è un camper, da queste parti.

ESTATE

National Championships Italy 2023 - ITT - Sarche - Sarche 25,7km - 22/06/2023 - Filippo Ganna (ITA - INEOS Grenadiers) - photo Massimo Fulgenzi/SprintCyclingAgency@2023

Perché è appena passato il 21 giugno e fa già caldo. Estate soprattutto perché, da un momento all'altro, basta una gara di ciclismo per capire che è nuovamente giugno. Bottigliette d’acqua rovesciate addosso, testa sotto qualche fontana. Bambini con la maglia rosa (del Giro appena finito) o la maglia gialla (del Tour che sta per arrivare). Transenne a cui bisogna fare attenzione ad appoggiare le braccia perché iniziano a scottare. Prime canzoni estive che arrivano da un balcone e sale stampa in cui si cerca l'angolo più fresco. Estate e succo di mela per noi, in Trentino. Estate e classica abbronzatura da ciclisti, con il segno della maglietta e dei pantaloncini. Estate e corse di ragazzi, di Bryan Olivo e Luca Giaimi, Campioni Italiani, rispettivamente nelle categorie Under23 e Junior a cronometro, e, qualche minuto dopo, a correre avanti indietro e ad abbracciare gli amici, come fanno due ragazzi qualsiasi, quando arriva giugno e finisce la scuola. Estate e nonni, estate e biciclette dei nonni: "Gli chiedi se mi fa fare un giro sulla canna della sua bicicletta". Ha chiesto così un nipotino ad un nonno, vedendo Filippo Ganna sfrecciare veloce. Quando arriva l'estate, succede.

FOTOGRAFIE

Da vedere con gli amici in una sera di settembre, ma da scattare adesso, sotto questo sole. Sono proprio le fotografie delle estati passate a farci stare meglio, qualche volta. La sera dell'inizio dell'estate, il 21 giugno, dei ragazzini, in albergo, hanno visto Filippo Ganna, al tavolo, a cena. Non ci sono stati molto a pensare, sono andati a salutarlo, forse a chiedere un autografo e una foto. Anzi, un'altra foto. Una l'avevano già, in mano. Era di qualche estate fa, di qualche Campionato Italiano fa. Gliela hanno mostrata. Con addosso la maglia tricolore, seduto al tavolo della conferenza stampa, Filippo Ganna lo racconta. Sorride. Dice che vedere quelle foto lo ha fatto stare bene, dice che ora che è tornato, dopo quanto è stato male per aver dovuto lasciare il Giro, non vorrebbe più andare via. Alice Toniolli è ancora giovane, 17 anni, Campionessa Italiana a cronometro tra le junior. Eppure se guarda le fotografie di qualche anno fa, pattinava. Poi ha fatto questa scelta. Verso sera, un ragazzino, poco più giovane di lei, le chiede una foto. La sua famiglia l'aspetta, lei non ha dubbi, accetta e qualcuno scatta la fotografia. Lui la terrà come ricordo prezioso, lei, forse, non la rivedrà più. Forse. Perché al tavolo di un albergo, all'ora di cena, fra qualche anno, potrebbe succederle di riguardare quello scatto, ringraziando di averlo fatto.

INNO

National Championships Italy 2023 - Comano Terme - Comano Tarme 227km - 24/06/2023 - Simone Velasco (ITA - Astana Qazaqstan Team) - photo Massimo Fulgenzi/SprintCyclingAgency@2023

 

La parola più scontata per un Campionato Nazionale. Cantato, oppure mimato, con qualche sillaba, a ritmo. Ognuno, però, con l'inno ha un rapporto diverso, lo canta in maniera differente e si pone in maniera diversa come parte la sua musica. A noi è rimasto in mente Simone Velasco, sul gradino più alto del podio, il sabato sera, in maglia tricolore, con in braccio la figlia Diletta. "Pam-parapam" parte l'inno, Velasco si gira verso Diletta e con la bocca, a bassa voce: "Pam-parapam". Il braccio su cui la tiene si muove allo stesso ritmo e, dopo poco, anche la bambina segue istintivamente quel suono. Elisa Longo Borghini lo canta per ben due volte: dopo la prova a cronometro, dopo la prova in linea. Con accanto Marta Cavalli e Alessia Vigilia prima, con accanto Silvia Persico e Marta Cavalli, poi. In totale, negli anni, sono undici le sue maglie tricolori. Ogni tanto mano sul cuore, sguardo in avanti. Quando lo speaker le ricorda tutto quello che ha vinto, si guarda in giro timidamente, non vede l'ora che quell'elenco termini. Sì, su quel podio ci si sente quasi eroi, ma i ciclisti sono ragazzi e ragazze e uomini e donne. E loro hanno pudore anche della felicità.

PADRI E FIGLIE

Campionato Italiano Cronometro Donne Juniores 2013 - Romanengo - 21/06/2013 - Arianna Fidanza (Eurotarget Still Bike) - Giovanni Fidanza - foto Gianfranco Soncini/BettiniPhoto©2013



A colazione, nel tavolo accanto al nostro, ci sono Giovanni Fidanza e Arianna Fidanza e Valeria Curnis e suo padre. Due padri e due figlie.
«Certo che è un bel mondo questo, vero? Si sta bene, si conoscono tutti qui ed è a dimensione di persona. Certo che non credevo fosse così seguire la gara di una figlia. No, non lo credevo proprio». Ce lo dice il padre di Valeria, che, intanto, si sposta verso il nostro tavolo, con un panino e della marmellata. «Valeria viene dallo sci, è un'esperienza nuova questa. Lo confesso: ho paura alle gare. Lei lo vede, lo capisce, così cerco di nasconderlo. Ma ci penso, eccome se ci penso». Ancora un boccone, e ancora: «Sì, ci penso». Padri e figlie, alle gare. Giovanni e Arianna sono spesso seduti accanto, fuori dall'hotel, a parlare. A cena, si aspettano nella hall dell'albergo. A tavola si va assieme. Padri e figlie: Marta e Alberto, di cognome Cavalli. Accanto alla macchina: lei appoggiata alla portiera, lui seduto su un marciapiedi. A parlare, dopo la cronometro, dopo il podio. Poi, lei via in macchina, lui via in moto. Padri e figlie.

SEDIE

Spesso bianche, di plastica, con tutto il segno del tempo che è passato. Dietro ad un podio, vicino ad un bus, fuori da un albergo, su un prato, sotto un albero. Sedie in cui si aspetta: di andare in corsa o di andare a casa. Sedie in cui si parla di quello che è stato, ma anche di altro, del mare, del domani, del Giro o dei Mondiali. Sedie con addosso del ghiaccio e gambe allungate, su un'altra sedia, dopo lo sforzo. Sedie e qualcuno inginocchiato davanti con in mano borracce e asciugamani. Sedie su cui sono appoggiati attrezzi di meccanici e telefoni, sedie su cui aspettano meccanici o direttori sportivi. Sedie, con un giornale, per farsi aria, mentre la corsa passa e se ne va.

SPAGHETTI

Di tutti i piatti che arrivano a tavola, a cena, negli alberghi, la pasta si nota dal vapore che si innalza dal piatto e che si segue con lo sguardo. Il menù della serata prevede sfornati al formaggio, pesce, crostate. Eppure nei tavoli degli atleti arriva pasta e ancora pasta. In bianco, con un poco d'olio. Talvolta con sopra una macchia di sugo rosso, al pomodoro. Maglietta a maniche corte, pantaloncini corti, scarpe da ginnastica, prendono la forchetta e iniziano ad avvolgere gli spaghetti. Con gusto, con piacere. Un tintinnio che arriva da più piatti. A breve, le scale, la camera e un'altra giornata sarà finita. Comunque sia andata.


Ultimi appunti sul Tour de France

Ultime impressioni dalla Corsa Gialla, seppure quasi fuori tempo massimo, ma va così: Vingegaard contro Pogačar e poco da aggiungere a quello che è stato detto nelle ultime settimane. Perfette le parole del danese, piuttosto: «Tadej è il corridore più forte e completo al mondo, io sono il corridore più forte al Tour de France». Vingegaard che proverà a vincere anche la Vuelta, ed è uno spunto interessante per capire il livello che potrà avere il danese dopo un Tour corso a questi ritmi, facendo certi numeri e rifilando distacchi notevoli, quasi d'antan. Banalmente: ripetendo le cose fatte al Tour non ci sarà spazio per nessuno, ma vedremo che storia racconteremo. Attendiamo su quelle strade la risposta di Evenepoel, l'apporto alla forza di Vingegaard di una seconda punta come Roglič, la loro convivenza sarà un tema, una coppia che sulla carta pare fatta apposta per portare a casa tutto il possibile, ma di Vuelta ne parleremo più avanti così come della presenza di un altro ragazzo che scrive un libro dal titolo: "giovani fenomeni", e parliamo di Ayuso, spalle solide e guardate a vista da Matxin e San Millan. Ci sarà da divertirsi anche in Spagna.

Tornando al Tour: il danese è superiore allo sloveno e lo sarebbe stato anche se quest’ultimo non fosse incappato in quell'intoppo alla Liegi che gli ha fatto perdere settimane di preparazione. Questa è l’impressione, magari non avrebbe vinto con questo distacco, ecco. Lo scorso anno Pogačar è stato dominato da un punto di vista tattico: nella tappa del Granon gli si sono consumate tutte le... energie nervose dopo essere scattato decine e decine di volte su quasi ogni salita. Quest’anno è stato surclassato anche da un punto di vista atletico. Cosa può fare in futuro per battere Vingegaard? Chi lo sa! Forse gestirsi meglio, imparerà anche questo. Al momento Vingegaard è più forte praticamente in tutto quello che conta per vincere il Tour. Quest’anno sembra ulteriormente migliorato: ha ancora margini? Tema interessante per il futuro, per tenere aperta la fiammella dell'interesse, per uno scontro equilibrato, chiaramente si spera che quello visto al Tour sia il massimo per uno dei due e che siano state solo le conseguenze di una preparazione non ottimale per l’altro.

Il danese ha ulteriormente migliorato la sua posizione in bici - la sua aerodinamica è un fattore nelle prove contro il tempo -, in salita va più forte di Pogačar, tappe con più montagne o salita secca che siano, ed è mentalmente attrezzato - leggasi: freddo come il ghiaccio nelle situazioni di corsa - per gestire Pogačar che gli ronza attorno e cerca di innervosirlo con la sua tattica a volte spregiudicata, ma che tutti noi amiamo. Si nasconde meglio, spesso alla ruota dell'avversario, ha una squadra forte che lo supporta e contro la quale è difficile inventarsi qualcosa. L’impressione è che fino a quando manterrà questo standard per Tadej sarà difficile. Lo sloveno - più veloce, con uno scatto devastante per tutti, ma non sempre per Vingegaard, a parte quella manciata di secondi guadagnata su un paio di arrivi e che aveva illuso chi sperava che si arrivasse all’ultimo sabato di Tour con una classifica ancora aperta - forse è già al suo livello massimo in una corsa di tre settimane? Una domanda che resta in sospeso e alla quale eventualmente risponderemo nel 2024.

Questa stagione lo abbiamo visto ulteriormente migliorato nelle corse di un giorno, il modo in cui ha staccato tutti al Fiandre, il modo in cui ha tenuto lontano il corridore più da Fiandre che ci sia lo dimostra, e se fosse arrivato al Tour senza intoppi sarebbe andata diversamente? Non siamo pazzi, non vogliano contraddirci, abbiamo detto come probabilmente il Tour lo avrebbe perso lo stesso, ma il 2024 segnerà un altro capitolo della loro rivalità, un’altra storia da raccontare senza dimenticare come nel 2019 credevamo iniziasse il regno di Bernal, nel 2020 quello di Pogačar e oggi quello di Vingegaard. Tutto cambia alla velocità della luce e chissà fra dodici mesi al Tour cosa potrà succedere. Intanto speriamo che lo sloveno non si snaturi (ovvero puntare tutto solo sul Tour lasciando ad altri momenti l’assalto alle grandi classiche) e magari il danese si faccia vedere competitivo anche sulle Ardenne - ha i numeri per giocarsi anche quelle corse contro Tadej e pure contro Evenepoel con il quale si dà appuntamento per una Vuelta che ci pare già da leccarsi i baffi.

IL TOUR DEGLI ALTRI

Jasper Philipsen (BEL - Alpecin - Deceuninck) - Mathieu Van Der Poel (NED - Alpecin - Deceuninck) - Foto Tommaso Pelagalli/SprintCyclingAgency©2023

Quello dei tanti vincitori di tappa: ben diciotto diversi dove solo Philipsen con quattro successi e Pogačar con due sono riusciti a vincerne più di una. È stato - ancora una volta - il Tour delle fughe a segno, della Spagna che torna alla ribalta e lo fa con diverse generazioni. Il vecchietto - si fa per dire - Ion Izagirre capace di vincere a sette anni dalla sua prima vittoria sulle strade francesi; lo fa con Pello Bilbao che a inizio stagione diceva di non essersi mai sentito così forte e il piazzamento finale (sesto) lo dimostra, così come la tappa vinta in maniera chirurgica: voluta, arrivata. (La Spagna) lo fa con uno dei giovani più interessanti in assoluto, Carlos Rodriguez, 21 anni e già 7° alla Vuelta e 5° al Tour, entrambe le corse chiuse da caduto e ammaccato e purtroppo al momento questo è un suo grosso limite, anche se quando va in discesa lo fa con personalità e tecnica. Pensare che uno che ottiene un risultato del genere a quell'età lo si considera forte, sì, ma probabilmente dietro ad altri 3/4 corridori non troppo più vecchi di lui ci fa capire il momento particolare che stiamo vivendo nel ciclismo, un momento di ritorno a una forte competitività nelle corse a tappe - arriverà il giorno in cui a sfidarsi per un grande Giro troveremo contemporaneamente Vingegaard, Pogacar, Evenepoel, Ayuso, Rodriguez, e quel momento sarà epocale, chissà che non accada già al prossimo Tour.

È stato il Tour degli Yates: Adam mai così forte, Simon così solido, dei francesi che si tolgono la soddisfazione di vincere con Victor Lafay, ma in classifica arrancano. Per David Gaudu le cose non sono mai andate per il verso giusto e visto che da un po’ di anni lo chiamiamo al Giro d’Italia, il 2024 - vedremo poi che disegno ci sarà - potrebbe essere una buona occasione per salire sul podio in un grande giro e scrollarsi di dosso l’ossessione Tour de France. È stato un Tour che ha messo a nudo i limiti di Jai Hindley, partito forte, gran bella vittoria di tappa e un giorno in maglia gialla, chiude in calo, se la caduta al termine della seconda settimana non ha inciso, significa che anche per lui la coperta è corta. Potrebbe aver anche pagato un Tour che, rispetto ai giri d'Italia chiusi in crescendo, si è corso con un ritmo completamente diverso, più alto, che ne ha consumato il motore.

È stato il Tour che ha evidenziato la stagione della consacrazione definitiva di Mads Pedersen, ormai una garanzia assoluta come punta e uomo squadra, e Jasper Philipsen che, molti se ne sono accorti solo ora, ha confermato di essere il velocista più forte dell’ultimo biennio. Tutte (o quasi, almeno quelle che mi ricordo, a memoria) le altre vittorie di tappa meritano una citazione: Matej Mohorič, per Gino, confermando la sua capacità di tirare fuori dal taschino pezzi pregiati quando conta e quando è in giornata: la tappa vinta a Poligny, a parte il post gara che verrà ricordato per le sue belle parole, è come una classica del nord in scena al diciannovesimo giorno di gara: staccare e battere certi corridori non fa che certificare status e classe. Kasper Asgreen salva il Tour della Quick Step (Alaphilippe in fase calante, evidente, ma secondo me un paio di cartucce ce le ha ancora, Jakobsen in difficoltà nelle volate), Michael Woods vince una delle tappe simbolo (Puy de Dome), con una scalata folle (recuperati due minuti e mezzo a Jorgenson in fuga) e poi Felix Gall, a mio parere la grande sorpresa di questo Tour per come ha vinto la tappa regina - Courchevel - per come è rimasto in classifica - 7° posto finale - per come ha saputo interpetrare il Tour riuscendo persino a chiudere in crescendo mostrandosi nella terza settimana come il più forte in salita dopo i due dominatori. Potrei scrivere ancora per ore e ore, perché è stato un Tour ricco di spunti, ma invece taglio corto e vi invito ad ascoltare il podcast di 53x11 dove è stato fatto un approfondito riepilogo sul Tour.

UN MESTO TRICOLORE A MEZZ'ASTA

Giulio Ciccone - Foto: ASO/Jonathan Biche

Chiudiamo con l’Italia e lo sguardo di Ciccone nella foto dice tutto. Non ci si poteva aspettare di più francamente. Il livello del ciclismo è alto e quello che abbiamo visto è ciò che noi possiamo offrire nella corsa più importante al mondo soprattutto se i vari Ganna (il nostro numero uno), Milan (il nostro migliore velocista) e alcuni corridori che hanno dimostrato di stare molto bene (vedi Bagioli al Vallonia), vengono messi fuori per scelte tattiche o perché dopo il Giro hanno - giustamente -  staccato. È stato molto bravo, Ciccone, a sfruttare l’occasione che gli si è presentata vincendo una maglia a pois che mancava all'Italia da un po’ di anni - l’ultimo Pellizotti nel 2009, maglia poi revocata, ma a Parigi c’era lui sul podio -, ma non è di certo il successo che cambia un movimento, anche se fa guadagnare tifo e affetto per l'ottimo corridore della Lidl-Trek, e, stavolta, non serve nemmeno a nascondere la polvere sotto il tappeto come altre volte.

Otto piazzamenti di tappa nei primi dieci. Il miglior risultato è il 2° posto di Ciccone a Laruns, - sempre lui, ampiamente promosso e aumenta il rammarico di non averlo visto al Giro - Mozzato chiude con un 4°, un 7° e due decimi posti, compreso quello a Parigi, Trentin ha un 8° e un 9° posto, Bettiol un 8°. Non vinciamo una tappa al Tour dal 2019, Nibali a Val Thorens e dopo di noi ben diciannove nazioni hanno conquistato almeno una tappa al Tour de France, peggio fanno solo: Sudafrica, Slovacchia, Russia, Repubblica Ceca, Lituania, Portogallo, Ucraina, Estonia, Svezia, Uzbekistan, Lettonia, Brasile e Messico. I numeri, come sempre, hanno bisogno di essere interpretati ma mai come stavolta dicono molto senza bisogno di didascalie sul nostro movimento, e tocca al massimo accennare e ripetere quello che si diceva dopo le classiche, prima e dopo il Giro, sia quello dei grandi che quello Under 23, e pure prima del Tour.

I corridori sono buoni, anzi, ottimi, abbiamo in casa un vero e proprio fuoriclasse (Ganna), e un altro che potrebbe farci divertire in volata (e chissà anche in alcune classiche del nord) ma i corridori appartenenti alla classe media per vincere corse importanti o una tappa al Tour devono sperare che succedano cose particolari. E attenzione: non sto facendo di certo una colpa a chi pedala! Piuttosto vorrei continuare a piangermi addosso perché non rimarrebbe altro da fare considerando un numero esiguo di corridori al via del Tour da far venire l’orticaria (solo 7), chissà se qualcuno in alto se n'è accorto, si interroga e si cercano soluzioni - quali non lo so. A questo punto mi resta solo la speranza, scomodando Abatantuono in Mediterraneo "chi vive sperando...", ecco, speriamo che qualcuno salvi il movimento, non essere al passo di questo ciclismo che è tornato a intrattenere come si deve, è davvero un peccato.

Foto in evidenza: ASO/Charly Lopez


Il questionario cicloproustiano di Katia Ragusa

Il tratto principale del tuo carattere?
Testardaggine

Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Fedeltà

Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
Autostima

Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
Sincerità

Il tuo peggior difetto?
Testardaggine

Il tuo hobby o passatempo preferito?
La possibilità di stare a contatto con animali e natura

Cosa sogni per la tua felicità?
Sentirmi realizzata

Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
Perdere qualcosa che mi è veramente caro

Cosa vorresti essere?
Vorrei diventare una atleta olimpica

In che paese/nazione vorresti vivere?
In Italia

Il tuo colore preferito?
Verde marino

Il tuo animale preferito?
Cavallo

Il tuo scrittore preferito?
Elena Ferrante

Il tuo film preferito?
No Time to Die-007

Il tuo musicista o gruppo preferito?
Maneskin

Il tuo corridore preferito?
Fabian Cancellara

Un eroe e un'eroina nella tua vita reale?
Penso di non avere eroi o eroine nella quotidianità

Il tuo nome preferito?
Dafne

Cosa detesti?
Fallire

Un personaggio della storia che odi più di tutti?
Adolf Hitler

L’impresa storica che ammiri di più?
L'impresa dei Mille

L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Peter Sagan che vince il Mondiale per tre anni consecutivi

Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Mondiale

Un dono che vorresti avere?
Talento

Come ti senti attualmente?
Determinata

Lascia scritto il tuo motto della vita
Vai bestia!


La TransAm di Omar Di Felice

Mentre parlava con un amico, qualche giorno fa, Omar Di Felice si è chiesto se fosse davvero successo, se davvero avesse conquistato la Trans America. Anche mentre ce lo racconta, in realtà, sembra chiederselo, tanto che, ad un certo punto, chiosa: «In fondo, già solo il fatto che ne stiamo parlando vuol dire che qualcosa di vero c'è. Probabilmente ho bisogno di restare a casa qualche giorno e pensarci da solo: lì capirò quel che è accaduto». Quel che è accaduto lo riepiloghiamo anche noi: Di Felice ha percorso 7000 chilometri e circa 55000 metri di dislivello, da Astoria, in Oregon, a Yorktown, in Virginia, in 18 giorni, 10 ore e 13 minuti. La Trans America era questo "viaggio" e Di Felice è stato il più veloce a compierlo. Ha vinto, il primo italiano a farlo. Nel restare a casa qualche giorno, c'è parte della sua festa per il traguardo conquistato, una festa che, però, ha caratteri particolari: «Ho quarantuno anni e quando ho iniziato non pensavo minimamente di poter fare quel che poi ho fatto: ho partecipato a 46 gare, 17 le ho vinte, in altre 17 o 18 volte ho raggiunto il podio. All'inizio credevo di dovermi tuffare sempre nel passo successivo, senza mai celebrare, senza mai festeggiare. Vivo di concretezza e continuo a pensare che non ci si possa cullare sugli allori, che sia necessario guardare avanti, fare altro, non vivere di racconti passati. Non mi piace chi lo fa. Ma una pizza con amici è una festa piccola, in fondo, che serve solo a ricordarsi quel che è stato. A ricordarsi che, nella vita, bisogna anche saper celebrare le piccole e le grandi cose. Io ho imparato». In quell'età, che Omar ripete più volte nella nostra intervista, c'è anche tutta la consapevolezza che si ha dopo più di quaranta gare, ma anche quella che si ha a quarant'anni e magari non a venti: una tranquillità nei problemi che, riflettendoci ora e guardandola dall'esterno, al di fuori dalle situazioni che l'hanno sfidata, meraviglia anche Di Felice stesso.

Si parla di quando una bomba d'acqua, con grandine a non finire, l'ha sorpreso in Colorado e fermandosi a dormire, per circa quattro ore, in attesa che le condizioni meteorologiche migliorassero, ha perso tutto il vantaggio accumulato fino a quel momento. In quegli istanti, con la stanchezza, può sopraggiungere il panico, invece no: «Ero in assoluto controllo, una sorta di pace dei sensi che mi portava a fare quel che era necessario, inevitabile in casi come questi, senza prendermela». Qualcosa di simile è accaduto anche in Virginia, dove un maltempo eccezionale, ha rovesciato al suolo acqua a non finire: Di Felice non ha più nulla di invernale, ha già spedito tutto a casa, fa freddo ed inizia a manifestarsi un principio di ipotermia. Nessuno apre alla porta del Bed and Breakfast che ha prenotato, sono le tre di notte, deve chiamare la proprietaria: entra grazie ad un codice fornitogli al telefono, si cambia, asciuga tutto e riparte. «Nel frattempo le ottanta miglia che avevo di vantaggio erano diventate venticinque. Pazienza, serve solo questo. Certo, quando riparti, riparti a tutta perché vuoi vincere, battagli per prendere il traghetto in tempo, perché vuoi vincere, ma devi accettare gli inconvenienti. Il ragazzo canadese che è arrivato terzo ha raccontato di aver vissuto molto male le forature, di essersi innervosito: umanamente lo capisco benissimo, ma bisogna pensare al fatto che in un viaggio di settemila chilometri è inevitabile forare ed in un viaggio attraverso quattro stagioni, perché questa è la Trans America, è impossibile non incappare nelle piogge forti o nel caldo asfissiante». Così, sorridendo, ci confessa di aver capito quel detto che afferma che "dopo i quaranta, arriva il bello", perché i suoi risultati migliori sono arrivati proprio dopo i quaranta e, soprattutto, perché, dopo i quaranta, è arrivata la capacità di focalizzarsi solo sulla propria persona.

«Quante volte mi sono preoccupato dei miei avversari in carriera? Ora non più. La prima notte ho dormito, anche se tutti i miei rivali non lo hanno fatto: non ho battuto ciglio, perché sentivo di averne bisogno. Ascolto il mio corpo e capisco ciò che mi chiede. Forse i risultati migliori sono anche dovuti al fatto che mi adatto maggiormente, i trentenni della mia epoca non erano così bravi a farlo. I trentenni di oggi sono diversi: vincono di più, hanno esperienza e capacità, arrivano prima, però si stancano anche prima. Le carriere credo si accorceranno anche nell'ultracycling, non solo nel professionismo. Ma, per quanto mi riguarda, i miei quarant'anni sono meglio dei miei trenta». Anni che, a tratti, forse, sono come quei drittoni che Omar Di Felice si è trovato di fronte in Kansas, lunghi, infiniti, strade che paiono finire direttamente nel cielo, mentre il vento soffia forte contro: strade che, per quanto difficili lo esaltano e, praticamente, non gli fanno sentire la fatica. Capita che la via che si percorre sia quasi un premio, questo sono stati gli ultimi quindici, forse venti, chilometri, sotto un sole meraviglioso, verso il traguardo. Se certe strade sono un premio, di certo una gara così è un viaggio, in cui si interagisce con le persone, per mangiare, per dormire, in cui si attraversano piccoli e grandi paesi, in cui si attraversa l'America: «Sono partito pensando al sogno americano, pedalando ho toccato con mano tutte le contraddizioni di una terra, di grandi e piccole città. Da un lato, nelle città, cartelli contro l'aborto, dall'altro fucili e armi vendute al supermercato, in autentici banconi, vicino al cibo. Un paese in cui gli uffici postali sono sempre aperti e chiunque può entrarvi, per dormire o cambiarsi: mi è capitato e mi sono sentito accolto. Un paese in cui le strade restituiscono l'idea della sicurezza. Non solo le auto sorpassano i ciclisti ad una adeguata distanza, ma mantengono anche una giusta distanza nel procedere in modo da riuscire a reagire in tempo in caso di cadute. C'è questo e c'è il junk food, il cibo spazzatura, di cui, comunque, ho dovuto nutrirmi in quei giorni: uova, bacon, polletti fritti, haribo, hamburger». Di Felice racconta di non essere assolutamente schizzinoso sul fattore alimentazione e spiega che, anche in questo caso, la parola chiave è adattamento: «Se hai bisogno di sali e non li hai devi mangiare cibi salati, lo stesso vale per gli aminoacidi e le fonti proteiche. Talvolta un Mars in una stazione di servizio può essere una buona soluzione. Adattarsi significa abituarsi e abituarsi significa tenersi allenato a digerire in ogni situazione e condizione, anche in allenamenti lunghi o situazioni sfavorevoli. Io provo tutto questo già in preparazione. Quello a cui bisogna fare attenzione sono sempre le condizioni igieniche dei posti in cui si va. Questo è essenziale».

Due giornate difficili, probabilmente le più difficili, arrivano proprio in Kansas: circa ottanta chilometri senza potersi rifornire di acqua, mal di testa, giramenti di testa, in una giornata che non finiva più. Omar Di Felice la gestisce e la supera, soprattutto, non raccontando nulla sui social, non lascia modo ai suoi avversari di capire questa difficoltà e di attaccarlo: «La strategia è tutto. Io mi ci focalizzo molto e penso che anche i miei avversari lo facciano. L'ultimo giorno, quando ho avuto un principio di ipotermia, non ho detto il motivo: di qualcosa si saranno accorti, perché il vantaggio calava, ma non potevano averne la certezza. Forse anche per questo non mi hanno attaccato, forse semplicemente perché non avevano le gambe». Quando arriva a Yorktown, Omar Di Felice è molto provato fisicamente, oggi ammette che, se ci fossero stati cento chilometri in più, avrebbe fatto fatica a farli, e che, gli ultimi chilometri, li ha percorsi solo con la testa. Per giorni, dopo il ritorno, ha avvertito dolore a fare le scale, a causa di una spossatezza che non lo lasciava; ha ripreso a pedalare, lo fa "dignitosamente" ma senza alcuna possibilità di fare performance, per quello servirà ancora un mese e mezzo, forse due. Una valutazione che è, comunque, sempre soggettiva e dipende da quanto si è raschiato il fondo del barile.

C'è stato un attimo, durante la Trans America, mentre era in testa da solo, in cui Omar Di Felice si è detto: «Se vincessi, perché non chiudere così? Perché non terminare qui la tua carriera? Potresti chiudere alla grande». La domanda vera era un'altra: qual è il momento giusto per smettere? «Di certo smetterò quando sentirò di essere ad un buon livello, non vorrei trascinarmi lungo gli ultimi anni di carriera, ma non è ancora il momento. Fare quello che faccio non mi pesa, non mi pesano i sacrifici. Riesco a bilanciare i momenti gara e di sforzo e quelli di stacco, godendomeli entrambi. Sono convinto che sia giusto riempire la vita anche di altro, non solo del ciclismo, e provo a farlo. Così mi sono risposto che non è ancora il momento di smettere. Che, poi, smettere è sempre tra virgolette perché alla bicicletta mi dedicherò sempre lo stesso». Sì, Omar Di Felice continuerà a gareggiare e molto probabilmente a vincere. Da qui nasce l'ultima domanda. Ma se Di Felice non avesse vinto tutto quello che ha vinto, se fosse stato un onesto pedalatore, senza acuti, avrebbe continuato lo stesso in questo percorso in sella?

«Sì, credo proprio di sì. Ho sempre voluto far parte di questo mondo, ho fatto tante rinunce, tanti sacrifici e alle prime gare, quando le cose non andavano così bene e arrivavo al traguardo con fatica, ricordo che provavo la stessa soddisfazione di oggi che vinco. Per essere soddisfatti non serve per forza vincere, sebbene la vittoria sia quello per cui tutti gareggiamo, si trova soddisfazione in tanti piccoli miglioramenti, si trova soddisfazione nell'insistere, nel tenere duro e nel dimostrare, a te stesso prima che agli altri, che quel traguardo per cui tanto hai lavorato puoi raggiungerlo. Ancor di più se non nasci con un particolare talento. Non sembri falsa umiltà, non lo è. Io non sono nato per questo, ne sono abbastanza convinto. Da giovane, quando l'ho capito, ci sono rimasto male, perché avrei voluto avere quel talento cristallino di quelli a cui riesce tutto semplice. A me non è mai riuscito semplice nulla. Poi ho capito che il talento da solo non basta, che se non si lavora sodo, ci si perde anche con il talento. Così sono orgoglioso della mia fatica e di tutto quello che ha comportato. Tempo fa, leggevo che Javier Zanetti, il capitano dell'Inter, per molti anni, si allenava persino in aeroporto, prima dei voli per le partite. Mi sono rivisto in quelle parole, perché mi è capitato e mi capiterà ancora, anche se, guardandomi vincere, magari non ci si pensa». Succede agli atleti e Omar Di Felice si sente solo questo: un uomo e un atleta.

Foto: di Elisa Raney e Rand Milam