10 nomi da seguire alla Paris-Roubaix
L'Inferno del Nord chiude la Settimana Santa del ciclismo. Quello delle pietre, dove anche se ci stai sopra a lungo non ti abitui mai e quando ne esci hai male ovunque e per diversi giorni. Al Fiandre c'è stato spettacolo in corsa grazie all'atteggiamento dei corridori, ma anche a causa di una serie incredibile di cadute che hanno falcidiato una parte del gruppo, alla Roubaix, conoscendo il percorso, potrebbe avvenire qualcosa di simile sia in un senso che nell'altro - nel senso di cadute e feriti speriamo vivamente di no.
Il titolo lo mette in palio Dylan van Baarle, splendido, per eleganza e potenza, vincitore nel 2022, che arriva da una primavera ciclistica dolce e amara: dolce come la vittoria alla Omloop het Niewusblad, amara come la serie di ritiri, problemi e cadute che hanno contraddistinto una buona parte della sua Campagna del Nord.
Il titolo va conquistato lungo i 260km che da Compiègne portano al velodromo di Roubaix, attraversando la bellezza (in tutti i sensi) di trenta settori di pavé. Quello francese, quello delle campagne nel nord-est al confine tra Belgio e Francia. Non c'è corsa più lontana dalla definizione di passeggiata di salute.
Come da tradizione vi daremo 10 nomi da seguire, come per la Milano-Sanremo e il Fiandre di quest’anno la corsa sarà valida anche per il Trofeo Monumento di Fantacycling e tra parentesi accanto al nome di ogni corridore, infatti, trovate la loro quotazione in crediti.
DIECI NOMI DA SEGUIRE ALLA PARIGI-ROUBAIX
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1. Wout van Aert (71 crediti) - Sinceramente non vorremmo passare un'altra stagione senza aver visto van Aert esultare tra Fiandre e Roubaix. Probabilmente nemmeno lui e questa classica sappiamo gli si addice di più rispetto a quella "di casa".
2. Mathieu van der Poel (54)- 1° alla Sanremo, 2° al Fiandre quest’anno. In carriera ha un 3° e un 9° posto in questa corsa su due partecipazioni. Poi è Mathieu van der Poel e quindi non aggiungiamo altro su come potrà finire.
3. Filippo Ganna (26) - Nessuno si nasconde. Né lui, né la squadra, nemmeno noi. Ganna parte tra i favoriti di questa corsa e noi sogniamo, con lui e con la sua squadra.
4. Nils Politt (11) - Ha un modo di correre perfetto per questa corsa. Sta bene e alla Roubaix è già salito sul podio. Occhio al formidabile passistone tedesco - che ha pure spunto veloce nel caso si arrivasse in volata ristretta, opzione da non scartare.
5. Jasper Stuyven (17) - Praticamente non c’è stata gara al nord quest’anno che non lo ha visto coinvolto in una caduta. Alla Roubaix, la “sua” corsa, per lasciarsi dietro le sfortune e raccogliere tutto il possibile in un colpo solo. In Trek divide la leadership come di consueto con Pedersen.
6. Oier Lazkano (5) - Scommettereste contro una sua top ten qualora entrasse in una fuga da lontano? Rispondiamo noi per voi: assolutamente no!
7. Matteo Trentin (15)- Dopo avergli visto correre quel Fiandre, sogniamo insieme a lui un piazzamento importante anche alla Roubaix. In casa UAE occhio pure a Bjerg.
8. Stefan Küng (30) - Dietro i big il corridore più continuo sulle pietre del Nord da un paio di stagioni. Magari non vincerà, ma sarà davanti, c’è da scommettere.
9. Yves Lampaert (14) - Corridore che spesso in questa gara si trasforma, ha un conto aperto dopo lo sfortunato capitombolo del 2022 che probabilmente gli ha tolto la possibilità di salire sul podio.
10- Matej Mohorič (26) - Più del Fiandre questa sembra la sua corsa e lo va ripetendo da quest’inverno: «Il mio obiettivo stagionale? Vincere la Roubaix». Ci fidiamo?
ECCO INFINE TUTTI I SETTORI IN PAVE DELLA PARIS-ROUBAIX 2023
30. Troisvilles à Inchy (160,3 km al traguardo) 2.200 m – ***
29. Viesly à Quiévy (153,8 km) 1.800 m – ***
28. Quiévy à Saint-Python (151,2 km) 3.700 m – *** *
27. Saint-Python (146,5 km) 1.500 m – **
26. Saint-Martin-sur-Écaillon à Vertain (139,4 km) 2.300 m – ***
25. Verchain-Maugré À Quérénaing (129,4 km) 1.600 m – ***
24. Quérénaing à Maing (ancora 126,7 km) 2.500 m – ***
23. Maing à Monchaux-sur-Écaillon (123,6 km) 1.600 m – ***
22. Haspres à Thiant (117 km) 1.700 m – **
21. Haveluy à Wallers (103,5 km) 2.500 m – ****
20. Trouée d'Arenberg (95,3 km) 2.300 m – *****
19. Wallers à Hélesmes (89,2 km) 1.600 m – * **
18. Hornaing à Wandignies (82,5 km) 3.700 m – ****
17. Warlaing à Brillon (75 km) 2.400 m – ***
16. Tilloy à Sars-et-Rosières (71,5 km) 2.400 m – ****
15. Beuvry à Orchies (65,2 km) 1.400 m – ***
14. Orchies (60,1 km) 1.700 m – ***
13. Auchy à Bersée (54 km) 2.700 m – * ***
12. Mons-en-Pévèle (48,6 km) 3.000 m – *****
11. Mérignies à Avelin (42,6 km) 700 m – **
10. Pont-Thibault à Ennevelin (39,2 km) 1.400 m – ***
9. Templeuve (L'Épinette) (33,8 km ) 200 m – *
8. Templeuve (Moulin-de-Vertain) (33,3 km) 500 m – **
7. Cysoing à Bourghelles (26,8 km) 1.300 m – ***
6. Bourghelles à Wannehain (24,3 km) 1.100 m – ***
5 Camphin-en-Pévèle (19,9 km) 1.800 m – ****
4. Carrefour de l'Arbre (17,1 km) 2.100 m – * ****
3. Gruson (14,8 km) 1.100 m – * *
2. Willems à Hem ( 8,2 km) 1.400 m – ***
1. Roubaix (Espace Charles Crupelandt) (1,4 km) 300 m – *
Foto: Sprint Cycling Agency
I motivi che muovono il Binda
Sul lago, a Maccagno, nel primo mattino, alla partenza del Trofeo Binda, ci si rende proprio conto di come ciascuno sia qui per un motivo diverso. Sì, ognuno, perché questa considerazione non riguarda solo le atlete, ma proprio ogni persona arrivata qui. Pensate che qualcuno non conosce nemmeno questa corsa, ma il traffico bloccato non gli ha dato altro scampo che fermarsi e allora: «Ho fatto di necessità virtù. Invece che lamentarmi, ho deciso di guardare a quello che c'è. Per ora, non ci capisco molto, ma chissà, dicono che le gare di ciclismo siano molto lunghe, forse ora della fine...». E, se il ragazzo che ci dice questo è capitato qui per caso, anche chi è venuto appositamente per la gara di motivi ne ha a bizzeffe e tutti diversi. C'è chi sa gustarsi l'attesa e chi, invece, non vede l'ora che la corsa parta, o meglio, che arrivi, perché vuole vedere il finale, vuole sapere come andrà. Lo si capisce dalla postura; c'è chi è appoggiato comodamente alle transenne e chi non sta fermo un attimo, dallo sguardo alle mani, alle gambe. Lo si capisce da come corre alla macchina chi non vede l'ora dello scatenarsi della bagarre: telefono alla mano, mappa, per capire dove andare a vedere il passaggio. In questi casi, la parola d'ordine è "schiscetta", ovvero merenda o pranzo, portato in un contenitore: «Prendetevi la schiscetta» dice una madre. Poi via, si va.
E se questo vale per il pubblico, a maggior ragione vale per le atlete. Prendete Sofia Barbieri che corre questa gara con una mascherina per le allergie che si sviluppano in questa stagione, suscitando la curiosità di chi la vede transitare: «I medicinali non sempre bastano, però, con la fatica, ogni tanto tocca abbassarla, scegliere il male minore. Se l'abbasso, vuol dire che la lucina rossa sta per accendersi». Quale può essere il motivo, quando sei certo che, comunque vada, soffrirai? Esserci, in molti casi, solo esserci, provare. Anche Marta Cavalli è a Maccagno, con un'idea diversa dal solito: non è ancora il momento del ritorno in corsa, le serve una pausa, ma correrà. Perché è in Italia e molti la aspettano e perché, in fondo, la voglia di mettersi alla prova c'è sempre, la voglia di ricercare la stessa sensazione e di vedere come cambia di giorno in giorno. Arriva, si ferma in macchina, parla con il proprio direttore sportivo, poi scende e va incontro al padre. Già, per molti oggi il motivo è anche questo: vedere le figlie correre o vedere i genitori dopo settimane lontani da casa. Anche i genitori delle atlete hanno una mappa: quella delle trasferte fattibili e dei giorni in cui possono stare lontano dal lavoro per seguire le figlie, anche in camper, anche con andata e ritorno in giornata e chilometri e chilometri.
Poi ci sono le motivazioni attinenti alla gara: si legge la tensione negli occhi di chi la gara proverà a farla, a dominarla, a vincerla. Si legge negli occhi appena si scende dal pullman, poi, come si incrocia lo sguardo dei tifosi, lascia spazio a qualche parola, al sorriso: quasi una maschera per comunicare la spensieratezza che i tifosi si aspettano, quasi fosse un gioco di teatro. Vale per Niewiadoma, Arlenis Sierra, Mavi Garcia, ma vale in generale per chi vuole fare bene. Elisa Balsamo e Soraya Paladin scendono prima dal pulmann: lì fuori c'è la loro famiglia. «Oggi sono qui per mia sorella» ci dice Asja Paladin mentre, con i genitori, va al pullman a salutare Soraya. Non «per vedere mia sorella correre» ma proprio per lei: quasi il tifo di una sorella possa essere un sostegno fisico, un appoggio vero e proprio, non solo di voce e mani che battono.
Tra i motivi c'è anche il sostegno alla squadra, l'essere utili, in ogni modo. Shirin van Anrooij ha ed ha sempre avuto questo motivo. L’ha detto nel dopo gara: «Volevo lavorare per Elisa Balsamo, poi ho sentito di avere le gambe e ho tirato dritto». Sì, “aveva proprio le gambe” a giudicare dal numero che ha fatto. Una ciclista che ieri non ha partecipato alla gara, vedendola, ci ha detto: «Non mi è mai capitato di essere davanti a una corsa e di giocarmela così. Però la sensazione che si prova, quando il gruppo ti insegue a pochi secondi, la conosco. La simulo in allenamento: fingo di essere al Giro d'Italia, all'attacco. Conosco quell'acido lattico che monta». Ed anche questo è un motivo, è cercare un motivo, per fare fatica, per andare alle corse. Lo pensano spesso le atlete che vanno i fuga in corse in cui si sa che la fuga non arriverà. Per sprintare per un secondo posto, come ha fatto Elisa Balsamo, e gioire come fosse il primo, perché c'è una compagna che ha vinto, ma adesso sai che quella volata avresti potuto vincerla anche tu e questo è motivo di fiducia.
Vogliamo dire che i motivi, le motivazioni, alla fine, in questa domenica, sono state tutto quello che contava: per esserci, per non esserci, per vincere o per arrivare al traguardo. Per il modo in cui permettono di leggere ciò che accade e di venire sul lago per una gara dura, anche se si sa o si teme di non essere pronte per quel che si vorrebbe. I motivi muovono, come le biciclette. Per questo era giusto parlarne.
E ora qualcosa di completamente diverso
Non c’è esperienza più strana, particolare, di una Milano-Sanremo. Una Milano-Sanremo con un finale così, poi, lasciamo stare, perché ha decisamente qualcosa in più. Un amico ci scrive - e ci perdonerà per aver usato e rubato il suo esempio - “La Sanremo è come Catherine Deneuve in Bella di Giorno”. Non si poteva spiegare meglio.
Non c’è esperienza più particolare, differente di questa gara. Ti lascia titubante, annoia da morire, ti costringe a contraddirti e ad arrampicarti sugli specchi per spiegare la situazione: la odi e la ami, ma la guardi lo stesso, perché poi sai che quel finale ripaga tutto. E oggi, quel finale, che finale: ha dato decisamente un tocco differente a tutto.
Non è un dramma in tre atti, ma è qualcosa di completamente diverso. È un crescendo continuo, non c’è risoluzione, ma solo scontro e lotta. C’è appagamento fisico. Ti trascina e quando arrivano i Capi vola via e non te ne accorgi. Salgono le pulsazioni, se sei sul divano inizia a mangiarti le unghie dal nervoso (non fatelo...), e ti alzi, inizi a saltellare.
«Lasciatemi stare, ci sono gli ultimi chilometri della Sanremo!»
«Ma se hai detto che è una gara noiosa!»
«Non è vero!»
Non è vero, perché quando arriva quel benedetto Poggio ti accorgi che sei ore sono volate via e se succede come oggi, vedi volare via un quartetto iconico, stellare, che più quartetto iconico, stellare non si può. E se sei ancora più fortunato da quel quartetto iconico, stellare vedi volare via Mathieu van der Poel che trova il momento giusto, perfetto, quasi studiato, per prendere lo slancio giusto e andarsene.
Ci sarebbe da parlare per ore, scrivere trattati e saggi su ciò che van der Poel e questa generazione sta regalando al ciclismo. E di quello che hanno regalato oggi alla Milano-Sanremo. Ciclocrossisti che vincono la gara (e che finiscono sul podio), pistard che arrivano secondi (che gara Ganna, e che sparata sul traguardo!); corridori a tutto tondo che attaccano, vengono staccati e poi battuti, finiscono giù dal podio, ma a fine corsa hanno occhi, sorrisi e strette di mano solo per il vincitore.
Oggi è stata una Milano-Sanremo di quelle che vorresti uscire in strada e urlare: «Che gara!»; una di quelle Milano-Sanremo dove non invidi il tuo vicino che sta in giardino a tagliare l’erba, anzi non solo non lo invidi, ma provi pure un po' di rabbia e vorresti dirgli: «Vai dentro a guardare la corsa che mi disturbi!».
Oggi Mathieu van der Poel, con la sua esplosività e il suo tempismo ha regalato qualcosa di completamente diverso in un ciclismo che, quando ci sono loro a giocarsi la vittoria, fa di tutto per non annoiarci nemmeno un po’. Nemmeno in una corsa come la Sanremo, amata, odiata, bistrattata, difesa strenuamente, e con quel finale così carico di emozioni e adrenalina. E poi quegli ultimi chilometri fatti così e con quel vincitore lì, hanno avuto decisamente qualcosa in più. Che esperienza la Sanremo...
10 nomi da seguire per la Milano-Sanremo
Qual è quella corsa che dura quasi trecento chilometri e che ti consuma lentamente, ti annoia, ti fa addormentare e poi all'improvviso ti sveglia come se ti avessero gettato un secchio di acqua gelata? Qual è quella corsa che ha sempre lo stesso canovaccio, ma che si presta a diverse soluzioni, quella corsa in cui “tanti sono i favoriti, ma pochi quelli che davvero possono vincerla?” almeno così dicono i saggi.
Beh inutile stare a girarci troppo attorno perché lo avete già capito: parliamo di Milano-Sanremo che quest'anno, per gli appassionati di fantaciclismo e per tutti gli iscritti a Fantacycling, darà il via al Trofeo Monumento con i premi messi in palio da alvento.
Ve ne consigliamo dieci, ma potrebbero essere anche trenta con il rischio che poi a vincere è il trentunesimo. Una corsa unica a suo modo, divisiva, noiosa e allo stesso tempo palpitante. Aperta a diverse soluzioni, ma paradossalmente con un canovaccio sempre simile che non si discosta da quei tre, quattro modi che si hanno per vincerla.
Abbiamo scelto cinque grandi nomi e cinque outsider che come vedrete alcuni possono essere nomi anche sorprendenti. restano fuori campioni uscenti, vincitori recenti, gente che è salita sul podio più volte, ma questa è la forza (mai il limite) della Sanremo.
PS di fianco al nome trovate anche i fantacrediti per l’acquisto su fantacycling.
DIECI NOMI PER LA MILANO-SANREMO
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5 FAVORITI
1.Mathieu van der Poel (46 crediti)- Arrivato un po' sotto traccia, ha giocato a nascondino o cerca ancora la migliore condizione?
2. Tadej Pogacar (72)- il più in forma, il più forte, lui altro che nascondersi, sta benissimo forse anche più dello scorso anno e con la capacità di non ripetere certi errori.
3. Wout van Aert (67)- A proposito di nascondino alla vigilia della Milano-Sanremo, a proposito di soluzioni differenti. Se c’è uno che può vincere in ogni modo quello è lui.
4. Mads Pedersen (40)- Dice di non amare questa corsa, ma lo scorso anno è arrivato vicino tanto così a salire sul podio. Trovarselo di fianco in via Roma sarà un problema per tutti.
5. Bini Girmay (33) - Ecco su di lui c’è qualche dubbio: alla Tirreno non ha sfigurato, ma è mancato qualcosa, ma se c’è una corsa perfetta per Bini…
5 OUTSIDER
1. De Lie (21) - Già amatissimo, già corridore di culto, alla PaNi ha preso le sberle giuste per continuare a crescere e alla Sanremo può vincere.
2. Tratnik (11)- Volete il nome di un corridore che sta benissimo e può arrivare in Via Roma da solo e anticipando? Ecco lo sloveno della Jumbo Visma per voi...
3. Consonni (12)- Tra gli italiani scegliamo Consonni: abbiamo ancora negli occhi ciò che ha fatto in pista e questa è da sempre la corsa dei suoi desideri.
4.Sagan (15) - Ultima Sanremo per Peterone, la classica che più di tutti lo ha respinto e lui ha sfiorato. Noi sogniamo con lui.
5. Strong (3) - Si è visto pochino in questo inizio di stagione, come caratteristiche sembra un po’ Alaphilippe, un po’ Gerrans, due che questa corsa l’hanno vinta: e pure Strong ha i numeri per emergere nel finale. Certo piovese sarebbe ancora meglio perlui, ma è previsto bel tempo.
Foto: Sprint Cycling Agency
Ecco invece i consigli per la Sanremo di Fantacycling
Strade Bianche, facce sporche
E finalmente Strade Bianche. Una corsa che unisce la meraviglia del territorio toscano con la difficoltà tecnica dell’affrontare ripide salite e poi discese, a volte in sterrato, a volte no, seppure uno sterrato battuto, ma che appare rotto in alcuni tratti; il vento che se spira è un accidenti mandato contro i corridori e poi quel finale che se non bastassero le ore precedenti di fatica ti costringe a un ulteriore sforzo per arrivare lassù in cima, in piazza, semplicemente in "Campo", dove un boato accoglie i vincitori.
Di nuovo Strade Bianche: chiudere la corsa con gli occhi che lacrimano, i polmoni che bruciano, le gambe indolenzite, gli sforzi per stare a ruota e recuperare il buco fatto da quello davanti, e la speranza che una volta tanto la sfortuna guardi da un’altra parte. Tra vere e proprie voragini che all’improvviso si presentano sotto la ruota davanti e il complicato muoversi “in the bunch” come dicono gli inglesi, qui ne è pieno, nella pancia del gruppo. Nervoso. A tutta.
Di crete senesi oppure della genialità di una corsa che in pochi anni ha acquistato un livello tale da meritarsi appellativi che non stiamo qui a ripetere, così come non staremo qui a ripetere chi manca e perché: tra infortuni, malanni, scelte di calendario qualcuno è assente, ma come sempre un solenne chi se ne frega, di gente da vedere ce n’è.
Da Pidcock a van Vleuten, da van der Poel a Kopecky, passando per Persico, Benoot, Ludwig o Bettiol. Voi per chi tifate? Tanti altri: tra outsider e nomi che si nascondono pronti a spuntare. Voi per chi tifate, quindi? Noi per lo spettacolo, per una attacco da lontano, una sgasata, ci apposteremo ovunque per esempio lungo le rampe di Monte Sante Marie, tra strade battute oppure polvere, o perché no più avanti quando gli ulivi saranno contorno fino a sembrare statici tifosi imbambolati davanti allo scatto di Valter oppure a quello di Bertizzolo.
Strade Bianche: un concetto astratto che diventa corsa, che lo puoi imitare, ma nulla può ricordare la Toscana: castelli e tenute, casolari e cortili. Arrivando verso Siena su una parete quasi verticale abbiamo visto pure degli alpaca, (o era un'allucinazione?) sorseggiato vino, mangiato formaggio, ci siamo fatti rapire dalle crete, dal giallo e dal verde. Abbiamo chiuso gli occhi e il cielo in un attimo si è ricoperto di nuvole bluastre. A un certo punto andavamo così piano che abbiamo creato coda dietro e ci siamo fatti superare dall’ammiraglia della Soudal QS e volevamo chiedergli: ma Alaphilippe, come sta? Abbiamo chiesto anche a Sagan come stava, banalmente, ma lui ha risposto con il suo solito modo sprezzante.
Strade Bianche, domani sarà come sempre uno spettacolo.
Alvento + Fantacycling? Trofeo Monumento
Ci perdonerete, ma non sapremmo esattamente dirvi con certezza quando per la prima volta nella storia della narrazione ciclistica apparve il termine Monumento riferito a 5 delle più grandi, nel senso di importanti, classiche del Ciclismo Mondiale.
Le elenchiamo che non si sa mai:
Milano-Sanremo;
Giro delle Fiandre;
Paris-Roubaix;
Liegi-Bastogne-Liegi;
Giro di Lombardia, ormai da qualche anno diventato Il Lombardia.
Gusto antico quelle delle classiche: che potrebbe essere il nome di una gelateria artigianale.
Dall’Italia, il 18 marzo Milano- Sanremo, corse imprevedibile e che divide sempre tifosi e addetti... all'Italia, Il Lombardia 7 ottobre, una delle più dure corse del calendario, passando per le pietre fiamminghe, quella con i muri e poi quelle più indecifrabili al confine tra Belgio e Francia. E in mezzo pure quella con le côtes valloni a premiare perlopiù corridori resistenti alle infide fatiche che lasciano nelle gambe le colline ardennesi.
Ma il punto del discorso è un altro, non di certo spiegarvi cosa sono le corse che più di ogni altra aspettano i tifosi di tutto il mondo.
Il punto è un altro: quest’anno abbiamo deciso, in collaborazione con i ragazzi di Fantacycling di premiare i fantagiocatori che, partecipando al Fantaciclismo sulla loro App, otterranno il miglior punteggio nell’evento speciale "Trofeo Monumento" (Regolamento)
Ai primi 3 classificati di ogni singola gara Monumento verrà dato in premio la nostra welcome box, mentre a chi vincerà la challenge Trofeo Monumento, ovvero quei giocatori che avranno totalizzato il miglior punteggio al termine delle cinque grandi corse di cui è composto il torneo:
18 mesi di abbonamento alla nostra rivista cartacea al 1° classificato, 12 mesi al 2° e 6 mesi al 3°.
Per partecipare basta scaricare l’App seguendo i link nel sito di fantacycling oppure su Google store e Apple store e una volta fatta la vostra squadra non vi resterà che schierare i vostri corridori e... via.
Possono partecipare tutti, sia chi inizia appositamente per il Trofeo Monumento, sia chi già è in corsa da inizio stagione. Dubbi? Ecco il regolamento: https://fanta-cycling.com/regolamento
E insomma... seguire le cinque monumento, quest’anno non sarà solo stare sul divano e muovere il dito sul telecomando e fare esercizio alzando la pinta e bevendo birra; non sarà mica solo pedalare le rispettive gare amatoriali, o seguire la corsa lungo la strada, no, qui c’è in gioco la possibilità di vincerle… grazie ad Alvento e a Fantacycling… un affare serio… come tutti i giochi.
Si parte! Iscrivetevi e ci vediamo in game!
PS se volete parlarne con noi seguiteci nel nostro gruppo Telegram: https://t.me/+ePN4JFpjo3YwNDhk
Oggi pilota Søren Wærenskjold
Ci sarebbero molte cose a cui pensare a inizio stagione, esistono delle priorità. Prendete la Volta ao Algarve, corsa di preparazione in Portogallo che vede al via nomi di un certo spessore e che ieri, nella prima frazione, ha visto la sfida tra alcune delle migliori ruote veloci del “mondo”. Almeno quello della bicicletta.
Ci sono delle priorità, e una corsa di preparazione lo è per definizione: e quindi si cerca l' affiatamento tra compagni di squadra, soprattutto in volata, il colpo di pedale che ti terrà compagnia fino a fine stagione.
Uno strappetto nel finale ha messo in difficoltà Jakobsen così come sembra complesso il rapporto con queste ultime due stagioni (una e un po’ diciamo, visto che questa è appena iniziata) di Michael Mørkøv, che pare abbia perso - fisiologico - lo spunto che lo ha reso fino al 2021 se non il più forte pesce pilota in tempi recenti, probabilmente uno dei due più forti (si accettano suggerimenti per capire chi è l’altro).
E allora dopo lo strappo, Jakobsen - quest’anno la Quick Step, in versione Soudal, ha preso Casper Pedersen per stargli vicino, ma il danese non è un semplice lead out, quanto uno che va forte anche sulle pietre e sugli strappi, e potrebbe anche essere una delle sorprese della stagione, su al Nord; e insomma Jakobsen con le gambe un po’ in croce, come si direbbe in quei momenti, che probabilmente dopo quella faticaccia non sarebbe nemmeno riuscito a riprodurre un passo di danza, sembrava recuperare ma non con il solito brio che ci aspetta dal fortissimo olandese, campione europeo in carica, pareva quasi di vederlo al rallentatore: chiuderà quarto, nemmeno troppo male considerato dove si trovava a un chilometro dalla conclusione.
Davanti al gruppo erano le maglie giallorosse della UNO-X Pro Cycling a farsi vedere non solo brillanti dal punto di vista cromatico, ma anche dell’accelerazione, dell’enfasi, della capacità di farsi trovare pronti in attesa di quello che sarà per loro il picco da quando sono diventati una squadra Professional: correranno il Tour de France 2023, ma prima ci saranno altri appuntamenti interessanti.
E insomma davanti tirano la volata per Alexander Kristoff, sbarcato quest’anno (in Norvegia si dice pure non-senza-polemiche) con la squadra più rappresentativa della storia della sua nazione, una squadra che ogni anno pensa sempre più in grande (Foss l’anno prossimo? e magari tra un paio Vingegaard? Voci…) e per vincere Kristoff sfrutta uno che è pure più grosso di lui, che è più giovane di lui e che va ugualmente forte da pilotarlo e chiudere terzo: Søren Wærenskjold.
Nella foto è quello in secondo piano con una dentatura quasi perfetta, mentre il fuoco è tutto, logicamente, su Kristoff. Il suo nome, Søren Wærenskjold, è più facile di quello che sembra da memorizzare. Mettete a fuoco il suo nome e le sue caratteristiche: se non lo avete fatto, iniziate da oggi. Pardon da ieri, prima tappa della Volta ao Algarve.
Tadej Pogačar è speciale
Tadej Pogačar è un po’ come noi, ma più speciale. Come noi alla prima uscita stagionale vuole darci dentro, provare sensazioni che magari da un po’ non trovava senza corse, è come noi, ma è più speciale perché quando ci da dentro se ne va e gli altri lottano per il secondo posto.
Riprende Samitier che diventa un passeggero per alcuni chilometri, poi nulla può: Pogačar è come noi, come lui, ma spesso dimostra di avere qualcosina in più.
Tadej Pogačar è speciale: alla prima gara dell’anno se ne va e vince. È speciale, perché attacca e sembra sorridere. Ha voluto a ogni costo, pare, esordire in una corsa con quel nome un po’ buffo - Clásica Jaén Paraíso Interior - tra sterrati e ulivi andalusi, e ha esaltato il pubblico lungo la strada, come quel ragazzo che chiamava al telefono chissà chi, mentre lui passava velocissimo di fianco, nonostante lo sterrato, nonostante la salita: chissà se in quella telefonata è riuscito a dire qualcosa o si sentiva solo il rumore del vento.
Tadej Pogačar è come noi, ma c’è quel ciuffo che esce fuori dal casco che lo differenzia. A un certo punto c’è quel vantaggio di oltre due minuti da un gruppetto di nomi forti e in forma che si è giocato il secondo posto; un gruppetto che girava e girava e girava, si davano i cambi, loro, mentre il ragazzo sloveno non ne aveva certo bisogno: era solo e il cronometro lo premiava in maniera inesorabile.
Tadej Pogačar è un po’ come noi, ma più coinvolgente, per come attacca, per il coraggio, per come intrattiene col sorriso sul traguardo e subito dopo. La prossima volta gli chiederemo anche se ha intenzione di scrivere qualcosa lui, su di lui, al posto nostro: siamo sicuri ci riuscirebbe molto meglio.
Oggi Tadej Pogačar ha iniziato discretamente la stagione, volessimo usare un eufemismo, ha vinto e sembra abbia detto che questa potrebbe essere solo la prima vittoria dell’anno: che facciamo gli crediamo? Fosse un gioco a premi diremmo di sì e forse anche noi potremmo vincere qualcosa.
Benjamin Thomas col fuoco dentro e altre storie
L’Omnium di ieri sera racconta come a Benjamin Thomas, pur non essendo al massimo della forma, basti (non è poco) la genetica favorevole che si manifesta tramite un motore con pochi eguali in determinati sforzi prolungati in pista, e una capacità, anche quella rara concessione per non molti fortunati, di saper leggere le corse di gruppo.
Il massimo risultato con uno sforzo che visivamente è rappresentato dall’eleganza del gesto in pista, chino parallelo al tubo orizzontale della sua bici da corsa, fluido anche nella fatica, la maglia blu scura della nazionale francese e quelle inclinazioni sul parquet che viste da alcune angolazioni fanno sembrare il corridore come un adesivo appiccicato al terreno. Una crescita costante in tre delle quattro prove dell’omnium (scratch, tempo race, eliminazione, quest’ultima vinta più di testa che di gambe) fino alla battaglia finale, la corsa a punti, disputata a tutta per metà gara, giusto il tempo per mettersi al collo una medaglia d’oro e di vestire la maglia di campione europeo - e mentre la indossa durante la premiazione si gira da Consonni esclamando nel suo fluido italiano: “l’ho chiesta S” .
L’Omnium di ieri sera ha mostrato che quando Benjamin Thomas sta bene senza però avere una gamba dominante, se parte all'attacco ha il fuoco dentro: furbo quanto basta per per conquistare - e poi gestirsi - i giri necessari nella corsa a punti, fondamentali per chiudere la classifica finale con un lucchetto che nemmeno un Simone Consonni indemoniato riesce a scassinare.
Non c’è stato bisogno durante le prove dell'omnium di mettere in sottofondo musiche tratte dai film di Sergio Leone come invece accadeva nelle sfide - senza storia - della velocità maschile: Lavreysen sembra uscito da un film peplum e a quel punto la musica pareva fuori contesto; o nei 500 metri femminili conquistati da Emma Hinze. Dove arriva il quarto posto che sa di beffa per Miriam Vece, ma va così. L’armonica di C’era una Volta il West suonava in sottofondo alternandosi al fischio di Per un Pugno di Dollari. Scelte niente male rispetto ai Take That di Relight My Fire (your love is my only desire) dei giorni precedenti o ai tentativi di accompagnare le gare con le musiche di Hair.
Ma si diceva dell’omnium e dell’assenza di musica in sottofondo che avrebbe fatto benissimo da colonna sonora (non) originale a Simone Consonni ormai celebre per il baffo che gira per tutto il velodromo e lui lo insegue con una condizione di forma eccezionale: il miglior Simone Consonni di sempre che strizza l’occhio, chissà, a qualcosa di importante anche su strada. E volendo non è finita: tre medaglie conquistate su tre gare disputate. E oggi ci sarebbe pure la madison.
E mentre le passistone tedesche dell’inseguimento conquistavano oro e bronzo, e qui pure ci sarebbe una varietà di musiche da scegliere per fare da contorno, chiudeva la giornata la corsa a punti femminile: Anita Yvonne Stenberg, norvegese di Mallorca, fa letteralmente quello che vuole delle proprie avversarie conquistando il secondo titolo europeo in pochi mesi (nel 2022 vinse lo scratch). Il tutto mentre le altre un po’ stranite inizialmente curavano - esclusivamente - la ruota di Neah Evans. Pensavano - ingenuamente - fosse lei l’atleta da battere. Sarà stata la maglia iridata che indossava a far venire questi strani pensieri...
Oggi, invece, ahinoi, ultimo giorno per il ciclismo su pista, rassegna divertente, colorata, di quelle che vorresti non finissero. Oggi è un giorno per altre storie, altre colonne sonore, chissà magari altri baffi, anche se ci faremmo bastare sinceramente quelli di Consonni, o magari sarà di nuovo tempo di Thomas col fuoco dentro. I nomi gira e rigira in pista sono sempre quelli e anche per questo finisce poi che ti ci affezioni.
E che oro sia
La bocca era secca in partenza. L’acido lattico fischiava persino nelle orecchie mentre Jonathan Milan percorreva i quattromila metri dell’inseguimento individuale.
Quella fatica che si addensava nell’aria era lo sforzo di oggi, di questa mattina, di ieri, quando per restare appesi a quel tizio di nome Filippo Ganna bisogna sempre concedere qualcosa in più alla propria soglia dello sforzo. Era fatica residua di qualche giorno fa quando al Saudi Tour, su strada, sprigionava tutto quello che aveva dentro: potenza e talento.
La sfida di oggi, contro Daniel Bigham, non un nome a caso, ma uno che investe tempo e mezzi per migliorare questa disciplina, arrivava dopo un risultato in mattinata che pareva non il migliore possibile per il friulano, ma quanto bastava per decidere che alla fine sarebbe stato un testa a testa con il britannico.
Di nuovo Gran Bretagna contro Italia in una sfida che ormai è un dualismo e che sarà, soltanto a suon di quartetti, però, vista la scellerata idea di togliere l’inseguimento individuale dal programma olimpico, uno dei motivi più interessanti in ottica Parigi 2024 - ma a quello ci penseremo a tempo debito.
Oggi c’era in palio un titolo europeo, non poca roba. E per tre chilometri stavamo celebrando Bigham, provando a spingere Milan.
E quell’ultimo chilometro pareva arrivare troppo velocemente tanto da dire, bravo Daniel Bigham, ti meriti questo titolo. Bravo anche Jonathan Milan, tra strada e pista ti diverti e ci fai divertire, e se oggi non va, sarà per un’altra volta.
E che argento sia, inseguitore Jonny, sembrava così fino a quell’ultimo chilometro dove, una volta che la grafica riprendeva a funzionare, Milan macinava terreno, divorava quello spazio che lo divideva, sulla fotocellula, dal suo avversario. Una progressione, un finale forse ispirato a quel Filippo Ganna dal quale è diverso in tutto anche per caratteristiche eppure ci sono sin troppe cose che li accomunano.
E quell’ultimo chilometro è arrivato, esaltante (58’’117 il tempo, “mica male”), mentre quello totale si faceva migliore di quello dell’avversario con le gambe inasprite da uno sforzo disumano.
Bravo Milan, oro Milan, altro che argento. Anzi diciamolo meglio: bravissimo Milan. Ribadendo come questo per lui è soltanto l’inizio.
PS E ancora grazie a quell'uomo che si vede in foto di spalle, artefice di quello che stiamo vivendo in pista in questi anni.