Mi hanno chiesto di raccontare Milano e la sua relazione con la bici. Di mettere insieme una sorta di guida, un vademecum, un piccolo libretto di istruzioni e camera dei segreti della vita ciclistica milanese. L’occasione di narrare la strada a pedali di Milano mi è sembrata più che in sintonia con questo periodo di grandi avvenimenti.
Abbandonata e ripresa più volte la relazione con la città natale può essere spesso controversa. Così è stata la mia.
Continuo a tornare a Milano perché è la mia città, dove vivono i miei affetti, i miei amici, la mia famiglia. È la città che amo, nonostante abbia molti difetti che a tratti me la fanno odiare, ma continuo a pensare che siamo sulla strada giusta per renderla migliore.
Col tempo, e grazie ad una formazione in filosofia e ricerca sul paesaggio, ho imparato che anche i luoghi portano con sé un’innata capacità di creare contatti, generare idee, seminare progetti e insediarsi in maniera indissolubile nel cuore delle persone che li vivono. Ripensandoci riusciamo a rigustare quel gelato in sala giochi o le uova ripiene della nonna – quelle della mia, vi assicuro, erano fantastiche: saranno le galline di campagna o i chilometri in bici su e giù per le colline marchigiane, ma quelle sensazioni non le possiamo dimenticare.
I luoghi e la bici. Due componenti fondamentali nel cammino di quel viaggio lungo e accidentato, fatto di saliscendi, pause e avventure.
La bici è sempre stata parte di me fin da quando ero piccola.
Lavorare, esplorare e comunicare alle persone attorno a me la bellezza dell’andare in bicicletta, della sensazione di libertà e condivisione è il motore che mi ha spinto su ogni salita, sentiero e difficoltà.
Crescere nomade in giro per Europa e Stati Uniti mi ha fatto capire come la bicicletta potesse davvero diventare il mezzo per cambiare radicalmente l’approccio alla gestione urbana e alla condivisione degli spazi e tempi dell’abitare la città nella sua routine quotidiana, facendoci dimenticare lo stress di traffico, mezzi pubblici, scioperi e costi dell’automobile – economici e sociali.
Avrei voluto vedere tutto questo realizzarsi anche a Milano, ma faticavo a percepire il concretizzarsi di questo cambiamento. Qualcosa ancora mancava nell’approccio ad un nuovo modo di vivere il quotidiano generato dall’azione sinergica di iniziative dal basso e gesta ufficiali dall’alto.
Se vogliamo vedere realizzato il cambiamento non possiamo aspettarci che sia solo l’una o l’altra parte a muoversi: dobbiamo attivare quell’unione per vedere realizzarsi la trasformazione.
Le città hanno il potere di cambiare ed evolvere: leggendone i cambiamenti possiamo muoverci costruttivamente verso il futuro. Se ripensiamo, infatti, alle città del passato costruite a misura d’uomo, capiamo benissimo che non c’era posto per auto o veicoli ingombranti e rumorosi.
Milano è carica di storia, i suoi resti romani, il pavé sconnesso e bastioni condividono il suolo urbano con grattaceli e costruzioni futuristiche: passato e innovazione che convivono. Non a caso Milano è il luogo in cui si concentrano le nuove tendenze in fatto di moda, design e industria provenienti dall’estero, digerite e poi restituite al resto dell’italia.
Vivere la città in bici
Spostarsi in bici a Milano è possibile essendo non particolarmente grande e decisamente pianeggiante, anche se la presenza di strade sconnesse – pavimentate con grossi ciottoli squadrati particolarmente insidiosi per le biciclette – traffico e rotaie del tram ovunque, non la rendono di primo acchito una meta ambita dai ciclisti.
Per anni le amministrazioni comunali si sono interessate poco o nulla alla questione. Dopo periodi in cui i cambiamenti climatici hanno fatto da padrone, nuovi piani urbanistici e una maggiore attenzione alla qualità della vita, le persone hanno iniziato a rivalutare l’andare in bici, comprenderne i valori ecologici, economici, sociali e sportivi.
E la bicicletta è diventata di moda. Abbiamo visto le nostre strade venire occupate da mezzi sempre più di tendenza, customizzati, colorati, veloci e leggeri, ma il loro numero potrebbe aumentare ulteriormente se la città fosse dotata di una rete organica di percorsi ciclabili che rendessero più sicuro l’utilizzo della bicicletta da parte di una più ampia fetta di popolazione.
In molti hanno recentemente scelto, per i loro spostamenti, i leggeri e veloci monopattini elettrici, a noleggio o di proprietà. La rivoluzione elettrica sembra non fermarsi davanti a nulla, contaminando ogni forma di trasporto possibile. Numerosi cittadini, prima scettici hanno optato per questi veicoli a due ruote, all’apparenza traballanti, ma funzionali e più facilmente trasportabili su treni, metropolitane e autobus rispetto ad una bici pieghevole. Dobbiamo però ricordarci che il sistema frenante non è così intuitivo come quello di una bicicletta e il guidatore deve bilanciare il peso per evitare di inchiodare. Con un po’ di dimestichezza e praticità tutto si impara, ma sicuramente i monopattini non potranno sostituire del tutto la bicicletta anche se sono mezzi divertenti e sulle brevi distanze vanno benissimo.
Negli ultimi dieci anni la situazione in città è migliorata grazie ad alcuni investimenti mirati delle amministrazioni: attualmente sono disponibili circa duecentoventi chilometri di tracciati ciclabili, quasi il triplo di quindici anni fa e numerose rastrelliere pubbliche sono comparse negli ultimi anni. Il problema è che non esiste continuità fra le piste di quartiere e ai ciclisti capita spesso di procedere a zigzag fra tratti riservati, strade e marciapiedi. Molti si rassegnano così a utilizzare i viali a scorrimento veloce, le circonvallazioni, che però hanno pochissimi tratti della carreggiata riservate ai ciclisti.
Forse occorre fare una rapida distinzione tra percorsi ciclabili e piste ciclabili: i primi sono delle direttrici in cui l’utilizzo della bicicletta può avvenire in modo sicuro, costituiti da strade con limiti di velocità fissati a 30km/h, marciapiedi larghi dove biciclette e pedoni possano convivere. Le piste ciclabili sono invece tratti di strada esclusivamente dedicati al passaggio delle biciclette.
I percorsi ciclabili non sono necessariamente e interamente costituiti su piste ciclabili protette, spesso alcuni tratti sono realizzati in carreggiate separate o in altri casi i percorsi ciclabili coprono strade in cui ci sono anche automobili e/o pedoni.
A Milano non esiste al momento un piano organico ufficiale né di percorsi ciclabili, né di piste ciclabili: queste ultime infatti sono presenti a tratti, in modo non organizzato e spesso incomplete o terminano improvvisamente su parcheggi, marciapiedi, strisce pedonali o cordoli della strada, creando rischi per i ciclisti e non solo.
A volte le piste verniciate per terra sono scolorite, poco evidenti o incastrate fra ostacoli e auto in sosta. In altri casi in corrispondenza di incroci è necessario aspettare a lungo prima di poter attraversare e quindi quasi nessun ciclista aspetta tutto questo tempo. Idealmente, una buona rete di percorsi ciclabili non sarebbe troppo diversa dal classico schema che conosciamo di una rete metropolitana tenendo conto sia delle esigenze dei ciclisti che dei pedoni.
Come si può vedere dalla mappa attualmente esistono solo alcune piste ciclabili protette che permettono di raggiungere il centro (Gioia – San Marco – Brera e Sempione – Castello – Dante).
Come suggerisce Luca Svaluto di Milano città stato, il primo passo dovrebbe essere il disegno dei percorsi ciclabili fino ad arrivare alla zona del Duomo, intesa come il centro della città e come abbiamo visto i percorsi ciclabili non devono necessariamente essere separati dai pedoni o dalle automobili, ma si potrebbero definire delle strade in cui le auto possono procedere solo a 30km/h.
Il secondo passo potrebbe essere quello di inserire una segnaletica orizzontale, per terra, con figure adesive sulla superficie della strada risultando così meno invasiva rispetto al tipico cartello verticale e potrebbe essere applicata in modo che sia i pedoni che gli automobilisti la possano vedere, evitando così comportamenti pericolosi da parte di tutti gli attori coinvolti: ciclisti, pedoni, automobilisti.
Come ultima azione si potrebbe pensare alla creazione di piste ciclabili dedicate nelle aree più critiche, canalizzando il flusso delle biciclette nei percorsi ciclabili, riducendo le criticità di una condivisione di spazi in percorsi altamente trafficati o pericolosi.
«Attualmente il Comune di Milano realizza le piste ciclabili non in funzione di un effettivo bisogno, ma in seguito di interventi di riqualificazione urbanistica. In questo modo spesso vengono utilizzate delle risorse pubbliche per la costruzione di piste ciclabili che nella pratica non sono molto utilizzate. Questo determina la frustrazione sia degli automobilisti che vedono ridotto lo spazio a loro dedicato, sia dei ciclisti che vedono risorse impiegate in zone dove non necessariamente ce n’è bisogno».
In periodo pre-covid, solitamente ogni giorno salivano in metropolitana circa 1,4 milioni di passeggeri, cifra che nella fase due è stata ridotta di almeno tre quarti. Evitando di congestionare le strade con un milione di auto in più ogni giorno in circolazione, il Comune ha deciso di puntare tutto o quasi sulle due ruote: «ci vuole creatività» ha detto il sindaco Beppe Sala. Se andare in bici significa essere creativi, ben venga la vena artistica. La situazione attuale ci spinge a recuperare la socialità dell’esterno e desiderare una presenza più capillare del verde urbano come rifugio sicuro. Le piazze, le strade, i parchi diventeranno sempre di più estensione delle ristrette residenze private e degli spazi omologati del lavoro, nonché luoghi privilegiati per lo svolgimento, per quanto ridimensionato, di una vita culturale e sociale pubblica. L’esigenza di vivere la città garantendo la salute dei cittadini e il modello di vivibilità a cui faticosamente ci stavamo avvicinando nell’era della digitalizzazione, ci spinge a rivalutare soluzioni per questa transizione epocale.
Mi piace il modo in cui l’architetto e paesaggista Andreas Kipar ha raccontato l’evoluzione della città negli ultimi anni: «Milano era pronta, aveva i valori, un nuovo asset, aveva cominciato a respirare con una nuova anima, ma nessuno lo sapeva ancora, tant’è che ancora all’inaugurazione di Expo i milanesi erano scettici. Arrivano gli stranieri e trovano tutto bello. Gli stranieri erano sorpresi da Expo, ma soprattutto dalla scoperta della città di Milano. Prima non c’era ragione di venire a Milano, se non per business. A un certo punto è iniziato un flusso inarrestabile di cittadini internazionali che diffondono all’estero questo messaggio della bellezza straordinaria e inaspettata della città».
Anche se si sa, continua Kipar, il milanese è storicamente complessato sul tema bellezza, rispetto alla grande bellezza codificata romana, fiorentina o veneziana, tant’è che fuggiva dalla città appena possibile. A forza di sentir dire che tutto era bello a un certo punto i milanesi hanno cominciato a dire: “ok allora siamo davvero belli” e hanno sviluppato una nuova anima. Non più l’anima dell’operaio che doveva correre veloce perché c’era l’industrializzazione, ma l’anima della città mitteleuropea che poteva offrire charme, bellezza, creatività mediterranea e nello stesso tempo operatività, concretezza ed efficienza mitteleuropea.
Oggi Milano è questo mix. E ci piace proprio per questo.
Una Milano sempre più cycling-green, soprattutto se ripensiamo alla città meneghina che sta ripartendo: dopo le novità riguardanti i mezzi pubblici, si spera arrivino anche quelle collegate alle piste ciclabili e alla creazione delle cosiddette “case avanzate”. Le case avanzate sono degli spazi riservati alle biciclette posti davanti alle linee di arresto dei veicoli a motore che permetterebbero ai ciclisti di aspettare lo scattare del verde al semaforo in una posizione più visibile e di poter svoltare per primi. Una modifica ottenuta grazie al via libera del ministero, consentirà alle biciclette punti di arresto differenziati in prossimità degli incroci, non correndo il rischio di venire investite dalle auto che svoltano a destra. La casa avanzata va nella direzione di garantire maggior sicurezza ai ciclisti che percorrono il tratto di ciclabile in Corso Buenos Aires:. «Ormai sono più di 5.000 i ciclisti che usano ogni giorno la nuova ciclabile», ha affermato Marco Granelli, l’Assessore alla Mobilità milanese. La democrazia della strada avanza con la casa avanzata – sostiene soddisfatta l’associazione FIAB Ciclobby che spera di vedere Milano assieme alle città europee della bicicletta come Basilea, Vienna, Copenaghen e Londra.
Per permettere a cittadini e turisti di conoscere tutte le piste ciclabili della città sono disponibili gratuitamente due diverse mappe appena realizzate per il Comune di Milano. Le due cartine sono distribuite presso i punti informativi del Comune di Milano, i musei comunali, le sedi di Confcommercio e Assolombarda, i consigli di zona, le principali ciclofficine, i rivenditori di bici e le associazioni di ciclisti urbani. Milano è una città piccola e densamente abitata, quindici chilometri da un capo all’altro con 1.4 milioni di abitanti, il 55% dei quali utilizza i mezzi pubblici per recarsi al lavoro. Il tragitto medio è inferiore a quattro chilometri, rendendo il passaggio dalle auto alle modalità di viaggio attive possibile per molti residenti.
Il capoluogo lombardo sta quindi lavorando a un piano che incentivi l’uso della bicicletta e dei bike-sharing in seguito alle necessità di evitare assembramenti sui mezzi pubblici come la creazione di nuove infrastrutture che ne agevolino l’uso.
A partire da fine aprile 2020 erano cominciati i lavori, conclusi entro fine estate, per l’apertura della nuova pista ciclabile che da Piazza San Babila portasse direttamente a Sesto Marelli seguendo la direttrice di una grande via di comunicazione quale Corso Buenos Aires, sei chilometri in entrambi i sensi di marcia. Nonostante sia un’incredibile innovazione per il piano urbanistico della città, non sono stati pochi gli oppositori.
Due associazioni di commercianti si sono mostrate subito preoccupate che un minor passaggio di auto che a loro avviso si sarebbe tradotto in una riduzione dei guadagni.
Una posizione non condivisa dall’architetto della mobilità Valerio Montieri, consigliere della FIAB e residente in zona: «In questo modo si aumenta la possibilità di fruizione in sicurezza della strada e dobbiamo sfatare il mito del ciclista che non spende. La bici è amica del commercio. Basta pensare che un parcheggio auto può ospitare dieci biciclette e dunque dieci possibili clienti».
Potremmo spiegare con dati alla mano che le zone pedonali ciclabili, oltre a migliorare la vivibilità urbana, aiutano i vari negozianti a beneficiare di un passaggio a ritmo più rallentato con una maggiore possibilità che le persone entrino nel loro esercizio commerciale. E se i numeri non dovessero essere maggiori, sarebbero comunque più predisposte all’acquisto e meno stressate da vigili o multe per la macchina parcheggiata in seconda fila.
«La bicicletta, può contribuire a cambiare l’immagine delle città. Il futuro è nella mobilità ecologica» dice convinta Giovanna Rossignoli, figlia d’arte e anima dell’omonimo negozio di biciclette in Corso Garibaldi che da anni muove l’anima ciclistica milanese. «Chi viene a fare shopping in centro si sposta già oggi soprattutto in metropolitana, monopattini, bike sharing. Uno sviluppo green può avere un valore anche in termini di marketing, dobbiamo gestire meglio il corso e tenere conto di cosa chiedono i clienti. I posti auto lungo Corso Garibaldi, diciamolo pure, sono usati più da commessi e residenti che dai clienti».
Vediamo quindi che Milano ha ancora molta strada da fare nonostante si vedano sempre più mezzi a due ruote: dalle colorate bici a scatto fisso o da corsa, cargo-bike, cancelli semi-arrugginiti recuperate dai garage di famiglia usate per raggiungere stazioni di treni e metropolitana. All’estero la bici è ampiamente riconosciuta come mezzo efficiente ed efficace nei tragitti medio/brevi, sia come mezzo per scoprire il territorio ed è tutelata senza distinzioni politiche: basta la sua efficienza a renderla riconosciuta e apprezzata da tutti, ora dobbiamo farlo capire anche ai nostri concittadini.
Oggi, nella delicata fase di convivenza con il Coronavirus, la bici è un importante strumento di distanziamento sociale durante gli spostamenti, permette di alleggerire il carico sui mezzi pubblici, previene il traffico e l’inquinamento dovuti a un uso eccessivo dell’auto e, secondo le raccomandazioni delle varie organizzazioni sanitarie, aiuta a restare in forma mantenendo un sistema immunitario sano.
Più bici, meno virus.
Milano è una città dal potenziale ciclistico nascosto che si trascina una lunga storia d’amore fatta di umili lavoratori, cortei, industrie, artigiani, gloriosi marchi e grandi atleti. In futuro capiremo forse meglio tutto ciò e ovvieremo alla totale dedizione per l’automobile. Quel giorno la bicicletta, di proprietà o condivisa, verrà a tutti gli effetti sdoganata dalla sua unica concezione agonistica e diventerà protagonista attiva dei nostri spostamenti quotidiani.
Foto in evidenza: SuperMi100 una pedalata di 100 km attorno a Milano nell’ambito di “Super – il Festival delle Periferie a Milano” Foto: Francesco Rachello / Tornanti.cc
Ecco tutte le puntate del nostro dossier Milano Urban Cycling:
- I Caffè della bicicletta
- Eventi in bicicletta a Milano
- Massa Critica
- Moda e stile in bicicletta
- Ciclofficine
- Cicli Drali
- Cinelli
- Negozi di bicicletta a Milano
- Protagonisti: intervista a Fridabike
- Milano in immagini: intervista a tornanti.cc
- Essere Corrieri (in bicicletta) a Milano
- Milano Bike Polo
- Milano e mobilità: intervista a Paolo e Pinar Pinzuti
- Milano e le cargo bikes
- Il Velodromo Vigorelli
- Yoga e bicicletta
- Jet lag ride
- Gravel a Milano (Zibidino Magic Hour) (Gravel del duca)