Corrieri in bicicletta
Le professioni in bici a Milano sono le più diverse, ma vivendo in città il grande mito dei bike messenger è stato uno dei primi motori che hanno avvicinato sempre più persone alla bicicletta.
Io stessa sono stata vittima del fascino delle bici a scatto fisso e della sotto cultura dei messenger nordamericani che popolavano video e momenti dell’espansione del fenomeno delle bici da pista utilizzate fuori dai velodromi, per la loro semplicità di manutenzione e leggerezza.
Lavorare in bici, sempre di fretta, pianificando itinerari, modalità di carico e trasporto è come una piccola sfida quotidiana e togliersi il più possibile l’eventualità di problemi meccanici, è già un grande aiuto.
Negli ultimi anni la consapevolezza dei ciclisti urbani e di chi ha scelto di muoversi in bici a Milano è cresciuta notevolmente. Sicuramente i corrieri hanno rivestito un ruolo chiave in questa consapevolezza e nel modo di approcciarsi al pedalare in città, non solo come mezzo per spostarsi, ma più come un sistema nuovo di vivere e scoprire Milano, di far crescere una sottocultura variegata che continua ad evolversi e prendere sempre più spazio ed importanza, come ci spiega Matteo Castronuovo, uno dei soci di UBM, la prima società di corrieri in bici milanese.
Più persone inizieranno a popolare le strade in sella alle due ruote, più tutto il sistema dovrà agire di conseguenza.
Le consegne in bici possono essere uno dei vari modi per aiutare a migliorare la qualità della vita delle persone che vivono in una città come Milano perché, oltre ad essere ad impatto zero, sono veloci e il segno visibile di un ingresso della bici anche in quei settori in cui si pensava che i mototaxi o furgoni fossero i soli possibili protagonisti. «Ci vorrà ancora un po’ di tempo, ma sono sicuro che siamo nella direzione giusta e le persone lo stanno iniziando a capire» – racconta fiducioso Andrea Lardera, fondatore di Milano Bici Couriers, un’altra grande società di corrieri, nata un po’ per caso dopo un’alley-cat e poi diventata una realtà che muove cinquemila consegne al mese con venticinque corrieri.
Mi piace sentire il senso del dovere e che emerge in persone giovani, ma estremamente capaci e consapevoli del loro ruolo all’interno della società.
Spesso mi emoziono un po’ quando sento altre campane risuonare un eco fermo e motivato sull’importanza sociale delle professioni del ciclismo. «Oltre all’aspetto green, il vero valore aggiunto dei corrieri in bici credo sia stato quello di pensare ad un modello sostenibile da un punto di vista aziendale nei confronti dei propri dipendenti e dell’offerta verso i propri clienti. Avere dipendenti assunti ed assicurati, in un mercato grigio come quello delle consegne espresse, è stata una scelta etica e di valore che nel corso degli anni ci ha premiato, ma che allo stesso tempo rimane una sfida costante per provare a dimostrare che un modello diverso di fare azienda, in questo settore, esiste.
Se ci mettiamo a confronto del nord Europa ci sono delle differenze abissali. Il vero grande problema sono delle scelte strutturali non solo legate alle infrastrutture, ma ad una rivoluzione culturale, da troppi anni attesa, che metta al centro della mobilità i più fragili, a partire dai pedoni. Manca una seria e strutturata visione di futuro e di conseguenza delle scelte pragmatiche che ne permettano lo sviluppo.
«La sfida/possibilità creata da questa pandemia può essere un’enorme chance in questo senso, ma solo se si avrà la forza, la visione e il coraggio di guardare lontano, mettendo in conto di fare scelte impopolari (come la drastica diminuzione dell’auto privata in ambito urbano) per garantire alle nuove generazioni un futuro più vivibile» queste le parole di Matteo mentre descrive il ruolo fondamentale dei messenger nella creazione del tessuto urbano della città.
I modi per migliorare e costruire qualcosa sono tanti e possibili e si è vista negli ultimi anni una parte di opinione pubblica che ha capito l’importanza di scelte a favore di una mobilità dolce e sostenibile, nonostante la strada da fare. «La qualità della vita dei cittadini non può essere ancora vincolata ad una diatriba tra guelfi e ghibellini o pensare che il bene comune abbia un colore; come è follia pensare che dare spazio alla ciclabilità voglia dire fare una guerra alle auto. Le strade sono di tutti, a partire dal più fragile e se non si metterà questo principio alla base delle scelte dei prossimi anni a pagarne le conseguenze saremo tutti noi in termini di morti sulle strade, di costi altissimi della sanità e di una pessima qualità della vita. Non so pensare ai miei spostamenti quotidiani se non in sella ad una bici o a piedi.
Questa cosa mi permette di mappare e di vedere Milano in maniera del tutto diversa rispetto a chi preferisce rinchiudersi in una scatoletta a motore.
Ho imparato ad apprezzare il passare delle stagioni pedalando quotidianamente, ho avuto la fortuna di conoscere centinaia di persone unite da questa stessa passione, ho avuto l’opportunità di lavorare con persone uniche che quotidianamente mi permettono di continuare a credere che un modo diverso di vivere e vedere Milano esista».
A tutti quelli che dicono che Milano non è una città per le biciclette e la risposta è chiara e all’unisono: “Vi state perdendo qualcosa.”
Ebbene sì, ci stiamo perdendo la possibilità di poter vivere e conoscere una città diversa, a misura d’uomo, percorribile da una parte all’altra in pochissimo tempo, non essendo costretti in delle scatolette a motore. Pedalare a Milano vuol dire ri-mapparla in funzione delle proprie necessità, rispettando gli altri e godendo di angoli di Milano che in auto non si possono ammirare.
Una persona che adora conoscere strade, nomi di vie e scorciatoie, tanto quanto la sottoscritta, non può che apprezzare l’esempio fatto da Matteo chiedendomi quale fosse (in macchina) la strada da piazza Gramsci per arrivare in porta romana? Un incubo!
Tra semafori, ingorghi e lavori. Chiedo qui scusa a tutti i non milanesi alla lettura, ma se volete divertirvi potete provare a vedere che effetto fa cercare questo itinerario su qualsiasi navigatore per auto e poi fare il confronto con la sua versione pedonale e capite subito di cosa stiamo parlando.
«In bici – spiega Matteo – vi basterebbe tagliare parco Sempione per trovarvi in Piazza Castello per poi accedere a Piazza del Duomo, ovviamente off-limits alle auto, essendo gran parte del percorso all’interno di zone a traffico limitato o a pagamento. Continuando per vie poco frequentate dalle auto, come piazza santo Stefano potreste scegliere di evitare il pavè e il traffico di Porta Romana. Ci sarebbero mille di questi esempi e spero che tanti milanesi capiranno che una città a dimensione d’uomo, che dia importanza ad una mobilità dolce, è quanto di meglio possiamo auspicare per il bene di tutti».
Scegliere di utilizzare la bici a Milano vuol dire dare a tutti la possibilità di vivere una città più sicura, meno inquinata, più vivibile e libera dalla congestione provocata dalle auto e di chi ne fa un uso improprio.
Lavorare in bici non è facile, non è sempre estate e gli inverni milanesi sono lunghi, umidi e piovosi e spostarsi sul pavé, affrontando binari del tram e automobilisti rinchiusi in veicoli dai vetri appannati e magari disattenti è estremamente stancante, ma non c’è niente di più gratificante che lavorare per se stessi.
«La mia vita, da quando ho aperto BiciCouriers, è cambiata tanto, in primo per le responsabilità e poi ovviamente non è facile stare sempre sul sellino per otto ore sotto pioggia e freddo», però si sa, i cambiamenti, soprattutto quelli più grandi, non sono mai delle passeggiate.
Più le persone modificheranno le loro abitudini più la città si adatterà. «È stato fatto molto negli ultimi anni e sono sicuro che continuerà cosi, ma siamo noi che dobbiamo aiutare il cambiamento – ribatte Andrea – più useremo la bici, più cambieremo le nostre abitudini, più sarà facile creare infrastrutture per permetterci una migliore ciclabilità».
Il fatto che la bici unisca e renda tutti incredibilmente più vicini è quanto viviamo ogni giorno, fermi al semaforo o spostandoci in posti più lontani.
Foto in evidenza: Tito Capovilla
Milano Bike Polo
Non sono mai stata così piacevolmente stupita da una realtà e da un modo di vivere la bici come quella del bike polo. Venire accolta, ospitata e introdotta dai ragazzi di Milano Bike Polo è stato davvero un grande regalo e ripenserò sempre piacevolmente alle loro parole e ai racconti in momenti in cui sconforto o delusioni potranno prendere il sopravvento, facendomi dimenticare le numerose realtà positive e inclusive che alimentano la cultura sociale e ciclistica milanese.
Lunedì e giovedì sera, tutto l’anno, presso lo Spazio Pubblico Autogestito Leoncavallo: sono queste le coordinate per assistere alle partite delle varie squadre della comunità milanese del bike polo, al momento la più grande e attiva sulla scena italiana.
A Milano questo sport si diffuse grazie ai primi corrieri che dal 2008 iniziarono a consegnare in bici per una città più pulita. Viaggiando in Europa, i bike messenger entrarono in contatto con questo sport nuovo e particolare e cercarono di replicarlo da noi, con i mezzi che avevano a disposizione. Inizialmente usavano bici a scatto fisso, le stesse che utilizzavano ogni giorno per lavorare, con lo stesso rapporto scelto per fare consegne, sfruttando come campi alcune tranquille piazzette della città, come ad esempio Piazza San Fedele, proprio dietro Palazzo Marino, in pieno centro. La location non era proprio ideale, ma funzionava perché era equidistante dai vari quartieri milanesi ed era raggiungibile abbastanza in fretta dai primi appassionati, che provenivano anche da Bergamo o dalla remota periferia.
Iniziando a frequentare i tornei in giro per l’Europa, i primi rappresentanti di Milano Bike Polo si resero conto della necessità di un campo con sponde idonee a non perdere la pallina ad ogni tiro mancato, vere porte per segnare e di una dimensione delimitata del campo, identico a quello da street hockey.
L’inventiva portò i ragazzi a costruirsi le mazze con vecchi bastoncini da sci, giocare con palline e coni da street hockey come porte, ma l’impossibilità di disputare delle vere e proprie partite iniziava a diventare un problema per la crescita delle abilità e del livello tecnico della squadra.
Possiamo dire che galeotto fu il BFF. Infatti, in occasione del Bicycle Film Festival del 2010, tenutosi presso lo Spazio Pubblico Autogestito Leoncavallo, i ragazzi di Milano Bike Polo vennero accolti al suo interno. Non trovando altri posti adatti, organizzarono il primo torneo indoor come evento parallelo alle proiezioni.
La collaborazione risultò interessante per tutti e i volontari del Leoncavallo si offrirono di ospitare in maniera continuativa le squadre del bike polo, facendo utilizzare ai giocatori gli spazi del grande salone concerti, dando così il via al cosiddetto Mercoledì da Leon… Cavallo.
L’appuntamento settimanale per gli allenamenti venne spostato poi al giovedì, giornata in cui venivano organizzate anche proiezioni cinematografiche al bar del Leo, accompagnate da un’ottima cena preparata dalla Cucina Pop (confermo di averci mangiato più volte e il menù è sempre vario, prezzi competitivi e attenzione alle esigenze alimentari di tutti).
Dopo anni passati a giocare un po’ in giro, finalmente i ragazzi di Milano Bike Polo avevano una casa e questo consentì di dare il via ai primi tornei ufficiali, con risonanza internazionale. Inverni umidi passati giocando al freddo e al gelo erano solo un lontano ricordo: da quel momento MBP aveva un campo regolamentare, con sponde, porte e finalmente liscio (forse fin troppo, al punto che per renderlo più grippante si adottarono le soluzioni più diverse – girano voci che durante i tornei europei si sia diffusa la tecnica Milano Style che consiste nell’agitare una bottiglia di soda gassata e spruzzarla sul pavimento per evitare scivolate inaspettate).
Avere un vero campo di gioco per migliorare sempre più la tecnica è stato il motore per investire anche sulle biciclette utilizzate per giocare: non ci si doveva più accontentare di quello che si aveva, ma ci si poteva finalmente creare la propria vera bici da bike polo.
Per giocare serve infatti una bici veloce, scattante, con un rapporto agile, un telaio con una geometria compatta e delle ruote di un diametro leggermente più piccolo (per molto tempo si è giocato con ruote del 26”, anche se adesso lo sport è in continua evoluzione a livello di tecnica e tipologia di mezzi) e solamente il freno anteriore montato sulla ruota libera, mentre la ruota posteriore è senza freno per permettere dei funzionali pivot.
Nonostante il bike polo sia uno sport molto fisico, il fair-play è l’elemento principale in tutte le partite, da quelle tra amici più informali in allenamento, ai momenti ufficiali dei tornei. Esiste anche un regolamento internazionale ben dettagliato, che rende il gioco fluido e vieta le azioni violente e scorrette, con tanto di arbitro e che stabilisce i vincitori su una differenza di 5 punti rispetto alla squadra avversaria.
L’ospitalità del Leoncavallo è preziosa per i ragazzi di Milano Bike Polo: avere un campo indoor è un privilegio non solo in città, ma per tutta la scena europea, anche se sarebbe bello vedere altri spazi pubblici in giro per la città adibiti a questo sport, in modo da poter avvicinare sempre più persone ad una disciplina altamente tecnica, educativa e allenante. Alla fine servono dei semplici campetti o aree come quelle dedicate al pattinaggio, perfette anche per giocare a street hockey, roller derby e chi più ne ha, più ne metta. È strano che Milano sia quasi priva di spazi simili, dato che sarebbe un ottimo propulsore sociale e di integrazione.
«Spesso in preda alla disperazione, vado ad allenarmi da solo sotto casa al Parco Ravizza – racconta Pietro, giovanissimo e preparatissimo presidente di Milano Bike Polo – mi prendo un pezzo di passaggio asfaltato al centro, piazzo due coni utilizzati per formare una rudimentale porta e provo i vari trick di equilibrio, il controllo palla e i tiri. Vengo fermato spesso da curiosi: ogni tanto qualcuno capisce cosa sto facendo e scambiamo quattro chiacchiere in semplicità. Il mio obiettivo, oltre al puro allenamento, è quello di far vedere che esistiamo, diffondere e mostrare come funziona questo gioco. Parlando con passanti curiosi, un giorno è saltata fuori l’esigenza di una mamma che non sapeva dove portare la figlia ad allenarsi con i pattini, aveva provato in qualche posto in città, ma senza un campo adibito con sponde, alla fine ha lasciato perdere… e pensare che aveva comprato i pattini anche lei per imparare con la figlia. Insomma, le nostre esigenze non sono distanti da quelle di altri sportivi e anche di tante famiglie».
L’inclusività è un tratto distintivo di questa disciplina che solo apparentemente è difficile e di nicchia: il bike polo ha le carte in regola per diventare un gioco diffuso e praticato da persone di tutte le età.
Se pensate di non avere la bici o le skills adatte, nessun problema, andate un giovedì sera al Leoncavallo, cercate Pietro, Bozo, Ricky o chiunque si stia allenando e troverete un gruppo di ragazzi e ragazze sorridenti e disposti a spiegarvi tutte le regole e anche, ovviamente, a prestarvi una bicicletta adatta a provare!
Foto: Tytenko Dmytro
Intervista a Paolo e Pinar Pinzuti
Abbiamo parlato con Paolo Pinzuti CEO di Bikenomist e con Pinar Pinzuti di Fancy Women Bike Ride.
Ciao Paolo, qual è la tua storia?
Laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche, Master in Scienze del Lavoro, nel 2007 mi sono sposato con Pinar. Nel 2011 partiamo per un viaggio di quattro mesi in bicicletta in Sud America e apro un blog per raccontare la nostra esperienza. Nel 2012 a partire da quel blog lancio la campagna #salvaiciclisti. Nel 2013 il blog diventa Bikeitalia.it e nel 2015 Bikeitalia.it diventa un’azienda, Bikenomist, che eroga corsi di formazione e consulenze a pubbliche amministrazioni in materia di ciclabilità. Nel 2020 lanciamo la prima fiera del cicloturismo, ma veniamo stoppati dalla pandemia.
Com’è nata questa passione e impegno diventato poi un lavoro?
Dopo l’università sono andato a vivere in Germania dove ho scoperto che era possibile muoversi in modo sicuro e veloce in città, ma anche di fare turismo usando la bicicletta. E mi sono chiesto: “perché in Italia non è possibile?”. Ho studiato le riviste tedesche che parlavano del tema e ho cercato di replicarle in Italiano.
Secondo te com’è cambiato il modo di vedere il ciclismo e di praticarlo da parte dell’utente medio nato e cresciuto in città?
Difficile dirlo. Sicuramente ci si è resi conto che la bicicletta non è più una cosa da poveri, ma anzi è uno strumento per chi non ha tempo da perdere, per chi dà un valore altissimo al proprio tempo. I giornali di tutto il mondo scrivono da tempo che “cycling is the new golf” perché ha abbandonato la propria immagine di sport delle classi popolari.
In che modo Bikeitalia si impegna nella creazione di una community – motore pulsante dell’attività ciclistica come collante sociale e motore di autostima e aggregazione per numerose persone, spesso timide o sole o che non sanno bene come iniziare ad approcciarsi al mondo delle due ruote?
Con Bikeitalia cerchiamo ogni giorno di alzare l’asticella su quelle che sono le conoscenze in materia di mobilità urbana e anche sul cicloturismo. Nel corso degli anni abbiamo condotto diverse campagne per la realizzazione di infrastrutture e l’allocazione di denari pubblici. Nel 2013 dicevamo che c’era bisogno di piste ciclabili e zone 30km/h. Poi abbiamo iniziato a parlare di corsie ciclabili. Adesso stiamo parlando di riqualificazione dello spazio attraverso la bicicletta e chiediamo pubblicamente delle superciclabili. Durante il lockdown abbiamo pubblicato un Piano Emergenziale della Mobilità Urbana post covid che è stato ampiamente adottato da diverse città. Il nostro compito è mettere in sella più persone possibile e offrire loro argomenti per trasformare i propri desideri in richieste puntuali.
Qual è stata la reazione dei milanesi ad un progetto più ampio di ciclabilità urbana?
Quando abbiamo proposto MIMO, la Greenway Milano-Monza le reazioni sono state di entusiastiche, poi è arrivato il COVID che ha fermato tutto quanto e oggi, alla ripresa delle attività, la nostra proposta è stata sposata da diverse aziende che l’hanno trasformata in una richiesta formale al comune. La percezione dei Milanesi sulla bicicletta sta cambiando molto, anche a causa dello spopolamento della città a seguito del COVID.
Pensi che Milano abbia le carte per mettersi in gioco in un progetto più ampio e ambizioso di mobilità ciclistica a tutto tondo?
Milano è una città piatta e dalle dimensioni contenute. Non ha nulla da invidiare ad Amsterdam. Anzi, iniziando dopo, ha la possibilità di fare meglio evitando molti errori commessi dagli olandesi. L’occasione di rivedere gli spazi per favorire l’uso della bicicletta deve essere anche l’occasione per ripensare la città in chiave di resilienza ai cambiamenti climatici: togliendo asfalto per aumentare la permeabilità del terreno e riducendo le isole di calore, piantando alberi e offrendo spazi per la cittadinanza.
Pinar: in che modo Fancy Women Bike Ride – e la bicicletta in senso più ampio – potranno aiutare e coinvolgere i più diversi strati sociali modificando completamente il modo di vivere le città?
La bicicletta è il mezzo più veloce per muoversi in città, ma poche persone ne sono a conoscenza perché viene percepita come un mezzo di trasporto lento. Una volta che le persone scoprono la sua velocità in ambito urbano difficilmente tornano indietro. La Fancy Women Bike Ride, così come gli eventi dedicati alla ciclabilità, servono proprio a quello: a far provare l’esperienza per la prima volta e a vincere i pregiudizi.
Utilizzare la bicicletta per muoversi significa risparmiare denaro e liberare reddito, che poi è quello che serve maggiormente agli strati sociali più in difficoltà.
Cosa vorresti dire a quelle donne (ma anche uomini) che non osano o hanno paura di avvicinarsi alla bici o di usarla con maggiore costanza nel quotidiano?
Che non hanno fatto bene i conti e non sanno quanti soldi si risparmiano a usare la bicicletta. Noi non possediamo l’automobile e coi soldi che risparmiamo ci possiamo permettere ogni anno delle vacanze spettacolari.
Possiamo dire che bike italia + the bikenomist siano anche un progetto di riqualificazione e promozione di Milano e del suo pedalare?
In un certo senso sì: il claim di Bikeitalia è “trasformiamo l’Italia in un Paese ciclabile”. Essendo Milano la nostra città è proprio da qui che partiamo, ma la nostra attività si concentra anche su altre città con le quali lavoriamo direttamente.
Che itinerari potreste consigliare ad un ciclista urbano e ad un appassionato invece dei luoghi segreti, magici, o semplicemente speciali che Milano o i suoi dintorni possano offrire?
Milano è la città che non invecchia e in cui architetture antiche si giustappongono a esperimenti più contemporanei. Andare alla scoperta di queste contrapposizioni è particolarmente piacevole. Ma in particolare se devo consigliare qualcosa è di andare a visitare il Cimitero Monumentale che, essendo fuori dal centro, viene troppo spesso trascurato dai turisti ma che invece offre emozioni uniche. Da lì poi bastano poche pedalate per arrivare al Parco Nord e starsene un po’ in mezzo alla natura che in una città come Milano non è cosa banale.
Cosa pensi dell’evento di AbbraciaMi e Milano Bike City?
Che tutto ciò che parla o fa parlare di bici e che mette più persone in bicicletta è benvenuto.
E l’influenza della critical mass a Milano?
La critical mass in ogni città ha avuto il grande ruolo di mettere in discussione la distribuzione dello spazio pubblico. Anche a Milano, come altrove assolve a questo compito, ovvero dire che anche le biciclette sono il traffico. Milano ha però l’unicità di avere una critical mass che si tiene al giovedì sera invece che al venerdì nel tardo pomeriggio e questo ha rischiato di fargli avere una deriva più ricreativa e meno politica, ma questo ha il grande merito di mettere più persone in bicicletta e quindi W la critical mass di Milano!
Foto in evidenza: Paolo Pinzuti
City Bike / Milano: il manifesto di questo dossier
Mi hanno chiesto di raccontare Milano e la sua relazione con la bici. Di mettere insieme una sorta di guida, un vademecum, un piccolo libretto di istruzioni e camera dei segreti della vita ciclistica milanese. L’occasione di narrare la strada a pedali di Milano mi è sembrata più che in sintonia con questo periodo di grandi avvenimenti.
Abbandonata e ripresa più volte la relazione con la città natale può essere spesso controversa. Così è stata la mia.
Continuo a tornare a Milano perché è la mia città, dove vivono i miei affetti, i miei amici, la mia famiglia. È la città che amo, nonostante abbia molti difetti che a tratti me la fanno odiare, ma continuo a pensare che siamo sulla strada giusta per renderla migliore.
Col tempo, e grazie ad una formazione in filosofia e ricerca sul paesaggio, ho imparato che anche i luoghi portano con sé un’innata capacità di creare contatti, generare idee, seminare progetti e insediarsi in maniera indissolubile nel cuore delle persone che li vivono. Ripensandoci riusciamo a rigustare quel gelato in sala giochi o le uova ripiene della nonna – quelle della mia, vi assicuro, erano fantastiche: saranno le galline di campagna o i chilometri in bici su e giù per le colline marchigiane, ma quelle sensazioni non le possiamo dimenticare.
I luoghi e la bici. Due componenti fondamentali nel cammino di quel viaggio lungo e accidentato, fatto di saliscendi, pause e avventure.
La bici è sempre stata parte di me fin da quando ero piccola.
Lavorare, esplorare e comunicare alle persone attorno a me la bellezza dell’andare in bicicletta, della sensazione di libertà e condivisione è il motore che mi ha spinto su ogni salita, sentiero e difficoltà.
Crescere nomade in giro per Europa e Stati Uniti mi ha fatto capire come la bicicletta potesse davvero diventare il mezzo per cambiare radicalmente l’approccio alla gestione urbana e alla condivisione degli spazi e tempi dell’abitare la città nella sua routine quotidiana, facendoci dimenticare lo stress di traffico, mezzi pubblici, scioperi e costi dell’automobile – economici e sociali.
Avrei voluto vedere tutto questo realizzarsi anche a Milano, ma faticavo a percepire il concretizzarsi di questo cambiamento. Qualcosa ancora mancava nell’approccio ad un nuovo modo di vivere il quotidiano generato dall’azione sinergica di iniziative dal basso e gesta ufficiali dall’alto.
Se vogliamo vedere realizzato il cambiamento non possiamo aspettarci che sia solo l’una o l’altra parte a muoversi: dobbiamo attivare quell’unione per vedere realizzarsi la trasformazione.
Le città hanno il potere di cambiare ed evolvere: leggendone i cambiamenti possiamo muoverci costruttivamente verso il futuro. Se ripensiamo, infatti, alle città del passato costruite a misura d’uomo, capiamo benissimo che non c’era posto per auto o veicoli ingombranti e rumorosi.
Milano è carica di storia, i suoi resti romani, il pavé sconnesso e bastioni condividono il suolo urbano con grattaceli e costruzioni futuristiche: passato e innovazione che convivono. Non a caso Milano è il luogo in cui si concentrano le nuove tendenze in fatto di moda, design e industria provenienti dall’estero, digerite e poi restituite al resto dell’italia.
Vivere la città in bici
Spostarsi in bici a Milano è possibile essendo non particolarmente grande e decisamente pianeggiante, anche se la presenza di strade sconnesse – pavimentate con grossi ciottoli squadrati particolarmente insidiosi per le biciclette – traffico e rotaie del tram ovunque, non la rendono di primo acchito una meta ambita dai ciclisti.
Per anni le amministrazioni comunali si sono interessate poco o nulla alla questione. Dopo periodi in cui i cambiamenti climatici hanno fatto da padrone, nuovi piani urbanistici e una maggiore attenzione alla qualità della vita, le persone hanno iniziato a rivalutare l’andare in bici, comprenderne i valori ecologici, economici, sociali e sportivi.
E la bicicletta è diventata di moda. Abbiamo visto le nostre strade venire occupate da mezzi sempre più di tendenza, customizzati, colorati, veloci e leggeri, ma il loro numero potrebbe aumentare ulteriormente se la città fosse dotata di una rete organica di percorsi ciclabili che rendessero più sicuro l’utilizzo della bicicletta da parte di una più ampia fetta di popolazione.
In molti hanno recentemente scelto, per i loro spostamenti, i leggeri e veloci monopattini elettrici, a noleggio o di proprietà. La rivoluzione elettrica sembra non fermarsi davanti a nulla, contaminando ogni forma di trasporto possibile. Numerosi cittadini, prima scettici hanno optato per questi veicoli a due ruote, all’apparenza traballanti, ma funzionali e più facilmente trasportabili su treni, metropolitane e autobus rispetto ad una bici pieghevole. Dobbiamo però ricordarci che il sistema frenante non è così intuitivo come quello di una bicicletta e il guidatore deve bilanciare il peso per evitare di inchiodare. Con un po’ di dimestichezza e praticità tutto si impara, ma sicuramente i monopattini non potranno sostituire del tutto la bicicletta anche se sono mezzi divertenti e sulle brevi distanze vanno benissimo.
Negli ultimi dieci anni la situazione in città è migliorata grazie ad alcuni investimenti mirati delle amministrazioni: attualmente sono disponibili circa duecentoventi chilometri di tracciati ciclabili, quasi il triplo di quindici anni fa e numerose rastrelliere pubbliche sono comparse negli ultimi anni. Il problema è che non esiste continuità fra le piste di quartiere e ai ciclisti capita spesso di procedere a zigzag fra tratti riservati, strade e marciapiedi. Molti si rassegnano così a utilizzare i viali a scorrimento veloce, le circonvallazioni, che però hanno pochissimi tratti della carreggiata riservate ai ciclisti.
Forse occorre fare una rapida distinzione tra percorsi ciclabili e piste ciclabili: i primi sono delle direttrici in cui l’utilizzo della bicicletta può avvenire in modo sicuro, costituiti da strade con limiti di velocità fissati a 30km/h, marciapiedi larghi dove biciclette e pedoni possano convivere. Le piste ciclabili sono invece tratti di strada esclusivamente dedicati al passaggio delle biciclette.
I percorsi ciclabili non sono necessariamente e interamente costituiti su piste ciclabili protette, spesso alcuni tratti sono realizzati in carreggiate separate o in altri casi i percorsi ciclabili coprono strade in cui ci sono anche automobili e/o pedoni.
A Milano non esiste al momento un piano organico ufficiale né di percorsi ciclabili, né di piste ciclabili: queste ultime infatti sono presenti a tratti, in modo non organizzato e spesso incomplete o terminano improvvisamente su parcheggi, marciapiedi, strisce pedonali o cordoli della strada, creando rischi per i ciclisti e non solo.
A volte le piste verniciate per terra sono scolorite, poco evidenti o incastrate fra ostacoli e auto in sosta. In altri casi in corrispondenza di incroci è necessario aspettare a lungo prima di poter attraversare e quindi quasi nessun ciclista aspetta tutto questo tempo. Idealmente, una buona rete di percorsi ciclabili non sarebbe troppo diversa dal classico schema che conosciamo di una rete metropolitana tenendo conto sia delle esigenze dei ciclisti che dei pedoni.
Come si può vedere dalla mappa attualmente esistono solo alcune piste ciclabili protette che permettono di raggiungere il centro (Gioia – San Marco – Brera e Sempione – Castello – Dante).
Come suggerisce Luca Svaluto di Milano città stato, il primo passo dovrebbe essere il disegno dei percorsi ciclabili fino ad arrivare alla zona del Duomo, intesa come il centro della città e come abbiamo visto i percorsi ciclabili non devono necessariamente essere separati dai pedoni o dalle automobili, ma si potrebbero definire delle strade in cui le auto possono procedere solo a 30km/h.
Il secondo passo potrebbe essere quello di inserire una segnaletica orizzontale, per terra, con figure adesive sulla superficie della strada risultando così meno invasiva rispetto al tipico cartello verticale e potrebbe essere applicata in modo che sia i pedoni che gli automobilisti la possano vedere, evitando così comportamenti pericolosi da parte di tutti gli attori coinvolti: ciclisti, pedoni, automobilisti.
Come ultima azione si potrebbe pensare alla creazione di piste ciclabili dedicate nelle aree più critiche, canalizzando il flusso delle biciclette nei percorsi ciclabili, riducendo le criticità di una condivisione di spazi in percorsi altamente trafficati o pericolosi.
«Attualmente il Comune di Milano realizza le piste ciclabili non in funzione di un effettivo bisogno, ma in seguito di interventi di riqualificazione urbanistica. In questo modo spesso vengono utilizzate delle risorse pubbliche per la costruzione di piste ciclabili che nella pratica non sono molto utilizzate. Questo determina la frustrazione sia degli automobilisti che vedono ridotto lo spazio a loro dedicato, sia dei ciclisti che vedono risorse impiegate in zone dove non necessariamente ce n’è bisogno».
In periodo pre-covid, solitamente ogni giorno salivano in metropolitana circa 1,4 milioni di passeggeri, cifra che nella fase due è stata ridotta di almeno tre quarti. Evitando di congestionare le strade con un milione di auto in più ogni giorno in circolazione, il Comune ha deciso di puntare tutto o quasi sulle due ruote: «ci vuole creatività» ha detto il sindaco Beppe Sala. Se andare in bici significa essere creativi, ben venga la vena artistica. La situazione attuale ci spinge a recuperare la socialità dell’esterno e desiderare una presenza più capillare del verde urbano come rifugio sicuro. Le piazze, le strade, i parchi diventeranno sempre di più estensione delle ristrette residenze private e degli spazi omologati del lavoro, nonché luoghi privilegiati per lo svolgimento, per quanto ridimensionato, di una vita culturale e sociale pubblica. L’esigenza di vivere la città garantendo la salute dei cittadini e il modello di vivibilità a cui faticosamente ci stavamo avvicinando nell’era della digitalizzazione, ci spinge a rivalutare soluzioni per questa transizione epocale.
Mi piace il modo in cui l’architetto e paesaggista Andreas Kipar ha raccontato l’evoluzione della città negli ultimi anni: «Milano era pronta, aveva i valori, un nuovo asset, aveva cominciato a respirare con una nuova anima, ma nessuno lo sapeva ancora, tant’è che ancora all’inaugurazione di Expo i milanesi erano scettici. Arrivano gli stranieri e trovano tutto bello. Gli stranieri erano sorpresi da Expo, ma soprattutto dalla scoperta della città di Milano. Prima non c’era ragione di venire a Milano, se non per business. A un certo punto è iniziato un flusso inarrestabile di cittadini internazionali che diffondono all’estero questo messaggio della bellezza straordinaria e inaspettata della città».
Anche se si sa, continua Kipar, il milanese è storicamente complessato sul tema bellezza, rispetto alla grande bellezza codificata romana, fiorentina o veneziana, tant’è che fuggiva dalla città appena possibile. A forza di sentir dire che tutto era bello a un certo punto i milanesi hanno cominciato a dire: “ok allora siamo davvero belli” e hanno sviluppato una nuova anima. Non più l’anima dell’operaio che doveva correre veloce perché c’era l’industrializzazione, ma l’anima della città mitteleuropea che poteva offrire charme, bellezza, creatività mediterranea e nello stesso tempo operatività, concretezza ed efficienza mitteleuropea.
Oggi Milano è questo mix. E ci piace proprio per questo.
Una Milano sempre più cycling-green, soprattutto se ripensiamo alla città meneghina che sta ripartendo: dopo le novità riguardanti i mezzi pubblici, si spera arrivino anche quelle collegate alle piste ciclabili e alla creazione delle cosiddette “case avanzate”. Le case avanzate sono degli spazi riservati alle biciclette posti davanti alle linee di arresto dei veicoli a motore che permetterebbero ai ciclisti di aspettare lo scattare del verde al semaforo in una posizione più visibile e di poter svoltare per primi. Una modifica ottenuta grazie al via libera del ministero, consentirà alle biciclette punti di arresto differenziati in prossimità degli incroci, non correndo il rischio di venire investite dalle auto che svoltano a destra. La casa avanzata va nella direzione di garantire maggior sicurezza ai ciclisti che percorrono il tratto di ciclabile in Corso Buenos Aires:. «Ormai sono più di 5.000 i ciclisti che usano ogni giorno la nuova ciclabile», ha affermato Marco Granelli, l’Assessore alla Mobilità milanese. La democrazia della strada avanza con la casa avanzata – sostiene soddisfatta l’associazione FIAB Ciclobby che spera di vedere Milano assieme alle città europee della bicicletta come Basilea, Vienna, Copenaghen e Londra.
Per permettere a cittadini e turisti di conoscere tutte le piste ciclabili della città sono disponibili gratuitamente due diverse mappe appena realizzate per il Comune di Milano. Le due cartine sono distribuite presso i punti informativi del Comune di Milano, i musei comunali, le sedi di Confcommercio e Assolombarda, i consigli di zona, le principali ciclofficine, i rivenditori di bici e le associazioni di ciclisti urbani. Milano è una città piccola e densamente abitata, quindici chilometri da un capo all’altro con 1.4 milioni di abitanti, il 55% dei quali utilizza i mezzi pubblici per recarsi al lavoro. Il tragitto medio è inferiore a quattro chilometri, rendendo il passaggio dalle auto alle modalità di viaggio attive possibile per molti residenti.
Il capoluogo lombardo sta quindi lavorando a un piano che incentivi l’uso della bicicletta e dei bike-sharing in seguito alle necessità di evitare assembramenti sui mezzi pubblici come la creazione di nuove infrastrutture che ne agevolino l’uso.
A partire da fine aprile 2020 erano cominciati i lavori, conclusi entro fine estate, per l’apertura della nuova pista ciclabile che da Piazza San Babila portasse direttamente a Sesto Marelli seguendo la direttrice di una grande via di comunicazione quale Corso Buenos Aires, sei chilometri in entrambi i sensi di marcia. Nonostante sia un’incredibile innovazione per il piano urbanistico della città, non sono stati pochi gli oppositori.
Due associazioni di commercianti si sono mostrate subito preoccupate che un minor passaggio di auto che a loro avviso si sarebbe tradotto in una riduzione dei guadagni.
Una posizione non condivisa dall’architetto della mobilità Valerio Montieri, consigliere della FIAB e residente in zona: «In questo modo si aumenta la possibilità di fruizione in sicurezza della strada e dobbiamo sfatare il mito del ciclista che non spende. La bici è amica del commercio. Basta pensare che un parcheggio auto può ospitare dieci biciclette e dunque dieci possibili clienti».
Potremmo spiegare con dati alla mano che le zone pedonali ciclabili, oltre a migliorare la vivibilità urbana, aiutano i vari negozianti a beneficiare di un passaggio a ritmo più rallentato con una maggiore possibilità che le persone entrino nel loro esercizio commerciale. E se i numeri non dovessero essere maggiori, sarebbero comunque più predisposte all’acquisto e meno stressate da vigili o multe per la macchina parcheggiata in seconda fila.
«La bicicletta, può contribuire a cambiare l’immagine delle città. Il futuro è nella mobilità ecologica» dice convinta Giovanna Rossignoli, figlia d’arte e anima dell’omonimo negozio di biciclette in Corso Garibaldi che da anni muove l’anima ciclistica milanese. «Chi viene a fare shopping in centro si sposta già oggi soprattutto in metropolitana, monopattini, bike sharing. Uno sviluppo green può avere un valore anche in termini di marketing, dobbiamo gestire meglio il corso e tenere conto di cosa chiedono i clienti. I posti auto lungo Corso Garibaldi, diciamolo pure, sono usati più da commessi e residenti che dai clienti».
Vediamo quindi che Milano ha ancora molta strada da fare nonostante si vedano sempre più mezzi a due ruote: dalle colorate bici a scatto fisso o da corsa, cargo-bike, cancelli semi-arrugginiti recuperate dai garage di famiglia usate per raggiungere stazioni di treni e metropolitana. All’estero la bici è ampiamente riconosciuta come mezzo efficiente ed efficace nei tragitti medio/brevi, sia come mezzo per scoprire il territorio ed è tutelata senza distinzioni politiche: basta la sua efficienza a renderla riconosciuta e apprezzata da tutti, ora dobbiamo farlo capire anche ai nostri concittadini.
Oggi, nella delicata fase di convivenza con il Coronavirus, la bici è un importante strumento di distanziamento sociale durante gli spostamenti, permette di alleggerire il carico sui mezzi pubblici, previene il traffico e l’inquinamento dovuti a un uso eccessivo dell’auto e, secondo le raccomandazioni delle varie organizzazioni sanitarie, aiuta a restare in forma mantenendo un sistema immunitario sano.
Più bici, meno virus.
Milano è una città dal potenziale ciclistico nascosto che si trascina una lunga storia d’amore fatta di umili lavoratori, cortei, industrie, artigiani, gloriosi marchi e grandi atleti. In futuro capiremo forse meglio tutto ciò e ovvieremo alla totale dedizione per l’automobile. Quel giorno la bicicletta, di proprietà o condivisa, verrà a tutti gli effetti sdoganata dalla sua unica concezione agonistica e diventerà protagonista attiva dei nostri spostamenti quotidiani.
Foto in evidenza: SuperMi100 una pedalata di 100 km attorno a Milano nell’ambito di “Super – il Festival delle Periferie a Milano” Foto: Francesco Rachello / Tornanti.cc
Ecco tutte le puntate del nostro dossier Milano Urban Cycling:
- I Caffè della bicicletta
- Eventi in bicicletta a Milano
- Massa Critica
- Moda e stile in bicicletta
- Ciclofficine
- Cicli Drali
- Cinelli
- Negozi di bicicletta a Milano
- Protagonisti: intervista a Fridabike
- Milano in immagini: intervista a tornanti.cc
- Essere Corrieri (in bicicletta) a Milano
- Milano Bike Polo
- Milano e mobilità: intervista a Paolo e Pinar Pinzuti
- Milano e le cargo bikes
- Il Velodromo Vigorelli
- Yoga e bicicletta
- Jet lag ride
- Gravel a Milano (Zibidino Magic Hour) (Gravel del duca)