Un lungo viaggio: intervista a Elisa Longo Borghini

«Forse, dall'esterno, non si è capito molto quanto abbia sofferto nell'ultimo anno. Non è facile comprenderlo fino in fondo e non è nemmeno facile spiegarlo». Il telefono di Elisa Longo Borghini squilla nella stanza di un albergo vicino a Waregem: è quel periodo dell'anno in cui le strade delle cicliste e dei ciclisti sono quelle di freddo, pietre, muri, vento e inverno del Nord, che, anche a fine marzo, fatica a mollare la presa. Un viaggio, alla fine questo è il ciclismo nelle sue trasferte e nei suoi bagagli. La trentaduenne di Ornavasso parla di questo viaggio e lo assimila ad un altro che ha mappe e cartine differenti: «Il ritorno a quella che ero è stato un viaggio interiore che pareva non finire mai, una meta che non arrivava nonostante la cercassi. Non ero preparata a tutta questa sofferenza: stop forzati, infortuni, malattie e al Tour de France quella setticemia di cui, ancora oggi, mi chiedo le cause. Tutte volte in cui provavo a prepararmi, in cui pensavo di farcela, il mio corpo mi diceva un no secco. Non era pronto agli sforzi che una carriera professionistica comporta, non era mai pronto. Ad un certo punto, ho dovuto lasciare la bicicletta completamente da parte».

I pensieri si riannodano, sembra un flusso di coscienza in cui ogni passaggio costruisce il passaggio successivo, come quando si riflette molto su ciò che accade, cercando di riordinarlo e di dargli un senso affinché non sia inutile. Elisa Longo Borghini lo ha fatto anche con le esperienze più piccole di quei giorni lontana dalla bicicletta: quella mattinata in cui suo padre aveva avuto un piccola indisposizione e lei e suo fratello Paolo, nella stalla, l'avevano aiutato a mungere una mucca e a prendersi cura del vitellino. Aveva pensato che la vita vera fosse un'altra, che «quando ti alzi al mattino e sai di dover spalare letame tutto il giorno è dura», eppure era stata felice con tutto quel dolore che sembrava essersi quietato, nascosto in qualche angolo, meno ingombrante in quegli istanti in cui condivideva un gesto semplice con il fratello. Sì, il 2023 è stato un anno difficile, ma, allo stesso tempo, fuori dal ciclismo, pieno di cose belle, importanti: il matrimonio con Jacopo Mosca, essere diventata moglie, poter chiamare Jacopo "marito", quel giorno, le energie buone che ha dedicato a quel pensiero, la quotidianità e tutto quel che ne deriva. Ed ancora le ore ed i giorni con i suoi nipoti, come fanno le zie, come spesso una ciclista non può fare. Tutti i pensieri sono necessari per salvare e custodire il bello, per riconoscerselo ed esserne fieri, pur nelle difficoltà.

Strade Bianche Women 2024 - Elisa Longo Borghini - Foto Tommaso Pelagalli/SprintCyclingAgency©2024

Poi arrivava il giorno in cui risaliva in bicicletta, magari dopo aver parlato con Paolo Slongo, il suo preparatore: «Mi raccomandava di pedalare tranquilla, di guardarmi intorno, di tornare a godermi anche il paesaggio e di avere pazienza. Io, dopo qualche chilometro in sella, gli telefonavo: "Paolo, sto facendo come dici tu, ma non può funzionare. Vado troppo piano, non riuscirò mai a tornare quella di prima, è impossibile" . Allora, lui riprendeva a tranquillizzarmi: "Non avere fretta, cerca di volere bene al tuo corpo, ai tuoi muscoli. Se lo farai, tornerai anche meglio di prima". L'allenamento era diventato una sorta di religione: io dovevo credere a quel che facevo, anche se al momento non ne vedevo i risultati. Difficile, ma necessario». Racconta Longo Borghini che se è riuscita a rientrare alle corse è soprattutto grazie alla sua famiglia e a Paolo Slongo. Ma anche un episodio accaduto al Giro di Romandia, quasi casualmente, l'ha aiutata ad aggiungere qualche consapevolezza. Quel giorno è Marlen Reusser ad affiancarla: «Tu sai che sei fortunata, Elisa?». La risposta di Longo Borghini è pronta: «Sì, indubbiamente, Marlen, sono una donna fortunata, per molti aspetti». Reusser non le lascia il tempo di dire altro: «Sai che se ti fosse successa la stessa cosa quarant'anni fa non saresti qui con noi? L'hai pensato? Te lo dico io, ricordalo». Inizialmente quello di Elisa Longo Borghini è un "grazie" amaro, scherzoso, poi la riflessione, dopo la gara, chiarisce tutto.

«Siamo giovani e siamo atleti. Già il primo dato basta, talvolta, per farci sentire potenti e sin troppo sicuri della nostra forza, della nostra salute, come se niente potesse toccarci, sfiorarci, buttarci a terra. L'essere atleti accresce questa sensazione, perché sfidi la fatica, torni in bici anche con il male alle gambe, anche dopo esserti sentito sfinito, finito. Quante volte ci diciamo: "Ora mi riposo e domani esco, anche se mi fa male tutto"? Non è scontato che il giorno dopo ci trovi in salute, non è naturale questo stare bene, questo poter fare. Lo si capisce quando, pur giovane, pur atleta, non puoi più, sei fermo, bloccato. Quando si ha la sensazione che tutto sia finito». Invece un nuovo inizio si stava costruendo: l'UAE Tour per un accenno di ritorno, la Het Nieuwsblad per tornare a percepire il solito vigore nelle gambe e nei muscoli e la Strade Bianche per essere sicura: Longo Borghini c'è ancora ed è la stessa di prima. Il giorno degli sterri senesi, è caduta due volte, nella zona di Monteroni d'Arbia e prima di prendere Montaperti. Proprio in quel frangente, il gruppo stava rilanciando, Lotte Kopecky stava attaccando. La campionessa italiana non riesce solo a stare con il gruppo, ma anche a guidarlo, dopo un cambio di bicicletta.

Strade Bianche Women 2024 - Lotte Kopecky ed Elisa Longo Borghini - Foto Tommaso Pelagalli/SprintCyclingAgency©2024

Sente di dover parlare alla radiolina, un istinto che non trattiene: «Sono Elisa e penso di avere delle buone gambe». «Tra me e me, mentre guardavo le avversarie, dicevo: "Ora vi faccio vedere". La competitività solita, quella lettura che ho sempre dato a questo sport che mi porta a fare volate assurde ai cartelli con Jacopo in allenamento e a tornare a casa distrutta ed essere felice. Io sono così. Certo che avrei voluto qualche cambio in più da Kopecky, fa parte del gioco, certo che avrei voluto vincere, inutile dirlo. Ma non potevo non essere felice, per questo sorridevo al traguardo».

Il giorno dopo, al Trofeo Oro in Euro, ha conquistato la vittoria, in solitaria, e, proprio in quella solitudine, guardava i dati sviluppati sul suo potenziometro e si sfidava a fare di più, a fare meglio, come fosse un gioco, come in parte lo è sempre stato. La Ronde van Vlaanderen, spiega, è una gara iconica, «una gara che correrò a cuore aperto, vada come vada, perché i giorni buoni e meno buoni sono realtà costante nel nostro mestiere, ma l'obiettivo, l'idea fissa, è un poco più in là, alla Liegi-Bastogne-Liegi, sto lavorando per quella, voglio arrivarci essendo in grado di giocarmela». Quando le chiediamo come vorrebbe vincere, ride di gusto, torna indietro negli anni: «Ricordo il Fiandre del 2015, quell'azione senza senso, folle, che mi ha portato alla vittoria. Mentirei se non dicessi che io sogno ancora azioni così, "azioni ignoranti", come si dice in gergo. Allo stesso tempo, però, razionalmente so che in questo ciclismo, con i valori in campo, non è possibile una cosa simile. Sarà la squadra a fare la differenza: un insieme di atlete forti che dal loro essere insieme traggono ancora più forza. La squadra è il modo attraverso cui si superano le corazzate. La squadra è il mio modo di vincere».


Garmin: un'occasione ottima per rinnovare il tuo ciclocomputer

In vista della nuova stagione, Garmin attiva una promo per chi è interessato a passare a una versione più aggiornata del proprio ciclocomputer

Hashtag di riferimento: #GarminItaly

Garmin (NYSE: GRMN) annuncia la campagna promozionale che fino al 5 maggio offre la possibilità di cambiare il vecchio ciclo-computer di qualsiasi brand ricevendo uno sconto che può arrivare fino a 170 euro. 

Per accedere alla promo è sufficiente acquistare un bike computer della serie Edge 540 e 840 all’interno di uno dei punti vendita Garmin che aderiscono all’iniziativa.

Edge 540 ha un prezzo a partire da 299,99 euro, mentre Edge 840 da 379,99 euro. La promo è valida sia sui modelli solar che non solar.

Serie edge 540 & 840 – Solar e Non Solar

Progettati per ogni tipo di ciclista, le serie Edge 540 e 840 sono ricche di funzioni innovative rispetto agli intramontabili Edge 530 e 830, che le hanno precedute.
Queste le funzioni che imperdibili per il prossimo Edge:

  • Abilità ciclistica e requisiti del percorso: basandosi sullo storico degli allenamenti, identifica i punti di forza e di debolezza di un ciclista
  • Coaching adattativo mirato: che si pedali al chiuso o all’aperto, permette di visualizzare gli allenamenti giornalieri suggeriti e invia suggerimenti personalizzati che si adattano in base al carico di allenamento, al recupero e alle prossime gare. 
  • Stamina in tempo reale: permette di monitorare i livelli di sforzo in tempo reale durante l’uscita in bici per vedere quanta energia rimane per terminare il proprio allenamento.
  • Power Guide: consente di gestire gli sforzi con obiettivi di potenza durante il percorso.
  • Pianificazione delle salite ClimbPro: ora disponibile anche per percorsi non preventivamente pianificati, permette di visualizzare i dettagli delle salite, come l’ascesa rimanente e la pendenza, oltre a offire la ricerca delle salite direttamente su Edge e nell’app per smartphone Garmin Connect™ prima di partire.
  • GNSS multi-banda: garantisce una maggiore precisione della posizione anche negli ambienti più impervi.

Ricarica solare: la lente di ricarica solare Power Glass™ sui modelli Solar estende la durata della batteria fino a 60 ore in modalità risparmio, offrendo fino a 25 minuti in più all’ora durante le pedalate diurne.

Dotati di metriche di allenamento e navigazione avanzata, i modelli Edge 540 e 840 sono il perfetto compagno di allenamento del ciclista che vuole migliorare costantemente le proprie performance. Grazie alle informazioni fornite da Firstbeat Analytics come VO2 max, Training Status, Training Load, tempo di recupero e altro ancora, è possibile prendere visione di come il fisico stia rispondendo all’allenamento. Inoltre, le metriche dedicate al mondo MTB forniscono dati come il conteggio e la distanza dei piani salti, il Grit e il Flow per ogni uscita.

I nuovi device sono dotati di cartografia integrata aggiornata con mappe migliorate e specifiche per tipo di uscita che utilizzano Trendline™ Popularity Routing, per evidenziare le strade e i sentieri più popolari permettendo di ricercare punti di interesse.

Inoltre, grazie alle funzioni integrate di sicurezza e tracking come LiveTrack, messaggistica di gruppo e rilevamento degli incidenti per tutte le attività, compresa la mountain bike, le uscite in bici non sono mai state così sicure

Edge 540 è la versione a pulsanti e presenta una memoria interna di 16 GB con la cartografia Central West precaricata.

Edge 840 invece presenta sia il touchscreen che i pulsanti, per rispondere alle preferenze dell’utente. È dotato di una memoria interna da 32GB, che risulta particolarmente utile per chi viaggia e utilizza le mappe

A vantaggio della navigazione, sull’ Edge 840 si ritrovano di default due regioni già precaricate.

Per informazioni: www.garmin.com/it-IT


Olivier, Parma

In Strada Luigi Carlo Farini 15, a Parma, varcato l'ingresso di Olivier, gli occhi si appoggiano istintivamente ad un telo, sul muro. Si tratta, evidentemente, della pubblicità di una nota marca di jeans, a colpirci, oltre alla dimensione del manifesto, però, sono, soprattutto, delle minuscole goccioline di vernice bianca, ormai essiccata che scorgiamo chiaramente e che restituiscono l'idea di qualcosa di stropicciato, talvolta dimenticato, su cui il tempo è passato, a tratti, in maniera inclemente. Carlo Alberto Caruso ci fornisce presto i dettagli di quella sensazione: il telo è l'originale di una vecchia pubblicità Levi's, risalente agli anni quaranta del novecento e nei locali di Olivier è arrivato portato da un signore, un cliente, che lavorava per Fiorucci. Lo teneva in soffitta e quasi non ne ricordava l'esistenza: la vernice, invece, deriva dai giorni in cui gli imbianchini l'hanno utilizzato per proteggere l'arredamento di un sottoscala durante la tinteggiatura. Fino a che non è stato donato a Olivier e su quella parete, dopo tanti anni, è tornato alla sua prima funzione: molti visitatori ne restano colpiti, cercano Carlo e Alessandro, chiedono informazioni e loro iniziano a raccontare la sua storia, dando particolare valore al fatto che si tratti di un regalo. Altre volte, le domande riguardano una scarpa, esposta in bacheca, sopra una mensola. Si tratta di una Red Wing, una calzatura nata nel 1905, nel Minnesota, negli Stati Uniti d'America, e strettamente legata a varie tipologie di mestieri, in quanto ideata originariamente proprio per questi: parliamo di minatori, postini, lavoratori dei campi, delle fattorie. Solo successivamente sono state ideate due linee, di cui una per l'uso comune, quotidiano. Quella che vediamo noi appartiene ad un lotto numerato, giunto in Italia qualche anno fa, venduto quasi tutto, tranne quell'unico esemplare che, oggi, resta come ricordo, come souvenir. C'è chi la vorrebbe acquistare, ma la risposta di Carlo è sempre la stessa: «No, è troppo bella. Resta qui».

In fondo, in questi pochi minuti di conoscenza, Caruso ci ha narrato delle storie, nulla di più e nulla di meno. Ci dirà poco dopo che è questo il tratto caratterizzante del suo lavoro, nonostante Olivier sia, dal 1999, anno della sua nascita, un negozio di abbigliamento: «Dietro a ogni capo c'è una storia lunga, certe volte molto lunga, e a noi piace raccontarla. A non tutti piace e a non tutti interessa, bisogna spiegare perché lo si fa e non stancarsi di ripeterlo, anche quando sembra di non essere compresi». Il motivo ha a che fare con l'affettività che riguarda le persone ma anche gli oggetti con cui vengono in contatto: la concezione corrente è, spiega Caruso, che un capo d'abbigliamento o una scarpa si acquistino, si utilizzino, per un tempo sempre più breve, e poi si gettino via, in realtà può esserci di più, in quanto tutto ciò che «si porta addosso» fa parte, in un modo o nell'altro, del percorso di ciascuno di noi, invecchia assieme a chi lo veste. «L'immagine che utilizzo io è molto semplice: pensate di aprire un armadio e di trovare quella maglietta, quella camicia, quella felpa o quella scarpa di dieci anni prima. A quel punto si liberano una serie di reminiscenze. Così facendo non si segue la moda, si è "fuori stile", forse, perché si cerca un proprio stile». L'inizio, quello del 1999, è stato dato da Alessandro, in un altro punto della città, Carlo è subentrato nel 2015 e, nel frattempo, Olivier si è spostato in una zona più centrale di Parma; una vetrina anziché due, ma tutta la vita che pullula attorno. Il nome, in realtà, nasce quasi per caso, in quanto l'unica cosa decisa era che dovesse essere un nome inglese. Alessandro è sempre stato un appassionato di cricket e ricordava il nome di uno dei suoi giocatori preferiti di sempre che si chiamava proprio così, proprio Olivier. L'arredamento interno, invece, è stato conseguenza di una scelta ben precisa.

«La traccia di base è minimalista, ovvero poche mensole, poche cose, bianco, pulito, ma il lavoro occupa una fetta importante delle nostre giornate e, mentre lavoriamo, cresciamo, allora il negozio doveva crescere con noi, invecchiare al nostro stesso tempo, arricchendosi via via di tutto ciò che, nel frattempo, ha significato qualcosa: per esempio quel telo, quella pubblicità o quella vecchia scarpa». Dal 1999, tra l'altro, sono davvero variate moltissime cose, sia dentro che fuori, nella società: in quel momento, erano i vestiti, l'abbigliamento la forma principale di svago, il regalo che ci si concedeva per staccare dalla quotidianità, oggi, invece, il tempo libero si è popolato di molte altre possibilità e priorità, per cui anche questo mestiere è diventato più complesso. Carlo Alberto Caruso trova in questa sfumatura il principale punto di contatto tra il suo mondo e la bicicletta: «Dove c'è fatica, non si può restare se non si trova anche una passione, un motivo. Se ci si pensa bene, perché scalare una montagna in bici, col fiatone, sudando come matti e col fiato che se ne va chissà dove? Il motivo è quella cosa che ci prende e che, in mancanza di altre parole, chiamiamo passione. Il mio lavoro è diventato molto difficile, non avrei altri motivi per continuare a sceglierlo ogni giorno, se non fosse per quello che provo nei suoi confronti. Simile a ciò che sentivo quando ho iniziato a lavorare con mio padre, alla fine dell'università». Carlo non è di Parma, bensì della Bassa e quando racconta del modo di essere dei parmensi lo fa con disincanto, dapprima scherzando su una presunta rivalità, «sono "fighetti", non si fanno sfuggire nulla», e, successivamente, andando a pescare nelle ragioni più profonde di quelle caratteristiche: «Parma è un piccolo gioiello. Una piccola città in cui tutti si conoscono, c'è e c'è sempre stata bella cultura, bei parchi: la gente ci tiene a preservare questa bellezza, quindi è attenta, se ne prende cura e non si lascia scappare nulla». A chi vuole conoscere meglio i suoi dintorni, Carlo suggerisce il classico giro che lui stesso fa in pausa pranzo, in tutto quarantatrè, quarantaquattro, chilometri, andata e ritorno, partendo da via Farini, diretti verso la salita di Barbiano: un'ascesa delicata, piacevole, che permette una vista di raro pregio e che conduce anche al Castello di Torrechiara.

Ma Olivier e le biciclette, per qualche motivo, sono intrecciati a doppio filo: Carlo e Alessandro sono da sempre pedalatori e il giovedì pomeriggio, quando il negozio è chiuso, spesso si allontanano dal centro e vanno all'avventura. «Piano, piano, qualche nostro amico si è unito a noi, finchè non abbiamo pensato che doveva essere un'occasione aperta a tutti, fino a chiamarle "Oliver Social Ride": delle uscite assieme, per far gruppo, per farsi compagnia e, magari, fermarsi a bere una birra, senza guardare i chilometraggi, i watt e la velocità». Quel gruppo è presto diventato di dieci, venti, trenta, fino a quaranta persone, che chiedono, si informano e aspettano il giovedì per quelle ore di svago, magari indossano la maglietta o la felpa ideata per omaggiare il momento, il cui ricavato è stato destinato ad una associazione a favore della ricerca sulla SLA. Carlo e Alessandro si posizionano uno davanti e l'altro dietro il piccolo plotone che si va formando, cercano di tenerlo unito, compatto e, di tanto in tanto, provano a istruire chi non è così abituato ad uscire in bici. Spesso sono piccole indicazioni che, però, si rivelano fondamentali, talvolta sconfiggono vecchie abitudini che si pensava non sarebbero mai cambiate: «Parlo di un amico che non ha mai indossato il casco in bicicletta e mi ha cercato per partecipare a queste ride. L'ho avvertito: senza casco, non puoi. Credetemi, è andato ad acquistarlo il giorno stesso e non l'ha più tolto, gesto per cui anche sua moglie ci ringrazia. Cose come queste succedono e per noi fanno la differenza, come quando vediamo che l'essere in gruppo rende tutti più attenti, quasi a proteggere anche la persona che si ha accanto». Qualcuno arriva anche da lontano, da Cremona, dal Veneto, altri, invece, fanno ritorno: in sella, oppure in negozio. Si fermano a leggere qualche libro, qualche rivista, appoggiate sul bancone o in vetrina, e da lì nasce una conversazione.

Parma è anche città di fiere, vi arrivano, quindi, anche persone dall'esterno e spesso passano in via Farini, si affacciano da Olivier, magari non acquistano nulla, non cercano nulla, ma vogliono salutare, passare a vedere, nel tempo della loro assenza, quante cose sono cambiate e quante sono rimaste le stesse: «Non sono visite casuali, si capisce molto bene da un particolare: spesso si ricordano dettagli di conversazioni avute mesi o anni prima. Ti chiedono di quell'idea, di quel progetto, di quella preoccupazione che avevi oppure riprendono fatti che avevi narrato e che molti avrebbero dimenticato nell'insieme di tante parole. Fa piacere perché restituisce la sensazione di essere ascoltati». A quelle fiere, a Parma o altrove, partecipano spesso anche Alessandro e Carlo, alla ricerca di qualche capo nuovo, di qualche novità che, pur inserendosi nella linea della continuità, della storicità, possa essere in armonia e ben figurare: «Soprattutto in periodi difficili, bisogna saper scegliere, selezionare, senza lasciarsi prendere dalla foga, per il bene dell'attività. Bene, la cosa che provo tutt'oggi per questo mestiere, spesso, mi rende difficile questa razionalità. Ciò che ti emoziona si vede sempre, quando mostri, parli, racconti, per quanto tu possa trattenerti».

Dopo un quarto di secolo di storia e di racconti, ricordi, aneddoti, Olivier, quando guarda avanti, al futuro, non cerca molto, non desidera grandi cose: ciò che spera è, in realtà, collegato a quella voglia di stare assieme che contraddistingue la sua evoluzione: «Sì, vorremmo venissero a trovarci ancora più persone. Non è tanto un discorso economico, sebbene un lavoro sia fatto anche di questo, piuttosto è una questione di comunità. Più siamo, più bello è». Non serve dire altro. Sarebbe futile, il quadro è completo.


Imatra: l'App che ti premia quando pedali

Se anche voi vi siete imbattuti nel logo di Imatra e vi siete chiesti come funziona, leggete qui sotto e scoprirete la grande innovazione nel mondo della green bike economy.

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La centrifuga del pavé fiammingo

Ancora prima che iniziasse, almeno un paio di persone si sono interessate sul mio stato di consapevolezza rispetto al fatto che da lì a pochi giorni avrebbe preso il via la Settimana Santa del ciclismo. Santa non solo perché nel mezzo c’è la Pasqua, ma anche perché, a detta di Alberto Bettiol, i corridori sono spesso impegnati a pregare per delle buone gambe. Per chi mastica la lingua sarebbe più corretto dire la Vlaamse Wielerweek, ovvero la settimana ciclistica fiamminga. Effettivamente aggiunge anche più contesto, soprattutto per me che a proposito di masticare e di ciclismo ne ho di movimenti di mascella da fare o, se preferite, di pastasciutta da mangiare. Nel raccontarvi come sia andato uno dei miei tanti battesimi ciclistici, credo sia meglio specificare fin da subito che fino al 26 maggio dello scorso anno ritenevo il ciclismo uno sport noioso. Lo facevo, per giunta, senza avergli dato una vera e propria chance: mai una gara vista in tv o dal vivo, mai una pedalata su strada o sentiero. Finché un venerdì di primavera, che qui dalle mie parti assomigliava più ad un principio di estate, mi sono ritrovata a guardare la diciannovesima tappa del Giro d’Italia - quella da Longarone alle Tre Cime di Lavaredo - con la scusa di voler rivedere dei luoghi in cui non mettevo piede da diverso tempo. Vi anticipo il seguito della storia: da quel giorno credo si possano contare sulle dita di una mano le volte che ho perso una competizione ciclistica trasmessa in televisione, mi sono iscritta a innumerevoli gruppi Telegram del settore, ho declassato Google da browser di ricerca preferito per spendere ore su ProCyclingStats o FirstCycling, ho comprato molti libri che devo ancora leggere e, soprattutto, mi sono perdutamente innamorata del ciclismo. Quest’anno è stato per me, dunque, un susseguirsi di prime volte. La mia prima Omloop, la mia prima Strade Bianche, la mia prima Tirreno-Adriatico, la mia prima Parigi-Nizza, la mia prima Milano-Torino, la mia prima Milano-Sanremo e adesso, appunto, anche la mia prima settimana ciclistica fiamminga.

E3 Saxo Classic 2024: il trofeo - Foto Ivan Benedetto/SprintCyclingAgency©2024

Per una che vive di inizi, soprattutto in questa parte di stagione a me sconosciuta, non poteva esistere altro tipo di approccio alla Settimana Santa se non quello di sperimentare tutte le sue tappe, partendo dalla Brugge-De Panne, passando per l’E3 Saxo Bank Classic, la Gent-Wevelgem, la Dwars door Vlaanderen, il Giro delle Fiandre, la Scheldeprijs e per chiudere la Parigi-Roubaix. Per ora posso già ammettere che la seconda di queste fermate, l’E3 Saxo Bank Classic, mi è piaciuta moltissimo. Che c’entri forse il fatto che è stata una corsa a dir poco folle rispetto a quanto ho visto finora? L’ipotesi merita di essere presa in considerazione. Da quando è stata creata, nel 1958, ha cambiato per ben 5 volte nome. Il primo è stato Harelbeke-Antwerp-Harelbeke: un modo semplice per dire che le prime edizioni avevano un percorso che partiva da Harelbeke, cittadina delle Fiandre occidentali, arrivava ad Anversa e tornava al punto di partenza. È stata una parentesi piuttosto breve, perchè agli inizi degli anni ‘60 anche il Belgio venne coinvolto nella nuova rete autostradale E3, che collega Lisbona a Stoccolma, ed ecco che la gara cambiò nome in E3-Prijs Harelbeke. C’è stato poi il tempo di E3 Harelbeke, come qualcuno la chiama ancora, e E3 BinckBank Classic, per arrivare al nome attuale E3 Saxo Bank Classic.

Girando in lungo e in largo per internet, ho scoperto che l’E3 è l’unica gara della Settimana Santa a non essere organizzata dalla cooperativa belga Flanders Classics. Poteva, però, essere decisamente più fortunata in termini di organizzatori, almeno da un punto di vista comunicativo. Lo dico per certi avvenimenti che definire scivoloni sarebbe un eufemismo. Ve ne cito due, quello che ha avuto più impatto mediatico e quello più recente. Per quanto riguarda il primo, che è avvenuto nel 2015, devo portarvi dietro di un altro piano di anni, ovvero nel 2013: vi ricordate quando, sul podio del Giro delle Fiandre, Peter Sagan ha la brillante idea di allungare una mano per afferrare il fondoschiena di Maja Leye, intenta a baciare sulla guancia il vincitore, Fabian Cancellara? Provò anche a metterci una pezza, offrendole un mazzo di fiori e confermando la poca comprensione del gesto appena compiuto. Un paio di anni dopo, il team della comunicazione dell’E3 ha trovato ispirazione dall’accaduto, sorvolando sul fatto che si trattasse di un episodio di violenza sessuale e di sessismo allo stato puro. L’edizione di quell’anno aveva il seguente slogan che, giustamente, fece infuriare molti: “Who squeezes them in Harelbeke?”. Quando si dice un colpo di genio!

C’è da sorprendersi, dunque, se quest’anno sono stati costretti a ritirare una vignetta omofoba che vedeva protagonista Wout van Aert e che non ho alcuna intenzione di descrivere? Non andatevela a cercare, piuttosto userei quel tempo per riflettere su come l’indignazione per entrambi i fatti si sia esaurita nel giro di poco. Non ci sono stati, per quanto io sappia, grandi cambiamenti nel contrastare il sessismo nel mondo del ciclismo e il silenzio di molti, di troppi pesa come un macigno. Tra nomi e momenti di poca intelligenza che si susseguivano, i ciclisti belgi hanno scritto la storia dell’E3: Armand Desmet fu il primo ad apporre la propria firma, vincendone la prima edizione, mentre qualche anno più tardi il connazionale Rik Van Looy non si accontentò di vincerne soltanto una, ma arrivò alla bellezza di 4 vittorie. Chissà se Van Looy ha guardato l’edizione del 2012 in cui un altro belga, Tom Boonen, ne batteva il record vincendo l’E3 per la quinta volta. A guardare la lista dei vincitori, è abbastanza evidente che i belgi in questa gara ci tengono a non sfigurare, ma negli anni altri nomi di una certa caratura hanno trovato spazio per le loro prodezze, primi fra tutti lo svizzero Fabian Cancellara e l’olandese Jan Raas. Compaiono anche bandierine tricolori nell’elenco per ricordare le vittorie di Guido Bontempi (1988), Mario Cipollini (1993), Dario Pieri (2002) e Filippo Pozzato (2009).

E3 Saxo Classic 2024: tifosi di out van Aert - Foto Ivan Benedetto/SprintCyclingAgency©2024

Anche quest’anno il menù, nonché percorso, prevedeva 207,85 chilometri di stradine strette di campagna, puro pavè belga e soprattutto muri, moltissimi muri. Diciassette, per la precisione, di cui almeno tre da tenere sott’occhio: il Taaienberg, il Paterberg e l’Oude Kwaremont. Al passaggio sul primo mi è stato consigliato di essere certa di trovarmi davanti ad un televisore o un computer che trasmettesse la gara, anche in caso di un impellente bisogno di andare in bagno o una catastrofe in corso nelle vicinanze. All’E3 se deve succedere qualcosa, succede lì. Gli altri due, invece, sono l’antipasto, anche se nel senso opposto, di qualcosa di più grande, che arriverà il giorno di Pasqua. Proprio per questo motivo e per la tendenza ad usare la gara come occasione di test per quello vero, c’è chi la chiama il piccolo Giro delle Fiandre. Il Paterberg, comunque, poco prima della gara non ha fatto passare dei giorni sereni all’organizzazione: un cedimento ha messo in dubbio per un attimo la possibilità che l’E3 potesse passare da lì. C’era ovviamente un piano B, ma 300mila euro di lavori finiti appena in tempo hanno evitato di mandare in frantumi i cuori di moltissimi appassionati di ciclismo. Compreso il mio, che temeva già di vedere un E3 e un Giro delle Fiandre in versione geneticamente modificata.

La lista partenti di questa edizione era bella ed interessante quanto il percorso, ma la verità è che non vedevo l’ora di assistere al primo incontro su strada per questa stagione tra Wout van Aert e la maglia iridata, Mathieu van der Poel. Il belga della Visma | Lease A Bike ha conquistato la corsa per due anni di fila e probabilmente sognava di raggiungere Cancellara e Raas agguantando una terza vittoria, per giunta consecutiva, dopo un periodo in altura. L’olandese, invece, che non è andato mai meglio del secondo posto della scorsa edizione, ai microfoni, prima della gara, quasi si è nascosto: poco importa che mi abbia portato sul ciglio della poltrona per un’ora durante la fase finale della Milano-Sanremo, ha detto di avere ancora bisogno di qualche altra gara su strada per trovare la sua forma migliore. Bisogna dire che non è che poi un podio sia fatto solo da due gradini e c’erano effettivamente altri nomi interessanti che mi incuriosivano: i due Visma | LAB, Matteo Jorgenson, vincitore della Parigi-Nizza, e Jan Tratnik, primo a tagliare il traguardo alla Omloop Het Nieuwsblad; Alberto Bettiol della EF EasyPost in una forma stellare a detta della primavera italiana: 1° alla Milano Torino, 5° alla Milano-Sanremo; Matej Mohorič della Bahrain-Victorious, con cui consiglierei di non competere in una gara di un giorno; Mads Pedersen della Lidl-Trek con la testa alla prima Monumento da vincere, ma le gambe comunque da allenare sul pavè belga e un compagno di squadra altrettanto interessante come Jasper Stuyven. Perché poi non sperare in Julian “Loulou” Alaphilippe o Gianni Moscon della Soudal Quick Step? Avrete capito che ci sono dei pro e contro nell’essere dei novellini in questo sport: ci si ferma spesso solo ai grandi nomi, leggendo le liste partenti, ma in compenso si ha grandissima fiducia nei miracoli.

E3 Saxo Classic 2024 - il gruppo a tutta - Foto Nico Vereecken/PN/SprintCyclingAgency©2024

Oramai ho metabolizzato il fatto che la parte iniziale di tante gare nel calendario devo provare ad immaginarla, affidandomi alle dirette testuali di altri. Nell’attesa che iniziasse la diretta, avevo due finestre aperte sullo schermo: il già citato ProCyclingStats e Sporza, con gentile supporto del traduttore automatico di Google Chrome, un’esperienza che merita di essere vissuta anche solo per leggere “i diversi pacchi vengono nuovamente pinzati insieme” quando un tentativo di fuga viene riassorbito dal gruppo. Non la potevo vedere, ma la gara intanto partiva e per nulla piano, perchè il tachimetro ha superato da subito i 60 km/h. Non stavano pedalando da molto quando è arrivata la notizia di una caduta: ero preparata al fatto che l’E3 mi avrebbe colpito per numero di abbandoni, ma appena è comparso il nome di Alberto Bettiol tra gli otto coinvolti avrei preferito sinceramente leggere altro. Speravo che fatto un Giro delle Fiandre se ne potesse fare un altro quest’anno e ci spero ancora. Ma se inizialmente è stato tra i fortunati che sono tornati in sella, anche lui si è dovuto ritirare a poco più di 70 chilometri dalla fine. Ha raccontato dopo la gara di avere un bell’ematoma sul fianco destro e di aver battuto la cresta iliaca: dovrà fare dei controlli e a noi non rimane che incrociare le dita. È andata peggio a Per Strand Hagenes della Visma Lease A Bike, che era partito al posto di un malaticcio Laporte, e Christophe Noppe della Cofidis, portati via in ambulanza.

E3 Saxo Classic 2024 - la caduta che ha coinvolto, tra gli altri, Alberto Bettiol - Foto Nico Vereecken/PN/SprintCyclingAgency©2024

A riaccendermi ci è riuscito, a 150 chilometri dalla fine, un bel gruppetto piuttosto giovane composto da Emil Herzog, Lorenzo Milesi e Jannik Steimle. Dal peloton, che aveva già più di 20 secondi di ritardo, si sono staccati anche Sander De Pestel, Remi Cavagna, Ivo Oliveira, Jonas Abrahamsen e Jelle Vermoote per andare a riprenderli. Habemus fugam! Ovviamente è arrivata a mettercisi di mezzo anche una leggera pioggia, mentre le strade hanno continuato a rimpicciolirsi: in gruppo non si stava in più di quattro per fila e bastava un minimo singhiozzo per far fermare e ripartire quelli dietro. Quando Moscon ha cominciato a mettersi a tirare come un forsennato, il gruppo ha cominciato ad assomigliare ad un puzzle: i ciclisti erano come pezzi buttati, senza una particolare forma, su un tavolo di asfalto e pavè in attesa di trovare il posto giusto per sognare in grande. Lo sarebbero sembrati ancora di più pochi attimi dopo, perché la maglia iridata aveva deciso di dare la prima accelerata della giornata sul Taaienberg. Mancavano 79,7 chilometri dalla fine e subito mi sono chiesta se non stesse pensando quasi di emulare Pogačar alle Strade Bianche. La differenza tra i due è stata che per Mathieu quella piccola fuga è durata il tempo di rendersi conto che non era il momento giusto, che rischiava di trasformarsi in uno spreco di energie magari utili più tardi. Sul Boigneberg, van der Poel, infatti, ci ha riprovato di nuovo, ma è stato sullo Stationberg che è riuscito a prendere più spazio, seppure con van Aert già subito alla sua ruota. Il gruppo di testa, che si era ben difeso inizialmente da quello che succedeva dietro, ha cessato di esistere. Ce n’era uno nuovo, all’interno del quale il belga e l’olandese continuavano a studiarsi.

E3 Saxo Classic 2024 - l'attacco di van der Poel sul Taaienberg - Foto Nico Vereecken/PN/SprintCyclingAgency©2024

È stato il Paterberg a decidere da che parte dovesse pendere questo scontro tra titani: van der Poel è partito, inconsapevole ancora che il quinto tentativo sarebbe stato quello decisivo. Per non lasciarlo andare via, infatti, van Aert ha rischiato ed è caduto. Desiderare troppo la vittoria delle volte è il modo migliore per perderla. Il belga comunque è riuscito a rialzarsi e tornare in sella, ma l’olandese nel frattempo ha preso lo spazio che stava cercando già da decine di chilometri. È diventata improvvisamente una caccia all’uomo: ogni metro, ogni chilometro era una chance per van Aert di rosicchiare secondi. Si è schiacciato sulla bici, ha aumentato la frequenza di pedalata, ha deciso di dare tutto per rimediare all’errore. Van der Poel, nel frattempo, fendeva gruppi di persone che un po’ lo applaudivano, un po’ lo fischiavano. Eravamo pur sempre in Belgio e la gente del luogo, tra cui anche un Eli Iserbyt in incognito, ma nemmeno troppo, preferiva incitare l’altro, non lui. Ogni tanto, girandosi, vedeva ancora van Aert. Data la velocità a cui stava andando il belga, chissà se ha cominciato ad immaginare di essere in una crono non tanto contro il tempo, ma contro l’alieno in maglia bianca davanti a sé. Sul Karnemelkbeekstraat si è infranto ogni sogno del predatore di riacciuffare la preda, scappata dalla sua morsa ancora viva: mentre sfrecciava davanti alla celebre macelleria Van de Walle, Van der Poel aveva ripreso i secondi persi e aumentato il distacco. Il belga aveva capito che era arrivato il momento di gettare la spugna, ancora una volta doveva accontentarsi di stare su un gradino più basso, ma quale? Perchè i giochi non erano ancora chiusi e dietro Jorgenson, Girmay, Narvaez, Stuyven e Wellens si avvicinavano pericolosamente a un van Aert sempre più sfinito. È stato il connazionale della Lidl-Trek, con una pedalata molto più fluida, a riprenderlo. Davanti, a poco più di un chilometro dalla fine, van der Poel si è girato verso l’ammiraglia e ha cominciato ad esultare, alzando un pugnetto in aria. Poi, a pochi metri dal traguardo, si è alzato sui pedali e ha salutato militarmente il pubblico belga, sé stesso e un’altra prestazione spettacolare. È stato lui il primo a tagliare il traguardo di Harelbeke, a sancire una nuova vittoria in una gara di un giorno dopo la SUPER 8 Classic dello scorso anno. Nemmeno Cancellara nel 2013 aveva pedalato da solo così tanto: lo svizzero li aveva staccati tutti a 35 chilometri dalla fine, van der Poel a 43,7. È stato il terzo campione del mondo a vincere l’E3, dopo Jan Raas (1980) e Tom Boonen (2006), il quinto olandese a portarne a casa la vittoria. Van Aert è arrivato quasi due minuti dopo e, a testa bassa, ha lasciato passare anche Stuyven a pochi metri dal traguardo.

Poco prima della premiazione è sembrato di vedere una scena più o meno già vista: nel dietro le quinte non volava una mosca tra Stuyven, van Aert e van der Poel, un po’ come non volava sul divanetto alla fine della scorsa edizione della Milano-Sanremo tra Ganna e i due soliti noti. L’olandese, in compenso, ha provato a inimicarsi ulteriormente il popolo belga, quando ha deciso di non bere nemmeno un sorso del bel bicchierone di birra, che, da tradizione, viene dato ai fortunati finiti sul podio. Neanche una goccia ne è stata comunque sprecata, per gentile concessione di Mathieu nei confronti di un piccolo gruppo di fan che si passava con felicità il liquido bottino. Subito dopo la gara, van Aert ha detto di essersi sentito benissimo, lo aveva capito dalla facilità con cui stava alla ruota dell’olandese. Tutto è stato perfetto fino alla caduta sul Paterberg, che in un secondo momento, a mente lucida, ha valutato come un errore decisamente stupido. Van der Poel è stato, invece, sorpreso da sé stesso, ha ammesso che un livello così alto in una classica non lo aveva mai raggiunto, l’unica cosa che gli si avvicinava forse era la gara dei Mondiali di Glasgow. In pochi hanno il privilegio di tirare fuori paragoni del genere e lui è sicuramente uno di questi.

E3 Saxo Classic 2024 - la generosità di Mathieu Van Der Poel - Foto Ivan Benedetto/SprintCyclingAgency©2024

Vi evito l’elenco di tutti quelli che quel traguardo non lo hanno tagliato: come immaginavo, è un numero spropositato a cui dovrò abituarmi in queste folli gare fiamminghe. In compenso, nella lista di quelli che ce l’hanno fatta, ho trovato un po’ di cose interessanti: per l’Italia c’è stato un bellissimo nono posto di Vincenzo Albanese, ma meritano una menzione anche Luca Mozzato (21esimo) e Matteo Trentin (23esimo); il quinto posto di Matteo Jorgenson aggiunge sostanza alla mia tesi che una volta diventati calabroni, si acquistano dei superpoteri in sella ad una bici; difficile, invece, non essere curiosi di scoprire di più su cosa ne sarà la stagione di Oier Lazkano dopo la bella prestazione all’E3, confermata anche da José de Cauwer di Sporza che lo ha definito un vero “Flandrien”; mentre è chiaro che la Lidl-Trek quest’anno ha decisamente il coltello tra i denti. Ovviamente non me ne vogliano gli altri corridori sopravvissuti, prometto di mettermi in pari con le moltitudini di storie che il peloton di quest’anno contiene.  Mi è dispiaciuto, piuttosto, non essere riuscita a vedere le donne divertirsi in questa gara: ai primi di gennaio gli organizzatori dell’E3 hanno annunciato che non si sarebbe tenuta la sua versione femminile, ovvero la Leiedal Koerse. I motivi sono due: un po’ c’entra il calendario, che è diventato abbastanza pieno e ha messo in difficoltà le squadre, non in grado per struttura a coprire più corse contemporaneamente; un po’ c’entrano i soldi, perchè a quanto pare l’organizzazione non ha raccolto abbastanza dagli sponsor. I costi sono aumentati e ovviamente ad essere stata tagliata è la terza edizione della giovane classica femminile. In compenso, quando sono tornata a respirare di nuovo, dopo diversi chilometri e minuti in apnea, dopo classifiche e scrolling compulsivo, mi è sembrato di essere passata come i corridori attraverso la centrifuga del pavè fiammingo. Avevo i muscoli ammaccati dalla tensione, come se assieme a van Aert, alla base del Paterberg, fossi caduta anche io. Ho cercato di levarmi di dosso i tipici “se” e “ma” che la mia mente aveva cominciato a generare nel momento in cui avevo visto la ruota anteriore del belga sancire la fine di ogni speranza di una volata a due fino al traguardo. Sui social media erano tutti d’accordo: homo faber ipsius fortunae ancora una volta. Ma finchè c’è un uomo che cade, si rialza e continua a pedalare, il finale di una gara non è mai del tutto scritto. All’E3 Saxo Bank Classic di quest’anno è andata così, ma la Settimana Santa è appena iniziata. Santifichiamo le feste, santifichiamo i vincitori, santifichiamo gli sconfitti che non smettono mai di provarci.

 


10 nomi da seguire al Giro delle Fiandre

Pasqua, Natale, Ferragosto, compleanno, Capodanno, tutte le feste in un giorno solo: è il Giro delle Fiandre, la Ronde van Vlaanderen, la corsa delle corse. L’esame finale: chi vince qui, e non importa il come, ha qualcosa di speciale.

Muri, stradine, lunghi rettilinei improvvisi, volate per stare davanti, esplosione di watt, attacchi da lontano per anticipare e portare a casa il risultato. Bisogna avere gambe adatte alla salita, cuore e polmoni per il cambio di ritmo, si deve sapere pedalare leggeri ma decisi sulle pietre; bisogna guidare a oltranza per ore e ore. Non c'è nulla, a parte la Roubaix, che ti finisca e definisca più di questa corsa.

Il fascino del Belgio, poi, della gente per strada, è magnetico: per loro è una giornata di festa come solo la Roubaix - che a sentire loro è una corsa più belga che francese - sa esserlo.

E per questa grande festa di paese, che si trasforma in evento internazionale, abbiamo scelto dieci nomi, lasciando da parte il grande favorito, van der Poel e il principale rivale, Pedersen, tra i possibili candidati al successo, perché vogliamo tenere conto solo in parte delle contusioni subite dal danese nella caduta di mercoledì nella discesa prima di Kanarieberg alla Dwars door Vlaanderen, in un incidente che ha coinvolto, tra gli altri, van Aert - lui invece si è rotto clavicola, sterno e costole, mentre a noi si è spezzato il cuore. Sentirlo piangere, leggere il bollettino medico, sapere che salterà le corse per le quali ha sacrificato una buona parte di primavera ciclistica fa ancora male, ma va così. Sport meraviglioso, sport di merda e non smetteremo mai di dirlo.

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Dopo la breve, ma doverosa premessa: ecco i dieci nomi da seguire al Giro delle Fiandre 2024.

ALBERTO BETTIOL

Dwars door Vlaanderen - A travers la Flandre 2024 -  lo scatto di Alberto Bettiol sul Nokereberg - Foto Tomas Sisk/PN/SprintCyclingAgency©2024

Un Giro delle Fiandre lo ha già vinto, la forma sembra quella giusta, forse la migliore di sempre e facciamo finta che quel finale alla Dwars door Vlaanderen non sia mai esistito, oppure prendiamo come spunto solo una parte: l’attacco sul Nokereberg ha fatto paura, ha emozionato, ha ricordato proprio quella volta lì al Fiandre. Poi sono arrivati quei crampi che già lo avevano estromesso dalla lotta per il successo a Tokyo 2021, ma noi, per domenica, inguaribili ottimisti, ci crediamo lo stesso.

Partecipazioni: 7
Miglior risultato: 1° nel 2019
Nel 2023: -

MATTEO JORGENSON

Dwars door Vlaanderen - A travers la Flandre 2024 - l'arrivo vittorioso di Matteo Jorgenson - Foto Nico Vereecken/PN/SprintCyclingAgency©2024

Ancora prima di vincere la Dwars door Vlaanderen pochi giorni fa, ci impressionava per leggerezza sul pavé. Il suo essere così dinamico è una danza espressa con facilità muovendosi da un attacco all’altro. La potenza, il tempismo, con cui ha lanciato l’azione finale ha fatto capire una-sola-cosa-una: domenica al Giro delle Fiandre potrebbe essere il vero rivale di Mathieu van der Poel. Sarà capitano, quasi unico, di una squadra piombata nella crisi tra cadute e malanni, ma ciò non gli peserà, perché sta troppo bene.

Partecipazioni: 1
Miglior risultato: 9° nel 2023
Nel 2023: 9°

OIER LAZKANO

Ronde van Vlaanderen 2023 - Oier Lazkano in azione  - Foto Luca Bettini/SprintCyclingAgency©2023

Tra assenze programmate oppure causate da cadute e malanni si liberano posti in alto e Oier Lazkano è uno di quelli che dentro al gotha dei flandriens ha tutta l'intenzione di entrarci dalla porta principale. Erede di quella che sembrava un eccezione alla regola, ovvero uno spagnolo nelle Fiandre, Lazkano incarna in modo perfetto ciò che è un flahute: ha tigna, passo, ha coraggio, gli piace giocare d’anticipo - e in queste corse paga - sembra cresciuto per guidare forte sulle pietre e domenica punta a un piazzamento nei dieci, anche se finora, nelle corse sopra i 230/250 km non ha raccolto alcunché.

Partecipazioni: 1
Miglior risultato: DNF nel 2023

FRED WRIGHT

Ronde van Vlaanderen 2023 - Fred Wright, Kasper Asgreen, Wout van Aert e Stefan Küng - Foto Luca Bettini/SprintCyclingAgency©2023

Nascosto e in silenzio, Fred Wright si avvicina con una forma in netta crescita a quella che è un po’ la sua gara per definizione. Limando può recuperare chilometro dopo chilometro e poi cercare il piazzamento grazie allo spunto veloce. Le assenze che caratterizzeranno questo Fiandre un po’ monco permettono a lui, alla sua squadra e forse soprattutto al suo capitano Mohorič, di ambire a un posto sul podio.

Partecipazioni: 4
Miglior risultato: 7° nel 2022
Nel 2023: 8°

TOMS SKUJIŅŠ

Tre Valli Varesine 2018 - Toms Skujins dopo il mio importante successo in carriera - photo Dario Belingheri/BettiniPhoto©2018

Anche senza cadute e infortuni avrebbe scalato le gerarchie in casa Lidl-Trek in una corsa lunga e difficile come il Giro delle Fiandre. È una garanzia e dal 2023 più le corse sono dure e più sale di livello, guadagna posizioni. Sulle salite brevi va su che è una meraviglia, sui muri si difende, fermo non è fermo, si butta all’attacco: occhio perché potrebbe essere la sorpresa di questa corsa.

Partecipazioni: 3
Miglior risultato: 55° nel 2016
Nel 2023: -

STEFAN KÜNG

Dwars door Vlaanderen 2023 - Stefan Küng - Foto Peter De Voecht/PN/SprintCyclingAgency©2023

Storico stagionale nelle corse in Belgio che fa ben sperare. Storico al Fiandre e assenze al via che ci fanno dire come, sulla carta, Stefan Küng si candidi con autorevolezza a un posto sul podio. Certo, in qualunque situazione si trovi, dovrà arrivare da solo perché in volata parte battuto da tanti corridori, ma se c’è uno, fondista d'eccezione e questa è corsa per fondisti, che cercherà corsa dura e d’attacco, quello è lo svizzero. Di fianco avrà una squadra che lo potrà supportare in maniera degna, soprattutto Madouas, uno che a oggi non ha dato quei segnali tali da inserirlo fra i nomi da seguire, ma che non ci stupiremmo di vederlo salire di colpi proprio nel giorno di Pasqua.

Partecipazioni: 8
Miglior risultato: 5° nel 2022
Nel 2023: 6°

TIM WELLENS

E3 Saxo Classic 2024 - Tim Wellens guida l'inseguimento del gruppo sull'Oude Kwaremont - Foto Ivan Benedetto/SprintCyclingAgency©2024

Anche lui quando si tratta di fare risultato in corse sopra i 230/250 km ha sempre mostrato il fianco, se escludiamo qualche eccezione e in più con il Giro delle Fiandre ha un rapporto controverso conclusosi nel 2023 con una brutta caduta che gli costò mesi di gare. Però sta bene, sul passo va forte, sui muri si difende e l’UAE senza Pogačar punta su di lui - oltre che su Politt, Hirschi e Bjerg, ma in seconda battuta. Squadra a cui forse manca quel capitano capace di cogliere il risultato e quindi l’occasione per le seconde punte è davvero ghiotta.

Partecipazioni: 5
Miglior risultato: 25° nel 2021
Nel 2023: DNF

HUGO PAGE

Binche - Chimay - Binche 2023 - Hugo Page e  Casper Pedersen - Foto Vincent Kalut/PN/SprintCyclingAgency©2023

È il nome più fuori dai radar di tutto l’elenco, ma è un corridore che sta andando davvero forte. Sarà all’esordio in una grande classica così lunga e dura, ma sulle pietre e sui muri ha già dimostrato di pedalare molto bene e questa potrebbe essere, insieme alla Roubaix (alla quale punta il compagno di squadra Rex, altro nome da tenere d’occhio), la corsa perfetta per lui in futuro. Ora, non fraintendete: il suo è un nome da vedere in prospettiva, un corridore che se dovesse chiudere nei 20 domenica sarebbe un risultato eccezionale. Ma a noi i risultati eccezionali di questo genere piacciono parecchio.

Partecipazioni: -
Miglior risultato: -
Nel 2023: -

BEN TURNER

De Brabantse Pijl - La Fleche Brabanconne 2022 - Ben Turner - Foto Jan De Meuleneir/PN/SprintCyclingAgency©2022

Infine Ben Turner, per provare, insieme ai suoi due ancora più giovani compagni di squadra Tarling (2004) e Sheffield (2002), mentre Turner è un classe ‘99, a risollevare le sorti di una squadra, la Ineos Grenadiers, ancora a caccia del primo successo World Tour in questa stagione - dove per la verità le vittorie sono state soltanto due: il campionato nazionale ecuadoriano conquistato da Narvaez, altro assente di lusso di questo Fiandre e Tarling vincitore della crono al Gran Camino. Come da Page anche da Turner non ci aspettiamo la vittoria, nemmeno il podio, ma ci piacerebbe vedergli fare quello che gli riesce meglio, fare esplodere la corsa con un’azione delle sue e magari portare via un gruppetto di coraggiosi per anticipare i pretendenti al successo finale. Le gambe sembrano girare bene, ma non è detto che la Ineos la pensi alla nostra stessa maniera riguardo il suo ruolo.

Partecipazioni: 2
Miglior risultato: 35° nel 2022
Nel 2023: DNF

LA GRIGLIA DI ALVENTO

⭐⭐⭐⭐⭐Van der Poel
⭐⭐⭐⭐Jorgenson
⭐⭐⭐Pedersen M., Küng, Bettiol, Skuijns
⭐⭐Mohorič, Benoot, van Baarle, Wright, Lazkano
⭐ Matthews, Asgreen, Philipsen, Mozzato, Albanese, Madouas, Wellens, Politt, Bjerg, Abrahamsen, Tiller, Kristoff, Neilands, Strong, Turner, Sheffield, Rex L., Trentin, van Poppel D., Alaphilippe, Bissegger, Pithie, Campenaerts, Van Moer

IL PERCORSO


POP! Piverone-Oropa-Piverone

In occasione del lancio della prima edizione di POP (la pedalata Piverone-Oropa-Piverone, il nostro omaggio alla Liegi-Bastogne-Liegi) con partenza dalla nostra sede, dal nostro piccolo paese sulla Serra Morenica di Ivrea e passaggio dal mitico santuario di Oropa, arrivo della seconda tappa del Giro d'Italia, abbiamo preparato una serie di iniziative davvero interessanti.
Per prima cosa POP sarà il primo di una serie di percorsi che proporremo nel nostro territorio, quello che abbiamo ribattezzato alventoland, per evitare ogni connotazione territoriale e geografica tradizionale.
Si tratterà di percorsi permanenti, che si potranno pedalare pressoché tutto l'anno e che daranno diritto, a chi passerà dalla nostra sede, a una serie di gadget.

Per prima cosa gli stickers di POP, oggetto da collezione imperdibile. Abbiamo scelto gli adesivi per bici di Sticker Mule per garantire durata nel tempo e brillantezza nei colori, per chi lo volesse utilizzare sulla bici o sul casco. Per averli basta suonare al campanello in Via Giovanni Flecchia, 58 a Piverone e mostrare la traccia Strava o komoot che certifica la pedalata sul percorso di POP.

Gli stessi sticker saranno distribuiti a tutti i partecipanti all'evento di lancio di questo percorso, previsto il 20 aprile e per i più veloci a iscriversi anche il cappellino POP/La Doyenne.
Ma di questo vi parleremo dettagliatamente nei prossimi giorni.


Il mondo di Piemontgravel

Ai tempi dell'università, a Torino, Tazio Chiomio prendeva la bicicletta e, nel fine settimana, si dirigeva verso la collina, dall'alto restava a guardare, mentre i minuti scorrevano e lui nemmeno se ne accorgeva: da un lato, a sinistra, la grande città, elegante, sabauda, dall'altro i piccoli paesini e la natura incontaminata. Un contrasto, tra realtà urbana e il verde, i colli che guardano verso i monti, che, a ripensarci, è la perfetta descrizione del Piemonte stesso, emblematico dell'essenza di un territorio, della sua varietà. Luigi, suo padre, può testimoniare lo stesso: da sempre appassionato di ciclismo, anche lui ha girato in lungo ed in largo la propria regione (e non solo) in sella: quando, ad esempio, arrivava alle partite di calcio del figlio con la bici sotto mano, ancora sporco dalla terra e sudato dal tragitto, e si sedeva così sugli spalti a seguire la gara, oppure quando, ogni volta in cui, in famiglia, si partiva per andare da qualche parte, era sempre l'ultimo ad arrivare, in sella ovviamente, mentre Tazio, la sorella e la madre erano in macchina, e il primo a ripartire per tornare a casa in orario. Proprio vivendo in questo modo, per più di trent'anni, si era reso conto di quanto il Piemonte avesse da raccontare, molto più di quanto generalmente non si creda. PiemontGravel nasce da questa intuizione, nel 2019, ispirandosi a realtà già affermate come il Tuscany Trail ed ereditando, all'inizio, i percorsi usuali della zona, molto tosti, sia a livello altimetrico, 1500 metri, che di chilometraggio, quattrocento, cinquecento, talvolta seicento chilometri. Successivamente prenderà la forma di quel che è oggi, anche se, come specifica Tazio, l'evoluzione è continua.

«PiemontGravel si rivolge soprattutto al mondo gravel, ma non solo, qualcuno partecipa con mtb, qualcuno con bici da strada. Si corre su sentieri variegati, simili alle strade bianche, ma differenti, originali, direi. Abbiamo strade secondarie, single track, strade poco battute, lontane dal traffico, nel silenzio». Oltre le tracce ed i chilometri, c'è la potenzialità di una manifestazione che ha un dna importante e a cui Tazio vorrebbe dare una vocazione sempre più avventuriera, meno corsaiola, meno race, un evento, insomma, in cui, intorno alla bicicletta, possa ruotare tutta una serie di altre cose: la componente umana, le tradizioni di un luogo, la conoscenza della natura e del territorio. In fondo, anche Luigi ha sempre visto tutto questo nel girare dei pedali di una bicicletta, pur con un approccio differente: lui ed il figlio lavorano assieme, in uno studio di architettura, a Cavour, e ogni tanto ne parlano, oggi che, dopo che molti suoi amici, che lo aiutavano nell'organizzazione di PiemontGravel, hanno lasciato, Luigi ha chiesto al figlio di occuparsi in prima persona della gestione della manifestazione. «Immagino una sorta di transizione. Già all'università avevo vinto un concorso per il progetto di un modulo abitativo per cicloviaggiatori e camminatori, realizzato nel vercellese; così ho iniziato a pedalare in solitudine e ad assaporare tutto ciò che avevo intorno a me, mentre andavo incontro al vento». Il punto è proprio questo: bisognerebbe riuscire a godersi queste rincorse sui pedali, invece, spesso, non avviene.
L'immagine che Chiomio ci consegna è enigmatica: la testa bassa di alcuni ciclisti, a controllare la velocità, i chilometri percorsi, i watt sviluppati. «Il lato agonistico ci sta, assolutamente, ma non siamo professionisti e abbiamo un'enorme opportunità connessa alla bicicletta, un mezzo che, nell'arco di pochi giorni, permette di arrivare ovunque, di esplorare luoghi che non si erano mai visti o, per quanto, non si erano mai visti a quel ritmo, lento, ideale. Penso a quel signore che, lo scorso anno, ha concluso PiemontGravel dopo quattordici ore e 333 chilometri percorsi, con ben 12000 calorie consumate: quanto si è goduto ogni momento dopo l'arrivo? Di notte, come mi ha visto, mi ha subito detto: "Potrei mangiare dodici pizze adesso". Non è meraviglioso tutto questo?». Intanto avrà assaggiato il prosciutto di Cuneo, piuttosto che il vino Ceretto delle Langhe, abbondanti al traguardo, in una sorta di aperitivo, a raffigurare la territorialità, i prodotti del luogo. Dalle Langhe, forse la zona più conosciuta del Piemonte, nella progettazione dei percorsi ci si sposta, si allarga la prospettiva, fino ai piccoli paesini di campagna: oggetto di scoperta per chi viene dall'estero ma anche per i piemontesi che si sorprendono ogni volta.

La manifestazione inizia il venerdì pomeriggio, quest'anno il 5 aprile, con un briefing tecnico e qualche assaggio, e propone ai partecipanti quattro percorsi, fino al 2023 erano, invece, tre: il primo, da ottantadue chilometri ideale da percorrere in giornata esplorando le Langhe, gli altri maggiormente lunghi e variegati, tra collina, pianura, laghi, Prealpi. A dare il nome ad ogni traccia il numero dei chilometri, tranne la prima, il cosiddetto "111 sbagliato", un poco accorciato per permettere anche ai meno esperti di percorrerlo in giornata. Per il futuro sono tante le implementazioni che Tazio ha in mente, ma una radice deve restare salda: l'autenticità del viaggio. «Si parla di un evento bikepacking unsupported, qualcosa che si richiama al viaggio in solitudine, all'avventura. Bene, quando si pedala da soli non si ha una guida a indicarci la strada, non si hanno input esterni particolari. Si vede ciò che si vuol vedere e si va dove suggerisce l'istinto: noi non vogliamo imbrigliare questa libertà, desideriamo anzi lasciarla sfogare al massimo, perché ci piace, ci piace molto». Una libertà che è tale anche nel mezzo: la bici espone all'aria aperta, non rinchiude chi la guida in una struttura, nel frattempo permette di familiarizzare con la fatica: «Pensiamo a un figlio che gestisce un lavoro avviato perfettamente dai genitori e ad un ragazzo che, d'altra parte, costruisce passo passo la propria attività, con sacrificio, rinunce, certo, ma anche soddisfazioni. La fatica è il mezzo per raggiungere questa contentezza, questa serenità. Può trattarsi di un risultato finale, ma anche dei piccoli passi, delle tappe di un qualunque percorso, sui pedali o nella vita di ogni giorno».
Fino a quando PiemontGravel, da evento, importante per contribuire alla quotidianità della città, diventerà un percorso permanente, che potrà essere ancor più di sostegno, per il territorio e per la cultura del ciclismo e di un certo modo di intendere la bicicletta. Sì, il desiderio di Tazio Chiomio, dopo aver inserito la collina di Torino nel percorso, è proprio questo e sta già lavorando per realizzarlo.


Ancora Milano-Sanremo, giorni dopo

NOIA, ATTESA, FORTUNA

Milano Sanremo 2024 - 115th Edition - Pavia - Sanremo 288 km - 16/03/2024 - Michael Matthews (AUS - Team Jayco AlUla) - Jasper Philipsen (BEL - Alpecin - Deceuninck) - Tadej Pogacar (SLO - UAE Team Emirates) - Alberto Bettiol (ITA - EF Education - EasyPost) - Foto Ilario Biondi/SprintCyclingAgency©2024

Ogni anno va così: discuto, cavillo su cosa andrebbe fatto per cambiare "la Sanremo", mica uno stravolgimento, sia chiaro, inserire una salita tra Cipressa e Poggio sarebbe da provare, oppure indurire la seconda parte dopo l’inutile Turchino: ecco i due capisaldi del mio pensiero. Ogni anno va così: mi rendo conto di far parte di una minoranza che la pensa così, guardo la corsa, ugualmente e ci mancherebbe, me la godo, poi il finale è talmente folle che ore dopo ho ancora l’adrenalina a un livello da mandarmi quasi in tilt. Per certi versi non è la corsa giusta per smettere di fumare, ma è qualcosa che va molto vicino a procurarti problemi cardiaci.

“Hai visto?”, mi scrivono e io rispondo divertito ad alcuni messaggi sul telefono che si fanno gioco di me e della mia idea - agli slogan che distorcono la realtà non do molta importanza - comprendendo come, da un certo punto di vista, la corsa vada bene così, davvero, ma dall’altro restano i dubbi. Non riesco a togliermi l’idea che se il fascino della Milano-Sanremo risiede nell’incertezza e nella velocità finale, sostenere la retorica della “noia” è un argomento privo di buon senso. Mi sono sempre chiesto per quale motivo mi dovrei annoiare nel guardare una corsa di biciclette, semmai è l’attesa, quel repentino cambio di ritmo e facce che diventano smorfie, il climax che arriva pedalata dopo pedalata, ora in sella dopo ora insella, ecco è quello che nella Sanremo funziona. Ma il climax e i passi che lo portano a essere tale possono essere disegnati su un percorso capace di sfruttare altre risorse (Pompeiana, Manie, nei giorni abbiamo provato insieme ai nostri lettori a trovare dei rimedi, così per gioco) indurendo e selezionando ulteriormente il gruppo.

Tuttavia non resta che ammettere come quel finale mi renda pazzo, mi faccia amare e odiare al tempo stesso la corsa. Perché il suo apice spostato così avanti mi annebbia la vista, perché negli ultimi anni davanti abbiamo trovato i più forti a giocarsela e a volte per vincere ci vuole anche la fortuna, il momento. Prerogative dell'esistenza. Allo stesso tempo, però, la corsa mi lascia sempre un po’ di amaro in bocca, come quel film enfatizzato che ti piace, sì, ma non ti convincerà mai del tutto - ultimo esempio in ordine di tempo, Anatomia di una caduta, ma questo è tutto un altro discorso.

L’anno prossimo, in ogni caso, si ricomincia. E verso marzo inizierò a sostenere nuovamente quanto la Milano-Sanremo meriterebbe di stare al passo con i tempi, un po' di selezione in più, sia prima dei Capi che dopo la Cipressa, e così via, in continuo loop.

CRONACA DI UN DISASTRO ANNUNCIATO

Milano Sanremo 2024 - 115th Edition - Pavia - Sanremo 288 km - 16/03/2024 - Michael Matthews (AUS - Team Jayco AlUla) - Tadej Pogacar (SLO - UAE Team Emirates) - Foto POOL Fabio Ferrari/SprintCyclingAgency©2024

Quello dell’UAE Team Emirates, squadra che spesso e volentieri domina, ma altre volte riesce a ricreare spettacoli grotteschi mandando in scena spaccati di tattica grandguignolesca. Mica è una novità? Già successo e già commentato - e sottolineato - quest’anno, poi magari l’esito è stato positivo perché quando ti ritrovi con la squadra con maggiore talento (e talenti) è più facile vincere, ma che in UAE Team Emirates facciano spesso fatica a mettere vicino una tattica decente non è certo una cosa che si scopre alla Sanremo.

Non mi è piaciuto come hanno impostato la vigilia: le dichiarazioni di intenti e i titoloni: «Dobbiamo correre la Cipressa in meno di 9’, abbiamo gli uomini apposta per farlo». Alzi la mano chi non ha avuto il pensiero che queste parole sarebbero state un boomerang diretto sulla corsa degli emiratini. In soldoni: chi si è meravigliato di vedere una squadra sciolta al sole sui primi tornanti della Cipressa? Eppure quando non li vedevano tirare fino ai Capi abbiamo anche pensato: ecco che preparano le manovre per sfondare il muro del suono verso Costa Rainera, e invece… invece alcuni corridori della squadra di Matxin e Gianetti, vedi Hirschi, si sono dimostrati inadatti al ruolo disegnato su di loro ovvero dare una mano al proprio capitano tirando a fondo. Mancato Hirschi (e per la verità anche Ulissi, giornata no, ma ci può stare, Ulissi si è sempre dimostrato importante uomo squadra quando chiamato in causa), è crollato completamente il castello costruito da Matxin, Gianetti e Pogačar . Del Toro (esordiente, il più giovane al via, va ricordato) ha lavorato per due e finché lavorava per uno il ritmo era insostenibile per molti; quando ha dovuto raddoppiare il suo sforzo ormai nessuno si staccava più. Il resto poi è noto. Wellens, che si è dovuto risparmiare con un ritmo blando sulla Cipressa, sale sul palco con il tempismo giusto, a metà Poggio, il suo lead out ha permesso a Pogačar di scremare ulteriormente il gruppo, ma non quanto sarebbe bastato, quanto era nei piani. Per lo spettacolo, avere una squadra così forte che ogni tanto concede dal punto di vista tattico e per gli sbalzi di forma dei propri interpreti, in fondo, non è un male per la corsa e chi la segue.

MATHIEU VAN DER POEL - UOMO SQUADRA, UOMO SANREMO

Milano Sanremo 2024 - 115th Edition - Pavia - Sanremo 288 km - 16/03/2024 - Jasper Philipsen (BEL - Alpecin - Deceuninck) - Mathieu Van Der Poel (NED - Alpecin - Deceuninck) - Foto Ilario Biondi/SprintCyclingAgency©2024

Grandi uomini, grandi capitani. La presenza di Mathieu van der Poel è tanto ingombrante quanto il suo fascino colpisce spettatori e corridori. Ma non sono solo i risultati: il lavoro messo in atto in coppia con Jasper Philipsen, da un paio di stagioni, ha consentito (o comunque l’apporto dell’altro ha avuto il suo peso, mettiamola così) a van der Poel di vincere una Parigi-Roubaix, a Philipsen di vincere diverse tappe al Tour e pure una Milano-Sanremo. Che poi le gambe del velocista belga, unite a una particolare alchimia con questa corsa, girassero a mille e un po’ a sorpresa - fino a poche gare prima il belga non aveva certo impressionato, anzi, ma viene il dubbio si fosse persino nascosto e preparato bene - insomma che ci sia tanto di Philipsen è innegabile. Ha tenuto sul Poggio diventando improvvisamente spauracchio per tutti quando ci si è resi conto che la sagoma del corridore Alpecin non era quella di Kragh Andersen, ma la sua, diventando così l’uomo per il quale Mathieu van der Poel, campione del mondo e vincitore uscente, avrebbe lavorato. Anche in questo caso, in futuro, per un po' di sano dramma, sarebbe succoso una corsa in cui entrambi vogliono e possono vincere a tutti i costi. Magari alla Paris-Roubaix.

SEGNALITALIANI

Milano Sanremo 2024 - 115th Edition - Pavia - Sanremo 288 km - 16/03/2024 - Matteo Sobrero (ITA - BORA - hansgrohe) - Foto Luca Bettini/SprintCyclingAgency©2024

Molto incoraggianti, e se questa espressione esce dalla tastiera di chi come me non è mai tenero nel definire il momento del nostro ciclismo tendente al buio di mezzanotte, significa che lo sono stati davvero. Sobrero è arrivato a poche centinaia di metri dalla possibilità di salire sul podio dopo aver pedalato bene sulla Cipressa e brillato sul Poggio: ora una top ten in due corse adatte a lui come Brabante e Amstel - sempre che le corra - possono essere un obiettivo. Sul Poggio, dietro i due favoriti, i più brillanti sono parsi oltre a Sobrero, Bettiol, 5° posto finale, dai tempi del Fiandre che il toscano non arrivava così vicino a cogliere una grande classica di questo livello, e Ganna: un problema alla bici lo estromette dalla lotta finale e chissà che la sua presenza non c’avrebbe portato a scrivere un’altra storia fatta di scatti nel finale, visto che a muoversi, poi, ironia della sorte, sono stati il compagno di squadra Pidcock e l'amico e "cognato" Sobrero. Che Ganna abbia un conto aperto con questa corsa è innegabile. Non credo nelle chiusure di un cerchio soprattutto nello sport, non penso come ciò che venga tolto uno poi se lo possa riprendere, anzi, ma spero che Ganna abbia una fiducia maggiore di quella che personalmente ripongo nel destino. C'è poi Milan che si è attrezzato per dare una mano ai suoi, staccandosi sulla Cipressa, rientrando e tirando per un paio di km all’imbocco dell’ultima salita prima di Sanremo, in futuro da capitano potrà provarci; ci sono Trentin 21° e Albanese 24°, a proposito di corridori con un certo feeling con questa corsa, Battistella, 22°, in quello che forse è il momento migliore da quando è passato professionista (abbiamo ritrovato un potenziale ottimo corridore?), Velasco 25° e presenti nel 2° gruppo a 35’’, anche Aleotti 36° e Scaroni 38°.

Ma un paragrafo a parte lo merita il bravo De Pretto, 28°, secondo corridore più giovane al traguardo, meglio di lui solo Pithie, classe 2002 anche il neozelandese, che chiude al 15° posto. In un ordine d’arrivo che ha visto solo 5 corridori nati dal 2000 in poi nei primi 41, perché è vero che il ciclismo sta diventando uno sport per giovani, ma alla Sanremo, dopo oltre sei ore di corsa, servono qualità che si migliorano col tempo.

Infine ultima menzione per Davide Bais, ormai specialista delle fughe, corridore che pare quasi di un tempo che non c'è più e che in questa maniera, la fuga che all'apparenza non ha speranza, ha conquistato al Giro d'Italia la sua unica vittoria in carriera. È il protagonista della fuga di giornata, ma non solo, una volta ripresi sulla Cipressa lui e i suoi compagni d'avventura, non contento, imperterrito, ci riprova in vista del Poggio.


Questionario cicloproustiano di Mirco Maestri

Il tratto principale del tuo carattere?
Sincero, altruista, determinato.

Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Sincerità, lealtà.

Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
Solarità, complicità.

Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
Presenza e supporto (reciproco).

Il tuo peggior difetto?
Essere sincero.

Il tuo hobby o passatempo preferito?
Videogame.

Cosa sogni per la tua felicità?
Che la famiglia stia bene e che io riesca a contribuire al progetto della squadra.

Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
Perdere qualcuno che amo.

Cosa vorresti essere?
Goku.

In che paese/nazione vorresti vivere?
Italia.

Il tuo colore preferito?
Blu.

Il tuo animale preferito?
Gatto.

Il tuo scrittore preferito?
Akira Toriyama (fumettista).

Il tuo film preferito?
Forrest Gump.

Il tuo musicista o gruppo preferito?
Gli 883.

Il tuo corridore preferito?
Peter Sagan.

Un eroe nella tua vita reale?
Javier Zanetti.

Una tua eroina nella vita reale?
Jennifer Aniston.

Il tuo nome preferito?
Paperino.

Cosa detesti?
Spinaci.

Un personaggio della storia che odi più di tutti?
Hitler.

L’impresa storica che ammiri di più?
L'Impero Romano.

L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Colbrelli alla Roubaix.

Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Giro d'Italia.

Un dono che vorresti avere?
200 watt in più.

Come ti senti attualmente?
Bene, ma con l'idea di migliorarmi.

Lascia scritto il tuo motto della vita:
"Insisti e resisti che raggiungi e conquisti".