Meliconi mette ordine in garage
Sarà perché a Bologna e dintorni non mancano le biciclette e, come ovunque, anche lì cercano di non farle cadere sul pavimento quando stanno a riposo, fatto sta che proprio in Emilia hanno ideato la più completa gamma di accessori salvaspazio per il mondo bike. E chi se non la Meliconi di Granarolo poteva fornire una risposta intelligente ad un problema di tutti i giorni? Alzi la mano (se è over 40) chi non ricorda lo spot TV del ‘guscio salva-telecomando’ che rimbalza. E dopo sono entrati nelle nostre case con i robusti (ma discreti) bracci e supporti di sostegno per le prime TV Led.
MyBike, questo il nome della nuova linea di supporti universali per appendere, sorreggere e prendersi cura di qualsiasi tipologia di bicicletta. I prodotti Meliconi sono 100% Made in Italy (perché tutto quanto esce dalla fabbrica di Cadriano) e con bollino TUV (Istituto Internazionale che certifica la qualità e la sicurezza per i consumatori), ma questo non sarebbe sufficiente a farceli piacere: Meliconi progetta sempre con un occhio all’eleganza del design. Perché la durata nel tempo e lo stile sono i plus grazie ai quali le aziende nazionali riescono ad imporsi all’estero, e rivaleggiare con prodotti di robustezza inferiore provenienti da Paesi a basso costo di manodopera. La linea MyBike presenta ben 5 supporti per bici (più due per gli accessori), con soluzioni per tutte le tipologie, comprese le E-Bikes. Resistono a trazioni fino a 30 kg e sono dotati di protezioni in schiuma EVA, che evitano il contatto diretto con le componenti sensibili della bici.
Per chi ha a disposizione un garage stile hangar aeronautico, e vuole ammirare da ogni angolazione la propria due ruote nello stato per cui è nata, ovvero poggiata sugli pneumatici, è certamente da suggerire il supporto universale da terra: grazie al suo sistema intelligente di regolazione consente di posizionare qualunque tipologia di ruota e adattarsi perfettamente alla gomma, evitando il contatto con il cerchio. L’accessorio Meliconi è così cool e compatto che non sfigura nemmeno sul pavimento di casa, potendo parcheggiarci la bici. Costa 59.99 €.
Per i bikers che invece devono lottare quotidianamente per far convivere in garage l’automobile, gli attrezzi e gli scatoloni, la soluzione è il supporto universale per pedale, che permette di agganciare la bicicletta alla parete, senza sporcare il muro grazie ai tamponi forniti. Dimensioni super compatte: solo 14 cm la sporgenza dalla parete.Il prezzo è di 29.99 €.
E se vogliamo smetterla di inciampare nelle biciclette dei nostri bambini, esiste il supporto per ruota, da parete o da soffitto. Quando l’abbiamo visto abbiamo pensato alle bici dei bimbi, non per il peso che questo accessorio può reggere (sempre 30 kg), ma perché noi grandi, nerd della tecnica ciclistica, non dormiremmo la notte pensando al nostro cerchio ultraleggero, dai raggi regolati al micron, appeso come un prosciutto emiliano.
Ma esiste un’altra possibilità, sempre sfruttando un muro in mattoni, cemento o legno? Si esiste: è Il supporto per telaio da parete, facilmente inclinabile, che permette di adattarsi a diverse forme di telaio. Richiudibile a muro, permette di salvare spazio e non batterci la testa quando la bici non c’è. Prezzo € 99,99.
On top, da affiancare a tutte le versioni di supporti, oppure anche da solo se la bici poggia a terra, il sistema antifurto da parete, cioè una placca con anelli per incatenare la bici, ma con slitta copri viti per impedire lo smontaggio dal muro, che immaginiamo interessante per strutture ricettive tipo bike hotels e ostelli. Costa 39,99 €
Per chiudere, ecco un pezzo di design che strappa anche un sorriso: l’omino metallico, da avvitare alla parete, che regge il nostro casco, i guanti, le scarpe, tutta roba che dobbiamo sempre raccattare in giro per casa, brontolando come dei nonnetti, quando ci prende d’improvviso una voglia di randonnée. Prezzo € 29,90
“Siamo presenti sul territorio dal 1967 – ci dice durante il giro in azienda Lorenzo Meliconi, terza generazione al comando, dopo la scomparsa del fondatore Loris, nel 2020 – e accompagniamo nel quotidiano la vita di milioni di italiani, con intuizioni ed oggetti utili e funzionali.”
In effetti, al termine della visita al reparto produzione e al Centro Design, siamo un po’ rincuorati: nel bombardamento quotidiano di notizie così così sull’andazzo del Belpaese, l’aver incrociato queste 130 persone (ebbene sì, a tanto ammonta il personale qui in Emilia) che pensano e realizzano in Italia prodotti semplici ma intelligenti, ci lascia di buon umore e ci fa venir la voglia di una pedalata sui colli bolognesi, giusto giusto qua sopra.
info e E-commerce: www.meliconi.com
Articolo a cura di: Christian Bertolino
L’Italia che verrà: considerazioni sull’Europeo giovanile su pista.
Mentre sulle strade francesi Pogačar e Vingegaard animavano uno dei duelli più avvincenti degli ultimi anni, il circus del ciclismo su pista si è spostato in Portogallo per gli Europei under 23 e juniores. Con i mondiali multidisciplinari di Glasgow all’orizzonte (al Sir Chris Hoy Velodrome le prime medaglie si assegneranno il tre agosto), gli Europei giovanili di Anadia sono stati l’ultima prova generale per corridori promettenti e già competitivi tra gli élite come Tim Torn Teutenberg, Maike Van der Duin ed Emma Finucane, ma anche uno dei test più importanti della stagione per i corridori juniores, i quali non hanno molte occasioni di confrontarsi in pista con i pari età di tutta Europa.
Sulla veloce pista di Anadia, che da qualche anno è anche un centro UCI, sono stati gli azzurri a recitare il ruolo di protagonisti. La spedizione italiana è infatti tornata a casa con un bottino di ventidue medaglie, quattordici delle quali del metallo più prezioso. Ciò che fa più scalpore - e piacere - è che sei di questi quattordici ori arrivano dalle discipline veloci: velocità olimpica u23, keirin u23, sprint u23, chilometro u23, chilometro juniores e keirin juniores. Sono risultati che fanno ben sperare per il futuro, ma nulla avviene per caso. Infatti questi sono i primi frutti del lavoro iniziato da Ivan Quaranta ad inizio 2022, sintomo che prima di strutture e gare il movimento veloce italiano necessita di fiducia e investimenti da parte dei vertici federali. In particolare, gli azzurri hanno vinto tutte le discipline veloci nella categoria maschile under 23. Il terzetto della velocità olimpica, composto, quando è al completo, da Tugnolo, Bianchi e Predomo, ha fatto registrare un nuovo record italiano nella finale contro i Paesi Bassi, fermando il cronometro a 43.990, per la prima volta sotto il muro dei quarantaquattro secondi. Un tempo che tuttavia non assicurerà la qualificazione al secondo turno dei Mondiali, infatti gli azzurri avranno bisogno di una super qualifica a Glasgow per rientrare tra le prime otto compagini al mondo.
Una sfida difficile, ma non impossibile, soprattutto considerando il gran periodo di forma che sta attraversando Mattia Predomo, il quale ha fatto registrare uno straordinario 12.73 nel terzo e ultimo giro della velocità olimpica. Un tempo che vale la settima prestazione dell’anno sul giro finale e che ha rimediato ad un Bianchi ed un Tugnolo non brillantissimi. In particolare, Tugnolo, classe 2003 da Vigevano, quest’anno ha fatto registrare tempi molto lontani da quelli degli specialisti del lancio come Hoffman, Fielding, Van den Berg e il classe 2004 Spiegel. Il lombardo è giovane e pratica pista da poco (viene dalla bmx), ma non è da escludere la possibilità di vedere un terzetto differente ai blocchi di partenza del prossimo Mondiale. Nella velocità individuale, invece, Predomo ha dimostrato nuovamente di avere grandi abilità nell’uno contro uno, tuttavia il tempo fatto registrare in qualificazione dall’altoatesino non è dei migliori. Infatti, se la giovane promessa azzurra dovesse riconfermare il tempo di Anadia (9.996) a Glasgow, sarebbe tutt’altro che certo della qualificazione al primo turno. Un vero peccato dal momento che Predomo ha dimostrato più volte di poter battere al duello anche avversari molto più veloci di lui sui 200 metri lanciati: chiedetelo a Mikhail Yakovlev. Proprio per via della sua grande intelligenza e abilità in pista, Predomo partiva da favorito anche nel keirin, specialità in cui vanta una medaglia di legno agli europei élite. Tuttavia la scena gli è stata rubata dal campione uscente Matteo Bianchi, che grazie ad una grande rimonta è riuscito a battere al photofinish il greco Livanos e il neerlandese Van Loon, protetto di Harrie Lavreysen. Così Bianchi ha bissato l’oro conquistato nel chilometro da fermo, la sua gara per eccellenza, in cui ad Anadia ha fatto registrare un 1:00.283. Una prestazione che fa ben sperare in vista del Mondiale di specialità, in cui Bianchi se la dovrà vedere con Dörnbach, Landerneau, Xue e Martinez per un posto sul podio, considerando che Hoogland e Paul quest’anno sono più che mai irraggiungibili.
Nella stessa specialità, ma tra gli juniores, si è imposto Davide Stella davanti a Huysmans e Vogt. Il friulano classe 2006 ha potuto contare su una gran gamba, dimostrata anche dai successi nello scratch e nell’eliminazione. Il futuro di Stella è proprio nelle discipline di endurance, infatti il chilometro tra gli juniores non è ancora una gara da velocisti. Esattamente come Bianchi, anche Bertolini ha trionfato nel keirin, stavolta nella categoria donne juniores. La pisana, dopo un torneo di velocità individuale non eccelso, è riuscita a staccare tutte le avversarie nella finale del keirin sfruttando l’attacco lanciato dall’ucraina Slosharek a due giri e mezzo dalla conclusione.
Il più grande successo azzurro arriva però dal quartetto - che novità - maschile juniores. I ragazzi di Salvoldi hanno prima fatto registrare il record del mondo nel turno di qualificazione, per poi ritoccarlo in finale contro i britannici. Infatti Fiorin, Sierra, Giaimi e Favero hanno conquistato il titolo europeo fermando il cronometro dopo soli 3:53.980. Un tempo stratosferico, che qualche anno fa sarebbe valso una medaglia mondiale tra gli élite. Il precedente primato mondiale, fatto segnare nel 2019 dalla Germania di Heinrich, Buck-Gramcko, Keup e Wilksch, era di quasi cinque secondi più lento. Per questi quattro ragazzi, tutti classe 2005, le medaglie non sono finite lì. Sierra ha conquistato prima la corsa a punti e poi la madison con Fiorin, fedele compagno di americana, correndo con grande autorità. Giaimi invece ha fatto segnare un altro record del mondo, stavolta nell’inseguimento individuale. Il ligure, già campione del mondo nel quartetto lo scorso anno assieme agli stessi Favero e Fiorin ed a Delle Vedove e Raccagni Noviero, ha stabilito due primati mondiali nel giro di poche ore: prima 3:08.485, poi 3:07.596, abbassando il record del mondo di più di due secondi. Tuttavia la miglior prestazione di uno junior nell’inseguimento individuale rimane quella di Magnus Sheffield, che nel 2020 aveva fatto registrare uno straordinario 3:06.447 nel velodromo di Colorado Springs, a più di 1800 metri sul livello del mare. Un record, tuttavia, mai riconosciuto. Ora sta a Villa l’arduo compito di integrare nella rotazione del quartetto élite questi ragazzi, senza però dimenticarsi degli under 23 (Pinazzi, Olivo, Delle Vedove, Quaranta e Galli), che ad Anadia hanno segnato un 3:54.087 nella finale - persa - contro la Gran Bretagna di Charlton e Tarling.
Lo stesso risultato di Giaimi, ma senza primati mondiali, è arrivato anche per Federica Venturelli nella categoria juniores femminile. La talentuosa atleta multidisciplinare – già campionessa mondiale su pista, quarta agli ultimi Mondiali di ciclocross e neocampionessa italiana su strada – ha prima trascinato il quartetto azzurro (assieme a Toniolli, Siri e Milesi) al titolo europeo e ha poi bissato il successo nell’inseguimento individuale, battendo in finale la belga Hesters, neocampionessa europea di omnium ed eliminazione.
La spedizione azzurra torna a casa con la pancia piena, ma l’appuntamento più importante sarà tra due settimane a Glasgow, l’ultimo Campionato mondiale prima delle Olimpiadi di Parigi, decisivo per racimolare gli ultimi punti in chiave qualificazione e per confrontarsi con quelli che saranno gli avversari ai Giochi nel 2024. Dopodiché sarà fatto spazio alle nuove promettenti leve.
Articolo a cura di Tommaso Fontana
Foto in evidenza: Luca Giaimi - Sprint Cycling Agency
Il questionario cicloproustiano di Elena Cecchini
Il tratto principale del tuo carattere?
Determinata e testarda
Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
La gentilezza e l'ambizione
Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
La lealtà
Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
Il fatto che non capiscano nulla di ciclismo e che non contino la quantità del tempo trascorso assieme ma la qualità
Il tuo peggior difetto?
Uno solo è difficile, diciamo che sono molto lunatica e permalosa
Il tuo hobby o passatempo preferito?
Un film con Elia o una passeggiata con Attila
Cosa sogni per la tua felicità?
Una famiglia felice ed un lavoro stimolante
Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
Perdere una persona che amo
Cosa vorresti essere?
Una leonessa
In che paese/nazione vorresti vivere?
Domanda difficile, ma penso che non cambierei l'Italia per nessun'altra nazione al mondo
Il tuo colore preferito?
Bianco
Il tuo animale preferito?
Cane
Il tuo scrittore preferito?
Carlos Ruiz Zafón
Il tuo film preferito?
Inception
Il tuo musicista o gruppo preferito?
Se parliamo di artisti italiani, dico Emma. Se parliamo di gruppi, dico Coldplay
Il tuo corridore preferito?
Lizzie Deignan
Un eroe nella tua vita reale?
Mio papà
Una tua eroina nella vita reale?
Mia mamma
Il tuo nome preferito?
Athena
Cosa detesti?
Le ingiustizie e quando sono obbligata a fare qualcosa che non mi piace
Un personaggio della storia che odi più di tutti?
Adolf Hitler
L’impresa storica che ammiri di più?
La caduta del muro di Berlino
L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Elia Viviani che vince l'oro a Rio de Janeiro
Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Giro delle Fiandre
Un dono che vorresti avere?
Il teletrasporto
Come ti senti attualmente?
Lentamente in transizione, appagata di quello che ho e che sto facendo ma curiosa di testarmi in nuovi ambiti
Lascia scritto il tuo motto della vita
Tutto torna!
Il Gran Tour delle Colline Metallifere
Dai e dai il giorno è arrivato. L’idea sembra buona, il territorio e le istituzioni sono in sintonia, del resto i costi sono minimi e il vantaggio di tutti, potenzialmente, è grande, poi le Colline Metallifere sono fantastiche, un meraviglioso scenario di wilderness, storia, e miniere. Sì, perché il Parco Nazionale delle Colline Metallifere, oltre ad abbracciare una grande area coperta da boschi e macchie senza quasi soluzione di continuità, ingloba centri abitati di origine medievale, antichi castelli nei cui vicoli si respira ancora l’aria dei secoli passati. Il Parco nasce però per la sua storia mineraria e prima ancora per le sue eccezionalità geologiche e mineralogiche, ed è per questo che dal 2015 è stato eletto Geoparco dell’Unesco.
L'idea di un giro in bici, nella formula del brevetto, nasce dalla volontà del sottoscritto, appassionato ciclista nonché Guida Ambientale del Parco dalla sua nascita. Conoscenza del territorio, di ogni sentiero e strada, ma anche di tutte le emergenze del Parco creano il connubio perfetto: un percorso che sia divertente e che permetta di conoscere aspetti che altrimenti sarebbero difficili da scoprire, nascoste come sono nelle fitte macchie delle Colline Metallifere.
Ne parlo col mio gruppo ciclistico, i Free Biker Pedale Follonichese, sono tutti entusiasti, ci sono molti appassionati di gravel e tutti si prestano ad accompagnarmi nei giri di preparazione del percorso, con Mirko e Luca fissiamo le prime tappe e al tavolo del bar di Beba davanti ad un bicchiere di birra pianifichiamo il percorso, a grandi linee, poi lungo la strada si studierà eventuali modifiche.
La bici perfetta: la gravel, ma una mtb, assistita o no, va benissimo. Caricate per il bike packing, o con il bagaglio ridotto al minimo, vista la possibilità di dormire in uno degli accoglienti agriturismo di cui il territorio è ricco.
Infatti il giro è lungo, 250 km e 5000 m di dislivello, ed impone la sosta, ma questo non è un problema, vista l’ampia disponibilità di strutture ricettive che hanno aderito entusiaste al progetto. Soste che possono essere solo due per i più allenati ma che consiglio essere almeno tre, visto che non si tratta solo di pedalare ma di godere di tutte le magnificenze che il Parco ci mostra. Tradotto: si è sempre fermi a fotografare!
Il giro comincia da Follonica, non è il centro del Parco, ma è la località più facilmente raggiungibile, auto, treno o bus che sia. Città oggi turistica, ma dal passato straordinario di città-fabbrica, di fatto per secoli un recinto tra le paludi con dentro fonderie e camerotti, distendini e carbonili. Lasciamo Follonica su asfalto inoltrandoci verso l’interno verso la prima tappa, le miniere di Allume nel Parco di Montioni, ci arriva attraverso un single track, facile e divertente alla fine del quale si apre una parete di roccia biancastra, traforata da secoli di escavazioni. L’allume è un minerale usata in passato per la concia dei tessuti e per questo ricercatissimo tanto che interessò anche la sorella di Bonaparte, Elisa, che qui costruì addirittura uno stabilimento termale a suo uso e consumo. Posto il primo timbro sulla scheda del Brevetto presso la locale trattoria, ci si avvia su di una meravigliosa strada prima asfaltata quindi sterrata verso le alture delle Colline Metallifere.
In un paesaggio di seminativi e piccoli oliveti inframezzati a lembi di bosco si sale verso Montebamboli, famoso per aver dato l’illusione che questa zona, e non la Rift Valley africana, fosse la culla dell’umanità. Nell’800 nelle miniere di lignite di Montebamboli fu infatti scoperto un fossile di scimmia, che fece pensare ad un primo Ominide di ben 6 milioni di anni, battezzato subito Oreopithecus bambolii!
Passata la miniera inizia una salita arcigna, il fondo sterrato impone gomme con buon grip, dopo qualche centinaio di metri di fatica vera il pendio si addolcisce, ad un bivio si tiene la sinistra e si scende, ma nella migliore tradizione a discesa segue la salita, e questa si fa sentire! Tra sterro ed asfalto si comincia ad intravedere la prossima meta: Monterotondo Marittimo, annunciato dai vapori delle centrali geotermiche e delle Biancane.
Le Biancane! Una delle perle del Parco, una distesa di rocce calcinate dal calore e dagli acidi presenti nei vapori endogeni, che attraverso fratture naturali fuoriescono, creando un ambiente lunare, dantesco, infernale! Attraversare in bici queste lande fa un certo effetto, soprattutto in inverno quando il freddo crea un maggiore effetto condensa, e si pedala in una nube di vapori solforosi.
Passato Monterotondo e le Biancane ci aspetta un lungo tratto di asfalto, comunque piacevole in belle strade con poco traffico.
Dapprima tra pozzi e soffioni, poi sempre immersi nei boschi delle Colline Metallifere, tra le miniere piritifere di Niccioleta e della Stima. Si giunge così a Gerfalco, grazioso villaggio ai piedi delle Cornate, il monte più alto della zona. Sede in passato di importanti ricerche minerarie e di escavazioni del bel calcare rosso che caratterizza la cima delle Cornate. Volendo tramite una bella strada sterrata si può deviare verso podere Romano, per godere del panorama verso il mare e visitare cave e miniere seguendo le indicazioni del Parco. A Gerfalco oltre che per un ristoro temporaneo ed il timbro, volendo si può anche pernottare (Agriturismo Poggio alla Luna tel. 333/1226694.).
Abbiamo percorso circa 70 km e 800 m di dislivello, meno di un terzo del totale! Ora ci aspetta una meravigliosa strada bianca che dopo qualche strappo, duro, ci regala una lunga discesa regolare tra bei paesaggi e splendidi agriturismi per arrivare al borgo medievale di Travale. Breve ristoro e si riparte in salita, su asfalto per raggiungere in qualche km Montieri, la città dell’argento! Qui la tappa è d’obbligo: per mangiare, ottimi ristoranti, ma anche per dormire, io e Mirko, il mio compagno di avventura, ci siamo fermati al Podere di Rachele 349/0573303, ma la scelta è ampia.
Lasciamo Montieri di prima mattina, quassù anche in estate fa freschino, soprattutto al sorgere del sole, comunque una mantellina e via. Si prende la strada asfaltata in direzione di Follonica, regolare, poco traffico, pendenze minime, qualche km e si giunge in Loc. Fontalcinaldo, un borgo disabitato di un paio di case solamente, di lato, sulla sinistra, imbocchiamo una strada cementata, poche centinaia di metri ma pendenze oltre il 20%! Per fortuna dura poco, perché abbiamo ancora la colazione sullo stomaco e la salita dura non è il massimo per digerire! La strada continua, magnifica, sterrata, deserta, tra gli splendidi boschi delle Colline Metallifere, malgrado la quota non superi i 750 metri si trovano anche notevoli faggete con esemplari di tutto rispetto. La strada va seguita lungo la traccia principale per diversi chilometri di saliscendi mai troppo impegnativi, fino a che termina su di una strada asfaltata che seguita in discesa per un paio di chilometri ci porta a Niccioleta. Paese, come tanti nella zona, sorto per ospitare i minatori, dalla strada infatti è visibile il Pozzo Rostan della locale miniera di pirite, una delle più importanti della Maremma.
A Niccioleta è presente un Ostello (339/490251), proprio nei pressi della Miniera ed un piccolo bar dove fare uno spuntino, timbrare, e bersi un caffé. Lasciamo l’asfalto attraversando una zona di orti e con una stradina sterrata scendiamo in un’area dove importanti lavori di bonifica hanno rinaturalizzato una discarica di inerti di miniera, sulla cima della collina, quasi a dominare il paesaggio l’alto castello minerario del pozzo Rostan, continuando per la strada ora asfaltata si arriva in Breve a Pian dei Mucini. Sarebbe semplice raggiungere Massa Marittima con la strada asfaltata ma l’amore per il gravel ci spinge a cercare vie alternative e per giungere ai piedi della città abbiamo scelto un bel percorso tra boschi e prati. La capitale delle Colline Metallifere ci accoglie dopo una breve salita su asfalto. Consigliamo di perdersi tra gli splendidi vicoli e di immergersi nel medioevo tra splendidi palazzi e chiese monumentali indice di quanto fosse ricca Massa in epoca antica quando le miniere fornivano rame, argento, piombo e altri preziosi minerali.
Una bella strada asfaltata ci permette di scendere da Massa, siamo in una zona di antiche miniere, alcuni pozzi, recintati per la sicurezza, sono ancora visibili nella zona di Serrabottini che raggiungiamo attraverso una strada sterrata tra le macchie, la vicinanza dei pozzi si rivela dall’arrivo nella zona delle discariche: accumuli di minerali e rocce di scarto che venivano gettati nei pressi delle aree di prima cernita. Grandi accumuli ocracei dove non è difficile trovare piccoli campioni dei solfuri che hanno reso famose le Colline Metallifere. Il Lago dell’Accesa ci accoglie come una visione, dopo salite e polvere, un lago di origine carsica incastonato tra verdi colline. Le acque, debolmente termali, scaturiscono da sorgenti nei pressi della sponda occidentale, lontane da ogni fonte di inquinamento, sono sempre limpide e permettono, anche al ciclista, straordinari bagni refrigeranti. Anche gli etruschi non hanno saputo resistere al fascino del lago, al VI secolo aC risalgono infatti una serie di villaggi scavati dagli archeologi fiorentini alcuni anni fa, ancora oggi ben visibili grazie all'istituzione di un Parco archeologico dedicato.
Dopo la sosta obbligata al Lago, nei pressi si trova anche un bar ristorante “Giardino del Lago” aperto nella buona stagione e molto frequentato dai ciclisti della zona, si riparte con un tratto un po’ più tecnico, ma assolutamente imperdibile. Un suggestivo single track, con passaggio attraverso una passerella sul fiume Bruna, l’emissario del lago, ci porta ai Forni, area di antiche lavorazioni minerarie e quindi dopo aver attraversato delle vigne, di nuovo sulla strada asfaltata. Ora ci aspetta un trasferimento su strada sterrata, poco dislivello, diversi km, ma paesaggio notevole! Campagne, cipressi, antichi castelli, mulini e poderi… un aspetto tipico della Maremma toscana. Proprio un anello di cipressi fa da quinta al monumento alla strage nella miniera di Ribolla, nel 1954, 44 minatori morirono a seguito di un incendio devastante in galleria. Il monumento, molto suggestivo, si trova a poche centinaia di metri dal pozzo Camorra, epicentro dell’esplosione di grisou che coinvolse l’intera miniera. La strada sterrata ci porta fino a Ribolla, villaggio minerario fino al 1954, poi dopo la chiusura della miniera a seguito dell’incidente, tranquillo paese nelle piane ai piedi delle colline del Roccastradino.
Ora ci tocca la salita! Dopo tanta pianura si risale verso Roccastrada lungo un’antica strada doganale, si inizia con una bella strada scorrevole e senza forti pendenze, tra campagne e macchie, poi superato un bivio per un Centro di Meditazione (Sant Bani Ashram), la strada diventa più impegnativa con alcuni tratti di discreta pendenza. Un paio di Km e torniamo sull’asfalto direzione Roccatederighi, fantastico borgo arroccato su di una rupe di riolite, dalla quale si gode un paesaggio straordinario su tutta la Maremma costiera e su molte delle isole dell’Arcipelago Toscano. Dalla Rocca come è chiamata dai suoi abitanti si sale su sterrato verso Poggio della Miniera, come dice il nome, sede passata di estrazioni di minerali cupriferi, e quindi si compie un largo giro intorno al Sassoforte, antico vulcano, sulla cui cima è collocato un castello mai espugnato! La strada è immersa in boschi che sembra non abbiano mai fine, siamo ad una quota tale che oltre alla macchia si possono trovare anche piante di media montagna quali querce, castagni e aceri che in autunno regalano al ciclista un foliage di tutto rispetto. Tornati sull’asfalto eccoci di nuovo a Roccatederighi dalla quale parte la lunga discesa di Pereti, un lungo tratto di asfalto divertentissimo, prestando sempre attenzione alle, poche, auto che si possono trovare lungo strada.
Siamo così tornati a Ribolla, in zona si trovano agriturismi che possono soddisfare ogni esigenza di pernotto e di ristorazione.
Ci allontaniamo dalle colline per affrontare un tratto pianeggiante che ci conduce nel Comune di Gavorrano passando accanto a importanti vigneti e cantine di pregio. È la zona di notevoli necropoli etrusche scoperte da molti anni, ma solo recentemente valorizzate e visitabili in un pacchetto che comprende anche l'assaggio di vini in cantina. A Gavorrano, importante città mineraria, si arriva attraverso una bella salita sterrata, sono subito evidenti le tracce delle miniere: discariche di inerti, castelli di miniera, quello di Rigoloccio per esempio al centro di un’area rinaturalizzata di recente, ma soprattutto l’area mineraria di Pozzo Roma, dal quale fino al 1981 si sono estratte milioni di tonnellate di pirite. La miniera è quindi chiusa, come sono chiuse tutte le miniere delle Colline Metallifere, l’apertura del Parco Nazionale ha però permesso di tutelare le emergenze più significative e permetterne la visita, come per la Polveriera della Miniera, un percorso nel sottosuolo attrezzato per far capire come fosse aspra e piena di pericoli la vita del minatore, un percorso guidato suggestivo e di grande carico emotivo. (info 0566/843402).
Da Gavorrano breve tratto di asfalto e poi tanto sterro fin quasi al mare. Percorso ondulato con tratti a volte ripidi, ma immerso nelle splendide campagne e nei boschi delle Bandite di Scarlino. Anche in questa zona, ma è una costante di tutto il percorso, sono frequenti gli agriturismi, uno per tutti Poggio La Croce (0566/871006). La salita finisce al Sughericcio (335 m. slm), la discesa che segue è immersa in uno splendido bosco d’alto fusto che solo alla fine, ormai in pianura, si trasforma in un forteto mediterraneo fino a sfociare nei campi della pianura di Pian d’Alma, area agricola in cui si comincia a sentire l’influenza dei venti marini.
Attraversata la trafficata Provinciale per Castiglione della Pescaia ci si immerge nella macchie del Parco delle Costiere, famoso per le splendide cale, tra le quali Cala Violina è la più bella e conosciuta. Il nome deriva dal fatto che sfregando la sabbia, grossa e silicea, si produce un suono che con un po’ di fantasia ricorda il suono dei Violini! Cala Violina è anche geosito del Parco nazionale, le sue scogliere sono infatti costituite da torbiditi della formazione del Macigno che presentano evidenti stratificazioni di spessore e granulometria diversa. Sono queste le rocce che hanno dato origine alla famosa sabbia “musicale”. La strada ora è un facile saliscendi con impareggiabili viste sul Golfo di Follonica. Lo sterrato termina in località Terra Rossa, un tempo qui arrivava la teleferica che portava dalle miniere gavorranesi e massetane la pirite fino al mare, per essere quindi imbarcata sui piroscafi destinata agli stabilimenti di lavorazione. Di questo sito, visitabile (0566/843402), rimangono importanti testimonianze tre cui i silos di stoccaggio e la suggestiva galleria di eduzione.
Siamo alla fine del tour, una bella ciclabile connette il Puntone e la sua Marina, a Follonica, un ultimo sguardo sulla Maremma passando sull’argine che separa il Padule di Scarlino (Zona umida protetta) dal mare e quindi ci accoglie la città del Golfo per l’ultimo timbro ed un riposo ristoratore, magari a godersi la famiglia lasciata in città a godersi spiaggia e mare.
Contributo di Mario Matteuci
Sito (in allestimento) https://www.biketourcollinemetallifere.it/
Il Tour de France Femmes avec Longo Borghini
«In ospedale, su quella barella, mi sentivo già fuori dal Giro Donne anche se, ufficialmente, ero ancora in gara. Ho preso il telefono e ho scritto un messaggio al meccanico dicendo come avrei voluto che mi preparasse la bicicletta per l'indomani, quasi quel gesto mi tenesse in corsa, quasi fosse un "se mi prepara la bici, allora vuol dire che riparto". Francesca Della Bianca, dottoressa di Lidl-Trek, era lì accanto a me e sorrideva vedendomi scrivere quel messaggio. Un sorriso pieno di comprensione, della serie: "Va bene, Elisa. Però ora pensa a curarti". Quella notte, ogni due ore, la dottoressa Della Bianca mi ha svegliato per controllare come stessi». Elisa Longo Borghini ci sta raccontando del dopo tappa del 4 luglio al Giro Donne, di quello che è accaduto dopo l'arrivo di Ceres, quando, vedendola ancora frastornata dalla caduta di pochi minuti prima in discesa, la squadra le ha consigliato di recarsi in ospedale per dei controlli: «Di quella caduta, mi porto un forte dolore alle costole, alla spalla e ai muscoli. Dolori a cui mi sto anche abituando, passeranno. Per fortuna non è successo nulla di grave, però, in certi momenti, capisci molte cose. C'era anche mia madre in ospedale, ma non poteva entrare. Tu entri e tutto il tuo mondo resta dall'altra parte della porta. Stare in ospedale è sempre brutto, anche per questo. Francesca Della Bianca, in quanto medico, è entrata con me, così anche su quella barella mi sentivo meno sola, tranquillizzata nei miei dubbi, ascoltata. Vederla entrare con me è stato fondamentale. Mi ha aiutato». Continuando a raccontare, Longo Borghini indugia su una parola, che è poi un modo di comportarsi, con cui, già appena rialzata, mentre tornava in bicicletta, ha avuto a che fare: l'umanità.
Shirin van Anrooij transita da quella curva proprio mentre Longo Borghini sta per ripartire, si ferma. Le due si guardano, Elisa Longo Borghini le grida di andare, di non aspettarla, che non è successo nulla, ma van Anrooij non si muove da lì, non ne vuole sapere: «In good times and in bad times», dice così. Sì, nella buona e nella cattiva sorte. All'arrivo vanno assieme. «L'espressione che avevo al traguardo, la pacca sulla spalla ed il sorriso, racchiudevano la gratitudine per un gesto, l'aspettarmi, che non mi sembra e non mi sembrerà mai scontato. So che si dice che è normale e probabilmente lo sarà davvero. Io, però, continuo a vederci qualcosa di straordinario. Di tanto umano, per l'appunto». Straordinario come straordinaria, per Longo Borghini, è una foto che ha scattato, al Giro, Paolo Slongo, il suo direttore sportivo: un tifoso regge un cartone con la scritta "Evvai Elisa". Lei quel cartello l'aveva visto e aveva anche pensato che le sarebbe piaciuto averne un ricordo, ma in gara si può solo guardare distrattamente. Per fortuna che c'era Slongo: «Dire che aver visto i bambini venirmi incontro e le persone gridare il mio nome mi ha fatta felice è la verità, ma io voglio dire qualcosa in più. Voglio raccontare la sensazione che avverto nello stomaco quando succede e tutte le volte che mi sono chiesta perché succeda e quanto realmente lo meriti. Però succede. Ci sono persone che usano un quarto d'ora del loro tempo per preparare un cartello e vengono in strada a mostrarlo, per me, per Elisa Longo Borghini».
Il mattino del 5 luglio, Longo Borghini non ripartirà, su consiglio medico: il Giro lo vedrà da casa e, a differenza di altre volte, soprattutto, riuscirà a vederlo, serenamente. Tutto questo, la vittoria di Borgo val di Taro, la bella rivalità con Annemiek van Vleuten ed il podio di Gaia Realini sono gli ingredienti della sua tranquillità.
Il rapporto con Annemiek van Vleuten è da sempre basato su un reciproco rispetto ed una reciproca stima che, nel tempo, se possibile, è aumentata: «Fare quel che fa è sempre difficile, ma continuare a farlo con quella fame e quella grinta, nonostante tutto quello che ha vinto e che continua a vincere, ha dell'incredibile. Van Vleuten non è mai paga». Una caratteristica che ben emerge dai suoi scatti: «Non sono rasoiate secche, non creano una frattura, uno strappo. Gli scatti di Annemiek van Vleuten sono un lento ed inesorabile morire. Sei alla sua ruota, e d'improvviso hai dieci metri, poi cinquanta e, senza sapere come, ti ritrovi da dieci secondi ad un minuto di ritardo. Quando sono con lei e sono davanti, ho una voce dentro: "Ora ti stacco io". La realtà è che mi ha quasi sempre lasciata lì, ma a Borgo val di Taro l'ho battuta, in una volata a tre con Ewers, e mettere la mia ruota davanti a lei, mentre indossava la maglia rosa, rende ancora più bella la mia vittoria». Sulle ruote del fenomeno olandese erano spesso due le atlete Lidl-Trek: una è Longo Borghini, l'altra è Gaia Realini.
Il giorno del ritiro, le due hanno visto la classifica insieme: «Questa la stacchi. Questa potrebbe saltare, con lei, invece, puoi giocartela- dice Longo Borghini- il podio è tuo, Gaia». Realini ascolta attenta: «Dici?». La risposta è istantanea: «Non dico, Gaia. Sono sicura, andrai sul podio». Parole importanti per l'abruzzese che, da quel momento, ha dovuto gestire una responsabilità importante senza l'appoggio della Campionessa Italiana: «Tutti mi dicono che Gaia mi stima. Anche io stimo Gaia. Ho condiviso con lei la camera al San Pellegrino, in ritiro. Le dico affettuosamente che è una ragazzina, nel senso che è molto giovane ed ha un talento e una sensibilità fuori dal comune. Ogni tanto se ne esce con il suo dialetto abruzzese e, anche se siamo in salita a tutta, non riusciamo a non ridere. Un libro aperto, questo è Realini. Anzi, un libro che si ha la possibilità di aprire e scoprire col tempo. Il che aggiunge valore». E quel podio, Gaia Realini l'ha raggiunto, terza, dietro a van Vleuten e Labous: Longo Borghini ci aveva visto giusto.
Allora scherziamo, le chiediamo di testare queste doti facendoci qualche previsione sul Tour de France Femmes che partirà da Clermont Ferrand il prossimo 23 luglio: «Dai, la prima previsione è facile: Demi Vollering e Annemiek van Vleuten saranno due belle iene. Mi aspetto un bel Tour da Niewiadoma e Ludwig e, se vogliamo davvero testare le mie doti da predictor, il nome è Marlen Reusser. Vedrete che Tour farà. Vedremo se avrò avuto ragione». La classifica generale finale del Tour de France, spiega Longo Borghini, si deciderà sul Tourmalet, alla penultima tappa, la cronometro finale, invece, potrà servire per scalare posizioni, guadagnare o perdere secondi preziosi. Complicata sarà la quarta tappa con arrivo a Rodez, ma l'atleta di Ornavasso sottolinea che la pianura francese, in realtà, non è mai pianura e di tappe banali non ce ne saranno proprio. Lei sta bene, si sta allenando e ricerca il caldo, per iniziare a sperimentare sulla sua pelle la "canicule" che sembra ci sarà in Francia in quei giorni. «Ci sono vari protocolli per il caldo, in realtà, al momento, non li sto seguendo. Cerco di bere molto e di tenere fresche le estremità. Il mio alleato è il ghiaccio: in un giubbottino oppure in una calza, non riesco a dare un'idea di quanto ne userò, ma tanto, tantissimo». L'obiettivo è fare bene ma al Tour de France tutti vogliono fare bene. «Vedremo di tappa in tappa. Certo che mi piacerebbe vestire la maglia gialla, a chi non piacerebbe. Certo che mi piacerebbe vincere una tappa. Il podio sarebbe un sogno, il livello è altissimo. Le prime cinque posizioni sarebbero senza dubbio indice di un gran Tour».
Un Tour de France che «al suo ritorno fra le gare del ciclismo femminile si è subito imposto come "la corsa", un passo avanti rispetto a tutte le altre, un passo importante per il nostro ciclismo». Un Tour a cui si andrà con la maglia tricolore, l'undicesima, ed Elisa Longo Borghini riflette su questo numero: «Sono tante undici, davvero». In un attimo ripensa a quello che le dicevano i suoi genitori sin da ragazzina: la maglia azzurra va onorata perché di tante bambine che la sognano, la raggiungono davvero poche e chi la raggiunge non può permettersi di risparmiarsi. «Mi sento fortunata ad aver avuto la possibilità che ho avuto di lottare per quel tricolore. Il Campionato Italiano per me è sempre stata una corsa speciale, divento energia pura quando lo corro. Non so cosa mi accada». In realtà, è una delle poche volte in cui sorprendiamo Longo Borghini in un ragionamento di questo tipo sul numero delle sue vittorie, tendenzialmente, per l'umiltà che la contraddistingue non ama snocciolare le sue vittorie ed, anzi, si sente imbarazzata quando sono gli altri ad elencargliele. La mente torna al palco di presentazione squadre del Campionato Italiano: «Lo speaker ha fatto una bellissima presentazione con i dati delle mie vittorie, io, però, per carattere ero a disagio e non vedevo l'ora di scendere dal palco ed iniziare a correre. Sai, a volte penso che mi piacerebbe essere presentata solo con nome e cognome, solo come una ciclista, perché io mi sento una ciclista come tutte le altre».
Una ciclista che, guardando avanti, pensa ai mondiali di agosto, «a un percorso su cui proveremo a inventarci qualcosa», e tra i sogni della stagione pone quello di riuscire ad andare a vedere qualche tappa della Vuelta, dove correrà il suo compagno Jacopo Mosca: «Quando sono in strada, a vedere una gara, non riesco molto a fare il tifo, a gridare ed incitare come fanno tutti. Me lo impedisce la timidezza, mi sento strana a farlo. Non so il motivo, però mi accade». Eppure essere in strada salva, in parte, da un qualcosa che tutti i ciclisti vivono quando si trovano a guardare una gara in cui gareggia qualcuno a cui tengono, a cui vogliono bene: «Mi dicono: "Eh ma sei anche tu una ciclista, sai come vanno le cose, dovresti essere più tranquilla". No, appunto perchè sono una ciclista penso a possibilità e situazioni che altri nemmeno immaginano. La televisione non mostra tutto, ovviamente, ci sono minuti e minuti, ore, in cui alcune situazioni non vengono inquadrate e tu non sai cosa sta accadendo. Ci pensi, sei distante. Vedere una corsa in televisione, se corre qualcuno che fa parte della tua famiglia è difficilissimo. Credetemi».
Intanto, tutti vogliono vedere Elisa Longo Borghini al Tour de France Femmes e, dopo quello che abbiamo visto al Giro, questo non è per nulla difficile da credere. L'attesa è tanta, manca sempre meno.
Spugna e martello
O Martello e spugna. Devastante il martello con la sua cadenza irresistibile che riecheggia nel silenzio delle montagne, quale silenzio, direte voi: avete visto quanta gente sulle strade? A parte, aggiungiamo noi, la parentesi degli ultimi quattro chilometri sul Puy de Dome e stavolta sì, un silenzio, irreale, narrativo, costruito ad arte da chi organizza il Tour de France: evento che ancora una volta sa battere la concorrenza per distacco, attaccandola dal primo chilometro. E pazienza se poi, in quella tappa, ben presentata, l’attesa ha fatto più danni al cuore che l’effettiva risoluzione.
Martello, come un pezzo industrial a una festa illegale organizzata da ragazzini. La cassa fissa, lineare. Un suono oscuro, metallico, quasi urlante, fantascientifico, come quel fumetto francese, con gambe che paiono fuscelli, nonostante quel bisogno di riprendere contatto con la realtà esterna alle corse appena tagliato il traguardo: è un abbraccio con i propri cari quando possibile, come in cima al Puy de Dome. È una lunga telefonata, quasi sempre, come nelle altre tappe precedenti o in quelle che verranno, oppure nel giorno di riposo.
Spugna. Assorbe, lava via le incertezze. Leva via i cattivi pensieri. Sorride, si prepara e si nasconde. Capisce e trasforma, decide di andare via e lascia la sua sparata. È tutto un programma, un fuori onda. Mai banale, dicono sia costruito, ma è sincero, è realmente fatto così. Spugna, qualche giorno fa, dopo che sul Marie Blanque aveva perso la ruota del suo avversario, ha trasformato la delusione nella possibilità di guardarsi dentro e imparare nuovamente dai suoi errori. Le energie nervose le ha ridotte a un momento di tranquillità. Lo hanno visto sereno, e il giorno dopo nascosto. Poi è scattato e ha staccato il suo avversario, non un nemico, sia chiaro.
Sul Puy de Dome, dicono alcuni appassionati ed esperti di valori misurati attraverso i watt/kg, i quali, però, non riescono a dare del tutto le certezze che cerchiamo, la spugna avrebbe fatto la sua miglior prestazione in carriera su una salita, almeno a livello di numeri, valori. Anche se poi lui giustamente dice qualcosa che suona come: "se non conoscete il mio peso, come fate a conoscere queste prestazioni?". È bastata, tuttavia, quell'azione per levare via un po’ di incrostature, otto secondi, per distinguere un Tour de France già ben caratterizzato di suo.
Spugna e martello. Pogačar e Vingegaard. Duello del decennio nella corsa più importante e rumorosa al mondo. Altro che il silenzio del Puy de Dome.
Cosa ha raccontato il Giro Donne?
Giro Donne, Tour de France, "La Vuelta", Campionato del Mondo di Wollongong, ancora "La Vuelta" e ancora Giro Donne: è l'incredibile percorso segnato da Annemiek van Vleuten dal luglio dell'anno scorso a domenica 9 luglio 2023 quando, per la quarta volta in carriera (2018, 2019, 2022, 2023) ha concluso il Giro d'Italia Femminile con l'ennesimo trionfo. In maglia rosa dalla prima (anzi dalla seconda, ma solo per l'annullamento della cronometro inaugurale) all'ultima tappa, tre vittorie di tappa, altrettante classifiche conquistate, oltre alla maglia rosa, anche la maglia ciclamino della classifica a punti e la maglia verde dei Gran Premi della Montagna, ed una netta superiorità sulle rivali che non sono mai riuscite a mettere veramente in discussione il suo dominio. Ve lo avevamo già preannunciato la scorsa settimana, nell'analisi di quello che era stato fino a quel momento, a due frazioni dalla fine, il Giro Donne (articolo a cui vi rimandiamo per alcune considerazioni che non riprenderemo qui) ma, come si dice sulle strade delle corse ciclistiche, "fino all'ultimo può veramente succedere di tutto", così solo oggi abbiamo davvero completo il quadro di quanto è accaduto: a Olbia, infatti, sul gradino più alto del podio è salita van Vleuten, sul secondo gradino Juliette Labous, a 3'56", terza Gaia Realini a 4'23".
TAPPE DI SARDEGNA: KATA BLANKA VAS E CHIARA CONSONNI
La prima considerazione è, in realtà, una domanda, prima di passare alle informazioni emerse dalla gara, sulla scelta di disputare le ultime due frazioni in Sardegna, visti i dubbi che, comunque, sono emersi. Il trasferimento è stato effettuato in un giorno di riposo, venerdì 7 luglio, ma, a fine gara, soprattutto alla luce dei percorsi delle ultime frazioni, mossi, non scontati, ma certamente non decisivi in ottica classifica generale e assolutamente rintracciabili con caratteristiche simili in altre zone più vicine alla rotta di corsa, è stata davvero una decisione azzeccata? Ci si rifletterà e ognuno farà le proprie valutazioni.
Gli spunti, tuttavia, non sono mancati nemmeno in queste ultime due tappe. Vero è che non potevano essere decisive in ottica classifica generale, ma altrettanto vero che abbiamo visto movimenti di donne di classifica. Attacchi che non sono stati finalizzati, probabilmente era quasi impossibile farlo, alla luce del percorso e di come si era messa la gara, ma ci sono stati. Fra le altre, citiamo i tentativi di fuga di Mavi Garcìa, di Niamh Fisher-Black e di Veronica Ewers: azioni che hanno costretto le squadre delle dirette rivali in classifica generale ad andare a chiudere, aggiungendo pepe alle ultime giornate di corsa. Citiamo come attacco d'orgoglio anche l'allungo di Marta Cavalli, proprio in Sardegna. Situazioni di corsa a cui crediamo non sia estranea la superiorità di van Vleuten: il fatto che nelle tappe a lei più congeniali si sia praticamente sicure di uscirne sconfitte, fa sì che si provi a inventarsi qualcosa anche in situazioni inaspettate.
Finali di gara per atlete veloci con interesse e contesa accresciuti dal fatto che Lorena Wiebes, apparsa la migliore in questi frangenti, aveva lasciato la corsa in vista del Tour de France. Insomma, una volta tanto, pareva che SD-Worx potesse cedere lo scettro delle volate a qualche rivale. Mera illusione. Già, perché in un organico come quello del team olandese, il talento è localizzato in ogni dove, senza limiti di età o di caratteristiche tecniche, così, a Sassari, in volata, dal cappello fuoriesce Kata Blanka Vas, prima ungherese vincitrice di tappa al Giro, anche lei in maglia SD-Worx. Una volata impeccabile, per la ventunenne di Budapest che inizialmente non ci crede, poi realizza ed il giorno dopo, verso Olbia, consapevole di ciò che è in grado di fare, prova a forzare il ritmo già lontano dal traguardo. La sua è un'altra storia in cui la multidisciplinarietà si è rivelata di importanza assoluta: strada, ciclocross e mountain bike. Due atlete di riferimento: Pauline Ferrand-Prévot e Marianne Vos, sempre per parlare di capacità di primeggiare nelle varie discipline. Chi la conosce bene, assicura che è uno di quei talenti in grado di segnare una generazione. Da quanto si vede, impossibile non credergli.
A Olbia, arriva la seconda vittoria italiana di questo Giro Donne: dopo Elisa Longo Borghini a Borgo Val di Taro, è Chiara Consonni a timbrare il successo, in volata, nell'ultima tappa. Consonni deve avere un feeling speciale con l'ultima tappa: anche l'anno scorso la vinse, in quel di Padova. Non da poco, considerando le fatiche di un Giro, essere in grado di mostrare quella freschezza e quell'esplosività in volata. Al mattino, Marta Bastianelli, all'ultima gara in gruppo, aveva detto, in lacrime: "Ho dato tanto a questo sport, spero che le mie compagne possano fare lo stesso". Un bel modo per omaggiare il finale di carriera, con una vittoria del proprio team e della propria compagna di camera in questo Giro Donne.
E MARIANNE VOS?
Fa strano nel commentare un Giro d'Italia non citare fra le vincitrici di tappa Marianne Vos, ma, nel 2023, proprio l'olandese è rimasta a secco. Vos, che ha vinto tre Giri d'Italia in carriera, negli ultimi anni aveva messo nel mirino le tappe e, fino al 2023, non aveva praticamente mai mancato il bersaglio. Quest'anno, due secondi posti e un quinto posto sono i suoi migliori risultati. In particolare, con uno zoom sulle ultime frazioni: a Sassari un problema meccanico ed una volata lanciata forse troppo lunga, alla fine, le hanno consegnato solo un decimo posto, a Olbia, non ha sbagliato nulla, solo ha trovato qualcuno più veloce di lei e lo sguardo con cui fissa Chiara Consonni, che esulta dopo il traguardo, racconta perfettamente questa realtà. Certamente, per la stranezza dell'evento, è venuto ai più naturale guardare la carta di identità dell'olandese e constatare i suoi 36 anni. Sono un dato di fatto, ci mancherebbe, e prima o poi anche i fenomeni devono fare i conti con l'età: noi restiamo convinti che ancora non sia questo il momento e che si tratti di un caso. Il Tour de France si avvicina: chissà che già lì Vos non ristabilisca le gerarchie.
L'AZIONE DI ALESSIA VIGILIA
Fra i tanti scatti dell'ultima tappa, quello che ha tenuto più a lungo impegnato il plotone, è stato senza dubbi quello firmato da Alessia Vigilia, che, come l'anno scorso, anche a Padova ci provò, ha tentato di mettere nel sacco il gruppo, con un'azione solitaria. Un vantaggio massimo di trenta secondi, eppure Vigilia continua a insistere, come fosse una lunga prova contro il tempo, di cui, tra l'altro, ben si intende. Un anno che, fino ad ora, è stato molto significativo per la ventitreenne di Bolzano con diverse top ten e azioni che denotano coraggio e intraprendenza. Anche in questo caso, l'età parla chiaro: basta continuare a lavorare in questo modo e risultati importanti arriveranno.
UN BEL PODIO: LABOUS E REALINI
Se di Annemiek van Vleuten abbiamo già parlato, è il momento di parlare delle due atlete che la affiancano su quel podio: Juliette Labous e Gaia Realini.
Partiamo proprio dalla francese, ventiquattrenne delle Team dsm-firmenich, già l'anno scorso nona al Giro, vincitrice della tappa del Maniva, e quarta al Tour de France. Il suo percorso parte da lontano: già nel 2019, infatti, a soli vent'anni, la ricordiamo undicesima nella classifica finale del Giro, vincitrice della classifica dedicata alle giovani, con ottime prestazioni in tappe difficili come quella di Malga di Montasio o nella prova contro il tempo da Chiuro a Teglio. Un percorso, appunto, segnato dalla continuità e da un miglioramento costante. Il quarto posto al Tour de France ha cambiato la sua immagine agli occhi dei francesi di cui è divenuta una sorta di idolo. Lei, però, non si è montata la testa, ha continuato a lavorare sodo, con lungimiranza. Alle corse a tappe, principale obiettivo, ha affiancato le corse di un giorno: per "mantenere la gamba" ma anche per mettersi alla prova ed abituarsi a gestire una leadership che spesso, per lei, era stata condivisa. Ha detto che al Tour vorrebbe il podio: le premesse ci sono tutte.
Due podi, invece, li ha già centrati Gaia Realini che, con la maglia bianca di miglior giovani, quella azzurra di miglior italiana e il terzo gradino del podio, concretizza al meglio tutti i segnali emersi in questo inizio di stagione e già culminati nel terzo posto a "La Vuelta", in Spagna. Non c'è un'asticella fissata, anche perché, per come l'abbiamo vista fino a qui, Realini potrebbe superare tranquillamente qualsiasi asticella si ponesse: ha talento e una rara capacità di imparare assimilando rapidamente quel che le atlete più esperte le indicano per il raggiungimento dei traguardi. C'è di che essere contenti.
Foto in evidenza: Sprint Cycling Agency
Tadej Pogačar, Jonas Vingegaard: è un attimo
Coppi vola senza più l’inquietudine delle prime ore, certo com’è di giungere solo al traguardo.
Così Dino Buzzati commentava magistralmente sul Corriere della Sera una tappa del Giro del ’49.
Aveva associato il confronto fra Coppi e Bartali all’omerico duello fra Ettore e Achille.
Due eroi della mitologia antica accostati a due eroi del ciclismo che fu, dell’Italia in bianco e nero che pian piano risorgeva.
Sei luglio, tappa sei del Tour de France, altri due contendenti si mostrano nei colori vividi e sgargianti del ciclismo di oggi.
Tadej Pogacar e Jonas Vingegard. Slovenia e Danimarca.
Entrambi coraggio e valore, coscienza e incoscienza.
Nessuna singolar tenzone cavalleresca per una donna. Nessun duello con le armi da fuoco per vendicare il proprio nome offeso.
Solo - ma sarà poi vero? - una lotta sportiva tra due giovani uomini che hanno onorato la corsa più bella e conosciuta del ciclismo e che rendono ogni corsa più bella e conosciuta.
Due fuoriclasse, fra corridori di primissima classe, che hanno unito il ciclismo e stanno dividendo gli appassionati.
Quello che è accaduto a circa due chilometri e 800 metri dal traguardo di quella tappa estenuante, la prima vera tappa di montagna di questo Tour, rimarrà impresso nella celluloide, nei pixel fotografici e nella memoria di chi ha assistito.
I più fortunati - gli eletti - testimonieranno di essere stati proprio lì, in quel tratto di strada. In quel preciso istante.
I meno fortunati - tutti gli altri - racconteranno di aver visto tutto in diretta tv.
Gli uni e gli altri, un giorno, con pochi o molti capelli bianchi, vivranno la nostalgia di quel momento. Di quel sobbalzo dal divano. Tachicardico e al contempo lenitivo.
Avranno custodito quell’attimo fuggente, quel raggio di sole, per le giornate uggiose, come quelle delle canzoni di Battisti.
Per respirare la stessa fragranza gradevole di quel giorno ormai lontano.
Poiché la cronaca esige il suo tributo è d'obbligo accennare al Col du Tourmalet.
Se è vero, come è vero, che la salita rappresenta il fascino del ciclismo, il Tourmalet coi suoi 17 km d’ascensione e vetta a 2.115 mt è la più emblematica e pedalata del Tour.
Percorrerla in bici in 45 minuti sembrerebbe follia.
Invece è stato record!
L’asfalto graffiato di quei tornanti aveva visto la corazzata della Jumbo tentare invano di staccare Tadey con un ciclista di nome Van Aert.
Sì, quel Van Aert che, seppur stremato, ha dimostrato ancora una volta il suo
stra-ordinario valore senza vincere.
Nei tornanti di quel gigante di pietra gli appassionati doc muovevano bandiere e corpi come lo scirocco fa con le onde del mare.
Pogacar aveva però invocato suoi spiriti guida e le anime degli scalatori del passato. Ottimista nel pre-gara, nonostante la sconfitta del giorno prima inflitta proprio dal danese, era rimasto concentrato - anzi di più - durante tutta la corsa.
Lo si intuiva da quel particolare sguardo che non era sfuggito ai commentatori di grande esperienza. “ Oggi ha una buona gamba - dicevano - e una buona testa.”
Quella col ciuffetto irriverente che spunta fuori dal casco.
Lo sloveno incollato al danese e noi agli schermi. In attesa di una magia, di un regalo.
E a meno di tremila metri ecco l’audio crescere a dismisura. “ È partito!
Vola Tadej, vooola!”
È la mossa del principe sloveno, lo scacco al re. Scatto e allungo: matto in due mosse.
È l’esaltazione. L’incredibile sperato.
Il suo inchino al traguardo rivela la fine dello spettacolo.
Pogačar primo in 3h 54' 27"
Sua con 103.5 km/h la punta massima di velocità del giorno.
Vingegard secondo e in maglia gialla.
Fra loro, nella classifica generale, 25 secondi di distacco. Venticinque, come il costo dell’ascensore che porta in cima alla Tour Eiffel.
Ma in fondo i numeri misurano davvero ciò che conta nella vita?
Il presidente francese applaude ai lati del podio.
Domani è un altro giorno.
Via col vento.
Contributo di Fabio Gariffo
Foto in evidenza: Sprint Cycling Agency
Il questionario cicloproustiano di Letizia Paternoster
Il tratto principale del tuo carattere?
Solarità
Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Essere premuroso
Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
L'onestà
Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
L'affetto
Il tuo peggior difetto?
Sono disordinata
Il tuo hobby o passatempo preferito?
La moda
Cosa sogni per la tua felicità?
Vorrei vincere tanto
Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
Perdere la famiglia
Cosa vorresti essere?
Campionessa olimpica
In che paese/nazione vorresti vivere?
Italia
Il tuo colore preferito?
Azzurro
Il tuo animale preferito?
Panda
Il tuo scrittore preferito?
Niccolò Ammaniti
Il tuo film preferito?
Rocky Balboa
Il tuo musicista o gruppo preferito?
Coldplay e Tiziano Ferro
Il tuo corridore preferito?
Peter Sagan
Un eroe nella tua vita reale?
Papà
Una tua eroina nella vita reale?
Mamma
Il tuo nome preferito?
Matteo
Cosa detesti?
L'invidia
Un personaggio della storia che odi più di tutti?
Adolf Hitler
L’impresa storica che ammiri di più?
L'Unità d'Italia
L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Marco Pantani al Giro d'Italia
Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Olimpiade
Un dono che vorresti avere?
La pazienza
Come ti senti attualmente?
Molto bene
Lascia scritto il tuo motto della vita
Tutto torna
Considerazioni sul Giro Donne
Di questo Giro Donne si parla molto da settimane. A dire il vero, inizialmente per motivi che esulavano dalla gara stessa, per motivi che riguardavano soprattutto quel che ancora non si sapeva di questa corsa a pochi giorni dalla partenza e le cose che non si sapevano erano molte. Anzi, fino all'ultimo, a dire il vero, la realizzazione di questo Giro è stata incerta e questo richiederebbe una riflessione approfondita, da parte degli organi competenti, in particolare, ma in generale di chiunque segua questo sport. Una riflessione che dovrebbe partire da tutto ciò che è mancato, una riflessione che potrebbe partire dalle parole di Elisa Longo Borghini, dopo la vittoria al Campionato Italiano, a pochi giorni dal Giro d'Italia, con ancora molti punti di domanda: «Non sono contenta e non posso esserlo. Ci sono ancora troppe domande a cui non si è avuta risposta, anche sul Giro. Purtroppo temo si tratti di una realtà decisamente italiana, all'estero le cose sono diverse. Il nostro movimento continua a crescere, per questo posso restare ottimista. Contenta no, contenta è un'altra cosa». In queste poche parole c'è praticamente tutto, quel che manca e quel che servirebbe. Ma, sollecitando questa riflessione, proviamo a fare un passo avanti e guardare alla corsa.
Dicevamo che di questo Giro Donne si parla da molto tempo. Per esempio del suo percorso: un tracciato senza grosse salite, senza le salite mitiche del ciclismo, per questo più aperto, si vociferava all'inizio. A far il paio con questa considerazione, c'era il fatto, che già abbiamo analizzato e su cui non vogliamo tornare se non come appunto, che la principale pretendente al successo, Annemiek van Vleuten, pur avendo già vinto una corsa come "La Vuelta", non aveva mai vinto tappe e "sembrava", le virgolette sono d'obbligo, in calo, dove "in calo" è riferito esclusivamente alle sue prestazioni degli anni scorsi, perché averne di atlete in calo come van Vleuten, sia chiaro. Beh, a tutte queste considerazioni, la risposta purtroppo è banale: la corsa la fanno i corridori e van Vleuten l'ha fatta sin dal primo giorno. Anzi, sin da quello che avrebbe dovuto essere il primo giorno: la cronometro di Chianciano Terme, poi annullata causa maltempo. Quel giorno, probabilmente, la maglia rosa sarebbe stata vestita da Letizia Paternoster, autrice di un'ottima prova, che sarebbe potuta servire a determinare un'inversione di rotta dopo anni complicati, in cui la vittoria non voleva saperne di arrivare. Sarebbe potuta servire e servirà. In questi giorni, abbiamo osservato Paternoster, si nota una ritrovata serenità: anche il giorno dopo la caduta in volata di Modena, scherzava sull'accaduto. Questa ironia dopo una caduta è da un'atleta che sta bene, le prove in crescendo lo testimoniano. La maglia rosa sarebbe stata vestita da Paternoster, ma van Vleuten aveva comunque totalizzato il miglior tempo, rispetto a molte rivali. Mancava ancora la partenza di Elisa Longo Borghini, certo, ma il dato era questo. Tappa annullata? Va bene, passiamo oltre.
Seconda tappa: attacca sul Passo della Colla, arriva da sola, tappa e maglia rosa. O meglio, tappa e tutte le maglie (a parte quella bianca, per ragioni di età e quella blu per ragioni di nazionalità). Quarta tappa, viene battuta allo sprint da Elisa Longo Borghini, l'unica a tenerle la ruota, ma ancora una volta attacca, chiude sulla fuga di Ewers e si lascia dietro tutte le altre. Quinta tappa: attacca sul Pian del Lupo, prima salita di giornata, questa volta a tenerle la ruota è Gaia Realini, un'azione clamorosa. Cade in discesa, per poco non raggiunge e supera Antonia Niedermaier, arriva seconda con rammarico. Sesta tappa: sull'ultima salita, a Canelli, fa il vuoto ed ipoteca il Giro Donne: con distacchi sulle dirette rivali che non paiono più colmabili. Infine, giovedì, settima tappa, tra Alassio ed Albenga: ai dieci chilometri, forza l’andatura e resta sola con Labous e Realini, ai 1600 metri, pur non avendo più nulla da chiedere a questo Giro, va via da sola e arriva in solitudine al Santuario della Madonna della Guardia. Ennesimo show.Altro da dire? No, niente.
C'è un bisogno che, sulle strade, si avverte tra i tifosi, forse per una delle prime volte in maniera così decisa: la necessità di una alternativa. Per questo l'entusiasmo quando Longo Borghini e Realini riescono a metterla in mezzo, per questo il senso di vuoto e quella frase, al ritiro di Longo Borghini, dopo la caduta nella tappa di Ceres: «Niente, quindi il Giro lo vince ancora van Vleuten». Sì, Longo Borghini è apparsa ancora una volta una delle poche atlete in grado di insidiare l'olandese e anche di batterla, a Borgo Val di Taro, ad esempio. Longo Borghini che esalta quando sfida van Vleuten e commuove quando arriva con Van Anrooij, dopo la caduta. Le mette una mano sulla spalla, sorride, con il segno della caduta sul volto, vorrebbe ringraziare, la compagna ed il pubblico, per come l'hanno attesa. In realtà, è il pubblico a ringraziare lei, a cercarla quando precauzionalmente, nonostante l'assenza di fratture, decide di ritirarsi, guardando al Tour de France. Il pallino passa quindi a Gaia Realini, che, sin dall'inizio, era la donna destinata a fare classifica, in quanto Longo Borghini puntava ad una tappa, che, però, ora dovrà gestire la situazione senza un appoggio prezioso quale quello dell'atleta di Ornavasso. Una menzione va anche fatta per la sintonia che si è creata fra le due, per la loro capacità di giocare di squadra ed esultare assieme per il successo dell'una o dell'altra. Gaia Realini, al momento, veste sia la maglia bianca di miglior giovane che la maglia azzurra di miglior italiana in classifica, grazie al grazie al terzo posto attuale in classifica generale. Proprio nella tappa di giovedì, il terzo posto di tappa, abbinato alla crisi di Veronica Ewers, fino a quel momento seconda, le ha consegnato il podio che, a questo punto, potrebbe essere suo a fine Giro. Risultato molto importante per l’abruzzese.
Da sottolineare, in questo Giro, anche le prove di Veronica Ewers e Antonia Niedermaier. Storie diverse, ma simili, in cui il ciclismo arriva dopo il calcio (per Ewers) e dopo lo scialpinismo (per Niedermaier), in cui, allo stesso modo, emerge un talento notevole. L'azione di Ewers a Borgo Val di Taro è un elogio della resistenza e della tenacia, un gesto atletico raro. La vittoria di Niedermaier nella tappa di Ceres, allo stesso modo, è una di quelle vittorie che si ricordano. Abbiamo parlato della "ragazza che superò van Vleuten", questo potrebbe essere il ricordo, abbinato alla genuinità della tedesca, alla dedica alla nonna, al suo sentirsi «così giovane», assieme al suo entusiasmo alla partenza della tappa di Canelli e, purtroppo, anche assieme a quella brutta caduta che le è costata il ritiro. Nulla di grave, per fortuna. Di certo, qualcosa di difficile da accettare, come un forte dolore dopo una delle gioie più grandi in carriera, mentre a vent'anni ci si gioca il podio del Giro, dal secondo gradino. Il ciclismo è così. Il tempo, però, è dalla parte di Niedermaier.
Ci hanno entusiasmato le discese di Silvia Persico, il coraggio con cui si getta in ogni curva e rilancia l'andatura, quello che uno spettatore ha definito "da brividi". Sì, le sue discese sono da brividi. In salita le è mancato qualcosa per restare con le migliori, ma l'estro è sempre lo stesso. In ottica classifica generale, in UAE Team ADQ, meglio Erica Magnaldi, fino a qui autrice di un ottimo Giro Donne. Ci siamo riconosciuti nella sofferenza di Marta Cavalli in salita, in quelle smorfie, in quello sguardo a cercare un appiglio. Ci siamo riconosciuti in quella frase a Marie Le Net: "Grazie per avermi portata all'arrivo". Non è stato fino a qui il Giro che Cavalli avrebbe sperato. Un Giro, probabilmente, non adatto alle sue caratteristiche, arrivato in un momento in cui Cavalli sta cercando di recuperare vecchie sensazioni. Chissà che questa fatica non possa essere preziosa nella sua ricerca. Rispetto alle azzurre, è bene anche sottolineare la buona prova di Francesca Barale, vent'anni, sesta nella classifica giovani, seconda azzurra di questa classifica. Sempre fra le giovani, è di rilievo il Giro di Fem van Empel ed Anna Shackley, nelle prime quindici della generale, a venti e ventidue anni.
Piuttosto scarno il capitolo volate, solo per il fatto che, fino a qui, le ruote veloci si sono contese unicamente la tappa di Modena. Le previsioni parlavano di Lorena Wiebes davanti a tutte e Wiebes non si è fatta attendere. Non ha solo vinto l'unica volata di questo Giro, l'ha letteralmente dominata, apparendo inscalfibile in ogni momento. A provare ad insidiarla Vos e Dygert, entrambe già protagoniste con ottimi tempi della cronometro iniziale poi annullata, Dygert nonostante una caduta. Marianne Vos è molto attesa in questi giorni: a Canelli diversi tifosi la incitavano, su un arrivo che le si addiceva. Parlavano di una sua "zampata" e la sua zampata la attendiamo tutti. Ora, dopo il ritiro di Wiebes, prima della tappa di Alassio, in vista del Tour de France, si candida come la favorita principale su arrivi in cui la velocità rivesta un ruolo fondamentale.
Oggi giorno di riposo e di trasferimento in Sardegna per le ultime due frazioni: Nuoro-Sassari e Sassari-Olbia, entrambe non banali. Prima che anche questo Giro vada in archivio.
Foto in evidenza: Sprint Cycling Agency