Tour de l'Avenir: tre giorni decisivi
Oggi riparte il Tour de l'Avenir dopo un po' di riposo per i ragazzi sotto i ventitré anni che competono per portare a casa "il Tour dei giovani".
Cos'ha detto finora la corsa? Intanto che la Germania conferma le buone impressioni viste in fase di presentazione: la miglior Germania probabilmente mai schierata su queste strade, superiore anche a quelle che nel 2016 si presentò con un trio che poi si è rivelato niente male anche nella massima categoria: Ackermann, Schachmann, Kämna.
Michel Hessmann, diventato capitano dei tedeschi strada facendo, oggi dovrà difendere la maglia gialla - e sarebbe una notizia se il portacolori della Jumbo Devo concludesse domenica la corsa nei primi 5. Ha sfiorato il successo in una tappa a livello individuale e vinto la cronosquadre che gli ha permesso di vestire il simbolo del primato. A dimostrazione della completezza e compattezza del team teutonico.
Forte sul passo, si difende bene sulle salite brevi, lo scorso anno su quelle più lunghe non andò male, anzi, chiuse in crescendo, anche se non è lui l'uomo forte di questa squadra per la classifica finale. Si attendevano Steinhauser ed Engelhardt, ma sarà Hannes Wilksich (DSM Devo, 3° in classifica a 33'' e già 7° al Giro Under 23 ) colui che proverà a far salire la Germania sul podio de l'Avenir a 13 anni da Sergej Fuchs. Da valutare però le sue condizioni dopo essere stato preso in pieno dalla bici dell'etiope Berhe in una rocambolesca caduta avvenuta in volata l'altro ieri nella quale è rimasto coinvolto anche uno dei favoriti assoluti, Uijtdebroeks.
Tra i maggiori pretendenti alla classifica finale è spuntato - si fa per dire - Tom Gloag (2° a 25''), pareva promesso sposo della Ineos e invece nel 2023 andrà a correre con la Jumbo Visma. Gloag è uno scalatore, ma dotato anche di spunto veloce come ha dimostrato nel giorno del successo di tappa a Chaillac, si difende bene sul passo e arriva da una stagione fin'ora sotto tono a causa di guai fisici. Lo scorso anno cadde in discesa nell'ultima tappa e si ritirò quando lottava per un piazzamento nei primi cinque.
Al 4° posto (35'') segue Lennert Van Eetvelt. Sempre attento fino a ora il belga, 2° al Giro alle spalle di Hayter e dal 2023 con la Lotto-Dstny, sarà una delle tre carte che si giocherà la nazionale tricolore nelle prossime giornate. Le altre due: Cian Uijtdebroeks, già professionista con la BORA-hansgrohe nonostante la giovanissima età - è un 2003 e sarebbe un primo anno tra gli Under -, è 9° in classifica a 1'16'' dopo aver perso terreno giorni fa a causa di una caduta.
La terza punta è William Junior Lecerf (5° a 48'') piccolissimo, scalatore puro, corridore che a causa delle sue dimensioni potrebbe avere difficoltà nel passaggio tra i professionisti, ma questo non è il momento di pensarci. Il giovane belga è stato protagonista di un piccolo caso alla vigilia della corsa; corre nella Lotto Under 23, ma dall'anno prossimo passerà in quella che diverrà la squadra di sviluppo della QuickStep. Ebbene, i tecnici della sua attuale squadra, innervositi dalla scelta, hanno deciso di non fornire al ragazzo le biciclette per disputare la corsa con la maglia della nazionale.
Tutti e tre i belgi sono rientrati prepotentemente in classifica dopo la cronosquadre - vittoria sfiorata per 2", grazie all'importante contributo di Alec Segaert e Thibau Nys - e da oggi pomeriggio proveranno a far saltare il banco.
Come ci proverà la nazionale di casa, la Francia, che l'altro ieri si è sbloccata dopo un avvio complesso - ma calcolato vista la squadra a disposizione - vincendo con Romain Grégoire l'arrivo di Oyonnax. Grégoire, come gli è riuscito più volte in stagione, nonostante sia anche lui un 1° anno e dalla prossima stagione a tutti gli effetti professionista in maglia Groupama, ha vinto da strafavorito provando prima ad attaccare sull'ultimo strappo, e poi, dopo essere stato ripreso, vincendo allo sprint.
A proposito di sprint: nei primi giorni notevole lo spettacolo messo in mostra da tre corridori: l'ormai esperto norvegese Waerenskjold, vincitore della prima tappa, non un semplice velocista, ma un corridore resistente e di fondo, che non disdegna attaccare, molto simile a un altro norvegese che l'anno prossimo ritroverà nella stessa squadra - la Uno X - ovvero Kristoff.
Van Uden, Olanda (e DSM), anche lui sta facendo la spola tra professionisti e under 23, era in avvio il favorito per le volate e una l'ha portata a casa, e terrà duro per vincere la maglia verde. A proposito di Olanda da sottolineare anche la buona corsa disputata sin qui da Loe van Belle (maglia gialla simbolica indossata dopo la crono esibizione del primo giorno, fondamentale in pianura per i suoi e 2° dietro Grégoire l'altro ieri), forse il meno quotato alla vigilia della nazionale dei Paesi Bassi.
Sebastian Kolze Changizi, Danimarca, che come il britannico Sam Watson di tappe non ne ha vinte, ma è sempre arrivato con i primi e come i due sopra menzionati ha provato a lasciare il segno cercando pure di anticipare le volate. Oltretutto la nazionale danese, senza una vera e propria stella a questo Avenir, ha vinto una tappa con Adam Jorgensen, che ne ha sfiorata un'altra ed è stata tra le formazioni più attive in fuga, cercando il successo da lontano anche con più di un corridore alla volta.
Tornando alla Francia: il peso della classifica è tutto sulle spalle di un altro 2003 prossimo al passaggio tra i professionisti, ovvero Lenny Martinez (13° a 1'50''). Talentuosissimo figlio (suo padre Miguel è stato campione olimpico nella Mountain Bike, medagliato mondiale nel ciclocross e ha corso anche su strada con la Mapei) e nipote d'arte (suo nonno Mariano vinse la maglia a pois al Tour nel 1978), Martinez, già in evidenza in alcune corse tra i professionisti, in salita è il corridore più atteso per fare la differenza e provare a vincere la corsa che la Francia insegue dal 2016 quando Gaudu vinse davanti a Ravasi e Costa. Quello di Gaudu è anche l'ultimo podio transalpino in questa gara. Il suo distacco può sembrare importante, ma terreno per recuperare ce ne sarà in abbondanza.
Capitolo Italia: Davide Piganzoli (10° a 1'29'') si conferma una garanzia di risultato dopo il 10° posto al Giro '21 e '22 e il 9° alla Corsa della Pace '22. Corre molto bene in gruppo, si è scoperto versatile - ha rischiato di vincere la tappa di Oyonnax (3°) in uno sprint ristretto ed è il campione italiano a cronometro - non ha dei veri e propri punti di forza al momento, ma nemmeno deboli e fa della regolarità e della continuità la sua arma migliore.
Alessandro Fancellu era il nome da recuperare e ci siamo: è stato in fuga l'altro giorno in una tappa difficile da correre e interpretare e con un bel gruppetto dove i danesi facevano la voce grossa. Non è ancora il Fancellu che ci si aspetta, ma sta ritrovando il colpo di pedale e ieri, nonostante la fuga, ha chiuso alla fine a ridosso dei migliori, davanti anche a diversi corridori blasonati. Anche la classifica, è a 2' di ritardo, è tutt'altro che compromessa.
Di Lorenzo Milesi se ne parla poco ma l'utilità del corridore della DSM in questo Avenir non ha confini. I primi giorni ha provato a vincere, è stato fondamentale per una buona cronosquadre e per tenere i capitani davanti. Ha piglio, motore, sa correre: appare già pronto per il grande salto.
Davide Dapporto c'ha provato a farsi vedere con una fuga; chiude l'esperienza all'Avenir finendo fuori tempo massimo nella cronosquadre a causa di un problema fisico. Quest'anno ha fatto il salto di qualità, ma correre più gare all'estero dovrebbe essere (anche) per lui una chiave fondamentale per capire che livello di corridore potrà essere e ambire così al passaggio tra i professionisti a stretto giro di posta.
Difficile giudicare invece le prove di Alberto Bruttomesso, velocista resistente, è il più giovane della compagnia azzurra (2003), ha sicuramente faticato nei primi giorni per l'alto livello incontrato, ma sarà tutta esperienza utile, e di Alessio Martinelli, talento importante per i percorsi vallonati, l'altro ieri arrivato staccatissimo, ma purtroppo per lui questa è una stagione partita benissimo ma che da un certo punto in avanti si è complicata parecchio per un problema fisico prima del Giro Under 23. Entrambi hanno qualità importanti da coltivare.
Restano fuori da questo discorso altri corridori che in salita proveranno a ribaltare e perché no, a vincere la corsa, ma questioni di ansia sulla prolissità personale impongono di restringere il tutto a un breve elenco: Leo Hayter (7° a 1'01''), l'altra punta della Gran bretagna, sorprendente dominatore del Giro Under, Johannes Staune Mittet (6° a 56''), che cerca il terzo successo di fila per la Norvegia in questa corsa dopo Foss e Johannessen, gli scalatori Dinham (18° a 2'33''), Australia, e Arrieta (20° a 2'46''), Spagna e due corridori meno forti in salita ma apparsi in ottima forma: Karel Vacek (26° a 3'29''), Repubblica Ceca e Arthur Kluckers (11° a 1'41''), Lussemburgo. I tre giorni decisivi partono da oggi.
Il migliore ultimo uomo al mondo
In pratica mi accorsi che, salendo verso la cima dell'Alpe d'Huez, c'era questa bici poggiata su un muro. Dal muro spuntavano in maniera irregolare ciuffi di muschio verdastro e quella parete di cemento era intervallata ogni tanto da piccole cascate di acqua.
La bici stava lì in mezzo ad alcune auto parcheggiate e con il finestrino abbassato, una piccola cassa con un po' di musica a fare compagnia e una bandiera a riparare dal sole chi, in quel momento, pancia piena e sangue riscaldato da birra e pastis, sonnecchiava dentro l'abitacolo, restando in attesa del passaggio del Tour de France. Era il 14 luglio del 2022.
Quella bici indossava fiera i colori sociali di una squadra di qualche anno fa: giallo fluo e blu. Mi avvicinai per fare una foto - mi piaceva, mi aveva catturato, anche perché a casa ne ho una della stessa marca.
« Wanty-Gobert» mi fece, incuriosito dal mio incalzare verso la bici, questo ragazzone tedesco, proprietario della stessa, pochi capelli in testa, un sorriso cordiale e un paio di occhialini da vista con delle lenti di una leggera tonalità di rosso. Pareva il personaggio di una gang di rapinatori in un film di Michael Mann. «L'ho presa un paio di anni fa nel negozio ufficiale della squadra... è di Danny van Poppel! - aggiunse, poi, indicando un adesivo con il numero 2 appicciato sul telaio – questa era la sua bici di scorta».
Risposi, ammiccando e affannato dalla salita e dal sole. «Ah! Bel corridore».
«Sono stato fortunato perché oltre a essere uno dei miei preferiti abbiamo le stesse misure, altrimenti l'avrei comprata inutilmente, e invece ci sono venuto sin qui pedalando» concluse.
Il tifoso si mostrò all'altezza della sua bici tanto quanto Danny van Poppel in un ruolo che la squadra – non più la Wanty-Gobert, ma la BORA-hansgrohe - gli ha cucito su misura. Dopo diverse stagioni passate a fare un po' il pilota, un po' l'aiutante tuttofare; un po' la seconda punta o il classico uomo veloce, ma non velocissimo, piazzato perlopiù, a volte vincente magari nelle semiclassiche tra Belgio e Olanda.
Un ruolo, quello dell'ultimo uomo delle volate, che Danny van Poppel interpreta come un divo degli anni '50 tutto gel e giubbotto di pelle. Il classe '93 olandese al momento si consacra come migliore lead out, pesce pilota, ultimo uomo, usate il termine che preferite, al mondo, rubando quell'ideale primato a Michael Mørkøv, il corridore che più di tutti in questi anni ci ha affascinato nel vederlo guidare diversi velocisti: da Kristoff a Viviani passando per Gaviria, da Cavendish a Jakobsen. Punto di riferimento per gli sprinter, ma anche per noi che attendiamo con le palpitazioni di vedere i corridori lanciati verso il traguardo a quelle velocità.
Danny van Poppel, dunque, capace di pilotare nelle ultime tre volate disputate due corridori completamente differenti e riuscendo di volta in volta a interpretare al meglio le loro caratteristiche.
«Jakobsen – racconta van Poppel subito dopo la vittoria del suo connazionale all'Europeo di Monaco - predilige essere lasciato a ruota di quello che in corsa battezza come avversario più pericoloso». Detto fatto, van Poppel, con l'orrenda maglia bianca della nazionale olandese, lo tira fuori dalle beghe e lo lascia lì, poi Jakobsen porta a termine il suo incarico.
Sabato, invece, strade olandesi, zeppe di pubblico e arredo urbano e pericolosamente pronte alla prima volata della Vuelta 2022, van Poppel guida perfettamente Bennett che vince in una stagione ingarbugliata, lui che un paio di anni fa raggiunse la cima – o quasi - nel ruolo di uomo più veloce del mondo e che invece da un po' di tempo sembrava non riuscire più a trovare una via di fuga al bordello psicofisico in cui era finito.
«Bennett – ha raccontato sempre van Poppel – a differenza di Jakobsen vuole essere lasciato davanti con strada libera». Due modi di interpretare le volate completamente differenti e che il corridore della BORA-hansgrohe al momento interpreta con enorme profitto, anzi di più, perfeziona quel tipo di ruolo portandolo a un livello superiore.
Domenica, ancora un altro mezzo capolavoro. A poche centinaia di metri dal traguardo, van Poppel esce di ruota da un suo avversario - e siamo intorno alla decima posizione - con lo striscione dell'arrivo che si fa sempre più vicino, le urla dei tifosi sempre più forte, i telefonini sempre più pericolosamente al di qua delle transenne. Van Poppel esce di ruota e prende aria lanciando perfettamente il suo capitano che vince ancora la volata. «Quello che ha fatto van Poppel è stato un colpo da maestro» dirà Bennett subito dopo il traguardo.
Da appassionato di van Poppel e due ruote ho invidiato il tifoso tedesco per essere salito fino su all'Alpe d'Huez con quella bicicletta, anche se, a causa delle mie misure – sono alto un metro e settanta scarso – non ne sarei stato mai all'altezza. Mi sarei sentito come il nano di una storia di fantasia alle prese con la bici di un gigante. Quella del migliore ultimo uomo al mondo.
Il monumentale de La Vuelta 2022
In principio era Il Monumentale, per l'edizione numero 77 della Vuelta che partirà fra poche ore da Utrecht sarà “El Monumental”, concedeteci la licenza. La Vuelta, ovvero la più giovane delle tre grandi corse a tappe del calendario e che da diverso tempo chiude l'annata dei Grandi Giri; la Vuelta, quella che spesso diventa rifugio per delusi della stagione, per chi prova difficili o improbabili doppiette o triplette, oppure utile per mettere vicino chilometri per il finale di stagione e che spesso significa mondiale su strada o varie corse di un giorno. Nessuno la snobba sia chiaro, anche se forse qualcuno la usa come palestra. Di sicuro spesso è corsa incerta e allo stesso tempo spettacolare, scoppiettante.
La Vuelta 2022, però, significa anche – a scriverlo viene il magone – l'ultimo ballo per Nibali e Valverde che dal 2023 non saranno più in gruppo, e per chi è cresciuto e ora sta invecchiando con loro fa un certo effetto. Entrambi alla vigilia della corsa hanno usato parole simili: «Aiutare la squadra, vincere una tappa, ma soprattutto divertirsi».
IL RIBALTONE
Il Giro d'Italia e poi il Tour de France di quest'anno hanno visto i pronostici ribaltati: sulle strade italiane, con partenza dall'Ungheria, il favorito era Carapaz che arrivò a tre chilometri dalla vittoria finale - eravamo sul Fedaia. Ha vinto Hindley e più di qualcuno, chi scrive questo pezzo compreso, è rimasto sorpreso. Al Tour c'era un solo favorito d'obbligo, inutile girarci attorno, ma fa già parte della storia la sua crisi sul Granon, gli errori tattici sul Galibier, la condotta della Jumbo-Visma che lo mise nel sacco, e così Vingegaard ha superato Pogačar e ha portato in Danimarca - da dove si partiva - il successo finale.
Anche alla Vuelta il favorito d'obbligo potrà essere superato e battuto da qualcun altro? Si, potrebbe andare così... non fosse che in Spagna, come vedremo, non ci sarà un favorito d'obbligo.
Ci sarà Roglič, però, sciolte le riserve all'ultimo momento, che proverà a raggiungere Heras, recordman di vittorie, a quota 4 successi finali. Avrà recuperato la condizione dopo l'infortunio al Tour? Vedremo, non crediamo abbia ritardato nel confermare la sua presenza in Spagna (in Olanda, per essere precisi) per fare pre tattica, al Tour si è fatto male davvero e lo stato di forma sarà un'incognita. Potrebbe mancargli il ritmo gara, potrebbe partire forte e poi finire piano o viceversa, quel che è certo è che la sua stagione è stata a inseguire il miglior colpo di pedale - al netto dei successi alla Parigi-Nizza e al Delfinato, frutto della sua classe e di un grande lavoro di squadra, più che di una brillantezza di condizione. Insomma, tra tanti punti di domanda sopra la testa di quasi tutti i favoriti al via, il più grosso campeggia sulla testa dello sloveno.
A proposito di sloveni, non ci sarà Pogačar che qui ha corso nel 2020 il suo primo Grande Giro conquistando il suo primo grande podio; a proposito di Tour: non ci sarà Vingegaard e non ci sarà Bernal nonostante si vociferasse diversamente qualche settimana fa.
E allora dunque andiamo a vedere quali saranno i nomi dei principali pretendenti alla maglia rossa finale (La Roja) in una corsa che, come successo al Giro (partito dall'Ungheria) e al Tour (partito dalla Danimarca), vedrà il via fuori dai propri confini: per la precisione da Utrecht, Olanda, che a suo modo fa registrare un primato importante: è il primo paese al mondo a ospitare la partenza di tutti e tre i Grandi Giri, accadde con il Tour nel 2015 e con il Giro nel 2017.
I SETTE NOMI DA SEGUIRE PER LA ROJA
Stavolta la mettiamo giù diversamente, perché analizzando la lista di partenti appare difficile trovare un corridore favorito rispetto agli altri. Oltretutto siamo a fine stagione e, tra energie residue e motivazioni differenti rispetto ad altri momenti della stagione, le corse viaggiano sempre su una linea di incertezza: molti uomini cambieranno casacca da qui a pochi mesi, altri arrivano da problemi di natura fisica varia, altri da alti e bassi, altri ancora li aspetti e poi non arrivano e poi ci sono anche quelli che già hanno messo le mani avanti sulle proprie condizioni e non sai mai se fidarti delle loro parole.
Ecco dunque i favoriti o presunti tali, rigorosamente in ordine alfabetico.
ALMEIDA JOÃO
Il portoghese, dopo il ritiro al Giro quando era in piena lotta per il podio, arriva in Spagna - pardon in Olanda - con i galloni del capitano della sua squadra. Conosciamo tutti le caratteristiche del lusitano, corridore mai domo se ce n'è uno, da capire quanto il percorso spagnolo sia disegnato per la sua resistenza senza un domani in salita, la sua capacità a cronometro, il suo spunto veloce. Si farà fatica e tanta nelle tre settimane di una Vuelta dal disegno un po' così, ma il podio per lui, all'esordio nel Grand Tour spagnolo, è un obiettivo. Da capire quanto il Covid preso al Giro abbia inciso sulla sua preparazione: alla vigilia una frase che non dà troppe speranze ai suoi tifosi: «Non so cosa aspettarmi da questa Vuelta, le gambe non girano come vorrei».
CARAPAZ RICHARD
Lui che sul podio in Spagna (e anche in Francia) c'è già stato, era il 2020, Vuelta novembrina e Carapaz finì per mettere in grosse difficoltà Roglič; lui che ha vinto un Giro e che quest'anno senza mai brillare eccessivamente - pur vestendo la maglia rosa fino al traguardo della penultima tappa – ha rischiato di rivincerne un altro; lui che sarà alle ultime pedalate in maglia INEOS prima di accasarsi altrove (pare in EF ma ancora non arriva la conferma ufficiale), a cosa potrà ambire? In condizioni normali diremmo: “come minimo alla vittoria finale”, ma il Carapaz 2022 lascia diversi dubbi, anche se la sua squadra in mezzo ai tanti galli al via lo ha investito ufficialmente del ruolo di capitano.
HINDLEY JAI
Cerca una clamorosa doppietta Giro-Vuelta prima di tuffarsi nel 2023 alla grande sfida del Tour. Ha una squadra forte, fortissima, la più completa in corsa con la quale potrà difendersi da subito nella cronosquadre di apertura, e lui ha dimostrato di essere uno degli scalatori più continui del gruppo cosa che non guasta in una Vuelta particolarmente ricca di difficoltà altimetriche. Le spalle poi sono alleggerite dopo la maglia rosa vestita a Verona e quando la strada sale il rapporto peso potenza risulta sempre fondamentale. Staccarlo sulle pendenze più dure? Un'impresa per tutti. Dite che forse sotto sotto un favorito assoluto lo abbiamo trovato?
MAS ENRIC
Si porta addosso un macigno composto da una nazione intera che, in attesa dei due prodigi Juan Ayuso e Carlos Rodriguez, sogna di rivincere la Vuelta a otto anni dall'ultimo successo (Contador nel 2014); un macigno composto dalle difficoltà della Movistar che rischia il posto nel World Tour se non dovesse cambiare marcia nelle tre settimane in terra spagnola; un macigno che è la convivenza con Valverde all'ultima Vuelta della sua carriera: e se dovesse chiedere spazio L'Embatido? Un macigno che si è creato lui, corridore che in salita non ha nulla e nessuno da temere, ma a cui spesso sembra mancare qualcosa, non tanto dal punto di vista fisico, quanto mentale. Sarà la Vuelta della sua svolta?
O'CONNOR BEN
Occhio all'australiano che, dopo il ritiro dal Tour, un po' come accadrà per Roglič, deve consumare quelle energie che parevano pronte da sfogare in terra francese. Un avvio in Francia che peggio non si poteva dopo la caduta nelle prime tappe, ma O'Connor ha provato, ha stretto i denti, poi ha pensato sarebbe stato meglio farsi da parte. Ma ehi! C'è un altro Grande Giro da correre e la Vuelta zeppa di montagne potrebbe sorridergli. Vediamo che tipo di corsa ci sarà, lui che predilige un andamento senza padroni che potrebbe permettergli di cogliere la palla al volo e provare a vincere dando spettacolo e attaccando, anche da lontano. L'obiettivo minimo resta comunque almeno una tappa di montagna, il podio, ha detto alla vigilia, «Un sogno».
ROGLIČ PRIMOŽ
In un mondo fatto di numeri e bit lo sloveno partirebbe favorito assoluto; in un mondo fatto solo di carta e penna il suo nome lo scriveremmo a caratteri cubitali al primo posto, ma in un mondo nel quale la sua presenza è stata in dubbio fino all'ultimo, Primoz Roglič non partirà come favorito a caccia della quarta consecutiva e anzi, lo ammettiamo, è stato inserito in questa lista più per il fatto di essere il tre volte campione uscente che per reali sensazioni a proposito della sua forma. Oltretutto una Vuelta così impegnativa - sulla carta è perfetta per lui - rischia di metterlo subito in difficoltà al ritorno in Spagna, per la precisione nei Paesi Baschi, quando si arriverà dopo il primo giorno di riposo. I maligni, di cui è pieno il mondo, dicono sia stato inserito per dovere di sponsor, vista la partenza dall'Olanda, patria Jumbo. Altri, sempre con la lingua tagliente sostengono che si sia preparato a puntino per questa corsa... a qualcuno ricorda il Contador del 2014 che arrivò dopo il ritiro al Tour e poi vinse. Noi non ci sbilanciamo e ci infiliamo in mezzo alle due correnti di pensiero. Il cronometro alla fine ci darà tutte le risposte che cerchiamo.
YATES SIMON
L'autore di questo articolo non lo nasconde, ma ha un certo debole per Simon Yates. Corridore che alterna un'esasperante concretezza nelle giornate buone a momenti di buio anche quando meno te lo aspetti e che fanno venire il panico e i nervi. Vincente e perdente nell'arco di pochi giorni: da qui il fascino che emana. Dopo le due vittorie di tappa al Giro – e il ritiro – Yates è rientrato di recente infiammando le strade spagnole dominando Villafranca de Ordizia e Castilla y Leon: ci pare un buon biglietto da visita per colui che resta l'ultimo vincitore di questa corsa prima dell'era Roglič. Anche a lui il percorso gli si addice perfettamente a patto di salvarsi nella crono di 30 km con arrivo ad Alicante, tappa numero 10, a patto di mantenere fede alle sue parole: «Vado alla Vuelta per vincere».
OUTSIDER
Diverse – tantissime - le alternative presenti al via, tra quei corridori che potrebbero rappresentare uno spauracchio per l'alta classifica – pure per podio o vittoria - o puntare a un piazzamento nei 10 o magari, vista la situazione che si potrebbe venire a creare, semplicemente essere protagonisti quando la strada sale e si fa selezione.
Ecco un nome su tutti, colui che almeno per questa Vuelta rappresenta l'outsider per antonomasia: Remco Evenepoel. Si testerà nel suo secondo Grande Giro della carriera per capire cosa potrà diventare, ma intanto ce lo godiamo come vincitore di corse di un giorno di un certo peso con il suo marchio di fabbrica: via in progressione su salite non troppo lunghe sviluppando una potenza alla quale è difficile resistere. Cosa potrà fare in questa Vuelta in classifica non lo sappiamo, ma qualche tappa è alla sua portata. La squadra gli affiancherà Fausto Masnada che potrebbe dare più garanzie per la classifica e il giovane Ilan Van Wilder, coetaneo e rivale tra gli junior di Evenepoel e per certe caratteristiche una sorta di versione meno potente – ma con tanto talento lo stesso – proprio del fenomenale belga.
In casa DSM molto interessante la presenza di Thymen Arensman che dopo aver lavorato per Bardet – poi costretto al ritiro – al Giro, per la prima volta nella sua giovanissima carriera proverà a sobbarcarsi l'impegno di essere uomo di classifica in una corsa così dura, lui che ha già detto: «Ho imparato tanto da Bardet, ora è il momento di mettere a frutto i suoi insegnamenti», lui che lo ricordiamo chiudere il Tour de l'Avenir del 2018 alle spalle di Pogačar e davanti a Mäder, Vlasov, Champoussin e Almeida, tutti corridori più grandi di lui di età. A fine stagione lascerà la squadra olandese per volare verso la INEOS. In DSM fa il suo esordio in un Grand Tour anche Henri Vandenabeele, classe 2000 e due volte sul podio al Giro d'Italia Under 23, per lui il compito di fare esperienza, così come per il giovanissimo Marco Brenner, tedesco classe 2002 (secondo più giovane al via) ex ragazzo prodigio e passato direttamente professionista dalla categoria juniores a quella dei professionisti lo scorso anno.
C'è un terzetto anche per l'Astana e che terzetto: Vincenzo Nibali, Miguel Ángel López, Andrej Lutsenko. Sarà l'ultima grande corsa a tappe per Nibali, sarà l'ennesima volta in cui aspettiamo Lopez al riscatto, sarà un palcoscenico importante per il regolare Lutsenko il quale, dopo aver ottenuto due top ten al Tour nelle ultime due stagioni, sulle strade spagnole potrebbe più semplicemente andare a caccia di tappe. Con loro da seguire anche David de la Cruz corridore che in passato più di una volta ha avuto importanti velleità di classifica proprio alla Vuelta chiusa per ben tre volte al 7° posto finale (2016, 2020 e 2021).
Vi sentite ispirati nel provare a scommettere – simbolicamente si capisce – su un nome di seconda fascia? Ecco Juan Pedro López, per tutti Juanpe. Lo abbiamo imparato a conoscere e ad apprezzare al Giro d'Italia, diversi giorni in maglia rosa e 10° posto finale, ma già 13° in classifica alla Vuelta nel 2021. Difficile possa andare a disturbare chi lotterà per la Roja finale, ma il suo storico ci racconta di un corridore regolare, ma in costante crescita sin dagli Under 23.
Jesus Herrada sarà l'uomo deputato a portare punti in casa Cofidis (non dimentichiamo l'importanza della Vuelta per alcune squadre in lotta per non uscire dal World Tour e la Cofidis è tra quelle) provando a tenere duro in classifica e magari a vincere una tappa o la maglia a pois, di fianco a lui fa l'esordio in un GT il talentuoso scalatore francese Thomas Champion, c'è Rémy Rochas – altro uomo forte in salita- , e infine Rubén Fernández, uno che ha un Tour de l'Avenir nel palmarès – era il 2013 e conquistò la corsa francese davanti ad Adam Yates e Konrad – ma zero vittorie da professionista.
L'AG2R-Citroën si presenta al via con una squadra molto più competitiva dei connazionali, dietro O'Connor infatti ecco il ritrovato Bob Jungels e Clément Champoussin entrambi con la possibilità di difendersi in salita, in classifica e vincere una tappa. Occhio anche al finlandese Jaakko Hänninen che dopo alcune difficoltà nell'approccio con il mondo dei professionisti ultimamente sta facendo intravedere tutte le sue qualità. E la salita è il suo pane.
Sempre per rimanere in Francia la Groupama-FDJ dopo aver raccolto parecchio tra Giro (le tappe e la Ciclamino con Démare) e Tour (il piazzamento a ridosso del podio di Gaudu) punta alla Vuelta con Thibaut Pinot - perlopiù a caccia di tappe - e Rudy Molard che nel 2018 alla ottenne il 14° posto finale vestendo per 4 giorni la maglia di leader – quell'anno Pinot vinse due frazioni di montagna. Con loro lo svizzero Sebastian Reichenbach, gregario e all'occorrenza uomo da primi venti posti in classifica.
Sempre dalla Francia, l'Arkéa Samsic, squadra Professional invitata di diritto, che sarebbe stata interamente raccolta attorno a Nairo Quintana. Lo scalatore colombiano, però, vincitore della corsa spagnola nel 2016 di recente ha visto cancellato il 6° posto ottenuto poche settimane fa al Tour a causa di una positività al tramadolo e nelle ultime ore ha comunicato che non prenderà il via della corsa. La squadra bretone, che ha deciso di non sostituire Quintana, a questo punto potrebbe semplicemente provare ad andare in fuga e a vincere delle tappe - Gesbert il più quotato.
Abbiamo accennato alle Professional, sono 3 quelle spagnole – è rimasta fuori un po' a sorpresa e chiaramente non senza polemiche la Caja Rural. La Kern Pharma vuole mettere in mostra i suoi ragazzi da classifica come José Felix Parra ('97, vincitore nel 2021 del Tour de l'Alsace), Roger Adrià ('98, scalatore dotato di spunto veloce) e soprattutto Raúl García Pierna (2001). Tra i giovani spagnoli uno dei più interessanti da seguire, Raúl García è il figlio di Félix Garcia Casas che in molti ricorderanno come ex corridore della Festina capace in carriera di piazzarsi in classifica in tutti e tre i Grandi Giri. Per i tre spagnoli sarà l'esordio assoluto in una grande corsa a tappe con la possibilità di mettersi in mostra e chissà credere nel salto nel World Tour il prossimo anno. Saranno affiancato in salita da Héctor Carretero arrivato dalla Movistar proprio quest'anno.
L'Euskaltel-Euskadi movimenterà tutte le tappe, tra Luis Angel Maté, Xabier Azparren, Joan Bou, ma soprattutto con i due Mikel d'esperienza, Iturria, vincitore nel 2019 della tappa conclusa a Urdax-Dantxarinea, unico successo in carriera, e Bizkarra, 17° lo scorso anno in classifica. Non sono più i tempi in cui “ la nazionale basca del ciclismo” vinceva a ripetizione tappe nei Grandi Giri, è vero, ma la loro maglia arancione si farà vedere spesso in fuga.
Infine la Burgos BH, terza e ultima compagine ProTour spagnola che avrà nell'eterno Dani Navarro il proprio capitano. Escluso all'ultimo Madrazo (positivo al Covid) che di questa squadra sarebbe stato l'atleta più rappresentativo, avrebbe tentato di vincere una tappa, quella di casa con arrivo al Pico Jano, e avrebbe lottato per la maglia a pois. Al suo posto al via un monegasco che si difende in salita, Victor Langellotti, recentemente vincitore di una tappa alla Volta a Portugal.
Tornando alle alternative da classifica di cui è zeppo il World Tour: in casa BORA-hansgrohe niente male l'eventuale riserva in campo di Hindley, ovvero Wilco Kelderman, corridore che potrebbe ambire anche a un piazzamento nei primi 5. L'olandese saprà essere affidabile ultimo uomo del compagno di squadra australiano qualora, come successo al Giro, Hindley desse maggiori garanzie per salire sul podio. Per un problema fisico invece è saltato Emanuel Buchmann. Al tedesco, 4° al Tour del 2020, da un paio di stagioni tra cadute e malanni sembra non andargliene dritta una. Il corridore è stato sostituito da Matteo Fabbro che avrà la possibilità di mettersi in mostra lavorando duramente in salita per i suoi capitani.
Il capitolo INEOS Grenadiers è quello tra i più complessi in assoluto. Lo squadrone britannico, qui con una squadra con diversi talenti al loro esordio in un GT, sulla carta ha in Carapaz il numero uno, ma l'ecuadoriano campione olimpico, come già detto, non sta di certo facendo la miglior stagione in carriera – al netto del 2° posto dell'ultimo Giro d'Italia - e le voci di un quasi certo divorzio a fine stagione potrebbero anche pesare sul rendimento. E allora, quali migliori garanzie potrebbero arrivare da corridori che portano il nome di Tao Geoghegan Hart, che appare ritrovato e voglioso di fare fatica dopo aver saltato sia il Giro che il Tour in questa stagione, di Carlos Rodriguez Cano, che rappresenta una delle future stella del ciclismo spagnolo per le corse a tappe – secondo alcuni anche per le corse di un giorno più dure – e Pavel Sivakov che arriva dalla vittoria al Tour de Pologne? Sulla carta tutti nomi da alta classifica. Ah e non dimentichiamo Luke Plapp, classe 2000 anche lui all'esordio in un Grande Giro e che sarà tutto da seguire per una carriera simile a quella del connazionale Rohan Dennis, corridore al quale viene naturale accostarlo. Menzione a parte merita Ben Turner, altro giovane esordiente in una corsa di tre settimane, questa primavera è stata una delle rivelazioni in assoluto del ciclismo che conta, il suo compito, qui in Spagna, sarà quello di faticare per i compagni e magari provare a togliersi qualche soddisfazione personale. Entrambi i ruoli sembra svolgerli benissimo, con rara compostezza, potenza e qualità.
Abbiamo parlato di seconde linee in squadre che almeno alla partenza pare abbiano già delineato un capitano ed ecco che in tal senso va a inserirsi Brandon McNulty che, dopo il Tour, è chiamato a fare gli straordinari per l'UAE. L'americano avrà il compito di restare di fianco il più possibile ad Almeida e di dare il proprio importante supporto nella cronosquadre di apertura. Con lui, l'altra stella emergente del ciclismo spagnolo, Juan Ayuso, il quale pareva fino a qualche settimana fa lanciato verso il Tour de l'Avenir e invece farà il suo esordio da subito in un Grande Giro e a 20 anni ancora da compiere sarà il più giovane corridore al via. C'è tanta attesa attorno al suo nome per capire, stavolta letteralmente, cosa potrà diventare da grande. Ha le qualità per emergere come corridore da corse a tappe di tre settimane, è veloce, scaltro, resistente in salita, è sfacciato il giusto, e il compito dei tecnici sarà quello di riuscire a farlo convivere con colleghi sulla carta più pronti di lui. Infine, oltre a Jan Polanc, tuttofare per la salita, presente il nostro amato cavallo pazzo Marc Soler che dopo il ritiro al Tour si rimette in bici per provare se non altro a vincere una tappa e a dare il suo contributo nelle tappe più impegnative.
La Jumbo-Visma oltre a Roglič, porta Sepp Kuss e Sam Oomen, garanzie per la salita (così come Chris Harper), ma anche, nel caso vadano male le cose con lo sloveno, pure per un posto nei primi 10,15 della classifica generale, mentre in casa Movistar sarà Alejandro Valverde ad affiancare Mas. L'Embatido, che si ritirerà a fine stagione, vorrà lasciare il segno a modo suo, che significa come minimo provare a tenere duro in classifica e vincere qualche tappa. Il giovane belga Maxim Van Gils sarà, insieme al connazionale Steff Cras, l'uomo da classifica della Lotto Soudal: entrambi dovranno cercare di racimolare punti pesanti per il discorso permanenza nel WT. Al momento la squadra belga sarebbe retrocessa.
Problema condiviso con la Israel Premier Tech che vive una situazione di classifica ancora più complessa e che qui in Spagna si affiderà al norvegese Carl Fredrik Hagen, nome da filosofo, ma tanta incostanza di risultati, e soprattutto a Michael Woods, lui sì invece una garanzia quando la strada si impenna. Il canadese stringerà i denti per provare anche a fare classifica. Al via della Vuelta anche un certo Chris Froome il quale però ha già messo le mani avanti su una forma non al meglio a causa del Covid preso al Tour.
La Intermarché Wanty Gobert, una delle squadre rivelazioni di questo ultimo biennio ciclistico, piazza un terzetto mica male: Domenico Pozzovivo che insegue l'ennesima top ten in una Grande Giro, Louis Meintjes che studia esattamente dallo scalatore lucano, e Jan Hirt, che saluterà la compagnia belga a fine stagione per diventare pedina Quick Step e prima di farlo vorrebbe aggiungere al successo conquistato sull'Aprica al Giro, una vittoria importante anche in Spagna. Con loro Rein Taaramäe, solido gregario in salita utile anche da infilare in qualche fuga buona.
La Alpecin-Deceuninck arriva alla Vuelta con poche ambizioni di classifica, però occhio a Jay Vine, già in evidenza alla Vuelta 2021 e che in salita ha numeri molto interessanti, e a un ritrovato – di recente - Robert Stannard, grande talento tra gli Under 23 in attesa di esplosione. A inizio stagione avevamo detto che il passaggio dal Team Bike Exchange ci pareva la scelta migliore per imporsi a grandissimi livelli, ma attendiamo ancora di vedere suffragate le nostre idee. Visto che citiamo Stannard, nominiamo anche Lucas Hamilton, una sorta di gemello. Lui invece è rimasto con il gruppo Orica GreenEdge che lo ha lanciato tra i professionisti, sarà di base l'ultimo uomo in salita di Yates, ma potrebbe anche togliersi qualche soddisfazione personale.
Chiudiamo la lunga lista degli outsider citando le ultime due squadre che hanno presentato la propria formazione per la Vuelta: Bahrain Victorious e EF Education Easy Post.
La Bahrain porta Mikel Landa che si è chiamato fuori dalla lotta per la classifica (alleggerisce la pressione o sono reali sensazioni sulla sua forma?) altrimenti lo avremmo inserito come minimo tra i favoriti, e con lui due nomi pesanti per la salita ed eventualmente anche per l'alta classifica: Wout Poels e Gino Mäder. L'olandese è corridore solidissimo, capace di grandi giornate e con il passare delle tappe pure di fare classifica, lo svizzero, tra le rivelazioni del 2021, quest'anno sta vivendo una stagione molto difficile e cerca il riscatto sulle strade spagnole. Terreno per rifarsi ce n'è in abbondanza. Menzione a parte per il colombiano Santiago Buitrago, vincitore di tappa al Giro, forte in salita, potrebbe essere uno dei nomi più importanti in salita di questa corsa.
EF Education-Easy Post si presenta con il miglior terzetto possibile per la classifica: l'obiettivo è quello di non rimanere invischiati in una clamorosa retrocessione dal World Tour, ma d'altronde per loro è un'annata ampiamente insufficiente. Dunque compito di Rigoberto Urán, Esteban Chaves e Hugh Carthy quello di raccogliere il massimo possibile dalla corsa spagnola.
A CACCIA DI TAPPE: I VELOCISTI
Liquidiamo in breve il discorso velocisti: non tantissime le volate, non tantissime le ruote veloci presenti. I nomi più interessanti sono cinque: Tim Merlier (Alpecin-Deceuninck), Kaden Groves (Team Bike Exchange) e Mads Pedersen (Trek Segafredo) che partono con i favori del pronostico rispetto a Pascal Ackermann (UAE Team Emirates, con lui anche Juan Sebastian Molano), e Sam Bennett (BORA-hansgrohe).
In seconda fila ecco invece Bryan Coquard (Cofidis) sul quale continua a pesare lo zero nella casella vittorie nel World Tour, Danny van Poppel (ultimo uomo di Bennett, ma vedremo se sarà soltanto quello), Daniel Mclay (Arkéa Samsic), Mike Teunissen (Jumbo Visma) e i due spagnoli Francisco Galván (Kern Pharma) e Manuel Peñalver (Burgos-BH). Un nome che attende invece di rivelarsi al grande pubblico è quello del giovane belga Gerben Thijssen (Intermarché Wanty Gobert) che proprio in una volata della Vuelta – era il 2020 – ottenne uno dei suoi risultati migliori in carriera chiudendo al 2° posto la tappa di Aguilar de Campoo, battuto allo sprint solo da Ackermann. Thijssen pochi giorni fa ha conquistato al Giro di Polonia il successo più importante da quando corre vincendo proprio davanti ad Ackermann la volata con arrivo a Zamość.
Per quelle volate un po' più complesse presenti invece il talentuoso britannico Jake Stewart (Groupama FDJ), il neozelandese della Israel Premier Tech Paddy Bevin, l'ormai non più giovane John Degenkolb (DSM), che si dividerà presumibilmente il compito di sprintare con Nikias Arndt, e l'italiano Andrea Vendrame (AG2R) il quale però, all'esordio alla Vuelta, ha già dimostrato nei Giri d'Italia disputati di essere qualcosina di più di un corridore da arrivi di gruppo, ma potrà, se troverà la condizione strada facendo, tentare vincere andando in fuga, pure su percorsi impegnativi. Oltretutto il corridore veneto ambisce anche a un posto in maglia azzurra su un circuito adattissimo alle sue caratteristiche.
FUGHE, CRONOMAN E CLASSICOMANI
Ma non solo velocisti; c'è una lista di nomi da seguire con attenzione per altri tipi di arrivi: nelle prime giornate occhio a questi corridori che andremo a nominare anche in prospettiva classifica (parziale) grazie a tracciati che solleticano la loro fantasia. Sono tre che spiccano sopra gli altri, con background e caratteristiche differenti, ma tutti e tre con ambizioni importanti: Sergio Higuita, BORA-hansgrohe, è il primo. Il campione nazionale colombiano, scattista veloce, ma forte anche in salita, oltre a provare a far classifica e a rimanere il più possibile vicino a Hindley, avrà – crediamo – anche la necessaria libertà per provare a vincere qualche tappa.
Julian Alaphilippe: inutile presentarlo, diciamo solo che arriva da una vigilia un po' tormentata. Oltre ai problemi che si porta avanti da inizio stagione – prima la caduta alle Strade Bianche poi quella alla Liegi che gli ha fatto saltare persino il Tour – ci si è messo anche Lefevere. Il sulfureo team manager della Quick Step pochi giorni prima del via ha dichiarato: «Lo scorso ha corso il Tour de France in preparazione al Mondiale, spero non si ripeta la stessa situazione [alla Vuelta]. Puoi farlo una volta, ma io non lo pago certo per vincere la maglia iridata con la Francia». La coppia Alaphilippe – Evenepoel promette comunque di dare spettacolo, con l'ingrediente Lefevere a dare pepe a tutto ciò che gira intorno al loro mondo.
Il terzo invece è un esordiente in una grande corsa a tappe: Ethan Hayter, INEOS - Grenadier, veloce, resistente, forte a cronometro, si difende anche in salite non troppo lunghe e pendenti, insomma un giovane coltellino svizzero britannico. Ha detto di puntare forte sulla prova contro il tempo di Alicante – ma il suo apporto sarà fondamentale anche nella crono di apertura. Dopo le due volate olandesi i percorsi vallonati in terra basca del quarto e quinto giorno di gara sembrano tagliati su misura per lui che potrebbe anche ambire a vestire una maglia rossa parziale.
Interessante in quanto veloce e capace di entrare in fuga il sudafricano della Israel Premier Tech, Daryl Impey, mentre sempre per le fughe da seguire il francese Quentin Pacher, in grande forma a inizio stagione, e il suo compagno di squadra in Groupama-FDJ Bruno Armirail. A proposito di fughe: la Bahrain ha due pedine come Luis Leon Sanchez e Fred Wright che in un Tour molto sottotono per la loro squadra, sono stati tra i più positivi andando vicinissimi al successo di tappa più di una volta, ma occhi puntati in casa Bahrain soprattutto sul già citato Buitrago, vincitore di una tappa in salita al Giro, è fra gli scalatori più attesi a questa corsa. A proposito di scalatori: Kenny Elissonde (Trek Segafredo) e Nans Peters (AG2R), entrambi francesi, proveranno a lasciare il segno in salita. Per il primo sarebbe un ripetersi alla Vuelta: un successo in carriera conquistato nel WT e fu proprio qui nell'ormai lontano 2013, per il secondo sarebbe il tentativo di iscriversi al club dei vincitori di tappa in tutti i Grandi Giri, dopo i successi al Giro (2019) e al Tour (2020).
C'è il fugaiolo per antonomasia Thomas De Gendt che disputerà il suo 23° Grande Giro, in squadra con lui l'australiano Harry Sweeny che dopo l'ottimo impatto con i professionisti lo scorso anno, quest'anno ha faticato oltremodo. Entrambi andranno a caccia di fughe con la speranza come detto in precedenza, di raccogliere punti per la Lotto Soudal.
Restando in Belgio, Xandro Meurisse e Gianni Vermeersch (Alpecin Deceuninck) sono altri due corridori che amano infiammare le tappe, uno in salita, l'altro nelle frazioni miste, infine Mark Padun, scelto all'ultimo dall'EF Education Easy Post al posto di Eiking, insegue il successo di tappa in fuga in salita, come il suo compagno di squadra, l'ecuadoriano Jonathan Caicedo.
Nominiamo anche quei corridori che, oltre a essere funzionali alla squadra, in pianura, in fuga e nella crono d'apertura, potrebbe provare a dire la loro, magari vincendo, l'unica crono individuale presente in Spagna. Parliamo di Remy Cavagna (Quick Step) e Rohan Dennis (Jumbo Visma)
ITALIANI
Detto di Vendrame a caccia di tappe, di Nibali e Pozzovivo , sempre loro, anche al Giro i migliori nostri compatrioti in classifica, dall'alto della loro classe e della loro età, di Fabbro gregario BORA, e di Masnada che sarà diviso tra una possibile voglia di puntare a un buon risultato nella generale – quella che avrebbe potuto fare al Giro senza problemi di salute che gli hanno sbarrato la strada in quasi tutto il 2022 – al dovere farsi in quattro per Evenepoel e Alaphilippe – ecco chi sono gli altri italiani a completare l'elenco dei 14 al via.
Il più atteso per certi versi è Antonio Tiberi (Trek Segafredo), all'esordio in un Grande Giro, gli misureremo le pulsazioni in classifica generale, ma senza troppe pretese. In corsa, di fianco a lui, uno dei più esperti corridori italiani e su cui probabilmente potrà contare più o meno sempre: Dario Cataldo.
Da Samuele Battistella (Astana), invece, tre anni più grande del passista scalatore laziale, ci aspettiamo qualcosa in più, ma non solo noi, è lui il primo che vorrà trovare la giornata buona per vincere una tappa. La concorrenza è forte, ma ha le qualità giuste per imporsi.
Davide Villella, per le fughe in montagna e magari provare a vincere di nuovo come qualche anno fa la maglia dei GPM, e Davide Cimolai, per le volate, saranno gli italiani in quota Cofidis, divisi tra ambizioni personali e di squadra, ma visto il roster dovrebbero avere sufficiente carta bianca. Discorso diverso invece per Edoardo Affini (Jumbo Visma), fondamentale in pianura per i capitani, il primo giorno nella cronosquadre e persino per le volate di Teunissen, e per Edoardo Zambanini, altro giovane - è un classe 2001- all'esordio in un Grande Giro. Il corridore veneto ha avuto un buonissimo impatto con i professionisti, si mette a disposizione, va forte un po' ovunque (tiene in salita, ha spunto veloce) e sarà molto utile alla causa. Di sicuro lavorerà per i capitani, ma speriamo che questo non diventi il suo mestiere anche in futuro perché le qualità per emergere ci sono. Obiettivo minimo a questa Vuelta? Arrivare fino a Madrid sarebbe già un bel punto di partenza.
Infine citiamo uno dei più giovani della pattuglia italiana, Filippo Conca (classe 1998, Lotto Soudal), in attesa ancora di capire cosa potrà diventare da grande si farà in quattro per la squadra, ma lo aspettiamo anche in fuga, e uno in assoluto dei più esperti del gruppo, quell'Alessandro De Marchi (Israel Premier Tech) sul quale scommetteremo un centesimo su qualche tentativo ben riuscito di portare una fuga all'arrivo come già successo proprio sulle strade spagnole.
IL PERCORSO
Il percorso in poche parole: partenza da Utrecht, il 19 agosto, e arrivo a Madrid, con passerella, l'11 settembre. Nessuna tappa sopra i 200km (!), nove arrivi in salita – tanti, troppi, assurdi, un continuo susseguirsi di unipuerto, ma è la Vuelta han detto, e tocca seguirla così – due cronometro (una a squadre ad aprire, l'altra dopo il secondo giorno di riposo, di 30km), tra le quattro e le sei volate, due in Olanda il secondo e terzo giorno, l'ultima a Madrid. Una terza settimana con poco sapore, mentre in generale si supereranno i 2000 metri solo sulla Sierra Nevada, sull'Alto hoya de la Mora (2492metri).
I FAVORITI DI ALVENTO
MAGLIA ROSSA
⭐⭐⭐⭐⭐ -
⭐⭐⭐⭐ Hindley, Roglic, S.Yates
⭐⭐⭐ Almeida, Carapaz, Mas E., O'Connor
⭐⭐Evenepoel, Arensman, Landa, Geoghegan Hart, Sivakov, Kelderman, Valverde, Carthy
⭐ Rodriguez, Lopez MA, Lopez J., Woods, Meintjes, Pozzovivo, Poels, Mäder, Buitrago, Uran, Chaves, Masnada, van Wilder
MAGLIA VERDE
⭐⭐⭐⭐⭐ Hayter
⭐⭐⭐⭐ Merlier, Yates S.
⭐⭐⭐ Hindley, Evenepoel, Alaphilippe
⭐⭐ Groves, Valverde, Higuita
⭐ Roglic, Carapaz, van Poppel, Stewart, Vendrame, Thijssen, Wright
MAGLIA A POIS
⭐⭐⭐⭐⭐ Buitrago
⭐⭐⭐⭐ Hindley, Hirt, Pinot
⭐⭐⭐Kuss, Madrazo, Je. Herrada
⭐⭐ Roglic, Valverde, Mas E., Lopez J
⭐ Champoussin, Peters, Caicedo, Chaves, Villella, Hanninen, Reichenbach
MAGLIA BIANCA
⭐⭐⭐⭐⭐ Almeida
⭐⭐⭐⭐ Arensman
⭐⭐⭐ Evenepoel
⭐⭐ van Wilder, Lopez J., Rodriguez
⭐ Champoussin, McNulty, Buitrago, Tiberi
Foto in evidenza: ASO/PHOTOGOMEZ
Van Aert e il teorema dell'impossibile
Quando è stata l'ultima volta in cui abbiamo creduto a qualcosa di impossibile? Meglio ancora sarebbe dire: quando è stata l'ultima volta che abbiamo iniziato a fare qualcosa nonostante sembrasse, a noi e forse soprattutto agli altri, impossibile? Perché, poi, il problema è spesso quello che sentiamo dire anche quando, magari, con un pizzico di incoscienza, quell'impossibile lo stiamo per affrontare. Pensate a Wout van Aert e poi pensateci, noi abbiamo fatto così.
Van Aert con l'impossibile ha un legame particolare: lui all'impossibile ha iniziato a pensare molto tempo fa e pensando all'impossibile è diventato l'atleta che è diventato. Una sorta di contemplazione della mente che l'ha portato alla sua risposta che poi dovrebbe o potrebbe essere anche la nostra: a forza di abituarsi al possibile a tutti i costi, talvolta allo scontato, la mente dimentica le possibilità più difficili, quelle che poi cataloga come impossibili. Lo ha detto van Aert ed è una risposta a tante cose.
La ricerca dell'impossibile, anche solo la sua possibilità, sfiorata, progettata è, di fatto, un'abitudine e una capacità e, come tutte le capacità, se non si esercita si perde. Van Aert la esercita spesso, la ricerca nel fango, nel tempo perduto, nelle strade che si arrampicano e in quelle che fanno a pugni col vento e con le leggi della fisica. Van Aert la ricerca nelle fughe che paiono senza senso e forse davvero un senso non l'hanno se non esplorare l'impossibile, conoscerlo, sapere che esiste.
Conoscere questa possibilità, perché anche l'impossibile è una possibilità, non bisogna scordarselo, ha apparentemente più svantaggi che pregi. La mancanza di comprensione, prima di tutto. Perché, ad esempio, una fuga a cento chilometri dal traguardo difficilmente viene capita, soprattutto se non va in porto. Non considerare l'impossibile significa anche questo: valutare tutto in base al solo risultato finale, dimenticando ciò che c'è stato in mezzo, ciò che l'ha provocato e ciò che è stato in grado di provocare.
Ma voler conoscere l'impossibile, applicarlo come un teorema o una formula matematica non offre garanzie di risultato, non può offrirle. Se le offrisse perderebbe di senso. A van Aert quelle garanzie non sono mai interessate . La sua mente non vuole escludere alcuna possibilità.
Sperimentare l’impossibile di van Aert serve. Per migliorare la propria persona nella ricerca o anche solo per sapere che esiste e avere il coraggio di osare anche se le voci attorno raccontano esclusivamente di chi non ci è riuscito. Provare, è questo il traguardo.
Meglio Vingegaard o Pogačar?
Che colpa abbiamo noi
Ma che colpa abbiamo noi se non siamo riusciti a capirci niente di questo Tour. 'Ché tutto girava così veloce e la media record di sempre ne è testimone. 'Ché si partiva a razzo: boom, via a cinquanta all'ora. Così, giusto per prendere la fuga e alla fine le energie per scattare ce le avevano solo un paio di corridori, un paio di corridori e mezzo, per stare larghi. E in salita la storia era fatta di resistenza e logorii da pendenza asfissiante.
Abbiamo pensato a Pogačar vincitore, facile facile, alto in sella, se fosse uno scrittore sarebbe uno di quelli in punta di penna, talmente gli viene naturale districarsi, come un serpente nella roccia, nel mestiere di ciclista.
Che colpa abbiamo noi se Vingegaard ha superato ansie e paure («quando era ragazzo vomitava prima di ogni gara» racconta sua madre e quando vinse tappa e maglia al Polonia, primo successo tra i professionisti, «mi chiamò per dire che non aveva chiuso occhio tutta la notte» parole di uno dei suoi allenatori) e ha superato pure Pogačar, che alla vigilia metteva ansia e paura, e, anzi, lo ha dominato in maniera (quasi) totale.
Sorprendente Vingegaard, che al Giro della Valle d'Aosta di qualche anno fa, quando conquistò il prologo tutto in salita, disse: «Non sono adatto alle salite lunghe». Forse soltanto la Jumbo Visma sapeva che in qualche modo sarebbe andato così forte e lo ha messo nella condizione di non bluffare. E a proposito di bluff mancati, risuonano come principio assoluto le parole di Pogačar nei primi giorni: «Vingegaard è il miglior scalatore di questo Tour».
Che colpa abbiamo noi se loro, intesi i Jumbo Visma, hanno dominato; se hanno sacrificato Roglič che ha corso dieci giorni con le vertebre fratturate e si rendeva utile - se non decisivo - alla causa, nel giorno del Granon che resterà, quando descriveremo il Tour 2022, come quello de "la crisi di Tadej Pogačar".
Pogačar si è fatto ingolosire dal connazionale rivale senza sapere che ad attenderli i loro tifosi erano gemellati al traguardo, mescolati in mezzo a migliaia di camper. Poteva stare più cauto. Si è sentito forte, ha perso. Ci ha provato dal primo giorno, non ha lesinato, benedetto talento della natura. Si è mostrato umano nella retorica della sconfitta sportiva. L'anno prossimo non si farà trovare impreparato - il resto, però, dovrà farlo la sua squadra.
Che colpa abbiamo noi se Geraint Thomas, in arte G, ha guidato splendidamente fino a Parigi, ha superato lo scetticismo - quelli del sottoscritto che stravede per lui, ma non da vederlo sul podio. Ha superato avversari più giovani di un paio di lustri, ha trasformato un banale errore nella cronometro - ha corso con lo smanicato usato nel riscaldamento - nell'occasione di dare spettacolo fuori dalla corsa creando l'hashtag #wheresGsgilet con tanto di giochino da fare a ogni tappa (un tifoso diverso al giorno avrebbe portato alla frazione successiva lo smanicato, tenendolo al sicuro fino a Parigi). Pare che grazie all'idea di Lizzie Banks la giacchetta Ineos continuerà a viaggiare anche durante il Tour femminile.
Ha superato le gerarchie e al solito non si è morso la lingua nelle interviste: «La Ineos voleva fare di me un Sepp Kuss». A 36 anni ha fatto un piccolo capolavoro simile a quello di Richie Porte un paio di anni fa.
Che colpa abbiamo noi se abbiamo sottostimato la capacità di Wout van Aert di fare ciò che vuole con il ciclismo. " il corridore più forte del mondo" come lo definisce Simone Basso; supercombattivo del Tour, maglia verde che gli sta persino stretta e avesse vinto lui a Hautacam, avrebbe potuto conquistare pure quella a pois. Ha fatto la sua corsa, quella di Vingegaard, quella di tutti gli altri del gruppo. Quando ha deciso avrebbe vinto Laporte così è andata.
Che colpa abbiamo noi se ci piace Gaudu con quella faccia da Harry Potter francese e il suo lento recuperare passo dopo passo e arrivare al 4° posto, oppure Simmons che a 21 anni e più giovane al via, nel computo delle fughe viene oscurato solo da van Aert. Che colpa abbiamo noi se di volate ce ne sono state poche, meglio così, ma buone, come l'ultima a Parigi.
Che colpa abbiamo noi se l'Italia – al maschile – fa fatica, troppa, e ci rimangono solo i segnali mandati da Dainese, Bettiol e Mozzato, promossi con lo sguardo per tutti e tre verso un finale di stagione in maglia azzurra.
Che colpa abbiamo noi se un altro Tour è andato e l'unica cosa che possiamo chiederci resta: quanto manca alla prossima Grand Départ?
Cinque cose sul Tour
Il Tour entra nell'ultima settimana. Calda e probabilmente le temperature incideranno su rendimento e risultati. Tre frazioni pirenaiche in crescendo, partendo da quella di Foix, arrivando su a Hautacam, passando per Peyragudes. Terreno per inventarsi qualsiasi cosa ci sarà. Poi una volata, la crono - bella lunga - e la passerella finale sui Campi Elisi.
LA FORZA DELLA JUMBO - Da misurare. Inscalfibili fino all'Alpe d'Huez poi è successo qualcosa che ha ingarbugliato all'improvviso il filo del destino. Nella tappa del Granon hanno messo in scena una tattica aggressiva andata bene, benissimo. Hanno fatto saltare (di testa e di gambe) chi pareva dovesse dominare quasi con un fil di gas la corsa. Poi hanno iniziato a perdere qualche colpo - a Mende, dove la sensazione era quella di una squadra in gestione delle forze - e a Carcassone dove più che perdere colpi, all'improvviso hanno perso due corridori, Kruijswijk e Roglič, mentre un terzo, Benoot è acciaccato. Fortuna loro che, come ha detto uno dei direttori sportivi di Pogačar: «La Jumbo possiede due squadre, una è rappresentata solo da van Aert». Da domani il belga, sin qui protagonista ineguagliabile di ogni tappa di questo Tour, se possibile dovrà dare fondo ancora di più a quell'incredibile motore arrivato a pieno regime nel mese di luglio 2022. Menzione per Kuss che nella prossima tre giorni dovrà svestire i panni dell'ottimo scalatore e diventare l'angelo custode di Vingegaard. Ce ne sarà bisogno.
RIBALTARE UN TOUR - E come si fa? La strada c'è, ma le forze saranno da quantificare. Vingegaard tra l'Alpe e Mende si è incollato alla ruota di Pogačar che ha fatto quello che poteva, scalate a tutta, scatti e progressioni, ma non è bastato. Terreno ce n'è e ci aspettiamo le fiamme sulla strada; ma dovranno inventarsi qualcosa anche a livello di squadra, una UAE che nelle ultime giornate è apparsa più compatta rispetto al solito, con Majka, Soler (anche se ancora ci chiediamo a cosa servisse la sua fuga a Mende) e McNulty attorno al fuoriclasse che gli fa da capitano. Loro dovranno inventarsi qualcosa, ma sarà poi il bambino in maglia bianca a finalizzare; quel bambino che pare non amare particolarmente l'alta quota - pagando sul Granon lo sforzo fatto sul Galibier, oltre all'ormai chiacchierata "crisi di fame" e alle energie consumate nel rispondere agli scatti di Roglič - e il caldo - prevista un'atmosfera da forno ventilato sui Pirenei che, per fortuna di Pogačar, non si avvicineranno nemmeno ai 2000m. Lo sloveno, croce a volte per il suo modo di interpretare le corse a tutta senza gestione delle energie, ma una delizia per noi che ce lo gustiamo, è un bene per questo ciclismo, un bene per lo spettacolo e farà di tutto, anche a costo di saltare (se va beh), per provare a ribaltare il Tour.
E LA INEOS CHE FA? - Nel giorno di Mende, quando Pogačar provò ad attaccare che non era nemmeno l'ora di pranzo, lasciando indietro mezza Jumbo-Visma, racconta Geraint Thomas di come lo sloveno si sia avvicinato a lui per chiedere una mano. «I Jumbo sono a tutta, affondiamo il colpo» il senso delle parole del rivale. Questo lo abbiamo saputo dopo dalla voce proprio del gallese, ma in diretta chiunque ha pensato: è mai possibile che la INEOS con tre uomini in classifica non voglia provare ad attaccare la maglia gialla? Ecco, quello che chiediamo e speriamo non è tanto un'alleanza a tavolino quanto una INEOS che, dopo aver vinto una bellissima tappa con Pidcock, batta un colpo per provare ad acchiappare il Tour. In una corsa così spettacolare com'è stata fino adesso dal primo giorno, manca solo un'idea di questo genere a rendere tutto ancora più cinematografico. Certo, al momento l'atteggiamento è quello di chi pare voglia tenersi stretto la posizione che ha alle spalle dei due dominatori, con Thomas in linea per un podio e Yates per un piazzamento tra i primi sei - obiettivo che potrebbe bastare alla squadra britannica senza correre troppi rischi. Ma allo stesso tempo saremmo sorpresi che, con questa potenza di fuoco - non dimentichiamo Pidcock nei primi 10 al momento - si lasciassero sfuggire l'occasione di provarci in qualche modo, con un'azione ben congeniata.
ULTIME SPERANZE ITALIANE - Di Italia ne abbiamo vista poca, quella che abbiamo visto è apprezzabile perché consapevoli di cosa passa il convento, ovvero il movimento, nella corsa più importante del mondo. Vicinissimi a un successo ci siamo andati con Bettiol su tutti, c'è da chiederci se ci sarà ancora terreno per il corridore della EF, mentre Mende era perfetta per lui che ha mostrato, quando in condizione, di avere gambe, carattere, forza da primo della classe (un appunto da fare alla squadra: serviva sprecare tutte quelle energie per Uran?). Ganna benino, lavora molto e raccoglie quel che riesce, generoso in fuga, si è inchinato alla legge di Pedersen, ma dalla sua avrà una crono lunga, complicata, è vero, ma lui, quando c'è da mettere giù i cavalli contro il tempo, ci fa sempre divertire. C'è Ciccone, poi, che di carattere più che di gambe battezzerà una delle tre tappe pirenaiche - la maglia a pois? difficile, ma non impossibile visti i contendenti - mentre Caruso crediamo voglia mostrare qualcosa in un Tour sin qui decisamente sotto le aspettative - come tutta la Bahrain. Infine le ruote veloci: Dainese, ma soprattutto Mozzato hanno mostrato di saperci e poterci essere subito dietro l'élite della velocità. Tra Cahors e Parigi andranno ancora a caccia di piazzamenti.
AGGRAPPATI A PINOT - Eh sì, non lo dimentichiamo. Lo vogliamo fortemente come lo vuole fortemente tutto il pubblico francese che pare non aspettare altro. Ci ha provato due volte e due volte gli è andata male. Lui dice di stare benissimo e che anzi è deluso per i risultati - soprattutto il terzo posto a Mende - che non rispecchiano la sua condizione, quanto forse sono più figli di errori di valutazione e ritardi nell'effettuare la scelta giusta. Aggiustando tempo e modo Pinot avrà davanti a se tre belle chance per portare a casa una tappa, anche se già vederlo lottare con quella grinta e quelle ginocchia che sembrano a ogni pedalata colpirlo in faccia, è già bello. A lui non diteglielo però, perché conosciamo tutti il suo motto a proposito del vincere, e il suo interesse è quello di trasformarlo in qualcosa di concreto.
Tre cose dal Tour
- La Danimarca ha una popolazione di circa 5.820.587 qualcuno in più o in meno, crediamo, ma cambia poco. Guardando l'inizio del Tour abbiamo notato come tra Copenaghen, Roskilde e Nyborg tutti gli oltre 5 milioni erano sulle strade del Tour de France a fare il tifo, tra il giallo simbolo della corsa e il biancorosso della loro bandiera. Oggi non sarà da meno. Non giudicate assurdo (o non fatene una questione di solo marketing) il gesto di Magnus Cort Nielsen, corridore danese, bizzarro quanto basta da essere uno dei più popolari e amati in gruppo nonostante (o forse anche per quello) un palmarès che lo pone al di sotto dei fuoriclasse del momento. Fuggitivo di giornata, lui che potrebbe conservare le gambe (ma cerca anche la migliore condizione) per le prime tappe in terra francese, ma ha voluto andare all'attacco, vincere i GPM di 4^ categoria (con tanto di esultanza sotto lo striscione) e poter così vestire la maglia a pois. Oggi, in quella follia che saranno le strade danesi, sarà uno dei più riconoscibili in gruppo. Baffoni e maglia a pallini, biancorossi come il colore della bandiera danese, mentre le crocs fucsia le lascia nel bus per l'eventuale premiazione. Una volta disse parlando della Roubaix: «È una corsa brutale, la più grande, la più pazza, la più dura. Non la gara che farei ogni giorno, ma una volta all’anno sì». Questo per capire il personaggio. E tra qualche chilometro lo aspettiamo proprio su quelle strade.
- Mancava solo il suo sorriso alla collezione e ieri finalmente c'è stato. Ora, se qualcuno avesse scommesso sul suo piazzamento alle spalle del vincitore di turno ci avrebbe quasi rimesso, anzi, pare che il 2° posto di van Aert non fosse nemmeno quotato. Mica stupidi gli allibratori. Fatto sta che oggi avremo in giallo, finalmente, per la prima volta in carriera, Wout van Aert: non ci poteva essere corridore più meritevole (un po' di retorica...). L'ha sfiorata nel 2019, «quando la indossava il mio compagno Teunissen, che saltò nel finale, per un ottimo sognai di vestirla io, ma la prese invece Alaphilippe». Lo scorso anno niente da fare, e nel 2022 tutto faceva presagire di come van Aert si sarebbe dovuto accontentare dei secondi posti in questi giorni. 28 in carriera, lui che è sempre davanti ovunque corra e comunque vince tanto: 35 successi e (quasi) tutti di peso. Quest'anno quando ha vestito la maglia gialla di leader (Parigi-Nizza e Delfinato) alla fine della corsa a vincere è stato Primoz Roglic. Amanti della cabala fatevi sotto.
- La rinascita o, prendendo in prestito dall'inglese, il comeback. Un altro in casa Quick Step, una squadra che alla vigilia veniva demolita dalla "feroce" critica: pareva che fossero di punto in bianco diventati una squadra di brocchi incapaci di allestire un team competitivo di otto corridori, lasciando fuori Cavendish (scelta presa praticamente già dallo scorso anno), Evenepoel (che correrà la Vuelta), Alaphilippe (ancora non al meglio dopo la tremenda caduta alla Liegi). Una squadra che si sta distinguendo di recente per le rinascite (une usine à renaissance, l'hanno definita in Francia) e i colpi a sorpresa. Come quello di Yves Lampaert: «Sono solo un contadino belga e ora mi ritrovo a battere Ganna e van Aert a cronometro» ha raccontato due giorni fa dopo essere scoppiato in lacrime. Mentre Lefevere: «Se dicessi che mi sarei aspettato la vittoria di Lampaert sarei un bugiardo». Poi è stato il turno, ieri, di Fabio Jakobsen. Due anni fa rischiò di incontrare la morte in volata in Polonia; non sapeva nemmeno se e come avrebbe mai potuto ritrovare la via, non solo in bicicletta, ma quella di una persona normale. È tornato e ha iniziato a vincere, fino a diventare, senza stare troppo girarci intorno, il più forte velocista del mondo. E ieri la vittoria (36 in carriera, 18 pre e 18 post incidente) al Tour de France, mentre Pedersen anticipava partendo ancora un po' dal ponte, ma non quello attraversato dalla corsa, quello vicino casa sua, mentre van Aert prendeva l'ennesimo 2° posto e Philipsen restava intruppato. Lui si infilava, scaltro, usciva, potente, si scatenava. Vincente.
Il monumentale del Tour 2022
Maggio adagio con il Giro d'Italia, a giugno ci sono da fare un po' di conti e vedere chi sta bene, chi cresce e chi cala perché poi arriva luglio e con Niña quest'anno c'è poco da scherzare; poi arriva luglio che per noi significa più che altro Tour de France. Si parte da Copenaghen per arrivare a Parigi, due capitali europee unite dalle biciclette nel giro di ventuno tappe (e tre giorni di riposo), con 176 corridori al via e tra loro un grande favorito, con due rivali, già battuti al Tour, e almeno una decina di altri contendenti alle parti nobili della classifica. Chiamiamoli outsider e procediamo.
IL BAMBINO IN GIALLO
Ha le sembianze di un bambino quel favorito - tanto che il suo compagno di squadra Majka lo chiama proprio così , "bambino", intendiamo, non favorito - e sembra fare tutto con leggerezza, gli piace dare spettacolo, non si nasconde quando deve attaccare da lontano; ci provò alla Vuelta al suo primo Grande Giro che chiuse sul podio, così, sbucando in mezzo agli altri contendenti con la stessa verve e la strafottenza apparente di un personaggio di un racconto di Mark Twain.
Guida il mezzo con perentoria calma e a tratti disumana facilità, è potente, magari non elegantissimo (ma c'è a chi piace, chi scrive, per esempio, è affascinato da quell'ondeggiare di spalle, da quella testa messa leggermente di traverso e la bocca socchiusa sempre pronta a imitare una smorfia tra la gioia e il dolore). Ha un ciuffo che esce dal suo casco (ma attenzione! Ieri si è presentato sul palco con un nuovo taglio!) che fa quasi tendenza.
Sorride spesso, ci verrebbe da dire sempre, e quest'anno si è voluto persino misurare nelle classiche del pavé buttando via l'eccesso di specializzazione che ha visto in parte distruggere lo spettacolo e portare alla monotonia il ciclismo da fine anni '90 a qualche stagione fa, e lui poi facendo così ha rischiato di vincere un Giro delle Fiandre.
Arriva dalla vicina (per noi) Slovenia e ha solo 23 anni e mezzo; un Tour lo ha ribaltato a cronometro, un altro lo ha fatto suo nella prima tappa di montagna, ma le insidie per Tadej Pogačar (sì parliamo proprio di lui se non lo avevate capito) non mancheranno.
Qualche punto debole: si dice possa essere il caldo e quest'anno al Tour ne farà tantissimo (nulla di nuovo) visto l'andazzo dell'estate; si dice che ancora soffra leggermente le scalate molto lunghe – contestualizziamo sempre però, dove soffre Pogačar, il 99,9% del gruppo si è già staccato. I tecnici della Jumbo hanno già dichiarato che batterlo sarà difficile se non impossibile, ma da qualche parte bisognerà iniziare se non altro per tuffarci nell'ignoto di ogni manifestazione sportiva, nonostante la presenza di singoli - o nel caso fosse un gioco di squadra, collettivi - all'apparenza dalle sembianze di imbattibili cannibali.
TUTTI PER TAMAU
Tutti per "Tamau", il piccolino, allora, che avrà una squadra interamente dedicata a lui: d'altra parte come si potrebbe solo immaginare il contrario. Di lui ne abbiamo già parlato, del suo fedelissimo Rafał Majka ne abbiamo appena accennato, il polacco entrerà nelle rotazioni in salita insieme a George Bennett, praticamente ingaggiato quasi esclusivamente per dare man forte allo sloveno al Tour, e al nostro cavallo pazzo preferito, Marc Soler, che pare abbia trovato la quadra sotto la guida di Matxin.
Poi c'è Brandon McNulty. Di questi tempi farebbe comodo avere un corridore di riserva su cui fare affidamento per la classifica generale, non si sa mai: siamo in quel periodo storico dove da un giorno all'altro ti ritrovi fuori dalla corsa per un tampone positivo e la UAE Team Emirates ha già vissuto brutti momenti al Giro, vedi ritiro di Almeida a pochi giorni dalla fine. McNulty probabilmente in un'altra squadra farebbe classifica, qui al Tour sarà un gregario travestito da seconda punta. A dare brio alla squadra avrebbe dovuto esserci l'esperto e solido Trentin con il ruolo di tenere davanti Pogačar, consigliarlo, tirarlo fuori dai guai. Ma indovinate un po'? Positivo al Covid. Al suo posto rientra in extremis Marc Hirschi, che come Trentin vinse la prima corsa da professionista proprio al Tour e che, come sarebbe dovuto toccare all'italiano, abbandonerà velleità personali per aiutare il suo capitano, con il quale se le dava di santa ragione sin dalle categorie giovanili.
Poi ancora: Mikkel Bjerg che, risolti i tanti problemi fisici di questa stagione sarà la costante invece in pianura, con lui Vegard Stake Laengen sempre col compito di coprire il più possibile le spalle (ma anche a ripararlo dall'aria) al due volte vincitore del Tour.
TUTTI CONTRO TAMAU
Iniziamo da uno squadrone che fa "tremare le vene e i polsi". Magari non proprio nel senso dantesco del termine - non siamo di fronte alla bestia, la lupa, una delle tre fiere che spaventa Dante nel primo canto dell'Inferno - ma è una squadra che incute timore agli avversari, quello sì. Intanto: coppia di capitani. Primož Roglič e Jonas Vingegaard che citiamo in ordine di anzianità: i battuti, seppure in modo diametralmente opposto, da Pogačar negli ultimi due Tour de France. Inutile soffermarci su come è andata, piuttosto vediamo come potrebbe andare.
Roglič, al Delfinato, grazie a una squadra nettamente superiore alla concorrenza, sembra aver ritrovato quello smalto che, a causa di un problema fisico, ne aveva fatto scendere le quotazioni in stagione. Dopo tre Vuelta e due vittorie sfiorate tra Tour e Giro, dopo la caduta che lo mise fuori gioco lo scorso anno sulle strade francesi e vista anche la carta d'identità, per l'altra faccia della moneta slovena potrebbe essere l'ultima (o quasi) possibilità di provare a indossare la maglia gialla anche a Parigi, con l'Arc de Triomphe sullo sfondo.
Secondo, però, i si dice, partirà alla pari con Jonas Vingegaard; se analizzassimo grossolanamente l'ultimo Tour, il danese – che parte giocando in casa, motivazione in più - pagò da Pogačar praticamente quasi solo a Le Grand Bornand, per l'esattezza solo sul Colle de Romme dove il giovane sloveno inflisse distacchi d'altri tempi a tutti. Il giorno dopo perse altri 30 secondi, ma poi sul Ventoux lo mise in difficoltà, perdendo poi in volata nelle ultime due tappe di montagna, Saint-Lary-Soulan e Luz Ardiden. A crono si difende molto bene nonostante a vederlo paia decisamente un peso piuma, ma è capace di spingere forte e a cadenze impensabili; in stagione anche lui, a differenza di Pogačar, tanti alti e bassi, ma al Delfinato, dove ha corso in appoggio a Roglič, ha impressionato. A tratti più dello sloveno con il quale condivide lo stesso tetto. Anche se nella testa di molti si parte già battuti, qualcosa con questi due corridori gli olandesi possono inventarsela. Da capire se la squadra adotterà una tattica aggressiva fatta di attacchi fantasiosi, anticipi e imboscate, oppure deciderà di controllare per provare a piazzare qualche colpo nei finali di tappa più duri come successo nelle corse di questa stagione. L'impressione è che la seconda via potrebbe non bastare per scalfire Pogačar, mentre il primo modo renderebbe la corsa più spettacolare.
C'è una terza stella in casa Jumbo Visma che brilla di luce propria a prescindere da discorsi riguardanti la classifica generale: Wout van Aert. Tuttofare del gruppo per antonomasia, van Aert insegue la maglia gialla il primo giorno, la maglia verde magari già dal secondo, ma le possibilità di vestire il simbolo del primato assoluto resteranno intatte fino alla prima tappa di montagna e anzi, tra ventagli e pavé sarà una pedina fondamentale nello scacchiere olandese, con la consapevolezza che un po', giusto un po', lavorerà per se stesso lanciando l'ennesima sfida alla sua nemesi, Mathieu van der Poel. Terreno ce n'è in abbondanza per farci divertire oltremodo.
Sepp Kuss, che vince all'ultimo il ballottaggio con Gesink e Dennis, e Steven Kruijswijk, oltremodo brillante come non lo si vedeva da anni al Delfinato, saranno gli sgrezzatori del gruppo in salita, Nathan van Hooydonck è l'uomo di riferimento per van Aert, Cristophe Laporte sarà la versione in tono minore dell'ex campione nazionale belga e dovrà lavorare tanto – se non solo - per la squadra, mentre Tiesj Benoot rappresenta il gregario jolly. A seconda della situazione lo troveremo davanti in pianura, in salita, in collina, persino sul pavé, sempre con le medesime garanzie di alte prestazioni. Otto corridori di cui almeno cinque sarebbero capitani altrove. Squadrone.
TUTTI (TANTI) GLI OUTSIDER
La lotta al podio e alle posizioni alte della classifica sarà incandescente come l'aria che si respira (“respira”, si fa per dire) in queste settimane. A guidare la fila dei pretendenti al podio Alexander Vlasov. Il russo, 4° al Giro lo scorso anno - senza mai farsi notare troppo - è forse una delle rivelazioni di questa stagione. Rivelazione si fa per dire: spieghiamoci. Vlasov era un corridore atteso al salto di qualità dopo le belle cose fatte vedere da giovane - vincitore del Giro Under 23 nel 2018 davanti ad Almeida e Stannard e 4° nella stessa stagione al Tour de l'Avenir dietro Pogačar, Arensman e Mäder - un corridore che già aveva fatto cose interessanti tra i professionisti (vittoria al Giro dell'Emilia post confinamento per la pandemia), ma quest'anno è sempre stato protagonista ovunque ha corso, gare a tappe o gare di un giorno, in montagna, a cronometro, sugli strappi e persino negli sprint ristretti. Un altro Vlasov a tratti scalatore (ma con alcuni limiti quando le salite superano un certo chilometraggio), a tratti puncheur, a tratti cronoman, che, se confermerà la crescita, sopporterà il grande caldo, riuscirà a dare continuità ai suoi risultati, resta come uno dei nomi più credibili nella lotta al podio. La BORA-hansgrohe, oltretutto, uno scherzetto lo ha già combinato e pure grosso al Giro, andando a vincere per la prima volta nella sua storia una corsa a tappe di tre settimane. Niente male per la squadra tedesca che nel giro di pochi anni è passata da essere una Professional invitata con tanto di polemiche al Giro (era il 2012) a una delle squadre riferimento in gruppo. Di fianco a Vlasov una squadra interamente dedicata alla sua casa: Lennard Kämna, fresco di titolo nazionale a cronometro, dopo la vittoria al Giro sull'Etna ci riprova con il Tour, dove per altro ha già conquistato un successo nel 2020: in salita sarà uno spauracchio delle fughe, ma potrà essere una pedina preziosa per la classifica di Vlasov. A caccia di tappe in casa BORA-hansgrohe anche Schachmann, lottatore e fondista per antonomasia, non disdegna le lunghe fughe, oltre a Konrad e Politt, entrambi andati a segno al Tour nel 2021, con questo ultimo che correrà con la maglia di campione di Germania e Grossschartner, lui invece fresco campione d'Austria. Infine presenti Danny van Poppel e Marco Haller; il primo veloce, regolare, utilissimo alla causa, darà una mano al suo capitano magari nella tappa delle pietre, ma proverà anche a togliersi qualche soddisfazione: potrebbe essere un abbonato alla top ten, mentre il secondo, anche lui veloce, coraggioso, sarà uomo squadra fondamentale: dalle fughe, agli sprint, al tenere al sicuro i propri capitani.
Sarà invece una Ineos Grenadiers a tre teste per la classifica. In origine doveva esserci Bernal, ma sappiamo com'è andata e dopo aver dirottato Carapaz al Giro, la squadra britannica si presenterà al Tour con buone credenziali, è vero, ma senza un nome così pesante da far pensare a un podio. Ai due capitani designati alla vigilia per fare classifica, Adam Yates e Daniel Felipe Martinez, si è aggiunto Geraint Thomas, 36 anni e in arrivo da mesi molto complicati. La vittoria al Tour de Suisse del gallese, maturata è vero dietro circostanze particolari visti i tantissimi ritiri per Covid e malanni vari, lo ha rilanciato anche nelle gerarchie di casa Ineos e grazie anche allo storico (una vittoria e un podio al Tour) e al pedigree di qualità, Geraint Thomas, per tutti G., partirà alla pari degli altri due. L'importante per lui sarà superare indenne le prime complicatissime tappe. Daniel Felipe Martinez, dopo il Giro 2021 chiuso al quinto posto e in crescita pur correndo da gregario, arriva un po' a fari spenti , ma occhio perché il ragazzo colombiano ha grandi qualità da mettere in strada, si difende a cronometro, sa scattare, ha coraggio. Coraggio che non si può certo inserire tra le caratteristiche principali di Adam Yates. Chi scrive lo vede un gradino inferiore agli altri due, ma la sua squadra la pensa diversamente e anche alcuni risultati maturati in passato potrebbero smentirci: 4° per esempio nel 2016 al Tour, quando vinse anche la maglia bianca e arrivo a poco più di 37” dal secondo posto di Bardet, oppure 4° lo scorso anno alla Vuelta quando riuscì ad andare anche più forte di Bernal. L'idea è quello di vederlo lottare comunque per una dignitosissima top ten oltre a inseguire quel successo di tappa che ancora gli manca in un Grande Giro. Il resto della squadra vedrà Tom Pidcock pronto a sfruttare le diverse tappe adattissime a lui e a lanciare l'ennesima bellissima sfida con gli altri due giganti del ciclocross, Filippo Ganna per la prima la maglia gialla della sua carriera e del Tour 2022, Luke Rowe, Jonathan Castroviejo e Dylan van Baarle invece per dare (quasi esclusivamente) il loro enorme contributo al lavoro di squadra.
Punta il podio il duo Bahrain formato da Damiano Caruso e Jack Haig. Il siciliano ha chiuso 4° al Delfinato pur senza brillare e questo ci dà un'idea della dimensione in cui si trova in questo momento il classe '87 di Ragusa, secondo al Giro dello scorso anno dove a un certo punto fece pure tremare la maglia rosa di Bernal. Smaltiti i carichi, Caruso, sempre capace di correre davanti, superate le insidie delle prime tappe, in salita si propone come uno dei corridori più forti. Al suo fianco Haig, che ha caratteristiche differenti, meno solidità a cronometro, persino meno appariscente, partirà forse leggermente defilato, ma attenzione, l'australiano, lo scorso anno, dopo il ritiro al Tour a causa di una caduta (era partito anche fortissimo nelle prime due tappe) ha disputato una Vuelta così consistente da salire sul podio, e dunque sarà difficile tenerlo fuori dai discorsi di alta classifica. Squadra robusta, di livello quella di fianco ai capitani, seppure con qualche assenza. Senza Mäder ammalato, sarà Dylan Teuns a dare una mano in salita e perché no, potrà timbrare il cartellino dalla fuga, cosa che gli è già riuscita altre volte (l'ultima a Le Grand Bornand dodici mesi fa), con l'eterno Luis Leon Sanchez che avrà un occhio di riguardo per i suoi su tutti i terreni. Matej Mohorič è uno dei corridori più attesi per i successi di tappa, il jolly capace, se in giornata, di vincere su (quasi) tutti i terreni, mentre sarà compito di Fred Wright e Jan Tratnik muleggiare un po' ovunque e di Kamil Gradek farlo quasi esclusivamente in pianura.
Per la classifica come non considerare Enric Mas, Movistar, il più regolare dei regolaristi, uno che ogni tanto ci prova a sferrare l'attacco che puntualmente viene riassorbito ma che comunque può fare male: quando ha la giornata buona riesce a essere tra i due/tre migliori scalatori del gruppo. Il 27enne spagnolo è un habitué dei piani alti della classifica dei Grandi Giri, due podi alla Vuelta e un quinto posto, un quinto e un sesto posto al Tour e il riscatto della Movistar, sin qui autrice di una stagione totalmente mediocre, passa proprio dal Tour di Mas, il quale però non va dimenticato arriva da un brutto ruzzolone al Delfinato. La squadra con Carlos Verona, Imanol Erviti (al suo 28° grande Giro, 1 in più di Nibali e LL Sanchez, tra i corridori in attività solo Valverde ne ha disputati di più, 32)), Gorka Izagirre, Matteo Jorgenson – occhio all'americano per le vittorie di tappa- , Gregor Mühlberger, Nelson Oliveira e Albert Torres è tutta per lui.
C'è Ben O'Connor, AG2R Citroën, una delle rivelazioni dello scorso anno; una bella vittoria di tappa che lo ha lanciato in classifica, una discreta resistenza a crono e poi in tutte le tappe di montagna. Morale? 4° posto finale con l'intenzione di confermarlo o persino migliorarlo quest'anno. Va forte in salita, è regolare a crono, non ha paura di attaccare, ma in un Tour che rischia di essere chiuso per le prime tre posizioni, potrebbe, tramite la costanza di rendimento confermare un piazzamento nei primi cinque, sei della generale che sarebbe poi un risultato di grandissimo spessore.
Di fianco gli è stata costruita una formazione che cercherà comunque le vittorie di tappa, attesissimo da questo punto di vista Benoît Cosnefroy, con Mikaël Cherel gregario al suo ultimo Tour prima del ritiro a fine stagione, e Geoffrey Bouchard e Bob Jungels uomini da salita. Occhio all'ex commesso decathlon che potrebbe inseguire la tripletta dopo aver vinto la maglia dei GPM sia al Giro che alla Vuelta, mentre il lussemburghese sembra ritrovato dopo un paio di stagioni da incubo con problemi anche di natura psicologica. Aurélien Paret Peintre è un bel talento completo che pare un po' smarrito, Stan Dewulf andrà all'attacco quando potrà e infine Oliver Naesen che vince il ballottaggio con Van Avermaet (uno degli esclusi di lusso da questo Tour) e proverà a piazzarsi nelle volate – e perché no, potrebbe aver cerchiato di rosso la tappa di Arenberg.
Restando in Francia: Groupama-FDJ con un terzetto che non fa della continuità la sua arma migliore, ma che se dovesse trovare le tre settimane di grazia potrebbe dare fastidio a molti in salita e anche in classifica. David Gaudu (leader designato dopo un po' di gavetta e qualche piccolo passo falso, arriva da un Delfinato dove ha battuto van Aert in uno sprint in salita, salvo poi cedere in montagna), Thibaut Pinot e Michael Storer hanno potenzialmente tutto per essere tra i migliori scalatori della corsa e gli arrivi in cima di questo Tour potrebbero vedere il loro nome stampato in grande al termine della tappa.
La Cofidis punta alla top ten con il regolare Guillaume Martin e con il più discontinuo Ion Izagirre, stesso discorso per la Intermarché Wanty Goubert che lancia Louis Meintjes all'inseguimento di un bel piazzamento in classifica generale e per la DSM con Romain Bardet alla ricerca del riscatto dopo il ritiro dal Giro. Il francese ha le carte in regola per poter provare ad avvicinare il podio, ma resta più plausibile un piazzamento nei primi otto, dieci con una vittoria di tappa in montagna. A sentire lui ci sono ancora incognite sulla sua condizione fisica dopo il malanno che lo ha colpito sulle strade italiane.
Se la EF Education First avrà Rigoberto Uran e Ruben Guerreiro in lotta per la classifica - e il secondo anche per vincere qualche tappa e magari provare a indossare la maglia a pois - c'è un altro colombiano che scalpita per prendere il volo in salita: Nairo Quintana. L'Arkéa Samsic punta tutto su uno dei soli tre colombiani al via (record negativo da diversi decenni), schierandogli di fianco Warren Barguil che di recente ha sfiorato il successo nel campionato francese. In chiave classifica, da considerare anche Aleksej Lutsenko per l'Astana – che non arriva però da un momento felice a causa di problemi fisici e incidenti - , l'attempato duo Israel Premier Tech formato da Jakob Fuglsang (il più acclamato di tutti alla vigilia durante la presentazione dei team a Copenaghen) e Michael Woods (al via per la squadra israeliana ci sarà pure Chris Froome! senza alcuna ambizione, sarebbe bello vederlo in fuga ogni tanto), e poi ancora Pierre Latour per la TotalEnergies, il quale però viene da un brutto infortunio ed è sempre un corridore abbastanza difficile da decifrare e pronosticare. Infine citiamo anche Mattia Cattaneo Quick Step Alpha Vynil che, insieme a Caruso, rappresenta l'unica speranza di classifica per il ciclismo italiano al Tour. Che di questi tempi non è nemmeno poco.
RUOTE VELOCI (ANCHE VELOCISSIME)
Non saranno tantissime le volate (fino al secondo giorno di riposo rischiano di essere tra le 2 e le 4 in tutto) e quindi occhio alle sfide tra Jasper Philipsen, Fabio Jakobsen e Caleb Ewan che se le daranno di santa ragione per dividersi il risicato bottino di questo Tour. Jakobsen avrà la squadra più forte per questo tipo di esercizio: Yves Lampaert, Kasper Asgreen, Michael Mørkøv terzetto ultra collaudato al quale nelle ultime ore si aggiunge il neo campione di Francia Florian Sénéchal che sostituisce Tim Declercq positivo al Covid. Ewan, invece non avrà al Tour nessun componente del suo treno (Selig, Kluge, De Gendt, De Buyst) e dovrà cavarsela più o meno da solo se non con l'aiuto del sudafricano Reinardt Janse Van Rensburg. Per Philipsen c'è la possibilità di sprintare sia nei volatoni più classici che anche di tenere duro tra tappa del pavé e qualcosa di più impegnativo (e magari provare a insidiare van Aert per la maglia verde, diciamo insidiare perché la sfida sulla carta pare chiusa), senza dimenticare però chi avrà in casa, ovvero Mathieu van der Poel. L'olandese, dopo aver dato spettacolo al Giro, ci riproverà al Tour dove il livello è sicuramente più alto, ma non sarà certo questo a spaventare un corridore che sguazza nell'eccellenza. In generale la Alpecin (non più Fenix ma Deceuninck da questo Tour) ha una squadra equilibrata sia per dare l'opportunità ai due capitani di esprimersi al meglio (Silvan Dillier, Alexander Krieger, Edward Planckaert, Kristian Sbaragli e Guillaume Van Keirsbulck), sia per beccare le fughe nelle tappe più impegnative con Michael Gogl e Xandro Meurisse, quest'ultimo che potrebbe anche guardare alla classifica, magari non ai piani altissimi.
Per gli sprint ci sarà anche Wout van Aert che già il secondo giorno a Nyborg si getterà nella mischia, ma attenzione anche al nostro Alberto Dainese. Dopo i piazzamenti alla Vuelta, il velocista veneto della DSM si è sbloccato con una meravigliosa volata al Giro meritandosi la convocazione per la corsa francese. Di fianco a Dainese la squadra di matrice olandese porta l'esperienza e la classe di John Degenkolb con il quale potrebbe dividersi i compiti, magari lasciando al tedesco la possibilità di fare la propria corsa nella tappa di Arenberg. Ricordate come finì l'ultima volta che il Tour corse sul pavé? Vinse proprio lui.
La Cofidis fino a poche ore fa avrebbe puntato su Brian Coquard per le volate, ma il Covid lo ha fermato (sostituito da Périchon) e dunque ci sarà il tedesco Max Walscheid che arriva da una primavera di ottimo livello interrotta solo da un bruttissimo incidente mentre si allenava. Il tedesco punta a un bel risultato anche nella crono di apertura.
La Intermarché Wanty Goubert si affiderà ad Alexander Kristoff. Molto interessante oltretutto il trenino della squadra belga: con il norvegese, due corridori in grande forma come Andrea Pasqualon e Adrien Petit. L'Arkéa Samsic porta sulle strade francesi una coppia niente male di piazzatoni come Hugo Hofstetter e Amaury Capiot, ma la squadra bretone capitanata da Quintana e Barguil sarà tra le guastafeste soprattutto nelle prime tappe con un occhio a quelle nel nord della Francia: Matis Louvel e Connor Swift potranno scatenarsi su quei terreni.
Finito il discorso velocisti? Assolutamente no: TotalEnergies punta su Peter Sagan che è tornato al successo di recente al Tour de Suisse per poi rivincere pochi giorni fa per l'ottava volta negli ultimi dodici anni il campionato nazionale slovacco, mentre il Team Bike Exchange, escluso l'emergente Groves (che il prossimo anno andrà a correre con la Alpecin Deceuninck), porta una squadra interamente dedicata alle volate di Dylan Groenewegen e ai piazzamenti di Michael Matthews. Per gli australiani sarà vitale raccogliere più punti possibile in chiave salvezza. Jack Bauer, Luke Durbridge e Amud Jansen saranno i componenti del treno in pianura, Luka Mezgec il pesce pilota. Cristopher Juul Jensen il jolly che se in giornata potrà anche provare a vincere dalla fuga di giornata, mentre Nick Schultz avrà il compito di curare la classifica fin dove possibile. C'è spazio ancora per nominare un corridore italiano, Luca Mozzato. Il vicentino della B&B Hotels-KTM è corridore davvero interessante, veloce, ma non abbastanza per provare a battere i mostri della velocità che saranno al via del Tour; ha una certa attitudine nell'infilarsi nelle fughe e nel superare indenne i percorsi mossi (e chissà la tappa con arrivo ad Arenberg...). Resta da capire, vedendo alcune prestazione, quanto possa influire sul suo rendimento il grande caldo. Il Tour ci darà tutte le risposte.
Abbiamo lasciato da parte uno dei corridori più talentuosi e indecifrabili del gruppo: Mads Pedersen. Si parte dalla sua Danimarca, la condizione sembra essere la migliore (al Giro del Belgio non è mai uscito dai primi 9 posti), le motivazioni anche. C'è una crono il primo giorno che lo stuzzica, potrebbe chiudere nelle prime posizioni – ne ha le qualità – e poi provare ad andare a caccia della maglia gialla. Cosa potrebbe mai andare storto? Che è Pedersen, uno dei profili più difficili da leggere del gruppo. Talento che corre in proporzione alla discontinuità. Tuttavia difficile non pensare al suo nome nelle volate del Tour anche se presumibilmente si dividerà il compito e lo spazio in gruppo con Jasper Stuyven, mentre il mitico Tom Skuijns, insieme ad Alexander Kirsch, darà una mano importante ai due.
UNA QUESTIONE DI FUGHE E DI TAPPE
Si è iniziato ad accennare ai cacciatori di tappe, non per forza quelli che si muoveranno anche per la classifica e nemmeno quelli da volata. Un accenno agli assenti, o per meglio dire gli esclusi, perché hanno fatto rumore: su tutti Alaphilippe, Van Avermaet, i velocisti Groves, Merlier e Cavendish, e poi ancora Soren Kragh Andersen, Nibali, Valverde o Stannard. Mancherà purtroppo anche Bini Girmay il quale rimanda al Tour dell'anno prossimo il replay della sfida vista al Giro con van der Poel.
Ecco proprio Mathieu van der Poel sarà uno dei fari tra fughe, arrivi dove ci sarà da scattare (vedi tappa numero sei) o perché no se in gruppo si resta in pochi o c'è un ventaglio e magari non ci sono tutti i velocisti lui sarà pronto, e si farà trovare caldo già dalla cronometro.
La Francia andrà a caccia di successi parziali con il già citato Cosnefroy, ma anche con il terzetto della Cofidis formato da Victor Lafay, corridore che dopo il successo di tappa al Giro 2021 ha fatto un notevole salto di qualità, Anthony Perez – atteso nelle fughe che inseguirà probabilmente anche tanti punti dei GPM e Benjamin Thomas. Il talentuosissimo fuoriclasse della pista sarà al suo esordio al Tour e quando entrerà nella fuga giusta sarà uno degli uomini da temere maggiormente. La Groupama, detto di Pinot e Gaudu (e Storer) avrà altri due corridori di valore assoluto: Stefan Küng che non nasconde di andare a caccia della maglia gialla nelle prime tappe, è nella migliore stagione della vita e gli manca, incredibilmente, solo il successo. Partirà nella crono di Copenaghen con la maglia di campione europeo e nei giorni successivi, soprattutto con il rientro in Francia, ci sarà diverso terreno su cui dare spettacolo. C'è anche Valentin Madouas - sul podio al Fiandre quest'anno - corridore forte su tutti i terreni, ma da capire quale sarà il suo ruolo all'interno di una squadra che schiera anche Kevin Geniets, lussemburghese utilissimo alla causa dei suoi capitani.
Sempre per quanto riguarda le squadre francesi detto degli Arkéa Samsic, completiamo citando diversi corridori delle altre due squadre Professional: TotalEnergies e B&B Hotels. I primi lanciano un terzetto temibilissimo due di loro hanno già lasciato il segno quest'anno in fuga in corse a tappe WT disputate in Francia: Mathieu Burgaudeau (vincitore di tappa alla Parigi-Nizza) e Alexis Vuillermoz (al Delfinato), con loro Anthony Turgis eterno piazzato, mentre dopo l'esclusione dello spagnolo Cristian Rodriguez, la squadra ha inserito all'ultimo momento Edvald Boasson Hagen. Fa sorridere vedere il norvegese al Tour nella stessa squadra di Peter Sagan: i due, ormai una decina di anni fa, erano pronti a lanciarsi una sfida epocale su tutti i terreni, sfida che non ci sarà mai a causa della notevole discontinuità del corridore norvegese e della superiorità a conti fatti dello slovacco. A chiudere il roster citiamo, se non altro per partigianeria, Daniel Oss, fedelissimo scudiero proprio del campione slovacco e uno dei 14 italiani al via, forse quello con meno ambizioni personali, forse quello più utile alla causa di un compagno di squadra. La B&B Hotels, invece, vuole ritrovare Franck Bonnamour, uno dei protagonisti delle fughe al Tour dello scorso anno, ma quest'anno un po' limitato da una brutta caduta a inizio stagione (miglior risultato per lui un 2° posto di tappa alla Parigi-Nizza dopo una lunghissima azione partita da lontano), mentre quest'anno pare abbia ritrovato una vecchia conoscenza delle montagne francesi: Pierre Rolland. Se cercate un candidato alla maglia a pois, il suo nome è uno dei più gettonati. Cyril Barthe, Alexis Gougeard e Jérémy Lecroq proveranno a lasciare il segno in fuga, mentre Cyril Lemoine per una manciata di giorni non sarà il corridore più vecchio al via: primato che appartiene a Philippe Gilbert.
Proprio dalla Lotto Soudal proseguiamo la carrellata dei cacciatori di tappa: cinque di loro hanno le carte in regola per vincere almeno una tappa con una bella azione a lunga gittata. Philippe Gilbert, Andreas Kron, Brent van Moer, Florian Vermeersch e Tim Wellens, cinque corridori che non hanno bisogno di presentazioni. Il capolavoro per loro sarebbe quello di riuscire a muoversi da lontano in più di uno sfruttando così qualità e superiorità numerica.
La Trek Segafredo punta sulle fughe di Giulio Ciccone e Bauke Mollema in montagna e sulla verve del giovane Quinn Simmons che sicuramente farà divertire il pubblico con la sua indole da attaccante, mentre a livello di carta d'identità sta quasi agli antipodi Simon Clarke, che insieme a Krists Neilands e Hugo Houle animerà le fughe per la Israel-Premier Tech.
In casa Quick Step da seguire Andrea Bagioli che avrà carta bianca per dire la sua nelle fughe e in alcune tappe impegnative (ma non durissime, occhio alla sesta e all'ottava tappa che sembrano disegnate per lui) mentre l'Astana punta forte su uno dei gioielli del ciclismo italiano, quel Gianni Moscon suo malgrado, a causa di problemi fisici, autore sin qui di una stagione anonima. Con lui Joe Dombrowski l'uomo per la tappe di montagna, Fabio Felline, tuttofare insieme all'inossidabile Andrey Zeits, Simone Velasco che a 26 anni e mezzo farà il suo esordio in un Grande Giro dopo una carriera passata tra le Professional e Alexander Riabushenko, inserito all'ultimo causa l'esclusione per Covid di Samuele Battistella.
Se per la EF Education-EasyPost proveranno a vincere le tappa Alberto Bettiol, Magnus Cort Nielsen, Neilson Powless e Stefan Bissegger, e hanno tutti e quattro concrete possibilità, chiudiamo il discorso con la DSM che oltre a Bardet e Andreas Leknessund per la classifica - il norvegese dopo essersi sbloccato al Tour de Suisse, cerca conferme importanti al Tour - e a Dainese e Degenkolb per le volate, si farà vedere con Chris Hamilton in salita, ma occhio anche a Kevin Vermaerke e Nils Eekhoff (quest'ultimo aiuterà Dainese allo sprint) che proveranno a infilarsi nella fuga giusta magari in tappe non troppo dure.
Chiudiamo con quello che potrebbe essere il guastafeste per antonomasia di questo Tour, uno che se va in fuga rischi pure di non riprenderlo e che lo scorso anno con questo modo di fare irriverente ha dato la svolta alla vita agonistica della sua squadra, la Intermarché Wanty Goubert. Parliamo naturalmente di Taco van der Hoorn citando il suo successo al Giro. L'olandese sarà uno dei corridori da seguire con maggiore simpatia ed entusiasmo a questo Tour e l'occasione per fare il tifo per lui di certo non mancherà.
IL PERCORSO
Si parte dalla Danimarca, storia arcinota ormai, con una breve crono di 13 km, il giorno dopo la tappa dovrebbe sorridere alle ruote veloci ma occhio al vento e a quel lungo ponte che potrebbe sensibilmente ribaltare la corsa spezzando il gruppo. Il terzo giorno sarà ancora appuntamento per i velocisti mentre quarta e quinta tappa, quella di Calais e poi quella del pavé con arrivo ad Arenberg hanno un pronostico del tutto aperto e potrebbero provocare diversi scossoni anche alla classifica generale.
La sesta tappa, quella che si concluderà a Longwy, oltre ad essere la più lunga del Tour con i suoi 220 km presenta un finale tortuoso che strizza l'occhio ai corridori tipo van der Poel e potrebbe tagliare fuori invece i velocisti.
È il preludio del primo arrivo in salita di questa edizione, l'8 luglio, tappa numero sette, finale a La Super Planche des Belles Filles, non una vera e propria tappa di montagna, ma un arrivo impegnativo che segnerà i primi distacchi, quello sì. Il giorno dopo si sconfina in Svizzera con arrivo su uno strappo, ma vista la prima parte sulla frazione numero 8 campeggia in grande la scritta “fuga all'arrivo”. Domenica 10 luglio, invece, prima del secondo riposo tappa di montagna quasi interamente in Svizzera con rientro in Francia proprio per l'ascesa finale, il Pas De Morgins, antipasto degli ultimi chilometri verso Chatel Les Ports du Soleil. Anche qui lecito immaginarsi una fuga all'arrivo. Il 12 luglio si riparte con un'altra tappa fatta di su e giù, tracciato suggestivo e con l'arrivo finale all'Eliporto di Megève, ascesa lunga ma tutt'altro che dura, stesso finale della tappa del Delfinato 2020 quando vinse Sepp Kuss.
È solo l'anticipo però di quello che succederà nei due giorni successivi con le due tappe più attese dell'intero Tour de France. Il giorno 13 da Albertville: Télégraphe, Galibier e arrivo sul Col du Granon dove Bernard Hinault vestì per l'ultima volta la maglia gialla al Tour. Era il 1986 e il corridore francese si staccò sull'Izoard. Il giorno dopo si arriva in uno di quei luoghi di culto per antonomasia del ciclismo: Alpe d'Huez. Tappa decisiva e come contorno anche il fatto di disputarsi il 14 luglio, con Galibier, di nuovo, Télégraphe, di nuovo, e l'infinita ascesa verso la Croix de Fer prima di scendere verso Bourg d'Oisans e iniziare la salita verso la mitica Alpe d'Huez, domata e dominata da Pantani, tanto che i primi tre migliori tempi di scalata continuano a essere i suoi. La due giorni successiva, Saint-étienne prima e Mende poi, chiamano a raccolta fuggitivi e delusi, sorte simile per la quindicesima tappa, domenica 17 luglio, con conclusione a Carcassone.
Riposo ed ecco l'ultima settimana di corsa. I Pirenei si avvicinano. A Foix chiamata a raccolta per chi vorrà fare la differenza non solo in salita, ma anche indiscesa: giù dal Mur de Péguère c'è spazio. Il giorno dopo tappa d'alta montagna con il duro arrivo di Peyragudes, 8 km a quasi l'8% di media. L'ultima volta che si arrivò da queste parti – ma con un disegno differente – vinse Romain Bardet. Giovedì 21, tappa 18 con l'arrivo classico a Hautacam sarà l'ultima occasione per gli scalatori di provare a fare la differenza e terreno, soprattutto nella seconda parte di gara ce ne sarà a volontà. Week end finale dedicato aalle ruote veloci con le tappe di Cahors e la conclusione sugli sugli Champs-Elysées, ormai classica per le volate all'interno di un Grande Giro e in mezzo l'impegnativa cronometro di 40,7 km di Rocamadour che darà l'ultimo decisivo (qualora ce ne fosse bisogno) scossone alla classifica.
I FAVORITI DI ALVENTO
MAGLIA GIALLA
⭐⭐⭐⭐⭐ Pogačar
⭐⭐⭐⭐ Roglič
⭐⭐⭐ Vingegaard
⭐⭐ Vlasov, O'Connor, Martinez, Mas, Gaudu, Fuglsang
⭐ G.Thomas, Bardet, Yates, Caruso, Haig, Guerreiro, Uran, Martin, Woods, Lutsenko, Cattaneo, Quintana, Latour
MAGLIA VERDE
⭐⭐⭐⭐⭐ van Aert
⭐⭐⭐⭐ Jakobsen
⭐⭐⭐ Sagan
⭐⭐ Philipsen, Matthews, Pedersen, van der Poel
⭐ Ewan, Mohoric, Vlasov, Pogačar, Roglič
MAGLIA A POIS
⭐⭐⭐⭐⭐ Pinot
⭐⭐⭐⭐ Rolland
⭐⭐⭐ Quintana, Barguil, Guerreiro
⭐⭐ Bardet, Bouchard, Perez, Ciccone
⭐ Mollema, Gaudu, Pogačar, Roglič, Vingegaard, Latour
MAGLIA BIANCA
⭐⭐⭐⭐⭐ Pogačar
⭐⭐⭐⭐ McNulty
⭐⭐⭐ Leknessund
⭐⭐ Storer, Pidcock
⭐ Jorgenson, Bagioli, Simmons
Foto in evidenza: ASO/Aurélien Vialatte
Si può essere anche Romain Grégoire
Mancano pochi chilometri alla fine della gara degli juniores all'Europeo di Trento. Manca poco per i corridori, troppo per noi costretti a combattere con la relatività del tempo e con il tentativo di trovare un posto buono per vedere l'arrivo, svincolandoci tra tifosi e genitori dei corridori in gara che da ore hanno occupato qualsiasi spazio possibile attorno alle transenne.
Sale il caldo dall'asfalto e all'improvviso troviamo posto fuori da un bar. Colpo di genio o di fortuna. Sedie libere, tavolino vuoto, ma la vera magia è che il posto è proprio davanti allo striscione del traguardo con su scritto UEC TRENTO 2021.
Gli speaker avvertono: è uscita l'azione decisiva, davanti due francesi e un norvegese; belgi delusi, avevano dominato la gara a cronometro qualche giorno prima, in particolare sono affranti i genitori di Segaert – oro nella gara contro il tempo - con il cappellino con l'iride ricamato sul bordo, e i supporter di Uijtdebroeks, argento dietro il connazionale, lui con un futuro assicurato e che, a differenza di altri suoi coetanei, avrebbe fatto a fine stagione il doppio salto junior-professionisti senza passare per la classe di mezzo. Arriva la volata che si gioca proprio davanti ai nostri occhi: vince Grégoire davanti ad Hagenes e Martinez. Podio, interviste, un buon inglese (il suo, il nostro ha sempre sfumature italiote) e così conosciamo Grégoire.
Classe 2003, Romain Grégoire arriva da Besançon, dipartimento del Doubs, va in bici come da tradizione per passione tramandata, e tra una mountain bike e una da ciclocross ne trae beneficio per la sua attività su strada. La sua è una crescita esponenziale, che lo pone al vertice assoluto della categoria Under 23: tra poche ore sarà il favorito del Giro d'Italia di categoria. Con il destino segnato, erede nell'albo d'oro dei vari Sivakov, Vlasov, Pidcock e Ayuso, per citare 4 degli ultimi 5 vincitori.
La sua squadra, La Conti Groupama FDJ, lo tratta come si fa con un gioiellino; lo osserva con occhi colmi di emozione e lo tira a lucido e, come si fa spesso con le cose preziose, lo conserva per i momenti migliori. Poca attività tra i prof, tanta tra i ragazzi della sua stessa categoria, anche se, a vederlo così forte e vincente, appare già superiore agli altri.
Quando era ragazzo, racconta Grégoire, non è che fosse un predestinato: «Le corse le vinceva sempre Gautherat e noi si finiva per lottare ogni week end solo per il secondo posto». Le cose poi sono cambiate, all'improvviso. Smessi i panni del ragazzo tutto fango e bici, la strada diventa la sua vocazione e così di colpo si trasforma in uno di quelli che ti lasciano a bocca aperta quando lo vedi correre, attaccare e vincere.
In questi 6 mesi da primo anno tra gli Under 23, Grégoire, studente al primo anno dell'Università («nel caso vada male la carriera da ciclista, voglio un piano B per la mia vita»), ha vinto 4 corse: Liegi Espoirs, Belvedere, Recioto e Fléche Ardennaise, tutte col piglio di chi fra poco tempo, quando farà il salto nel World Tour, sarà da tenere d'occhio. In Francia già si spendono tante parole su di lui.
Dice non aver fatto il salto direttamente tra i professionisti: «Perché sono una persona concreta e credo che non tutti siamo degli Evenepoel. Potevo essere nel World Tour, ma con il rischio solo di finire le gare, mentre così posso gestire la mia crescita con calma. Posso divertirmi in bici e continuare a vincere: non tutti evolviamo allo stesso modo e alla stessa velocità». Non sono tutti Evenepoel, è vero, si può essere anche Romain Grégoire.