Sportland Bike, Brescia

Alessandro Monti torna ad un ricordo estivo: sono passati solo pochi mesi, è vero, ma la sua descrizione cerca i dettagli dei momenti che racconta e, ripetendoli, torna a fissarli. In fondo, l’importanza di quel giorno si capisce da questo fatto, perché la mente umana tende a trattenere con maggiore intensità i particolari di ciò che ci interessa, oppure ci cattura, ci coinvolge, nel bene o nel male. Anche l’incipit è significativo: «Perdona la digressione, ma questa devo raccontartela». Il bisogno della narrazione, della condivisione, di un episodio che riemerge dalla memoria, durante una chiacchierata a tema bicicletta. La storia si svolge nei dintorni di Bormio, dove Alessandro sta pedalando con il progetto di percorrere un giro delle creste, attraverso l’Umbrail Pass, lo Stelvio, fino a Livigno.
Proprio quella mattina, già in sella, incontra un ragazzo e una ragazza, una giovane coppia che lo affianca, scambiano qualche parola e, poi, senza alcun accordo, naturalmente, pedalando, gli fanno compagnia per gran parte del tragitto, in quella gita d’estate. La strada sale, si arrampica fra i monti, sempre più in alto, dapprima larga, spaziosa, si restringe, fino a diventare una lingua di terra, un sentiero. Solo a quel punto, il ragazzo e la ragazza rallentano, si fermano, capiscono che Monti vuole proseguire e, non immaginando dove sia possibile arrivare, da lì, in bicicletta, gli pongono solo una domanda: «Buona prosecuzione, ma adesso dove lasci la bici?». In realtà, da quella traccia, Alessandro Monti ha ben in mente varie destinazioni e, cosa più importante, tutte percorribili in bicicletta. Quella domanda lo sorprende, così scende di sella e, cartine alla mano, illustra ai due giovani i percorsi possibili: «Mi ascoltavano sorpresi, guardavano con attenzione i tragitti che indicavo e già questo mi ha fatto piacere. La cosa più bella, però, è che, quando ho iniziato a scalare, ho visto che restavano a fissarmi, come si fa con un amico che parte per un viaggio. Non solo, da lassù ho controllato più volte e vedevo le loro sagome, ancora lì. Passavano minuti e loro non se ne andavano. Sono convinto che torneranno a Bormio, faranno la strada che abbiamo percorso e, giunti a quella strettoia, proseguiranno. Non so se sia merito mio, di quelle spiegazioni, ma mi piace pensare che, forse, ora i loro viaggi avranno un orizzonte più ampio. Mi pare bello sapere che una strada non finisca dove pensavamo finisse».

Dal ricordo si torna al qui ed ora ed il qui ed ora è a Brescia, da Sportland Bike, in via Agostino Chiappa 19. Si tratta di una realtà affermata, prevalentemente in Italia, da molti anni, circa una decina, con almeno venti punti vendita che spaziano dal running, all’outdoor, ai più diversi sport, fino al ciclismo, proprio qui, in questi locali. L’aria di bicicletta potrebbe arrivare direttamente da due pannelli, retroilluminati, che rapiscono lo sguardo, entrambi a tema montagne. Da una parte è raffigurato il versante altoatesino dello Stelvio, i suoi tornanti, nel verde, dall’altro, invece, il “Monte Calvo”, il Mont Ventoux, da Malaussene, la pietraia spazzata da un vento feroce, più simile alla luna che alla terra, con, in cima, quella sorta di missile bianco e rosso, diretto verso chissà quale universo. Qualche minuto di conversazione e capiamo subito che l’aneddoto che abbiamo appena ascoltato ha a che fare con la storia di Sportland più di quanto si possa pensare: «Il tempo che passa ha effetto su di noi e su tutto ciò che ci circonda, anche sulle nostre passioni, sai? Alla fine diventano un’abitudine, qualcosa che costringe, che non si apre verso altre opportunità ma si chiude. Ad un certo punto, è come se si formassero delle incrostazioni su quel che ci piace e tutto si ingessasse, si bloccasse. Vorrei che Sportland aiutasse a prevenire questo rischio, che ci salvasse da quel momento, rinfrescando le passioni. Aprendo altre strade, esattamente come si fa sulle creste». Quella di Sportland, insomma, è una sorta di missione e le missioni, si sa, hanno un poco a che vedere con le visioni, le grandi idee, gli auspici, che ognuno porta dentro: «La mia- prosegue Monti- è quella di un mondo in cui il garmin, sulla bici, non mostri i numeri che tanto si inseguono, quelli legati alla prestazione, ma solo la traccia da seguire per andare dove si vuole, per vivere l’avventura che si cerca». A chi arriva da Sportland, Monti prova a spiegarlo, spesso facendo riferimento alla propria esperienza personale, arricchita da elementi globali e locali, «perché è bene conoscere il mondo e poi la tua realtà, la tua città o il tuo paese».

Racconta, ad esempio, di tutte le vacanze estive che da sei, forse, sette anni, vive in camper, partendo con la moglie verso varie destinazioni che, giorno dopo giorno, percorrono pedalando ed esplorando i dintorni: sul Mont Ventoux è stato di persona proprio in una di quelle gite. All’inizio, la bicicletta era solo un modo per rimettersi da un intervento al crociato, un consiglio dei medici, poi è diventata il mezzo attraverso cui conoscere luoghi e persone, alla velocità perfetta per ricordarle: una boccata di ossigeno, una scoperta totale: «Intendo questo quando dico che l’avventura da scoprire in bicicletta non è solo quella dei paesi lontani, sconosciuti. Ben vengano questi viaggi a migliaia di chilometri di distanza, nel mondo, ma per vivere l’avventura basta andare dietro casa, cambiare strada, svoltare nel bosco, poche decine di chilometri, passare dal centro storico di Brescia, uscire, verso i vigneti, le stradelle che se ne vanno, si perdono via, ancora il lago d’Iseo, il lago di Garda, quelle salite dove non c’è più il traffico, ma abeti, pascoli, le montagne o ancora la Franciacorta. Tutti quegli spazi che non hanno nulla a che fare con l’essere atleti, ma con il prendersi il proprio tempo e gustarselo».

Sono queste le voci che si sentono se si resta un poco ad osservare la vita del negozio. Il primo impatto, però, deve soprattutto essere un piacere per la vista: bisogna che il visitatore scopra il piacere di guardare quel che ha attorno, attraverso una buona illuminazione e un modo di esporre tranquillo, pacato. Si ha la possibilità di fermarsi a vedere una tappa di una corsa a tappe oppure una classica, in un luogo accessibile a tutti, di incontro e conoscenza. «Abbiamo voluto, tuttavia, che l’officina Shimano, laggiù, in fondo, staccasse completamente dall’atmosfera del locale. L’ambiente è ordinato, asettico, anche la luce ed il colore sono diversi. Il tutto è a vista e si focalizza sulla grande attenzione per i dettagli, la precisione, e sulla cultura e passione della bicicletta». Qui, la considerazione di Monti è quasi linguistica: pone, infatti, una netta separazione tra la passione, di cui parla spesso e di cui ci ha raccontato, e la professionalità, altro elemento centrale per chi sceglie il suo lavoro.

«Ci tengo a precisarlo, perché non bisogna lasciare le cose a metà. Essere appassionati è bello ed è fondamentale, ma, quando ci si ritrova a svolgere un mestiere, la passione non può bastare. Serve lo studio, la competenza e la professionalità. L’esempio lo faccio su di me: se dovessi portare in negozio solo quel che mi appassiona, probabilmente stravolgerei molte cose, ma, se lo facessi, durerei anche poco. Sono convinto che chiuderemmo presto. Allora si media, si cerca il compromesso». Il che significa, ogni tanto, introdurre qualche novità, qualche chicca, qualcosa che coniuga perfettamente questi due termini chiave, assumersi anche qualche rischio, perché non sempre le novità vengono comprese dal pubblico, però bisogna tentare. «Mi sono affezionato molto all’idea di conoscere ed incontrare persone che parlano un linguaggio simile al mio e, quando accade, mi sembra sempre speciale. L’empatia è parte di questo lavoro e si sviluppa così, incontrandosi e facendo in modo che sia il lato umano quello che prevale. Certo è una visione differente da quella prevalentemente sviluppata in Italia, una cultura differente, se vogliamo. Per me, un punto vendita è un posto in cui qualcuno può guidarti ad esplorare, può farti vedere qualcosa che non avevi ancora visto o che non immaginavi neppure. Magari ti sprona a farlo». Non serve molto: talvolta è sufficiente mostrare un libro, una rivista, una foto o un racconto che dica cose che non ci si aspetta e insinui così la voglia di cercarle nel prossimo giro in bicicletta per, poi, confrontarsi con gli amici e riscoprire quella bicicletta che conosci da decenni. Per il resto, spiega Alessandro Monti, chiunque può avere le informazioni tecniche ed i dettagli specifici di un determinato mezzo, per cui, pur se importanti, non possono essere queste le cose primarie che ricerca chi si reca in un negozio: «Le leggono su internet, su un catalogo, possono saperne anche più di noi. Ma quelli sono numeri, noi siamo persone e le persone hanno molto altro da dare».

Le persone, ad esempio, si fanno domande, si pongono dubbi, hanno timori e preoccupazioni. Per Alessandro Monti un pensiero è particolarmente rilevante: i ragazzi che si allenano, tre o quattro ore al giorno sulle nostre strade, esposti ai rischi che, purtroppo, ben conosciamo. «Certo che ci penso, è inevitabile, perché nel lasso di tempo di un allenamento può succedere davvero di tutto. Occorre una svolta perché il futuro della bicicletta deve essere sempre più ampio, deve poter spaziare sempre più, in ogni ambito della quotidianità». Il giro in bicicletta, infatti, riassume un piccolo mondo: «Esci in bicicletta ed incontri gli amici, chiacchieri, racconti una storia, ti fermi al bar, bevi una birra, vai a fare la spesa. Ascolti, conosci, pensi e pianifichi, torni a casa con nuove idee, magari la risoluzione di un problema che ti assillava da tempo. Cos’hai fatto? Semplicemente un giro in bicicletta, con la sua fatica ed il suo piacere».

Questa è un’altra avventura, di quelle a portata di mano, che chiunque può vivere e, forse, dovrebbe vivere. Un’altra occhiata a quei pannelli con lo Stelvio ed il Ventoux, un ultimo pensiero a quei ragazzi di cui Monti ci ha parlato all’inizio, la quotidianità di Brescia torna ad accoglierci. Anche noi, a nostro modo, oggi, abbiamo esplorato e scoperto.


Da Apeldoorn fino a Parigi: il punto della situazione

In questo inizio gennaio, come da recente tradizione, i ciclisti professionisti si sono divisi tra Spagna e Australia, per i ritiri e le prime corse della stagione, ma alcuni specialisti della pista hanno preferito i Campionati Europei su pista di Apeldoorn, Paesi Bassi, piuttosto che il caldo e le salite. Organizzare un evento come gli Europei durante il clou della preparazione della stagione su strada è significato dover ricevere qualche forfait, su tutti quelli di Viviani, Ganna e Tarling, impegnati in Australia, e di Dideriksen, che ha deciso di rimanere in ritiro con la sua Uno-X. Assenti anche gli atleti russi per una decisione delle autorità neerlandesi. Secondo il cittì Sergei Kovpanets, l’Unione Ciclistica Europea aveva garantito la partecipazione dei suoi corridori, per i quali la qualificazione olimpica è sempre più lontana. Infatti, in questi campionati continentali erano in ballo punti importanti in chiave Parigi 2024, ma i ticket olimpici saranno assegnati solo dopo le prove di Nations Cup di Adelaide, Hong Kong e Milton, quindi non sono da escludere ribaltoni dell’ultimo minuto.

Corsa a punti femminile - Foto Roberto Bettini/SprintCyclingAgency©2024

Archiviate le polemiche su forfait ed esclusioni forzate, all’Omnisport di Apeldoorn la prima giornata di gare si è consumata senza grandi sorprese. Come da copione, ad assicurarsi le medaglie d’oro nella velocità a squadre sono stati i Paesi Bassi al maschile e la Germania al femminile. Nel regno indiscusso dell’Oranjetrio, composto da Van den Berg, Lavreysen e Hoogland, si sono fatti notare anche gli Azzurri di Ivan Quaranta, che hanno fatto segnare un nuovo record nazionale (43.497), che è valso il sesto posto finale. Ad essere decisivo per il salto di qualità è stato Mattia Predomo, finalmente schierato in seconda frazione dove può esprimere al meglio la propria potenza. Tuttavia, per la velocità a squadre italiana il percorso verso le Olimpiadi di Parigi è tutt’altro che facile.

Team Sprint - Jeffrey Hoogland (NED) - Harrie Lavreysen (NED) - Roy van den Berg and - Tijm van Loon (NED) - Foto Davy Rietbergen/CV/SprintCyclingAgency©2024

Gli Azzurri si trovano al quattordicesimo posto del ranking olimpico, ben lontani dalla Polonia - bronzo ad Apeldoorn -, che occupa l’ottava e ultima piazza utile per Parigi. A rompere un digiuno che dura dalla qualificazione di Roberto Chiappa a Pechino 2008 non saranno neanche le due prime medaglie europee élite della storia della velocità italiana: Matteo Bianchi e Stefano Moro, entrambi molto lontani dalla qualificazione nelle discipline individuali.

Keirin Maschile - Harrie Lavreysen (Netherlands) - Mateusz Rudyk (Poland) - Stefano Moro (Italy) - Foto Roberto Bettini/SprintCyclingAgency©2024

All’Omnisport di Apeldoorn i due hanno conquistato rispettivamente l’oro nel chilometro - che non è parte del programma olimpico - e il bronzo nel keirin, due grandi risultati che però non devono illudere Quaranta e i suoi atleti. Nel chilometro, Bianchi, ventiduenne bolzanino in forze al Team Colpack, ha fatto registrare il miglior tempo sia nella fase di qualificazione (59.687) che in finale (1:00.272), ma al via era assente il neo recordman del mondo Jeffrey Hoogland, da anni su un altro pianeta. Più fortunoso, ma altrettanto degno di merito, il risultato di Moro. L’ex corridore di endurance, che ha virato da poco più di un anno sul settore veloce, ha fatto la propria fortuna seguendo meticolosamente e con grande intelligenza la ruota del polacco Rudyk, sia in semifinale che in finale. Una tattica rischiosa, che però ha dato i suoi frutti ed è valsa un bronzo contro un Harrie Lavreysen che si è preso gioco di tutti e ha vinto per più di mezzo secondo proprio su Rudyk.

Moro ha così migliorato il quarto posto di Predomo ottenuto all’Europeo di Grenchen dello scorso anno. Anche nella velocità individuale, Moro è riuscito a superare il promettente Predomo, che non ha ancora replicato le buonissime prestazioni fatte vedere nella velocità a squadre e non è riuscito ad andare oltre il diciassettesimo posto in qualificazione, registrando un deludente 9.983 nei 200 metri lanciati, per poi uscire al primo turno contro il ceco Topinka. Moro, invece, si è qualificato con il quattordicesimo tempo (9.942) ed è uscito solo al secondo turno contro l’israeliano Yakovlev, il quale ha poi strappato il bronzo ad Hoogland, tornando sul podio di una grande competizione internazionale, dopo tre anni e tante peripezie.

A vincere l’oro è stato il solito Lavreysen, qualificatosi nei 200 lanciati con il record della pista di 9.366, che in finale ha avuto la meglio su un sorprendente Rudyk. Al femminile, l’omologa del neerlandese è stata Emma Finucane, la quale però, oltre all’oro nella velocità individuale, si è dovuta accontentare di due medaglie d’argento nel keirin, vinto da Lea Sophie Friedrich, e nella velocità a squadre, vinta dal terzetto tedesco. La sprinter gallese è l’astro nascente della pista made in Britain - assieme a Josh Tarling nell’endurance maschile -, ma i suoi successi, tra cui spicca il mondiale di velocità vinto a Glasgow a soli vent’anni, sono solamente la punta dell’iceberg della rinascita della velocità femminile britannica iniziata sotto l’ala protettiva dell’australiana Kaarle McCulloch.

Women's Sprint - Emma Finucane (Great Britain) - Lea Sophie Friedrich (Germany) - Foto Roberto Bettini/SprintCyclingAgency©2024

Ne è testimone anche l’oro di Katy Marchant nei 500 metri con i tempi di 33.252 in qualificazione e di 33.319 in finale, che sono bastati a mettersi alle spalle Kouame, Grabosch e l’italiana Vece. Tuttavia, a differenza delle sue colleghe, Marchant è l’ultimo rimasuglio di una generazione precedente, infatti accanto a lei nella velocità a squadre hanno corso la classe 1998 Sophie Capewell ed ovviamente la classe 2002 Emma Finucane.

Non solo velocità femminile, per la Gran Bretagna sono piovuti successi anche nell’endurance maschile. Dopo l’argento di Tidball nell'eliminazione - vinta da Tobias Hansen - nella prima giornata di gare, è arrivato il titolo nell’inseguimento a squadre. Il quartetto composto da Bigham, Vernon, Tanfield e Hayter ha superato in finale una Danimarca che sembrava quasi imbattibile dopo i primi due turni: non a caso il tempo fatto segnare dai danesi nella semifinale contro la Germania è stato di quasi tre decimi più basso del tempo con cui sono stati battuti in finale. I britannici guadagnano così punti di fondamentale importanza nella corsa al ticket olimpico, dopo che il disastroso Mondiale di Glasgow li ha trascinati fuori dai dieci quartetti virtualmente qualificati ai Giochi.

Inseguimento a squadre maschile - Rasmus Pedersen - Frederick Madsen - Tobias Hansen - Carl-Frederick Bevort (DEN) - Foto Roberto Bettini/SprintCyclingAgency©2024

A completare il podio sono stati i campioni olimpici dell’Italia, orfani di Filippo Ganna, sostituito da Davide Boscaro alla luce dell’assenza di Manlio Moro, con una prestazione sicuramente migliorabile. È andata invece meglio al quartetto femminile, composto da Fidanza, Paternoster, Balsamo e Guazzini, che ha superato la Gran Bretagna in finale con il tempo di 4:12.551, prendendosi una bella rivincita dopo l’argento di Grenchen. Per le azzurre è una grande iniezione di fiducia in vista delle Olimpiadi, dopo l’addio di Rachele Barbieri e il deludente quarto posto di Glasgow. C’è però un’altra inseguitrice azzurra che ha sorpreso tutti all’Omnisport di Apeldoorn: Federica Venturelli. La classe 2005, convocata in extremis da Marco Villa, nell’inseguimento individuale ha centrato la finale per il bronzo, poi persa con il tempo di 3:27.475 contro la britannica Anna Morris. Una prestazione notevole, considerando che Venturelli era al primo test sulla distanza di tre chilometri: chissà se la diciannovenne cremonese entrerà nella rotazione del quartetto già in vista delle Olimpiadi di Parigi.

Inseguimento a squadre femminile - Vittoria Guazzini (Italy) - Elisa Balsamo (Italy) - Letizia Paternoster (Italy) - Martina Fidanza (Italy) - Foto Roberto Bettini/SprintCyclingAgency©2024

Non si può definire altrettanto positiva l’uscita degli uomini di Villa: il quartetto si è rivelato ancora una volta Ganna-dipendente e sono mancati i risultati anche nelle discipline di gruppo, in cui Consonni e Scartezzini non hanno replicato le prestazioni degli scorsi Europei e il giovanissimo Fiorin ha corso lo scratch - vinto da Leitão - solamente per fare esperienza. Proprio come Fiorin, un altro uomo del magico quartetto azzurro juniores detentore del record del mondo è stato lanciato nella mischia ad Apeldoorn, ovvero Luca Giaimi, neo acquisto della Uae Gen Z, che ha chiuso l’inseguimento individuale al dodicesimo posto con il tempo di 4:17.379, ben lontano dal vincitore Dan Bigham, che battendo in finale il connazionale Charlie Tanfield ha ottenuto il primo titolo internazionale individuale della sua carriera.

Ironia della sorte, questo primo successo dell’ex recordman dell’ora è arrivato proprio contro uno dei suoi compagni di squadra al Team KGF, la squadra di quattro dilettanti britannici - gli altri due erano Wale e Tipper - che nel 2017 vinse il titolo nazionale dell’inseguimento a squadre contro la nazionale britannica e diverse medaglie in Coppa del Mondo, rivoluzionando per sempre il modo di correre questa disciplina con le loro innovative tattiche. Nel 2017, in quella nazionale britannica era già presente il futuro vice-campione olimpico della madison Ethan Hayter, che ad Apeldoorn, oltre all’oro nel quartetto, ha conquistato il titolo europeo nell’omnium, battendo il danese Niklas Larsen in virtù del piazzamento all’ultimo sprint della corsa a punti. Il londinese, che su strada difende i colori della Ineos, si è così riscatatto dopo una deludente madison chiusa al settimo posto con lo scozzese della Corratec Mark Stewart, il quale dopo quest’ultima uscita difficilmente sarà il compagno di Hayter a Parigi.

Eliminazione maschile - Jules Hesters (Belgium) - photo Roberto Bettini/SprintCyclingAgency©2024

La vera delusione dell’americana è stata però la coppia neerlandese composta da Havik e Van Schip, campioni del mondo in carica, che non è riuscita ad andare oltre all’ottavo posto. I padroni di casa avevano addirittura fatto anticipare la gara per poter partecipare alla Sei giorni di Brema, ma lì sono stati battuti dai neo campioni europei Reinhardt e Kluge, due leggende della madison tedesca che a Parigi tenteranno di coronare il proprio duraturo sodalizio con una medaglia. A differenza dei teutonici, i danesi si stanno avvicinando a Parigi lanciando una nuova strana coppia. La leggenda della pista Michael Mørkøv ha infatti corso tutto l’inverno con il classe 2005 Theodor Storm, neo acquisto della Ineos, e probabilmente lo vorrà al suo fianco anche nella sua ultima madison olimpica, malgrado i vent’anni di differenza tra i due. Consonni e Scartezzini, noni, non hanno brillato a differenza delle colleghe donne.

Madison femminile - Vittoria Guazzini (Italy) - Elisa Balsamo (Italy) - Foto Roberto Bettini/SprintCyclingAgency©2024

Guazzini e Balsamo hanno confermato il bronzo europeo dello scorso anno piazzandosi alle spalle delle francesi Fortin e Borras e delle belghe De Clercq e Kopecky. Per Lotte Kopecky questa è stata la terza medaglia europea della rassegna, dopo i due ori conquistati il sabato con una prestazione degna di una pluri campionessa mondiale come lei. La fuoriclasse belga ha prima vinto la corsa a punti piazzandosi in quasi tutti gli sprint e dopo neanche cinque minuti ha dominato l’eliminazione come solo lei sa fare. Due titoli europei in poco più di un quarto d’ora: fortunatamente Kopecky è la maglia iridata di entrambe le discipline e non ha dovuto perdere tempo per cambiare body!

Questi Campionati Europei non ci avranno detto chi tornerà a casa con una medaglia dai Giochi Olimpici di Parigi, ma senz’altro sono serviti per capire a che punto sono i pistard di tutta Europa: c’è chi è già pronto, come Lavreysen e Finucane; chi deve apportare ancora qualche miglioramento, come il quartetto danese; e chi deve dare il massimo nelle prossime tappe di Nations Cup per strappare una difficile qualificazione olimpica, come la velocità a squadre italiana.


Il questionario cicloproustiano di Chiara Doni

Il tratto principale del tuo carattere?
Determinazione.

Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Sincerità e la presenza.

Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
Empatia.

Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
La loro trasparenza e la loro capacità di farmi sentire sempre speciale.

Il tuo peggior difetto?
Il desiderio di perfezione e la sensazione di non sentirmi mai abbastanza: mai abbastanza intelligente, mai abbastanza capace, mai abbastanza forte.

Il tuo hobby o passatempo preferito?
Ovviamente andare in bici con le persone con cui amo condividere il tempo. Mi piace molto anche sperimentare, in condivisione, in cucina.

Cosa sogni per la tua felicità?
Una casa nella natura tra le colline, un matrimonio con la persona da amare per sempre ed una mia famiglia, un lavoro che mi appassioni e che mi soddisfi intellettualmente ed umanamente. Le mie amiche del cuore per sempre, così come sono ora.

Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
Perdere una persona cara. Specialmente la persona attorno a cui ruota la mia intera vita e con cui condivido la maggior parte del mio tempo libero.

Cosa vorresti essere?
Umanamente: una persona ricca, umanamente e culturalmente, che si spende per essere sempre la propria parte migliore e con molto da dare a chi le sta vicino, una persona da cui trarre ispirazione.
Professionalmente: ai tempi dell’università sognavo di fare la ricercatrice per i mari del mondo e di dedicare la mia vita alla scienza ed alla natura. Nel tempo ho poi compreso che, oltre alla scienza, anche lo sport non poteva mancare nella mia vita. Ho desiderato diventare una atleta professionista ed ancora di più desidero crescere, studiare e lavorare come esperto di nutrizione con atleti professionisti e persone che hanno bisogno di raggiungere un obiettivo cercato o migliorare il proprio stato di salute

In che paese/nazione vorresti vivere?
Non saprei dire con esattezza. Adoro la mia Nazione, con tutti i suoi pro ed i suoi contro e non mi dispiace pensare di vivere la vita qui, tra Lecco e Bergamo, magari con piccole trasferte ad Arco in estate ed a Sanremo in inverno.

Il tuo colore preferito?
Azzurro.

Il tuo animale preferito?
Il coniglio.

Il tuo scrittore preferito?
Due opposti: Susanna Tamaro ed Oriana Fallaci.

Il tuo film preferito?
I Tenenbaum.

Il tuo musicista o gruppo preferito?
Ed Sheeran e Coma Cose,

Il tuo corridore preferito?
Van Vleuten/Anna Van Der Breggen.

Un eroe nella tua vita reale?
Mio zio Felice, per la sua voglia continua di fare e non fermarsi mai.

Una tua eroina nella vita reale?
La mia amica Betty , per la sua determinazione e per il suo modo di affrontare la vita con il sorriso sulle labbra.

Il tuo nome preferito?
Vera.

Cosa detesti?
Le persone che mentono.

Un personaggio della storia che odi più di tutti?
Odiare un personaggio storico? Li trovo così vecchi e polverosi che sarebbe come odiare un libro di storia. E comunque, sono sicura che anche quelli più 'cattivi' avrebbero un account Instagram davvero interessante!

L’impresa storica che ammiri di più?
Non so se possa essere definita impresa storica, in quanto di storia e di strada ce ne è ancora molta da scrivere e da percorrere. Mi piace pensare alla lotta per l’uguaglianza di genere, alle donne che nella scienza (Marie Curie, Margherita Hack), nella letteratura (Simone de Beauvoir, Virginia Woolf), nella storia (Giovanna D’arco), nella propria vita (Madre Teresa di Calcutta) hanno avuto il coraggio di insorgere contro gli schemi imposti dalla società per rivoluzionarla con le proprie scoperte, con le proprie parole e pensieri e con le proprie azioni.

L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Luca Vergallito, che in poco, con sacrificio e determinazione, dal mondo comune diventa ciclista WT.

Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Se avessi l’occasione di correrla, dal Tour de France.

Un dono che vorresti avere?
Il teletrasporto, per poter raggiungere persone e luoghi dove stare bene. Pensando a qualcosa di più concreto, l’amore, quello vero che ti fa sentire al sicuro, per sempre.

Come ti senti attualmente?
Sto bene, un poco affranta in quanto nonostante i diversi tentativi non sono riuscita ad approdare alla professione che avrei desiderato svolgere, ma sono confidente di poter trovare una nuova strada probabilmente più adatta a me.

Lascia scritto il tuo motto della vita
If you can dream it you can do it.
Per aspera ad astra.


La stazione delle biciclette di Milano

Le mani di Piergiorgio Petruzzellis non stanno ferme un attimo, si muovono laboriosamente fra quegli otto tubi, uno sterzo e due ruote di una vecchia bicicletta che gli è stata portata giusto qualche giorno fa. Sì, otto tubi, uno sterzo e due ruote, ci spiega che sono questi gli elementi base per disegnare una bicicletta, che da qui non si scappa, ma, in realtà, non ci si può fermare lì. A lui succede tutte le volte in cui gli capita di vedere una bici, di toccarla, di sistemarla, oppure anche solo di pensarla, immaginarla, magari mentre è occupato a fare altro e quell'oggetto, il suo preferito, pare lontano.

«A volte mi sorprendo nel futuro e provo a visualizzare come saranno le biciclette del futuro. Negli anni sono cambiate tanto, eppure c'è ancora il passato ben saldo, quelle linee guida che servono per raffigurarle con carta e matita, ad esempio. Così sono certo che saranno tanto diverse da quelle di oggi, ma anche simili. Anche fra tanti anni si potranno osservare, modificare e personalizzare. In questo modo, la bicicletta può assomigliare a chi la guida e chi la guida può sentire di avere qualcosa in comune con il proprio mezzo. Avranno sempre addosso l'idea di libertà e anche di economicità, perché, alla fine, una bici si trova per tutti, proprio per tutti». Allora si vede chiaramente che Piergiorgio non riesce davvero ad accettare tutta la ruggine che ha fatto il nido fra quegli ingranaggi, perché, mentre ci parla, ogni tanto scuote la testa, quasi non potesse capire, non si rassegnasse al tempo trascorso e alla poca cura nei confronti di quella bici.

Siamo a Milano, a “La Stazione delle Biciclette”, in via Ettore Ponti 21, e, mentre i rumori in sottofondo sono quelli tipici del lavoro in un'officina, Piergiorgio Petruzzellis racconta le origini di questo luogo, nato, nel 2003, dall'idea di un bando di concorso per la gestione di una velostazione, qualcosa che in Italia non era ancora presente. L'area è quella della metropolitana, nel comune di San Donato: ogni giorno vi transitano persone di ogni genere, ma il piazzale è spoglio, nudo, quasi non fosse vissuto a pieno e vi albergasse una strana solitudine. Un parcheggio per le biciclette, coperto, accanto alla stazione, è l'ideale per farne un punto di ritrovo, qualcosa con un aspetto più familiare. Davide Maggi, che fa ancora oggi parte del gruppo di persone che gestisce e lavora a "La Stazione", avvia l'attività con questo progetto e piano piano i servizi offerti evolvono sempre: è il periodo in cui ferve il movimento delle scatto fisso, loro seguono gli eventi, spingono, promuovono, fino, col tempo, ad arrivare alle biciclette da corsa, alle cargo bike, ai viaggi, al ciclista urbano che vive la città. «Noi crediamo nel fatto- prosegue Piergiorgio, per tutti Pigi- che con una bicicletta si possa fare tutto: dal viaggio in terre lontane, a quello dal panettiere, sino al trasloco. Abbiamo sempre sognato una città a misura di bici e abbiamo capito che, perché accada, è sempre necessario partire dalle proprie azioni, dalla pianificazione dei nostri spostamenti di ogni giorno, dalla ricerca di un movimento libero, senza vincoli».

Agli inizi, Pigi fa un altro lavoro, è ingegnere ambientale, la sera stacca mezz'ora prima dall'ufficio e passa a "La Stazione", spesso solo per dare a Davide un poco di supporto, fosse anche solo morale, di incoraggiamento. Nel 2010 la scelta, il cambio di lavoro e la sua diventa un'attività a tempo pieno: «Nel mettere in bicicletta una persona ho sempre visto la possibilità di cambiare la città, forse anche questo mi ha dato il coraggio di compiere quel passo definitivo verso un nuovo mestiere. Si trattava di lasciare la busta paga fissa e imbarcarsi in un'avventura senza alcuna certezza: l'incoscienza, se dovessi descriverla oggi. Non c'erano dati sul fatturato, a livello storico non potevamo nemmeno immaginare cosa ci avrebbe aspettato. Eppure mi piaceva troppo pensare di dare un contributo reale alla mobilità della mia città e di farlo attraverso il mio oggetto preferito».

La Stazione delle Biciclette ha due negozi a Milano, in Corso Lodi e in Zona Barona e uno shop online. All'interno si trovano persone che fanno ancora i lavori di una volta, quelli che non fa più nessuno ma che tutti vorrebbero saper fare, che tutti ritengono utili. Petruzzellis ha cambiato più volte mansione da quando vi lavora, inizialmente dedicava mezza giornata alle riparazioni, ora non lo fa più, si occupa maggiormente di montaggi o cose particolari, segue la comunicazione, ammette che non è il suo campo e che per questo è più faticoso, soprattutto se si vuole agire in maniera professionale, senza contare la continua informatizzazione, che è inevitabile, ma resta comunque un fenomeno da gestire. Quella ruggine torna in risalto sul telaio, Pigi si ferma qualche istante: «Bisogna volere bene alle nostre bici, dedicare il tempo necessario perché siano funzionanti, a posto, anche belle da vedere. Io soffro quando qualche cliente mi dice: "Non stare a perderci troppo tempo, tanto è vecchia, fai solo in modo che sia utilizzabile per fare quel che devo fare". Penso sia sbagliato, non solo perché svilisce il nostro lavoro, il nostro impegno, ma proprio a livello concettuale. Sarebbe sbagliato nei confronti di qualunque oggetto». La bicicletta è lenta ed inesorabile, nella filosofia de "La Stazione" e uguali sono i cambiamenti che porta: talvolta impercettibili, però già solo le tante bici che si vedono in giro, magari pieghevoli, in metropolitana, sono un indizio, un segno delle cose che, passo passo, cambiano o provano a cambiare. Perché accada bisogna parlarne e parlare, confrontarsi, non è sempre facile.

«Quando dall'altra parte trovo una persona che ha in testa sogni, idee, fantasie, tutto si semplifica. Basta che qualcuno pensi ad un viaggio e si avverte qualcosa in comune. La passione è così, sotto qualunque profilo la si voglia considerare: se provi a trasmetterla, a raccontarla, qualcuno pronto a prenderla, a riceverla, c'è e viceversa. Non dobbiamo, però, scordare che nel nostro paese la cultura è fortemente auto-centrica: abbiamo l'auto aziendale, non la bici aziendale. Questo è un processo culturale che si è stratificato per decenni: ci sarà molto da fare ed in certi casi è davvero complicato avere a che fare con le persone». Qualche anno fa, Piergiorgio faceva novemila, talvolta diecimila chilometri all'anno in sella, ora pedala meno, corre a piedi, dice che non si può fare tutto, ma alla bicicletta ha dato un'altra visuale, un'altra possibilità: «Bici non è solo pedalare, è un mondo. Anche un incontro a chiacchierare, ad ascoltare una storia di ciclismo ha a che fare con la bici. Per questo abbiamo voluto che in Stazione ci fossero libri e riviste, anche musica e concerti: sono un modo di evadere dalla nostra quotidianità, talvolta di sistemare il negozio, di vedere l'attrezzo con occhi differenti, senza le mani sporche d'olio». Un'altra via per conoscere le persone che vengono in negozio, i clienti, per fare comunità, mettersi a disposizione, ascoltare le loro esigenze, chiedere cosa dovranno o vorranno fare con la bici che hanno adocchiato, spesso basta permettere di provare a fare una pedalata e tutti capiscono la differenza tra una bici ed un'altra, ciò che li fa stare meglio e che desidererebbero per le loro uscite: «La bicicletta può essere personalizzata davvero fino all'ultimo bullone: si può cercare la bici giusta, ma si può anche crearla. Senza porre limiti all'invenzione. Nella nostra officina ci proviamo».

Forse la soddisfazione maggiore, almeno per Pigi, è data dalle cargo bike, dai suoi molteplici usi, dal portare i bambini a scuola al viaggiare, tuttavia anche qui il discorso culturale si fa sentire e non potrebbe che essere così: «Si tratta di una nicchia, spesso con costi rilevanti e quindi si fa fatica a permettersela. Sia chiaro, capisco bene la situazione, ma, alla fine, in garage abbiamo quasi tutti una macchina e quella costa più di una cargo bike. Dovremmo trarne delle conclusioni. Che, tuttavia, stiano cambiando la mobilità è evidente ed importantissimo». Il tono cambia, arriva un ricordo di gioventù: il toboga della Triennale e la curva al cavalcavia di viale Cassala, dopo un tratto di ciclabile abbandonata, sulla destra.

«Quando frequentavo le superiori e, al mattino, andavo in bicicletta al liceo, in quel tratto mi divertivo a fare le "curve sceme", come le soprannominavo all'epoca, ovvero strane, improvvisate. Oppure andavo su una piccola montagnetta vicino a casa, una sorta di micro-salita che mi permetteva uno sfogo, un divertimento genuino». Giorni lontani in cui Pigi aveva tutti altri progetti per il futuro, però in bicicletta ci andava già e ci teneva come ci tiene ora.


Quella vecchia bicicletta arrugginita è ancora fra le sue mani, abbiamo la sensazione che ci vorrà del tempo prima di rimetterla in strada: Petruzzellis se lo prenderà tutto, ne siamo certi, e noi, quando capiteremo a Milano la prossima volta, la cercheremo, da qualche parte. Le luci sulla Stazione sono quelle dell'inizio del pomeriggio, con il sole pallido dell'inverno appena giunto: «Qualche sogno ce l'ho ancora e diversi riguardano la bicicletta. Non vorrei più vedere le auto in doppia fila ovunque, non vorrei avere paura quando, magari con un bambino o un ragazzo, percorro una strada di Milano, della mia città, fare il possibile perchè anche loro, un domani, possano non avere paura, perché non debbano discutere con chiunque, mentre pedalano, perché queste continue discussioni rischiano di far passare la voglia di pedalare. Mi piacerebbe vivere in una città in cui chiunque possa scegliere la bicicletta e farlo con serenità, poi andare a scuola, al lavoro, a fare la spesa o a fare un viaggio verso chissà quale destinazione. Per la città in cui vivo vorrei questa libertà». Un'idea che sta bene a "La Stazione delle Biciclette", in una giornata di lavoro, e che sta bene ovunque, come le bici che transitano qui vicino, ad ogni ora del giorno.


In cerca di successo: 10 corridori che inseguono la prima vittoria da professionista

La stagione sta per iniziare, non pare vero. Il tempo vola se ci riferiamo a un arco ristretto, ma accade lo stesso e ci guardiamo indietro: “sembra ieri” diciamo il più delle volte. E allora facciamo un gioco, direbbe "L’Enigmista" (non Bartezzaghi anche se pure stamattina gli saranno fischiate le orecchie, lo si ama e lo si odia).

Tuttavia, non sbrodoliamoci e veniamo al dunque: sembra ieri che alcuni corridori, che qui elencheremo, sono passati professionisti, invece è già qualche anno, e alcuni di questi non hanno ancora assaporato il gusto della vittoria. C’è stato chi, come Pastonesi in passato, ne fece un vero e proprio cavallo di battaglia, oggi, noi, almeno chi scrive, non persegue lo stesso lato romantico della faccenda, ma vuole far conoscere 10 corridori (ce ne sono di più, logico, alcuni interessanti sono rimasti fuori) che non hanno ancora vinto e che inseguiranno il primo successo da professionista in questo 2024.

Una sola regola: non si è tenuto conto di chi è passato professionista nel 2023.

TIM DECLERCQ

Tim Declercq (BEL) - Foto Massimo Fulgenzi/SprintCyclingAgency©2023

Il trattore ha cambiato squadra, dalla Quick Step alla Lidl-Trek. Fa quasi rima. Ha cambiato squadra, ma non attitudine, con gli americani lo troveremo a tirare, tirare, tirare, tirare, tirare, eccetera. Qualche anno fa, quando ritirò il premio del miglior gregario dell’anno, indetto da non ricordo bene quale rivista, sito o cose simili, usò una delle frasi fatte più note che accomunano corridori lenti come la melassa (cit.): “in una volata a tre, io arrivo quarto". Tra l’altro pare sia successo davvero. Si sbloccherà?

% di possibilità di ottenere la prima vittoria nel 2024: 0%

FREDERIK FRISON

Frederik Frison (BEL - Lotto Dstny) - Foto Roberto Bettini/SprintCyclingAgency©2023

Un vecchio adagio del ciclismo afferma come i corridori in scadenza di contratto all’improvviso inizino ad andare più forte. In particolare questa sindrome - lo racconta, se non sbaglio, De Gendt nel suo libro - colpisce duramente i belgi. Forse è qualcosa nell’aria, nell’acqua, nella birra o nel cioccolato. O forse è colpa degli abitanti di Namur e della loro invenzione (le patatine fritte!). Insomma, Frison, dopo anni di anonimato lo scorso anno volava al Nord, fino a ottenere il rinnov… no, non è vero Lotto non l’ha rinnovato ma lui è andato in una squadra ambiziosa, simpatica e che al posto di un nome ha una sigla strana. Avrà il suo spazio per provarci.

% di possibilità di ottenere la prima vittoria nel 2024: 5%

JUANPE LOPEZ

Juan Pedro López (ESP - Lidl - Trek) - Foto Luis Angel Gomez/SprintCyclingAgency©2023

Non lo sapevo e ci sono rimasto male, ero convinto che al Giro avesse vinto una tappa, poi sono andato a riprendere l’arrivo sull’Etna - ero lì, ma faceva freddo e c’era vento e stavamo mangiando cannoli e arancini (sì, arancini e non arancine) - e ho visto che vinse Kämna, mentre Lopez prese la maglia rosa che gli stava pure bene. Ho come un sogno su di lui, un articolo che non ho mai più ritrovato e che raccontava un fatto curioso: prima di correre o forse nel tempo libero, faceva il panettiere o pasticcere, se trovate qualche informazione aiutatemi. Ah, per vincere deve arrivare tutto solo soletto e in una tappa di montagna. Difficilissimo, ma non del tutto impossibile.

% di possibilità di ottenere la prima vittoria nel 2024: 10%

HAROLD TEJADA

Harold Tejada (COL - Astana Qazaqstan Team) - Foto Tommaso Pelagalli/SprintCyclingAgency©2023

Ci sono corridori e corridori. Ci sono quelli che vincono e scompaiono per mesi e anni, altri che diventano corridori di livello assoluto e ci rimangono, che sanno vincere e sanno essere pure continui. Ci sono quelli che sembrano persino crescere stagione dopo stagione! E li si può anche aspettare con calma. Com’è possibile? Ci sono quelli regolari su cui puoi contare, e Tejada è uno di questi. Ha l’età giusta pure per vincere una tappa al Giro d’Italia, però prima c’è da chiedere il permesso a Pogačar.

% di possibilità di ottenere la prima vittoria nel 2024: 15%

MATTEO FABBRO

 

Matteo Fabbro (ITA - Bora - hansgrohe) - foto Luis Angel Gomez/SprintCyclingAgency©2023

Segna per noi, Matteo Fabbro, segna per noi Matteo Fabbro oooh-oooh ecc ecc. Il friulano sarà la punta di diamante della scintillante nuova squadra di Bassoeccontador, il team Polti. Peccato solo non aver scelto una maglia con il design che richiami quella degli anni ‘90 (ma secondo me hanno in serbo qualche sorpresa, una maglia speciale per il Giro pronta a sbancare il botteghino), altro discorso. Insomma, Matteo Fabbro, come dobbiamo fare per vincere? Per me si può fare, ma la strada è solo una e si chiama F-U-G-A. Se vogliamo vincere una robetta di peso, una tappa al Giro, alla Tirreno cose così. Se invece vogliamo iniziare, com’è giusto anche che sia da qualcosa di piccolo, allora fatti portare in Spagna, dove si sta bene e c'è il terreno adatto e cerchiamo di rosso un bell’arrivo in salita, possibilmente in una gara con una concorrenza non elevatissima e sprigioniamo i cavalli friulani, quelli che da Under facevano presagire un buon futuro. Per me, ripeto, si può fare.

% di possibilità di ottenere la prima vittoria nel 2024: 25%

MAX KANTER

Max Kanter (GER - Movistar Team) - Foto Ilario Biondi/SprintCyclingAgency©2023 

Ha un nome a metà tra un filosofo e un pornostar, se lo guardi in faccia sembra appartenere alla gioventù kitteliana, è un velocista di buon livello, tiene pure bene se il finale è tortuoso. Ha già 27 anni, e tra una cosa e l’altra questa è l’ottava stagione tra i professionisti. Insomma: cos’è andato storto? Non si sa, pare un giorno abbia comprato uno strano oggetto al mercato e abbia scoperto che strofinandolo (non sappiamo cos’era quell’oggetto, e non ci teniamo a scoprirlo, ne sappiamo cosa si intenda per "strofinandolo" né dove, né come) avrebbe dovuto rispondere alla domanda: preferisci arrivare 50 volte secondo o vincere una corsa? Ha scelto la prima perché la domanda gli era stata posta in kazako e lui la lingua non la conosce, andando in confusione.

% di possibilità di ottenere la prima vittoria nel 2024: 40%

 

ANDREA PICCOLO

Andrea Piccolo (ITA - EF Education - EasyPost) - Foto Luis Angel Gomez/SprintCyclingAgency©2023

Andrea, piccolo grande uomo. A sprazzi ci fai godere, ad altri ci fai arrabbiare (si fa per dire, ti si vuole un mondo di bene), abbiamo un desiderio (magari proviamo a strofinare anche noi l’oggetto di Kanter, anche se in effetti non funzionava proprio così…) ovvero quello di vederti vincere una corsa, anzi adesso barattiamo noi, fateci parlare con chi ha inventato quella cosa che al mercato Maxkanter comprò. Insomma, in cambio di una carriera opaca o di alti e bassi ti vogliamo one-season-wonder e quest’anno vinci tutto il possibile. Affare fatto?

% di possibilità di ottenere la prima vittoria nel 2024: 50%

LEWIS ASKEY

Lewis Askey (GBR - Groupama - FDJ) - Foto Jan De Meuleneir/PN/SprintCyclingAgency©2023 

L'ho visto salire sull’Alpe d’Huez zaino in spalla, divisa della FDJ, sorridente. Era il 14 luglio e c'era una festa assurda su quella salita tanto mitica quanto brutta. Tutti aspettavano Pinot, lui era un ragazzo in gita, anche se ben tirato. Askey fa così perché ama l’aria aperta e il ciclismo, il ciclismo per il momento non sembra amare lui, se è vero che alla Roubaix ha chiuso con un ginocchio aperto in diversi punti, e se è vero anche che, non ce lo siamo immaginati, lo scorso anno ha perso la Paris-Tours da favorito, almeno in quel gruppetto, la volata con uno stagista americano di età non ben definita e che sinceramente non avevo mai sentito nominare. Gli do buone chance, però deve essere più cattivo e iniziare a odiare questo sport di merda.

% di possibilità di ottenere la prima vittoria nel 2024: 75%

ANDERS HALLAND JOHANNESSEN

Anders Halland Johannessen (NOR - Uno-X Pro Cycling Team) - Foto ReneÕ Oehlgen/HRSprintCyclingAgency©2023

 

Ci sono gemelli e gemelli, ecco lui è il gemello meno forte, ma non per qualcosa, perché Tobias non è solo quello forte dei due, ma perché Tobias lo è proprio a livello assoluto. Anders è un po’ la sua stessa versione con qualche watt in meno, ma si può lavorare per limare alcuni aspetti. Nel caso non dovesse riuscire a sbloccarsi entro fine stagione pare abbiano già fatto il patto che l’uno prenderà i panni dell’altro per andare a vincere. Poi come succede in questi casi capaci che a parti invertite finisca per vincere Anders nei panni di Tobias, e che Tobias nei panni di Anders finisca secondo. Chiaro il concetto, no?

% di possibilità di ottenere la prima vittoria nel 2024: 90%

NICOLA CONCI

 

Un altro che mi ha lasciato senza parole alla scoperta delle zero vittorie in carriera, anche perché questo da Under 23 andava fortissimo, vinceva, scattava, era esplosivo, eccetera, eccetera. Io faccio una scommessa, con chi se la sente, per me quest’anno si sblocca e vince una corsa importante.

% di possibilità di ottenere la prima vittoria nel 2024: 100%

 


Inizio anno con vista Parigi: intervista a Elisa Balsamo

Era il 26 maggio e la tarda primavera 2023 di Elisa Balsamo si infrangeva sulle strade che vanno da Saffron Walden a Colchester, nel corso della prima frazione della RideLondon Classique: «Fino ad ora credo sia stata la più brutta caduta della mia carriera, in un momento in cui, dopo la crescita che avevo mostrato alla Vuelta a Burgos Feminas, arrivavo in Inghilterra per fare risultato, per vincere, con una buona condizione». La diagnosi è un cucchiaio gelato che scava lo stomaco: frattura dello scafoide del polso destro e, soprattutto, doppia frattura, destra e sinistra, a carico della mandibola. Quando torna a casa, il suo compagno è in America, per lavoro, una difficoltà in più, una mancanza: saranno i genitori ad accompagnarla a Milano, per le cure. L'aria di giugno, che cambia la natura, per la venticinquenne cuneese, è un quadro da vedere dietro le finestre di casa: anche pranzare diventa impossibile, si riescono a deglutire solo liquidi ed il cibo deve assumere questa forma per essere preso, perde tanti chili e conseguentemente tanta massa muscolare.

 Elisa Balsamo (ITA - Lidl - Trek) - Elynor Backstedt (GBR - Lidl - Trek) - Foto Tommaso Pelagalli/SprintCyclingAgency©2023

Nei primi giorni in cui risale in sella, sui rulli, il mondo sembra crollarle addosso: «Non avevo forza, riuscivo solo a far girare le gambe, ma con la bocca chiusa non riuscivo a respirare e, quindi, qualsiasi sforzo diventava impossibile». Da lì, settimane di fisioterapia, tre volte al giorno, per provare a ritornare. Nel tempo abbiamo conosciuto bene l'indole di Elisa Balsamo, così, quando in un intermezzo di intervista ci dice che «forse questa volta posso davvero dire di essere orgogliosa di me», a quell'orgoglio siamo in grado di dare tutto il peso che effettivamente ha. L'aggiunta non tarda ad arrivare: «Da soli non ce la si fa quasi mai, senza Davide e senza mamma e papà, chissà...».

Il ritorno è nell'estate torrida del Tour de France, dopo sole tre settimane di allenamento, qualcosa di quasi impensabile. Eppure per Balsamo è stato importante partire per la Francia, per buttarsi da subito nella mischia, per ritrovare confidenza con il gruppo, le sue dinamiche, in una corsa dalla forte competitività. Soprattutto importante è stata una mattina, quella della terza tappa, il 25 luglio, partenza da Collonges-la-Rouge e arrivo a Montignac Lascaux, quella in cui la squadra chiede a Elisa Balsamo se se la senta di provare a fare la volata: «Sapevano come lo sapevo io che non avrei potuto vincerla, ma si sono fidati e fidarsi, quando si parla di volata, vuol dire metterti una squadra a disposizione, lavorare sodo, senza alcuna certezza. Per me è stato un segnale importante». Quando parte la volata, Balsamo è nella migliore posizione possibile, allora si alza sui pedali e prova a lanciarsi: «Mi sono dovuta risedere sul sellino, le gambe erano vuote, non potevo spingere. Ho fatto quinta in una volata che poteva essere perfetta, ma non ne avevo». In quelle gambe vuote c'era fatica, male, stanchezza, non c'era, però, timore che, dopo un infortunio simile, avrebbe ben potuto essere presente: «Quando dico, e lo dico spesso, che mi fido ciecamente di Ilaria Sanguineti, l'ultima donna del mio treno, non faccio della retorica. Nel momento in cui sono sulla sua ruota, so che la traiettoria scelta sarà quella giusta e mi sento sicura. Senza parlare più di tanto». Sarà perché Balsamo e Sanguineti si conoscono da tempo, perché c'è un rapporto di amicizia oltre che di lavoro, ma fra di loro non si parla molto neppure di sogni, anche se il più grande, ciclisticamente parlando, lo sanno entrambe e Sanguineti, lo scorso inverno, ce lo aveva confessato: portare Balsamo a vincere il Fiandre. «Sì, è il sogno condiviso, ma non ce lo diciamo, pur continuando a lavorare per la stessa cosa. Se accadrà, allora ammetteremo di averlo sognato da sempre».

 Elisa Balsamo (ITA - Lidl - Trek) - Lorena Wiebes (NED - Team SD Worx) - Foto Anton Vos/CV/SprintCyclingAgency©2023

Dopo il Tour de France, in Scandinavia sono arrivati i primi podi in volata, a rassicurarla, a farle capire che, nonostante tutto, era ancora lì. Solo al Simac Ladies Tour, però, alla prima tappa, Balsamo ha trovato nuovamente la vittoria: «Fossi arrivata seconda, anche di pochi centimetri, sarebbe cambiato tutto, anche i discorsi che sto facendo ora. Ad un certo punto, pensavo anche alla necessità di ripagare il lavoro della squadra e si ripaga con le vittorie, c'è poco da dire. La felicità che ho provato quando Shirin van Anrooij ha vinto il Trofeo Binda, davanti a me, è una felicità simile al giorno dell'anno prima in cui vinsi io. In una squadra succede così. La vittoria al Simac Ladies Tour è la vittoria che ha salvato la mia stagione, sono sincera. Era fondamentale mentalmente, prima che fisicamente». Una stagione sfortunata, non solo per lei, per la squadra, che si è trovata a correre con poche atlete: la gravidanza di Ellen van Dijk, qualche problematica che ha riguardato anche Elisa Longo Borghini e altre compagne coinvolte in cadute ed infortuni. Per questo, se Elisa Balsamo pensa alle volate della prossima stagione e a come battere Lorena Wiebes, chiede solo un poco più di fortuna, perché «la nostra è una bella squadra e la chiave per superare certi talenti è proprio la squadra».

Letizia Paternoster (Italy) - Elisa Balsamo (Italy) - Foto Luca Bettini/SprintCyclingAgency©2023

La stagione 2024 sarà una stagione importante, intensa, per cui Balsamo sente di aver messo nelle gambe, con i ritiri invernali e con il lavoro in palestra, una buona base di preparazione, solida, quella che la caduta le aveva portato via. Per la prima volta, dopo tanti anni, però, non ci sarà la scuola, lo studio, l'università, visto che Elisa Balsamo si è laureata la scorsa primavera: «Mi è piaciuto studiare e mi è piaciuto scrivere la tesi. Ho studiato credendo che dovesse esserci qualcosa di altro nella quotidianità oltre al ciclismo, ben sapendo che, per quanto tutte noi lo trattiamo come se fosse l'intera nostra vita, il ciclismo non è la vita. Deve esserci altro, bisogna cercarlo e metterlo nelle nostre giornate, altrimenti diventa un problema. L'università era questo per me e ora che è finita sento la differenza. Riempio il mio tempo libero, condivido passioni con Davide e quando non sono in sella non mi annoio mai. Anzi, mettiamola così: ho scelto di non annoiarmi mai». La passione per la scrittura non l'ha mai nascosta, vorrebbe diventare giornalista, dopo la carriera o, forse, addetta stampa, sulle orme del suo addetto stampa attuale, Paolo Barbieri.

 Elisa Balsamo (ITA - Lidl - Trek) - Foto Rafa Gomez/SprintCyclingAgency©2023

Il primo appuntamento è con gli Europei su pista, i ritiri sono in previsione di quell'appuntamento, ma anche, in generale, della stagione che culminerà con l'Olimpiade, a Parigi. Si dice sicura che la nazionale farà il massimo agli Europei, ma la valutazione non sarà e non dovrà essere focalizzata solo sul risultato: «Ritrovarsi con il quartetto, stare assieme, è un primo punto. Si tratta di un gruppo di ragazze che lavorano assieme sin da giovanissime: crescendo si cambia a livello fisico, a livello mentale ed anche a livello di potenza e watt che si sprigionano. La nostra evoluzione è questa ed è all'interno della stessa che bisogna muoversi: per esempio, facendo in modo che ciascuna abbia la possibilità di esprimersi nel ruolo in cui più si riconosce. Credo che queste siano le fondamenta di tutto quello che stiamo facendo». Dell'Olimpiade non si può non parlare, anche se manca molto e questa distanza di tempo rende più difficile rifletterci, soprattutto per chi, come Balsamo, ha scelto di concentrare la sua stagione in piccoli blocchi, per una questione di gestione, di concentrazione e di produttività: «Voglio esserci e voglio ottenere il miglior risultato possibile».

Elisa Balsamo (ITA - Lidl - Trek) - Foto Rafa Gomez/SprintCyclingAgency©2023

La frase lapidaria, senza dubbi o sfumature. Poi un salto all'indietro, a Tokyo, la sua prima Olimpiade: «Non ho un ricordo positivo, non posso parlarne come di un'esperienza che mi ha lasciato un bel segno, però ho sempre pensato che da ogni fatto che viviamo sia possibile trarre qualcosa di buono, quindi sì, la presenza a Tokyo è servita: non sarà la prima volta, saprò come meglio gestire l'ansia da prestazione e non ripeterò gli stessi errori». A guidare la nazionale su pista, Marco Villa che sta lavorando, tra l'altro, affinché, a livello tecnico, si riesca ad indurire il rapporto nell'inseguimento a squadre, il resto si inserisce nel rapporto umano, nell'ascolto e nel miglioramento quotidiano. Su strada Balsamo ha già la mente alle classiche di inizio stagione, poi penserà alle tappe al Giro d'Italia e al Tour de France. Dentro c'è l'orgoglio per quello che ha passato e per come lo ha oltrepassato.


Il questionario cicloproustiano di Alberto Bruttomesso

Il tratto principale del tuo carattere?
Determinazione.

Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Coraggio.

Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
La positività.

Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
Passare dei bei momenti.

Il tuo peggior difetto?
Testardaggine (a volte).

Il tuo hobby o passatempo preferito?
Netflix e Playstation.

Cosa sogni per la tua felicità?
Realizzare i miei desideri.

Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
Arrivare a una certa età rimpiangendo qualcosa.

Cosa vorresti essere?
Quello che sono.

In che paese/nazione vorresti vivere?
Sto bene qui.

Il tuo colore preferito?
Nero.

Il tuo animale preferito?
Leone.

Il tuo scrittore preferito?
Non ne ho uno in particolare.

Il tuo film preferito?
Non ne ho uno in particolare.

Il tuo musicista o gruppo preferito?
Non ne ho uno in particolare.

Il tuo corridore preferito?
Boonen e Sagan.

Il tuo nome preferito?
Ettore.

Cosa detesti?
La disonestà.

Un personaggio della storia che odi più di tutti?
Hitler.

L’impresa storica che ammiri di più?
L'uomo sulla luna.

L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Tripletta Mondiale di Sagan.

Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Tour de France.

Un dono che vorresti avere?
Stare sempre bene fisicamente.

Come ti senti attualmente?
Bene.

Lascia scritto il tuo motto della vita.
Non è un motto ma: vedere sempre il bicchiere mezzo pieno.


La cargo bike e l'universo della bici che si amplia

23.03.1977 Segrate (Milano)

Alessandro Grisotto è un bambino, la primavera è iniziata da poco, papà sta tornando a casa. Alessandro non lo sa, ma papà è stato in un negozio di biciclette e fra poco gli porterà la sua prima bicicletta. I genitori conoscono bene i sogni dei figli e quel padre è certo che una bicicletta sia il desiderio più grande di quel bambino, da tanto, almeno da quando aveva cinque anni e inseguiva, piangendo, lo zio, non appena lo vedeva partire: lo zio gareggiava e il piccolo Grisotto avrebbe voluto accompagnarlo ovunque. Oggi è il giorno del suo decimo compleanno e non appena la porta si aprirà e papà entrerà con quella piccola Olmo, Alessandro gli correrà incontro e salirà subito in sella. Milano è grande ed in un pezzetto di strada, per molti giorni, ci sarà lui: avanti e indietro, a destra e a sinistra, su e giù, in bicicletta e a terra, qualche caduta, qualche sbucciatura. Milano è grande, sì, e un bambino è sicuro che con la sua bici potrà girarla tutta, sentendosi anch'egli grande, più vicino al mondo degli adulti, libero.

05.02.2023 Conegliano Veneto (Treviso)

«Mi sono rivisto bambino, a Milano, con quella Olmo, dopo tanti anni. A cinquantasei anni, è stato come se avessi tolto di nuovo le rotelle alla bicicletta: la prima volta che accade sembra di volare, sfidando le leggi della fisica. Mi sento quasi esagerato a dirlo, ma è vero: ho riprovato quella stessa sensazione. Di biciclette ne ho cambiate tante nel tempo e ogni volta è stato diverso, come oggi, però, mai». Più di quarant'anni dopo e una primavera un poco più lontana, questa volta è Alessandro Grisotto a tornare a casa con una bicicletta nuova: una cargo bike muscolare. Ci pensava da tanto, si guardava attorno, pensava che fosse un'evoluzione del settore delle due ruote che avrebbe voluto provare, dopo aver lavorato diversi anni nel mondo del ciclismo, aver fatto gare, aver viaggiato, poi rimandava, aspettava. Fino a quel giorno: «il più bello, almeno in bicicletta». Ancora più libero e forse un poco meno adulto, perché la bici fa sognare di essere grandi e fa tornare bambini, quando grandi si è già diventati.

Due date, due prime volte e Alessandro Grisotto che, dall'altra parte del telefono, continua a parlare, alzando e abbassando la voce, come quando ci si emoziona: «L'altro giorno ho accompagnato la mia figlia più piccola, otto anni, dal dentista, a Vittorio Veneto: da Conegliano sono circa trenta chilometri ad andare e trenta a tornare. Si è divertita moltissimo, in mezzo alle colline, come fosse una gita ed, in effetti, un poco è stata una gita, mentre stavamo facendo qualcosa di necessario. Capisci?». Questo è un punto importante nel racconto di quello che rappresenta una cargo bike. Quando correva, Grisotto non avrebbe mai immaginato una bicicletta simile: allungata, pesante, in un certo senso "strana". «Credo sia la parte più estrema della libertà in sella. Su questa bici viaggi ad impatto zero, hai spazio per la compagnia e anche per tutto quel che può servire, che siano attrezzi oppure un sacco a pelo ed una tenda. La chiamo indipendenza e già questa è una componente decisiva in un viaggio, ma c'è di più. Sì, perché la cargo bike unisce la quotidianità più comune, portare un figlio a scuola, andare a fare la spesa, sbrigare una commissione, andare al lavoro, alla possibilità di conoscere luoghi e, perché no, di viaggiare, persino di scalare una montagna».

E Alessandro Grisotto può ben dirlo, lui che su quella cargo bike ha scalato il Cansiglio, il Monte Grappa, il San Boldo, fino ad arrivare allo Stelvio, con il suo amico Andrea, una vetta iconica, su cui ha portato altri appassionati come lui, in una sorta di sfilata di queste bici, mentre tutti guardano incuriositi. Poi lassù, a mangiare pizzoccheri, contenti. Grisotto pensa anche al Nivolet, proverà a scalarlo la prossima estate, ma pure al Mont Ventoux e, forse, anche allo Zoncolan: «In bicicletta mi sono detto che non lo avrei mai fatto, ma in cargo bike chissà. Può sembrare una follia, però mai dire mai».

«Forse sto esagerando, perché la cargo bike non è nata per fare quello che io provo a farle fare, tuttavia è un messaggio: a me è venuto naturale provare e mi sembra giusto raccontarlo. In molti mi chiedono consigli, io dico di sperimentare. Il senso è: con una bici si possono fare tantissime cose, è un peccato non scoprirlo». Sarà per le tante gare che ha corso, sarà per la quotidianità che, spesso, non lascia spazio alla solitudine, ma anche pedalare da soli regala qualcosa di raro: si pensa, si immagina, si inventa, si cambia idea, ci si promette qualcosa. Così è arrivato il progetto di correre la Seven Serpents in cargo bike e di partecipare alla Veneto Gravel, per l'occasione denominata Veneto Gravel Cargo Ride, nel 2024. Tutto all'insegna del divertimento, un sottofondo costante. «Sono convinto che non conosciamo abbastanza questo mezzo, è sufficiente far caso al volto alle persone che ti fissano per strada. Ti fanno i complimenti e almeno un paio di domande: "A cosa serve? Dove si trova?"».

Alessandro spiega, lascia tutte le informazioni necessarie e riflette sul fatto che un domani gli piacerebbe rendersi utile in prima persona per chi volesse provare una cargo bike. Il verbo non è casuale: «Bisogna provarla e prenderci la mano, perché è diversa da guidare rispetto alla bicicletta classica. Serve pratica e continuità, alla fine non si vuole più scendere».

Altro tema è quello del costo, decisamente elevato, che rischia di allontanare anche chi vorrebbe sperimentare. La soluzione c'è: in Germania, in Olanda ed in Inghilterra sono già attivi i noleggi operativi, per ogni modalità di utilizzo, mettendo sempre al centro la lentezza dello spostamento, che cambia proprio la prospettiva di ogni viaggio, breve o lungo che sia. Probabilmente presto arriveranno anche in Italia e l'universo della bicicletta si amplierà ancora un poco, ci saranno nuovi inizi, nuovi luoghi in cui portare una cargo bike e nuove cose da fare: «Il resto è difficile da raccontare, possono dirlo i miei figli che vedono tutti i giorni quel che significa per me quella bici bislunga che ho tanto desiderato. Quel che non può narrare si definisce indescrivibile, giusto? Ecco, per me la bicicletta è indescrivibile». Scusate se è poco.


Le cose del cuore

Succede sempre così nel ciclismo. C’è l’attesa che per un attimo trasforma tutto in silenzio: lo conosciamo quel momento. Accade quando ti guardi dentro e cerchi una risposta. Che tu sia su una bici a patire il piacere del dolore, oppure a bordo strada ad aspettare i corridori appagati dalla sofferenza altrui: non è una forma di sadismo ma di empatia.
C’è il silenzio collettivo, di massa. Silenzio che ti tormenta e diventa bisbiglio, quasi un ronzio, prima di mutare, in un attimo, in quella sensazione che provano a descrivere nei film con una particolare tecnica legata al sonoro: è un frastuono, silenzioso tormento che si trasforma estasi. Non è ipercomunicazione che snatura il modo di essere, ma è il silenzio che ora si rumore assordante, è la festa che si riappropria di tutto, degli spazi e del tempo.

Succede così per ogni vittoria di Tadej Pogačar che, per un appassionato, è un piacere, una cosa-del-cuore. Ogni suo scatto supera la normale sofferenza, squarcia l’oblio, distrugge quell’attimo. Appaga. Probabilmente c’è una particolare parola in tedesco per spiegare tutto questo, beati loro che hanno la capacità di riassumere tutto in un termine. Forse ci sarà anche in sloveno, ma non la conosciamo: ci accontentiamo di vedere Tadej Pogačar attaccare, che sia sulle pietre del Fiandre, sul Poggio di Sanremo, sulle lunghe salite francesi o sui colli lombardi, non importa.
A ogni corsa ci sono le braccia dei tifosi che cercano di agguantarlo, quasi di strapparlo via dal suo cavallo-mezzo. Telefonini che volano in aria sbattuti lì in faccia ai corridori come innaturale prolunga del corpo umano. Bottiglie di vino, cappellini, maglie, bandiere. C’è chi ti domanda se corre ancora Battaglin o se Carapaz passerà in maglia rosa. C’è quella sua bici: Pogačar addomestica il mezzo per farne una parte di sé, pur nel suo essere gioviale sceso di sella, è un combattente delle due ruote, ve lo riuscireste a immaginare in un’altra maniera se non vincente, scattante in sella alla sua Colnago? Nato e cresciuto per fare questa cosa qua. Nulla di più.

Il cielo di questo ottobre 2023 è un giallastro paglierino e solo quando il gruppo ha superato il Passo di Ganda si inizia a fare più blu. In mezzo al bosco si fa il ritmo, si scandisce come un tam-tatum-tam-tatum. Il gruppo sembra una nave che risale l'Amazonas e in testa risuona la musica lirica di Enrico Caruso. C’è il sibilo delle catene ben oliate, c’è il ronzio delle radioline, lo stridere dei freni lo lasciamo alla temibile discesa giù dal Selvino dove sbagliare significa rischiare di fare un brutto volo. I rami degli alberi inneggiano all’arrivo di un autunno ancora leggermente sbiadito, a volte coprono gli sguardi dei corridori, altre sono una perfetta cornice a dei bizzarri e inquietanti quadri contemporanei creati dall’intelligenza artificiale. La stringa dice: “ciclista che scatta in salita e tutto intorno alberi, pittura contemporanea”. Le maglie UAE si nascondono come una tribù che ti osserva dietro le fronde, e poi come d’incanto attaccano. Davanti al gruppo, Quick Step e Jumbo Visma: fino a poche ora prima sembravano sul procinto di diventare una cosa sola, ma ora, in provincia di Bergamo, non fanno più prove generali sul futuro, piuttosto gettano in concreto sulla strada tutto quello che hanno. Da una parte si pensa di lottare per Evenepoel, Alaphilippe, perché no Van Wilder, ma d’improvviso è il momento di Bagioli. Dall’altra tutti uniti per Primoz Roglic alla sua ultima gara in giallonero, promesso sposo alla BORA-hansgrohe.
Ci prova Adam Yates su questo Passo di Ganda, il gemello allunga ed è solo l’anteprima sui nostri schermi. Un trailer dove si vede un uomo UAE fare l’andatura davanti. Quando si stacca Pogačar pensi: sogno o bluff? Non si capisce in verità: poiché rientra con un balzo non c’è tempo di perdersi in elucubrazioni. E quando riparte, ormai il gruppo si è già accartocciato su se stesso come una lattina piegata con la sola forza della telecinesi. Restano in pochi. Con loro Pogačar, oppure Tadej, oppure Pogi, ormai è diventata consuetudine chiamarlo con diversi nomi: a furia di vederlo entrare nelle nostre case tramite quelle sue azioni e la sua maglia bianca al Tour (che dall’anno prossimo non vestirà per sopraggiunti limiti di età, come vola il tempo!). Spinge forte con ogni parte del suo corpo, mentre chi gli sta dietro arranca, si attacca con ogni mezzo lecito alla sua bici. C’è di nuovo quell’attimo di calma su in cima. Lo riprendono. Sono ancora meno di quei pochi. Ci si guarda, di nuovo, ci si avvicina e ci si annusa come segugi che fanno tra di loro conoscenza. Uno sguardo tira l’altro, uno scatto, tira tu, sembrano dire i superstiti in testa. Poi parte di nuovo Pogačar. Dove non possono gambe che non sono certo le migliori della stagione, può l’astuzia.
Tadej Pogačar nel 2023 ha conquistato, giova ricordarlo: Giro delle Fiandre, Parigi Nizza, Amstel Gold Race, Freccia Vallone, podio al Tour e al Mondiale, soltanto due settimane dopo, eppure è arrivato a Il Lombardia con l’idea di vincere ancora. Nonostante il dolore che provoca la stanchezza.
Non è al meglio, non puoi umanamente essere al 100% dopo una stagione così, arrivato alla prima settimana di ottobre. Nemmeno al 90%, forse sarai intorno all’80%, ma giusto perché sei Pogačar. Non è al meglio, ma tra Passo di Ganda e Bergamo vola, squarcia quell’attesa sull’ultima salitella prima del traguardo.
Le braccia dei tifosi, quando la strada ricomincia a salire e allo striscione d’arrivo manca sempre di meno, non cercano più di strapparlo via, ma sono tese, il palmo spalancato per dare un cinque, una spinta, se possibile, dopo aver sofferto insieme a lui: pochi minuti prima di affrontare il Largo di Colle Aperto, infatti, a Pogačar vengono i crampi e alla corsa un sussulto, ai suoi tifosi algofobici, smarrimento.
Per un attimo le carte paiono potersi mescolare ridando un senso di incertezza a una gara che pareva già segnata soltanto pochi chilometri prima. Quel dolore passa. Quel silenzio si fa rumore. Pogačar gestisce. Citando Byung-Chul Han: «Non glorifico il dolore, tuttavia senza di esso la nostra esistenza sarebbe incompleta». Pogačar spezza quella gabbia, verso la libertà e oltre, verso il traguardo di Bergamo, verso il terzo Lombardia. Il primo accoppiato con il Fiandre, come Kuiper e van Looy, come nemmeno Merckx. Succede sempre così nel ciclismo. Ci si sbatte, si supera il dolore, poi quando vince Tadej Pogacar diventa una cosa-del-cuore.


Acqua e sapone ovvero Federica Venturelli

Federica Venturelli ovvero acqua e sapone. Da qualche settimana, si è iscritta all'università, alla facoltà di Farmacia, dopo tre mesi di stacco totale dalla scuola, affrontato l'esame di Stato: pensava a Medicina, ma non sarebbe stato compatibile con la sua carriera, allora ecco un percorso simile. Proprio i suoi genitori sono farmacisti e le hanno spiegato quanto sia difficile, ma interessante: lei ha ben chiaro che le strade sono molte, una, quella che più le interessa, è la ricerca. Prima, però, ci sono le pagine dei libri e le ore seduta ad una scrivania; rispetto al liceo ci si può organizzare meglio, ma c'è anche più da fare. L'anno prossimo, poi, passerà tra le under 23 e le cose si complicheranno: «Prenderò bastonate, senza dubbio. Sarà difficile anche restare con il gruppo e non perdere contatto dopo cinque chilometri. Ma ho voglia di provare, di crescere, stranamente non ho paura. Anche se l'avessi, non si torna indietro, quindi un respiro e si va. Capirò se la mia testa è forte quanto le mie gambe, se saprò mettermi al servizio di atlete più esperte e fare fatica senza chiedere nulla per me, se non imparare. I risultati non verranno subito, allora mi riprenderò la mia quotidianità, quella di una ragazza di diciotto anni, perché questo sono». Acqua e sapone e piedi ben piantati a terra. Qualche volta pecca di umiltà, forse, ma è talmente merce rara che è un peccato piacevole, a cui si sorride, si empatizza. Per esempio, quando racconta l'emozione del momento del conferimento dell'onorificenza di Alfiere del Lavoro, venticinque ragazzi in tutta Italia. Oppure quando dice: «L'anno scorso non avrei vinto una volata nemmeno con l'aiuto di cento persone, altrochè». E quando aggiunge: «Ho ottenuto fin troppo, rispetto a quanto mi aspettavo».

UCI 2023 World Championship Glasgow - Women Junior Road Race - 05/08/2023 - Marta Pavesi (ITA) Federica Venturelli (ITA) - photo Luis Angel Gomez/SprintCyclingAgency©2023

Le piace la matematica e ogni ragionamento ha radici profonde, un teorema da dimostrare, in cui lei stessa, tra ipotesi e tesi, arriva alla dimostrazione, senza mai indulgere con la propria persona: «Sì, tendo a sottovalutarmi ed in parte è un meccanismo irrazionale, tuttavia ho capito che, un poco, è un qualcosa che metto in atto volontariamente, essendone perfettamente conscia. La definisco una sorta di protezione dalla delusione: so che posso puntare al podio, ma penso al decimo posto per non soffrire. Credo che il 2023 possa cambiare questo aspetto, possa lasciare andar via quel timore di non riuscirci, possa restituirmi la consapevolezza di quel che valgo».
La matematica che ha a che vedere con un giro di pista, con secondi persi o guadagnati, con i tempi, con i record, quelli del mondo, perché ha a che vedere con gli esseri umani, anche se sembra fredda, distante. Basta ascoltare Venturelli parlare del suo record del mondo nell'inseguimento individuale per capire quanto non sia vero, quanto la matematica sia così vicina a quel che sentono le persone, talvolta sia il motivo. Quel record era già vicino all'Europeo, soli due secondi in più.

2023 UEC Road European Championships - Drenthe - Junior Mixed Team Relay - Emmen - Emmen 38, km - 21/09/2023 - Andrea Bessega - Andrea Montagner - Luca Giami - Eleonora La Bella - Alice Toniolli - Federica Venturelli (ITA) - photo Luca Bettini/SprintCyclingAgency©2023

Glielo dicono, le chiedono se voglia provare, resta senza parole: «Se devo provare, provo, ma non succederà, non può succedere». Il timore più grande è quello di sbagliare ritmo, di non riuscire a fare il record e di perdere la maglia di campionessa europea: «Tranquilla, Federica. Se succedesse, ne hai addosso una ancora più bella: quella del Mondiale dell'anno scorso». Il record non arriva, ma il tempo migliora: solo un secondo, un minuscolo secondo. Al Mondiale, sparirà anche quello: 2:15.678. In un giorno in cui non ci pensava più ed era partita forte solo perché le avversarie erano andate a tutta: «Ero sotto i tempi della tabella, quando ho visto Marco Villa incitami, dirmi di continuare così, ho capito che stava succedendo qualcosa: c'era uno tsunami dentro me. Non ho fatto altro che spingere, poi ho guardato il tabellone luminoso, ho visto il tempo e non sono riuscita a trattenere il pianto: piangevo di gusto». Marco Villa e Diego Bragato: le sue guide in nazionale, per tranquillizzarla, per darle l'energia necessaria. «Prima di una gara, Diego mi abbraccia: è come se mi dicesse di non pensarci che andrà tutto nel migliore dei modi». Per loro l'importante è il percorso, i risultati arriveranno.

2023 UEC Road European Championships - Drenthe - Junior Women's Road Race - Drijber - Col Du VAM 69 km - 24/09/2023 - Federica Venturelli (Italy) - photo Luca Bettini/SprintCyclingAgency©2023

Acqua e sapone, talento e quella madison mai provata assieme. Parliamo di quella con Vittoria Grassi, al Mondiale, dopo essere stata quarta per due anni di fila: nella camera di Venturelli, c'è una foto di loro due sul podio, che si guardano con ammirazione, memorizzando ogni dettaglio dei volti e della felicità. Si conoscevano, certo, si conoscevano bene, ma l'oro al primo test insieme, la maglia iridata in quel modo, proprio non era nelle idee. Acqua e sapone ed errori «da cui ho imparato, spero di avere imparato, almeno, d'altra parte servono a questo». Sì, l'omnium all'Europeo: prima della corsa a punti, Venturelli è seconda, davanti a lei c'è Cat Ferguson. Nell'ultima prova, le due atlete si marcano strette: gli scatti le ingannano, perdono entrambe. Un quarto posto ed il quarto posto brucia. «Con tutto il legno che ho raccolto quest'anno, posso fare il falegname»: lo scriverà dopo la prova in linea juniores, a Glasgow. In quel momento era rammaricata, oggi, appena glielo ricordiamo scoppia in una fragorosa risata. Si cresce, il tempo passa e cambia: prendete lo svolgimento della sua stagione su strada. Inizia in ritardo a causa di qualche problema fisico, partecipa a varie brevi corse a tappe, per volontà del CT Sangalli, vince, si piazza, fa bene insomma. «Dai, possiamo dire che queste prestazioni compensano quel legno al Mondiale. Almeno per me è così». Detto con convinzione, decisione, con la consapevolezza che vuole tenersi stretta, dopo quest'anno.

2023 UEC Road European Championships - Drenthe - Junior Women's Road Race - Drijber - Col Du VAM 69 km - 24/09/2023 - Federica Venturelli (Italy) - photo Luca Bettini/SprintCyclingAgency©2023

Il pensiero va allora all'Europeo: tre medaglie in tre gare, due ori e un argento. Federica Venturelli raffronta, bilancia: «Nella gestione dello sforzo non è cambiato molto rispetto allo scorso anno, sono certamente migliorata dal punto di vista fisico, di resa della prestazione». Nessun fatto passa inosservato, tutto è utile per riflettere e cambiare, l'analisi è dettagliata, come quando ci si allena, come quando si studia. Si sta parlando dell'oro a cronometro all'Europeo: «Quella medaglia viene dal Mondiale. In quel caso, ero partita a tutta, ad un ritmo insostenibile. All'Europeo sono riuscita a partire gestendomi. Prima due secondi di vantaggio, poi quattordici, alla fine ventitrè». Si potrebbe chiederle cosa abbia pensato in quei chilometri, mentre il vantaggio aumentava o calava, mentre l'acido lattico iniziava a pizzicare ed il respiro si faceva più pesante, affannato, si potrebbe chiederle cosa pensi in generale a cronometro, durante lo sforzo che più le piace perché sfida il limite. Così facciamo, lei tentenna qualche istante, poi prende la parola: «Sembrerà strano, assurdo, forse ridicolo, ma, credimi, non lo ricordo. Forse è un meccanismo naturale per eliminare la sofferenza, il dolore fisico, quasi una purificazione. Da questo punto di vista è un bene, il problema è che questa memoria mancante mi fa spesso dubitare di aver dato tutto. Non potendo ricordare i pensieri, mi assale il dubbio che avrei potuto dare di più. Chissà...no, dopo le gare sono sempre stanchissima, quindi eliminiamo pure questo dubbio».

2023 UEC Road European Championships - Drenthe - Junior Mixed Team Relay - Emmen - Emmen 38, km - 21/09/2023 - Eleonora La Bella - Alice Toniolli - Federica Venturelli (ITA) - photo Massimo Fulgenzi/SprintCyclingAgency©2023

Acqua e sapone e la bicicletta, che sia strada, pista o cross non cambia molto, tutto è collegato, i risultati sono connessi. Federica Venturelli scoprì la bicicletta grazie al fratello: «Oggi, dopo aver smesso, mio fratello è molto distante da questo mondo, non lo segue più come una volta. Mi dice "brava" per i risultati che ottengo, apprezza e riconosce l'impegno che ci metto, ma non è più la sua quotidianità. Però il legame con mio fratello è raro ed è umano. Si tratta di una condivisione profonda che mi rende fiera. Per una volta, lo sport c'entra poco». Acqua e sapone e Federica Venturelli: l'avevamo detto.