I 42 anni dopo della frazione di Strela
Strela di Compiano non è esattamente una Mecca del ciclismo. Anzi, non è un posto che le persone bramano di vedere in generale: si fermano tutti al sottostante castello di Compiano, comune dalla forma oblunga nell’alto Appennino parmense, se proprio bisogna passare in queste zone. Eppure, Strela è stata teatro dei campionati nazionali nel 2019 (vinti da Formolo: si saliva lassù ben 10 volte) e, andando indietro, dalla stessa rassegna tricolore nel 1981.
Fu un’edizione strana, quella. Si transitò da Strela addirittura 19 volte, fece così tanto scalpore il duello tra Moser e Saronni (vinse il primo) che se ne parla ancora oggi nel parmense, ma l’attenzione nazionale, in quei giorni, era tutta per la tragica caduta di Alfredo Rampi in un pozzo nelle campagne vicino Vermicino.
Lunedì a Strela di Compiano – e così arriviamo al perché si insiste così tanto su questo luogo sperduto – è transitato anche il Giro Donne. Quarta tappa, ultima salita. Non appena inizia la scalata, Van Vleuten attacca. Longo Borghini resiste, Mavi Garcia prova a rientrare poi esplode. Ewers era all’attacco, viene ripresa ma non si fa staccare. Ogni tanto, insomma, succedono cose a Strela di Compiano.
Con una trentina di tifosi eravamo lì, nel “centro” del paese, per il passaggio del Giro Donne. Passano le tre di testa, molto forte. Segue il gruppo: anche queste andavano molto forte. Poi altri gruppetti, sempre più esigui, sempre meno brillanti. Le ultimissime passano a oltre mezz’ora dalle prime, quindi gli astanti hanno tempo di conversare tra loro. In particolare, due uomini parlano delle motociclette con cui sono arrivati fin lì, fino a Strela di Compiano: una conversazionale normale, nulla di che. Finché uno dei due non rivela, tra una frase e l’altra, di essere il padre di Marta Cavalli.
Come Marta Cavalli, penso: quella Marta Cavalli? La Marta Cavalli di vicino Cremona, una delle cicliste più forte del mondo? «Non sei attento» risponde scherzando l’uomo, mostrandomi un adesivo col nome della figlia sul bauletto posteriore. È peraltro la moto dietro alla quale Marta si allena spesso: la parte inferiore del parafango è graffiata da piccoli e ripetuti colpetti di ruota di bici.
Cronometrato il distacco della figlia all’arrivo, il padre è convinto che perderà la maglia verde. Non è così, ma grazie ad un successivo racconto il giro attorno a Strela di Compiano si chiude. Una leggenda del passato gli ha chiesto, una volta, da dove venissero. Quando ha sentito la risposta, cioè San Bassano, uno dei posti più piatti della già piattissima provincia di Cremona, questi ha risposto: «E come fa ad andare così forte in salita?». Chi era costui? Francesco Moser.
Chi l’avrebbe mai detto che si potessero fare incontri del genere, a Strela di Compiano.
Il Tour di Caramas
Non sei il favorito della corsa, ma non importa, hai puntato tutta (o quasi) la stagione ai 3400 km circa che ti servono per arrivare a Parigi, partendo da quella splendida città che è Bilbao. In che posizione si vedrà, non è questo il concetto, vale per chi arriva primo, per chi arriva ultimo. Ti sei preparato per mesi, questa gara l’hai sognata, ti sei immaginato diversi scenari in cui avresti potuto attaccare, quella salita, quella discesa, hai studiato il percorso e quindi hai cerchiato di rosso un punto in particolare che ti ispirava. Hai rinunciato a tane cose, come fa chiunque nella vita si pone degli obiettivi, hai studiato la tattica con i tuoi compagni di squadra e i tuoi direttori sportivi, poi arriva il giorno del Tour de France e si parte.
L'avventura inizia da Bilbao, piena di sogni e speranze e passi centosessanta chilometri di corsa tra la pancia e la coda del gruppo, limi, quando sai limare, limi lo stesso anche se non ne sei capace, urli "occhio!" quando c'è da passare di fianco a un collega, compagno, avversario, arriva la prima delle due salite più attese e ti fai trovare davanti, poi discesa, curva, si va a terra.
Sei caduto e ti rialzi, ti guardi intorno e incroci per un attimo lo sguardo di Enric Mas, destino identico, o quasi. Controlli il ginocchio, immaginiamo soltanto il dolore, ma prendi e riparti: vuoi concludere la tappa, un destino che invece a Enric Mas è precluso.
Vai avanti lo stesso, sbuffi, fai fatica, hai la gamba che sanguina, un tuo compagno si avvicina e cerca di farti forza soltanto standoti vicino: ci sono certi momenti in cui una presenza, un’ombra può bastare e quel tuo compagno condivide con te il dolore e sa che in quel momento il silenzio è il miglior conforto possibile.
Intanto, Mas si è ritirato. Non è ripartito, dopo mesi a pensare all’obiettivo podio - fattibile, altroché - il suo Tour de France è durato giusto qualche ora.
Tu arrivi al traguardo, invece, con il ginocchio quasi aperto in due: micro frattura della rotula. All’indomani non riparti, anche il tuo Tour è durato poco più di qualche ora.
Foto in evidenza: Sprint Cycling Agency
Foto Enric Mas da Twitter, Team Movistar
Il questionario cicloproustiano di Alessandro De Marchi
Il tratto principale del tuo carattere?
La generosità
Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
L'onestà
Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
L'onestà
Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
La sincerità nei miei confronti e l’essere in sintonia
Il tuo peggior difetto?
L'essere rancoroso
Il tuo hobby o passatempo preferito?
La corsa in montagna, prima la moto
Cosa sogni per la tua felicità?
Essere sempre me stesso
Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
Perdere la libertà di cui godo
Cosa vorresti essere?
Quello che sono già
In che paese/nazione vorresti vivere?
Italia
Il tuo colore preferito?
Verde
Il tuo animale preferito?
L'orso
Il tuo scrittore preferito?
Tiziano Terzani
Il tuo film preferito?
L’ultimo dei Mohicani
Il tuo musicista o gruppo preferito?
Pink Floyd
Il tuo corridore preferito?
Bradley Wiggins
Un eroe nella tua vita reale?
Gino Strada
Una tua eroina nella vita reale?
Francesca Mannocchi
Il tuo nome preferito?
Andrea
Cosa detesti?
L'ipocrisia e gli evasori fiscali
Un personaggio della storia che odi più di tutti?
Adolf Hitler
L’impresa storica che ammiri di più?
La conquista dell’Everest
L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Marco Pantani al Tour de France 1998
Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Da tutte
Un dono che vorresti avere?
Un poco più di coraggio
Come ti senti attualmente?
Sereno e centrato
Lascia scritto il tuo motto della vita
Ad maiora
Il Monumentale del Tour de France
Il bello di tutto questo è che nemmeno te ne accorgi e parte il Tour de France. La stagione vola: sensazioni che affascinano, o forse è semplicemente un abbaglio, un modo per dare una spiegazione o per romanzare ciò che il tempo fa quando corre come un matto. L'altra mattina stavo sfogliando alvento27; stavo leggendo i pezzi sul Giro d’Italia, quando all’improvviso si sono riaccese lampadine che sembravano già spente e pronte per andare nei rifiuti. All’improvviso mi sono accorto che funzionava di nuovo tutto nel mio cervello, tutto pronto a rimettersi in moto e così mi sono detto: «Caspita! Fra pochi giorni parte il Tour de France, c’è un monumentale da fare!».
Ecco, un po’ in estrema sintesi, la vera storia su come sono arrivato anche quest’anno a tutto questo.
FAVORITI
Manteniamo la tradizione e partiamo dagli attori protagonisti dell’evento, con la consapevolezza che un Tour (de Netflix) come quello dello scorso anno resta unico, ma allo stesso tempo si parte con i pronostici ribaltati rispetto al 2022, e poi una strana idea: e se a vincere fosse un terzo incomodo?
Due su tutti, intanto: Jonas Vingegaard e Tadej Pogačar. Non pensavate mica che potessimo inventarci qualcosa (o qualcuno) di completamente diverso?
IL DANESE E LO SLOVENO
Il danese arriva a questa corsa correndo poco e vincendo tanto; il danese ha un solo obiettivo prima di tagliare il traguardo e trovare conforto al telefono con sua moglie, punto fondamentale della sua maturità agonistica e umana, un solo obiettivo: vincere il Tour de France. Il danese scalda poco la platea perché poco lo vedi, come alcuni suoi predecessori che facevano della corsa gialla una ragione di vita sportiva, e pare snobbare tutto il resto; il danese sembra non voglia lasciare nulla al caso, il danese va forte in salita e a crono (poche crono a questo Tour, ridatecele!), anzi in salita, all’ultimo Tour, è stato il più forte, però, naturalmente c’è un però: ci sono tutta una serie di incertezze a cui ti mette di fronte uno sport che si pratica in bici, e quando quello sport lo pratichi nelle tre settimane della corsa francese, sei sempre in discussione. La pressione ti divora almeno diciotto ore su ventiquattro - sempre che quando corrono il Tour non se lo sognino pure, dovremmo chiederglielo un giorno: «Ma voi, durante il Tour de France, sognate di correre le tappe? Sognate sfide per la maglia gialla, difficoltà in salita, braccia alzate al traguardo?». La maggior parte ci risponderebbe che non si ricorda cosa sogna, se sogna.
Insomma, il più grosso dei però ha la forma di quello sloveno di nome Tadej Pogačar che ha un ciuffo ribelle che fa impazzire il tifo nemmeno appartenesse a una banda di impomatati. Lo sloveno per certi versi è agli antipodi del danese e forse questa è una parte della storia che ispira e cattura; lo sloveno corre tanto, forse pure troppo, ma gli chiediamo sempre di più, e ha un talento che facciamo ancora fatica a misurare. Lo sloveno è spugna e non lo vedi (quasi) mai ripetere gli stessi errori. Lo sloveno quest’anno, nell’unica sfida diretta, ha staccato il rivale danese, lo ha battuto nettamente. Lo sloveno ha caratura e blasone superiori (ma non sono quelli che ti aiutano a vincere, sia chiaro).
Lo sloveno ha dalla sua le tappe miste dove poter provare a guadagnare qualcosa, con la coscienza, però di rischiare di bruciare energie come già accaduto nel 2022. Lo sloveno forse, così pare, analizzando le sue prestazioni, soffre un certo tipo di salite rispetto al danese, almeno era così fino allo scorso anno, oppure non riesce a fare fino in fondo la differenza che vorrebbe; lo sloveno, però, non ha mai paura di superare i propri limiti e si diverte da matti, a volte rischia di strafare e forse questa è un’altra parte della sua storia che di lui piace così tanto. Lo sloveno quest’anno ha una squadra decisamente forte - ha accorciato le distanze con quella del danese. Lo sloveno che arriva da un brutto infortunio, e vedendo il percorso, impegnativo sin dalla prima tappa, c’è bisogno di partire forte. Ai recenti campionati sloveni ha dimostrato di stare subito bene, ma il Tour è un’altra cosa e lo sloveno lo sa, e lo sa pure il danese che ha visto la sua stagione procedere senza intoppi.
LE SQUADRE DI RIFERIMENTO
È una sfida anche tra le due squadre: la Jumbo Visma per la salita si affiderà a Sepp Kuss e Wilco Kelderman, principalmente, potendo contare su Wout van Aert chiamato agli straordinari se la condizione dovesse essere quella dei giorni migliori e non abbiamo dubbi che lo sarà.
Stessa cosa per quanto riguarda due pezzi da novanta delle corse di un giorno come Tiesj Benoot e Dylan van Baarle, capaci di dare un supporto notevole anche quando la strada sale, oltre che in pianura o nei percorsi più misti. Poi c’è Christophe Laporte, che si dividerà tra gloria personale, possibilità di lanciarsi in volata, dare una mano a tutti, persino, e qui andiamo un po’ più avanti, affinare la condizione in vista del Mondiale. Infine Nathan van Hooydonk, che, dopo una grande primavera, sarà il portaborracce.
La squadra di Pogačar, tuttavia, a ogni sessione di mercato tira fuori il budget che c’è in lei e migliora tassello dopo tassello, per provare a dare una mano allo sloveno a vincere più Tour possibili. Rafał Majka, Marc Soler e Adam Yates sono un trio di prima qualità in salita - Yates farà anche classifica, parola di Gianetti, il Team Manager, e potrebbe essere anche alta classifica.
Matteo Trentin è uno dei corridori più intelligenti del gruppo come capacità di lettura della corsa, di posizionamento. Già fondamentale per Pogačar al Fiandre, saprà dare i giusti consigli al ragazzo sloveno durante tutta la corsa. Mikkel Bjerg è l’inesauribile locomotiva, Felix Grossschartner il primo ad azionarsi quando la strada sale e infine Vegard Stake Laengen, perché in tutte le squadre serve uno che faccia su e giù dall’ammiraglia.
OUTSIDER - ALLA RICERCA DEGLI ANTI POGAGAARD
Poi ci sono tutti gli altri.
Se fosse una gara di motorsport, un lunedì di pasquetta, oppure fosse l’orrendo esperimento di qualche anno fa, Tour 2018, quando, nella tappa che portava il gruppo da Bagneres de Luchon a Saint Lary Soulan per il totale di ben 65 chilometri, si partì “ a griglia” seguendo l’ordine di classifica, insomma se fosse qualcosa del genere e usassimo per spiegare gli avversari di quei due una griglia di partenza, quella griglia di partenza vedrebbe, dalla seconda fila in poi, una lotta sui millesimi tra corridori distanziati dai due sopra di diversi secondi a giro.
Un problema per tutti concorrere con sloveno e danese: sarebbe come mettere di fronte cilindrate differenti, insomma tira una brutta aria per chi non si chiama Pogačar o Vingeaard e allora provochiamo: e se tra i due litiganti vincesse comunque un terzo corridore, perché poi nel ciclismo si sa, tutto può succedere? “Non è comunque un'ipotesi da scartare anche se, trattandosi di un'ipotesi, eè solo una eventualità come dire ipotetica appunto e quindi in fondo comunque ancora possibile anche se poco probabile” - per citare il maestro Fabio Noaro, uno dei tormentoni che ha maggiormente stimolato la mia adolescenza.
Tornando seri, forse, chi parte con ambizioni da classifica?
Partiamo da due spagnoli: Mikel Landa Meana ed Enric Mas Nicolau. Il primo, capitano della Bahrain Victorious, sta vivendo un'ottima stagione anche se spesso contraddistinta dai suoi classici alti e bassi, ma, correndo con regolarità e visto il percorso impegnativo e la quasi totale assenza di chilometri a cronometro (22km!), ambisce a salire sul terzo gradino del podio.
Sbilanciamoci: in una corsa regolare Landa ha tutto per finire nelle prime cinque posizioni, guardando anche il livello dei suoi avversari, il problema è che se c’è una corsa difficilmente regolare quella è il Tour de France. In ogni caso chance della vita per salire sul podio, lui che negli ultimi quattro Tour disputati non è mai uscito dai primi sette, ma appunto, solo sfiorando la possibilità di farsi fare la foto a Parigi con l'Arc de Triomphe sullo sfondo.
Anche lui ha una squadra competitiva, con Pello Bilbao, occhio a lui nelle primissime tappe, e Jack Haig in versione stakanovista (dopo il Giro, ha corso il Delfinato e ora il Tour) a dargli supporto (con loro Wout Poels) e perché no, a tenere duro in classifica generale; squadra che punterà anche alle tappe con Matej Mohorič, che ha diverse chance per provare a vincere di nuovo al Tour, Fred Wright, fresco conquistatore del titolo nazionale britannico - primo successo in carriera tra i professionisti - e con Phil Bauhaus, velocista, e Nikias Arndt a tirargli le volate.
Le differenze, però, nel paniere dei corridori da classifica, sono davvero minime e potrebbero essere influenzate da fattori realmente infinitesimali, piccoli margini: momento storico della carriera, adattabilità al percorso, stato di forma, fortuna, e squadra. Enric Mas, Team Movistar, in questo potrebbe essere avvantaggiato. Sfruttando l’ottimo momento della sua squadra e la capacità anche sua di essere regolare in salita, può ad ambire a un posto sul podio, senza dimenticare come, il Mas visto lo scorso anno da un certo punto in avanti, è stato davvero l’anti-Pogačar su diversi terreni. Allo stesso tempo, però, quest’anno non ha ancora rubato l’occhio come si credeva. Si pensa, tuttavia, che la sua stagione sia tutta finalizzata sulla corsa che parte sabato da Bilbao (e sulla successiva Vuelta).
Di fianco avrà una squadra davvero molto competitiva per spingerlo verso il suo obiettivo: Matteo Jorgenson, una delle rivelazioni stagionali, Ruben Guerreiro (entrambi avranno anche l’idea di vincere una tappa e provare a fare classifica), Gorka Izagirre, Antonio Pedrero, Gregor Muehlberger, e Nelson Oliveira sono corridori votati alla causa, solidi, dove li metti stanno. Con loro Alex Aranburu per le tappe miste, gli arrivi a ranghi ristretti.
Dopo due spagnoli è il turno di due australiani: uno è Jai Hindley, al via con una squadra divisa tra volate (Jordi Meeus, e il treno composto da Marco Haller e Danny van Poppel) e salita (Patrick Konrad, Bob Jungels ed Emanuel Buchmann, c'è anche Nils Politt che andrà anche a caccia di tappe). Hindley che ha già vinto un Grande Giro e al via della corsa non è che siano in molti a vantare questo privilegio - Simon Yates, Vuelta 2018, Bernal Tour 2019 e Giro 2021, Pogačar, Tour 2020 e 2021, Hindley Giro 2022 e Vingegaard Tour 2022. Anche lui fa della regolarità in salita la sua arma migliore, ma, come dimostrato al Giro 2020 e al Giro 2022, è corridore che più si va avanti e più riesce a tirare fuori il meglio di sé.
L’altro è Ben O’Connor che a sprazzi è corridore davvero forte in salita, e di salite ce ne sono a sufficienza. Al Delfinato, pur prendendo una discreta paga da Vingegaard in classifica, è stato comunque il secondo degli umani, vincendo una tappa e salendo sul podio, candidandosi così anche lui come uno dei più forti tra gli outsider. L’Ag2R è per lui, con qualche asterisco (Benoit Cosnefroy che ambisce a vincere almeno una tappa, ma è corridore discontinuo), e con altri che si inseriranno nelle fughe e daranno battaglia nelle tappe più impegnative (Nans Peters, Aurélien Paret-Peintre, Felix Gall, in grandissima forma, Clément Berthet).
Variabili impazzite: Richard Carapaz e David Gaudu. Il primo arriva da una stagione un po’ particolare. Non ha corso molto e ha avuto pochi alti (una vittoria al Mercan Tour Classic Alpes-Maritimes) quando la concorrenza non era di grandissimo livello, e diversi bassi soprattutto nelle classifiche generali delle brevi corse a tappe a cui ha partecipato, dimostrandosi più affidabile negli arrivi tortuosi che nelle tappe con montagne in successione. Certo, stesse bene, fosse il miglior Carapaz, partirebbe poco sotto i primi due, ma al momento ci sembra lontano dallo standard a cui ci aveva abituati. Si sarà nascosto?
EF Education Easy Post, però che non aspetta solo il campione olimpico, ma porta Rigoberto Uran per puntare alla top ten con la sua proverbiale regolarità, Neilson Powless, reduce da una campagna del Nord sorprendente, anche lui tra ambizioni di classifica e nel caso saprà essere punto di riferimento per le fughe in montagna, ed Esteban Chaves per provare a vincere una tappa con tanto dislivello. Con loro, a dare una mano, ma anche a caccia di tappe, Alberto Bettiol e Magnus Cort Nielsen, tutt’altro che stanchi dal Giro, l’inossidabile Andrey Amador e James Shaw, diviso tra compiti da assolvere per la squadra e ambizioni personali.
David Gaudu, alla Parigi-Nizza, aveva dato evidenti segnali di una crescita quasi inarrestabile dopo le grandi cose fatte al Tour 2022. Nella breve corsa a tappe francese di inizio stagione, per alcuni momenti, è sembrato assumere il ruolo di anti-Pogačar, andando pure più forte di Vingegaard, poi all’improvviso si è incrinato qualcosa. Prima il “solito” malanno fisico, poi una diatriba interna alla squadra che pare abbia persino portato all’esclusione di Démare dal Tour de France. E proprio l’esclusione del velocista francese ha fatto sì che la squadra fosse tutta per l'occhialuto scalatore bretone, ma stando all'ultimo Delfinato la sua condizione pare incerta. La squadra, tuttavia, è di qualità: Thibaut Pinot - al suo ultimo Tour de France - Valentin Madouas, fresco di tricolore, che sogna di vestire il giallo i primi giorni per poi aiutare l’amico di sempre. Stefan Kueng, Kevin Geniets, Olivier Le Gac, Lars van den Berg e Quentin Pacher, sono un gruppo di corridori di tutto rispetto e buono su diversi terreni.
Due giovani da tenere d’occhio: Mattias Skjelmose Jensen e Carlos Rodriguez Cano i quali arrivano, però, da percorsi, in questo 2023, completamente differenti. Il danese della Lidl Trek è al suo momento migliore della carriera, anche più di quando da ragazzo rivaleggiava con Evenepoel. Vince e convince, si difende in salita, corre bene e ha una squadra attrezzata per i compiti di supporto. Potrebbe essere la grande sorpresa di questa corsa, non fosse altro che parte già con alte credenziali. Al suo fianco: Mads Pedersen per le volate (e la maglia verde), Jasper Stuyven e Tony Gallopin che proveranno a vincere una tappa. Come? Lo vedremo. Quinn Simmons da scatenare nelle fughe, Alex Kirsch, il gregario per eccellenza della squadra americana, Juanpe Lopez, l’uomo da tenere al fianco di Skjelmose, e Giulio Ciccone, sul quale, ne parleremo, versano quasi tutte le speranze del nostro ciclismo al Tour.
Carlos Rodriguez, invece, lo scorso anno è stata una delle rivelazioni, e quest’anno, complice anche una brutta caduta alla Strade Bianche, ha fatto più fatica. Le ultime uscite, però, sono confortanti. Al Delfinato è andato forte, ha chiuso in top ten e soprattutto è apparso in crescita. Sarà una delle armi di una INEOS Grenadiers che porta tanti capitani ma nessuno che convince pienamente. Thomas Pidcock, vincitore sull’Alpe d’Huez lo scorso anno, proverà a tenere duro in classifica, su di lui non è mai stato nascosto un progetto per farlo diventare corridore da classifica al Tour. Opinione personale: una top ten sarebbe un risultato enorme, ma è uno dei corridori dotati di maggior classe in gruppo, quindi non ci sarebbe nulla di cui stupirsi. Sarà da tenere d'occhio anche, o soprattutto, nelle prime due tappe.
Egan Bernal è uno dei corridori da osservare, in assoluto, con più attenzione, entusiasmo e curiosità. Conosciamo tutti la sua storia e abbiamo seguito tutti il lento recupero dal gravissimo infortunio dello scorso anno. Già vederlo al Tour con una condizione in crescita è qualcosa che mette la pelle d’oca. Quarto uomo, a metà tra fare classifica e uscirne fuori in maniera inesorabile, è Daniel Felipe Martinez: quando non viene chiamato a fare risultato in prima persona è capace di grandi cose, troppo imprevedibile per fare un pronostico sincero e lucido sul suo Tour de France.
Tutti gli altri in ordine di possibilità, blasone, ambizione: Romain Bardet, Team DSM, punta a una top five, ma è cosciente di quanto gli altri viaggino spediti. Interessante seguire l’evoluzione del suo compagno di squadra Matthew Dinham, neo professionista classe 2000 australiano, scalatore dotato anche di un buono spunto veloce.
Tobias Halland Johannessen sarà l’uomo di classifica per la UNO X, scommessa dopo i problemi fisici, ma pare in crescita. Su Simon Yates, poco da aggiungere, senza giornate negative o malanni, si potrebbe giocare il podio, ma senza alti e bassi sarebbe un altro corridore. Infine, in casa Israel PremierTech, da seguire Dylan Teuns, Michael Woods o Nick Schultz, per un’eventuale classifica.
A caccia di tappe o di alta classifica anche Guillaume Martin, Louis Meintjes, Alexej Lutsenko, tutti corridori con ambizioni da top ten, o, qualora si aprissero spazi, anche qualcosa di più.
VELOCISTI, TAPPISTI, OGNI GENERE DI CORRIDORI AL VIA
Si parte intanto da quella che può essere la sfida per eccellenza in un Grande Giro per i migliori cacciatori di tappe degli ultimi anni che vede di fronte: Mathieu van der Poel, Wout van Aert, Biniam Girmay e Julian Alaphilippe, questi ultimi due, come dimostrato recentemente, decisamente ritrovati dopo un periodo di appannamento che pareva non passasse più. Hanno tante tappe per divertirsi e divertire, pure, volendo, per provare a vestire la maglia gialla anche solo per un giorno. Già a partire dalle frazioni nei Paesi Baschi.
A caccia di tappe, in fuga, strappando nel finale, con doti di esplosività, oppure con fantasia e capacità di leggere l’azione giusta, sfruttando la condizione di forma, oppure in salita, troviamo tanti nomi, alcun già accennati sopra, e che ci capita di leggere nelle top ten di tutte le corse più importanti della stagione. Christophe Laporte, Benoit Cosnefroy, Matej Mohorič, Thibaut Pinot, Valentin Madouas, Stefan Kueng, Ben Turner, Rasmus Tiller, Anton Charmig, Dylan Teuns, Magnus Cort, Remi Cavagna, Simon Clarke, Michael Woods, Corbin Strong, Maxim Van Gils, George Zimmerman, Alberto Rui Costa, Ruben Guerreiro, Alex Aranburu, Nils Politt, Fred Wright, Quinten Hermans, Felix Gall, Axel Zingle, Victor Lafay, Ion Izagirre, Pierre Latour, Mathieu Burgaudeau, Valentin Ferron, Clement Champoussin, Matis Louvel, Warren Barguil. Ce n’è per tutti i gusti.
Per le volate lo scettro se lo contenderanno: Jasper Philipsen, Fabio Jakobsen, Caleb Ewan, Dylan Groenewegen, Mads Pedersen, Phil Bauhaus, Sam Welsford, Alexander Kristoff (o Søren Wærenskjold), Jordi Meeus, Mike Teunissen - quando non si getterà negli sprint Girmay - Mark Cavendish, Bryan Coquard, Peter Sagan, Luca Mozzato. A questo vanno aggiunti i già citati Wout van Aert e Christophe Laporte.
LES ITALIENS
Il capitolo italiani è nettamente più breve di quello che si poteva solo immaginare qualche anno fa. Il Tour 2023 arriva in un momento storico difficile per tutto il nostro movimento maschile e che non si conta solo nei pochi risultati di peso, ma anche nella definitiva scomparsa degli sponsor: alla vigilia del Tour, infatti, anche l’ultimo marchio italiano all’interno del World Tour si è fatto da parte, Segafredo, sostituito da Lidl che va ad affiancare Trek. Chissà se qualcuno da qualche parte si è accorto di quello che sta succedendo al nostro ciclismo o basterà soltanto continuare a pesare il movimento sui risultati che nascondono la polvere sotto il tappeto; quei risultati che riescono a ottenere con continuità quel paio di ragazzi super talentuosi e che magari arrivano dalla pista, oppure su quelle vittorie, piazzamenti o segnali che arrivano di tanto in tanto da Giro d'Italia o per lo più da gare minori.
Oltretutto parlare solo di numeri, sette corridori al via, numero più basso di partecipanti al Tour da quarant'anni, non è solo l'unica statistica da evidenziare, ma lo è anche l'età media dei corridori, 31 anni. Lo è anche il ruolo che avranno a questo Tour, maggiormente di supporto, qualcuno con speranze di piazzamenti, forse uno solo davvero in corsa per qualcosa.
Ecco i sette corridori: Giulio Ciccone è la nostra principale speranza di vedere qualcosa di buono per le tappe, punterà presumibilmente anche alla maglia a pois. Luca Mozzato si getterà negli sprint per trovare, con la sua proverbiale continuità, più piazzamenti nei dieci possibili. Se sta bene, il velocista veneto è capace anche di entrare nella fuga giusta. Alberto Bettiol lo conosciamo: quando è in giornata può provare a vincere ovunque. Lo aspettiamo senza fare pronostici in merito. Daniel Oss sarà uomo squadra alla TotalEnergies, Gianni Moscon un punto interrogativo: al Giro è stato uomo ombra in salita per Mark Cavendish, al Tour proverà a vincere qualche tappa o ormai ha preso a cuore il ruolo di fedelissimo del velocista inglese? Jacopo Guarnieri menerà in volata per Caleb Ewan, mentre Matteo Trentin, infine, sarà scudiero di Pogačar.
IL PERCORSO
È un disegno insolito: si parte dal sud con i Pirenei quasi subito per un disegno che vede troppi pochi chilometri (usiamo un eufemismo) a cronometro: 22! e tappe davvero troppo brevi, anche quelle di montagne. Per qualcuno l’esaltazione di uno sport sempre più esplosivo, per altri la negazione di una disciplina che fa del fondo e della resistenza la sua arma migliore. Ma questi sono i tempi.
Si parte dall’estero, per loro, dai Paesi Baschi, da Bilbao, e sarà subito una tappa elettrizzante dove ci si aspetta spettacolo tra quei corridori che negli anni hanno saputo esaltarci anche nelle prove di un giorno. Terreno mosso, impegnativo, per la Bilbao-Bilbao, 182 km, difficile possa arrivare la volata, anzi impossibile, anzi, molto probabilmente vedremo già una sfida tra gli uomini di classifica e i più forti classicomani al via di questo Tour. Occhio alle cadute.
Il secondo giorno è meno duro di quello precedente con l’arrivo a San Sebastian, ma ancora possibile sfida tra i vari van der Poel, Alaphilippe, eccetera, con lo Jaizkibel a fare da punto di rottura. Mi aspetto gli uomini di classifica controllare e controllarsi, ma occhio alle fughe.
Terza e quarta tappa sono due volate, il quinto giorno da Pau a Laruns si ricomincia a salire, ma sarà solo un antipasto della tappa numero sei, con arrivo a Cauterets Cambasque (salita pedalabile), preceduta però dal Tourmalet, frazione impegnativa, sì, ma breve: 144,9 km. Su entrambe le tappe c’è scritto fuga.
La settima tappa, arrivo a Bordeaux, è roba per velocisti, l’ottava è qualcosa di simile e fanno, nella prima settimana, salvo fughe: quattro arrivi da gruppo compatto. Il nono giorno si fa sul serio con l’arrivo più impegnativo e forse simbolo di questa edizione di Tour de France. Nel Massiccio Centrale si corre la Saint-Léonard-de-Noblat - Puy de Dome, tappa tutta mossa fino a Clermont-Ferrand e poi quei 13,3 km finali con una rampa finale di 4 chilometri che porta su in cima al più giovane vulcano della Chaine des Puys. Salita, con finale chiuso al pubblico e normalmente chiuso al traffico, persino a quello pedonale, che torna al Tour dopo 35 anni (a vincere fu un danese..., in passato Coppi, e Anquetil). Quattro chilometri finali, che portano all’arrivo, costantemente in doppia cifra.
Ci si riposa e si riprende l’11 luglio con una frazione fatta apposta per le fughe, da Vulcania a Issoire, che precede un’altra probabile volata, tappa 11, con arrivo a Moulins prima di una frazione mossa, molto interessante, con arrivo a Belleville-en-Beaujolais che, però, verosimilmente, pare perfetta per una fuga.
Il 14 luglio per i francesi conta, si sa, e allora si è scelto di arrivare su una salita storica come la Grand Colombier, (monti del Giura) 17,4 km al 7,1%. Peccato che il disegno della tappa svilisca il tutto. Un solo GPM, 137,8 km la lunghezza. Lasciamo a voi ogni commento.
La tappa nel Giura percede le Alpi: prima si arriva a Morzine, dopo aver scalato tra gli altri Col de la Ramaz e Joux Plane, una delle salite più dure di questa edizione di Tour de France, e infine, domenica 16 luglio arrivo a Saint Gervais Mont Blanc, 179 km e un continuo su e giù fino alla scalata finale.
Dopo il secondo e ultimo giorno di riposo si riparte con la crono di 22 km da Passy a Combloux che precede la tappa regina di questo Tour. Da Saint Gervais Mont Blanc a Courchevel, 165 km, oltre 5.000 metri di dislivello e da scalare Col des Saisses, Cormet de Roselend, Côte de Longefoy e Col de la Loze, cima più alta di questo Tour. Tappa 18 e 19 sarà per velocisti superstiti o fughe, mentre sabato 22 luglio, ultima possibilità per provare a ribaltare la classifica con l’arrivo a Le Markstein dopo aver attraversato i Vosgi e alcune salite simbolo della zona come Ballon d’Alsace e Petit Ballon.
Infine, classica passerella parigina.
In poche parole: Cosa va? Belle le tappe miste, promossa l'idea, sia dal punto di vista tecnico che del paesaggio, di percorrere tutte e cinque le catene montuose francesi. Interessantissimo soprattutto partire subito con frazioni vallonate come quelle nei Paesi Baschi dove ci aspettiamo anche tantissima gente sulle strade. Cosa non va? Diverse tappe di montagna (e sin qui, ok), ma con chilometraggi troppo brevi (nessuna tappa sopra i 200 km!), e quelle pirenaiche molto poco stuzzicanti, e poi una sola cronometro di 22 km. Come al solito, però, e chiudiamo con la banalità delle banalità: la corsa la renderanno entusiasmante i corridori, in particolare, molto probabilmente, i due maggiori pretendenti alla classifica finale e le loro due squadre, arrivate a questo Tour, praticamente a ranghi completi e in grande forma.
LE STELLINE DI ALVENTO
MAGLIA GIALLA
⭐⭐⭐⭐⭐ Jonas Vingegaard, Tadej Pogačar
⭐⭐⭐⭐
⭐⭐⭐ Jai Hindley, Mikel Landa, Enric Mas, Ben O’Connor
⭐⭐ Richard Carapaz, David Gaudu, Mattias Skjelmose Jensen, Adam Yates
⭐ Carlos Rodriguez, Romain Bardet, Pello Bilbao, Simon Yates, TH Johannessen
MAGLIA VERDE
⭐⭐⭐⭐⭐ Jasper Philipsen, Wout van Aert
⭐⭐⭐⭐Mads Pedersen
⭐⭐⭐ Mathieu van der Poel, Fabio Jakobsen
⭐⭐ Caleb Ewan, Dylan Groenewegen
⭐Biniam Girmay, Jordi Meeus, Julian Alaphilippe
MAGLIA A POIS
⭐⭐⭐⭐⭐ Giulio Ciccone, Thibaut Pinot
⭐⭐⭐⭐ Warren Barguil
⭐⭐⭐ Tadej Pogačar, Jonas Vingegaard
⭐⭐ Richard Carapaz, David Gaudu
⭐ Enric Mas, Romain Bardet, Thomas Pidcock
MAGLIA BIANCA
⭐⭐⭐⭐⭐Tadej Pogačar
⭐⭐⭐⭐ Mattias Skjelmose
⭐⭐⭐ Carlos Rodriguez
⭐⭐ Thomas Pidcock, Tobias Halland Johannessen
⭐Matthew Dhinam, Maxim Van Gils
Foto in evidenza: ASO/Pauline Ballet
Dai campionati nazionali al Giro Donne: appunti di gara
Nel ciclismo, ci sono settimane che potrebbero essere traghetti, da una costa all'altra, avendo ben presente quel che si è lasciato alle spalle, ma essendo altrettanto focalizzati su quel che sta per arrivare. La settimana che va dalla sera del 25 giugno alla mattina del 30 giugno è, per il ciclismo femminile, questo traghetto. Dai Campionati Nazionali al Giro Donne 2023 che, dopo molti dubbi, dopo molte discussioni, ha alzato il sipario e si farà: "questa corsa s'ha da fare". Sintetizziamo così, con un'eco manzoniana, mentre da Comano Terme, in Trentino Alto Adige, sede del Campionato Nazionale Italiano 2023, ci spostiamo a Chianciano Terme, in Toscana, sede della prima tappa, una cronometro di 4,4 chilometri, del Giro Donne. In questo pezzo ci muoveremo sempre così, con lo sguardo tra passato e futuro, da una costa all'altra di quell'immaginario traghetto: dai Campionati Nazionali al Giro Donne, provando a mettere insieme segnali ed indizi.
L'UNDICESIMA
Inutile girarci molto attorno, il primo nome di cui parlare è senza dubbio quello di Elisa Longo Borghini. Uno-due: venerdì titolo nazionale a cronometro, domenica titolo nazionale in linea. In totale undici Campionati Nazionali conquistati, tra strada e cronometro. A noi è restato lo squarcio nel silenzio dell'attesa nel momento in cui Longo Borghini taglia la linea del traguardo della prova contro il tempo ed il monitor, che solo qualche minuto prima aveva evidenziato la prima posizione provvisoria di Marta Cavalli, stravolge la classifica con un nuovo primo tempo: 37'44''. Ben 47'' su Cavalli, 1'10'' su Alessia Vigilia: una superiorità netta, ad oltre 40km/h di media. E ancora quel: "Ho vinto o no?", dopo il testa a testa con Silvia Persico, per poi risolvere il dubbio in un "sì" prolungato, tra la gioia e la grinta. Il dato sulla buona condizione è sin troppo evidente. Bene, invece, è sottolineare quel che c'è in più. La costruzione della volata, ad esempio, terreno in cui Longo Borghini ha sempre patito: volata anticipata, infinita, per sorprendere Silvia Persico che, in quel frangente, nella prova in linea era la favorita, senza ombra di dubbio. Vince di un filo, ma vince. In una volata classica, forse, Persico avrebbe prevalso, ma il ciclismo è questo. La freschezza con cui lancia un simile sprint, dopo 148 chilometri su un tracciato nervoso, come quello di Comano, è indicativa. L'esperienza con cui, assieme a Slongo, studia modi sempre nuovi per affrontare qualunque frangente di gara ne fa la campionessa che è. Uscita bene dal Tour de Suisse, un terzo posto incoraggiante al rientro in gara, le due maglie tricolori sono ciliegine sulla torta. Ha detto che al Giro Donne punterà a una tappa, poi, si sa, l'appetito vien mangiando.
QUEI PODI
Sì, parliamo dei podi delle due gare agli italiani, perché su quei gradini vanno fatte diverse considerazioni.
La prima è più generale: Marta Cavalli sembra davvero tornata a buoni livelli. Seconda nella cronometro e terza nella prova in linea. Alla partenza, domenica, aveva detto: "Io non attacco...", con un sorriso che faceva presagire scintille. In corsa ci sono state, per come ha risposto, per come è rientrata, per la personalità che ha messo in ogni azione. Brucia perché quella maglia le sarebbe servita molto: a livello morale soprattutto. Ma le prestazioni parlano per lei. Ci aveva detto che un buon Giro Donne, preparato e corso bene, sarebbe servito come slancio verso il Tour de France con cui, dall'anno scorso, ha un conto in sospeso. Ora è il momento di dimostrarlo, affiancata da Cecile Uttrup Ludwig che, sulle montagne, potrebbe essere la spalla ideale.
Silvia Persico, dopo la prova in linea, ha ripetuto più volte una frase significativa: "Devo essere felice". Quasi un'imposizione. Intendiamoci: Persico ha corso un Campionato Italiano di primo livello e sono molti gli occhi puntati su di lei in vista del Giro e più in generale della stagione. Ottime premesse per essere felice, anche raccordate ad una prima parte di stagione da protagonista delle classiche. Però seconda così, fa male davvero. Allora cosa si fa? Si prende il buono e a Chianciano Terme ci si presenta con tutti gli occhi delle rivali puntati addosso. Domenica è successo lo stesso e lei ha scherzato: "Beato chi pensa che sia la favorita". Sappiamo com'è finita.
Parlando di Alessia Vigilia, invece, il discorso si sposta alla prova a cronometro. Una prova che, se servisse, conferma quello che sempre abbiamo sostenuto. Il talento c'è tutto, basta trovare la strada giusta. Una strada che Vigilia ha trovato e smarrito negli anni, crescendo e diventando la ciclista che è oggi. Ricordate il mondiale di Bergen? Una medaglia d'argento, dietro Elena Pirrone, nella cronometro Juniores, dopo una stagione complessa. Poi gli anni che passano, un periodo difficile ai tempi della Cronos-Casa Dorada e quindi la volontà di tornare a costruirsi. In questo percorso, anzi, in questa pedalata, il Giro Donne sarà un tassello importante.
L'ULTIMO GIRO DONNE DI MARTA BASTIANELLI
Sarà un lungo addio al ciclismo pedalato, certamente non al ciclismo vissuto. Ha detto Bastianelli che il Campionato Italiano 2023 sarà il suo ultimo Campionato Italiano, ma si è affrettata ad aggiungere che "in realtà, non sarà mai, davvero, un'ultima volta". Forse, lo stesso vale per il Giro. Anzi, certamente vale per il Giro Donne e con qualcosa in più. Perché questa volta non sarà una delle ultime volte, sarà proprio l'ultima volta e con una carriera alle spalle come quella di Bastianelli questo ha un peso importante. Sul palco dei Campionati Italiani, Elena Cecchini ha pianto mentre parlava di queste ultime volte. Anche Chiara Consonni ha pianto ed il buonumore di Consonni è proverbiale. Hanno detto: "Ha lasciato un segno che non toglieremo mai". Dal 30 giugno, la possibilità di aggiungere un ulteriore segno. Lei e Consonni si inventeranno qualcosa nelle tappe in pianura. Bertizzolo, Magnaldi e Persico faranno lo stesso in salita.
LE ALI APERTE DI GAIA REALINI
Le scalatrici devono essere leggere, si sa. In questo senso il loro è più che mai un volo, perché per volare serve leggerezza. Il fisico dell'abruzzese è da scalatrice pura e le sue ali sono aperte. A Comano Terme, una condotta di gara aggressiva, trenta chilometri di trenate, di attacchi, di voglia di vincere, di certezza nell'essere donna di squadra e per la squadra. Una crescita decisa, continua. Campionessa Italiana Under 23, importante, ma non ci si può fermare qui. Già l'anno scorso, Realini, al Giro aveva fatto bene: tredicesima nella classifica generale finale, settima nella tappa del Maniva, quinta a San Lorenzo Dorsino. A lottare con le big sulle salite. Quest'anno, con Trek, vivrà un Giro diverso, forse ancora più difficile, perché le aspettative del pubblico saranno maggiori. Lei, però, le aspettative le lascia da parte, si concentra sul piacere di fare quel che fa. Qualcosa ci dice che sia la scelta giusta.
IN ORDINE SPARSO
Sì, perché ci sono altre cose da dire sui Campionati Nazionali Italiani 2023, in vista del Giro d'Italia ed in generale della prosecuzione della stagione. Per esempio, è da notare la fuga di Elena Pirrone nella prova in linea, insieme a Cecchini e Masetti. Anche Elena Pirrone ha vissuto momenti diversi in questi anni di carriera: crediamo che azioni simili possano farle bene, restituirle fiducia e consegnarle anche il divertimento che, assieme alla fatica, si prova quando si inventa una fuga. Decima alla fine, dodicesima, invece, Masetti dopo la stessa fuga. Sempre dalla prova in linea, è obbligatorio menzionare Barbara Malcotti: è restata con Longo Borghini, Cavalli, Persico e Realini per lungo tempo, collaborando attivamente ed essendo della partita. Ha concluso quinta. Dall'ordine d'arrivo, rileviamo anche il settimo posto di Letizia Paternoster, che affronterà il suo primo Giro Donne con una squadra, la Jayco-AlUla, che, ci ha raccontato tempo fa, aver contribuito a restituirle serenità. Soraya Paladin, invece, anche lei in top ten, affronterà la corsa rosa con un team di "all rounders", come si dice in gergo, in Canyon Sram, team in cui non sarà, però, presente Kasia Niewiadoma. Della cronometro di venerdì 23 giugno, vogliamo invece evidenziare la prova di Letizia Borghesi, a lungo miglior tempo provvisorio, ed in ogni caso una prestazione che sottolinea un buon periodo di forma.
ALTRE MAGLIE
Se questo fosse un tema, qualcuno potrebbe dire che stiamo "andando fuori tema", ovvero stiamo per uscire dal centro del focus che è, fino ad ora, stato legato alle indicazioni che i Campionati Italiani hanno fornito in vista del Giro Donne. Forse, in parte è vero, ma ci sembra giusto approfittare dell'occasione per un utile riepilogo delle varie maglie di campionessa nazionale.
Fra le atlete che non saranno presenti al Giro Donne, Demi Vollering e Riejanne Markus si sono spartite la maglia di campionessa olandese, la prima su strada, la seconda a cronometro, stessa cosa vale per Victoire Berteau e Cedrine Kerbaol in Francia e per Mireia Benito in Spagna. Christine Majerus è campionessa nazionale lussemburghese su strada, mentre Emma Norsgaard si conferma campionessa nazionale a cronometro in Danimarca. Lotte Kopecky ha fatto il bis in Belgio: titolo sia in linea che contro il tempo.
Tra coloro che, invece, prenderanno il via da Chianciano Terme, al Giro, poniamo l'accento sul doppio titolo conquistato da Chloè Dygert negli Stati Uniti e da Kata Blanka Vas, autrice di due prove notevoli, in Ungheria, ma altrettanto importante, in quest'ottica, è il titolo di Liane Lippert, in Germania, nella prova in linea e di Mavi Garcia in Spagna. In Slovenia, Urška Žigart si è riconfermata nella prova a cronometro. Un bell'insieme di colori, di maglie e bandiere che non mancano, da cercare e riconoscere in gruppo, con cui familiarizzare nella stagione e nei dieci giorni del Giro Donne.
UN POCO DI TUTTO
Non si tratta di Campionati Nazionali, è vero, ma, in questa sorta di lente di ingrandimento sulle cicliste prossimamente al Giro Donne, ci sono altre atlete che dobbiamo per forza di cosa portare all'attenzione nostra e dei nostri lettori. Come a completare un quadro che, in ogni caso, come in tutte le corse ciclistiche, avrà comunque un margine di imprevedibilità e di nomi che, magari non menzionati, sapranno sorprenderci: in questo caso, saremo i primi ad esserne felici. Le sorprese ci piacciono.
Annemiek van Vleuten (Movistar) è, senza ombra di dubbio, uno dei fari di questa corsa. Se dovesse riuscirle il colpaccio, potrebbe continuare un filotto di successi nelle grandi corse a tappe, che, iniziato con la vittoria al Giro dell'anno scorso, ha inanellato: Giro, Tour, Vuelta, ancora Vuelta e chissà se ancora Giro. Conta già tre successi nella Corsa Rosa, potrebbe gettare il poker. Abbiamo parlato più volte di quanto sia cambiata, o meglio, di quanto sia cambiato il suo modo di vincere. Discorsi su discorsi, intanto lei ha già detto di essere contenta delle sue gambe, in vista del Giro. Le sue avversarie non lo saranno altrettanto.
Le prestazioni di Mavi Garcìa (Liv Racing-TeqFind) al Giro Donne dello scorso anno le ricordiamo tutti: in salita aveva pane per i denti di tutte le scalatrici: il suo terzo posto sul podio finale e le cinque top ten su dieci tappe raccontano questa storia. Accanto a lei Katia Ragusa, da cui ci attendiamo qualche numero, e Rachele Barbieri che potrebbe giocare qualche scherzo alle ruote veloci. A proposito di volate, le ruote veloci non mancano, citiamo: Lorena Wiebes (SD-Worx) che potrà contare sul prezioso lavoro di Elena Cecchini, Marianne Vos (Jumbo Visma), abbiamo ancora negli occhi i suoi sprint a "La Vuelta" ed in ogni caso l'estro della campionessa olandese, anche Maria Giulia Confalonieri (Team UnoX) sarà certamente della partita. Non sarà invece presente Elisa Balsamo (Lidl Trek), in recupero dopo l'infortunio alla Ride London Classique. Trek che, comunque, si presenterà come uno squadrone: Longo Borghini, Realini, Deignan, Hanson, Klein, Van Anrooij e Backstedt a completare l'organico. Curiosità per la presenza di Fem Van Empel (Jumbo Visma), domatrice della stagione del fango. In casa Israel, invece, il nome di Anna Kiesenhofer continua a essere gettonato: per la storia di questa atleta, campionessa olimpica a Tokyo. Per la Dsm un ruolo importante lo avrà Juliette Labous: già settima in Spagna, a "La Vuelta" quest'anno, nona al Giro 2022. In squadra con lei due atlete interessanti: Francesca Barale e Eleonora Ciabocco. Tra fughe, salite, sprint, azioni a sorpresa, aspettiamo invece Matilde Vitillo, Valentina Basilico, Silvia Zanardi (BePink) e Sara Casasola (Born To Win G20 Ambedo).
La festa delle pietre
Avete mai avuto il timore di dimenticare una sensazione? Magari una bella sensazione che, in qualche circostanza, avete provato. Sono quelle le occasioni in cui può capitare di pensare: «Non vorrei mai dimenticarmi come mi sento ora». A Valeria Bidoggia è successo la prima volta in cui è stata nelle Fiandre, oppure, per la precisione, la prima volta in cui ha camminato (sì, è bastato camminare) su un tratto di pavè. Ci racconta di averlo accarezzato, di essersi seduta tra quelle pietre e di aver pensato alla storia: «Non c'è essere vivente che possa aver assistito a ciò a cui ha assistito un sasso, una roccia o qualunque altra creatura inanimata. Vero, lì non c'è la coscienza, ma penso che gli esseri umani, quando vi si accostano, possano sentire qualcosa di particolare. Sì, perché noi sappiamo cos'è accaduto lì. Quante biciclette, quanto dolore, quante voci, quanta speranza, è passata da lì. È difficile da raccontare come tutte le cose che percepiamo, ma io l'ho avvertita e ho chiesto a me stessa di non scordarla».
Però la paura di dimenticare c'è sempre e allora si cerca di tornare, di riprovare quel che già si è provato, nella speranza sia ancora la stessa cosa. Valeria ha fatto proprio così e, sulle pietre, è tornata in bicicletta, nella grande festa del sabato, in cui gli appassionati pedalano sul tragitto, come professionisti veri. A tutti gli effetti perché per le persone che sono a guardare non fa molta differenza chi stia passando in quel momento: si tratta, comunque, di qualcuno che sta andando in bicicletta e, solo per questo, bisogna gridare, fare rumore, incitare, forse anche ballare e cantare. «Sai, tutti vogliono riprovare le cose belle, le cose che li hanno resi felici, ma, come sempre, ci sono due volti: il desiderio e la paura. Volevo pedalare su quei tratti, ma avevo anche timore di non farcela, di non essere all'altezza. Forse, persino, di non provare più la sensazione di quella prima volta e di macchiarne il ricordo. In questi casi serve un obbligo: qualcuno che voglia che tu lo faccia. Il regalo di mio marito, per Natale, è stato proprio questo. Il Fiandre ed il coraggio».
Il menu: 75 chilometri di percorso, nove tratti in pavè ed anche la pioggia, perché sabato 1 aprile, in Belgio, il cielo è inclemente. A questo si aggiunge il fatto che questo tipo di tempo atmosferico non lascia tranquillo nessuno, in particolare Valeria: «Credo sia la prova che è tutto nella testa, perché in altre occasioni non sarei nemmeno uscita in bicicletta con la pioggia, figuriamoci su quei muri, con quelle difficoltà. Invece...». Invece è alla partenza ed in macchina ascolta musica che possa caricarla, ha un magone, gli occhi lucidi, canta a voce alta: «Il timore è sempre quello di non essere all'altezza. Nel mio caso è un fatto caratteriale, ma in queste prove pensi ancor di più. In altre occasioni è successo che qualcuno gridasse solo perché ero dalla parte sbagliata della strada, perché "lo intralciavo": ti senti sotto esame, anche se non lo sei. Ed è un peccato. Ecco, prima che partisse il mio Giro delle Fiandre, mi sentivo così, sotto esame». In Belgio, però, tutto questo non c'è, almeno non lì. Si vedono persone che ridono, spensierate e tutto questo si trasmette. «Forse hanno capito il vero senso di giornate del genere. Io guardavo e mi dicevo: "Quasi quasi rido anche io". Sorridevo e pensavo che mi sentivo nel mio posto nel mondo». In particolare, sul Paterberg, muro che Valeria percorre metà in bicicletta e metà a piedi: verso la cima, vede due ragazze che ridono, le guarda e ride: «Mi sono resa conto solo dopo, vedendo le fotografie, che ridevo ovunque. Anche se mi facevano male i polsi, le gambe, tutti i muscoli, persino i piedi». Quella fatica che, per quanto faccia male, si vuole vivere fino in fondo «perché ti fa capire quanto vali, quanto puoi fare da sola, senza dipendere da nessuno, con il supporto di tanti, forse, ma da sola. E sapere che sei in grado di cavartela da sola, cambia tutto, rasserena».
Per questo, sul Kwaremont, quando un gruppo di tifosi italiani capisce che anche Valeria è italiana, e chiama a raccolta tutti, al ritmo di: «Spingiamola, dai!». Lei, tira fuori la voce: «No, vi prego: voglio farcela da sola». Quei ragazzi continuano a incitare e la vedono che, spingendo sui pedali, arriva alla fine: esultano. Sarà uno dei tanti momenti di incontro con i tifosi: «Ad un certo punto ho visto un uomo che mi gridava: "Come on! Come on!". Mi sembrava proprio Andrè Greipel, l'ho guardato e gli ho detto: "Greipel?". Sì, era lui, ed è tornato ad incitarmi». C'è sorpresa perché fa sempre strano vedere qualcuno per cui si tifava che, adesso, fa il tifo per te, in realtà, la risposta di Valeria Bidoggia è naturale.
«Non conta chi hai davanti, conta il fatto che, se conosci la fatica, quando vedi qualcuno che ne sta facendo molta, non puoi che esserne partecipe. Accade qualcosa di simile con il dolore». Sì, tutto questo nel verde delle Fiandre, "indimenticabile", e con, nel naso, l'odore del fango, "piacevole e fastidioso allo stesso tempo". Tutto questo sulle pietre che sono spaventose ma anche rassicuranti, a tratti.
L'arrivo è là in fondo, da molti minuti ormai, ma non arriva mai, quasi fosse un'illusione o il tempo rallentato, fermato. Servono minuti e minuti per transitare sotto l'arrivo, lo stesso dei corridori, di Pogačar o di Kopecky: «Il giorno dopo, mi stupivo del poco tempo impiegato dai professionisti per percorrere il pavè. A me sembra di averci messo un'infinità, ma ce l'ho fatta, con solo 450 chilometri nelle gambe. È incredibile».
Ed in tutto questo, la cosa più importante: «Quella sensazione, quella di cui ti parlavo, che temevo di scordare o di sporcare, è stata la stessa. Identica. Forse davvero non la scorderò mai, non la perderò mai».
Il questionario cicloproustiano di Martina Fidanza
Il tratto principale del tuo carattere?
Sono due, in realtà: empatia e intuito
Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Premuroso, divertente e affascinante
Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
La decisione, la capacità di decidere
Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
La pazzia, la follia
Il tuo peggior difetto?
Non sempre, ma a volte sono troppo testarda ed emotiva
Il tuo hobby o passatempo preferito?
Arte
Cosa sogni per la tua felicità?
Una famiglia unita e felice
Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
Perdere la mia famiglia
Cosa vorresti essere?
Un esempio per gli altri
In che paese/nazione vorresti vivere?
Italia, non vorrei cambiare
Il tuo colore preferito?
Rosso
Il tuo animale preferito?
Gatto
Il tuo scrittore preferito?
Ammetto che non mi piace molto leggere, ma amo la storia, molto, e apprezzo i libri di Ken Follet
Il tuo film preferito?
Pearl Harbor
Il tuo musicista o gruppo preferito?
Ne scelgo due: Ligabue e i Maneskin
Il tuo corridore preferito?
Marianne Vos
Un eroe nella tua vita reale?
Mio papà
Una tua eroina nella vita reale?
Mia mamma
Il tuo nome preferito?
Leonardo
Cosa detesti?
Le ingiustizie
Un personaggio della storia che odi più di tutti?
Adolf Hitler
Un dono che vorresti avere?
Il teletrasporto
Come ti senti attualmente?
Bene, ma sono anche convinta di aver sempre tanto da migliorare
Lascia scritto il tuo motto della vita
Tutto torna
Strade più o meno brute
Il mattino del primo sabato d’ottobre del 2018, il mattino dell’edizione zero di Strade Brute - Franciacorta Gravel - preannunciava uno di quei temporali che fanno paura. Sentieri che diventano strade di fango e ruscelli che diventano fiumi in piena. L’idea di organizzare l’evento è nata solamente pochi mesi prima. Seduti a un tavolo a bere un bicchiere di vino c’era quel gruppo di amici “indecisi” tra la mtb e la bici da strada. La Gravel non andava ancora di moda e, a noi, sembrava il mezzo ideale per esplorare i sentieri, le strade sterrate, i boschi, le montagne e i vigneti della provincia di Brescia. Senza esperienza e , soprattutto, senza sapere cosa fosse davvero un evento Gravel abbiamo deciso di provarci. Credevamo che all’appuntamento ci saremmo presentati solamente noi, quelli del bicchiere di vino, magari pochi altri amici. Quando si sono presentate più di cento persone, stupiti dal numero di biciclette ed entusiasti, siamo saliti in sella e siamo partiti. La pioggia, il vento e il fango l’hanno resa una fantastica tragica prima volta e, sull’onda dell’entusiasmo - nostro e dei partecipanti - ci siamo dati da fare e sono cominciati i preparativi per l’anno successivo.
All’inizio il percorso era unico ed uguale per tutti. Con il tempo abbiamo pensato a altre opportunità perché, diciamoci la verità: “quanto è bello esplorare le strade di casa. Trovare ogni volta quella variante alla quale non avevi mai pensato perché così nascosta che nemmeno chi su queste strade pedala ogni domenica nota? ” Abbiamo quindi deciso di proporre due itinerari.
“Strade Brute”: 80 chilometri e 1500 metri di dislivello. Impegnativo. Adatto a chi può contare su allenamento e buona tecnica perché si troverà ad affrontare terreni tecnici con qualche tratto di portage.
“Strade (meno) Brute” più breve e accessibile. Dislivello abbastanza contenuto, una traccia per tutti diciamo.
Ogni anno gli itinerari vengono modificati ma, entrambe le proposte, sono giri ad anello che partono e arrivano nel cuore della Franciacorta. Sempre su strade sterrate poco note (e molto brute). Entrambi i tragitti portano ad affrontare salite e discese nel paesaggio collinare dei celebri vigneti. Le tracce attraversano anche la Riserva Naturale delle Torbiere del Sebino, riconosciuta a livello internazionale come un'area prioritaria per la biodiversità nella Pianura Padana lombarda, monasteri di interesse storico culturale e vedute spettacolari del lago d’Iseo.
Strade Brute si svolge sempre il primo sabato di ottobre. Chi va in bici sa che questo è il momento migliore dell’anno. La temperatura è perfetta. Il sole inizia ad essere sempre più pigro, ma quando sorge sa regalarti quel tepore che tanto basta per farti togliere lo smanicato dopo pochi chilometri.
Lo spirito con cui organizziamo questa giornata è rimasto quello dell’edizione zero. Vogliamo divertirci. Non ci sono pettorali, non abbiamo un cronometro e non guardiamo i KOM. Ma abbiamo voglia di ridere, di chiacchierare uno di fianco all’altro, di sfidarci con una mezza ruota e di aspettarci un chilometro dopo. Di fotografare i colori dell’autunno appena iniziato, quei colori che rendono i vigneti della Franciacorta un posto magico in cui pedalare, che cambiano nel silenzio interrotto solo dal rumore delle ruote che girano sul brecciolino.
Strade Brute non è una gara, Strade Brute è l’occasione per fare ciò che più ci piace; andare in bicicletta con i nostri amici e, alla fine del giro, bere un bicchiere di vino.
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Contributo da parte de: I gnari di Strade Brute
Qui potete trovare i loro profili social:
https://www.instagram.com/strade_brute/
https://www.facebook.com/stradebrute
Qui potete trovare la raccolta delle tracce fatta su komoot:
https://www.komoot.com/it-it/collection/1855027/-lungo-le-strade-brute-scopri-il-fascino-piu-nascosto-della-franciacorta
La SpoletoNorcia in MTB
La SpoletoNorcia è un evento di mtb fighissimo e si snoda sul tracciato della Vecchia Ferrovia che collegava le due città. Un percorso per chi vuole gareggiare, un paio per chi vuole sfidare se stesso ma senza cronometro, un altro per chi preferisce godersela o non è troppo allenato, e infine ancora uno per chi vuole giusto fare due pedalate e guadagnarsi un piatto di fettuccine al tartufo nero. Boschi, ponti, gallerie, viadotti: fidatevi, ne vale davvero la pena.
Quest’anno poi compie 10 anni tondi tondi e secondo noi è un evento da non perdere.
Volete iscrivervi?
Cliccate qua e non esitate.
Ci vediamo là!
Per informazioni
laspoletonorciainmtb.it
info@laspoletonorciainmtb.it
+39 333 8052398.
Tutto quello che è successo al Giro Next Gen
Per capire che Giro è stato e come sia apparso (quasi) inscalfibile il regno in rosa del favorito assoluto, basta citare alla lettera la frase che Alessio Martinelli, Green Project-Bardiani CSF- Faizanè, sesto in classifica e migliore italiano, ci ha detto a fine corsa, nella zona dedicata alle interviste tra Piazza Unità d’Italia e il lungomare triestino, «Staune-Mittet? Aveva una gamba in più», che forse non saranno le parole più corrette o precise possibili, ma credo sintetizzino perfettamente ciò che è avvenuto da Agliè (Torino) a Trieste, dall' 11 al 18 giugno, 8 tappe in cui non ci si è fatti mancare nulla.
Talenti già fatti, altri da costruire, una corsa ben organizzata, alcuni scenari incantevoli (Stelvio, Cansiglio, Trieste), sorprese, delusioni, senza dimenticare ciò che è successo sullo Stelvio dove 31 corridori, 4 ammiraglie (e rispettivi direttori sportivi) e persino due moto staffette della polizia, sono stati mandati a casa per traino irregolare. Sono state usate tante parole, chi ha seguito la vicenda un’idea se l’è fatta (se proprio volete, ne ho parlato qui): su chi ha sbagliato (corridori, direttori sportivi, giuria: dov’era in quel momento?), su chi ha perseverato (alcuni interventi dei protagonisti della vicenda non meritano nemmeno di essere riportati), su chi ne gioverà insegnamento, su chi capirà che magari il ciclismo non è proprio il suo mestiere nel momento in cui si pensa di doversi attaccare a un’ammiraglia per chiudere lo Stelvio in tempo (massimo, ma non c’era bisogno, con quel distacco sarebbero arrivati su tranquillamente). Trovo dunque inutile soffermarmi ancora su un momento di questo genere, e così, come piace a chi scrive: parliamo di ciclismo.
UNO STAUNE-MITTET NON VIVE SEMPRE E SOLTANTO IL PRESENTE
Il norvegese della Jumbo Visma Devo era il favorito della vigilia e ha vinto, magari non proprio in souplesse, ma è apparso da subito in pieno controllo. A tratti è sembrato un gigante in mezzo ai nani e non me ne vogliano i suoi avversari, ma il classe 2002 di Lillehammer, nel finale della tappa regina, quella di Pian del Cansiglio, ha disintegrato la concorrenza. Quel giorno arrivava da una giornata nella quale aveva preso un buco e ci si chiedeva se fosse un piccolo segnale di qualche scricchiolio da parte sua. Poi nella tappa che si sviluppava tutta in Veneto, con l’arrivo nello splendido altopiano tra Vittorio Veneto e Sacile, Jan Christen lo scuoteva, lo spaventava, andando in fuga, arrivando a una ventina di secondi dalla possibilità di strappargli, almeno virtualmente la maglia rosa. Sull’ultima salita, invece, molto impegnativa solo nel primo tratto e poi esercizio perfetto per un verace passista scalatore come lui, Staune-Mittet, vorace, finiva per mangiargli quasi due minuti, staccando tutti gli altri e mettendo il sigillo finale sulla corsa dopo aver preso tappa e maglia sullo Stelvio, e dopo essere stato il migliore tra gli uomini di classifica anche nella crono d’apertura. Staune-Mittet era il favorito della vigilia e ha vinto: esperienza nelle corse a tappe maturata in questi anni, inquadrato e completo, quasi un calcolatore che già ora non concede moltissimo alle azioni avventate o fini a se stesse, ed è questo uno dei motivi per cui mi scalda pochissimo il cuore, perdonate l’opinione non dovuta, non mi stupirei se il prossimo anno lo dovessimo vedere, salvo compiti di gregariato per Vingegaard e/o Roglič, provare a fare classifica al Giro o alla Vuelta. Avrebbe già chiesto, stando a quello che ha raccontato a fine gara, di poter correre il Giro dei grandi l’anno prossimo, intanto quest’estate proverà una storica doppietta Giro-Tour (de l’Avenir), roba riuscita solo a un certo Baronchelli cinquant'anni fa, e visto il secondo posto lo scorso anno, battuto solo da Uijtdebroeks, non ci pare un’impresa così peregrina.
LA LOTTA PER IL PODIO E LA CLASSIFICA
La classifica ha messo in luce alcuni nomi non pronosticabili alla vigilia almeno per quanto riguarda i piani alti. Darren Rafferty sul podio è un risultato eccezionale. Il giovane irlandese ha sempre mostrato di essere perlopiù cacciatore di tappe, grazie a una solida consistenza sul passo (e a cronometro), un corridore da classiche vallonate, bravo ovunque, sì, ma non fino al punto da scalare la generale del Giro Under 23 e soprattutto di fare quel tipo di prestazioni sullo Stelvio (per lui, come per tanti altri era la prima volta su salite di un certa lunghezza e difficoltà) dove fino alla rampa finale era persino in lotta per il successo di tappa.
Dopo una primavera ricca di piazzamenti ne è arrivato un altro, che gli fa fare un ulteriore salto di qualità allargando i suoi orizzonti, Rafferty rappresenta bene il principio secondo cui gli irlandesi in gruppo sono pochi ma buoni; Rafferty a un certo punto ci ha fatto pensare ad una sorta di effetto Leo Hayter, ovvero, come accaduto lo scorso anno, un corridore di Axel Merckx capace di ribaltare il pronostico, ma Staune-Mittet non ha (praticamente mai) ceduto il passo. Una via di mezzo tra Dunbar e Healy per interpretazione delle gare e caratteristiche tecniche, Rafferty nel 2022, da primo anno tra gli Under 23 vinse la Strade Bianche di Romagna, corsa troppo bella per essere vera e dunque durata una sola edizione, proseguendo la naturale crescita come corridore da gare di un giorno già vista da juniores. Vediamo cosa gli riserverà il futuro, fatto sta che come tutti gli irlandesi nel giro del ciclismo che conta ha una caratteristica importante: va davvero forte.
Sul podio anche Hannes Wilksch, Germania, ex DSM ora alla Tudor. Anche lui arriva da un percorso di crescita naturale, quasi scontato per quanto lineare, improntato alle corse a tappe: corridore poco appariscente, ma continuo, dopo i due settimi posti nel 2022 tra Giro e Avenir, si insedia sul podio grazie soprattutto alla prova offerta nella tappa di Pian del Cansiglio e che ne rispecchia pienamente le caratteristiche. Invece di seguire subito l’andatura asfissiante di Staune Mittet nella scalata finale, va su del suo senza strafare, recuperando chilometro dopo chilometro i suoi avversari e finendo per arrivare a ridosso della maglia rosa norvegese. Il suo futuro è legato a una squadra giusta per crescere, una Tudor che al suo primo anno come Professional piazza vittorie tra i professionisti e al suo secondo come Continental/u23 un corridore sul podio al Giro, una squadra che zitta zitta in pochi mesi ci dimostra la bontà del suo progetto.
In alto in classifica segnaliamo come tra i colombiani della Sidermec GW Shimano in classifica lascia l’impronta più Germán Dario Gómez (4° a 11” dal podio, lo ricorderete al Mondiale 2019: salì agli onori della cronaca perché fu inquadrato a lungo con la ruota in mano a bordo strada in attesa dell’arrivo della macchina dell’assistenza che tardò ad arrivare. Gomez a un certo punto si sedette a terra e scoppiò in lacrime: concluse ugualmente la sua prova 60° a 16’49’’ da Simmons vincitore). Dicevo: più Gomez che Santiago Umba (10°) grazie soprattutto alla tappa di Pian del Cansiglio. Umba che fino a pochi chilometri dalla vetta dello Stelvio pareva il più forte in salita del gruppo, sgambettava, poi alla fine si staccava, come succede sul Cansiglio dove, prima attacca e poi rimbalza. Più che essergli mancate le gambe, nonostante le sue prime stagioni siano state caratterizzate da diversi problemi fisici, parlando con Gianni Savio alla partenza dell’ultima tappa, emergono alcuni limiti del giovanissimo corridore legati più a una questione di mentalità. «Le qualità sono quelle del corridore di primissimo livello - mi dice Savio - ciò che gli manca in questo momento è la cattiveria agonistica», dove, probabilmente, si intende qualcosa di legato alla componente mentale: gestione tattica e nervosa dei momenti di gara. Tuttavia, Umba ha mostrato a sprazzi al Giro di essere un corridore sul punto di fare il salto di qualità e quando lo farà potrà giocarsi traguardi di una certa importanza. Pare che l’anno prossimo sarà chiamato a dimostrare il suo potenziale con la Eolo di Basso e Contador.
Restando in top ten delude a livello di risultato finale William Lecerf, lo stesso però non si può dire dell'atteggiamento. La sua squadra, la Soudal Quick Step Devo, è stata una delle più attive e anche il piccolo scalatore belga ci ha provato più e più volte. Ha rischiato di saltare, ha peggiorato il 4° posto dello scorso anno, ma almeno si è fatto vedere anche in azioni partite lontano dal traguardo.
CONOSCERE I VINCITORI DI TAPPA
Tutti di grandissima qualità: 6 vittorie su 8 arrivano da corridori che nel 2024 saranno nel World Tour. Alec Segaert, Belgio, Lotto Dstny, vince nella crono iniziale. Segaert va forte abbastanza ovunque e in un Giro senza troppa concorrenza a livello di classifica generale, soprattutto considerata la classe media e quella posizioni che vanno dalla quinta alla quindicesima, si scopre anche uomo di classifica - chiude undicesimo nella generale. Sono certo che l’ottimo corridore belga da professionista si toglierà soddisfazioni a cronometro, nelle corse di un giorno di un certo tipo, persino in qualche breve corsa a tappe non troppo dura, ma difficilmente lo vedremo fare classifica in un Grande Giro.
Il secondo giorno vince Gil Gelders, ancora Belgio, Soudal Quick Step Devo Team, che si iscrive in un club ristretto di corridori capaci di vincere più di una tappa nella corsa rosa dei giovani, avendo conquistato un successo anche nel 2022. Gelders è un attaccante nato, corridore estremamente versatile, dotato, oltre che di motore, anche di intelligenza tattica come successo alla Gent-Wevelgem quando partì al momento giusto prima nella fuga che andò al traguardo e poi con l’azione decisiva nel finale, e difatti a Cherasco è autore di qualcosa di simile. Attacca con Zamperini e Rafferty distante dal traguardo, ma fiutando l’azione decisiva, a un certo punto lascia per strada i due nel tortuoso finale con il gruppo che pare rientrare. Dietro, però, un rallentamento taglia fuori il favorito di tappa Busatto negandogli la possibilità di riprendere Gelders, e il belga vince. Occhio a lui e a queste sue azioni anche tra i professionisti.
La terza tappa è di Luke Lamperti: americano che praticava motocross, mountain bike, crit race e ora si esibisce nel ciclismo strada. Lamperti rappresenta perfettamente quel tipo di corridore che piace alla Trinity Racing guidata dall’ex professionista Peter Kennaugh, una squadra che cura molto non solo i dettagli tecnici, ma anche l’immagine, dando anche l’aspetto di una squadra che affronta le corse quasi con leggerezza. Veloce, potente e resistente, Lamperti è un tipo di corridore che da professionista potrà piazzarsi su diversi terreni. La tappa di Magenta è stata l’unica volata del Giro e l’americano della Trinity è riuscito ad anticipare Bruttomesso, corridore del Cycling Team Friuli, davvero di pochissimo. Per sapere dove il classe 2002 californiano correrà nella prossima stagione occorre ancora attendere un po’, si parla di un imminente annuncio del passaggio in Quick Step per il 2024, prima Lamperti correrà il mondiale scozzese tra i favoriti, forse persino favorito assoluto.
La quarta tappa ve l’abbiamo accennata, ne abbiamo parlato e ne parleremo anche nel prossimo numero di alvento: vince Johannes Staune-Mittet davanti a Faure-Prost, grandissima sorpresa di questo Giro: è la frazione che disegna in maniera netta la classifica. Il quinto giorno arriva un’altra fuga, ancora un contrattacco: stavolta è Lukas Nerurkar, giovane scalatore inglese della Trinity Racing, che vince a Manerba, con Busatto terzo, che si deve accontentare dell’ennesimo piazzamento al Giro. Nerurkar il giorno prima era stato forse la grande delusione, 23° a 6'44'' dal vincitore di tappa dopo che la sua squadra aveva lavorato tutto il giorno, convinti di fare risultato pieno sullo sullo Stelvio. Nemmeno ventiquattro ore dopo, però, si rende protagonista dell'attacco decisivo che gli permette di scrivere il suo nome nel libro dei ricordi di questo Giro.
La sesta tappa la vince Alessandro Romele, Colpack Ballan, ed è l’unico successo di un corridore italiano in questa edizione di corsa. Il ragazzo bergamasco, ex campione italiano tra gli junior, è un corridore che vedrei bene già il prossimo anno nella massima categoria. Alla vigilia del giro ho affermato come, un successo di tappa di un corridore italiano diverso da Busatto, Bruttomesso (già con un contratto nel World Tour per il 2024), un Bardiani, De Pretto e Moro (per loro si attende solo l’ufficialità stando ai rumors), sarebbe quasi certamente valso un posto tra i professionisti nella prossima stagione. Ora mi attendo l’annuncio, perché Romele, corridore nato per andare in fuga - in questa maniera ha vinto anche il Liberazione poche settimane fa - in un periodo un po' complicato per il ciclismo italiano giovanile è sicuramente una delle realtà più interessanti.
Al settimo giorno c’è stata la tappa regina con arrivo a Pian del Cansiglio: ha vinto Jan Christen, svizzero della Hagens Berman Axeon, corridore tra i più promettenti del ciclismo mondiale. Classe 2004, lo scorso anno è stato campione europeo tra gli jr su strada e l’anno prima campione mondiale nel ciclocross, sempre nella categoria “Under 19”. Oltre alla vittoria di tappa, Christen ha chiuso al 7° posto in classifica generale, e dal 2024 correrà con Pogačar (al quale per certi versi assomiglia, anche in bicicletta e per tratti somatici). Nella tappa del Cansiglio, consapevole di non poter tenere la ruota di quei due, tre migliori corridori in salita, ha attaccato a una sessantina di chilometri dal traguardo, anticipando. Prima si è liberato della scomoda compagnia di Busatto, che aveva provato a seguirlo, e poi di quella di Cretti e Gelders nel finale verso l’altipiano veneto, ottenendo così la prima vittoria in carriera tra gli Under 23. Cosa potrà diventare? Difficile dirlo: si difende a cronometro e nelle salite lunghe, come ha dimostrato al Giro non soffre particolarmente nemmeno le salite di media durata e ravvicinate: certo tra i professionisti per imporsi servirà un ulteriore passo in avanti.
Infine l’ultimo giorno, verso Trieste, vince Anders Foldager che salva alla grandissima la spedizione della Biesse Carrera, squadra che negli ultimi anni al Giro si è spesso tolta qualche soddisfazione. Quest’anno è toccato al danese, eccellente cacciatore di tappe e in futuro probabilmente di classiche grazie soprattutto alla capacità di resistere sulle salite brevi e allo spunto veloce. Nel 2024 correrà con la Jayco AlUla che lo ha già annunciato qualche mese fa.
L’ITALIA GUARDA DA LONTANO MA NON SOLO
Confronto (quasi) impietoso con una parte del mondo per quanto riguarda l’Italia da classifica generale nelle corse a tappe, ma questa ormai è un’abitudine. Malsana, ma questa è la piega: se pensate che corridori come De Pretto tra gli Under 23 hanno disputato tre corse a tappe in carriera, e che a metà giugno è la prima corsa a tappe della stagione capite che ci sono tante cose che non vanno dal punto di vista formativo nella maggioranza delle squadre italiane. Senza entrare troppo nel merito di come ci si allena (a tal proposito vi invito ad ascoltare le parole di Gaffuri e Vergallito, nel podcast di Angliru, e che mi sento di quotare al 100%) le problematiche sono diverse: si sceglie - anche per questioni economiche - di correre perlopiù in Italia dove il calendario non aiuta: è possibile che fino a giugno non ci siano corse a tappe nel nostro paese a cui prendere parte? E poi da giugno a fine stagione quasi in sequenza: Giro d’Italia, Giro del Veneto, Valle d’Aosta e Giro del Friuli. Scalatori ormai non ne produciamo più e la colpa è anche dei percorsi (spesso piatti o tutti molto simili, circuito con salitella dura da affrontare più volte e difatti è un periodo dove si producono ragazzi veloci e resistenti, da corse di un giorno, ma troppa poca attenzione per le corse a tappe o le corse con tanto dislivello); per quanto riguarda i cronoman, dopo esserci abituati discretamente bene per qualche anno (grazie più al talento individuale), siamo tornati a fare un passo indietro: anche qui molte squadre italiane ci puntano poco o niente, siamo lontani dallo standard per esperienza e materiali (il risultato dei corridori italiani nella crono d'apertura del Giro Next gen è emblematica sulla situazione) e allora “ci accontentiamo” di alcune belle realtà che si sono messe in mostra in questo Giro e che hanno perlopiù caratteristiche da cacciatori di classiche o tappisti. È il caso del già citato Romele, di Bruttomesso, velocista, 2° a Magenta, di Busatto, il corridore italiano più rappresentativo tra quelli che corrono ancora tra gli Under 23 che al Giro la vittoria l’ha solamente sfiorata e De Pretto, della Zalf, 5 volte nei 10 su otto tappe, maglia ciclamino a premiare una regolarità che nessuno è riuscito ad avere durante gli 8 giorni di gara. Menzione anche per Luca Cretti, quarto anno della Colpack che vive una sorprendente settimana di grazia, la migliore della vita: 2° a Trieste, 4° a Pian del Cansiglio dopo aver ceduto solo nel finale a Christen, 8° a Manerba del Garda, 2° nella classifica a punti e in quella dei GPM, qui preceduto soltanto dal dominatore della corsa, Johannes Staune-Mittet.
Qualcuno dirà: e Alessio Martinelli? Ci arriviamo: per quanto il suo 6° posto sia un risultato prestigioso e di peso, Martinelli, ottimo Giro il suo, deve essere ancora inquadrato come tipo di corridore e lui stesso si focalizza bene su quali sono i suoi pregi e difetti: regolarista, si sente competitivo nelle corse di un giorno («Perché mi diverto di più») più che nelle corse a tappe («Anche se avendo un ottimo recupero, i tecnici mi dicono di insistere nelle corse a tappe»), anche se da qui a fine stagione è più facile che, almeno con la maglia della nazionale guidata da Marino Amadori, lo rivedremo al Tour de l’Avenir, dove però i capitani saranno verosimilmente Piganzoli e Pellizzari. Proprio su Giulio Pellizzari, classe 2003, compagno di squadra di Martinelli, apriamo una piccola parentesi: doveva essere il corridore di punta del movimento italiano per provare a fare classifica, ma è arrivato al Giro ammalato e si è fermato prima del via della seconda tappa: una vera disdetta. Come ci ha rivelato Amadori, però, alla vigilia dell’ultima tappa, la nazionale italiana punterà concretamente su di lui al Tour de l’Avenir dandogli la possibilità di misurarsi contro i migliori della categoria Under 23 e soprattutto di dare segnali importanti in salita.
LE SQUADRE
Tra i team devo stranieri che fanno la voce grossa sicuramente Jumbo Visma e Soudal Quick Step, con una tappa a testa, la vittoria finale di Staune-Mittet e per i gialloneri arriva anche il 9° posto in classifica di Tijmen Graat e la vittoria nella classifica a squadre. Bene la Circus-ReUz-Technord che, pur non vincendo con Busatto, lanciano la sorpresa Alexy Faure-Prost al 5° posto e miglior 2004 (maglia bianca finale), e bene anche la Lotto Dstny del già citato Segaert. Tra le italiane, Green Project- Bardiani CSF-Faizanè, dopo le polemiche suscitate dalla nascita del progetto continentale e qualche difficoltà iniziale, raccoglie (per la verità segnali che arrivano da inizio stagione) i primi frutti davvero buoni del suo percorso con la speranza che questa sia la strada giusta per lanciare talenti nel ciclismo italiano. Bene Colpack e Biesse Carrera, che vincono una tappa a testa, mentre la Zalf oltre ad animare le tappe soprattutto con le fughe di Zamperini, sempre molto attivo, vede il suo nome negli ordini d’arrivo grazie perlopiù al talentuoso Davide De Pretto.
Capitolo CTF, squadra riferimento del movimento italiano e che in pochi anni oltre ad aver lanciato un numero di talenti importanti nel World Tour ormai parte a ogni corsa con gli occhi puntati addosso. Ho avuto l’onore di seguire l’ultima tappa del Giro insieme a loro, squadra di casa, e ovviamente non hanno nascosto la delusione per un Giro nel quale sono arrivati senza uomini per puntare alla classifica (Davide De Cassan), ma cercando la vittoria di tappa che non è arrivata. La parte piena del bicchiere è la crescita di Roman Ermakov, passista russo classe 2004, con margini di miglioramento da scoprire sia nella gestione e lettura nella corsa sia in salita dove, pur pesando parecchio può contare su una certa regolarità di passo e, come mi hanno detto dalla squadra, «dotato di grandi doti di endurance».
La parte vuota del bicchiere è quella di aver mancato le fughe decisive in un Giro che ha visto 5 fughe su 8 tappe al traguardo: soprattutto nel giorno in cui sono andate via i due Colpack, Romele e Meris, e De Pretto, e l’ultimo giorno a Trieste, in casa, oltre a non essere riusciti a concretizzare, nell’unica occasione per velocisti, il lavoro fatto per Bruttomesso, secondo per un'incollatura da Lamperti nell’arrivo di Magenta. Per organizzazione e professionalità, CTF però resta una delle squadre da seguire, un riferimento, una squadra che guarda sempre avanti e che sicuramente riuscirà a cavare qualcosa di buono anche da una corsa che non è andata come ci si aspettava, e come si aspettavano principalmente loro.
SORPRESE
Andiamo alle sorprese della corsa e torniamo a dare uno sguardo alla classifica generale, un discorso rimasto in sospeso qualche paragrafo prima: 5° posto e maglia bianca per Alexy Faure-Prost: «Sinceramente nemmeno io mi aspettavo di andare così forte e di essere così in forma per tutto il Giro» ci dice mescolando inglese e francese rispondendo al mio inglese, parecchio rabberciato in un momento in cui il sole batteva forte sulle nostre teste all'arrivo di Trieste. Faure Prost, che in stagione ha conquistato la Get Up Cup in Belgio (davanti al compagno di squadra Busatto), è stato pedina fondamentale alla Liegi Espoirs vinta dal corridore veneto quest’anno. Busatto, al Giro, ha ricambiato il favore: fondamentale per tenere la maglia di miglior primo anno sulle spalle del compagno di squadra francese, fondamentale il lavoro svolto nel finale nella tappa di Pian del Cansiglio dove Faure-Prost è andato in difficoltà.
Citiamo, infine, anche anche Matteo Scalco, 17° in classifica generale, 3° in quella della maglia bianca (dietro Faure-Prost e Christen, davanti a Ermakov e Svarre), 3° miglior italiano dopo Martinelli e Meris, e reduce, prima del Giro, della vittoria conquistata alla Coppa della Pace.
Foto: La Presse da Comunicati Stampa RCS