Non solo Grand Tour - gli altri itinerari
19 Maggio 2021bike destinations,Val di Merse
Fino ad ora abbiamo parlato di Grand Tour e del suo itinerario ad anello, ma c’è dell’altro. Sono infatti stati creati 9 percorsi che i loro ideatori chiamano a margherita, molto più corti ed accessibili a tutti, per un ciclismo più lento dove la performance è l’ultimo degli obiettivi.
Adatti a chiunque, anche per gli accompagnatori non allenati ma che vogliono provare un giorno in sella, magari affittando una e–bike.
Il Romanico in Montagnola
Itinerario che si sviluppa interamente nel comune di Sovicille. Arte, storia e paesaggi, queste le tre parole per descrivere il loop, all’interno della Montagnola Senese.
Distanza: 33 km
Dislivello: 610 m
Livello: medio
Bici: gravel, mountain bike
Girotondo a Sovicille
Sempre all’interno del Comune di Sovicille, questo percorso è il più adatto a chi non è molto allenato grazie al dislivello non elevato e alla sua lunghezza.
Distanza: 32,5 km
Dislivello: 375 m
Livello: facile
Bici: tutti i tipi
Nel cuore della Montagnola Senese
Percorso interamente su asfalto attraverso i Comuni di Sovicille, Siena e Casole d’Elsa, proprio nel cuore della Montagnola Senese. Si affrontano due salite, il Passo di Celsa e il Passo degli Incrociati, quindi un minimo di gamba ci vuole.
Distanza: 48 km
Dislivello: 875 m
Livello: medio
Bici: strada, cicloturismo
San Galgano e l’alta Val di Merse
Tra i Comuni di Chiusdino e Monticiano, questo itinerario ha i sui punti forte nell’ abbazia di San Galgano e nella riserva Naturale dell’Alto Merse.
Distanza: 39,5 km
Dislivello: 725 m
Livello: facile
Bici: gravel, cicloturismo, mountain bike
Gravellata in Val di Merse
Un loop che si sviluppa quasi totalmente su strade sterrate, all’interno della Riserva Naturale dell’Alto Merse tra i Comuni di Monticiano e Chiusdino. Il dislivello non è banale e un minimo di allenamento è necessario.
Distanza: 46 km
Dislivello: 870 m
Livello: medio
Bici: gravel, mountain bike
Le Colline Metallifere
Le Colline Metallifere sono una parte molto importante della Val di Merse e questo percorso è disegnato apposta per visitarle. Completamente su asfalto, nel Comune di Chiusdino, tocca anche il bellissimo borgo medievale di Montieri. Per gente allenata è perfetto come preparazione al Grand Tour.
Distanza: 62 km
Dislivello: 1100 m
Livello: difficile
Bici: strada, cicloturismo
Un salto a Siena
Con Siena così vicina non poteva non esserci un percorso per andare a visitarla: le Crete Senesi a fare da contorno, attraverso lo sterrato de L’Eroica a Radi, si raggiunge il capoluogo fino al suo centro storico.
Distanza: 39 km
Dislivello: 677 m
Livello: facile
Bici: strada, cicloturismo, gravel
Gli Etruschi in Val di Merse
Il percorso più corto e quindi il più abbordabile, ma con qualche passaggio stretto lungo il torrente Crevole, che porta fino a Buonconvento. Tappa obbligatoria il borgo di Murlo, un vero gioiello.
Distanza: 26.5 km
Dislivello: 425 m
Livello: facile
Bici: gravel, mountain bike, cicloturismo
Fra Val di Merse e Crete
A ovest i boschi della Val di Merse e a est le Crete Senesi: un percorso completamente nel Comune di Murlo dove i paesaggi sono il punto forte.
Distanza: 26.5 km
Dislivello: 570 m
Livello: medio
Bici: tutti i tipi
Il libro di viaggio e l'attestato di valore
19 Maggio 2021bike destinations,Val di Merse
Che cosa distingue un qualunque giro in bici da un tour come questo della Val di Merse? Certo, i servizi ai ciclisti e i segnali dedicati sono una parte fondamentale, ma quello che davvero fa la differenza è il portarsi a casa un ricordo tangibile, un attestato di sudore versato.
Per questo è stato creato il Libro di Viaggio, che non è altro che una mappa del percorso dove sono segnati i vari check–point da cui bisogna passare per completare il loop. In questi punti, che corrispondono poi ai sei Comuni attraversati dal Grand Tour, sarà necessario far apporre un timbro. Una volta ricevuti tutti i timbri e concluso il giro si invia una foto del Libro di Viaggio all’indirizzo info@grandtourvaldimerse.it ed in cambio si riceve l’Attestato di Valore e si viene inseriti all’interno dell’Albo. Tutto chiaro, no?
A dirla tutta non è altro che un gioco che in un attimo ci fa tornare bambini e, proprio per questo, è una figata pazzesca.
Troverete il Libro di Viaggio, e potrete farvi fare i timbri, in queste che sono le strutture convenzionate con il Grand Tour.
CASOLE D'ELSA
Botteghina di Scorgiano
Località Scorgiano, 19 – Casole d'Elsa
Telefono: 0577 301242
Museo Civico Archeologico e della Collegiata
Piazza della Libertà, 5 – Casole d'Elsa
Telefono: 0577 948705
Wine–Bar Il Barroccio
Piazza della Libertà, 23 – Casole d'Elsa
Telefono: 0577 948063
CHIUSDINO
Bar Pizzeria Trattoria Bellavista
Via Roma, 4 – Chiusdino
Telefono: 0577 750720
Gastronomia San Galgano
P.zza Matteotti, 1 – Chiusdino
Telefono: 371 1593518 – 371 1510053
Ristorante Antico Tempio Terre di San Galgano
Strada Comunale di San Galgano, 155 – Chiusdino
Telefono: 0577 756366
MONTICIANO
Albergo Ristorante Da Vestro
Via Senese, 4 – Monticiano
Telefono: 0577 756618
Bar Alimentari
Piazza Lama – Lesa Monticiano
Telefono: 0577 758067
Bar l’Incontro
Piazza Sant Agostino, 7 – Monticiano
Telefono: 0577 756621
MURLO
Albergo di Murlo
Via Martiri di Rigosetto, 1 – Murlo
Telefono: 0577 814662
Circolo Arci Vescovado
Via Roma 43 – Vescovado di Murlo
Telefono: 0577 811096
Hotel Ristorante Bosco alla Spina
Via della Tinaia, 13 – Lupompesi Murlo
Telefono: 0577 814605
Museo Etrusco di Murlo
Piazza della Cattedrale, 4 – Murlo
Telefono: 0577 814099
RADICONDOLI
Bar Il Nazionale
Via Tiberio Gazzei, 48 – Radicondoli
Telefono: 0577 790721
Circolo Acli
Via Tiberio Gazzei, 48 – Radicondoli
Telefono: 0577 790718
SOVICILLE
Assi Bar
Via Massetana, 70/C – Rosia Sovicille
Telefono: 0577 345652
Bar Pizzeria Trattoria La Pergola
Via Massetana, 135 – Rosia Sovicille
Telefono: 0577 345735
Bottega di Stigliano
Località Stigliano 62 – Sovicille
Telefono: 0577 345624
Il Grand Tour della Val di Merse - strada e gravel
19 Maggio 2021bike destinations,Val di Merse
Il Grand Tour è il fiore all’occhiello della Val di Merse ed è quello che ci ha spinto, durante una riunione in redazione, a decidere di andare in trasferta. Si tratta di un percorso cicloturistico permanente di 173 km con 3100 metri di dislivello e si snoda lungo la valle che prende il nome dall’omonimo fiume. Si estende nella parte sud–occidentale della Provincia di Siena attraversando i Comuni di Chiusdino, Monticiano, Murlo, Sovicille e sconfina nella Val d’Elsa passando per Radicondoli e Casole. È totalmente segnalato grazie ai cartelli stradali dedicati e il senso di percorrenza è antiorario. Sono quattro i settori di sterrato per un totale di 12 km, due tratti corrispondono al percorso di Strade Bianche e uno a quello de L’Eroica.
Partenza e arrivo sono a vostra totale discrezione, così come il tempo che deciderete di dedicare al tour: noi l’abbiamo fatto in due giorni (che poi sono diventati due e mezzo), ma nulla vieta di prenderla con più comodo e di godervi ancora di più i paesaggi. Se invece avete la gamba tonica, si può tranquillamente partire a arrivare dall'alba al tramonto. Ovviamente si può affrontare con qualunque tipo di bici: strada, gavel, mtb, cicloturismo o e–bike.
La variante gravel.
Per chi ha voglia di vivere un’esperienza più selvaggia, non sopporta l’asfalto e preferisce parlare con i cinghiali invece che con gli essere umani, è stata creata una variante gravel del Grand Tour: 217 km con 4200 m di dislivello e circa 100 km di sterrato. In questo caso più che un consiglio è un obbligo: bici gravel o mtb, non ci sono alternative.
Vai su Komoot a scaricare la traccia
Val di Merse, la Toscana che stavi cercando
19 Maggio 2021bike destinations,Val di Merse
Noi in Val di Merse ci siamo andati e, come avete letto sul numero 15 di Alvento, è stato un appuntamento al buio.
Abbiamo scelto così perché volevamo arrivare senza alcuna aspettativa ed essere stupiti da ogni situazione: solo così si può essere davvero realistici ed interessanti nel raccontarle.
È stato un rischio? Assolutamente sì: se le cose vanno bene, tornerai con un sacco di contenuti e di storie da raccontare, ma se le cose vanno male? A quel punto rientri a casa con un pugno di mosche e senza un piano B.
Dentro di noi però c’era qualcosa che ci spingeva a star tranquilli, come se già sapessimo che tutto sarebbe filato liscio. Sesto senso, fiuto o solo fortuna? Chi lo sa.
Fatto sta che abbiamo trovato un posto pazzesco, sicuramente inaspettato. Oddio, quando vai in Toscana cadi sempre bene: paesaggi, cucina, ospitalità e calore delle persone si sa che non mancano mai. Nonostante ciò, la Val di Merse è riuscita comunque a stupirci.
La varietà di paesaggi in cui abbiamo pedalato è stato il piatto forte: macchia mediterranea, crete senesi, boschi, vigneti, prati verdi a perdita d’occhio. Gli Appennini a ripararci e il Monte Amiata laggiù in fondo come punto di riferimento quasi fosse una fiamma olimpica.
E poi strade bianche a destra e strade bianche a sinistra, su qualcuna si pedala mentre qualcun'altra è lì, di fianco, a farti solo compagnia.
Lo stupore più assoluto arriva grazie alla quasi totale mancanza di traffico, tanto che a un certo punto ci siamo dovuti sincerare che tutto fosse ok, perché ci sembrava impossibile pedalare da un’ora senza aver incontrato una macchina. «È più facile incontrare caprioli o cinghiali, piuttosto che auto», dicono. Aggiungeteci il buon cibo, il vino che non manca mai, i sorrisi di chi ci ha accompagnato e di chi abbiamo incontrato per strada: ora potete capire perché consigliamo davvero un giro da queste parti. Bici da strada, gravel, mountain bike o e–bike, poco importa.
La Val di Merse è un posto autentico, meno glamour di località più blasonate e, proprio per questo, più Alvento. Prendetevi un weekend e fateci un salto, non ve ne pentirete.
La forza di ripartire: intervista a Franco Pellizotti
19 Maggio 2021Giro d'Italia,Giro 2021,Giro d'Italia,Bahrain VictoriousFranco Pellizotti
Il Giro d'Italia della Bahrain Victorious non è di certo iniziato nel migliore dei modi. Nel discusso finale della quinta tappa, a Cattolica, la caduta con conseguente ritiro di Mikel Landa ha stravolto ogni piano. Franco Pellizotti, direttore sportivo della squadra, quella sera ha dovuto parlare agli atleti. «Sono situazioni difficili, ma quando parti per una corsa a tappe di tre settimane sai che possono capitare. Il punto su cui ho fatto leva è stato uno: Mikel Landa aveva fiducia in questa squadra perché composta da ciclisti di valore. Questi ciclisti cosa vogliono fare? Vogliono affrontare tutto il Giro a testa bassa perché la sfortuna ha colpito Landa? Non credo sia una buona idea. Il Giro continua in ogni caso, a questi uomini l'opportunità di dimostrare quello che valgono». Sì, perché Pellizotti non ha dubbi: ogni situazione difficile può essere affrontata e risolta con successo. Tutto dipende da ciò che si sceglie di guardare.
«Credo sia fondamentale la chiave di lettura con cui si fronteggia ciò che accade. L'incidente a Landa poteva essere un alibi dietro a cui nascondersi per giustificare un Giro infruttuoso, incolpando tutto e tutti, oppure la spinta per reagire e portare ognuno a fare ancora di più. Ciò che ti arriva addosso e sembra farti solo male, spesso è anche portatore di grinta, coraggio e volontà. Certo non bisogna piangersi addosso. La squadra è ancora qui, si cambia tattica e si prosegue». Queste cose, il direttore sportivo della Bahrain le ha ripetute anche domenica, dopo lo spaventoso incidente di Mohorič, che fortunatamente ora sta bene. Anche se, continua Pellizotti, in questo secondo caso le cose sono state diverse.
«Un conto è ciò che dici, un conto ciò che accade. Per fidarsi di te, la squadra deve vedere che ciò che hai detto è vero. Che se fa in un certo modo, si può far comunque bene, seppur non puntando alla classifica generale ma alle tappe».
In questo senso, fondamentale è stata la vittoria di Gino Mäder ad Ascoli Piceno, la tappa successiva alla caduta di Landa. «Lì c'è stata la svolta. Avevo detto ai ragazzi di pensare alla Ineos Grenadiers che, l'anno scorso, dopo la caduta di Geraint Thomas ed il suo ritiro, ha costruito la vittoria del Giro. Loro hanno messo in pratica il tutto con un capolavoro tattico. In quel momento è tornata la fiducia: hanno visto ciò che possono fare. E Mäder ha trovato quella vittoria che gli sfuggiva da troppo tempo».
Franco Pellizotti è un direttore sportivo giovane e, quando si parla di esperienza, fa leva su quella accumulata da atleta. «Dirigo, ma in realtà mi sento sempre su quella sella, mi sento sempre un ciclista. Capisco bene quello che può passare nella testa in queste occasioni». Così va nelle camere degli atleti e parla singolarmente con ciascuno. «Quando accadono queste cose è giusto parlare a tutta la squadra, ma anche avere un approccio individuale. La direzione da prendere è generale, ognuno però ha un proprio carattere ed una propria sensibilità. Ciò che sprona un ragazzo, può ferirne un altro. Bisogna considerarlo».
Per farlo è imprescindibile la conoscenza. «Nella vita di ogni atleta ci sono molteplici spigolature. Quello che l'atleta è, come si comporta, non dipende solo da quello che vive nel ciclismo. Se conosci bene gli uomini con cui lavori, sai su che aspetti far leva, sai cosa hanno passato e di conseguenza che parole dire e che modi usare».
Foto: Luigi Sestili
Quando scatta Ciccone
18 Maggio 2021Giro d'Italia,Giro 2021,Giro d'ItaliaGiulio Ciccone
Qualche mattina fa, alla partenza di una tappa del Giro, Giulio Ciccone si è accostato all'ammiraglia di Roberto Reverberi, direttore sportivo della Bardiani-CSF-Faizanè. Ciccone è cresciuto ciclisticamente con lui, così Reverberi si è sentito di dargli un consiglio. «Gli ho detto che deve stare tranquillo, di non perdersi per la foga di far troppo. Bernal ha una squadra molto forte, credo che la Trek-Segafredo non debba prendere in mano le sorti del Giro d'Italia. Ciccone può attendere e provare ad approfittare di un momento difficile del colombiano».
Chi conosce bene l'abruzzese spiega, infatti, che potrebbe essere proprio l'istinto ad ingannarlo. Giulio Ciccone ha sempre ottenuto buoni risultati nelle corse a tappe a cui ha partecipato ed al Giro, dove è già riuscito a vincere due tappe, nel 2019 ha anche conquistato la speciale classifica degli scalatori, senza naufragare nella generale, sedicesimo nell'occasione. Non facile, in quanto per difendere quella maglia servono scatti a ripetizione per far punti in vetta alle salite, rischiando di rimanere a secco di energie. Ciccone, che per Reverberi può centrare il podio, non può correre in quel modo, affidandosi solo alla voglia di fare. Deve programmare.
Sappiamo che studiare la tattica è una delle sue passioni ed è ciò che ha sempre preferito del passaggio al professionismo, perché ogni corsa si attaglia ad una tattica diversa e mettere in campo la tattica giusta è ciò che fa di un corridore un buon corridore. Chi ci ha corso assieme racconta che è minuzioso nell'analisi di ogni dettaglio, anche per quanto riguarda la bicicletta. Lo sanno i suoi primi meccanici. «Capitava di discuterci perché in ogni occasione voleva rivedere tutto. Quando è tutto pronto, è inutile continuare a mettersi in discussione».
Qualche anno fa, diceva che avrebbe voluto assomigliare a Vincenzo Nibali per essere un corridore da corse a tappe. L'anno scorso, dopo la vittoria al Laigueglia e la dedica alla madre, una stagione sfortunata a causa del Covid-19, quest'anno è tornato al Giro ed i più lo davano al servizio di Nibali, mentre ora le cose potrebbero invertirsi. «Non è un male. Anche per questo dico- prosegue Reverberi- che la Trek non deve “fare” la corsa e mettersi in testa a tirare nelle tappe decisive. Se lo fa, induce pressione e di conseguenza lo porta a sbagliare. A Ciccone serve la mente libera».
Ma Ciccone è anche l'uomo dei contrasti. Come uno scalatore puro che sente il fascino delle classiche, la Liegi-Bastogne-Liegi la sua preferita, e si ispira a Purito Rodrìguez per inventiva e voglia di gettarsi all'attacco. Uomo dei contrasti come il suo profilo che emerge dalla foschia, dal freddo e dalla pioggia del Mortirolo in quella tappa del 2019, come un uomo solo al comando verso Sestola ed il gruppo che non lo recupera. Come Giulio Ciccone che domenica sullo sterrato è stato uno dei pochi a reagire all'attacco di Bernal ed è arrivato secondo. Ciccone che, nel primo giorno di riposo, sa che il Giro è appena cominciato.
Foto: Luigi Sestili
Capitani coraggiosi
17 Maggio 2021Giro d'Italia,Peter Sagan,Giro 2021,Giro d'ItaliaBORA-hansgrohe
Se qualcuno pensa davvero che il ciclismo non sia uno sport di squadra, fatto di registi, faticatori, rifinitori e finalizzatori, si riveda il finale di ieri. Moscon che tira e sgranocchia la coda dell'avanguardia è la scena madre. Lo scatto di Bernal è l'atto decisivo per andare a riprendere gli ultimi superstiti della fuga.
Se qualcuno pensa davvero che il ciclismo non sia uno sport di squadra si riveda gli ultimi 40 chilometri di oggi. Salita "normale" nel menù, che può far male, ma solo se piazzata al decimo giorno di un Grande Giro, e solo se davanti una squadra la mette giù dura per favorire un capitano coraggioso, e per sfavorire gli altri.
Oggi i capitani erano i velocisti. Tutti tranne uno, Ewan, che un paio di giorni fa ha deciso di ritirarsi non senza polemiche («mancanza di professionalità» e «poco rispetto verso la corsa» il pensiero dei Merckx, padre e figlio). Oggi la squadra era la BORA, il capitano coraggioso, Sagan.
Se pensate che una squadra unita e compatta non possa influire sul risultato di una corsa in bici, allora meglio che non vi facciate vedere dalle parti di Aleotti. Stavolta è lui al centro della scena madre: un lungo piano sequenza che lo ritrae davanti e il gruppo in fila alla sua ruota sul Valico della Somma. Aleotti quel gruppo lo trascina fino a 5 dall'arrivo mandando all'aria Groenewegen e Merlier, circondati dalla squadra, e poi Nizzolo.
Se pensate che una squadra, o anche solo un compagno, non sia importante, non ditelo a Nizzolo. Primo piano su di lui: si sfila in cima, resta con Campenaerts che lo aiuta tirando a tutta nel falsopiano. Non ce la fa, Nizzolo, e molla, sbuffa, scuote le gambe. Poi ringrazia Campenaerts con un colpetto sul collo e un sorriso amaro in mondovisione.
Se pensate che una squadra non sia importante allora siete fatti di pietra: ricordate Pinot tra le lacrime al Tour? E tutto intorno pioggia e grigio, con i compagni che vanno del suo passo. Lo incitano, lo abbracciano. Lo aiutano finché Pinot ne ha. Un film drammatico quella volta. Elogio del sentimento, come il gusto gelato crema antica.
E poi di nuovo oggi: ancora BORA. Bodnar e Oss in quel serpentone di curve e strada stretta che mettono in fila il gruppo. E le altre squadre che sbagliano scena: Molano che lancia lo sprint, ma invece di Gaviria ha a ruota Sagan; Veermersch e De Bondt che fanno la volata ognuno per conto suo; Consonni che parte a razzo, ma non c'è Viviani a ruota.
E l'atto finale è dove vince uno che si dice sia finito, o quasi, che non abbia poi molte chance ancora, che si deve inventare qualcosa per vincere, e lui qualcosa lo inventa, qualcosa lo fa. Che sembra non si diverta più e invece si diverte e vince. E trascina. Ridà al ciclismo la dimensione di sport di squadra e finalizza. Una grande squadra oggi, e lui un grande cuore. E questo, Sagan, attore protagonista, lo sa meglio di tutti noi.
Foto: Fabio Ferrari/BettiniPhoto
La speranza di Arturo
17 Maggio 2021Giro d'Italia,Giro 2021Giro d'Italia
Sono una manciata le persone appostate nella parte alta del borgo di Villalago per vedere il passaggio del Giro d'Italia. Per arrivare quassù non si contano gli scalini e le pietre dissestate, i balconi con steso qualche panno e le mollette accumulate in sacchetti appesi accanto alle persiane. Ogni insegna da queste parti sa di mani artigiane e di antico. Chi si siede fuori dalle case, arroccate in viottole, spesso senza uscita, lo fa su vecchie sdraio a righe, con una sedia di vimini accanto per poggiare gli attrezzi, per maneggiare il legno o il ferro. Sì, perché qui la gente lavora anche la domenica.
Se ci fosse qui Arturo saprebbe spiegare molto meglio di noi cos'è questo borgo. Così ci dice Maddalena, la nipote di Arturo: «Noi non abitiamo più qui, siamo solo della zona, ma per mio zio non ci sono storie che tengano. La sua città è questa. Vi racconterebbe di certo di quel gradino di pietra che è davanti ad una vecchia casa salendo qui, del fatto che pesi circa cinquecento chili. Poi vi chiederebbe, secondo voi, come hanno fatto a portarlo qui più di cinquecento anni fa. Credo non lo sappia neanche lui ma, sin da quando ero bambina, mi parlava di quel gradino. Come mi raccontava di tutto il pavimento di una casa da queste parti, pietre di venti chili che un signore ha posizionato personalmente perché “sono artigiano e le mani le ho per usarle”.»
Arturo che è cresciuto qui, quando per queste vie c'erano ancora i pollai e qualche gallina libera che arrivava all'uscio di casa, quando qui passavano ancora i muli con il loro carico e giù, accanto alla strada sterrata, si vedevano i pastori d'Abruzzo pascolare le pecore. Arturo che è appassionato di ciclismo e quelle strade le percorreva con Maddalena quando lei era ancora bambina. «Gli altri bambini raccontavano dei loro eroi, io sentivo zio che mentre pedalava per andare in campagna cantava “vai Girardengo, vai grande campione” e immaginavo chi fosse questo Girardengo». E poi tutte le rivalità che Arturo le ha raccontato. «Mio zio non ha un carattere semplice, sa essere freddo, duro, ma raccontare gli piace. Forse, per chi ha fatto la sua vita non può essere altrimenti. L'Abruzzo è una terra stupenda, ma aspra. Gli alberi scompaiono in un attimo e vedi le rocce, le pietre. Qui gli inverni sono lunghi, per quello c'è quella legna ancora accatastata».
Del ciclismo, spiega Maddalena, Arturo rispetta la fatica. «Ora che ha una certa età si commuove quando il gruppo passa e la gente applaude. Dice che fino a quando qualcuno starà ad aspettare una persona in bicicletta che sale da una montagna, sudata e malmessa, anche chi ha la sua età può sperare».
Lui sostiene che fino a ieri non si era mai perso un passaggio del Giro d’Italia nella sua terra. Maddalena dubita ma «lo dice così sicuro che contraddirlo dispiace anche. E poi si arrabbierebbe, se non gli credessi». Ieri non c’era perché un mese fa, cadendo, ha rotto il femore ed il recupero è lungo. Al mattino Maddalena è passata da lui, prima di salire al borgo, ma non gliel’ha detto, temendo di ferirlo. «Mi ha fissato e mi ha rimproverato: “Faccio finta di non sapere dove stai andando. Guarda che al Giro tornerò anche io, cosa credi? Il femore si sistema. Anzi, ti conviene sperare succeda in fretta perchè voglio tornare al borgo e, se non ci riesco con le mie gambe, vi toccherà portarmi in spalla”. Cosa volete farci, quell’uomo è fatto così».
Un libro e tre figure impresse
16 Maggio 2021Giro d'Italia,Bernal,Giro 2021,Giro d'Italia,Ineos,CicconeEvenepoel
Senza timore di smentita la tappa di oggi ha promesso tanto, almeno inizialmente, ma a conti fatti ha dato poco in termini di distacchi in classifica, e si riassume in un libro e tre figure che restano ben impresse.
Il libro è “Il Miracolo di Castel di Sangro”, citazione dovuta visto che si parte dal piccolo paese abruzzese, meno di diecimila anime, e che oramai diversi anni fa visse un indimenticabile sogno chiamato Serie B.
Non c'entrano santi né strane pozioni dietro quel titolo: il libro è la storia raccontata da un saggista e giornalista americano, ormai scomparso, Joe McGinniss, che passò di fianco alla squadra tutta quella stagione, e ne tracciò un'opera ormai introvabile (se non a prezzi assurdi) e fuori catalogo, e che ogni appassionato di sport (e non solo) dovrebbe leggere. Un'opera che costò all'autore persino una condanna per diffamazione.
Dai piedi fatati a quelli sempre in movimento sui pedali, e la prima figura che resta impressa oggi serve per ritornare direttamente al Giro: Mohorič. Mentre scriviamo è cosciente in ospedale, ma vederlo carambolare con la testa sull'asfalto in quella maniera ci ha fatto temere il peggio.
L'incidente è decisivo per gli esiti di una tappa che alla fine si risolve quasi in un nulla di fatto, se non nell'intensa sgasata finale di un Bernal in stato vanderpoeliano sullo sterrato, e che porta a compimento il lavoro fatto da un rigenerato Gianni Moscon, migliore in campo – se vogliamo rubare il gergo al calcio, visto l'incipit - oggi.
Decisiva la caduta, dicevamo, perché la Bahrain si mette in testa, trascinata dagli eventi, di risolvere la giornata proponendo un faccia a faccia d'altri tempi quando all'arrivo mancano ancora tre ore e circa 120 km. Mohorič, Mäder e Caruso (Bahrain), insieme, tra gli altri, a Masnada (Deceuninck) e Martínez (Ineos), stanano il gruppo verso Passo Godi, ma dopo la caduta dello sloveno, la tappa che porta verso Campo Felice assume un'identità decisamente più lineare, con la solita incontrollabile baraonda dei girini per portare fuori la fuga di giornata.
La seconda figura è quella di Geoffrey Bouchard: elogio alla caparbietà per l'ex commesso di Decathlon. Attacca e contrattacca insieme ad altri sedici, fra cui Ulissi, Mollema, Guerreiro, Edet, Fabbro, insomma, un bel gruppetto di qualità; attacca e contrattacca per prendere più punti possibili sui vari Gran Premi delle Montagna, in una giornata dove al grigio sempre più plumbeo del cielo, fa da contraltare il variopinto verde della selva abruzzese. Verrà ripreso soltanto a 400 metri dal traguardo da Bernal che nel frattempo stacca tutti gli altri contendenti alla maglia rosa. La figura di Bouchard al termine della tappa si tingerà d'azzurro.
La terza figura è proprio quella che si ritaglia intorno a Bernal, non poteva essere altrimenti. I suoi mettono a ferro e fuoco un finale meno duro di quello che ci si aspettava, mentre il colombiano con il suo attacco lascia tutti dietro.
Sotto la sua ruota asfalto, sotto quella degli altri un grossolano terriccio che rallenta e provoca spasmi. La figura di Bernal al termine della tappa si tingerà di rosa.
Bene Ciccone, sospinto dal pubblico, sempre più sorprendente a questo Giro e che gli arriva a ridosso lasciandolo andare via solo prima dell'ultima curva verso il traguardo. Con Ciccone arriva Vlasov, silenzioso candidato a un podio finale.
Evenepoel lascia per strada qualcosa, almeno inizialmente, ma sul finale rimonta e chiude insieme a Martin. Cresce Almeida, dopo la giornataccia di Sestola, che arriva a una dozzina di secondi con il resto dei migliori - Formolo, Yates, Carthy, Bardet, Soler, Caruso e Martínez.
La maglia rosa Valter è un po' più indietro, ma quanto basta per diventare ex. Sorprende ancora Bettiol che chiude insieme a Nibali, male, ma ormai non è una novità, Hindley, inspiegabile l'ennesima débâcle di Bilbao che solo poche settimane fa volava al Tour of the Alps candidandosi come uno degli outsider più accreditati a questo Giro.
Domani volata, poi riposo prima della tappa chiave verso Montalcino. Se gli dèi del Giro soffieranno tempesta ci sarà da divertirsi.
Foto: Luigi Sestili
Riuscirci comunque, crederci sempre
16 Maggio 2021Giro d'Italia,Giro,Giro 2021,Giro d'Italia,Taco van der Hoorn,Intermarché,Piva,Minali,Pasqualonvan der Hoorn
Qualche giorno fa, Cyclingtips ha scritto che meno dello 0,02% delle persone che vivono nei Paesi Bassi si chiama Taco: nei Paesi Bassi vivono circa 17,5 milioni di abitanti, il conto è presto fatto: 1300. E si chiama Taco proprio il vincitore della terza tappa del Giro d'Italia. Pensate che questo ragazzo, solo pochi mesi fa, avrebbe voluto smettere di correre in bicicletta. Già, pochi fronzoli per la testa e tanta serietà: serve un lavoro, se non può esserlo il ciclismo, si cercherà altro. Il suo mito è Graeme Obree, uno scozzese che è riuscito a battere il record dell'ora correndo su una bicicletta costruita con vecchie parti di lavatrici. Nulla a che vedere con quella di Taco e con i suoi studi sull'aerodinamica che lo hanno portato a vincere a Canale con soli quattro secondi di vantaggio sul gruppo.
Il motivo per cui siamo partiti da lui è semplice: perché la sua storia ciclistica avrebbe potuto finire ed invece continua che è un piacere. La sua squadra, la Intermarché-Wanty-Gobert Matériaux di storie simili ne conosce tante. Come non parlare di Rein Taaramäe, ad esempio. Lui è nato in Estonia, a Vandra. Oggi, quando si parla di Taaramäe si pensa ad uno scalatore. Peccato che nella sua nazione la cima più alta scalabile sarebbe una passeggiata anche per un velocista. Taaramäe ha fatto come molti suoi compagni tra Estonia, Lettonia e Lituania, si è spostato in Francia ed ha iniziato a correre lì, con le categorie amatoriali, pur di poter diventare un ciclista.
Forse anche la sua storia avrebbe potuto non esserci, ma lui ha creduto al contrario ed è qui, al Giro. Spesso in fuga.
Riccardo Minali, a fine novembre dello scorso anno, era ancora senza squadra e non sapeva spiegarselo. Diceva che, alla fine, è ben strano questo mondo. Magari quando sei in giornata buona non ti vede nessuno ed invece quando ti stacchi e non riesci a muovere i pedali sono tutti a guardarti. Lì si fanno un'idea su di te e poi fargliela cambiare è quasi impossibile. Anche perché cambiare idea costa fatica e l'essere umano è conservatore per indole. Poi la squadra l'ha trovata, in Belgio. Sì, perché anche Minali è in Intermarché.
Vi potremmo parlare di tanti altri, ma vi parliamo di Andrea Pasqualon. Lui che ci ha sempre creduto, più di chiunque altro. Qualche tempo fa diceva: “Se fossi un direttore sportivo scommetterei su di me”. Difficile restare così sicuri quando le cose non vanno. Lui ci è riuscito. Pasqualon lo ha fatto con il ciclismo e quando, nel 2017, è tornato a vincere, dopo due anni di digiuno, piangeva come un bambino. Lì ha capito che fermarsi sarebbe stato un errore.
E via, avanti così perché qui le storie si somigliano tutte e hanno a che vedere con la fame, la voglia di riscatto. Hanno a che vedere con ciò che provi quando rischiano di strapparti via ciò in cui credevi mentre stavi crescendo.
Valerio Piva, direttore sportivo della squadra, spiega che in Wanty si fa così perché non c'è altra possibilità, perché non c'è un uomo di classifica. Noi vorremmo dire che il mondo non si divide fra chi può far classifica e chi no. Il mondo, forse, si divide tra chi ha già lasciato perdere e chi non smette di provarci. Loro non hanno smesso ed alla fine ci sono riusciti.
Foto: Luigi Sestili