Trek Bicycles, Firenze
31 Agosto 2023Newsletteralvento points
«Quando si tratta di biciclette è diverso. Chi ti consegna una bicicletta da riparare oppure osserva una bicicletta che vorrà acquistare, direttamente o indirettamente, ti racconta una parte della propria vita. Vieni a sapere dove vive, cosa fa di lavoro, dove va di solito ad allenarsi, la strada sterrata che lo gasa, la discesa su cui fa velocità, con chi fa la gara al cartello, il luogo del lungo di domenica e molto altro. E, mentre conosci tutte queste cose, piano piano ti accorgi che quella persona che, appena è entrata dalla porta ti ha fatto un cenno per chiederti qualcosa, non ti è più estranea. Si tratta di un inizio di rapporto, di un principio di conoscenza: puoi aggiustare molte altre cose, puoi vendere tante altre cose, ma difficilmente vivrai questa sensazione. Personalmente vengo dal ramo dell’abbigliamento e so che è differente».
Sono le prime cose che ci dice Marco Della Maggiora, store manager del Trek Bicycle di Firenze, in via delle Cascine 35: ci troviamo nell’ex Manifattura Tabacchi, un tempo luogo di sigarette e sigari, riqualificata, negli ultimi cinque o sei anni, e rivista in chiave moderna. Restano i mattoncini rossi, le porte ampie in legno e le vetrate, sopra, su alcuni soffitti, anche i tubi che scorrono; fuori da qui, il Parco delle Cascine, da un lato, e i Lungarni che portano al centro, dall’altro, l’aeroporto dista dieci minuti o poco più. Si racconta che presto, in questa zona, sorgerà un albergo e le vie nei dintorni diverranno un nuovo polo attrattivo della città di Firenze, simile a Citylife a Milano, per rendere l’idea. Il futuro che si avvicina e cambia le cose, spesso le migliora, eppure
Della Maggiora tiene un angolo per la malinconia, per i ricordi, e, mentre chiacchieriamo e fuori infuria il temporale, torna con la mente alle vecchie botteghe dove si riparavano le biciclette: «C’erano il signor Mario o il signor Gianni, con la voce forte e le mani che avevano appena rivoltato la catena, il grembiule sporco di unto, sulla soglia di una botteghina. Mario e Gianni conoscevano tutti e tutti li riconoscevano, poi, sai come sono fatti i fiorentini: quando ti intravedono, iniziano a gridare metri e metri prima per salutarti con la loro cadenza ed il loro: “Ciao bimbo”. Sì, ora il mercato della bicicletta è andato da un’altra parte e Mario e Gianni non ci sono più, però sono un romantico della bicicletta e, anche se qui è tutto nuovo, io a quelle botteghine penso spesso».
Del resto, i fiorentini, Della Maggiora lo spiega bene, sono sempre gli stessi: scrutano il colore viola in ogni dettaglio della città, lo inseguono quasi, anche nelle cartelle dei bambini che vanno a scuola la mattina, e si fermano ad ammirare il Giglio, il simbolo di Firenze, ogniqualvolta lo vedono. In negozio ce n’è uno, illuminato al neon, grande come tutta la parete, mentre uno più piccolo è stampato sulla maglietta con il marchio Trek che Marco ha addosso: «Ho in mente una maglietta così, ma viola, non nera: vedrai, maglietta viola e giglio. Non resisterà nessuno, li conosco ormai, nonostante io sia di Massa Carrara». Per esempio, Marco Della Maggiora conosce la loro maniera goliardica di dir le cose, dei toscani e dei fiorentini in particolare: «Sono amiconi, ma solo se scelgono di fidarsi: in quel caso, pacche sulle spalle, abbracci, prese in giro sono all’ordine del giorno e vengono a trovarti in negozio anche se non hanno nulla da comprare o da sistemare. Però, attenzione, perché se non gli si va a genio, a Firenze hanno la memoria lunga e non c’è verso di fargli cambiare idea».
Anche quel professore dell’Università di Londra, nativo di Firenze, che qualche settimana fa è passato dal negozio e ha scritto una bellissima recensione, sull’aria europea che ha trovato in via delle Cascine, era così. Ma qui arrivano anche americani in viaggio, olandesi che visitano il Chianti, spagnoli e quasi sempre si fanno precedere da una telefonata e quel nome già conosciuto, Trek, per l’appunto, serve da rassicurazione, quasi fosse un conforto, un sentirsi a casa, pur se lontani. Poi entrano in negozio, sentono l’odore di copertoni e di uno spray lubrificante alla ciliegia, che ultimamente si usa spesso e impregna l’aria, sono socievoli, desiderano conoscere, spesso imparare, farsi consigliare, in poche parole, hanno voglia di fidarsi. «In Italia siamo diversi. Tempo fa abbiamo distribuito dei volantini per il lavaggio gratuito della bicicletta: si tratta di smontarla, lavarla, ingrassarla, comunque di metterci le mani. Voglio dire che fidarsi può non essere così istantaneo, però, anche per questo si può fare qualcosa. Venendo in negozio, capirai».
Il negozio ha due ingressi, uno sul lato del parco, l’altro interno. Tutto è situato su un solo piano, da una parte si trovano le biciclette destinate alla vendita, da corsa, elettriche, da bambino, da passeggio, mountain bike, e dall’altro quelle destinate al noleggio, tra cui un posto di rilievo è occupato dalle gravel. All’interno della manifattura tabacchi, è invece posta l’accettazione: Leonardo, il Service Leader, effettua la prima ispezione della bicicletta, proprio assieme al cliente, per vedere ogni dettaglio: il tutto viene registrato dal PC e da quel momento scattano le ventiquattro ore entro le quali la bicicletta, a meno di ricambio di pezzi non presenti in officina e quindi da ordinare, deve essere riparata e riconsegnata al cliente. Daniele, il meccanico, è in officina: richiama con una “pistola” lo scontrino e vede tutti i lavori che ci sono da fare, li esegue, poi custodisce i pezzi sostituiti che verranno riconsegnati insieme alla bicicletta, in modo da raccontare ciò che è stato fatto. L’officina è chiusa, ma non del tutto e Daniele, spesso, incontra il cliente quando viene a ritirare la bicicletta.
«Inutile nasconderselo, non è bello sapere che qualcuno ha messo le mani sulle nostre bici e non sapere chi. Siamo sempre curiosi di vedere ciò che viene fatto, o, almeno, di conoscere chi lo ha fatto. Nelle botteghine succedeva ed il meccanico era un confidente come il barbiere del centro. Un pezzetto di quel mondo, noi lo riportiamo qui, anche oggi che non basta più un martello per sistemare una bici, ma serve anche la tecnologia. Il contatto fa in modo che il meccanico diventi il tuo meccanico, un senso di appartenenza reciproco; si ha piacere di vedere il cliente che torna perché sai che il tuo lavoro è stato riconosciuto, che questa volta lascerà ancor più volentieri la bicicletta nelle tue mani». C’è il gergo fiorentino, una sorta di vocabolario della bicicletta: i copertoni sono i fascioni ed il leva copertoni è il leva fascioni, mentre il mastice è il masticione. In un’altra stanza si nota subito un vascone per lavare le biciclette e una vaschetta, più piccola, in cui lavare il pacco pignoni, la pedivella e la catena. La prima frase è sempre: «Come posso aiutarla?». Poi il lei diventa tu, fino ad arrivare al nome. Soprattutto non deve mai passare troppo tempo tra l’ingresso in negozio e le prime parole: «Si tratta di cura, di attenzione per qualcuno che ha bisogno di supporto e ti sta cercando. Puoi avere altre mille cose da fare, ma appena entra è doveroso che tu lo faccia sentire accolto. Con gli ospiti si fa così».
Ad un certo punto, tra ingranaggi di biciclette e racconti buffi, ecco la doccia e la cucina: sì, avete capito bene, entrambe presenti in negozio. Della Maggiora precisa che sono due elementi a cui Trek tiene molto, perché accrescono l’aria di casa e perché aumentano anche la voglia di andare a pedalare: lui stesso, spesso, esce al mattino alle sette, sgambata, due o tre ore di pedalata e via in negozio.
«A Firenze si fa dislivello come niente. L’altro giorno ho fatto quaranta chilometri e ben mille metri di dislivello, la doccia in negozio però mi salva. Una sciacquata, ci si cambia e si è pronti per iniziare la giornata, come si fa a casa. Anche la cucina fa famiglia: in certi giorni passiamo lì la pausa pranzo, altre volte facciamo il punto della situazione, la riunione di quindici minuti prima dell’apertura. Siamo in quattro, forse non servirebbe, ma vogliamo farla lo stesso: un domani, quando sarà necessaria, avremo presente meglio il significato del ritrovarsi a parlare, non solo per sbrigare faccende, ma per la condivisione. Io ho quarantacinque anni, i miei collaboratori fra i ventiquattro ed i ventinove, potrei essere un babbo per loro, e per molti aspetti mi sento di esserlo, per le ore che scegliamo di passare assieme, pur non essendo obbligati a farlo, ad esempio. Forse, anche per questo fermarsi più ore in negozio pare semplice».
Sì, perché è capitato e capita spesso che quando fuori si fa buio e sui Lungarni cala il silenzio, intorno all’una di notte, sbirciando dagli ingressi dello store si intraveda ancora qualcuno, si sentano le voci, le risate, aria di festa, e, guardando meglio, si veda che nel locale ci siano tante persone, in tenuta da ciclista. C’è appena stata la ride notturna del mercoledì, talvolta nelle zone di Impruneta, altre verso San Casciano, organizzata da Trek Bicycle, e, tra una birra ed una coca cola, si continua a divertirsi.
«La bicicletta è uno strumento conoscitivo pazzesco. Quando si pedala, si inizia a parlare della salita o del tragitto, poi, però si finisce per affrontare discorsi che nemmeno ci si sarebbe sognati. Così si parla del figlio e di che scuola fa, dei genitori, di quello che è accaduto sul lavoro. In una parola, si fa comunità». Il luogo per eccellenza dell’incontro è un bancone, con quattro sgabelli, davanti ad un televisore attaccato alla parete, con una bici d’epoca vicina alla macchinetta del caffè e al frigorifero: lì in autunno ci sono i cioccolatini, con la forma di una maglia da ciclista, anche iridata, per le occasioni più importanti, prodotti dallo zio di Jasper Stuyven, cioccolatiere belga, ed in estate bevande ghiacciate, popcorn e patatine.
Qualcuno porta il proprio computer e, mentre aspetta che la bicicletta venga riparata, si mette a lavorare. Non ci si incontra solo per eventi legati alle biciclette, qui si possono organizzare corsi di yoga, presentazioni e qualsiasi altro evento che abbia alla radice l’idea dello stare insieme. In estate, sovente, a quel bancone, ci si mette a guardare il Giro d’Italia e il Tour de France: «Niente scherzi, eh. L’ho già detto a tutti: l’anno prossimo, quando parte il Tour de France da Firenze, il negozio resta chiuso e si va a vedere la corsa. Quel giorno, vedrai che anche i fiorentini al viola vorranno affiancare il giallo, un colore che riempirà le vie. Quel giorno saremo la casa della corsa più importante al mondo ed in città se ne parla già adesso». Se ci si guarda attorno, a dire il vero, si nota ben presto quante biciclette ci siano a Firenze e quanti pedalatori: si fa enduro sopra la città e si arriva qui dalla Versilia, mettendo chilometri nelle gambe, certe volte su percorsi da vera e propria classica. Certo, le biciclette girano, vanno, scoprono, si lasciano scoprire attraverso chi le guida, talvolta attraverso gli ambassador, e poi tornano, si fermano, aspettano di ripartire, che qualcuno le controlli o le sistemi. Magari le scopra. Che qualcuno ne abbia cura. Da queste parti, tra il Parco delle Cascine ed i Lungarni, Trek Bicycle, all’ex manifattura tabacchi, è la casa da cui partire ed in cui fare ritorno. Il temporale si è quietato, un giro, adesso, ci sta proprio bene.
Una bicicletta e le montagne come punti cardinali: la storia di Valeria Curnis
Valeria Curnis fa partire un vocale, sono minuti e minuti, a parlare è Giovanni Fidanza, suo direttore sportivo alla Isolmant-Premac-Vittoria, appoggia il telefono sul tavolo, prende un foglio, una penna e si appunta i dettagli salienti. Poco prima, il suo messaggio a Fidanza, alla vigilia di una cronoscalata: «Come mi regolo con l'alimentazione?». Fidanza parla, Curnis scrive. Altre volte, in allenamento, Giovanni Fidanza, in bicicletta, le dice: «Devi fare così in gara, cattiva ti vogliamo». Lei ascolta, lui le «entra sulla ruota e sgomita», poi, mentre Curnis perde l'equilibrio, lui la riprende per il taschino e ripete: «Proprio così». Accade quando si cambia rotta e si riparte.
Valeria Curnis, fino a qualche anno fa, sciava, cercava le montagne e la neve: «Non riuscirei a vivere in un posto in cui non si vedano i monti, è questo il punto. In un modo o nell'altro, ho bisogno di vederli e di andarci. Di scivolare sulla neve, in discesa, di alzarmi sui pedali di una bicicletta, in salita. Ma le montagne sono un punto fermo, qualcosa che, nella mia vita, orienta anche tutto il resto». Già, la bicicletta, che oggi è al centro, ma solo fino a qualche anno fa era una parte del tutto. Un mezzo che non conosceva, che utilizzava affidandosi all'istinto, al desiderio di un momento, talvolta ad uno sfogo. Poteva essere una vecchia Graziella oppure la Fisher con cui, da casa dei nonni, andava a scalare il Selvino, a freddo, senza alcuna preparazione. Un casco giallo, una vecchia maglia gialla, troppo grande per lei, del Tour de France e via che si va. «Credo fossi la ciclista più imbarazzante di tutta la Lombardia. Anzi, ne sono certa». Valeria Curnis ride a più non posso, si prende in giro, prende fiato e, ridendo, racconta: «Anche oggi, che corro in bicicletta, faccio cose strane per una ciclista. Sono in divisa ore prima della partenza, talvolta anche con i guantini, ma quelli si tolgono in fretta, per fortuna. Mi lego i capelli, mentre tutte le cicliste usano una fascetta. Forse dovrei acquistarla pure io, eppure, non so perché, ma ho la sensazione che non lo farò».
Quando le chiediamo se questo essere "nuova" non le abbia mai creato difficoltà, Valeria Curnis risponde certa di no, poi aggiunge: «Non mi manca la fiducia nei miei mezzi, quando ho fatto questa scelta, quella di diventare ciclista, credevo che potesse derivarne qualcosa di buono e lo penso sempre più, ma, nei primi tempi, temevo di sbagliare. O meglio, sapevo di poter sbagliare però mi sembrava che un mio errore, proprio perché "nuova", sarebbe pesato di più sulla bilancia. Adesso rido delle piccole stranezze che ho descritto e, poi, fanno sorridere anche la squadra, non sono inutili». Torna seria ed è seria in quest'ultima considerazione che la porta dritta a quando ha lasciato lo sci, per un insieme di cose, soprattutto per la mancanza di soddisfazione che ormai si era impossessata di quel tempo sulla neve.
In quei giorni, suo padre, appassionato da sempre di ciclismo, autore di una tesi sul telaio, le regala una Pinarello in carbonio, bella, sicuramente più adatta per le sue sgambate. Racconta Curnis che suo padre aveva capito bene che il suo mondo avrebbe perso l'equilibrio senza uno sport da praticare, così è arrivata quella bicicletta e sono iniziate le prime Gran Fondo, in cui la fatica la fa da padrona, ma la sensazione è la stessa di quando andava via in bicicletta dopo una giornata storta a scuola, cercando una soluzione. «Allo sci sono tornata tempo dopo e ho avuto il timore di essermi dimenticata come si facesse, invece una volta sulla neve sono scivolata sugli sci come sempre. Ho voluto diventare maestra di sci e, sostenendo i test, temevo di non riuscire a fare i tempi giusti. No, era rimasto tutto come prima, meglio di prima, forse. Ora il ciclismo mi prende le giornate e non posso praticare, ma sono maestra di sci, lo sono diventata, e questo non me lo porta via nessuno».
In sella porta la genuinità delle novità, la capacità di vedere i dettagli, tutte le cose che per le altre atlete sono ovvie e per lei sono speciali. Prendete quel giorno a Romanengo, dopo la cronometro in cui arrivò settima, «i tempi delle prime due erano imbattibili, con le altre, tuttavia, me la sono giocata": Valeria Curnis era già contenta. Una sua collega le si è avvicinata: "Sei andata a ritirare il premio? Guarda che devi andarci tu". Non se lo aspettava, non ci pensava nemmeno: "Quella busta l'ho ancora intatta a casa e resterà così. Uno dei giorni in cui mi sono sentita più fiera di me». Sì, perché dall'essere contenta, al ritorno, dopo la cronometro, Valeria Curnis era proprio felice.
Felice era anche a Roma, il 25 aprile, al Gp Liberazione, dopo il Covid, dopo un periodo difficile, pur in una gara non adatta alle sue caratteristiche, con continui rilanci e cambi di velocità, mentre suo padre alla partenza le diceva: «Mi sembri un gladiatore». Anche quando si è ritirata, era felice perché sapeva che, accanto al Colosseo, era tornata. Pure a Siena, nel giorno della Strade Bianche, Valeria ha provato qualcosa di unico: «Lo giuro, mi sentivo morire. Da quando ho iniziato a correre in bicicletta ho sentito spesso come se morissi, per la fatica che attanaglia. Eppure proseguivo, continuavo a pedalare. Non voglio farmi fermare da nessuno, lo dico e lo ripeto». Emotiva, ma capace di contenere quella emotività, «come dice Fidanza, serve un interruttore mentale: tranquilli prima della gara, perché tutta l'energia va scaricata in corsa con uno sforzo così lungo». Alle prime gare le capitava di avere 160 battiti al minuto prima della partenza; «fortuna che si partiva in leggera discesa, sennò chissà il fuori soglia». Incredula di fronte alle grandi campionesse delle due ruote, però capace di farsi rispettare, di non mollare la ruota su cui è: «Il rispetto è un conto, ma se ti fai intimidire è finita, devi fare quel che sei capace di fare, quel che fanno tutte in gruppo. Bisogna essere toste». Molti desideri nella sua testa, uno in particolare: «Servirebbero più gare internazionali per le donne, la crescita passa anche da lì. Vorrei se ne parlasse di più».
Si è abituata ai sacrifici del ciclismo, che sono più grandi che nello sci. Nel ciclismo, spiega Curnis, conta davvero tutto: un'ora di sonno in più o in meno, un pasto, una bevanda, un'uscita, l'atleta è anche l'insieme di tutte queste cose, di quelle che fa e di quelle a cui è capace di rinunciare. «Credo non mi abituerò mai completamente al riso e al pollo a pasto, ma sono sicura che continuerò a mangiarlo e, giorno dopo giorno, mi diventerà sempre più familiare. Sai perché? In parte per la ripetizione del gesto, in parte perché anche il riso ed il pollo mi permettono di essere una ciclista».
Essere una ciclista ovvero stare in gruppo, fare fatica, magari per la squadra, perché fatta per altri ha un valore maggiore, un significato in più, come osserva, soprattutto stare in gruppo e tenere le posizioni, capire come si muove il gruppo. Giovanni Fidanza glielo ha spiegato così, un giorno in cui Curnis voleva saperne di più: «Immaginalo come il mare con le onde. Non devi guardare solo la ruota davanti a te, piuttosto è opportuno capire i moti generali del mare, le sue onde. Per questo bisogna vedere molto avanti, poi, puoi decidere anche i tuoi movimenti». Valeria Curnis ci ha pensato e le è sembrata una definizione azzeccatissima. Valeria Curnis lo ha fatto e quelle onde sono diventate un'abitudine. Una gran bella abitudine.
Foto: per gentile concessione di Valeria Curnis
Il Monumentale della Vuelta 2023
L’ultima grande corsa a tappe dell’anno, l'ultimo viaggio lungo tre settimane. L’ultimo monumentale di alvento di questa stagione: il 2023 ciclistico - almeno quello su strada - si sta avviando, pedalata dopo pedalata, verso la sua conclusione e lo farà con quello che potremmo definire il proverbiale botto. Una sfida, sulle strade spagnole della 78ª Vuelta, da Barcelona a Madrid, dal 26 agosto al 17 settembre, che promette di accendersi da subito, dal primo giorno, con la cronosquadre pronta a mettere da subito primi distacchi tra gli uomini di classifica. Contendenti, tanti, ma qualcuno più contendente dell'altro. Scopriamoli, qui di seguito, nella nostra consueta guida alla corsa.
L’ANALISI DEI PARTECIPANTI
VINGEGAARD ALL’APPUNTAMENTO CON LA STORIA
Partiamo dalla coppia del Team Jumbo Visma, Jonas Vingegaard e Primož Roglič in quest’ordine. Uno vincitore del Tour e l’altro del Giro. Roglič che alla Vuelta a Burgos (ventesima vittoria in una classifica di una corsa a tappe in carriera) ha mostrato una condizione invidiabile, Vingegaard che dopo il Tour ha staccato - non c’è da stupirsi - così come non ci stupiremmo se dovesse fare l’accoppiata Tour-Vuelta riuscita soltanto a tre corridori nella storia: Hinault, Anquetil, Froome. Il quesito da porsi è: come gestiranno la convivenza tra i due? E poi ancora: quali sono le gerarchie in partenza? Partiranno davvero alla pari come qualcuno dice? Molte tappe sorridono più allo sloveno, arrivi secchi, da volatina di un gruppo con pochi superstiti, il piatto preferito dal goloso sloveno, ma Vingegaard ha un paio di tappe in cui poter far saltare in aria la classifica. Vediamo come risponderà dal punto di vista fisico dopo aver corso un Tour concedendo poco ai rivali, annichilendo anche un fuoriclasse come Pogačar.
Su una cosa siamo certi, una squadra come la Jumbo Visma a questa Vuelta non si vede spesso: oltre ai due, c’è Sepp Kuss, al terzo grande Giro in stagione, per vincerne un altro da gregario, uno che potrebbe tranquillamente chiudere nei 10 (e al Tour senza questa caduta sarebbe andata così), Attila Valter e Wilco Kelderman altrove farebbero i capitani per l'alta classifica, Jan Tratnik è un corridore completo che in pochi hanno, discorso simile per Dylan van Baarle. Chiude la spedizione Robert Gesink incaricato di dare il primo abbrivio sulle salite. Una squadra che potrà fare quello che vuole nelle tappe di montagna, negli arrivi mono salita, un po' ovunque. Possono isolare gli avversari più pericolosi e magari averne ancora due se non tre davanti, in un gruppo massimo di sei sette corridori.
REMCO EVENEPOEL PER UN DIFFICILE BIS
Divisivo come pochi nel ciclismo di questi anni, amato e odiato per via di un carattere che non ammette compromessi, così come non scende a patti con nessuno una volta che messo in posizione parte e se ne va. Ha una crono non troppo lunga dove poter guadagnare per il resto il Remco Evenepoel che conosciamo potrà giocarsi i finali in salita tirati, ma meno selettivi, quelli dove non si farà troppa differenza e potrà giocarsela negli sprint ristretti, ma dovrà soprattutto difendersi con i denti dai possibili-probabili attacchi dello squadrone olandese. Attaccare come piace a lui potrebbe essere un'arma a doppio taglio, perché potrebbe significare spendere energie inutili soprattutto considerando in quanto della Jumbo Visma potranno inseguirli. Insomma non di facile lettura la sua corsa da un punto di vista tattico. E a proposito di squadra: pur circondato da ottimi elementi lo squilibrio è evidente rispetto ai calabroni. Mattia Cattaneo, James Knox, Jan Hirt e Louis Vervaeke saranno i suoi scudieri, ma niente a che vedere con i gialloneri. Andrea Bagioli proverà anche a vincere una tappa prima di lasciare la squadra di Lefevere per altri Lidl, Casper Pedersen avrà il difficile compito di gettarsi in volata, Pieter Serry sarà l’uomo ovunque.
AYUSO: PIU DI UN ALTERNATIVA
Tra alti e bassi, qualche problema fisico che lo ha tenuto fuori nella prima parte di stagione e alcune cadute, Juan Ayuso arriva alla Vuelta con il ruolo di outsider per il podio, ma nel suo storico c’è un terzo posto dell’anno scorso che l’ambizioso classe 2002 vuole migliorare. Non si pongono limiti a un corridore brillante su ogni terreno, che non ha paura di attaccare e che ha già dimostrato di fare sul serio nei grandi Giri, nonostante la tenera età. Supportato da una squadra già rodata, di fianco a lui Joao Almeida, qualcosa di più di una semplice seconda punta e che mira a un altro risultato di alta classifica (in carriera, su 5 grandi Giri disputati, a parte un ritiro per Covid al Giro 2022 quando era in lotta per il podio, ha un 3°, un 4°, un 5° e un 6° posto), e che potrebbe anche giocare un ruolo importante dal punto di vista tattico. Con Jay Vine e Marc Soler a volte inaffidabili per vari motivi (le cadute di uno, gli alti e bassi dell’altro), fa il suo esordio in una corsa a tappe di tre settimane il giovane neozelandese Finn Fisher-Black, corridore che tornerà utile alla causa, anche nella cronosquadre di apertura. Così come utile in quel giorno sarà Oliveira (Rui), gregario a 360 gradi come proverà a essere importante per questa squadra anche Damen Novak, dal suo arrivo dopo l’ottima stagione in maglia Bahrain, si è visto pochino. Per le volate ci sarà Juan Sebastian Molano che sin qui sta vivendo una delle miglior stagioni in carriera e che alla Vuelta ha già timbrato lo scorso anno in quella che resta la sua vittoria più importante.
INEOS: A COSA POTRANNO AMBIRE I DUE CAPITANI?
Geraint Thomas oppure Thymen Arensman a comandare una Ineos di qualità, ma con capitani un gradino sotto ai favoritissimi? Difficile che non lascino il segno, ma da capire dove si potranno inserire in classifica. Oltre ai due uomini designati per la generale pesa la presenza di Filippo Ganna, la stella del nostro ciclismo che proverà a riprendersi la rivincita su Evenepoel nella crono di Valladolid, non prima però di aver dato importante contributo a Barcelona in quella a squadre. Dopo il Tour presente anche Egan Bernal, tutto quello che verrà sarà ben accetto, ma al momento il vincitore di Giro (2021) e Tour (2019) è un lontanissimo parente del corridore pre infortunio. Laurens De Plus in salita è uno dei corridori più solidi in assoluto, difficile scrivere qualcosa di diverso a proposito di Jonathan Castroviejo, ma servirà avere grandi gregari se poi i capitani non saranno all’altezza di salire sul podio? Chiudono la selezione Kim Heiduk, velocista anche se non di prima fascia e Omar Fraile, noto per la sua incostanza, ma che può tranquillamente puntare a qualche tappa.
MAS, IL RISCATTO
Il Tour di Enric Mas è durato così poco che per un po' abbiamo dimenticato della sua esistenza, le cicatrici che porta addosso servono a ricordarglielo e lui, che alla Vuelta trova sempre terreno adatto alla sua costanza, punta forte a un piazzamento tra i primi cinque. Squadra ancora una volta costruita attorno a Mas con Jorge Arcas, Imanol Erviti e Neilson Oliveira gente affidabilissima a cui la Movistar lascerebbe pure le chiavi del pullman nel caso non lo avesse già fatto, Ruben Guerreiro e Einer Rubio sono un piano B che prevede l’attacco ai successi parziali, soprattutto in salita, così come Ivan Garcia Cortina è l'uomo da sprint ristretto - se ce ne saranno - e Oier Lazkano, campione di Spagna, esploso in questo 2023, è libero di dare sfogo alle sue scorribande.
VLASOV, KAMNA, UIJTDEBROEKS, HIGUITA… QUANTE PUNTE LA BORA
Alexandre Vlasov, Lennard Kamna e Cian Uijtdebroeks hanno il potenziale - i primi due già espresso anche per vie dell’esperienza maturata in grandi corse a tappe, il terzo da dimostrare - per entrare nei primi dieci della classifica generale. In fin dei conti solo Jumbo Visma può contare su una squadra con un roster così profondo in salita. Sergio Higuita, invece, di potenziale ne ha per gli arrivi in salita, soprattutto quelli secchi, non particolarmente lunghi, ma è come se spesso se ne dimenticasse. Se trova la giornata giusta, però, è uno dei corridori più esplosivi in gruppo. Completano una squadra davvero forte in salita, Emanuel Buchmann, che ha un 4° posto in carriera al Tour, prima di riciclarsi gregario di lusso, Ben Zwiehoff, altro corridore che si esalta quando la strada sale, Jonas Koch utile in pianura e Nico Denz, quest’ultimo, dopo i due successi di tappa al Giro, vuole ripetersi anche in Spagna.
DSM: NON SOLO BARDET
Come da titolo, la squadra olandese non si affida al solo Romain Bardet che qui vinse un paio di stagioni fa e punta deciso a una top ten: l’ormai veterano francese non sta vivendo una stagione delle migliori, ma senza contrattempi lungo la strada, può tranquillamente puntare a un buon risultato e perché no, pure a un successo di tappa. C’è curiosità per la presenza di due giovanissimi britannici: Max Poole (2003) e Oscar Onley (2002): in questa Vuelta iniziamo a misurare le loro ambizioni nei grandi Giri, per capire se prima o poi potranno diventare un fattore nella lotta per la generale nelle corse a tappe di tre settimane. In quelle brevi, entrambi hanno già dimostrato di valere un gradino appena sotto i migliori del gruppo. Alberto Dainese è il velocista, stavolta speriamo non lo condannino a tirare le volate per altri: al passo d’addio dalla squadra che lo ha fatto diventare uno dei velocisti più forti del gruppo, l’ex campione europeo tra gli Under 23 non avrà tantissime chance per vincere, e nemmeno una grossa squadra a supporto dei suoi sprint, ma ha già dimostrato di sapersela cavare egregiamente anche da solo. Un altro italiano al via da seguire: fari accesi sul neo campione mondiale a cronometro tra gli Under 23 Lorenzo Milesi. Quali ambizioni? Sicuramente sarà un supporto per i compagni di squadra su ogni terreno, ci piacerebbe vederlo competitivo nella crono individuale e perchè no, trovasse la condizione giusta giorno dopo giorno, anche provare a vincere una tappa.
BAHRAIN: COMPATTEZZA IN MONTAGNA, MA…
Squadra forte, davvero, la Bahrain a questa Vuelta, alla quale forse manca quel corridore capace di lottare per i vertici della classifica generale, sempre che Mikel Landa, dopo aver firmato per la Quick Step, non si risvegli dal torpore in cui è sprofondato al Tour, un Landa irriconoscibile anche per i più fedeli e ortodossi landisti. Allora proviamo a suggerire noi un obiettivo a chi guida Damiano Caruso, che tuttavia arriva pur sempre da un confortante 4° posto all'ultimo Giro, Santiago Buitrago e Wout Poels, vincitori quest'anno di tappa uno al Giro e l'altro al Tour, ovvero lasciare perdere ambizioni di bassa top ten per provare a vincere qualche bell'arrivo in salita. Discorso a parte invece merita Antonio Tiberi, dopo essere approdato a stagione in corso nella squadra bahreinita, su di lui è chiaro il progetto di farne un corridore da grandi Giri. In questa Vuelta vedremo fino a dove potrà arrivare. Lo scorso anno con la Trek le cose non andarono molto bene - mai in classifica - quest’anno tutti si aspettano un deciso passo in avanti. Al via anche una giovane ruota veloce, Matevz Govekar, sloveno, che proverà a infilarsi in qualche fuga oppure a entrare nelle top ten di tappa gettandosi negli sprint.
LENNY E ROMAIN: IL FUTURO È GIÀ QUÌ
Giovani ovunque, in particolare in maglia Groupama FDJ: su 8 corridori al via 6 arrivano dal team sviluppo, quattro di questi sono neo professionisti. Ma poca esperienza non si sposa con poca qualità, perché Romain Grégoire è uno dei corridori più attesi e punta a vincere qualche tappa, magari da subito, al secondo giorno, mentre Lenny Martinez mira all’alta classifica - ma noi pensiamo che in questo momento possa chiudere in una posizione intorno alla 15esima e farsi vedere in salita, magari vincendo una tappa. Lorenzo Germani, italiano formatosi nelle ultime stagioni proprio in Francia, avrà il compito di guardare le spalle ai due, mentre Samuel Watson è l’uomo veloce di riferimento. Lewis Askey vuole dare un po’ di concretezza alla sua fantasia, ma non sappiamo quanto il terreno che troverà nelle tre settimane sia adatto, più probabile vederlo in appoggio ai compagni di squadra, così come Clement Davy. I corridori più esperti della squadra francese sono due che alla Vuelta hanno trovato le migliori giornate della propria carriera: Rudy Molard ha vestito la maglia di leader in passato (nel 2018), chiudendo al 14° posto (suo migliore risultato in carriera in un grande Giro) la classifica finale, sarà una chioccia di grande qualità per i giovani rampolli in squadra, Michael Storer ha vinto due tappe in salita e la maglia dei GPM nel 2021 e di recente ha ricominciato ad andare forte. E di montagna in questa Vuelta ce ne sarà tantissima (pure troppa).
AFFIATAMENTO CERCASI E ITALIANI IN PALLA, OVVERO JAYCO ALULA
Eddie Dunbar guiderà la spedizione Jayco AlUla. Come ha raccontato Marco Pinotti tempo fa, parlando del Giro, in una tappa in cui Zana era in fuga, forse proprio quella vinta a Val di Zoldo: «La sera, dopo la tappa, Dunbar si è lamentato perché non aveva più nessun uomo assieme a lui, questo probabilmente è una reminiscenza del modo di correre che avevano in Ineos, però Dunbar si deve rendere conto che se in gruppo ne restano 20, non sempre c’è bisogno di avere un compagno di squadra con lui». Cosa succederà alla Vuelta? Certamente l’irlandese, forte anche del piazzamento finale al Giro - 7° al suo esordio in una corsa a tappe di tre settimane, mica male, nonostante un crollo verticale nelle ultime giornate - sarà il pupillo del team australiano per ottenere il 3° piazzamento in un GT nei 10 dopo appunto quello dell’irlandese al Giro e quello di Simon Yates al Tour. Risultati di un certo prestigio per una squadra che non dispone di un budget all'altezza degli squadroni, ma che sa difendersi bene su ogni terreno. E lo farà allora, oltre che con Dunbar, anche con i nostri Filippo Zana e Matteo Sobrero, tra le maggiori speranze di provare a vincere una tappa a questa Vuelta, sempre che a Dunbar stia bene come cosa, s'intende. Ma la Jayco vista quest’anno ci pare adatta anche alle scorribande da lontano. In salita, poi, presente il giovane etiope classe 2001 Welay Hagos Berhe, dopo un’ottima annata con gli Under 23, quest’anno al suo primo anno da professionista sta facendo vedere alcune cose molto interessanti in salita. Se Michael Hepburn e Jan Maas saranno i portaborracce, i guardaspalle, gli uomini votati esclusivamente agli altri, cronosquadre inclusa, Callum Scotson vuole riprendere il discorso interrotto bruscamente al Giro, quando stava benissimo ma si ritirò per un malanno. Infine occhio a Felix Engelhardt, dalle caratteristiche particolari, corridore resistente anche su salite medio lunghe e dotato di spunto veloce. Interessante vedere dove potrà arrivare correndo per la prima volta un grande Giro e con la possibilità di lasciare il segno in fuga.
ASTANA, AMBIZIONI IN FUGA
Dovrà per forza provare una corsa all'attacco la squadra di Alexandre Vinokourov: non c’è un uomo di classifica affidabile, sempre che David de la Cruz non torni quello di qualche stagione fa, o che Vadim Pronskiy salga nettamente di livello, né un velocista. E allora oltre ai due citati spazio a Joe Dombrowski nelle tappe di montagne, e come lui Andrei Zeits, uno dei corridori più esperti al via. E a proposito di meno giovani, Luis Leon Sanchez a quasi 40 anni compiuti correrà per la prima volta in carriera tre GT nello stesso anno, Fabio Felline invece disputerà per l’ultima volta un GT con la maglia dell’Astana e sarà un valido supporto per i suoi compagni. Javier Romo e Samuele Battistella sono invece i prescelti per provare a entrare in qualsiasi tipo di fuga e magari riuscire a vincere, cosa che al corridore italiano lo scorso anno non è riuscito per pochissimo.
ALPECIN: OCCHIO A GROVES E OSBORNE
Squadra impostata quasi totalmente per le volate di Kaden Groves, uno che, vista la non grandissima concorrenza, potrebbe provare pure a vincere tutti gli arrivi a ranghi compatti. Edward Planckaert, Samuel Gaze, Jimmy Janssens, che lo scorso anno sfiorò la vittoria alla Vuelta dopo una lunga fuga, Maurice Ballerstedt, Robbe Ghys formeranno il treno più forte della corsa, anche se da collaudare, con loro anche Tobias Bayer, libero di provarci, e Jason Osborne, corridore arrivato molto tardi al ciclismo, arriva dal canottaggio, in netta crescita nell’ultimo periodo e da seguire per capire cosa potrà fare e quali margini, soprattutto in salita.
ANCORA FRANCIA: DA BOUCHARD PER LA POIS, A CRAS CHE CI RIPROVA, MA OCCHIO A VAUQUELIN, COQUARD ED HERRADA
Anche l’AG2R non ha uomini per la classifica ma Geoffrey Bouchard si candida per vincere nuovamente la maglia dei Gran Premi della Montagna. Specialista, ha vinto questa classifica nel 2019 proprio in Spagna, e al Giro d’Italia due stagioni fa. Con lui Andrea Vendrame per piazzarsi in qualche volata, ma soprattutto andare in fuga. Fosse assistito una volta tanto dalla fortuna, potrebbe pure vincere una tappa, quando va all’attacco nei grandi Giri ha dimostrato di poter resistere in salita e lo spunto veloce lo conosciamo. Occhio anche a Dorian Godon, veloce, resistente, cacciatore di tappe e di classiche come dimostra la vittoria quest'anno alla Freccia del Brabante
TotalEnergies punta su Steff Cras che dopo il ritiro al Tour per una caduta causata da un tifoso, mentre era in lotta per giocarsi una posizione nei primi 15 di classifica, ci riproverà in una Vuelta particolarmente montagnosa e dunque adatta alle sue caratteristiche. Con lui in salita (e anche nelle fughe), vedremo Pierre Latour e Alan Jousseaume, Dries Van Gestel, invece, grande specialista delle semiclassiche della primavera, proverà a gettarsi nelle poche volate a disposizione in questo suo tardivo (quasi 29 anni) esordio in un grande Giro, inseguendo qualche top ten di tappa.
E a proposito di esordi in un GT in casa Arkéa-Samsic ecco Kévin Vauquelin, una delle più grosse sorprese del 2022, che quest’anno ha leggermente abbassato il tiro, ma in questa Vuelta può provare a piazzarsi nei primi dieci, quindici della classifica generale, visto anche un tracciato particolarmente adatto alle sue caratteristiche. In alternativa, dovesse uscire di classifica e provare ad andare in fuga nelle tappe di montagna, diventerebbe automaticamente uno dei favoriti ai successi parziali. In salita lo affiancheranno Cristian Rodriguez ed Elie Gesbert, altro da temere in fuga, mentre per le volate i bretoni si affidano a Hugo Hofstetter.
Infine, la quinta squadra francese al via, la Cofidis, che spesso in Spagna ha saputo togliersi importanti soddisfazioni. Bryan Coquard, in un paniere non particolarmente ricco di velocisti, può provare a vincere una tappa, aiutato da Davide Cimolai e Andre Carvalho, mentre Jesus Herrada, vincitore di tappa alla Vuelta nel 2019 e nel 2022, sarà uno dei fugaioli della corsa per eccellenza . Avrà già messo nel mirino diverse tappe di montagna da provare a vincere e se non ci dovesse riuscire lui, potranno tentare il colpo grosso Francois Bidard, Remy Rochas e Ruben Fernandez.
CARTHY, CI RIPROVA, MA STAGIONE COSì COSì FINORA
La EF EasyPost porta Hugh Carthy, ormai “tradizionale” capitano nei grandi Giri della squadra di Vaughters, leader per la classifica a maggior ragione dopo il forfait di Carapaz, l’ecuadoriano non ha recuperato dopo la caduta al Tour. Ma ci aspettiamo la solita squadra capace di dare battaglia su tutti i terreni, lasciando al magrissimo e dinoccolato scalatore britannico l’onere e l’onore di cercare un piazzamento in alta classifica. Stefan Bissegger, oltre a essere una carta fondamentale per la cronometro a squadra di apertura, cerca, in quella individuale, un riscatto a una stagione sottotono, discorso simile per Andrea Piccolo che si inserirà in fuga, magari cercando di vincere una tappa: anche per lui un 2023 completamente all’opposto rispetto al 2022 che ci ha fatto sognare in grande pensando al suo nome. Diego Camargo e Jonathan Caicedo aiuteranno Carthy in salita, ma non escludiamo di trovarli spesso in fuga, come Sean Quinn, corridore resistente e veloce che proverà a piazzarsi in qualche arrivo impegnativo, ma non troppo. Infine presenti i due van den Berg della squadra, Julius sarà il faticatore, mentre Marijn è uno dei velocisti più attesi dell’edizione numero 78 della Vuelta.
LIDL, CI PIACI DI MENO
Già, perché una delle squadre più vincenti della stagione, grazie a quell’incredibile corridore di nome Mads Pedersen, ma non solo, sparge i suoi corridori migliori qua e là per l’Europa (e il mondo, in programma anche le due classiche World Tour in Canada) e alla Vuelta porta una sorta di squadra C, con corridori, tuttavia, dall’indole battagliera e che proveranno a lasciare il segno. Juanpe Lopez, dopo aver faticato per gli altri al Tour, proverà a fare classifica - anche se pare difficile possa migliorare il 13° posto ottenuto qui nel 2021. Bauke Mollema porta esperienza, ci pare in fase calante, ma lo vediamo bene provare a vincere una tappa, così come Kenny Elissonde, apparso in buona forma di recente o Amanuel Ghebreigzabhier: entrambi andranno in fuga nelle tappe di montagna, magari con l’aiuto del solito e affidabilissimo Julien Bernard. Presenti anche uno dei corridori più regolari quando c’è da sprintare, Edward Theuns e con lui Jacopo Mosca, che, probabilmente, lo aiuterà nel trovare la migliore posizione in volata. Ma un corridore forte e combattivo come Mosca, potrà anche provare a giocarsi qualche carta personale.
DAL BELGIO: TUTTI ALL'ATTACCO, DA RUI COSTA E GOOSSENS A VAN EETVELT, POSSIBILE SORPRESA IN SALITA
La Intermarché-Circus-Wanty avrebbe dovuto intorno alle volate di Gerben Thijssen - aiutato da Hugo Page, Julius Johansen e Boy van Poppel, ma il velocista belga ha preso il covid e salterà la Vuelta, al suo posto Simone Petilli che con Rein Taaramäe, Rune Herregodts, Rui Costa e Kobe Goossens sono corridori perfetti per infiammare con le loro azioni ogni tipo di tappa, puntando a vincere in fuga.
La Lotto-Dstny, invece, lascia fuori alcuni pezzi da novanta, ma c’è molta curiosità intorno a quello che potrà combinare Lennert van Eetvelt, tra i corridori più giovani al via, ma che ha già dimostrato di andare molto forte in salita: può essere la sorpresa di questa Vuelta? Milan Menten è il velocista, e se di Thomas De Gendt conosciamo tutto - abbiamo pure pubblicato la sua biografia - da scoprire invece cosa potranno fare un altro giovane come Sylvain Moniquet, scalatore, e il danese Alexander Kron, corridore che in giornata è capace di andare forte dappertutto e cliente scomodo da portarsi dietro in fuga.
PROFESSIONAL SPAGNOLE: FUGA, VISIBILITÀ, QUALCHE SOGNO
Chiudiamo con le uniche due Professional spagnole invitate - rimaste fuori Euskaltel Euskadi e Kern Pharma - ovvero Caja Rural e Burgos BH.
Caja Rural punta sugli esperti scalatori Michael Schlegel e Jefferson Cepeda e sul giovane Abel Balderstone, li vedremo in fuga in montagna, magari con Jon Barrenetxea che sogna di vestire la maglia a pois come già successo ai Paesi Baschi, ma i due corridori più importanti sono sicuramente Fernando Barcelò, uno dei corridori più piazzati del calendario spagnolo che insegue il primo successo in carriera, lui che nel 2018 vinse una tappa del Tour de l’Avenir con Pogačar che chiuse 3°, e Orluis Aular, campione nazionale venezuelano, che proverà a piazzarsi negli sprint.
Infine la Burgos BH che porta, nella corsa di casa, quasi il meglio a disposizione, a parte Langellotti e Madrazo. Una squadra che si farà vedere all’attacco con alcuni corridori resistenti e dotati anche di spunto veloce, come Pelayo Sanchez e Cyril Barthe, con loro il veterano Jetse Bol, Jesus Ezquerra, che ha corso il Mondiale con la nazionale spagnola, l’uruguaiano Eric Fagundez e Dani Navarro, il corridore meno giovane al via, ha già compiuto 40 anni, vincitore di una tappa alla Vuelta nel 2014.
PERCORSO
Sempre critici sul percorso, come non esserlo in una corsa che prevede nove arrivi in salita, tre dei quali nel tradizionale profilo con un' unica difficoltà in tutta la tappa?
La seconda tappa ha un finale che ispira qualche sortita e potrà allungare e spezzare il gruppo.
Interessante invece la distribuzione della fatica che spaccherà da subito la classifica: si parte subito con una cronosquadre, poi il secondo giorno, siamo ancora a Barcelona, arrivo in leggera salita dopo aver affrontato il Montjuic: pane per i corridori esplosivi e uomini della classifica chiamati a partecipare in prima persona alla diatriba. La terza tappa mostra subito il primo impegnativo arrivo in quota agli oltre 1900 metri di Arinsal Andorra, dopo aver scollinato in giornata un altro (lunghissimo) colle di prima categoria.
Al quarto giorno si può rifiatare, ma nemmeno troppo. Per arrivare a Tarragona si va su e giù, sulla carta è volata, ma se leggi tra le righe è facile possa esserci scritto fuga. Stessa cosa il giorno dopo con la Morella-Buriana: le squadre dei pochi velocisti dovranno conquistarsela e soprattutto il gruppo se vuole una giornata tranquilla e una possibile volata a ranghi compatti, dovrà evitare di mandare troppa gente in fuga.
Sesta tappa e secondo arrivo in salita: Observatorio Astrofísico de Javalambre, con i suoi ultimi 5 km davvero impegnativi e un profilo che prevede oltre 4.000 metri di dislivello. Qui un solo precedente alla Vualta e clamorosa doppietta della Burgos BH con Madrazo che vinse davanti a Bol. Si fa sul serio e si faranno distacchi. Il giorno dopo, tappa numero sette, unica frazione (quasi) completamente pianeggiante: l’arrivo a Olivia è fatto apposta per i velocisti e come ormai vogliono i disegni di ASO, la tappa in pianura è una delle pochissime (due in tutto a questa Vuelta), a superare i 200km.
Senza un attimo di respiro, la tappa con arriva a Costa Blanca Interior è una delle più attese della prima settimana
E si risale nuovamente il giorno dopo con l’arrivo a Xorret de Catì Costa Blanca Interior, dopo aver attraversato il durissimo e omonimo muro che scollina a meno di 4 km dall’arrivo.
Tappa nove e indovinate un po’? Sì, proprio così, arrivo in salita sul Collado de la Cruz de Caravaca. Breve e molto irregolare con qualche rampa impegnativa. Poi riposo.
Si riprende, martedì 5 settembre, con la cronometro di Valladolid. 25,8 km la lunghezza (giudicate voi), profilo totalmente pianeggiante. Il giorno dopo ancora arrivo in salita (abbiamo perso il conto): 163 km, un po’ di su e giù prima dell’unica salita vera e propria di giornata e che porta all’rrivo di Laguna Negra Vinuesa, dove nel 2020 Dan Martin tornava alla vittoria dopo oltre due anni di digiuno. Salita breve, che si fa impegnativa solo nelle rampe finali.
Tappa 12: per arrivare a Saragoza sono 150 km e nemmeno mille di dislivello, sarà volata (eventualmente la terza o la quarta) oppure fuga? Di sicuro si rifiaterà un attimo prima della due giorni decisiva e decisamente più bella di questa Vuelta.
Si parte in discesa e poi si affrontando tre salite di un certo spessore. Solo 134,7 km ma ormai è l'uso di ASO.
La 13a tappa prevede infatti lo sconfinamento, ma diciamo di più, ben quattro gran premi della montagna, anzi esageriamo, si passa il mitico Aubisque, il duro Spandelles, ma soprattutto si rende omaggio a uno dei luoghi di culto del ciclismo, il Col du Torumalet dove sarà posto l’arrivo. Tappa decisiva, una delle più belle disegnate in tanti anni alla Vuelta. Peccato per il chilometraggio: 134,7.
E non ci si ferma perchè il giorno dopo, tappa 14, 4600 metri di dislivello (600 in più del giorno prima), in 156 km, con arrivo in salita (sic) a Larra-Belagua, non durissimo, molto più impegnative le due scalate che affronteranno in precedenza, entrambe classificate di Hors Catégorie, Col Hourcère, 11,6 km all’8,3% e soprattutto Puerto de Larrau, 15,1 km al 7,8%.
Il 10 settembre, tappa 15, prima del riposo si arriva a Lekunberri ed è una giornata tipica da Paesi Baschi, tappa (molto) vallonata, giornata da fughe.
Il 12 settembre la terza e ultima settimana parte con una frazione, la 16, da Liencres Playa a Bejes di 130 km, di cui non sentivamo la mancanza, tutt’altro. Leggermente mossa come il mare nelle prime ore dell’alba e poi muro finale: 4,9km all’8,6 %.
Il giorno dopo Alto de l’Angliru: non servono presentazioni, ma se non altro per arrivare ai piedi di una delle salite più dure del mondo bisogna attraversato altre due salite di prima categoria. Giornata che sarebbe stata decisiva se il giorno dopo, tappa 18 non ci fosse stato in programma il nono arrivo in salita di questa Vuelta. La Cruz de Linares, 8,3 km all’8,5%. Tappa tutto sommato interessante come lunghezza: quasi 180 km e con ben 4600m di dislivello distribuiti oltre che sulla salita finale su altri ben 4 gran premi della montagna. Lo potremmo definire tappone.
L'ultimo sabato di corsa: tappa per le imboscate, occhi aperti perché qui si può ancora decidere la corsa.
L’ultimo venerdì di corsa concede tregue e così il 15 settembre sarà fuga o volata sul traguardo di Iscar, mentre il giorno dopo a Guadarrama c’è terreno, in caso di classifica ancora aperta, per ribaltare di nuovo tutto. Non grandi salite, almeno per altitudine e lunghezza, ma non un metro di pianura in un disegno che sembra quella specie di sorriso che ti fanno i cani quando ringhiano nemmeno troppo convinti e ti guardano di traverso.
Infine ultimo giorno a Madrid, prima volata e poi veloci a incoronare l’erede di Remco Evenepoel.
I FAVORITI DI ALVENTO
CLASSIFICA GENERALE
⭐⭐⭐⭐⭐Vingegaard
⭐⭐⭐⭐ Roglič, Evenepoel
⭐⭐⭐Ayuso, Mas
⭐⭐Thomas, Vlasov, Uijtdebroeks, Almeida
⭐Arensman, Bardet, Landa, Dunbar, Vauquelin, Onley, Poole, Cras, Caruso, Carthy
VOLATE
⭐⭐⭐⭐⭐ Dainese, Groves
⭐⭐⭐⭐ Molano
⭐⭐⭐ van den Berg M., Coquard
⭐⭐Menten, Page, Watson, Hofstetter, Heiduk
⭐ Garcia Cortina, C.Pedersen, Van Gestel, Govekar, Aular, Theuns
FUGHE/TAPPE/MONTAGNA
⭐⭐⭐⭐⭐Grégoire, Martinez, Higuita
⭐⭐⭐⭐ Van Eetvelt, Storer, Rubio, Buitrago, Herrada, Vine
⭐⭐⭐Lazkano, Ganna, Kron
⭐⭐ Zana, Sobrero, Guerreiro, Bouchard, Vendrame
⭐Bagioli, Battistella, Barthe, Osborne, Quinn, Mollema, Godon
Foto in evidenza: ASO/Charly Lopez
Granguanche Audax Road 2023
“It’s a demanding route for experienced riders as it includes serious climbs, high mountains, and remote areas. Experienced means well trained, technically skilled, and wisely equipped. Exhaustion, sleep deprivation, and night rides add even more risk to a challenging ride. Participants are fully responsible for their safety and logistics.”
Queste sono le prime parole che leggo sul sito. Affascinante vero? La descrizione prosegue...
“Granguanche is a cycling route across the Canary Islands. It’s a ride to the next ferry planned in three options for any choice of bike and terrain. From sandy beaches to snowy peaks, through empty deserts, enchanted rainforests, moon-like volcanic landscapes, lush tropical canyons, sand dunes, black lava fields and ancient pine forests. This archipelago seems to host every corner of the planet…and some sights from another world.”
Le isole in questione sono le Canarie, distanti solo 100 km dal Marocco, i cui i paesaggi spaziano da spiagge di sabbia nera, deserti, foreste tropicali, paesaggi vulcanici che sembra di stare sulla luna, canyons vertiginosi, e boschi di pini, e sullo sfondo l’oceano che si confonde con il blu del cielo.
Ma facciamo un passo indietro. Che cos’è la Granguanche Audax? La Granguanche è un evento di ultra-cycling che attraversa l’arcipelago delle isole Canarie. L'evento segue le classiche regole e i principi degli eventi senza supporto di ultra-cycling, ma nello spirito dell’Audax, e quindi i partecipanti possono fare gruppo e drafting, cioè pedalare dietro un altro ciclista approfittando del fatto che blocca il vento. Si può scegliere tra tre tipi di percorso a traccia fissa - trail, MTB oppure road - e diversi tipi di pace, cioè le andature. Chi riesce a mantenere l’Audax pace e completare il percorso in meno di 48 ore, riceve addirittura il rimborso dell’iscrizione! Gli altri pace vanno dai 3 ai 5 giorni. In realtà non c’è un vero e proprio limite di tempo. Le andature fornite sono delle risorse per pianificare. Il tempo limite è dettato solo dai traghetti per le isole. È una gara del tutto personale contro il tempo, non contro gli altri partecipanti. Il ritmo lo decidi tu e la competizione è solo con te stesso. Il concetto è semplice: pedala nel minor tempo possibile per prendere il traghetto per la prossima isola.
La cosa mi stuzzica abbastanza da iscrivermi senza troppi pensieri.
Scelgo la traccia Road che consiste in 600 km di percorso e 14000 metri di elevazione, 5 isole e 4 traghetti. Il mio obiettivo è quello di seguire il pace dei 3 giorni: non così veloce come nel passo suggerito dell’Audax (2 giorni) ma neanche troppo rilassato come quello del party pace (5 giorni). Voglio godermi i paesaggi e aggiungere un po’ di sfida all’impresa.
Non sono tanto i chilometri a spaventarmi quanto il dislivello. Sono sempre stata lenta a salire e a vederli così i numeri mi spaventano. Ma sì, dai, al massimo finirò per avere una super abbronzatura e una vacanza alle Canarie! In fondo è così. Ci si imbarca in un’impresa perché hai quel dubbio che si insinua nella testa. Ce la farò? C’è solo un modo per scoprirlo.
Day 1
Lanzarote. Ore 07:00. Wahoo dice 101 km e 15:30 m TO GO.
Dormito pochissimo. Tutta colpa dell’adrenalina che non vuole scendere. Fuori l’aria è tiepida e tira vento da Nord-Est. Ottimo penso. Spero che questo vento a favore ci accompagni fino alla fine. La partenza è a Orzola, sulla punta nord di Lanzarote. Tra il mio alloggio e Orzola c’è una discesa ed è tutto bagnato. Fa niente. Sono troppo adrenalinica per mettermi su i copriscarpe. Alla partenza c’è già il pulmino degli organizzatori dove ritiro il mio pacco, cap 66, con il tracker, il cappellino e gli adesivi per la bici. Noto con piacere la presenza numerosa di donne cicliste alla partenza. Si percepisce un mix di emozioni sui visi dei partecipanti: volti timidi, sorridenti, preoccupati, spavaldi. Io provo una gran voglia di salire sulla mia Cinelli e pedalare libera, inseguendo solo quella traccia di Komoot scaricata sul dispositivo. Non bado tanto ai numeri totali dell’evento. Inutile pensarci. Mi ripeto una frase di Omar di Felice: “Se pensi è la fine, se pedali arrivi”.
Ore 08:00. Partita. Lanzarote vola accompagnata da un forte vento a favore che spinge. E noi ci lasciamo trasportare. Si attraversa El Jable, con le sue dune di sabbia, e il parco di Timanfaya, risultato di un’esplosione vulcanica di qualche secolo fa. Che paesaggio lunare e primordiale! Il mio amico Joel mi sta dietro e facciamo già amicizia con alcuni partecipanti. Spingiamo sui pedali e in 4 ore abbiamo attraversato l’isola e siamo al traghetto.
Fuerteventura. Wahoo dice 137 km e 2030 metri TO GO.
Al porto mi accoglie la mia amica Anna. Mannaggia è un secolo che non la vedo eppure è lì che mi saluta e fa il tifo per me! Che sorprese alle volte la vita. Breve sosta cibo e poi si rimonta in sella. Lasciamo Corralejo e mi si aprono davanti dune di sabbia infinite attraversate da un unico nastro nero. Una strada dritta. La traccia del mio Wahoo però non è così dritta e punta a destra. Si sale per Tindaya, la montagna sacra di Fuerteventura. I colori dominanti sono nero, rosso e marrone. Solo il blu del cielo e del mare fanno da contrasto. Lo sguardo si perde in questo gioco di colori ma le gambe non si stancano e continuano con il loro ritmo.
Si sale ancora verso il Mirador del Risco de las Peñas con qualche goccia di pioggia. E si scende in una discesa tecnica, tutta a zig zag, tra pareti vertiginose di roccia rossa e nera. Devo stare attenta perché il vento soffia e mi spinge ad ogni curva. Il tramonto arriva e il cielo si tinge di rosa e arancione. Mancano 30 km al porto di Morro Jable e recuperiamo lungo la strada Irene e Sean. Qualche scambio di battute e si arriva al porto dove la strada si ferma. Mi sdraio a terra, chiudo gli occhi e distendo i muscoli. Primo giorno andato. Due isole attraversate.
Day 2
Gran Canaria. Ore 06:30. Wahoo dice 136 km e 3560 metri TO GO.
La vita dell’ultra-cyclist non è facile. Ma ancor meno lo è quando hai da combattere il mal di mare. Il traghetto per la Gran Canaria ha messo a dura prova tutti noi ma una volta arrivati a Las Palmas, la nausea passa e ci mettiamo sulla bici! Ormai il nostro gruppetto è formato dal mio amico Joel Scozzese, Harriet Australiana, Irene Austriaca e Sean Canadese. Ognuno di noi ha una storia diversa che ci ha condotto alla Granguanche. Ti ritrovi con sconosciuti di nazionalità diversa, spinti ognuno da una propria motivazione, a pedalare verso il Pico de Las Nieves. La vita è pazzesca! Ma la salita non perdona. Sia che spingi sia che pedali, la velocità non cambia. Wahoo segna 21%, 27%, 28% di gradiente, forse di più ma non voglio guardare. È troppo per me. Scendo e rimango indietro con i miei mostri nella mente: domande che mi pongo e dubbi che si insinuano. Non mollo. Metto su Spotify e controllo Komoot. Tra poco spiana mi ripeto. Mi fermo a mangiare un po’ di Polvorones, un dolce spagnolo, che mi da un po’ di forza e sono pronta a ripartire. Salgo non solo in sella ma anche di quota. Siamo a 1850 metri di elevazione, una nebbia umida mi avvolge mentre mi ritrovo nella foresta. Riprendo Sean che sta faticando. E finalmente ecco il cartello per il Pico de Las Nieves! Poco tempo per gioire perché si sta facendo tardi e il traghetto delle 18:00 non aspetta. Ricevo dei messaggi ma non posso distrarmi. Segue un saliscendi tosto con panorami mozzafiato. Lo sguardo non riesce a cogliere tutta la profondità del paesaggio tra monoliti, canyon, precipizi e villaggi rurali arroccati sulle rocce. La vertigine mi prende e allora mi concentro sulla strada. Si sale di nuovo e riprendo Joel e Harriet. “Forza!” Li incito! “Dobbiamo raggiungere il porto!” E così finiamo la salita e scendiamo a velocità incredibile. Ad un certo punto un raggio di sole squarcia la nebbia e illumina un colle con dei pini, una casetta e in lontananza il mare. Siamo senza fiato di fronte alla drammaticità della natura. Uno spettacolo gratuito così semplice ma potente. Alcune immagini ti rimangono nella mente e nel cuore. Che bello è il pianeta!
Continuiamo a scendere. Mancano solo pochi chilometri ma le 18:00 sono appena passate. Vediamo un traghetto che prende il largo mentre il sole scende all’orizzonte: mannaggia, l’abbiamo perso! Per fortuna il prossimo è alle 20:00. Però ci si pone davanti una domanda: come facciamo a recuperare queste due ore perse? Il piano prevedeva di proseguire per ancora un paio di ore sulla prossima isola ma avendo perso la coincidenza non si può fare. Quando capitano gli imprevisti succedono due cose. O ti arrendi. Oppure mangi e ripianifichi. Ed è proprio in quei momenti che capisci di aver trovato la compagnia giusta. Infatti Harriet, Ire ed io condividiamo la stessa ambizione: finire l’evento in 3 giorni! Siamo toste, abbiamo gambe e bici: non ci manca nulla! Basta svegliarsi presto e pedalare. Nel frattempo arriva la notizia che Laurens ten Dam e Guillaume Bourgeois sono arrivati, e Lael Wilcox, la prima tra le donne cicliste, è già sull’ultima isola. Grandi! Hanno completato l’evento con l’Audax pace in meno di 2 giorni dall’inizio dell’evento! Ispirati dai primi arrivati, il morale torna alto e prendiamo l’ultimo traghetto alle 20 con destinazione Santa Cruz, Tenerife. Tre isole attraversate. Ne mancano solo due.
Day 3
Tenerife. Ore 03:30. Wahoo dice 144 km e 3780 metri TO GO.
Quando partecipo ad un evento di ultra-cycling e tocca svegliarmi nel cuore della notte ripenso sempre ad un’intervista di un famoso ultra-cyclist. Tra le varie domande, gli chiesero quale fosse il suo set up per dormire e lui rispose più o meno così: “Dormire? Questa è una gara di ultra-cycling, mica si dorme!”
E così mi tiro su e anche i miei compagni. Le ragazze sono già in piedi e Joel e Sean decidono di seguirci. Si parte nel buio. La maggior parte dei puntini di Dotwatcher sono fermi tranne i nostri che si inerpicano su per il Parque Rural de Anaga. Salgo con i miei 8-10 km orari costanti. Non voglio spingere. Non ancora. L’alba arriva illuminando La Laguna e in lontananza il Teide. Boom! Il Teide... E chi se lo aspettava? Un gigante anche da così lontano! Facciamo rifornimento a La Esperanza: non ci saranno altre soste perché la salita al Monte Teide è lunga e il traghetto non aspetta. Ormai il sole è alto nel cielo e mi inerpico in solitaria tra i boschi con il profumo inebriante dei pini. Joel e Sean sono indietro e Harriet e Irene avanti. Guardo il telefono, rispondo a qualche messaggio. Che bello sentire le voci familiari delle persone a casa: fa stare bene sapere che c’è qualcuno che ti segue e ti pensa. I boschi si diradano e ora c’è solo roccia e sabbia. Harriet mi scrive e mi dice di far attenzione al vento in discesa. Le gambe sono stanche per via della salita costante. E poi c’è lui. Quel gigante del Teide con la neve in cima. Ma chi se lo aspettava così bello, maestoso e immobile. Tutti quei ciclisti che gli passano accanto e si allenano. Lui invece è li con la cima al cielo e le radici giù in profondità nel fuoco del cuore della terra, da millenni prima che costruissero le strade per osservarlo da vicino. Il grosso è fatto mi dico. Ora mancano solo due piccole alture e si scende. Sembra facile ma non è così perché le due salite sono brevi ma si fanno sentire. Controllo l’ora e mi accorgo che mancano solo 50 minuti al traghetto! Tocca menare! Mi sono persa come al solito davanti alla bellezza della natura. In discesa mi piego talmente tanto che ho paura di cadere con le borse della bici. I freni non li tocco più, gli occhi puntati sulla linea bianca della strada e le mani stringono il manubrio. Pochi chilometri ancora e sono al porto. 14:15. Forza ce la posso fare. 14:20 entro in città. Maledetto traffico. Manca pochissimo al porto ma il traghetto è già partito. Mi avvio verso la biglietteria un po’ delusa. E poi alzo gli occhi: davanti a me vedo due bici parcheggiate e due cicliste sedute a terra. Sono Harriet e Irene! Anche loro l’hanno perso. I nostri sguardi si incrociano e scoppiamo in una risata liberatoria! Avremo anche perso il ferry boat per pochi minuti di nuovo ma abbiamo comunque coperto l’intera isola di Tenerife e recuperato quelle due ore del giorno prima!
La Gomera. Ore 17:15 . Wahoo dice 98 km e 2970 metri TO GO.
Sbarchiamo a La Gomera con il traghetto delle 16:00. Ultima isola, paradiso subtropicale ricoperta di verde lussureggiante, foreste di laurisilva, palme e felci. Alcuni partecipanti sono avanti a noi e finiranno sicuramente prima della mezzanotte. Ma noi non molliamo: siamo piene di entusiasmo, abbiamo voglia di pedalare e di divertirci. Ci sono ancora diverse ore di luce e la notte è lunga. Ci fermiamo a mangiare dopo 25 km in un piccolo ristorante ancora aperto, gestito da una coppia di anziani che ci prepara tortillas, pane e succo d’arancia. Addirittura ci preparano delle tortillas da portarci dietro come se anche loro sapessero quali sono le nostre intenzioni. Il cielo è scuro e si riempie di stelle. Una coperta di puntini luminosi scintillanti e le pareti di roccia verticali che si stagliano sopra le nostre teste. Luci accese, la notte è cominciata. Ormai è chiaro che avremo finito insieme. Un’italiana, un’austriaca e un’australiana a fare una notturna attraversando il parco Garajonay su un’isola dell’oceano atlantico con il vento che soffia. Scherziamo, parliamo di bici, di set up, di viaggi passati, di sogni futuri, di amori, di delusioni, di meccanica, di cibo e di ultra cycling. Passata la mezzanotte la stanchezza comincia a farsi sentire. In fondo sono 20 ore che siamo sveglie e stiamo sulla bici senza dormire o riposare. Matteo, l’organizzatore, ci scrive e consiglia prudenza perché l’ultima discesa sarà molto esposta con raffiche di vento. Seguiamo le nostre luci che illuminano la strada e aprono il varco di nebbia e umidità che avvolge i picchi più alti dell’isola. Il vento è gelido ma ci scaldiamo salendo e le nostre chiacchiere alleviano la fatica e la salita.
Wahoo dice 22 km e 0 metri TO GO
Finalmente anche l’ultimo metro di salita è conquistato. Incredule, ci fermiamo, ci abbracciamo e ridiamo. Veramente ora è solo discesa? La traccia non mente. È ora di scendere.
E con le bici fianco a fianco, allineate nel buio, arriviamo infine al porto di San Sebastian.
San Sebastian, La Gomera. Ore 0253. Wahoo dice o km e 0 metri TO GO.
Ci sarebbe tanto da parlare dell’ultra-distance e di come questi eventi ti cambino profondamente. Ma una cosa c’è da dire. Per me, il vero spirito di questa Granguanche non è stata la competizione, quanto la condivisione. E ho imparato che le salite sono belle, anche di notte. Ma in compagnia sono ancora più belle.
Report di Guendalina Capone
Foto: @matminelli
Il questionario cicloproustiano di Ricarda Bauernfeind
Il tratto principale del tuo carattere?
Ambizione.
Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Umorismo e onestà.
Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
Disponibilità, orecchio aperto all'ascolto, voglia di divertirsi.
Il tuo hobby preferito?
Cuocere al forno e cucinare
Cosa sogni per la tua felicità?
Raggiungere grandi cose nel ciclismo e creare una famiglia in futuro.
Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
Che succeda qualcosa di brutto a qualcuno della mia famiglia o dei miei amici.
Cosa vorresti essere?
In futuro mi piacerebbe lavorare come insegnante, ma per ora sono davvero felice di essere un ciclista.
In che paese vorresti vivere?
Mi piace vivere qui in Germania.
Il tuo colore preferito?
Beige.
Il tuo animale preferito?
Un riccio.
Il tuo scrittore preferito?
Mona Kasten.
Il tuo film preferito?
P.S. I love you
Il tuo musicista o gruppo preferito?
Al momento, Mackenzy Mackay.
Il tuo corridore preferito?
Sto ammirando la mia compagna di squadra, Kasia Niewiadoma.
Un eroe nella tua vita reale?
Mio padre.
Una tua eroina nella vita reale?
Mia madre.
Cosa detesti?
La disonestà
L'impresa ciclistica che ricordi di più?
Tour de France Femmes con Zwift 2023.
Da quale gara non vorresti mai ritirarti?
Tour de France Femmes con Zwift.
Un dono che vorresti avere?
Salute per tutta la vita.
Come ti senti attualmente?
Sto appena iniziando a rendermi conto di cosa è successo al Tour de France Femmes avec Zwift del 2023.
Scrivi il tuo motto di vita?
La tua mente è più forte del tuo corpo!
Guida al Tour de l'Avenir 2023
È una delle corse più attese del calendario Under 23, è quella che chiude il trittico delle gare a tappe più blasonate e qualificanti della categoria a cui appartengono i ragazzi con meno di 23 anni* - per questa stagione quelli nati tra il 2001 e il 2004 - dopo Giro (Next Gen) e (Giro Ciclistico della) Valle d’Aosta, ecco, dal 20 al 27 agosto il Tour de l’Avenir.
Il Tour dei giovani, così detto, e che noi amiamo particolarmente non tanto per gli spunti che può dare verso il futuro - ormai la maggior parte dei corridori che partecipano a questi eventi sono praticamente dei professionisti, anzi, in alcuni casi lo sono a tutti gli effetti e di loro sappiamo "tutto" - quanto per il fascino incredibile che trasmette il vederli correre, non con le maglie di club, ma con quelle della propria nazionale. Quindi niente squadroni Devo delle WT (ben rappresentati lo stesso), ma nazionali, in alcuni casi molto forti, come vedremo a breve.
*Ricordiamo che possono partecipare anche i professionisti del World Tour, anche chi ha già disputato dei Grandi Giri.
PILLOLE DI AVVENIRE
Prima qualche numero, anche se non tutti sono grandi appassionati e preferiscono giri di parole e svolazzi in punta di penna, ma viceversa c’è chi trova anche nei numeri la poesia.
Cinquantanovesima edizione del Tour de l’Avenir, la prima è nel 1961 quando a vincere fu un italiano: Guido De Rosso, l’ultima, nel 2022, l’ha conquistata il belga Cian Uijtdebroeks, dalla prossima settimana impegnato nella Vuelta a España. L’Italia ha vinto 4 volte: dopo De Rosso, c’è stato Gimondi nel 1964, Denti nel 1966 e infine Baronchelli, 1973, Baronchelli che detiene un record che quest’anno potrebbe cadere: la doppietta Giro/Tour nello stesso anno, obiettivo di Johannes Staune-Mittet, il grande favorito della corsa, anche se ci arriva con qualche punto interrogativo legato alle sue condizioni di forma e salute.
Negli anni la corsa ha cambiato nome, organizzatori e anche modalità di partecipazione ed è stata vinta da corridori che hanno scritto alcune pagine importanti della storia di questo sport: da Zoetemelk (1969), a Lemond (1982), continuando poi con Ludwig (1983) Mottet (1984), Indurain (1986), Madiot (1987), Fignon (1988), Bruyneel (1990) e venendo poi agli anni 2000, Menchov (2000), poi Mollema (2007), Quintana (2010), Chaves (2011), Barguil (2012), Miguel Angel Lopez (2014), Soler (2015), Gaudu (2016), Bernal (2017), Pogačar (2018), Foss (2019) e infine Tobias Halland Johannessen (2021). Nomi già noti, vero? Anche dal vincitore dello scorso anno, il già citato belga Uijtdebroeks, ci aspettiamo risultanti di un certo livello tra i professionisti, soprattutto nelle corse a tappe, inutile girarci attorno. In poche parole: l’Avenir dice spesso la verità sul futuro dei corridori.
Una corsa che è stata anche vinta da uno dei personaggi più di culto della disciplina delle due ruote: Sergei Sukhoruchenkov, unico corridore ad averla vinta due volte, oltretutto, nel 1978 e nel 1979.
L’Italia, qui, è bene o male sempre stata protagonista, anche se i successi di tappa, nelle ultime stagioni, si contano sulle dita di una mano: nel 2016 a conquistare una frazione c'è riuscito Albanese, poi Covi nel 2018 e Milesi nell’ultima tappa dello scorso anno, mentre in classifica generale oltre ai vincitori già citati spicca Mattia Cattaneo, terzo per ben due anni di fila, 2011 e 2012, e non sono moltissimi, anzi, i corridori a vantare più di due podi. C’è appunto il sovietico Sukhoruchenkov, due primi e due secondi posti, mentre a quota due podi: l’olandese Den Hertog (1° nel 1972 e 2° nel 1971), il francese Laurent Roux, vincitore nel 1997 dopo essere stato sul podio, 3°, nel 1995, il suo connazionale Bezault (due secondi posti) e l’austriaco Steinmayer, mentre a quota due podi ancora un francese, Bourreau e uno spagnolo, José Gomez.
È una corsa che, bene o male, basta vedere l’albo d’oro recente, segnala chi ha qualità per poi imporsi tra i professionisti, e visti i favoriti per quest’anno, dovrebbe essere così anche per il futuro.
Infine due conti sulle nazioni plurivittoriose: la Francia con 19 vittorie comanda nettamente l’albo d’oro, segue la Spagna a 12, la Colombia a 6, Russia (o ex Urss) a 4 come Italia e Belgio, Olanda è ferma a quota 3 mentre la Norvegia è a 2: ha vinto due delle ultime tre edizioni e quest’anno, come vedremo, è fermamente intenzionata a fare tripletta.
PERCORSO
Entriamo subito a gamba tesa parlando del percorso: una delle corse più belle dell’anno si caratterizza di uno dei percorsi più brutti, come purtroppo spesso accade quando si parla di Tour de l’Avenir. Chilometraggio da gara allievi nelle tappe di montagna, anche se non si raggiunge il record di quattro stagioni fa con la mini tappa di 22,3 km vinta da Alexander Evans con arrivo sul Col de la Loze davanti a Ries, Champoussin e Jorgenson. Alexander Evans che oggi, dopo aver corso per un anno nel WT con la maglia della Intermarché, non corre più.
Quest’anno gli organizzatori hanno voluto osare ancora di più proponendo una giornata dal sapore anni '90 con le due semitappe di sabato prossimo: al mattino crono individuale, una cronoscalata di 11,1km e nel pomeriggio “tappone” (!), di 69 km con arrivo sul Moncenisio.
Ma vediamo le tappe nell’ordine, inserendo anche i possibili favoriti per la tappa.
Tappa 1 Carnac-Le Gacilly 142,2 km ⭐⭐
Per iniziare una giornata (molto) mossa, una classica scampagnata in terra francese. Niente picnic, vi andrebbe di traverso, piuttosto coltello sotto il sellino. La tappa si snoda nel Morbihan e strizza l’occhio ai velocisti più resistenti. Occhio al meteo, potrebbe fare la differenza, così come le cadute che potrebbero spezzare il gruppo e, nel caso di fuga buona, chi si prenderà la briga di andare a chiudere con soli 6 corridori per squadra?
Favoriti: Lamperti, Busatto, Gelders, Donaldson, Hagenes, Huby. Possibile sorpresa: Unai Aznar.
Tappa 2 Nozay-Chinon 195 km ⭐
È la frazione più lunga, appare scontato un esito in volata, ma lo ribadiamo: pochi uomini per squadra, possibilità di corsa anarchica, la planimetria potrebbe complicare un possibile inseguimento. Insomma: occhi aperti.
Favoriti: Lamperti, Kogut, Fredheim, Teutenberg, Pickrell, Van Mechelen. Possibile sorpresa: Bevort.
Tappa 3 Vatan-Issoudun 26,5 km Cronometro a squadra ⭐⭐⭐
Qualcuno storce il naso per l’inserimento, ormai tradizionale, di una cronometro a squadre in una corsa di otto giorni, a noi piace, anche se metterla alla terza tappa porta il concreto rischio di avere squadre già decimate con la conseguenza di sbilanciare la contesa. Tuttavia, la giornata nella Loira, per la precisione nel dipartimento dell’Indre, cambierà volto alla classifica parziale e inciderà su quella finale e, vista l’altimetria, favorirà quelle squadre con passistoni agli ordini dei capitani da montagna.
Favoriti: Danimarca, Norvegia, Olanda. Possibile sorpresa: Spagna.
Tappa 4 Aigurande - Evaux-les-Bains 150 km ⭐⭐
Arrivo per scattisti, per corridori esplosivi, occhio pure che non si scateni la bagarre tra gli uomini di classifica, qui immaginiamo uno sprint ristretto, sempre che non ci sia un colpo di mano su uno dei tanti dentelli di cui è seminato il percorso. Per questo giorno abbiamo in mente un nome, ma oggi va così e per scaramanzia non lo facciamo. Anzi lo capirete dai nomi elencati qui di seguito.
Favoriti: Busatto, Hagenes, Huens, Segaert, Foldager, Thierry, Glivar, Nerurkar. Possibile sorpresa: Hajek.
Tappa 5 La Tour-de-Salvagny-Lac d'Aiguebelette 138 km ⭐⭐⭐
Si inizia a salire e oltre agli scenari meravigliosi, nel finale si dovrà fare i conti con due GPM di 3a categoria che selezioneranno il gruppo e lanceranno gli uomini migliori di questa corsa verso la discesa finale. È solo l’antipasto del lungo weekend finale che porta in alta montagna.
Favoriti: Morgado, Busatto, Graat, Umba, Foldager. Possibile sorpresa: Pinarello
Tappa 6 Méribel-Méribel 68,5 km ⭐⭐⭐⭐⭐
Diamo cinque stelle, perché contestualizziamo la tappa all'interno di una corsa in cui le frazioni decisive non superano i 100 km e perché la salita finale è davvero dura. Si arriva sul Col de la Loze dallo stesso versante del 2019 dove vinse Evans (tappa citata sopra), ma stavolta gli organizzatori hanno avuto almeno il fegato di aggiungerci 45 km in più con il GPM di 2a categoria di Montée de Champagny-en-Vanoise. Il tratto finale della salita è davvero duro e selezionerà in modo definitivo gli uomini per la classifica generale, alla vigilia delle due semitappe di sabato.
Favoriti: Staune-Mittet, Umba, Wilksch, Golliker, Ryan, Lecerf, Riccitello. Possibile sorpresa: Kulset.
Tappa 7a Montricher Albanne - Les Karellis 11,1 km ⭐⭐⭐⭐
Ed ecco la novità di questa edizione, che poi è un ritorno al passato: le semitappe. Al mattino una cronoscalata di 11,1, tutti in salita all’8,1% di pendenza media. Qui avere una giornata storta e non avere determinate caratteristiche o abitudine a sforzi di brevissima durata, costerà carissimo.
Favoriti: Segaert, van Belle, Staune-Mittet, Piganzoli. Possibile sorpresa: Walker.
Tappa 7b Les Karellis- Col du Mont Cenis 69,6 km ⭐⭐⭐⭐
Nel pomeriggio si arriva al confine con l’Italia con una tappa breve e dal disegno anche qui abbastanza particolare: si parte con un lungo trasferimento in discesa fino a Villargondran e da lì si inizia a salire leggermente. Diversi su e giù fino ai piedi dell’ascesa finale: 9,8 km al 7% di media e ultimi 5 km in falsopiano con alcuni strappetti. Vista anche qui la particolarità della tappa, ci aspettiamo sconvolgimenti in classifica, e perché no, anche la fuga di quei corridori che nella crono si sono un po’ risparmiati, considerando che in mattinata quelli chiamati a fare classifica avranno dato fondo alle energie senza risparmio e fondamentale sarà la capacità di recupero tra i due sforzi. Anche qui, come il giorno prima, si arriva sopra quota 2000.
Favoriti: Golliker, Staune-Mittet, Graat, Riccitello, Wilksch. Possibile sorpresa: Christen.
Tappa 8 Val Cenis - Sainte Foy Tarentaise 100 km ⭐⭐⭐⭐
Per chiudere altra tappa breve, ormai va così, ma c’è ancora terreno per ribaltare la classifica soprattutto considerando: 1) l’Iseran posto a metà tappa che farà gola a chi sta bene e vuole attaccare da lontano 2) le energie al lumicino 3) le squadre che difficilmente saranno al completo. Finale impegnativo dove si potrà fare ancora la differenza in un senso o nell’altro: recuperare, guadagnare, staccare i propri avversari, provare a dare un senso a una lunga settimana di Tour de l’Avenir.
Favoriti: Morgado, Pellizzari, Umba, Gomez, Staune-Mittet. Possibile sorpresa: Rouland.
I PROTAGONISTI DELLA CORSA - ANALISI DEI FAVORITI E DELLE SQUADRE
Iniziamo dal favorito assoluto, Johannes Staune-Mittet. Il norvegese della Jumbo Visma sta facendo da mesi tutti gli scongiuri del caso perché chiunque va dicendo: ha la possibilità di essere il secondo corridore della storia a vincere nello stesso anno Giro e Avenir. Il problema è che lui lo sa che di recente chi c'ha provato (Sivakov, Ayuso), per motivi legati alle cadute si è fermato, uno al 24° posto finale, vincendo una bella tappa e la maglia dei GPM, l’altro con un ritiro. Oltretutto avvicinamento particolare per il norvegese: ammalato al Sazka Tour, dopo aver vinto una tappa, è scomparso dai radar anche durante il Mondiale, pare per guarire, ma magari è perché si è preparato a puntino. In ogni caso parte favorito a cinque stelle: se fosse una corsa di Formula uno lui sarebbe Verstappen, gli altri guiderebbero una Ferrari in difficoltà.
La Norvegia intorno a lui è forte, ma davvero forte: Per Strand Hagenes può fare tutto, un po’ alla van Aert. Puoi vincere nelle prime tappe, dare una mano in salita e in pianura, sarà fondamentale nella cronosquadre e perché no, puntare anche alla cronoscalata. Johannes Kulset ed Embret Svestad-Bardseng saranno i due gregari in salita, ma il più giovane della dinastia dei Kulset può anche ambire a un piazzamento in classifica, mentre Stian Fredheim e Sakarias Loland, saranno le ruote veloci. Soprattutto da Fredheim ci si aspetta qualcosa dopo una stagione in cui era atteso al salto di qualità che non è ancora arrivato. Ma è solo una questione di tempo.
Parte subito dietro Staune Mittet, Matthew Riccitello, di professione scalatore: la notizia della sua convocazione è sicuramente quella più sorprendente. Riccitello può puntare forte al podio avendo già nel motore un Grande Giro - e se non abbiamo fatto male i conti dovrebbe essere l'unico corridore al via quest'anno ad aver già disputato una corsa a tappe di tre settimane tra i professionisti. Stati Uniti che avranno in Luke Lamperti il punto di riferimento per le volate, Brody McDonald, protagonista al recente Mondiale, Artem Shmidt e Colby Simmons completano una squadra americana di grande qualità.
Dietro di loro sono diversi i corridori interessanti da citare - e con loro le rispettive squadre. La Germania porta Hannes Wilksch, futuro tra i professionisti con la Tudor, il regolarista tedesco è già salito sul podio quest’anno al Giro d’Italia e vorrebbe bissare: c’è la possibilità. La Germania, che questa corsa non l’ha mai vinta, ma è salita sul podio con Michel Hessmann (fermato per un caso di positività nelle ultime ore) proprio lo scorso anno, ha una squadra di tutto rispetto, soprattutto potrà animare le prime tappe con Moritz Kretzschy, Pierre-Pascal Keup e Tim Torn Teutenberg, corridori veloci e resistenti.
La Francia lascia fuori Faure Prost, protagonista al Giro e al Valle d’Aosta, ma per il primo anno francese sarebbe stato troppo una terza corsa a tappe impegnativa in pochi mesi e più che all’alta classifica, anche se Mathys Rondel e Louis Rouland proveranno a entrare nei 10 a fine Tour, pensa a movimentare tutte le tappe: Antoine Huby, Axel Huens e Pierre Thierry hanno il profilo tecnico giusto per farlo e troveranno terreno adattissimo agli attacchi, mentre Eddy Le Houituze sarà importante soprattutto per la cronometro a squadre.
L'Olanda ha uno degli outsider più accreditati in ottica podio: Tijmen Graat. Il corridore della Jumbo Visma è arrivato nei dieci al Giro pur avendo dovuto lavorare a fondo per Staune-Mittet. Pepijn Reinderink è dato in grande forma e proverà a vincere una tappa, Roel van Sintmaartensdijk si butterà nelle volate, Tibor del Grosso, Loe van Belle e Jesse Kramer, corridori forti un po' su tutti i terreni, sono importanti pedine nello scacchiere orange sia per aiutare il capitano, sia per togliersi soddisfazioni personali.
Gran Bretagna da temere su ogni terreno: Joshua Golliker è uno dei migliori scalatori in stagione, due tappe vinte con autorità al Valle d'Aosta, Lukas Nerurkar cerca continuità da abbinare al grande talento in salita, proverà a vincere una tappa e a difendersi in classifica, stessa sorte toccherà a Joseph Blackmore, Max Walker e Jack Rootkin-Gray, protagonista all'ultimo Mondiale e corridore ancora da inquadrare, forte praticamente ovunque. Robert Donaldson invece è l’uomo adattissimo al caos dei primi giorni.
L’Australia ha in James Panizza l’elemento più interessante per le salite, mentre Brad Gilmore punta alle prime tappe e Dylan Hopkins proverà a spuntarla nelle frazioni vallonate. L’Austria in salita punta su Sebastian Putz e Marco Schrettl e nelle tappe con profilo misto su Alexander Hayek, fresco di firma con la BORA.
Non dimentichiamoci del Belgio, squadra vincitrice uscente con Uijtdebroeks. WIlliam Lecerf insegue il podio, ma è corridore a cui piace la fuga, Gil Gelders è uno dei migliori Under 23 della stagione e i primi giorni hanno tappe decisamente adatte a lui. Alec Segaert lo conosciamo, passista, cronoman, si può difendere anche in salita: i suoi margini restano ancora inesplorati. Vlad Van Mechelen farà a spallate in volata, mentre Lars Craps e Jonathan Vervenne lavoreranno principalmente per la squadra.
Il Canada porta Michael Leonard che vuole testarsi nella breve cronoscalata, e un velocista molto interessante come Riley Pickrell, la Colombia punta a fare classifica con il duo già in luce al Giro formato da Santiago Umba e German Dario Gomez, ma una menzione la meritano anche il 1° anno William Colorado ed Edgar Andres Pinzon.
C’è poi la Danimarca, al solito all’Avenir con uno squadrone, danesi che hanno vinto qui tanti anni fa con Lars Yitting Bak, e in un modo o nell’altro proveranno a lasciare il segno. Il loro modo lo conosciamo: proveranno a sorprendere e a lanciarsi in fuga e poi a fare risultato pieno anche nella cronometro a squadre vista la presenza di tre passisti importanti come Carl-Fredrik Bevort, recente campione del mondo nell’inseguimento a squadre, Gustav Wang e Adam Holm Jorgenson, vincitore di tappa all'Avenir nel 2022. Simon Dalby farà classifica, anche se non arriva dalla sua annata migliore, Anders Foldager va a caccia di tappe e allo stesso tempo va a corrente alternata, mentre Joshua Gudnitz cerca il riscatto a una stagione che dal Giro in poi è stata opaca, ma grazie al suo spunto veloce può piazzarsi in diverse tappe.
La Spagna non è quella di Ayuso e Carlos Rodriguez - corridori per altro ancora in età per disputare un Tour de l’Avenir - ma punta forte su Fernando Tercero per la classifica, Ivan Romeo, Unai Aznar e il più piccolo dei fratelli Azparren per le tappe. Ci piacerebbe vedere una Spagna combattiva come al Mondiale, completamente all’opposto di quella a cui siamo abituati a vedere, conservativa. Ci sembra il modo giusto per provare ad agguantare una tappa.
Nell’Irlanda non c’è Rafferty, uno degli Under 23 più forti della stagione, ma torna in gruppo Archie Ryan, stagione disgraziata finora la sua a causa dei soliti problemi al ginocchio, ma in salita, sulla carta, è uno dei più forti della categoria, mentre per Israele da seguire assolutamente Odet Kogut, uno dei velocisti più in forma al via.
Il Kazakistan punta a fughe e piazzamenti con i fratelli Nicolas ed Alexandre Vinokourov e Andrey Remkhe, il Lussemburgo ha nel "solito" Wenzel e nel primo anno Kockelmann le punte, mentre nel Portogallo al via il vice campione del mondo degli ultimi due anni prima tra gli juniores e poi tra gli Under 23 Antonio Morgado che proprio a Glasgow ha ripreso a pedalare come c’eravamo abituati a vedere, ovvero fortissimo. Occhio a porgli limiti: tappe, e perché no, stesse bene, anche un piazzamento finale nelle prime dieci posizioni. Al via, da tenere d'occhio, anche il suo gemello Goncalo Tavares. La Slovenia ruota attorno a Gal Glivar, uno dei talenti emergenti del paese di Pogačar e Mohorič. Corridore completo, veloce, che se dovesse ritrovare la pedalata di maggio, quando vinse sia l’Orlen Grand Prix che la Carpathian Couriers Race, potrebbe provare a vincere qualche tappa.
Ci sono poi da seguire i tre corridori della UCI World Cycling Centre, davvero molto interessanti. Parliamo dell’algerino Hamza Amari, 31° all’ultimo mondiale, del sudafricano Travis Stedman, entrambi arrivano dalla Q36.5 e dell’eritreo Aklilu Arefayne, della squadra development della Intermarché e del quale ancora non conosciamo a pieno margini e caratteristiche, ma che potrebbe pure puntare a qualche tappa.
Infine la selezione dell'Auvergne Rhone-Alpes propone un sestetto molto interessante: segnaliamo due corridori che gli appassionati di ciclocross conoscono già: Théo Thomas, corridore che cerca piazzamenti in volata, ma occhio perché tiene bene anche su percorsi impegnativi e Rémi Lelandais, più adatto alle fughe come lo stesso Mathias Salanville.
(Nel momento in cui pubblichiamo l'articolo mancano ancora le conferme delle selezioni di tre squadre: Svizzera, Rep. Ceca, Messico. Nella Svizzera presente Jan Christen, lo conosciamo bene ormai, ma c'è curiosità invece su Isaac Del Toro, capitano del Messico. È uno dei nomi nuovi dell'ultimo biennio, dopo aver fatto vedere, lo scorso anno, cose interessanti nel ciclocross e i primi piazzamenti nelle corse di un giorno in Italia, nelle ultime settimane ha fatto un deciso salto di qualità. Da tenere d'occhio per un risultato finale in classifica nei 10. Per la Repubblica Ceca, invece, da seguire Pavel Novak, primo anno con doti interessanti in salita come dimostrano il 6° posto al Valle d'Aosta e il 2° alla Bassano-Monte Grappa).
ITALIA
Come di consueto capitolo a parte per i corridori di casa nostra. La Nazionale di Marino Amadori ha dovuto rinunciare per infortuni prima a Nicolas Milesi e poi a Dario Belletta, al loro posto inserito all'ultimo Giacomo Villa, uno dei corridori italiani più forti dell'ultimo biennio nella categoria Under 23, che proverà a entrare in fuga, e soprattutto sarà utile per dare una mano ai compagni più quotati. Il capitano per la classifica sarà Davide Piganzoli, già quinto nel 2022 a poco più di un minuto dal podio. Lo scorso anno, il corridore della Eolo-Kometa, una delle maggiori promesse per l'Italia nelle corse a tappe, viste le caratteristiche, si difende sia in salita che a crono, arrivava però in grande forma, ora c'è qualche punto interrogativo visto che nell'ultima corsa, quasi due mesi fa, si è ritirato per un malanno. Con lui Giulio Pellizzari, attesissimo nelle tappe di montagne, Alessandro Pinarello, altro corridore completo che ha vinto il ballottaggio con il compagno di squadra Alessio Martinelli e Alessandro Romele, amante della fuga, passista, che si occuperà di dare soprattutto una mano ai compagni. Infine Francesco Busatto, leader unico per le prime tappe. Il campione italiano Under 23 è uno dei corridori in assoluto più atteso nei primi giorni, punta forte ad almeno un paio di tappe, prima di mettersi al servizio della squadra nella seconda metà di Tour de l'Avenir.
ANTI PIGRO
Per chi non avesse voglia di leggere tutto, sintetizziamo con le nostre stellette in corridori più interessanti da seguire per classifica generale, tappe, eccetera.
CLASSIFICA
⭐⭐⭐⭐⭐ Staune-Mittet
⭐⭐⭐⭐ Riccitello
⭐⭐⭐Wilksch, Lecerf, Graat
⭐⭐ Piganzoli, Kulset, Golliker, Ryan
⭐Morgado, Pellizzari, Umba, Gomez, Rondel, Del Toro, van Belle, Tercero, Walker. Novak
VOLATE
⭐⭐⭐⭐⭐Lamperti
⭐⭐⭐⭐ Kogut
⭐⭐⭐Teutenberg, Pickrell, Fredheim
⭐⭐Van Mechelen
⭐ Loland, Gudnitz, Busatto, McDonald, Thomas
TAPPE MISTE/FUGHE
⭐⭐⭐⭐⭐Busatto, Hagenes
⭐⭐⭐⭐ Donaldson, Huby, Segaert, Morgado, Lamperti
⭐⭐⭐ Rootkin-Gray, Romeo, Foldager, Glivar, Kretschy
⭐⭐ Christen, Shmidt, Thierry, Huens, Hajek, Thomas
⭐ Wenzel, Reinderink, Villa, Nerurkar, Jorgenson, Lelandais
Teatro a pedali, ovvero dove si recita, dove si pedala!
Daniele Ronco parte da nonno Michele e, del resto, non potrebbe che partire da lui, «un uomo da cui ho imparato a vivere, senza orologio, senza televisione e senza telefono, viveva al ritmo delle stagioni, sapeva l'orario in base alla luce nel cortile, e conosceva i valori importanti».
Anche grazie a nonno Michele, Daniele ha tolto le rotelle dalla sua bicicletta a soli due anni e mezzo. Daniele che, in sella, è uno scalatore, Daniele che viene da Cumiana, una piccola borgata in cui tutti si conoscono, e, fin da ragazzo andava a scalare le vette lì intorno perché amava il senso della sfida, Daniele Ronco che, di lavoro, fa l'attore e, a teatro, ha portato la bicicletta, anzi, le biciclette, trasformandolo di fatto in un teatro a pedali.
Una quindicina di biciclette e gli spettatori che sono invitati a pedalare per illuminare il palco: «Qualcuno, quando sa che bisogna pedalare, si pone dubbi, altri vengono apposta, anche solo per curiosità, altri ancora capitano quasi per caso, con amici, e vogliono provare. Le reazioni sono varie e molteplici: poco tempo fa, sono andato personalmente a complimentarmi con due ragazzi che avevano pedalato, senza sosta, per tutto il tempo dello spettacolo. Mi hanno incuriosito e ho voluto salutarli di persona». Nonno Michele, forse, aveva qualcosa di quei ragazzi: alla sua bicicletta, infatti, non avrebbe mai rinunciato. Daniele gli ha dedicato un monologo: "Mi abbatto e sono felice": il primo monologo a impatto ambientale zero, scritto proprio dopo la sua scomparsa.
«I nonni sono speciali per tutti, così, mi è capitato di pensare che Michele fosse così unico soprattutto perché mio nonno. In realtà, spesso, in paese, qualcuno mi ferma e mi dice: "Com'era bravo tuo nonno". Allora ho capito che nonno non ha segnato solo la mia crescita, ma quella di molte persone che ha incontrato nelle sue giornate e lo ha fatto, semplicemente, con l'esempio e anche con la sua bicicletta. Geniale e carismatico». L'idea del teatro a pedali viene da nonno e da un documentario che Ronco ha visto non molto tempo fa: la storia di un ingegnere belga che aveva scelto di ridurre dell'80% il suo impatto ambientale sul pianeta.
Questo ingegnere era consulente energetico e aiutava le aziende a contenere le loro emissioni inquinanti: nel suo piccolo, in ufficio, alimentava la corrente necessaria a far funzionare il computer grazie a una cyclette. «Credo sia molto sciocco non avere cura del pianeta in cui viviamo, della nostra casa, in fondo. Non averne rispetto è deleterio ed è un messaggio da comunicare e da comunicare in maniera giusta. Io faccio l'attore e posso raccontarlo attraverso uno spettacolo. La mia azione concreta, perché serve un'azione concreta in queste cose». Così se il monologo c'è, è anche merito del pubblico che, mentre ascolta, pedala e fa fatica.
«Fatica è una bellissima parola. Almeno per quanto mi riguarda è un ingrediente importante della vita. La fatica della mente, forse, può essere tossica, quella del corpo è buona, è sana. Anche nel teatro si usa la fatica, si consiglia di correre, di fare fatica, prima di scene importanti, perché, così facendo, si entra maggiormente nella parte, ci si immedesima, perché la fatica toglie tutto quel che non serve, che è inutile. La fatica ha a che vedere con la realtà, con la verità». Per questo, nelle montagne che ha sempre scalato Daniele, salire è sempre stato il momento più bello «perché, in quel momento, si è esattamente, quel che si è, senza filtri, e saperlo è importante per ogni sfida della vita». La bicicletta è cambiata nel corso degli anni, cambiata moltissimo negli ultimi trent'anni, ma, in fondo, ha mantenuto i caratteri fondamentali, quelli che la rendono bella, importante, quelli che la rendono un mezzo di cambiamento o, per quanto, un mezzo che permette il cambiamento.
Daniele Ronco è certo che sia proprio la bicicletta a risvegliare una voce dentro di noi: la voce di tutto ciò che vorremmo fare ed invece non facciamo: «Sai quel sentimento negativo che alcune persone manifestano quando incontrano ciclisti? Si tratta del senso di colpa. Nella nostra interiorità, tutti sappiamo che dovremmo usare maggiormente la bicicletta, che farebbe bene a noi stessi e alla terra in cui viviamo, quando non lo facciamo, il senso di colpa si manifesta anche così, quasi respingendo la bicicletta. Il sentimento negativo di cui parlavo è qualcosa di spesso inconsapevole». A questo si aggiunge il fascino del motore, un tema che si è sviluppato soprattutto con il periodo del boom economico, con la sua cultura: una cultura di cui risentiamo ancora oggi.
La bicicletta che usa in scena Daniele l'ha trovata nel garage del nonno, insieme a tante altre cose che custodisce: è una vecchia Bianchi. Pedalare da solo non bastava, per cambiare le cose bisogna essere molti, così Ronco pedala con chiunque lo vada a vedere, ad ascoltare. Così questo racconto termina com'è iniziato, con nonno Michele, senza orologio, televisione e telefono, con la luce del sole ad indicare l'ora e una bicicletta che, a teatro, accende le luci e si va in scena. Daniele Ronco è pronto!
Il questionario cicloproustiano di Arianna Fidanza
Il tratto principale del tuo carattere?
Emotiva
Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Saper ascoltare e comprendere
Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
La trasparenza
Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
La sincerità
Il tuo peggior difetto?
La testardaggine
Il tuo hobby o passatempo preferito?
Mi piace cucinare, quando ho tempo, e leggere
Cosa sogni per la tua felicità?
Niente di più di quello che ho ora: una famiglia unita, una casa, e un lavoro che è come un sogno, magari una mia famiglia, un giorno
Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
Perdere una persona importante nella mia vita
Cosa vorresti essere?
Un ottimo esempio per i miei figli, se mai ne avrò uno, oppure una persona da cui qualcuno possa trarre ispirazione
In che paese/nazione vorresti vivere?
Amo l’Italia, in generale, ma Bergamo rimane la città in cui vorrei continuare a vivere, ho un legame speciale con questa città
Il tuo colore preferito?
Azzurro
Il tuo animale preferito?
Delfino
Il tuo scrittore preferito?
Nietzsche, non solo scrittore, ma anche filosofo e Giacomo Leopardi
Il tuo film preferito?
Pearl Harbor e Purple Hearts
Il tuo musicista o gruppo preferito?
Vasco Rossi e Ultimo
Il tuo corridore preferito?
Alessandro Petacchi
Un eroe e un'eroina nella tua vita reale?
Non ne ho, ma ammiro Ultimo per il successo che è riuscito ad ottenere nonostante quasi nessuno credesse in lui
Il tuo nome preferito?
Aurora
Cosa detesti?
La falsità
L’impresa ciclistica che ricordi di più?
La Parigi Roubaix vinta da Boonen
Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Da una corsa per cui mi sono preparata molto bene
Un dono che vorresti avere?
A volte, penso sarebbe il saper lasciar correre e accettare il fatto che non si possa avere sotto controllo ogni cosa
Come ti senti attualmente?
Stabile
Lascia scritto il tuo motto della vita
Hold on
Glasgow 2023: al telefono con il C.T. Paolo Sangalli
Domenica 13 agosto 2023, sulle strade che vanno da Loch Lomond a Glasgow, per un totale di 154,1 chilometri, si disputerà la prova in linea donne élite del Campionato del Mondo di ciclismo di Glasgow. Torna in palio la maglia iridata, indossata quest'anno da Annemiek van Vleuten, al termine della prova del 2022 a Wollongong, con quel finale che ancora oggi toglie il respiro, per quanto inaspettato, alla luce dell'infortunio dell'olandese, una microfrattura al gomito, pochi giorni prima, in una caduta, durante lo svolgimento della cronometro-staffetta mista. Un fulmine e dopo Giro, Tour e Vuelta, van Vleuten è stata ancora Campionessa del Mondo, seconda Lotte Kopecky, terza Silvia Persico. Dando un'occhiata all'albo d'oro degli ultimi dieci anni, l'ultima vittoria italiana è di due anni fa, Elisa Balsamo su Marianne Vos a Lovanio, mentre spicca una netta prevalenza di vittorie olandesi, ben sei: due di van Vleuten, due di van der Breggen, una di Blaak e una di Vos. A interrompere il loro dominio, oltre a Balsamo, come già detto, Pauline Ferrand-Prevòt, nel 2014, Elizabeth Armitstead, nel 2015, e Amalie Dideriksen nel 2016. I Paesi Bassi sono anche la nazione con più vittorie totali (14) contro le dieci della Francia e le sei del Belgio e dell'Italia, che anche quando non ha vinto, negli ultimi anni, ha spesso centrato il podio (citiamo i terzi posti di Ratto, Guderzo e Longo Borghini).
AL TELEFONO CON GLASGOW
Paolo Sangalli, C.T della nazionale su strada femminile italiana, ci risponde poco prima dell'inizio della prova del Team Relay e le prime parole sono per Elisa Longo Borghini, assente a causa di un'infezione alla coscia contratta durante il Tour de France: «Credo sia difficile per tutti, come è difficile per Elisa non essere qui. Longo Borghini, quando c'è, è una garanzia e parte sempre con i gradi da capitana. Ovviamente fare i conti con la sua assenza è pesante, ma deve essere chiaro: sono orgoglioso delle atlete convocate ed è certo che sapranno fare un'ottima prova, anche per Longo Borghini». Paolo Sangalli non si nasconde, non lo ha mai fatto, non è solito farlo, così mette sul piatto tutte le tematiche e lo fa con estrema sincerità: la sfortuna, ad esempio. La nazionale avrebbe dovuto avere due punte: Longo Borghini e Balsamo, di Longo Borghini abbiamo già parlato, Balsamo, invece arriva al Mondiale dal Tour, ritiratasi al termine della sesta tappa per affaticamento, anche in vista di Glasgow.
«Balsamo è una di quelle atlete con cui tutti vorrebbero lavorare per come è capace di mettersi a disposizione e di sacrificarsi, indubbiamente, però, anche per lei questa gara arriva in un momento particolare. Era necessario che mettesse fatica nelle gambe e, in Francia, lo ha fatto. Quando ci siamo visti, abbiamo lavorato sui wattaggi e sul recupero, in modo da essere al meglio domenica, ma ciò che è accaduto prima non si può cancellare». Qui, il C.T. apre una parentesi personale, su come sta vivendo questo Mondiale: «Bene, ma con la consapevolezza del fatto che le cose per noi non sono fino a qui andate come avremmo voluto, perché nell'avvicinamento la sfortuna ha avuto un ruolo determinante, però la sfortuna è un fattore del ciclismo e bisogna accettarlo. Chissà, magari nel 2024, arriverà pari fortuna. In fondo, ce la meriteremmo». Dato per assodato quanto già esposto, Sangalli torna a parlare del discorso che ha fatto e che farà in ogni momento alla squadra, fino a domenica: «Non ho ancora scelto le titolari: l'idea è che ogni atleta debba sentirsi fondamentale per questa squadra, qualunque sia il suo ruolo. Io chiedo di vedere un'Italia protagonista, in ogni fase di corsa. Voglio vedere una squadra che sia la squadra più forte del Mondiale. Se faremo in questo modo, avremo mostrato il nostro miglior volto ed i risultati saranno una conseguenza».
IL PERCORSO
Saranno 154,1 i chilometri da percorrere per tagliare il traguardo. Nel primo tratto, diciamo fino al chilometro 60, l'asperità principale sarà la salita di Crow Road. Diciamo principale non a caso perché, in realtà, il percorso prevede moltissimi strappi e strappetti che l'altimetria non categorizza come GPM, ma che appesantiranno le gambe delle atlete. Dal chilometro 60, invece, si entra nel circuito conclusivo, a Glasgow, da ripetere sei volte. Anche il discorso è simile: sebbene sia Montrose Street l'unica salita evidenziata, il tracciato sarà tortuoso. «Sai, in altre circostanze- spiega Paolo Sangalli- è possibile evidenziare un punto chiave in cui può decidersi la corsa. Quest'anno no e questo complica di molto le cose. Si tratta di un Mondiale che si può vincere o perdere in ogni momento, che sia lontano o vicino al traguardo. Servirà massima concentrazione, sempre».
A complicare ulteriormente le cose il fondo stradale, "brutto", per usare le parole del C.T., e le curve continue che trasformano la corsa in una continua serie di rilanci, anche in fasi di gara apparentemente tranquille: «Vi faccio un paio di considerazioni: la prima è relativa alla voglia delle atlete di vedere il percorso. Ovviamente abbiamo visto le gare degli junior e degli uomini élite, eppure tutte le atlete non vedevano l'ora di visionare con i loro occhi il tracciato. Più di altre volte. Proprio per questa imprevedibilità, le cicliste sentono l'esigenza di prendere personalmente confidenza con la strada, di vedere con i propri occhi le insidie e i tranelli. Ora che lo hanno visto, posso dire che a molte delle nostre convocate il tracciato è piaciuto». La seconda considerazione, che porta Paolo Sangalli, deriva proprio da questa ricognizione sul percorso: «Anche in allenamento, su una fila di otto, nove atlete, l'ultima della fila deve continuamente ripartire, rilanciare ed anche a ruota si fa fatica. Se questo accade in una fase tranquilla, come può essere la visione del tracciato, con solo poche atlete, pensate a cosa può accadere con un gruppo intero di atlete in cui ognuna vuole stare davanti. Pensate a cosa può accadere quando le favorite accenderanno la gara e, come detto, la gara può accendersi ovunque: la tensione in gruppo sarà palpabile». La nazionale sta tenendo costantemente monitorato il meteo e domenica le possibilità che venga a piovere non sono poche, anzi, sembrano lo scenario più probabile: «Pioggia significa corsa ancora più dura, su un tracciato così è un fattore fondamentale, aumenta il rischio di cadute o scivolate, soprattutto viste le varie curve presenti. Però pioverà per tutte e non possiamo trasformare la pioggia in un alibi».
LE FAVORITE
«Sorprese? La sorpresa sarebbe non vedere protagonista Lotte Kopecky, ma non succederà: Kopecky è fra le atlete che terremmo maggiormente d'occhio e farà una grande corsa». Inizia così la disamina delle favorite: Kopecky per quello che ha mostrato da inizio stagione, Kopecky per quello che ha mostrato al Tour de France. Dopo ieri sera, Kopecky anche per la gamba che ha mostrato in pista: una gamba che, per usare il gergo ciclistico, è "piena", decisamente "piena": di forza, grinta, velocità, rabbia agonistica. Fra le file dell'Italia, il discorso cade su Silvia Persico che, in virtù delle sue capacità da ciclocrossista, parte con un vantaggio non da poco in fatto di abilità a guidare la bicicletta (e non avevamo ancora visto il numero di ieri, dopo il problema al cambio, durante il Mixed Relay): «Sì, è un fatto. Guardate i vincitori delle varie prove degli scorsi giorni e vi renderete conto che questo emerge chiaramente: chi ha fatto o fa ciclocross ha qualcosa in più su questo tracciato, soprattutto sulle curve, ancor più se pioverà. Però attenzione: questa è e resta un gara in linea, in agosto, dopo una stagione difficile, con molte atlete che hanno corso sia Giro d'Italia che Tour de France. Dobbiamo considerare questo aspetto». Le precedenti prove, soprattutto quella maschile di domenica, hanno mostrato un livello altissimo e Sangalli spiega che il quarto posto di Venturelli nella prova junior è arrivato al termine di una prova corsa ottimamente, da protagoniste, in cui l'unico svantaggio è stato quello di trovarsi da soli in mezzo a nazionali con più atlete, da qui si torna a parlare di squadra e lo si fa dall'Olanda.
Le convocate: Wiebes, van Vleuten, Vos, Vollering, Markus, Bredewold, Adegeest, van Anrooij. Una corazzata, in sostanza. Vollering, in particolare, è attenzionata, per il Tour de France, certamente, ma non solo, per la sua condotta nelle classiche di inizio stagione, in cui è stata grande protagonista, mentre Wiebes e Vos potrebbero essere la carta da scegliere in caso di arrivo ad uno sprint di gruppo (molto difficile), o ridotto (più probabile). Senza dimenticare van Vleuten che, però, ha dichiarato di volersi mettere a disposizione della squadra. Sangalli avverte: «Indubbiamente è uno squadrone, ma questo può essere tanto un vantaggio quanto uno svantaggio, è già successo che team simili, poi, mancassero il centro. L'altro giorno osservavo Elena Cecchini mentre provava il percorso: l'attenzione che metteva in ogni dettaglio, per il proprio lavoro, ma anche quello delle compagne: atlete simili fanno squadra e con la squadra, con l'essere squadra, si può prevalere anche sugli squadroni che, magari, hanno valori assoluti maggiori».
I nomi da fare, alla partenza, sono almeno sette o otto e sono quelli che in questi giorni fanno tutti. Dal mazzo, il C.T. pesca altri due nomi: Liane Lippert, per la Germania, e Grace Brown per l'Australia. La prima, Lippert, non vince molto ma vince bene. Quest'anno l'abbiamo vista protagonista sia al Giro d'Italia che al Tour de France, dove ricordiamo la sua volata infinita sullo strappo di Mauriac, davanti a Kopecky e Persico. La seconda, Brown, è la carta ideale per le fughe, senza scordare, nelle fila dell'Australia, di Amanda Spratt e Brodie Chapman. Tra le altre, un posto di rilievo lo merita Marlen Reusser, una di quelle atlete che, se prende qualche metro, è molto difficile da andare a riprendere ed il tracciato, da questo punto di vista, la agevola. Sono, comunque, da verificare le sue condizioni dopo il ritiro, sofferente, nella cronometro di ieri.
Tra le fila della Polonia, obbligatorio menzionare Kasia Niewiadoma: il suo spirito battagliero, ben in mostra al Tour de France, avrà modo di sfogarsi. Come non menzionare Emma Norsgaard? Anche lei ben in vista allo scorso Tour de France, con un'azione memorabile. Altri nomi sono indubbiamente quelli di: Audrey Cordon-Ragot, Cédrine Kerbaol e Juliette Labous per la Francia, Niamh Fisher-Black e Ally Wollaston per la Nuova Zelanda, Kata Blanka Vas per l'Ungheria, Ashleigh Moolman Pasio per il Sudafrica, Elizabeth Deignan, Pfeiffer Georgi e Anna Shackley per la Gran Bretagna, Cecilie Uttrup Ludwig per la Danimarca. Infine per gli Stati Uniti Chloé Dygert, una delle protagoniste assolute di questa rassegna iridata, medagliata in pista e su strada, campionessa del mondo nell'inseguimento e a cronometro: la sua forma e magari la sua voglia di movimentare la gara potrebbe anche condizionare l'andamento della prova iridata e indirizzare in un senso o nell'altro la storia di questo Mondiale.
Il questionario cicloproustiano di Rachele Barbieri
Il tratto principale del tuo carattere?
Socievole ed impulsiva
Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Il portare rispetto
Qual è la qualità che apprezzi di più in una donna?
La generosità
Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
Il fatto di sentirli vicini anche quando sono lontani
Il tuo peggior difetto?
L'impulsività
Il tuo hobby o passatempo preferito
Fare shopping oppure stare in spiaggia
Cosa sogni per la tua felicità?
Una famiglia felice
Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
Perdere le persone a me più care
In che paese/nazione vorresti vivere?
Ai Caraibi
Il tuo colore preferito?
Verde
Il tuo animale preferito?
Il cane
Il tuo scrittore preferito?
In realtà, non ho uno scrittore preferito, in particolare
Il tuo film preferito?
In generale i film d'azione, mi piacciono molto
Il tuo musicista o gruppo preferito?
Cesare Cremonini, Vasco Rossi, Luciano Ligabue, ma direi tutta la musica pop
Il tuo corridore preferito?
Ne ho davvero diversi per fare un solo nome
Un eroe/un'eroina nella tua vita reale?
Non saprei proprio
Il tuo nome preferito?
Filippo
Cosa detesti?
L'ingiustizia e la cattiveria
L'impresa ciclistica che ricordi di più?
L'Olimpiade dei ragazzi, a Tokyo
Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
La Parigi-Roubaix
Un dono che vorresti avere?
Essere un poco più menefreghista, a volte
Come ti senti attualmente?
Felice, ma stressata
Lascia scritto il motto della tua vita
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