Il ciclismo femminile e il bisogno di cambiamento

Ogni anno The Cyclists' Alliance (TCA) conduce un articolato sondaggio per fotografare lo status quo del ciclismo femminile.
Obiettivo dell’indagine è quello di mettere in evidenza le principali criticità su cui intervenire per arrivare finalmente ad una situazione paritaria, sotto molteplici punti di vista, fra uomini e donne nel ciclismo professionistico.
Da pochi giorni sono stati presentati i risultati del sondaggio condotto per il 2021, che riteniamo importante condividere con i nostri lettori.
Sono 97 le cicliste professioniste che hanno partecipato, con la seguente suddivisione per disciplina: 68% strada, 13% pista, 7% ciclocross, 7% mtb cross country, 4% mtb marathon e 2% eRacing. Delle cicliste su strada il 27% è costituito da atlete che fanno parte di team World Tour, mentre il 73% gareggiano in team Continental.

Queste le criticità più rilevanti, emerse dal sondaggio.

SALARI

L’86% delle intervistate pensa che i salari siano troppo bassi rispetto all’impegno richiesto per la pratica di uno sport come il ciclismo a livello professionistico.
Il numero di cicliste professioniste senza salario è aumentato dal 17% nel 2018 al 34% nel 2021.
A causa della mancanza di un salario minimo stabilito per le atlete delle squadre Continental continua ad aumentare il divario salariale fra atlete delle squadre WT e atlete delle squadre Continental.
L’ottenimento di un salario minimo garantito anche per le atlete delle squadre Continental è uno degli aspetti indicati come determinanti per le atlete, seguito dalla richiesta di una maggiore copertura da parte delle TV per le gare femminili.

ASPETTI CONTRATTUALI

Anche in ambito contrattuale è presente una marcata disparità di trattamento fra atlete WT e atlete Continental con tutta una serie di minori tutele per le atlete Continental. Per citare un esempio l’assistenza medica è prevista da contratto per il 94% delle atlete WT, mentre solo il 33% delle atlete delle squadre Continental può usufruire dei medesimi servizi.

SECONDO LAVORO E STUDIO

Molte atlete portano avanti la loro carriera di cicliste professioniste mentre svolgono un secondo lavoro per far fronte alle necessità finanziarie e/o si dedicano ad un percorso di studi per assicurarsi la possibilità di un lavoro al termine della loro carriera da atlete.
Delle atlete intervistate il 38% si dedica allo studio mentre porta avanti la sua carriera; il 39% svolge un secondo lavoro, il 14% combina studio e un secondo lavoro con la propria carriera sportiva.
Fra le atlete che hanno un secondo lavoro il 24% lavora meno di 20 ore alla settimana, mentre il 15% lavora più di 20 ore settimanali. Il 67% delle atlete che lavorano più di 20 ore la settimana lo fanno perché non ricevono un salario dal proprio team, mentre il 14% riceve un salario inferiore ai 5.000 euro all’anno. Occorre sottolineare che le atlete, che lavorano più di 20 ore settimanali, sono quelle con un più elevato titolo di studio (il 67% ha conseguito un master o un dottorato, il 20% ha una laurea), che consente loro di trovare occupazioni che permettono una maggiore autonomia e quindi sono più facilmente gestibili insieme agli impegni per gare e allenamenti.

IMPATTO DEL COVID19 SULLA STAGIONE 2021

Rispetto alla stagione 2020, l’impatto del Covid19 sulla stagione in corso è stato tendenzialmente inferiore, ma continua ad evidenziarsi un maggiore effetto negativo sulle atlete delle squadre Continental, rispetto a quelle WT.
Nel 2020 il 29% delle atlete era andata incontro ad una contrazione salariale o lo aveva perso del tutto, mentre nel 2021 solo il 5% delle atlete WT ha sperimentato una riduzione di salario e l’1% delle atlete di squadre Continental si è ritrovata senza salario a causa delle problematiche legate al Covid19.
Nel 2021 il 20% delle atlete di squadre Continental hanno dovuto sostenere autonomamente il costo dei test Covid19 necessari per i viaggi per partecipare alle gare, mentre per il 94% delle atlete WT afferma che le spese per i test Covid19 sono a carico del team e parte del contratto che le lega alla squadra.
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La seconda e terza parte dell’indagine condotta da TCA, relative a temi legali, etici e culturali all’interno del gruppo, verranno presentate nelle prossime settimane e saranno oggetto di un successivo nostro approfondimento.


British Legacy

Una foto che assume diversi significati tra i quali l'ispirazione per chi inizia a correre, per chi sa che non deve mollare perché nella vita non si sa mai. Soprattutto quando inizi a fare qualche sport e magari chiudi gli occhi e ti immagini un giorno sul podio dei Giochi Olimpici.

Una foto che pare raccogliere direttamente l'eredità su pista dei Clancy, Wiggins, Thomas, Cavendish, eccetera.

Una foto che ritrae il podio della madison agli "School Games" inglesi del 2014. Li avrete anche riconosciuti (uno di loro sicuramente): i quattro ragazzi al centro (qui poco più che quindicenni) corrono nel World Tour, ma non solo. Tre di questi escono da Tokyo dopo aver conquistato titoli e medaglie. Sapete chi sono?

Togliendo il primo e l'ultimo, non sappiamo chi siano, da sinistra ecco Matthew Walls, BORA-hansgrohe, ventitré anni. A Tokyo oro nell'omnium e argento nella madison. Ma su strada si è già fatto notare, veloce e resistente: sì farà, ha le doti giuste.

Di fianco a lui: Ethan Hayter, INEOS Grenadiers. Ventitré anni li compirà fra qualche settimana e lui tra i giovani britannici è sempre stato ritenuto quello più interessante. Un predestinato, secondo la stampa di casa sua. Nel 2019 il Telegraph lo inserì tra gli otto profili da seguire - tra tutti gli sport - in vista di Tokyo.

Torna a casa con l'argento - conquistato in coppia proprio con Walls - e su di lui un certo Ed Clancy, leggenda della pista mondiale, disse, dopo che i due condivisero l'oro nell'inseguimento a squadre nella rassegna iridata del 2019, «A vederlo non sembra sia così giovane. Ha fatto due giri e mezzo in testa e ci ha strapazzati. È un po' come il prescelto, the choosen one. Tempo fa stavo guardando Matrix e ripensandoci mi sono sentito un po’ come Morpheus quando incontra Neo». Insomma, non stiamo nemmeno ad elencare quanto ha già vinto su strada Hayter, nelle categorie giovanili, possiamo immaginare quanto potrà vincere tra i professionisti - e in realtà ha già cominciato.

Scorrendo, sempre verso destra: Fred Wright. Lui forse è quello che, anche per caratteristiche, fatica di più a emergere, ma di questi è l'unico ad esempio, che ha già corso il Tour. Traguardo non di poco conto.

L'ultimo è il più conosciuto e riconoscibile, non serve nemmeno fare il suo nome. Del suo già noto palmarès non serve dire altro. Del suo potenziale, di quanto va forte e andrà ancora più forte nemmeno. Di quanto è piccolo rispetto ai suoi compagni di viaggio lo si vede a occhio.

Un foto che è passato, che è futuro e che per loro rappresenta un luminoso presente. L'eredità inglese si è fatta ingombrante: spalle larghe, talento, un insegnamento a crederci. Da una medaglia ai Giochi Scolastici a una ai Giochi Olimpici. Sembra un sogno di ragazzi, non lo è.


TRENTO CAPITALE

Le gocce di sudore che cadono sulla strada le posso quasi sentire.
Tanto è il silenzio, tanto è liscio e perfetto il fondo stradale.

Pedalo da quasi nove chilometri e la pendenza non ha mai mollato, salvo alcuni tratti. Dire che quel pneumatico là davanti scorra è una parola grossa.
Le salite al 10% mi piace metabolizzarle con calma, avvicinarmi preparato. Qui l’ho attaccata subito, uscito da Trento mi tocca una menata verso Candriai. Due punti a mio favore: il bosco e la quota che aumenta velocemente, uno dei vantaggi delle strade ripide, se vogliamo trovarne uno, e di conseguenza il fresco.

La città è la sotto, fa caldo. Buttando l’occhio in qualche tornante vedo scorrere l’Adige e la A22 con i suoi camion e i van dei turisti tedeschi che stanno tornando ad assaltare il Bel Paese. Curioso, da Trento quasi sempre ci passi, a meno che tu non ci viva, è difficile che succeda di fermarsi, ed è un peccato. Questa volta, invece, è stato proprio così. Sto bene e come sempre la meta vicina restituisce vigore, bevo un po’ alla borraccia e ho quel senso di euforia che ti fa sentire più forte, è sempre così in cima ad una salita.

© Jered Gruber

Per un attimo mi balena l’idea di proseguire per altri dieci chilometri, tenendomi a sinistra raggiungerei la cima del Bondone. Mi rinfresca il solo pensiero della nevicata del 1956 e di Charly Gaul semi-assiderato, va bene così, per oggi mi accontento, il mio giro prevede una veloce discesa verso Sopramonte per andare ad imboccare la Valle dei Laghi.

Va detto che sono contromano rispetto ai programmi di giornata: sono qui per percorrere la traccia che a settembre assegnerà la maglia di campione europeo su strada, solo che il primo tratto che porterà i professionisti da Trento alla Valle dei Laghi, attraverso le gallerie, non è normalmente percorribile in bici e verrà chiuso appositamente per la gara. Achtung, warning, vietatissimo! Me l’hanno sottolineato un sacco di volte i ragazzi dell’organizzazione. Poco male, dove sono passato io è più bello, magari più duro, ma va bene così. Filo via e mi godo l’asfalto, che è una materia non troppo nobile, ma che chi pedala sa apprezzare e riconoscere come un sommelier fa con il vino buono. Questo attorno a Trento è da palati fini, come il Trentodoc del resto, e tra mangia e bevi eccomi a Terlago, sono finalmente nei pressi del percorso di gara. La gamba gira, ho voglia di giocare al professionista, non lo fate mai? Magari non proprio in modo esplicito, ma quando mi metto giù spianato a scaricare tutti i watt di cui dispongo (quelli-di-cui-dispongo), mi sento un po’ van Aert, Alaphilippe, quello che quel giorno mi solletica la fantasia. Lo facevo da bambino, lo faccio ancora adesso.
C’è chi ammette di farlo e chi mente.

© Jered Gruber

Terlago affascina, con le sue costruzioni di un’altra epoca. Scattando le foto di questo servizio, qualche giorno prima, Jered e Ashley, che vengono dalla Louisiana, non riuscivano a staccare gli occhi da uno stabile d’epoca in vendita, proprio sulla strettoia dove la strada ricomincia a salire. È pazzesco cosa possano suscitare certi paesini delle vallate alpine agli stranieri che li vedono per la prima volta! Pedalo verso Vezzano, si sale un po’, immagino il gruppo con le divise delle nazionali che procede a velocità di crociera, magari controllando una fuga con qualche minuto di vantaggio. Adesso mi sento un po’ Daniel Oss, per rimanere in zona, che mena là davanti con i compagni in maglia azzurra a ruota, ma senza esagerare, l’azione vera sarà più avanti secondo il piano gara.

Un occhio mi cade sul bivio verso destra, i local mi avevano segnalato che da lì sale una strada che in sei chilometri circa porta a Lago Santo e Lago di Lamar. Il primo tratto è per veri scalatori, c’è anche un centina-io di metri ad un certo punto con pendenze ben oltre il 20%, dopo però si fa più pedalabile. Faccio finta di niente e tiro dritto, ho un gruppo da riportare a Trento, io. Poco più avanti, però, decido di deviare. Da Vezzano mi porto a Lon e da lì inizia la salita che collega a Ranzo: è un qualcosa di imperdibile. La strada provinciale 18 è scavata nella roccia e taglia in diagonale la parete che si affaccia sulla valle sottostante. Soffro anche di vertigini (e chi me lo fa fare?), il vuoto mi dà senso di smarrimento e lì sotto, alla mia sinistra, c’è uno strapiombo verticale che aumenta costantemente. Mi tengo sulla destra, appiccicato alla parete rocciosa più che posso, guardo il paesaggio in lontananza, vedo luccicare i laghi, torno con gli occhi sul mio Wahoo e spingo sui pedali per non farmi venire l’ansia: bello e spaventoso allo stesso tempo. A Ranzo bevo, riempio la borraccia e giro la bici, l’unica via per tornare indietro è quella appena percorsa e la picchiata in discesa sul lato destro della strada, quello dello strapiombo, è ancora più elettrizzante. Oltretutto la strada è stretta e non posso nemmeno stare troppo in mezzo, un’auto in salita sarebbe un guaio. Si va veloce, mi sento in parapendio, più che in bici, sembra davvero di volare. Mi hanno raccontato che salendo con una gravel, da Ranzo c’è poi una meravigliosa strada forestale sterrata che conduce al lago di Molveno: questa mi interessa, la segno nella lista delle cose che devo fare prima possibile.

© Jered Gruber

Rieccomi sul percorso europeo, ho strizzato in discesa, lo ammetto ma sono a fondovalle e ora me la godo. E pensare che da Terlago a Vezzano avrei potuto scorrazzare in una fluida ed estetica ciclabile… Davanti al mio sguardo si apre la Valle dei Laghi, che è uno spettacolo, una serie di specchi d’acqua generati dal passaggio del Sarca, che poi andrà a sfociare nel lago di Garda. In queste situazioni la meraviglia del paesaggio ti fa sentire fortunato, ogni boccata d’aria ti dà un senso di stordimento e le gambe sembrano girare come non mai. 

Ah, già che sono un Pro del gruppo! Poco prima fiancheggiavo un muro di roccia, ora sono a presa bassa tirando il rapportone tra filari ordinati di vigne, dove nasce il prezioso Vino Santo, con l’antico castello di Toblino sullo sfondo e la sua caratteristica posizione su un promontorio che lo fa sembrare sospeso sulle acque. Angolo Superquark: si dice che duemila anni fa, con le acque più alte di almeno due metri, questa fosse un’isolotta nel lago e che in epoca romana fosse considerata sacra e consacrata al culto delle fate e dei fati, divinità capaci di prevedere il futuro. Magari qualcuno dei corridori in lizza per la maglia a stelle proverà ad interrogarli, sfilando sulla veloce statale di fondo valle. 

© Jered Gruber

Intanto io continuo il mio giro e ogni tanto mi infilo in piccole deviazioni dalla rotta principale che permettono di attraversare zone rurali dal traffico automobilistico inesistente: sono quelle che rendono unica l’esperienza (e che mi permettono di tirare il fiato e abbassare il ritmo). Troppo bello guardarsi intorno. In vista del lago di Cavedine, ancora filari, che da queste parti sono maniacalmente ordinati e puliti e ancora wow! per lo scenario. Acqua verde placida, riflessi che ti incantano. Pedalare di fianco all’acqua piace a tutti, deve essere una deformazione mentale dei ciclisti, anche se mi risuonano in mente le parole di Ashley, che si era appostata da quelle parti per scattare un po’ di foto: «A voi piacciono tanto i laghi, a noi che dobbiamo fotografare molto meno. Sono difficili da far risaltare in foto, alla fine sembrano tutti uguali!».
Se lo dice lei… E non poteva esistere un giro più alvento di questo: di colpo mi sento rallentare da una forte brezza contraria. È inizio pomeriggio, ecco l’Ora del Garda. 

Vento, una corrente che soffia da sud a nord, nei periodi caldi pressoché tutti i giorni, aumentando man mano che si allontana dal lago. È quel vento che fa la fortuna dei velisti a Torbole e dintorni, quello che in certe giornate ti inchioda e ti viene da maledirlo mentre superi lo specchio d’acqua di Cavedine, ma che col caldo estivo tutto sommato ti fa anche piacere.

Oggi si viaggia e a me piace stare alvento, ancora una volta gioco al corridore e mi immagino di avere i capi-tani dietro belli coperti e di menare per fendere l’aria e portarli freschi dove si scatenerà la bagarre per le medaglie.  Ma ancora una volta il Trentino mi sbalordisce e mi risveglia dalle fantasie da corridore. Il paesaggio cambia di colpo, come fossi teletrasportato altrove: ho appena lasciato il lago di Cavedine sulla mia destra, inizio a salire per un breve tratto e al momento di scollinare, di colpo, dal verde dei prati e dei vigneti mi ritrovo in mezzo a rocce, massi e detriti in un vero paesaggio lunare. Le Marocche di Dro, mi spiegheranno poi. Una delle più grandi frane visibili in Europa, probabilmente di epoca post glaciale. Spettrale, sicuramente affascinante. Il vento da sud, il silenzio, una flora quasi mediterranea che spunta dove riesce tra le rocce e la leggenda dell’antico abitato di Kas che aleggia, distrutto dalle divinità per punire la lussuria dei suoi abitanti, si narra. Qualcuno vuole che anche Dante ne abbia parlato nel canto XII dell’Inferno, ma non tutti sono d’accordo ed eviterei una discussione del genere. Io mi godo la bella strada che serpeggia in discesa tra mezze curve e un particolare guard rail in metallo rosso.

© Jered Gruber

Sullo sfondo il Castello di Arco, poco più a sud il Garda. Meraviglioso, andrei avanti a scendere così per molti chilometri ancora, ma sono già arrivato al bivio da cui si risale a Vigo di Cavedine, passando davanti alle maestose rovine di Castel Drena e alla sua torre medievale quasi intatta. Circa sei chilometri, la pendenza è regolare, tra 5-6%. La strada è larga e abbastanza trafficata, io sono discretamente bollito, ma provo a immedesimarmi ancora nei corridori: velocità alta, bivio, curva a destra, quelli davanti al gruppo in piedi con il 53 a rilanciare l’andatura dopo la discesa, e via a ritmo alto fino al gpm del Passo Sant’Uldarico di Vigo. E ancora stupore per me, che la prendo invece molto più easy e mi godo il paesaggio verde degli ulivi e degli immancabili vigneti, soprattutto quando imbocco la valle di Cavedine in direzione Lasino, quindi Vezzano. 

In gara ci sarà poco da guardarsi intorno, qui il gruppo andrà a sessanta all’ora, sfruttando la leggera discesa e la strada larga (sempre quel bell’asfalto di cui parlavamo che fa tutta la differenza del mondo). Poco dopo Lasino (che si legge con l’accento sulla i e non c’entra con la bestia da soma), volendo, c’è la salita verso il Bondone meno nota, più da local, forse più dura, anche per come è fatta la strada, con lunghi rettilinei e pendenza costante, anche se il bosco mitiga il sole che nel pomeriggio picchia bello forte. Ma non mi faccio attrarre dalle sirene della salitona, non oggi che ho un compito da portare a termine e salgo comunque, regolare, verso Vigolo Baselga. C’è un po’ di traffico e scelgo la perfetta ciclabile: quando esistono e sono manutenute come si deve, in certi momenti sono una benedizione. Stringo i denti, la salita non è lunghissima ma nemmeno banale, vado su da Sopramonte a Candriai e ripercorro quel pezzo che stamattina sembrava così breve, sfrecciando in discesa. Già, perché il gruppo durante l’Europeo di qui transiterà in salita fino a Candriai per poi catapultarsi su Trento lungo il tratto del Bondone che ho pedalato in mattinata.


In un attimo sono giù, rientro a Trento ed ecco l’immancabile traffico cittadino. Facessi parte del gruppo immaginario che insegue la maglia di campione europeo mi attenderebbero otto giri a tutta di un circuito da tredici chilometri e circa 250 metri di dislivello, che passa dalla centralissima via Roma, si arrampica verso Povo nella zona universitaria e poi scende di nuovo, con velocità abbastanza sostenuta, verso la città, per passare nel quartiere delle Albere, disegnato da Renzo Piano, davanti al celebre Muse, per poi fiondarsi, dopo l’ultimo giro, sul traguardo di Piazza Duomo. Provo a pensare a chi potrebbero essere i favo-riti e rifletto sul fatto che una salitella, magari insignificante per un professionista, come quella di Povo, dopo otto tornate e dopo i 76 chilometri del circuito che ho appena pedalato, possa anche fare la differenza. Io mi accontento di un giro solo, in scioltezza, guardandomi attorno, apprezzando i tratti di una cittadina moderna, quasi mitteleuropea, in cui si respira benessere e welfare. Mi viene voglia di fermarmi qui per un po’ di tempo, per pianificare qualche giro nelle vallate circostanti. Da Povo, punto più alto del circuito cittadino, potrei proseguire verso i laghi di Levico e la Valsugana, con poco traffico, per pedalare su ciclabili perfette e magari affrontare qualche sfida di quelle serie, per esempio il Menador da Caldonazzo, anche se non sono proprio uno scalatore da 15%.

Non so a cosa abbiano pensato esattamente gli organizzatori del Campionato Europeo su strada di Trento quando hanno ottenuto l’assegnazione dell’evento, ma il potenziale per le due ruote attorno al capoluogo è sorprendente. Per varietà, per qualità delle strade, per servizi, al di fuori dagli snodi principali anche per il poco traffico. Insomma, il mio giro doveva essere una ricognizione per capire come mai l’UCI avesse scelto Trento come sede degli Europei su strada. 

Ho ricaricato la bici in auto pensando di aver pedalato in una capitale moderna delle due ruote.

 

[servizio pubblicato su Alvento 16 di agosto 2021 - se ti interessa la copia cartacea, clicca qui]


Dediche

La rincorsa di Mørkøv alla medaglia olimpica inizia nel 2017, quando gli dissero che la madison sarebbe rientrata nel programma olimpico. «Mi stavo facendo un culo così in salita sull’Alpe d’Huez, al Delfinato, e pensavo che l’unico motivo valido per continuare a farlo sarebbe stato puntare a vincere ancora qualcosa in pista».
Oggi ha dominato in coppia con Lasse Norman Hansen, erano i favoriti, ma quando mai basta esserlo? In questi Giochi Olimpici, poi, tesi tutti a stracciare ciò che sta scritto sulla carta. In una disciplina incerta e folle come la madison: confermarsi è l'atto più difficile.
A vedere la tranquillità con la quale i due danesi hanno macinato giri e punti nessun dubbio sull'esito finale. E Mørkøv, il miglior pesce-pilota al mondo (chiedere a Cavendish, a Bennett, a Viviani), uno che di mestiere fa vincere gli altri, uno che ha un'importanza esagerata nei successi in volata dei suoi compagni di squadra, oggi ha vinto. Ma ha vinto lui, davvero. In coppia, sì, ma quella medaglia è proprio sua. Non è che "un pezzo della vittoria è anche di Mørkøv", no, è roba sua.
Ha una dedica pronta, a suo figlio che ripercorre le sue orme: «A volte, quando sono con mio figlio e lo accompagno alle gare, mi rivedo nel mio vecchio. Magari se non fossi assieme a lui - penso - andrebbe più veloce, ma alla fine è mio figlio e voglio stargli vicino, come avrei voluto che mio padre avesse fatto con me». E probabilmente un pensiero proprio a suo padre che ha rivisto l'ultima volta nel 2007 su un letto d'ospedale. «Quando realizzo qualcosa di importante, penso a come sarebbe orgoglioso di me».
Non serviranno le vittorie per rendere un padre orgoglioso di un figlio, certo, ma oggi sarebbe stata una giornata speciale.


Quello che Ten Dam ha imparato

Laurens Ten Dam ha corso diciassette anni nel professionismo, eppure ha conosciuto davvero la bicicletta solo qualche settimana fa, quando è arrivato secondo nella Unbound Gravel, duecento miglia unsupported intorno a Emporia.
«Prima di partire per Gravel Locos ho detto a Ted King che doveva essere pazzo a correre a tre settimane dalla rottura della clavicola - spiega a Cyclingnews - Giusto un paio d'ore per capire come tutto fosse diverso».
In realtà, che questo fosse un altro volto del ciclismo, l'ha visto appena ha forato e ha dovuto sistemare da solo la ruota. «Sei abituato a chiedere aiuto ma sei da solo e per ripartire devi arrangiarti».
In Kansas un ragazzo è andato a bussare a una fattoria per chiedere una pompa per gonfiare una ruota, l'olandese l'ha guardato stupito: «Credi possano aiutarti? Quante pompe vuoi che possiedano?». Nel mentre si sfidava con Ian Boswell per il primo posto. «Seccato per il secondo posto, ma ringrazio la bicicletta per tutte le avventure che mi fa vivere e le persone che mi fa conoscere».
Ten Dam vorrebbe raccontare tutte le storie dei folli che corrono queste gare. «Posso raccontare a mio padre cosa ho fatto, però non potrà mai saperlo davvero se non lo proverà. Porterò qui i miei amici: saranno in fondo al gruppo e arriveranno ultimi, ma vivranno questa esperienza e torneranno felici».


Acqua e sapone

Il 13 luglio, Francesco Lamon era appena tornato da Montichiari, quando si è unito alla sua squadra, Biesse Arvedi. «Quella sera era contentissimo» spiega il diesse Marco Milesi. «Da giorni facevano tempi pazzeschi, mi disse: "Possiamo fare il record del mondo"». Detto, fatto: record e medaglia d’oro nell’inseguimento a squadre. Lui, ragazzo semplice ma consapevole. «Ogni volta mi chiede cosa può fare per la squadra nelle gare in linea. C’è chi cerca di mettersi in mostra, lui è sempre a disposizione».
Una volta Lamon si è ritrovato in fuga, Milesi gli chiede sorpreso spiegazioni. Lamon lo spiazza e lo fa sorridere: «Sono capitato qui ma non voglio restarci, questi vanno fortissimo. Per favore, metti i ragazzi a tirare». Marco Milesi scherza: «Quando corrono loro, Montichiari trema». Sa bene che non è stato facile, come lo sanno i genitori di Lamon.
Hanno raccontato di aver fuso i motori di tre auto per seguirlo nelle gare. Suo padre, tecnico in ospedale, ieri mattina, ha chiesto qualche minuto di pausa per vedere la prova. Era il suo compleanno, pensate che regalo.
Francesco ha ventisette anni e dai propri compagni di squadra è visto come un esempio.
«Agli allenamenti arrivava davvero stanchissimo- prosegue Milesi- non gli si poteva chiedere altro. A primavera, poi, la tensione per le convocazioni era terribile». Il duro lavoro paga e questa ne è la dimostrazione. «Lo chiamerò per fargli i complimenti. Sono certo che questo oro gli darà molto, Lamon, però, resterà il ragazzo acqua e sapone che conosciamo tutti».


I borghi in bici

In Trentino sono sei le località inserite nell’elenco dei Borghi più belli d’Italia: dalle Giudicarie all’Alto Garda, dalla Valle del Chiese alle valli dolomitiche. Noi, ovviamente, li abbiamo visitati… in bicicletta.

Appartati tra le montagne, circondati dai boschi o da distese coltivate, i borghi del Trentino aprono le porte facendo parlare le corti con le tipiche fontane in pietra, i porticati, i fienili e i ballatoi in legno dove ancora si fanno essiccare le pannocchie di granturco oppure le noci. È molto semplice: si parcheggia la bici e il viaggio ha così inizio, per ogni borgo.

San Lorenzo, borgo del benessere. Situato ai piedi delle Dolomiti di Brenta, questo borgo è nato dalla fusione di sette Ville: Berghi, Pergnano, Senaso, Dolaso, Prato, Prusa e Glolo. Camminando senza fretta tra le stradine delle sette frazioni si possono ancora osservare rare architetture rurali caratterizzate da elementi architettonici unici come i pont, le rampe carrabili per accedere ai depositi di fieno, gli essiccatoi e i fienili nella parte alta delle abitazioni. La parola d’ordine è relax, infatti molti maestri yogi e altri professionisti del benessere operano proprio qui. San Lorenzo è inoltre la patria della ciuiga, un insaccato presidio slow food al quale è dedicato un intero weekend di festa nel cuore dell’autunno, che si può degustare al Ristoro Dolomiti di Brenta, all’ingresso della Val d’Ambièz.

A San Lorenzo si arriva comodamente in bici da Molveno, costeggiando il lago fino all’Oasi di Nembia. Per proseguire evitando la strada provinciale, si può percorrere lo sterrato che scende in località Deggia, passando dal Santuario della Madonna di Caravaggio e dalla frazione di Moline prima di salire a San Lorenzo.

Rango, dal cuore rurale. Salendo verso l’altopiano del Bleggio, attraverso un paesaggio rurale disegnato dalle coltivazioni della patata di montagna, si giunge a Rango. Il portech de la Flor è la prima tipica struttura abitativa che salta agli occhi: il nucleo più antico e monumentale del borgo, esempio per tutti gli altri porteghi che nel tempo hanno impreziosito l’abitato. Portici, cantine, androni, grandi fontane e recinzioni in pietra, vie lastricate ed antiche dimore. La Noce del Bleggio, oggi presidio Slow Food, è alla base di tante gustose ricette locali e le hanno dedicato anche una facile passeggiata che si sviluppa su strade di campagna. Per una fetta di torta alle noci cotta nel forno a legna c’è il Panificio Riccadonna, mentre nel vicino abitato di Cavrasto l’Azienda agricola Il Noce è specializzata in prodotti a base di noci del Bleggio, dolci, pesti, olio e altro ancora.

Canale di Tenno, atmosfere medievali. Qui si passeggia sui viottoli selciati passando sotto archi, porticati e robuste mura che collegano le abitazioni l’una all’altra. Uno dei riferimenti nel borgo, conosciuto anche all’estero, è la Casa degli Artisti Giacomo Vittone che ospita esposizioni ed eventi artistici. La Locanda del Borgo nella piazzetta centrale è il posto giusto per uno spuntino e per assaggiare la vera specialità di questa zona, la carne salada e il suo contorno ideale di fasoi, i fagioli.

Bondone, il borgo sopra le nuvole. Affacciato sul Lago d’Idro, è l’ultimo accolto nei Borghi più belli d’Italia in Trentino. Siamo nel comune più a sud in Valle del Chiese, al confine con la Lombardia, dove questo borgo nasce storicamente come paese di carbonai. Camminare tra questa vie è come tornare indietro a stagioni lontane e dure, quando i carbonai e le loro famiglie vivevano qui solo per quattro mesi lasciando, poi, il borgo sprofondare nel silenzio. È piacevole pedalare sulla ciclabile che da Lardaro percorre la Valle del Chiese fino al Lago d’Idro con il suo esteso biotopo. Per raggiungere Bondone, invece, si sale per 4 km a pendenze toste ma comunque accessibili. Per una sosta con vista sul Lago d’Idro noi abbiamo scelto il Ristorante Pizzeria Miralago nella frazione di Baitoni. Insieme ai piatti di pesce si può degustare la polenta fatta con la famosa farina gialla di Storo, prodotto simbolo della Valle del Chiese.

Mezzano, per una fuga romantica. Nella valle di Primiero, questo borgo è un vero e proprio museo a cielo aperto. Da visitare semplicemente passeggiando lungo alcuni percorsi tematici che invitano a rintracciare tra le case i segni sparsi del rurale, ma in particolare le celebri  cataste di legna che qui si fanno arte grazie all’iniziativa Cataste&Canzei. Al Caseificio di Primiero si può acquistare la famosa tosèla, formaggio fresco tipico di questa zona e in estate anche il burro Botìro di malga e dopo un giro nel paese si può sostare al Ristorante la Lontra. La pista ciclabile in Valle di Primiero, inizia a Masi di Imer: pianeggiante, collega tutte le località compreso Mezzano, che dista solo 1,5 km da Imer e 3 km da Fiera di Primiero. E dall’estate 2020 chi ha le gambe buone può raggiungere da Siror sul fondovalle direttamente San Martino di Castrozza grazie a ulteriori 9 km di ciclabile tutti nuovi.

Vigo di Fassa, ai piedi del castello di Re Laurino. Nelle Dolomiti del Trentino c’è un secondo Borgo più bello d’Italia, proprio sotto al gruppo del Catinaccio – Rosengarten, patrimonio mondiale UNESCO che la leggenda vuole dimora di Laurino, il re nei nani. Spostarsi in bici lungo la Val di Fassa è davvero semplice e molto appagante per gli occhi. Abbandonata la ciclabile si deve iniziare a salire per raggiungere l’abitato. Vigo conta tante frazioni e tra queste Tamiòn dove, tra le case con gli antichi fienili, sorge una chiesetta dedicata alla Santissima Trinità. Invece il santuario gotico di Santa Giuliana è uno dei più antichi della valle. È intitolato alla patrona della Val di Fassa e racchiude preziosi cicli di affreschi del XV Secolo. Sorge su un luogo di culto preistorico, il Doss del Ciaslìr, legato anche a vicende intrecciate con i processi per stregoneria che interessarono drammaticamente la comunità fassana nel 1627-28. Siamo sulla Strada dei formaggi delle Dolomiti che in Val di Fassa è rappresentata dal Cher de Fascia e dal Puzzone di Moena. Non mancano mai nei menù del ristorante tipico El Tobià a Vigo e dello stellato L’Chimpl nella frazione Tamiòn.

Foto © Jered Gruber – riproduzione riservata


Storie Rosa

San Martino di Castrozza è stato per tre anni sede di arrivo della Corsa Rosa, con le tappe del 1982 (nel secondo Giro vinto da Bernard Hinault, successo di tappa dello spagnolo Vicente Belda), del 2009 quando a imporsi fu Stefano Garzelli nel Giro vinto da Denis Menchov, e del 2019 con la vittoria di Esteban Chaves.

Molte le volte che hanno registrato il passaggio del Giro d’Italia sul Passo Manghen, lo storico valico tra Valsugana e Val di Fiemme. Tra le tante ricordiamo quella del Giro d’Italia del 1976 nella tappa Vigo di Fassa - Terme di Comano. In vetta al Manghen (prima delle due asperità di giornata) scollinarono in testa Francesco Moser e Roberto Poggiali. L’ obiettivo del tandem della Sanson era attaccare la maglia rosa De Muynck che il giorno prima aveva sfilato la rosa a Gimondi. Da abile discesista, Moser, creò il vuoto. Una volta tornati in valle, i due percorsero l’intero tratto della Valsugana improvvisando una cronometro a coppie. Che purtroppo, però, non fu sufficiente.

Un altro passaggio storico sul Passo Manghen è quello del 25 maggio 2012 nel corso della tappa da Treviso all’Alpe di Pampeago vinta dal ceco Roman Kreuziger davanti a Ryder Hesjedal che due giorni dopo, nella cronometro finale, si sarebbe aggiudicato il Giro con 16 secondi di vantaggio sullo spagnolo Joaquim Rodriguez.

Foto: Jered Gruber

Il Passo Rolle, invece, è stato il primo passo dolomitico ad essere affrontato dal Giro d’Italia nel 1937. Il primo a scollinare fu Gino Bartali che poi si aggiudicò anche la classifica finale. A ricordo di quel passaggio è stata realizzata in vetta al Rolle un’opera d’arte presentata durante la Dolomiti Alpina Vintage, alla presenza di Andrea Bartali, figlio di Gino. Nel 1962, in una edizione del Giro condizionata dalle nevicate durante le tappe dolomitiche, patron Vincenzo Torriani fu costretto a interrompere la tappa da Belluno a Moena proprio sul Passo Rolle, per la troppa neve caduta.

Il Giro in Val Rendena

Il primo ricordo è dell’8 giugno 1977. A Pinzolo, Giovanni Battista Baronchelli anticipa allo sprint Michel Pollentier. Il belga indossa la maglia rosa strappata a Francesco Moser il giorno prima all’arrivo di Col Drusciè. Fu un tappone davvero tremendo: Valparola, Gardena, Sella, Costalunga, Mendola, Campo Carlo Magno prima della picchiata su Pinzolo. Moser chiuse quella tappa al settimo posto a un minuto e 25 secondi e vide allontanarsi quasi definitivamente la sua possibilità di vestirsi di rosa in Piazza Duomo a Milano dove la corsa si concluse con il successo di Pollentier.

Il 19 maggio 1985 il Giro tornò a Pinzolo. Questa volta entrano in scena i big dello sprint. Vinse Giuseppe Saronni in maglia rosa. Dietro di lui Da Silva, Van der Velde e tutti gli altri. Vittoria finale di Bernard Hinault (al terzo centro su altrettante partecipazioni) davanti a Francesco Moser, vincitore delle cronometro di Verona e Lucca e, in volata, sul traguardo di Saint Vincent.

Quattordici anni dopo, il 4 giugno 1999, il Giro torna in Val Rendena. Si arriva a Madonna di Campiglio e si assiste all’ennesimo “show quotidiano” di Marco Pantani, già primo al Gran Sasso, al Santuario d’Oropa e all’Alpe di Pampeago. Massimo Codol, Laurent Jalabert e Gibo Simoni sono i primi a chiudere alle spalle del “pirata” sempre più dominatore di un Giro che può solamente perdere. Il giorno dopo, però, è il Giro a perdere il più grande.
Il 24 maggio 2015 Madonna di Campiglio è nuovamente arrivo di tappa. Il terreno è per gli scalatori che rispondono all’appello appena la strada inizia a salire. Il primo sotto lo striscione di arrivo è Mikel Landa. Terzo chiude Alberto Contador. Lo spagnolo conferma la maglia rosa indossata il giorno prima nella crono di Valdobbiadene e, da Madonna di Campiglio, si avvia a vincere il Giro.


Le 23 grandi salite

Ok le ciclabili, ok i borghi, ok gli aperitivi a base di Trento d.o.c., ok tutto. Ora però è arrivato il momento di vestirci aderenti, depilare la gamba e fare salire i battititi.
Ecco 23 grandi salite tutte davvero meravigliose su cui misurarci.
La più bella? Ditecelo voi.

Trovate tutte i file gpx nella nostra raccolta 23 grandi salite Trentino su Komoot.

Passo Pampeago
Distanza: 10,4 km
Dislivello: 1000+

Monte Bondone
Distanza: 17,4 km
Dislivello: 1371+

Fai delle Paganella
Distanza: 11,6 km
Dislivello: 824+

Monte Velo
Distanza: 12,3 km
Dislivello: 1147+

Passo Pordoi
Distanza: 11,5 km
Dislivello: 793+

Passo Rolle - Primiero
Distanza: 22,5 km
Dislivello: 1411+

Passo Manghen - Valsugana
Distanza: 23,1 km
Dislivello: 1795+

Passo Coe
Distanza: 19,6 km
Dislivello: 1522+

Sega di Ala
Distanza: 11 km
Dislivello: 1301+

Passo Durone
Distanza: 10,1 km
Dislivello: 613+

Passo Mendola
Distanza: 15 km
Dislivello: 621+

Passo Manghen – Fiemme
Distanza: 16 km
Dislivello: 1396+

Passo Tonale
Distanza: 15 km
Dislivello: 1078+

Madonna di Campiglio
Distanza: 15,6 km
Dislivello: 979+

Campionissimi – Palù di Giovo
Distanza: 6,4 km
Dislivello: 443+

Menador
Distanza: 8,2 km
Dislivello: 900+

Peio Fonti
Distanza: 9,5 km
Dislivello: 476+

Polsa
Distanza: 18,9 km
Dislivello: 1127+

Vetriolo
Distanza: 13,1 km
Dislivello: 1080+

Panarotta
Distanza: 14,8 km
Dislivello: 1499+

Gardeccia
Distanza: 6,2 km
Dislivello: 654+

Passo Rolle – Predazzo
Distanza: 19,9 km
Dislivello: 1008+

Passo Daone
Distanza: 8,1 km
Dislivello: 838+

Foto © Jered Gruber - riproduzione riservata


DoGa - Dalle Dolomiti al Garda

Dopo aver parlato delle 11 ciclabili del Trentino eccoci con la dodicesima che, però, merita un capitolo tutto suo. Si tratta di DoGa, dove Do sta per Dolomiti e Ga sta per Garda. Avete quindi capito di cosa si tratta?

Un itinerario cicloturistico da 110 km con partenza in Val di Sole, a Malè, che vi porta direttamente a Riva del Garda. Dalle Dolomiti al Garda, appunto, attraverso strade secondarie e forestali immerse nel verde e poco battute.

Un percorso dove la parola sostenibilità la fa da padrone, tanto che anche il luogo di partenza si consiglia di raggiungerlo in treno, tramite il collegamento ferroviario Trento-Malé-Mezzana, passante da Mezzocorona e partente da Trento (stazioni di Trenitalia).
Il percorso non è una barzelletta e quindi è adatto sono a persone davvero allenate, basti pensare che si devono superare ben tre passi dolomitici, per un totale di oltre 2000 metri di dislivello. Ovviamente è obbligatorio pedalare su una mtb o una gravel, altre bici sono decisamente sconsigliate o sarebbe meglio dire vietate.

Non ne siete sicuri? Ecco come è divisa la superficie stradale:
- 51 km di strade secondarie, asfaltate;
- 25 km asfaltati di piste ciclabili, asfaltate;
- 20 km di strade forestali, sterrate;
- 14 km di strade principali.
Il tragitto si divide fondamentalmente in tre parti: la Val di sole a nord, la zona del Parco Naturale Adamello-Brenta che collega le zone montane e quelle collinari intorno a Cormano Comano Terme al centro, ed infine i dolci mangia e bevi che conducono sulle sponde del Lago di Garda a sud.
Per esperienza personale possiamo dirvi che potete stare tranquilli per quanto riguarda pezzi di ricambio ed eventuali guasti perché in tutta la zona ci sono negozi, officine, noleggi e chi più ne ha più ne metta. Quindi ok partire con tutto il necessario, ma non esagerate.
Infine, per chi non ha la gamba così affilata, è stata creata una variante denominata “dolcevita” che comunque non è una passeggiata: si salta il passo Daone e si risparmiano circa 500m di dislivello, ma la bellezza del percorso siate certi che non cambia.

Qua il link per i due tracciati DoGa: 1 e 2

Foto © Jered Gruber - riproduzione riservata