È la fine del mondo

Il primo giorno è già passato, volato via, e ha quella faccia un po' insolente di Julian Alaphilippe. Il primo giorno è già passato accendendosi con lo spettro dei colori della maglia di campione del mondo. Il primo giorno è schizzato, da pallido a lucente, da drammatico a evocativo, tra cadute e primi rimpianti, debolezze ed errori, gesti atletici superiori e altre piccole e grandi storie che il Tour de France, in poco meno di cinque ore, ha già raccontato.

Ci aspettava una sfida di irripetibile fascino oggi, un gioco pieno di significati. Van der Poel per Poulidor, van Aert per battere van der Poel, Colbrelli per farci sognare, Sagan per far vedere che c'è ancora, Alaphilippe per tutta la Francia, e poi Pogačar contro Roglič, e altro ancora.

E il primo giorno è passato: può essere espresso tutto in quello scatto ai meno due dall'arrivo o forse era qualcosa in più. Vola via nelle mastodontiche sembianze da trattore di Declercq che alle 12.30 è davanti al gruppo, e quattro ore dopo è ancora lì a dare cambi, a chiederne a sua volta, a comandare, a mietere, a guidare.

Scivola via: nella tirata di Cattaneo, nell'imbeccata di Devenyns. "Vai e scatta" sembra dire girandosi verso il fedele amico e capitano. Vola via: su quella rampa che sembrava non finire mai, che si estingueva nelle gambe di Alaphilippe che spingeva per spogliarsi dell'iride e andare a vestirsi di giallo.

Il primo giorno è già volato ed è in Colbrelli che sognava, ma annaspava, in Nibali che chiudeva davanti a van der Poel, in van Aert che rimbalzava, in Gaudu che rimontava, in Roglič e Pogačar che un po' giocavano tra di loro, un po' soffrivano, perché pare giusto che anche i più forti, a volte, debbano un po' concedere.

Il primo giorno è passato: nelle cadute, tremende, quelle che non vorremo mai vedere, che vorremmo chiudere gli occhi e dimenticare, e che purtroppo fanno parte di uno sport che non è un gioco, anche se è tremendamente bello. Il primo giorno di un Tour de France che in (poco) meno di duecento chilometri ha già gettato via la maschera esprimendo la sua drammatica grandezza, il suo irreversibile giudizio. Il suo irreparabile frastuono.

D'altro canto la partenza è in una terra che è la fine del mondo, tanto da chiamarsi Finistère -"Tout commence en Finistère" è una scritta enorme sulla spiaggia, messa lì a ribaltarne il concetto - dove tutto ha inizio e fine, dove le strade sono strette da ricordare strazianti viuzze, i tifosi tanti e troppi. E il Tour si adatta rivoltandosi prima ancora di dare un segnale di vita.

E così il primo giorno vola via nel gesto all'arrivo di uno che fino a pochi minuti fa vestiva la maglia di campione del mondo e da domani quella gialla. Merci Julian, non fanno che urlare i francesi, mentre lui ringrazia Asgreen subito dopo il traguardo. In un Tour partito dalla fine del mondo e che in poche ore ha già fatto il pieno di storie.


Il monumentale del Tour 2021

Nemmeno il tempo di posare penne e biciclette che dopo il Giro arriva il Tour. Nemmeno il tempo di rifiatare che dopo la Corsa Rosa è tempo di Grande Boucle. Se il Giro è il nostro figlio (prediletto) che gioca nel giardino di casa, il Tour è quel posto da andare a visitare almeno una volta nella vita. Se il Giro è partigianeria, il Tour è sciovinismo; se il Giro è rosa il Tour è inevitabilmente giallo; come il Giro è un'avventura nostrana, il Tour è un enorme carrozzone mediatico che trascina e coinvolge. Se il Giro segna la fine della primavera, il Tour simboleggia l'inizio dell'estate con campi di colza e girasoli, carovane inestinguibili, asfalto che si scioglie, vini pregiati e formaggi, castelli, Massiccio Centrale e Pirenei.

Se il Giro era la Gazzetta con Gregori e Pastonesi, il Tour erano le mattinate a leggere e rileggere (e assimilare in qualche modo) i pezzi di Mura - e a volte, per un meraviglioso incrocio del destino, anche quelli di Clerici da Wimbledon, Londra. Se il Giro 2021 è stato Bernal, allora il Tour sarà, come nel 2020, un affare sloveno, almeno sulla carta.

IL GIALLO DEI FAVORITI IN GIALLO

I due sloveni hanno dominato il Tour 2020: si ripeteranno nel 2021? Foto: ASO / Alex Broadway

Se mi dessero un colpo in testa o se alzassi troppo il gomito allora sì, forse solo in quel momento potrei fantasticare su vincitori differenti dal duo nato vicino al confine giuliano. Primož Roglič e Tadej Pogačar, nell'accezione confidenziale "Rogla e Pogi" come due personaggi di una seria animata. Loro due il Tour 2020 lo animeranno e potranno soltanto perderlo.

Secondo e primo lo scorso anno dopo quel ribaltone che è storia a La Planches de Belles Filles, i due sloveni sono i più forti interpreti delle corse a tappe. Mancherà a questo Tour quello che, se e solo se riuscirà a esprimersi al massimo risolvendo i problemi alla schiena, potrebbe inserirsi in questo duopolio, Egan Bernal, mentre Evenepoel è ancora un cucciolo che sta imparando a muoversi nel mondo selvaggio dei Grandi Giri.
Altri, a guardarsi intorno al momento non ce ne sono, salvo exploit, incursioni o crescite improvvise, attendendo chi preme da dietro (Pidcock? Ayuso?) o chi magari persegue una via più graduale nella propria crescita (Almeida? Vlasov?).

Non staremo qui a definire caratteristiche, pro e contro dei due ragazzi sloveni, le conosciamo a memoria: duri a cronometro, forti in salita, bravi a guidare la bici - forse  Pogačar un po' di più - e nel districarsi tra i pericoli. Coraggiosi, veloci persino negli sprint ristretti come dimostrano anche i due successi consecutivi alla Liegi Bastogne Liegi davanti, entrambe le volte, a un certo Alaphilippe. Per non parlare delle loro squadre: col passare delle stagioni hanno aggiunto tasselli di spessore per coprire il più possibile le spalle ai propri capitani.

Pogačar rappresenta la freschezza, il volto del giovane lupo che si fa strada, Roglič invece pensa e ripensa ancora allo smacco di qualche mese fa quando perse la maglia gialla il penultimo giorno dopo un dominio senza apparenti titubanze. Avvicinamento differente il loro: anche rispetto alla più tradizionale marcia di preparazione. Pogačar è passato da casa, Giro di Slovenia, ha vinto, con la sua squadra ha dominato, concedendo favori, il modo in cui ha impresso il ritmo in salita ha spaventato: facilità assoluta sono le prime due parole che mi vengono in mente. Spopola perché è giovane e simpatico, piace a media e tifosi, e la tranquillità assoluta con la quale costruisce ogni successo è una delle sue armi migliori.

Uno degli uomini più importanti di fianco a Pogačar in questo Tour 2021: Davide Formolo  Foto: Luigi Sestili

La squadra è tutta per lui: ancora più che nel recente passato. Via le ruote veloci (Kristoff, aria di divorzio e, ahinoi, resta a casa pure un Trentin acciaccato), dentro Vegard Stake Laengen per coprire il suo capitano in pianura dall'alto dei suoi centimetri, Formolo e Rafał Majka scudieri in salita, Marc Hirschi forte (nel 2020 più che forte) dappertutto potrebbe anche rappresentare una sorta di piano B per conquistare qualche tappa.

A proposito di piano B: Brandon McNulty sarà da seguire, lui stesso prenderà appunti dal suo coetaneo cercando di restargli il più vicino possibile in classifica qualora ci fosse bisogno di qualche intuizione dal punto di vista tattico. Infine Mikkel Bjerg, locomotiva in pianura, si difende anche in salita quando sono a inizio tappa: chi vi scrive stravede per lui e lo giudica, per il presente e per il futuro, una delle pedine più preziose per ogni capitano e su ogni terreno. Leggasi: potenziale gregario più forte del mondo.

Roglič non corre dalla Liegi: banalmente, viene da dire, che la squadra sa il fatto suo, che lo hanno tenuto alla larga dalle pressioni e da ogni rischio, che tanto uno così sa arrivare ben preparato alle corse senza gli spettri di una cattiva preparazione, però, forse e dico forse, qualche chilometro in corsa avrebbe fatto bene al vice-campione uscente del Tour, nonché dominatore della Vuelta solo pochi mesi fa. Certo, l'idea del corridore che si prepara al Tour e (quasi) solo al Tour l'abbiamo già sperimentata negli anni e francamente non ci è mai piaciuta. Mossa per finire in crescendo? Staremo a vedere. Altra domanda che resta in sospeso: dove Roglič può essere più forte di Pogačar? Difficile dirlo perché il più giovane dei due appare una sua versione potenziata. Dove Roglič va forte, Pogačar un po' di più e poi, rispetto al corridore dell'UAE-Team Emirates, il portacolori della Jumbo-Visma ogni tanto scricchiola (mentalmente) in qualche scelta in corsa. Vicino, però, ha una squadra che pare abbia tutto per aiutarlo a inseguire il sogno di vincere il Tour de France. A margine le dichiarazioni di qualche giorno fa che ha lasciato un po' di stucco chi conosce bene i tratti di un corridore taciturno da apparire glaciale, ma non lo è, che preferisce sempre mettere davanti alle parole i fatti: «Al Tour de France non lotterò per la vittoria finale e prenderò quello che viene». Pretattica, l'avrebbe definita Brera.

Jonas Vingegaard è solo uno dei tasselli che la Jumbo-Visma porta al Tour per aiutare il proprio capitano a vincere la Boucle Foto: Luca Bettini/BettiniPhoto©2021

La squadra lo scorso anno fu perfetta, se è chiaro come il Tour si è risolto nel testa a testa dell'ultima cronometro. Tony Martin e Robert Gesink sono gregari attempati ma affidabili, uno in pianura l'altro in salita, ritorna Mike Teunissen: volate all'occorrenza e tirate in pianura, Steven Kruijswijk un punto di domanda: il miglior Kruijswijk può lottare fino alla fine per l'alta classifica e quindi essere arma importante per Roglič in salita, ma quanto è lontano dall'essere quel corridore? Sepp Kuss deve fare un po' pace con se stesso e capire come si corre bene, detto questo in salita è sicuramente un corridore che vale molto di più di quello visto in questo 2021. A proposito di punti interrogativi: Wout van Aert.

Polemiche, critiche, qualche successo di peso sfuggitogli, eppure Wout van Aert arriva al Tour con un ruolino di marcia impressionante. E per i suoi tecnici è ancora lontano dalla forma migliore. Foto Vincent Kalut/PN/BettiniPhoto©2021

Lo scorso anno strepitoso al Tour - ma non solo. Ma fu un rientro e un momento particolare. Spianava le salite con una potenza tale da sembrare Indurain e chiuse in crescendo come fosse un uomo da classifica. In volata si piazzava fino a vincere, spesso in testa al gruppo anche in pianura, ma pure lui: sarà il miglior van Aert? La vittoria al campionato belga di qualche giorno fa pare abbia fugato ogni dubbio. L'ultimo posto, che sarebbe stato di Dumoulin, prima che l'olandese si facesse da parte, se l'è preso, invece, Jonas Vingegaard: la sua presenza rinforza la batteria di uomini da salita.

GRANATIERI ALTERNATIVI

Vincitore del Tour nel 2018, Geraint Thomas ambisce a conquistare di nuovo la maglia gialla. Foto: ASO / Fabien Boukla

Parlando proprio di squadre, chi può muovere le acque è un team intero: la INEOS Grenadiers. Cosa potranno fare i britannici per cercare di scalfire l'inossidabile potenza di Pogačar e Roglič? Trenino o manovre a sorpresa e spettacolari? Geraint Thomas, Richard Carapaz, Richie Porte; un tridente che potremmo mettere in qualsiasi ordine, difficile trovare al momento uno più favorito dell'altro. Diversi tra di loro: Thomas quello più completo, Carapaz il più intelligente, Porte quello sempre un po' sfortunato che però lo scorso anno a suon di regolarità e in un Tour dove finalmente filò tutto liscio per lui, si tolse la soddisfazione di salire sul podio proprio alle spalle dei due sloveni.

Per molti, Richard Carapaz è il terzo incomodo di questo Tour 2021. Foto: ASO / Alex Broadway

Chi sarà favorito tra i tre ce lo dirà solo lo spartiacque delle prime, insidiose tappe: dalla Bretagna alla cronometro del quinto giorno. Dopo cinque giorni di corsa forse avremo tutto un po' più chiaro – l'impressione però è che anche dopo la crono i tre saranno più o meno in zona. Se pensate che il quarto uomo INEOS, sarà Tao Geoghegan Hart si capisce come la forza di questa squadra sia immensa, ma allo stesso tempo come manchi qualcosa, una vera punta da trenta gol a stagione, che sarebbe potuto essere Bernal il quale però dopo la vittoria al Giro, ha preferito staccare, giustamente, la spina.
Carapaz ha la sembianze del terzo incomodo nella sfida slovena, del rognoso rompitore di piani altrui, d'altra parte davanti a Roglič c'è già arrivato, era il Giro 2019, mentre alla Vuelta 2020 lo ha fatto patire in un paio di occasioni; qualcuno, sibilino invece, dice di tenere d'occhio proprio Geoghegan Hart arrivato un po' a fari spenti – un po': un eufemismo. Il resto della squadra è, perdonateci l'enfasi: clamoroso. Luke Rowe e Dylan van Baarle, Michal Kwiatkowski e Jonathan Castroviejo: cosa chiedere di meglio se non che uno dei capitani che verrà strada facendo possa vincere la gialla finale?

OUTSIDER

Urán cerca un altro podio in un Grande Giro. Foto: Luis Angel Gomez/BettiniPhoto©2021

Dietro i favoriti, il primo nome che viene in mente, uscito in maniera impressionante dal Tour de Suisse, è Rigoberto Urán. Garate, suo direttore sportivo alla EF, dice di non aver mai visto un Urán così forte: obiettivo podio alla portata, ma il colombiano dovrà inevitabilmente salire di colpi se vuole provare a bissare quel 2017 quando finì per meno di un minuto alle spalle di Chris Froome. Tra un Tour de Suisse e un Tour de France la differenza non è soltanto nei luoghi in cui si corre. La squadra con lui è davvero forte, Vaughters ha messo insieme un gruppo che è un mix di esperienza e gioventù niente male. Da capire quanto potranno essere utili alla sua causa corridori che all'apparenza potrebbero andare più a caccia di tappe che sostenerlo quando la strada sale, a eccezione del portoghese Ruben Guerreiro, alla ricerca di risposte dopo il ritiro al Giro e dell'americano Neilson Powless, lo scorso anno protagonista al Tour di diverse fughe in montagna. Stefan Bissegger proverà il colpaccio nella crono, Sergio Higuita dovrà scrollarsi di dosso l'etichetta dell'ennesimo colombiano incompiuto. Occhio a Jonas Rutsch: uomo da fughe a lunga gittata, forte sul passo, si difende sugli strappi, potrebbe regalare qualche soddisfazione parziale ai fucsia americani.

Bufera alla vigilia del Tour in casa Astana: licenziato Vinokourov. Come reagiranno i "kazaki" al Tour? ©PHOTOGOMEZSPORT2019

Capitano dell'Astana investita dalla clamorosa scelta di licenziare il factotum Vinokourov, c'è Jakob Fuglsang, anche lui apparso in crescendo in Svizzera, rispetto all'inizio della stagione: ma l'obiettivo massimo potrebbe essere un piazzamento a ridosso del podio. In salita è forte, ma non di certo al livello dei migliori, la sua squadra in passato ha saputo anche inventarsi tattiche interessanti, ma il problema qui al Tour sarà avere a che fare con tre corazzate che potrebbero rispedire al mittente ogni lettera scritta con un po' di fantasia. A proposito di squadra: da non tralasciare Ion Izagirre, seconda punta per la classifica, mentre Aleksej Lutsenko è sempre la solita incognita: corridore che se in giornata ti vince il tappone di montagna, salvo poi prendere vagonate di minuti in una tappa non durissima.

Vincitore della Mont Ventoux Dénivelé Challenge 2021 Miguel Ángel López punta a essere uno dei più forti in salita in questo Tour. Foto: Luis Angel Gomez/BettiniPhoto©2021

La Movistar cala un tris d'assi, che, col passare dei giorni, potrebbe diventare una coppia, sempre che Alejandro Valverde (verosimilmente a caccia di tappe e della forma verso Tokyo) non finisca di sorprendere. Miguel Ángel López è in crescita; dopo aver tentennato al Delfinato, alla Mont Ventoux Dénivelé Challenge ha piazzato un clamoroso record di scalata vincendo con un vantaggio che sembra appartenere a un'altra epoca. Il problema intorno allo scalatore colombiano è sempre il solito: classico corridore che lo aspetti e non arriva per poi sorprenderti. Sulla carta in salita, potrebbe essere uno col tesserino di quel club con il motto che fa "non ha rivali", pochi sanno andare forte come lui, dovrà però salvarsi dalla prima insidiosa settimana a causa di quei blackout che lo vedono spesso coinvolto, e oltretutto i quasi 60 km a cronometro rischiano di penalizzarlo pesantemente.

Enric Mas è un regolarista, a volte poco appariscente, ma che difendendosi a crono e in montagna potrà ambire ai piani alti (molto alti) della generale. La Movistar al Tour vedrà anche un quarto uomo che tutti ormai conosciamo: Marc Soler, uno capace di fare il bello e il cattivo tempo all'interno della stessa giornata, come se fosse una giornata ordinaria in riva all'oceano. Partirà sicuramente in sordina e magari col compito di conquistare una tappa. La squadra, tuttavia, presenta un comparto capace di poter dire la sua e magari essere spesso anche ago della bilancia nella lotta ai piani alti della classifica.

Crediti foto: Dario Belingheri/BettiniPhoto©2021

Il mondo si è ribaltato parlando di Simon Yates: favorito al Giro, qui potrebbe essere al via solo per provare a vincere qualche tappa. A noi piacerebbe proprio questo scenario. In squadra con lui c'è uno dei beniamini del pubblico: Esteban Chaves. Forse è in una delle sue migliori stagioni e dopo tutto quello che ha passato in carriera è un piacere vederlo scattare e lottare nelle brevi corse a tappe. Anche per lui però, oltre a una top ten è difficile immaginare. Essendo però tra i più forti in salita, la sua ruota potrebbe essere d'ispirazione per chi volesse provare a far saltare il banco. In casa Bike Exchange l'australiano Lucas Hamilton merita un po' di considerazione, anche se poi a vedere il suo storico (un 25° posto e un ritiro al Giro) nelle grandi corse a tappe, viene difficile pensarlo davanti a lottare per un piazzamento importante. Ma una vittoria di tappa, dopo tutto, perché no?

Forse ancora acerbo per l'alta classifica, David Gaudu è l'uomo di punta nella generale per il ciclismo francese. Foto: ASO / Fabien Boukla

C'è David Gaudu: altro corridore che ci piace tanto. Forte di quelli forti davvero in montagna, il portacolori della Groupama-FDJ si potrebbe definire deluso se a fine Tour non avrà conquistato almeno un traguardo di alta quota. Non dovrà fare i conti con Pinot in squadra, ma con un percorso che a cronometro lo vedrà pagare dazio. Occhio a lui perché è uno che nella bagarre sa andare forte, e non per forza in quella di alta montagna. In carriera ha vinto due tappe alla Vuelta e ha un podio alla Liegi, risultati che forse non raccontano pienamente le qualità da scaltro scalatore, abbastanza veloce e che non disdegna lanciarsi all'avventura. Da ragazzo, poco meno di cinque anni fa, vinse un Tour de l'Avenir sconfiggendo, tra gli altri, un certo Egan Bernal. Da lì è passata un'era, ma Gaudu è pronto a riscrivere la sua storia.

Maglia degli scalatori all'ultima Vuelta, al Tour 2021 Martin punta a ribadire le sue qualità di attaccante e magari vincere pure una bella tappa di montagna. Foto: ©PHOTOGOMEZSPORT2020

Tra i nomi più interessanti, ecco due che difenderanno i colori delle altre due World Tour francesi che non abbiamo ancora nominato, Ben O'Connor (AG2R) e Guillaume Martin (Cofidis). Scalatori puri, potrebbero sfruttare il marcamento nei piani alti della classifica per provare a vincere una tappa. O'Connor, uscendo di classifica al Giro 2020, ha conquistato così la vittoria più importante della carriera, mentre il ciclofilosofo Martin ha dichiarato alla vigilia che quest'anno non curerà la classifica e andrà a caccia di tappe. Occhio a lui anche nella prima parte di corsa, scalatore sì, Martin, ma capace di spuntarla anche nelle frazioni miste e insidiose che i corridori affronteranno sin da sabato. Entrambi dovrebbero avere (abbastanza) via libera dalle proprie squadre: l'Ag2R ha perso Jungels alla vigilia - ne avrà per tutta la stagione ed era l'altro nome designato per fare classifica - mentre di fianco all'atipico corridore australiano saranno da seguire in salita Aurélien Paret-Peintre chiamato al salto di qualità definitivo e Nans Peters a caccia di un'altra tappa in un Grande Giro, in montagna possibilmente, dopo i successi al Giro del 2019 e al Tour del 2020. La Cofidis, invece, per l'alta montagna schiererà Jesús Herrada Rubén Fernández pronti a farsi in mille per il capitano, ma anche a sfruttare le proprie occasioni nelle fughe in salita.

Dopo la delusione patita al Giro, Buchmann punta a un grande risultato al Tour de France 2021. Foto: A.S.O./Pauline Ballet

Capitolo BORA-hansgrohe: prima squadra ad aver presentato i suoi uomini e non senza polemiche. Per la classifica o giù di lì, resta fuori Schachmann. Abbastanza incomprensibile la mancata convocazione del tedesco vincitore della Parigi-Nizza e apparso tutto sommato in buona condizione al Tour de Suisse, nonché recente vincitore del campionato nazionale . I motivi però probabilmente vanno ricercati in qualche questione extracorsa - tradotto: le voci di divorzio con la squadra a fine stagione.
E allora per la classifica si punta tutto su Emanuel Buchmann, ritirato al Giro quando era in odore di podio e dell'eterno incompiuto Wilco Kelderman che proprio al Giro, ma nel 2020, ha conquistato il suo unico podio in carriera in una corsa a tappe. Tra i tedeschi mancherà uno dei protagonisti assoluti del Tour 2020: Lennard Kämna. Il tedesco pare di nuovo vittima di quei problemi fisici che qualche stagione fa lo avevano messo KO quando era passato da poco professionista: un peccato per la BORA, ma visto il modo spettacolare che ha di interpretare le corse, anche un peccato per tutti noi.

Quintana, qui in azione alla Vuelta Asturias 2021, dice che non punterà alla classifica di questo Tour de France. C'è da credergli? Foto: Luis Angel Gomez/BettiniPhoto©2021

Siamo in Francia e si parla ancora di Francia ed ecco Nairo Quintana e Warren Barguil a difendere i colori di una delle squadre invitate al Tour: l'Arkéa Samsic. La squadra di casa vorrebbe vedere almeno uno dei due lottare per le parti nobili della classifica, noi vi confidiamo il nostro desiderio: sarebbe bello vedere Nairoman di nuovo ai livelli di tante stagioni fa, ma ci appare in calo, e allora speriamo che almeno uno dei due possa sganciarsi subito dalla classifica per puntare alle tappe e alla maglia a Pois. Maglia a Pois che già in passato ha vestito Barguil: occhio a lui i primi giorni nella sua Bretagna – che poi è anche la patria del suo sponsor. Questa primavera ha dimostrato una certa - sorprendente - affinità con i percorsi tortuosi - vedi il pavé del Belgio. Che stia facendo un pensierino alla maglia gialla nelle prime tappe?

Tiesj Benoot, in una DSM un po' ridimensionata rispetto allo splendido 2020, sarà l'uomo di classifica, ma il "Gargamella" belga è difficile credere possa ottenere di più di un piazzamento tra il decimo e il ventesimo posto, anche seguendo il più ottimistico dei pensieri.

Wout Poels, qui in maglia INEOS, sarà uno dei capitani della Bahrain. Riuscirà a far rimpiangere le assenze di Landa e Caruso? Foto: ASO/Pauline Ballet

In casa Bahrain qualche sorpresa va registrata. Intanto non saranno al via Landa, ancora fuori dopo la brutta caduta al Giro, e Caruso, chiamato a un po' di riposo meritato e non ai soliti lavori forzati: il ragusano sarà una delle punte italiane per i Giochi di Tokyo. Ma a due assenze telefonate una ci ha lasciato abbastanza di stucco: Mark Padun. In Francia, dopo i due successi al Delfinato si è scatenato un orrendo polverone mediatico che lo ha visto coinvolto e i Bahrain hanno evidentemente voluto spostare i riflettori. Luci che allora, per la classifica, saranno puntate sulle forme affusolate dell'australiano Jack Haig e dell'olandese Wout Poels, autentiche mine vaganti che potrebbero ambire a un posto nei primi dieci. Con loro Pello Bilbao, deludente al Giro, già in passato ha dimostrato di essere uno dei fondisti più forti del gruppo e chissà, poco marcato e con la gamba fatta al Giro, potrebbe rivelarsi un vero e proprio outsider in classifica.

Attenzione a Woods per l'alta classifica. Quest'anno va davvero forte. Foto: Sabine Zwicky/BettiniPhoto©2021

Se Trek-Segafredo, Lotto Soudal, Alpecin Fenix (forse Xandro Meurisse ambisce a una top 20), B&B, Intermarché - Wanty - Gobert (George Zimmermann per la generale?) e Deceuninck-Quick Step potrebbero non avere un vero e proprio uomo per la classifica, puntando però forte su altri settori – vedremo in seguito – la francese TotalEnergies, arrivata al Tour con i connotati (nome e colori sociali) cambiati proverà a tenere in classifica tre corridori: Pierre Latour, Cristián Rodríguez e Victor De la Parte: visto il livello, però, compito difficile per loro.
Infine la Qhubeka-Assos orfana di Pozzovivo proverà a fare classifica con Sergio Henao, mentre la Israel Start-Up Nation che vedrà al via Froome – senza alcuna velleità – per la classifica punta tutto su Michael Woods apparso in questo 2021 in grande forma. Il canadese è un osso duro in salita, ma lo sarà sin da subito con il Mûr-de-Bretagne che il secondo giorno pare particolarmente adatto alle sue doti di scattista. Certo, le due cronometro e la tenuta nelle tre settimane fanno di lui un corridore che al massimo potrà ambire a un piazzamento tra il sesto e il decimo posto – e sarebbe comunque un grande successo.

CACCIATORI DI TA... PPE

Tra i corridori all'esordio nella corsa più importante del mondo, il nome di Mathieu van der Poel è decisamente il più atteso. Foto: Luca Bettini/BettiniPhoto©2021

Può la categoria dei cacciatori di tappe essere più fornita di quella degli uomini di classifica? Siamo al Tour è la risposta è sì. C'è praticamente il meglio del meglio salvo qualche eccezione. Alcuni ve li abbiamo già citati, altri arrivano di seguito. Intanto il più atteso: Mathieu van der Poel, quello che avrà gli occhi puntati addosso da tutto il mondo ciclistico. Sabato insegue quel sogno sempre sfuggito al nonno Raymond Poulidor: conquistare la maglia gialla. Poi pare che si fermerà in anticipo per Tokyo – anche se non è detto - , ma intanto sarà un lusso vederlo all'esordio in un Grande Giro.
Dovrà fare a pugni, si spera non letteralmente con quel gruppetto di ragazzi che puntano alla maglia verde: Sonny Colbrelli, Michael Matthews, Peter Sagan (il già nominato Wout van Aert), su tutti, ruote più o meno veloci e capaci anche di tenere duro su tracciati vallonati. Tra questi veloci, ma capaci anche di piazzarsi su percorsi più impegnativi, impossibile non fare anche i nomi di: Ivan Garcia Cortina (Movistar), Luka Mezgec (Team BikeExchange) Alex Aranburu (Astana, in casa - ormai quasi ex - kazaka da seguire il neo campione di Spagna Omar Fraile, un altro di quelli capaci di tutto e del suo contrario), Cristophe Laporte, probabilmente all'ultimo Tour in maglia Cofidis, cerca piazzamenti in volata e magari una vittoria sin da subito. Jasper Stuyven ed Edward Theuns per la Trek-Segafredo, Danny Van Poppel (Intermarché-Wanty), lo spagnolo Carlos Barbero per la Qhubeka, Greg Van Avermaet e Oliver Naesen per l'AG2R, un altro belga – Philippe Gilbert -, i danesi Magnus Cort e Michael Valgren per la EF, Davide Ballerini se avrà spazio, diviso tra Cavendish e Alaphilippe, Søren Kragh Andersen ed Nils Eekhoff per il Team DSM, e i francesi Anthony Turgis (Team TotalEnergies) e Clément Russo (Arkéa).

A proposito di francesi: un discorso a parte lo merita Julian Alaphilippe. Il campione del mondo sarà la punta dei belgi della Deceuninck-Quick Step, ma la sua forma resta una mezza incognita. Il 2021 del campione iridato non è stata all'altezza delle grandi aspettative che si hanno su di lui – capace comunque di vincere la Freccia Vallone e di salire sul podio alla Strade Bianche e alla Liegi -, di recente, al Tour de Suisse, ha dato qualche spunto ma non ha vinto, staccando poi nell'ultima tappa un biglietto per tornare in anticipo a casa in vista della nascita del suo primogenito.
Ora, discorsi extra ciclistici a parte, il suo nome è uno di quelli che non solo mediaticamente, ma anche tecnicamente desta più interesse. Non solo perché è una degna maglia iridata, ma anche per l'idea di quello che ha sempre saputo dare al Tour anche quando ancora non era l'Alaphilippe che tutti conosciamo oggi. Quando era un corridore un po' scriteriato, classico baroudeur francese sempre all'attacco, più che gestore delle azioni. Istintivo per vocazione più che calcolatore: andare, infilare e vincere non è mai stato nel suo interesse.

Dan Martin ha saputo lasciare il segno anche al Giro d'Italia. E al Tour? Foto: Luigi Sestili.

Cosa aspettarsi da lui? Impossibile fare un pronostico. Potrebbe prendere la maglia gialla subito e magari tenerla per un bel po' come fece due anni fa e chiudere in alta classifica. Potrebbe lasciare andare velleità di questo genere per vincere più tappe possibili e magari lottare per la verde o la pois. Insomma, con uno così mai dire mai, a maggior ragione dopo averlo visto in questo 2021: un po' si è nascosto, un po' non ha mai trovato il colpo di pedale giusto. Di fianco a lui invece scopriremo l'ennesimo passo in avanti di Cattaneo. Ma ne parleremo nel capitolo dedicato agli italiani in Francia. Infine Dan Martin – Israel Start-Up Nation: già vincitore di una tappa al Giro quest'anno, l'irlandese non curerà la classifica ma di sicuro proverà a conquistare una bella tappa di montagna.

VELOCISTI

Arrivo vittorioso al Giro 2021 per Caleb Ewan. Foto: Luca Bettinii/BettiniPhoto©2021

Abbiamo parlato di ruote veloci, ma non di protagonisti di quelle che dovrebbero essere almeno sei o sette tappe dedicate agli sprint di gruppo. Spiccano tre nomi su tutti: Caleb Ewan, Arnaud Démare e Tim Merlier. Tutti e tre che oltre alle volate andranno a caccia della maglia verde contendendola ai sopra citati Colbrelli, Sagan e compagnia.
Ai tre aggiungiamo il sorprendente Mark Cavendish di questo 2021, un altra ruota veloce non più giovanissima come André Greipel, il rampante Cees Bol. E poi ancora: Jasper Philipsen, che sarà l'alternativa a Merlier in casa Alpecin Fenix per gli sprint di gruppo (chissà come gestirà la squadra belga, la convivenza tra tante ruote veloci, all'esordio al Tour de France), Nacer Bouhanni che dovrà raffreddare il suo bollore in volata, il connazionale Bryan Coquard, che pensate, quasi 50 successi in carriera, nessuno nel World Tour, l'ex campione del mondo Mads Pedersen, che deve riscattare una stagione che lo ha visto protagonista di un'alba rossa entusiasmante con il successo alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne salvo poi collezionare una serie di controprestazioni dietro l'altra. E infine il già citato van Aert che dovesse avere via libera per disputare gli sprint – così sarà – ha tutto per tenere testa ai migliori velocisti presenti.

FUGAIOLI

De Gendt alla Volta Catalunya 2021. Riuscirà a scattare un Giro completamente in ombra? Foto: Paolo Penni Martelli

Al Giro di fughe ne sono arrivate tante, forse pure troppe, e di sicuro la battaglia che vedrà protagonisti i più coraggiosi di giornata sarà uno dei motivi più interessanti del Tour 2021. Tanti, in questo senso, i nomi da seguire, soprattutto in quelle squadre che non avranno da offrire molto in chiave classifica. Certo, le dinamiche della corsa potrebbero mutare le scelte fatte in partenza, come successe lo scorso anno che l'Ineos, dopo il ritiro di Bernal rivoluzionò il suo modo di correre e cercò le fughe per vincere le tappe. Impossibile citare o azzeccare tutti i nomi, ma su qualcuno ci possiamo mettere la mano sul fuoco. Thomas De Gendt per esempio, per riscattare un Giro che più opaco non si poteva per via di alcuni problemi fisici. Il belga il colpo in canna ce lo avrebbe ma dipende da come sarà la sua condizione. In casa Lotto uno che scalpita per ripercorrere le sue orme è Brent van Moer, capace di vincere la prima tappa del Delfinato poche settimane fa, grazie a un numero proprio alla De Gendt. Tra i belgi un occhio al giovane Harry Sweeny, neopro australiano che dopo aver dimostrato una certa duttilità nelle categorie giovanili, ha avuto un buon impatto nel suo primo anno da professionista.

Se in giornata, Benoît Cosnefroy sa essere uno dei corridori più spettacolari del gruppo. Foto: ASO/Pauline Ballet

Ci saranno francesi attaccanti nati come Benoît Cosnefroy, sperando non lo sprechino per fargli vestire la maglia a pois solo per qualche giorno, ma lo utilizzino con più criterio. Caratteristiche ideali le sue per andare in fuga e vincere, non per andare in fuga solo per onore di firma o per fare la raccolta punti dei GPM. Altri francesi in vista: Pierre Rolland e Quentin Pacher della B&B Hotels, ma soprattutto Valentin Madouas. Diviso tra le velleità di classifica dell'amico Gaudu e tra le volate di Démare, il bretone, che correrà dov'è nato i primi giorni, ha tutto per infiammare il pubblico di casa, sia nelle tappe miste che in quelle di alta montagna. Altro uomo da seguire su ogni terreno è Matej Mohorič che dopo la spettacolare e per fortuna senza troppe conseguenza caduta al Giro, punta forte a una tappa in questo Tour per trovare la definitiva consacrazione. La Bahrain vola e lui, veloce, coraggioso e resistente, è pronto a prenotare un posto in business class. Altri due da non sottovalutare e già protagonisti in questa stagione: Stefan Kueng (Groupama-Fdj) e Victor Campenaerts (Qhubeka Assos)

Deludente al Giro, Mollema cerca il riscatto al Tour. Crediti: Luis Angel Gomez/BettiniPhoto©2021

Per le tappe dure da seguire sicuramente: Bauke Mollema, anche lui vuole dare una risposta ai mugugni arrivati durante il Giro dove la volontà non è mancata, le gambe dei giorni migliori sì, Dylan Teuns (Bahrain), Michael Gogl per la Qhubeka e il connazionale Patrick Konrad per la BORA-hansgrohe. Quest'ultimo dovrà dare una mano a Buchmann e Kelderman, ma è pronto a giocarsi le sue carte soprattutto quando ci sarà da sgomitare negli sprint ristretti e nelle tappe vallonate.

Tra i tedeschi c'è uno dei corridori che è cresciuto maggiormente in questo 2021: Ide Schelling. L'olandese potrebbe ricalcare le orme di Kämna che con la maglia del team bianco-nero-verde lo scorso anno accese le strade francesi. Meno forte in salita, ma scaltro e con una pedalata redditizia che, se sfruttata in fuga, potrebbe dargli più di una soddisfazione. Sempre in vista dell'alta montagna ancora in casa Trek-Segafredo: Toms Skujiņš in grande forma e Julien Bernard sono attaccanti nati, mentre Silvan Dillier (Alpecin) e Jan Bakelants (Intermarché) sono due garanzie nel farsi trovare pronti, via ad andare in fuga e provare così il successo di tappa.

LES ITALIENS?

Si difende in salita e va forte a cronometro. In una Quick Step divisa tra il sogno di Alaphilippe e le volate di Cavendish, occasione unica per il corridore azzurro, ultimo vincitore italiano del Giro Under 23, di fare classifica al Tour. Foto:  Luca Bettini/BettiniPhoto©2021

Poca gloria apparente per i pochi italiani al via: nove. Mai numero così basso da 37 anni a questa parte. Per la classifica nessuno, forse Mattia Cattaneo potrebbe provare a tenere, magari trovandosi in buona posizione dopo la prima cronometro, ma immaginarselo migliorare il diciassettesimo posto della Vuelta 2020, appare francamente difficile, ma ci speriamo. Con lui in squadra Davide Ballerini: un po' per Alaphilippe, un po' per Cavendish, magari potrà sfruttare un giorno di libertà entrando in fuga e facendo valere le sue doti veloci. Certo se il britannico non dovesse dare garanzie, magari la squadra gli potrebbe anche concedere qualche spazio nelle convulse volate di gruppo.

Lorenzo Rota, portacolori della Intermarché, anche lui all'esordio al Tour de France, cercherà la fuga giusta, magari in qualche tappa altimetricamente complessa, mentre Daniel Oss e Jacopo Guarnieri saranno i fedeli scudieri di Démare e Sagan. Nulla di più: ci appare già un compito impegnativo.
Davide Formolo sarà uomo di fiducia di Pogačar che pare lo abbia espressamente chiesto alla sua squadra per l'affidabilità in salita. Un Formolo libero da compiti di gregariato potrebbe colpire da lontano, ma verosimilmente la sua corsa sarà il più parallelo possibile a quella del numero uno sloveno. Kristian Sbaragli, in una squadra ricca di mezze punte e con un finalizzatore che porta il nome di van der Poel, dovrebbe trovare le porte chiuse per velleità personali. Certo la Alpecin Fenix già al Giro ha mostrato di poter far ruotare tutti i suoi uomini regalando chance a chiunque.

Le aspettative intorno a Colbrelli al Tour sono davvero alte. Foto: Bettini

Vincenzo Nibali, non ha bisogno di presentazione, qui al Tour per dare segnali in vista di Tokyo, difficilmente, anzi è impossibile faccia classifica, però una vittoria di tappa non è preclusa. Abbiamo tenuto per ultimo il fiore all'occhiello della nostra spedizione. Quello che è attualmente, risultati alla mano, il corridore italiano più in forma. Dopo aver fatto vedere grandi cose al Romandia e al Delfinato (due successi di tappa, ma ne potevano arrivare anche il doppio), Sonny Colbrelli ha conquistato il campionato italiano pochi giorni fa. Quella maglia, Sonny, sogna di cambiarla con la gialla del primo giorno, ma soprattutto, obiettivo forse più alla portata vista la condizione, con quella verde, vinta per la seconda e ultima volta da un italiano nel 2010: Alessandro Petacchi. C'è la gamba, c'è il terreno c'è tutto per coronare questo sogno. Sorretto, Sonny, da una condizione irripetibile e che lo proietta anche tra i possibili favoriti per il mondiale di fine settembre.

IL PERCORSO

Grand Départ del Tour 2021 da Brest, Bretagna. Foto: A.S.O./Aurélien Vialatte

Non vi tediamo con l'analisi tappa dopo tappa, ma uno sguardo generale è dovuto. Grand Départ in Bretagna e attenzione: potrà succedere di tutto. Intanto i percorsi sono tortuosi e accidentati: guai a farsi trovare scoperti e senza squadra. Danno brutto tempo nel week end e questa potrebbe essere un'altra chiave: qualcuno dopo cinque giorni – ovvero dopo la prima delle due cronometro (la Changé-Laval Espace Mayenne di 27,2 km), potrebbe essere già decisamente tagliato fuori dalla classifica.

Bretagna, poi cronometro, poi una volata  volata prima del lungo week end del 2, 3 e 4 luglio quando la carovana prenderà la strada delle Alpi. Venerdì 2 tappa (molto) insidiosa verso Le Creusot, 250 km, la più lunga. Accidentata: una classica e da quelle parti non si scherza, ma sarà solo l'antipasto di quello che avverrà in alta montagna. Sabato arrivo a Le Grand-Bornard, una delle tappe più interessanti di questo Tour de France con tre scalate molto impegnative negli ultimi 60 km e l'arrivo dopo la discesa de Col de la Colombière. Il giorno successivo invece, con la Cluses-Tignes, primo vero arrivo in salita di questo Tour, agli oltre 2107 metri della celebre località sciistica dove nel 2019 non si riuscì ad arrivare a causa della frana che costrinse l'organizzazione a neutralizzare la tappa sull'Iseran. Per la verità il menù alpino, però ci sembra alquanto scarso quest'anno, vedremo se i corridori ci smentiranno.

Riposo, tappa da fuga e poi il giorno dopo la tappa più attesa di tutte: la Sorgues-Malaucène con il doppio Ventoux (la seconda scalata sarà quella “vera”) da affrontare. Fa paura solo all'idea: noi, noti masochisti, già non vediamo l'ora di pensare a qualsiasi scenario. Tappa per scalatori veri, per squadre che verranno messe in seria difficoltà, per chi, da dietro vorrà recuperare il tempo perso e per chi invece semplicemente farà di tutto per chiudere la tappa in orario.

Prima dei Pirenei ci sarà occasione per le fughe, per ricaricare, per concedere, per vedere qualche volata e qualche riscossa, fino al giorno 11 luglio con la Céret-Andorra. Sarà quello che si suole dire l'antipasto prima della portata principale sui Pirenei che affronteranno i corridori dopo il secondo giorno di riposo del 12 luglio. Verso Saint-Gaudens ancora un po' di tregua (fuga inevitabile) e poi il gran finale. La Muret-Saint-Lairy-Soulan di 178km (con Peyresourde e arrivo in salita lungo e duro) è una delle tappe 5 stelle di questa edizione, il giorno dopo invece, tappa breve come ci sta purtroppo abituando il Tour (129 km) ma con due salite mitiche: Tourmalet e arrivo a Luz Ardiden.

Venerdì tranquillo prima dell'ultimo sabato di Tour de France: come lo scorso anno la cronometro che potrebbe risultare decisiva. Si corre nella zona dei vini di Bordeaux, si arriva a Saint-Émilion. 30 km decisivi per la classifica prima della solita passerella sui Campi Elisi dove una vittoria vale quanto una grande classica.

I FAVORITI DI ALVENTO PER LA MAGLIA GIALLA

⭐⭐⭐⭐⭐ Pogačar
⭐⭐⭐⭐ Roglič
⭐⭐⭐ Thomas, Carapaz
⭐⭐ Lopez, Uran, Mas, Gaudu, Porte
⭐ McNulty, Fuglsang, Alaphilippe, S.Yates, Chaves, Buchmann, Kelderman

I FAVORITI DI ALVENTO PER LA MAGLIA A POIS

⭐⭐⭐⭐⭐ Quintana
⭐⭐⭐⭐ G.Martin
⭐⭐⭐ Pogačar, Roglič, Barguil
⭐⭐ Lopez, Mollema, Cosnefroy, Paret-Peintre
⭐ Soler, Higuita, Carapaz, Thomas, Chaves

I FAVORITI DI ALVENTO PER LA MAGLIA VERDE

⭐⭐⭐⭐⭐ Colbrelli, van Aert
⭐⭐⭐⭐ Sagan
⭐⭐⭐ Ewan, Matthews, Démare, van der Poel
⭐⭐ Laporte, Coquard, Merlier, Bouhanni, Garcia Cortina
⭐ Bol, Cavendish, Ballerini, Mezgec

I FAVORITI DI ALVENTO PER LA MAGLIA BIANCA

⭐⭐⭐⭐⭐ Pogačar
⭐⭐⭐⭐ Gaudu
⭐⭐⭐ Vingegaard, McNulty
⭐⭐ Madouas, Hamilton, Paret-Peintre
⭐ Powless, Higuita, Zimmermann, Donovan

Foto in evidenza: A.S.O./Pauline Ballet


Sogni di un pomeriggio di Tour de France

Il mondo corre. A volte così veloce che ti scuote e ti ribalta. Ti mescola e ti confonde. Dirada e cancella. Il ciclismo non si sottrae a queste semplici regole. È il 13 luglio del 2019. È il Tour de France. È l'ottava tappa. I francesi pensano in grande e Alaphilippe è l'uomo dei loro sogni. Si arriva a Saint-Étienne, ma sarebbe potuto essere un qualsiasi altro posto. La tappa la vince De Gendt: non sarebbe potuto esserci epilogo migliore. Dietro, dal gruppo della maglia gialla indossata da Ciccone, scatta, per conquistare l'abbuono, Alaphilippe. Lo segue Pinot. I due vanno forte abbastanza da staccare il gruppo, ma non così tanto da riprendere De Gendt.

Alaphilippe fa sua la maglia gialla, grazie a quell'abbuono e a quel margine risicato sul traguardo. La maglia la terrà fino alla tappa dell'Iseran facendo sognare i suoi compatrioti. Pinot lo precede sul traguardo di Saint-Étienne in un giorno in cui non avrebbe dovuto nemmeno rispondere alla miccia accesa dal suo connazionale. La fantasia, se ben impugnata, può più di ogni idea tattica.

De Gendt vince, Pinot secondo, Alaphilippe terzo. I due francesi si abbracciano, subito dopo il traguardo, in un'immagine che fece il giro del mondo evidenziando, nelle increspature di un epoca a volte disumana, lo spessore umano dei due corridori. Sognano, i francesi, con Alaphilippe e Pinot. Si esaltano.
Quel Tour, allora, sembrava possibile persino vincerlo: dopo più di trent'anni in Francia ne hanno due in grado di riportare a Parigi le maillot jaune, di sfatare una delle più lunghe maledizioni della storia del ciclismo. Con un ragazzo a volte persino istrionico, febbrile, tarantolato, attaccante nato. L'altro più tenebroso, quasi intellettuale, un po' atipico, ma forte in salita, e nella narrazione dei Grandi Giri, un predestinato.

Qualche giorno dopo Alaphilippe vince la cronometro di Pau, gonfiando il proprio margine sulla concorrenza. Pinot, sul Tourmalet qualche ora dopo, si mostra il più forte in salita. Di colpo altro che sogno: è realtà.

Poi: tutto come un incubo. Un cambio repentino, uno scolastico esempio di tragedia shakeaspeariana. Incorniciato dalle Alpi francesi più che dalla brughiera scozzese; lampi e tuoni come nel Macbeth. Superstizioni che si fanno reali, lacrime, i compagni di squadra di Pinot lo sorreggono e lo abbracciano. All'improvviso Pinot è vuoto. Di energie, ha la testa piena di troppe emozioni. Non va più avanti. Si ferma e da lì sembra ( a parte qualche lampo) che non si sia più ripreso.

Da lì il suo volo non è più spiccato, tanto che oggi è fermo ai box, tanto che si manifestano espressioni in grigio scuro sulla sua futura carriera. Alaphilippe quello stesso giorno, nella tappa dell'infinito Iseran, quasi 3000 metri d'altitudine, dove tutto franava verso Tignes, cederà la maglia gialla. Franava Alaphilippe, franava Pinot, franava la montagna. Il giorno in cui Bernal conquistò il Tour.

Fra poche ore si parte con il Tour numero 108, con Alaphilippe che veste la maglia iridata e con Pinot che oggi non c'è e domani chissà. Il mondo da quella volta è cambiato in maniera repentina. Pinot lo aspettiamo prima o poi, Alaphilippe invece ha un sogno.

Foto: ASO/Alex Broadway


Vive Le Tour

In Francia è semplicemente “Le Tour”. La Grande Boucle, il grande ricciolo che si snoda tra le strade francesi immerse nella canicola di luglio, fino a Parigi. Un vezzo da masochisti, in fondo, perché Henri Desgrange, colui che ideò il Tour de France anche per promuovere il giornale L'Auto da lui fondato, voleva una gara talmente dura da portare un solo corridore sugli Champs-Élisées. Un rincorrersi di richiami e sfumature che Gianni Mura definì simile a una chanson de Geste. Qualcosa che si incontra tra i campi di lavanda e i campi di girasole della Provenza. È il Tour de France numero 108, quello che partirà sabato da Brest. Qualcosa che assomiglia alla poesia, a Verlaine, Rilke e Apollinaire, ma anche a Brassens o Piaf, perché, come in Provenza, non sei tu che ci entri al tal chilometro dell'autostrada, ma è lui che ti viene incontro seminando segnali. Anche questo diceva Gianni Mura.

Per esempio la carovana voluta da Robert Desmarets, braccio destro di Desgrange. Fu proprio lui a notare le automobili della Chocolats Menier che, a fine anni '20 del novecento, distribuivano tavolette di cioccolato lungo il percorso. Così si aggiunsero da subito i Biscotti Delft, la Fromagerie Bel, gli orologi Noveltex e ancora salumi e marche di abbigliamento. Ad oggi sono ben 150 i veicoli, a volte avveniristici, della carovana, circa trenta minuti di spettacolo tra musica e costume, dieci chilometri di corteo e più di 450 persone a distribuire souvenir al pubblico. Anche il pubblico ha una filosofia legata alla carovana: a bordo strada, davanti restano i bambini e gli anziani, gli adulti aspettano in seconda fila.

Ma anche i piccoli villaggi addobbati a festa sino a settimane prima a richiamare il giallo, il bianco, il rosso ed il verde, i colori delle maglie. Le scenografie nei campi di grano, disegnate da uomini o da trattori, visibili dall'aereo delle riprese televisive. Scenografie provate giorni e giorni prima, per non perdere l'attimo, per mantenere la sincronia. E poi i tavolini e le sedie di vimini appostati accanto alla strada, con tovaglie a quadri, acqua gelata, una caraffa di vino e magari birra. I camper appostati sulle salite sin dalla notte prima e le tende con il fornellino per il caffè appena fuori. Già la nenia delle salite del Tour, le Alpi e i Pirenei: Galibier, Aspin, Tourmalet, Alpe d'Huez, Mont Ventoux, Col de la Colombière e chi più ne ha più ne metta.

Il Tour è anche un linguaggio, una lingua di parole di gara evocative: peloton, il gruppo, flamme rouge, il triangolo rosso dell'ultimo chilometro, baroudeur, il dinamitardo che fa esplodere la corsa, bidon, la borraccia, ardoisier, l'uomo che a bordo di una moto segnala i distacchi su una lavagna, soigneur, il massaggiatore, crevaison, la foratura, sommet, la cima. Parole che conoscono e pronunciano correttamente anche i non francesi perché sono un fatto di costume più che di grammatica. Come le squadre storiche che al Tour hanno corso: Banesto, Kelme, T-Mobile, Festina, Mercatone Uno, Molteni e così via.
Tutto nella memoria del Tour, le rivalità, e le tragedie, i sogni costruiti e quelli infranti, i grandi vincenti, Eddy Merckx ad esempio, e gli eterni secondi, Raymond Poulidor che nemmeno sul letto di morte ebbe ragione di Anquetil che quel giorno gli disse: «Caro Raymond, anche questa volta arrivi secondo».

Qualcosa che sa di amaro come la sofferenza che si dura a pedalare il Tour e le sue strade ingrate. Così le avrebbe raccontate Ocaña a terra, sul Col de Menté, in discesa, sotto la pioggia, centrato in pieno da Zoetemelk. Oppure quelle gloriose di Parigi, infarcite della grandeur francese e della vanità per avere la corsa più importante del mondo, invecchiata come un buon vino, rigorosamente francese, un Laurent Perrier o uno Château Latour.
Così ritorna il Tour e tutti lo stanno già aspettando.

ASO / Thomas MAHEUX


Un bolide in attesa: intervista a Filippo Ganna

Fuori auto parcheggiate in battuta di sole. Caldo soffocante. Dentro una bici blu che poi è un bolide. Qualche sedia e un buffet. Si suda: naturale quando è il primo giorno d'estate, anche se c'è un leggero accenno di aria condizionata. Arriva Ganna e l'attesa diventa entusiasmo. Domande e foto. Verrebbe da definirlo teso, ma forse è calma, e intanto lui, qualsiasi cosa sia quella sensazione, la smorza sorridendo e lasciandosi andare a qualche battuta.
Verrebbe da definirlo tirato a lucido ma dice di non essere al massimo: «Dopo il Giro ho staccato un po'. È necessario per stare sempre sul pezzo» ci racconta.
Faccia da studente universitario fuori corso, lui più che studente potrebbe salire in cattedra, ma non diteglielo, spegnerebbe subito quell'idea soffiando sul fuoco. «C'è gente che arriva e si afferma subito. Poi però le loro carriere durano un attimo. Io non sono un pacco Prime: devo lavorare sodo per vincere. Sono cresciuto gradualmente in questi cinque anni per rincorrere i miei sogni, le mie vittorie».

A Tokyo non ci pensa, dice, non è il momento. È fatto così, anche se in gruppo lo vedi grande e grosso come non avesse timore di nulla, quando ce lo hai vicino è un ragazzo con occhiali da vista, un po' di barba di quella che cresce sui volti dei più giovani. È in maglietta e pantaloncini. «Sto ancora sudando dalla gara di ieri del campionato italiano. Deluso per la crono? Nemmeno un po'. Sapevo che quello era il mio attuale livello: ho fatto un lavoro di carico per essere pronto più avanti».

Più avanti, ma quando? Tokyo è l'obiettivo, la maglia azzurra un prestigio, pensare alle medaglie un privilegio. Ogni volta che si corre per la nazionale è una spinta in più. Un senso a tutti i sacrifici. Ogni volta come la prima volta, anche se hai conquistato cinque titoli mondiali. «La maglia azzurra che indosseremo a Tokyo ce l'ho già a casa, la volevo in anteprima. Per me è il significato di una carriera: curata nei minimi particolari, la cerniera col tricolore, la scritta in oro».
Diplomatico, dice di non dare troppo peso, al momento, a quel che sarà in Giappone: «Se stessi qui a pensare a ogni gara l'attesa mi mangerebbe e invece così gestisco le pressioni. Vado a Tokyo pensando che sarà una gara come un'altra. Certo, mica per portare un numero sulla maglia, ma consapevole di aver programmato tutto per il meglio. Magari solo alla partenza mi renderò conto di dove sono e di cosa potrò realizzare».

Quando racconti un corridore con l'attitudine alla vittoria, ti ritrovi a esaltare il gesto e magari a dare per scontato i suoi successi, ma ai Giochi Ganna avrà di che lottare. Con se stesso: dovrà resettarsi dalla cronometro all'inseguimento a squadre. Il tempo sarà amico-nemico. «I miei compagni dell'inseguimento vanno forte – racconta con un sorriso – mi hanno messo in difficoltà: sono io a dovermi adattare a loro. Alla medaglia non ci penso, intanto rompiamo il ghiaccio con la cronometro: mentalmente e atleticamente non è semplice passare da un tipo di sforzo all'altro. Anche dal punto di vista ambientale: due situazioni completamente differenti da gestire. Su strada hai il paesaggio che muta continuamente e la gente intorno, su pista hai gli spettatori, lo sguardo a terra e vedi legno su legno».

Contro gli altri: favoriti nel velodromo che ospiterà la gara olimpica «le furie rosse danesi», mentre non vuole fare nomi per la crono. «Van Aert, Evenepoel, Dennis, Dumoulin? Tutti quelli che partono sono in corsa per le medaglie».

Spiega come non ci sia un vero segreto per il successo al Giro, ma semmai ha ben chiaro qual è stato il suo ruolo: «Il mio vero obiettivo non erano le cronometro. Lo scopo di tutto era tenere alto il morale. Negli anni, maturando, mi sono accorto di avere grande capacità di fare gruppo. L'importante era stare vicini a Bernal in ogni situazione per smorzare la tensione: immaginatevi le difficoltà nell'essere sul pezzo tre settimane e giocarsi un Giro».
E la chiosa, leggera, arriva proprio sui suoi capitani: «Thomas mi ha scritto dopo la partita con il Galles: “D'altra parte, l'Italia ha stile”. Bernal invece è come un fratellino più piccolo, anche se poi alla fine vince sempre lui».

Filippo ora appare più disteso, finite le interviste, il sole fuori resta alto e le auto sembrano prendere fuoco. La sua bici, in esposizione, viene portata via. Sul tavolo qualche bottiglietta d'acqua. Firma un paio di autografi, si cambia la maglietta per una foto di gruppo, ancora sorridente, allentando la pressione di una giornata dedicata a media e sponsor. Sale in auto e si allontana. Mentre Tokyo, a migliaia di chilometri da qui, ogni giorno è sempre più vicina.

Foto: Paolo Penni Martelli


Aspettando il futuro: intervista a Francesca Barale

Francesca Barale, Vo2 Team Pink, venerdì, prima di partire per la cronometro che l'avrebbe consacrata campionessa italiana, non ha pensato a tutto lo sforzo che l'attendeva. In realtà non ci si pensa quasi mai: «La fatica è talmente tanta che, se riflettessi su quello che ti aspetta, non partiresti nemmeno. Nessuno specialista ci pensa».

Quello a cui invece si pensa è ciò che potrebbe accadere se riuscissi a dare tutto in quello sforzo. «Sei da sola, non hai punti di riferimento. Le radioline ultimamente aiutano a sconfiggere quel senso di solitudine, la voce del direttore sportivo ti aiuta a non naufragare con i pensieri ed è da lì che poi viene il crollo. Se inizi a dirti che le gambe non girano come vorresti è la fine. Io mi ripetevo: "Dai, resisti. Quella maglia ti aspetta". Così è successo, proprio quando non me lo aspettavo perché le cronometro precedenti non erano andate come avrei voluto, forse per questo ero tranquilla. In corsa sono abbastanza cinica e, quel giorno, non avevo nulla da perdere».

Barale è nata e cresciuta in Val d'Ossola e, fino a due anni fa, ha corso in squadre originarie della Valle, senza mai spostarsi. La sua salita preferita è quella di Trontano, dove va spesso ad allenarsi e dove, l'anno scorso, ha vinto la cronoscalata organizzata dal padre. «Per chi va in bicicletta la nostra zona è stupenda. Dalla montagna, alla collina, al lago. C'è tutto. A me spiace solo che manchino le gare. C'è qualcosa per il settore giovanile, ma per il femminile siamo ancora indietro. Serve gente appassionata che abbia idee e volontà e, soprattutto, serve la volontà di investire. La mamma dii Elisa Longo Borghini, ad esempio, aveva proposto una gara ad Ornavasso».

Lo stesso discorso, ribadisce Barale, vale per il ciclismo femminile. «Certamente nel ciclismo maschile ci sono più possibilità economiche e chi investe ragiona in questi termini. Voglio fare una considerazione: la gente, spesso, non ci conosce e quando parla di ciclismo crede che il ciclismo sia uno sport esclusivamente maschile, come se noi non facessimo la stessa fatica o gli stessi sacrifici. Penso che chi vuole bene al ciclismo abbia il dovere di raccontare sempre più spesso anche le nostre corse perché solo attraverso la conoscenza possiamo crescere. In questo senso, la diretta televisiva della prova femminile a cronometro, come avvenuto in altri paesi, avrebbe fatto bene».

Quando parla di Elisa Longo Borghini e di Filippo Ganna, Francesca Barale fa leva sull'orgoglio: «Devo dire che la nostra terra sta sfornando parecchi talenti ultimamente. Con Elisa abbiamo in comune caratteristiche simili, ma ci siamo conosciute dopo. Filippo Ganna invece lo conosco sin da quando era ragazzino perché le nostre famiglie hanno buoni rapporti. Mi fa quasi strano vederlo acclamato da tutti, famoso. Se lo merita, sia chiaro, ma per me resterà sempre il ragazzo semplice e l'amico di famiglia».

Nonostante la giovane età, appena diciotto anni, Barale spazia con agilità e arguzia su qualunque argomento. Un appunto interessante, per esempio, lo muove parlando di alimentazione. «Non sono seguita da un nutrizionista perché credo che nella mia categoria non sia necessario e perché personalmente ho una costituzione abbastanza magra che mi permette di gestirmi bene anche da sola. Però bisogna essere chiari: non è sempre vero che l'essere magri consente di andare più forte. Soprattutto non è vero che l'essere troppo magri fa ottenere risultati migliori. Si tratta di un pensiero che, a lungo andare, è pericoloso. Nel ciclismo spesso sono gli staff che fanno leva su questa idea. La nostra società ha propagandato per troppo tempo l'idea di bellezza associata ad una magrezza eccessiva. Facciamo attenzione».

L'anno prossimo Francesca Barale sarà chiamata al salto fra le élite: Il pensiero la spaventa e allo stesso tempo la stuzzica. «Non è mai facile. All'inizio sono schiaffi e frustrazione e il fatto di non avere una categoria intermedia tra junior e élite, purtroppo, peggiora solo la situazione. Tuttavia è proprio attraverso le delusioni che si cresce e si migliora. Servirà tempo e voglia di resistere. Il sogno sarebbe il mondiale e, perché no, un domani la vittoria del Giro d'Italia. Sono una passista scalatrice e credo di averlo nelle mie corde. Tempo al tempo».


Livigno Road Bike Tour

Salite leggendarie, ascese epiche che rappresentano la storia del ciclismo, scenari alpini senza eguali: Bernina, Stelvio, Gavia, Mortirolo, Foscagno, Forcola. Siamo nel cuore delle Alpi fra Valtellina e Grigioni, dove pedalare è magia. Scalare queste vette e lanciarsi in picchiata fra queste vallate bisogna farlo. Almeno una volta. E da quest’anno si può, grazie al Road Bike Tour proposto da Apt Livigno e grazie a un programma settimanale di percorsi con bici da strada e gruppi organizzati con van ammiraglia al seguito. Scollinamenti oltre i 2000 metri, salite infinite, serpenti di asfalto che si inerpicano fra la vegetazione; muri di roccia e lingue di neve che resistono. Scoprire, esplorare, avventurarsi. Elevarsi anche, perché attaccare questi mostri sacri rappresa un'esperienza unica.

Almeno una volta, ancora una volta. Per i più allenati, per i più avvezzi, ma anche per chi da poco ha scoperto il pianeta della bicicletta. Per chi spinge sulle salite, per chi attacca spavaldo queste cime sacre sfidandole, per chi si realizza con sudore e fatica. Ma anche per chi mette al centro della propria esperienza un viaggio esplorativo, conoscitivo, persino introspettivo. Per tutti i gusti insomma, per tutte le età, per tutte le capacità.

In sicurezza, scortati, perché Livigno offre a tutti la possibilità anche ai meno esperti, di raggiungere queste mete. Per tutti, proprio nel segno del ciclismo e nel suo tratto distintivo aggregante. Con la tua bici, oppure con Pinarello che è partner dell’iniziativa. Con una bici da strada, una gravel, una e-bike.

I PERCORSI SETTIMANALI

LUNEDÌ, GIRO DELL’ ENGADINA
Un giro ad anello non particolarmente impegnativo, con la salita più dura all’inizio per raggiungere prima il Passo Forcola (2315 m.) e poi, dopo una breve discesa, il Passo del Bernina (2328 m.). Si prosegue verso St. Mortitz e poi si percorre tutta l' Engadina per rientrare al tunnel Munt La Schera attraverso l’ultima salita di Ova Spin (1880 m.). Quindi si costeggia il lungolago fino a Livigno
Dislivello 1460
Distanza: 108 km
Cima Coppi: Passo del Bernina 2327 m.
Ritrovo: tra le ore 09.00 e le ore 10.00 c/o Bike Skill Center
Info e Prenotazione: +39 331 3322023 - info@bikelivigno.com.

MARTEDÌ, STELVIO DA UMBRAIL
Prevede la scalata del Passo dello Stelvio dal versante svizzero, Si transita dal Tunnel Munt la Schera ed ecco l’ascesa al Passo del Forno (2149 m.), seguito da una lunga discesa che, attraverso la Val Müstair, punterà a Santa Maria. Si sale così in direzione Stelvio dalla Valle dell'Umbrail, per giungere dopo 13 chilometri di ascesa i 2500 metri del confine con la Valtellina. Quindi i quasi 4 chilometri fino al Passo Stelvio. Poi la picchiata verso Bormio e il rientro verso Livigno con una salita divida in due sezioni: il Passo del Foscagno (2290 m.) prima e dopo una discesa il Passo Eira (2210 m.).
Dislivello: 3190
Distanza: 112 km
Cima Coppi: Passo dello Stelvio 2758 m.
Ritrovo: tra le ore 09.00 e le ore 10.00 c/o Bike Skill Center
Info e Prenotazione: +39 331 3322023 - info@bikelivigno.com.

MERCOLEDÌ: LA GIORNATA CON IL CAMPIONE
Ogni mercoledì ecco la giornata con il campione: i partecipanti avranno la possibilità di pedalare e scambiare opinioni per qualche ora con uno dei corridori professionisti presenti a Livigno per gli allenamenti. Ovviamente ammiraglia sempre al seguito e si potrà usufruire del servizio shuttle per il rientro verso Livigno.
Ritrovo: tra le ore 09.00 e le ore 10.00 c/o Bike Skill Center
Info e Prenotazione: +39 331 3322023 - info@bikelivigno.com.

GIOVEDÌ: FOSCAGNO E FORCOLA
Fra Alta Valtellina e la svizzera Val Poschiavo: la prima salita di 6 km è il Passo Eira (2208 m.) per proseguire per la seconda parte di ascesa di 4 km al Passo del Foscagno (2291 m.). Giunti a Bormio, si percorre la vecchia statale di Tirano (427 m.) per poi affrontare in territorio elvetico 35 km di salita con quasi 2000 metri di dislivello fino al Passo Forcola. Poi la discesa per rientrare a Livigno.
Dislivello: 2800 mt.
Distanza: 125 km
Cima Coppi: Passo della Forcola 2315 m.
Ritrovo: tra le ore 09.00 e le ore 10.00 c/o Bike Skill Center
Info e Prenotazione: +39 331 3322023 - info@bikelivigno.com.

VENERDÌ: FLUELA E ALBULA
Giro tutto in territorio elvetico: subito direzione Zernez, quindi Susch e si sale subito per 13 km. verso il Flüela Pass. La discesa poterà a Davos, celebre cittadina grigionese. Da qui si procede percorrendo la vallata che ci porterà a Filisur, dove si imboccherà la valle dell'Albula per la seconda fatica di giornata (2312 m.). La discesa riporterà in Engadina e poi successivamente si tornerà a Zernez.
Dislivello: 3070 mt.
Distanza: 117 km
Cima Coppi: Passo Flüela 2384 m.
Ritrovo: tra le ore 09.00 e le ore 10.00 c/o Bike Skill Center
Info e Prenotazione: +39 331 3322023 - info@bikelivigno.com.

SABATO E DOMENICA: STELVIO DA PRATO
Sua maestà lo Stelvio dal suo versante più epico, quello altoatesino di Prato Stelvio. Partendo da Livigno, si percorrerà il lungolago fino al tunnel Munt La Schera che attraverseremo con l'ausilio di una navetta. La prima salita porterà al Passo del Forno (2149 m.). Quindi attraversando la Val Müstair ecco Glorenza e successivamente Prato Stelvio dove inizierà la mitica ascesa allo Stelvio (2758 m.). Si scende a Bormio e poi la consueta doppia salita per rientrare a Livigno: Era e Foscagno.
Dislivello: 3640 m.
Distanza: 140 km
Cima Coppi: Passo dello Stelvio 2758 m.
Ritrovo: tra le ore 09.00 e le ore 10.00 c/o Bike Skill Center
Info e Prenotazione: +39 331 3322023 - info@bikelivigno.com.

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La possibilità di Colbrelli

Il mercato della domenica, a Bellaria, si staglia sotto un cielo che soffoca ogni filo d'aria, senza alcuna pietà. Alla bancarella della frutta, accanto ai cesti delle albicocche e delle pesche, qualche signora inizia a sventolare un ventaglio fiorato, cercando refrigerio mentre sceglie la frutta. Piazza Matteotti è solo qualche metro più in là: qualche tempo fa, forse, avresti visto i corridori prendere al volo qualcosa dalle bancarelle, appendere il sacchetto al manubrio e pedalare verso l'albergo, come un qualunque turista a passeggio. La pandemia non lo permette più, ma chi vive il ciclismo è sempre vissuto di queste situazioni e le immagina appena può.

Del resto, a mollo in quell'aria pesante ci sono proprio tutti. C'è chi ne ha vissute talmente tante da non sorprendersi più per nulla e chi, invece, vive con meraviglia già il fatto di essere qui. Il Campionato Italiano è anche questo: lo vedi dal modo in cui i ciclisti più giovani fissano l'arrivo di Vincenzo Nibali, di Domenico Pozzovivo o di Giulio Ciccone al palco firme. Per alcuni quella che parte subito dopo il via è la solita fuga, il copione consolidato di quasi ogni corsa, per loro quella è la fuga, la possibilità. Per loro è tutto nuovo, per altri è tutto già visto. Eppure, a conti fatti, sono tutti qui per lo stesso motivo, anche chi non lo ammette, e tutti hanno almeno una possibilità. Non c'è storia che tenga.

Bergullo, Mazzolano, Riolo Terme e Gallisterna sono lì, impassibili. Non impossibili, certo. Sono qualcosa che avvolge e stringe. Sempre più forte. Ad ogni tornata, mentre il sudore scivola copioso e quasi sembra sciogliere la pelle. Una lenta tortura fino a che la fuga non esplode e si fraziona. Zoccarato, Maestri, Affini, Konychev e Tarozzi, fra gli ultimi a cedere, sentono il fiato del gruppo, mentre l'acido lattico graffia i muscoli. Maledicono Davide Formolo che scattando sveglia il gruppo e si porta dietro Nibali, Cattaneo, Masnada, Colbrelli, Oss, Carboni e Pozzovivo. Quelli che in gergo ciclistico vengono definiti cagnacci, perché temibili, perché non prevedibili e niente spiazza più di ciò che non si sa controllare. Se Zoccarato reagisce, se riesce a tenere il ritmo, è perché ripesca quella possibilità, quella che hanno tutti ogni volta in cui attaccano un numero alla schiena. Si incolla alla ruota di Sonny Colbrelli e Fausto Masnada e per diversi chilometri riesce a non perderla, poi si stacca ma continua a spingere a tutta. Si tratta della sua possibilità, può anche essere improbabile ma buttarla via significa non rispettare la fatica, non rispettarsi. Arriverà terzo, ma non conta. Quel podio racconta più di ciò che mostra.


La consapevolezza di Fortunato

Stamani, Lorenzo Fortunato, Eolo-Kometa, è tranquillo, anzi «molto tranquillo», come dice lui. Ne è convinto. «L'importante è aver fatto tutto ciò che si poteva fare prima di presentarsi alla partenza. Se capita la giornata no, la accetto. Quello che non riuscirei mai ad accettare sarebbe la possibilità che le cose siano andate male per una mia manchevolezza». Fortunato, nato e cresciuto a San Lazzaro di Savena, dietro le colline bolognesi, ha un senso del dovere particolarmente spiccato. La campagna attorno alla casa dei suoi nonni, sin da ragazzino, gli ha fatto da maestra. «Ho sempre visto cosa significasse portare a casa la pagnotta per se stessi e per i propri familiari. La fatica che hanno fatto i nonni o mio padre, che ha iniziato a lavorare al termine delle scuole medie come meccanico, poi come falegname ed oggi è direttore di banca». Così al concetto di fatica Lorenzo è abituato, come a quello di dolore, almeno in sella. «Alla fatica del nostro mestiere ti puoi abituare, come alla sofferenza fisica. Il vero dolore, la vera fatica è quella insita nelle faccende della vita di tutti i giorni. Quello ti coglie alla sprovvista e devi essere bravo per non cedere».

Le strade del Campionato Italiano, in realtà, sono distanti da casa, ma Fortunato ricorda bene quando, da ragazzino, andava a Imola, con una tuta rossa, a vedere la Ferrari girare in autodromo. Tifava per Schumacher, se pensa a Imola, però, gli viene in mente Ayrton Senna. «Ho pochi ricordi, molto nitidi. L'incidente e Senna che viene trasportato d'urgenza a Bologna». Preferisce non ripensarci e torna a parlare della giornata che lo aspetta: «Sarà caldissimo, credo intorno ai quaranta gradi. Amo il freddo e la pioggia, ma le lamentele non fanno per me. Avrò la possibilità di correre per vincere, c'è altro da dire?». La determinazione è la chiave di lettura di questo ragazzo che mentre scalava lo Zoncolan, al Giro, non ha voluto pensare alla possibilità di vincere per timore di rilassarsi. «Il punto è restare concentrati su ciò che stai facendo in questo momento, isolando tutto ciò che seguirà. L'uomo, invece, vorrebbe gestire tutto assieme e i danni più grossi vengono proprio da lì. A questo Campionato Italiano ho iniziato a pensare solo al ritorno dall'Adriatica Ionica Race. Prima non avrebbe avuto senso, non sarebbe servito ad altro che a preoccuparmi».

Dalle vittorie Fortunato ha imparato ciò che può fare. «È necessario essere consapevole di ciò che sei e di ciò che sai fare, con sincerità, prima di tutto nei propri confronti, altrimenti continuerai a sbagliare, qualunque strada tu prenda». Sa bene che il rischio, quando si ottengono risultati importanti sin da giovane, è quello di montarsi la testa, lui, però, spiega di non correre questo pericolo. «Sono rimasto e rimarrò comunque il ragazzo di sempre. Nei primi anni, quando non ottenevo i risultati che avrei voluto, sapevo che tutto questo avrebbe potuto finire, che avrei dovuto cercarmi un lavoro diverso. Lo sapevo allora e lo so ora. Senza impegno quotidiano, svanisce tutto in poco tempo. Piedi per terra e lavorare sodo». Tanto più che la tranquillità serve soprattutto quando le cose non vanno bene. «I complimenti si fanno sempre a chi vince. Quando vinci, però, è tutto facile. Bisognerebbe immedesimarsi in chi non ce la fa, in chi si stacca, in chi non trova la giornata giusta da troppo tempo».

Oggi vuole far bene per se stesso e per tutte le persone che crede potrebbero esserne felici. Dice che è bello quando la tua felicità è, al contempo, la felicità di qualcun altro, però, avverte: «Credo sia giusto cercare di far felici le persone che ci stanno accanto, penso che far felici tutti sia impossibile ma anche sbagliato. Chi vuole rendere felici tutti, alla fine, non fa felice nessuno, a cominciare da se stesso». Certo, perché, col tempo, Fortunato ha capito che la propria serenità è la cosa più importante. «Mi spaventa l'idea che un domani possa deludere i miei genitori, per farti un esempio. E, se succedesse, ne sarei davvero dispiaciuto. Credo non accadrà, per diversi motivi. Soprattutto, però, penso che se le scelte che avrò fatto saranno state le migliori per me, saranno loro stessi a comprenderle ed accettarle. Pur magari non condividendole. Chi ti vuole bene, fa così. Non ti costringe a non scegliere e non ti addossa colpe, se la scelta che fai non gli piace».

Foto: Luigi Sestili


Auguri, Sceriffo

La strada che sale a Maso Warth è ripida e tortuosa. Si arrampica tra le vigne, curate meticolosamente.
Siamo arrivati davanti alla cantina Moser alle 19, ormai era sera. Dalla mattina presto eravamo in giro attorno a Trento per scattare foto per un servizio sui Campionati Europei di ciclismo che si svolgeranno proprio nel capoluogo trentino a metà settembre. Non è che ci presentassimo benissimo, sudati, malconci, vestiti metà da bici e metà no. Fermate le auto davanti alla tenuta, non c’era nessuno, a parte un uomo, con due cani, che armeggiava in un garage con delle cassette di legno. Decido di scendere per chiedere informazioni. Quando quel signore alza la testa, mi pianta gli occhi in faccia e lo riconosco al volo: lo Sceriffo.

Immaginate di trovarvi in casa di Moser, davanti a Moser a chiedere informazioni su dove andare a parcheggiare l’auto.
«Ehm… Buonasera signor Moser, avevamo un appuntamento con Carlo. È un piacere, è un onore…».
Quelle cose lì che si dicono goffamente quando si è in imbarazzo e ci si ritrova davanti un’icona dello sport. Lui, dopo avermi squadrato e probabilmente dopo aver ricordato che avrebbero dovuto arrivare dei giornalisti e dei fotografi della rivista Alvento, invece non era in alcun imbarazzo. I due cani Lindsey (da Lindsey Vonn) e Tom (da Tom Boonen) - ho colto quando diceva questa cosa, ma non ho afferrato il perché si chiamassero così - hanno iniziato a saltarmi addosso per farmi le feste e per prima cosa si è premurato di ribaltare Lindesy pancia all’insù e mostrarmi una lunga cicatrice, spiegandomi il decorso clinico di un intervento a cui l’anziana cagnolona era stata da poco sottoposta.

«Non sopportava quell’ostia di collare, com’è che si chiama…».
«Elisabetta?»
«Ma no, si chiama Lindsey. Dicevo il collare!»
«Eh, sì, collare Elisabetta, quello che mettono ai cani perché non si lecchino le ferite».
«Ma no, insomma quel collare là che si mette ai cani. Ma non lo sopportava povera bestia. Allora ho preso una maglietta da ciclismo. Era di una granfondo, forse la Charlie Gaul del Bondone, e gliel’ho messa su, così stava bella protetta e non si leccava. Ah, è guarita una meraviglia, altro che il collare».

Insomma, dall'imbarazzo di quell'incontro casuale, avevo rotto il ghiaccio con Francesco Moser.
A seguire ha poi accompagnato me e il resto della banda di Alvento a visitare la sala degustazioni della cantina, le viti, le piante di ciliegie, avrebbe sciabolato un 51.151, il suo metodo classico dedicato al record dell’ora, e soprattutto ci avrebbe incantati mostrandoci la sala dei trofei e snocciolando un aneddoto dopo l’altro.
Noi, naturalmente, tutti a bocca aperta.

In bacheca, il Checco vanta un Giro d’Italia, 3 Parigi-Roubaix, 3 Giri di Lombardia, una Freccia-Vallone, una Gand-Wevelgem, una Milano-Sanremo, un campionato del mondo su strada e uno su pista nell’inseguimento individuale.
273 vittorie su strada da professionista: primo ciclista italiano per numero di successi, terzo al mondo dopo Eddy Merckx e Rik Van Looy.
Con il suo record dell’ora, stabilito a Città del Messico nel 1984, cambiò per sempre il ciclismo, spingendolo verso il futuro e i giorni nostri.

Oggi Francesco Moser compie settant’anni.
Tanti auguri allo Sceriffo del ciclismo italiano, uno dei più grandi campioni della storia di questo sport.

Foto: Jered Gruber