Unbound
7 Giugno 2022GravelDe Marchi,Ten Dam,Unbound,Slik
Mentre l’UCI cerca di capire come, dove e quando fare un mondiale Gravel è opinione comune che Unbound sia la gara più importante al mondo quando si parla di strade sterrate.
Lo scorso weekend i più forti atleti gravel (e non) al mondo si sono dati appuntamento ad Emporia, Kansas, per darsi battaglia e celebrare un weekend di ciclismo e divertimento allo stato puro.
Circa 5000 i partenti, divisi su tre distanze di cui quella da 200 miglia (330 km) è indubbiamente l’evento principale del weekend. Al via nomi di spicco come Lachlan Morton, Nathan Haas, Peter Stetina ma anche outsider provenienti da altre discipline come Cameron Wurf e Ashton Lambie. Per la prima volta, anche un buon gruppo interessante di europei oltre al solito Laurens Ten Dam. Mattia de Marchi e Ivar Slik per fare due nomi.
La gara è stata durissima, complicata dai forti temporali che hanno trasformato le lunghissime strade dritte sulle colline in fiumi di fango nella seconda metà del tracciato. Mattia de Marchi e Laurens Ten Dam hanno provato il colpaccio da lontano, prima di essere ripresi e lasciare spazio a quello che restava del “gruppo”. In un finale strettissimo, ad avere la meglio è stato Ivar Slik: una prima volta quasi storica per un atleta europeo.
La festa è per tutti, perché per i più la vera sfida è portare a termine uno dei percorsi a disposizione, che sia quello da 200, da 100 miglia o da 350. Festa e show come solo in America si sa fare, con pubblico in partenza e all’arrivo degno di una gara World Tour. Poi domenica mattina tutto ritorna alla normalità di un modesto paesino di 25000 anime in mezzo ai campi e alle colline del Kansas.
Quel finale a suo modo iconico
6 Giugno 2022CorseVuillermoz,Delfinato
Chissà che faccia avrà fatto Taco van der Hoorn, primo ieri alla Brussels Classic, vittoria ottenuta picchiando sulle spalle come fosse un vecchio batterista tutto muscoli, sudore e boccacce, quando gli hanno detto di essere diventato fonte d'ispirazione per i corridori in gruppo.
Oggi, nella seconda tappa del Critérium du Dauphiné, è arrivata la fuga e chi ha vinto ha dichiarato proprio di aver pensato a lui e a quel finale a suo modo iconico. Il gruppo ha dormicchiato e sbagliato i calcoli, forse per sopravvalutazione dei propri mezzi, vuoi perché in vena di regali (si dice spesso così, mah...), vuoi perché chi sta davanti all'aria ha la capacità di gestirsi e mezzi atletici importanti e spesso le differenze stanno nei dettagli. E spesso quei dettagli sono così impercettibili che la differenza tra inseguitori e inseguiti è minima. Ci sono altri motivi, ma non ci interessano.
Ci interessa che quei cinque sono arrivati e Alexis Vuillermoz, uno di quelli lì davanti, ha superato e battuto Le Gac che provava la sparata ad anticipare coloro che avevano anticipato il gruppo 150 km prima.
«Ero convinto che saremmo stati ripresi, e poi quando è scattato Le Gac pensavo di averla persa. E allora ho iniziato a pensare a quel corridore della Intermarché, in quella gara di ieri. Lui non si è mai arreso: perché avrei dovuto fare lo stesso io? È andata bene». Benissimo.
Ogni van
6 Giugno 2022Approfondimentivan Aert,van der Poel,van der Hoorn
Ogni van (der Poel, der Hoorn, Aert) che ci esalta.
Seguire il Giro e trovarti van der Poel che si scatena.
Poi passa una settimana, o poco più - facciamo nove giorni per la precisione - e tocca a van Aert.
Che l'ultima volta che ha corso finiva terzo alla Liegi e la volta prima secondo alla Roubaix.
Che riprende in mano la bici
e conquista la volata al Delfinato dove,
«Avevo vinto le mie prime gare nel World Tour», ma ehi, lui sostiene che sarà qui (lì, di nuovo per la precisione) solo per aiutare Roglič e non penserà alla classifica a punti che in Francia ha sempre un certo fascino pure se è quella del Delfinato.
A tutti gli effetti un mini Tour de France.
«Però sto facendo un pensierino a un'altra vittoria di tappa» dice.
Per fortuna che lo specifica altrimenti ci stava prendendo una bella delusione a immaginarlo da oggi stare con le mani in mano quando invece ci sarebbe subito una bella occasione per ribadire. Anche se non in maglia tricolore ma con quella gialla.
Che poi lo vedi tirare il gruppo e persino scalare le montagne.
Ma poi si sa che con i van non è mai finita.
Perché ci siamo immaginati Taco van der Hoorn andare in fuga alla Brussels Classic e vincere. In realtà non ce lo siamo immaginati, è andata proprio così.
L'ultimo giorno al Giro
29 Maggio 2022Corse,Giro d'ItaliaGiro 22,Hindley
L'ultimo giorno è proprio ciò a cui pensi quando parli di ultimo giorno. Un misto di gioia e malinconia. La gioia di chi vince, della sua squadra, la gioia di chi due anni fa aveva perso il Giro d'Italia proprio all'ultimo, Jai Hindley. Oggi aveva un vantaggio tale da non avere più paura. Nemmeno degli spettri che ti possono prendere la notte quando cerchi di prendere sonno.
L'ultimo giorno è la gioia di chi finisce per una sera di far fatica, sapendo che domani mattina potrà dormire qualche ora in più. Vale per il gregario e per il capitano. Vale per chi porta avanti il gruppo e magari vorrebbe fermarsi a bordo strada. Per chi si guarda dentro mentre pedala e chi trova la forza di fermarsi a fare l'occhiolino a un piccolo tifoso come fa Dries De Bondt in piena fatica sul Passo Fedaia.
È l'ultimo giorno di Jakko Hanninen, finlandese, non è il più giovane al via, ma se lo vedi ti verrebbe qualche dubbio. Dice di aver apprezzato questo Giro in particolare per il caldo: «Anche se arrivo dalla Finlandia e allora tutti pensano che mi piace il freddo. Ma per me il caldo è come stare in una sauna. E io amo la sauna».
L'ultimo giorno è la malinconia: di e per Vincenzo Nibali. Viene quasi un groppo in gola a pensare che non ci saranno più altri Giri d'Italia; un po' per lui, un po' per noi. Il ritiro di un corridore del quale si è vista tutta la parabola. Il segno di un momento che finisce. Delle rughe che avanzano e degli acciacchi che aumentano. Ha fatto un'epoca Nibali, ha dato spettacolo e ribaltato. Oggi - salvo ripensamenti – è stato il suo ultimo momento al Giro. Dura da scrivere.
L'ultimo giorno è la gioia ripensando a van der Poel su queste strade: non si è mai sottratto dall'idea di dare spettacolo. L'ultimo giorno è quello che riempie Verona di transenne, di gente e colori nonostante il grigio del cielo; riempie l'Arena di musica tamarra e urla a ritmo, c'è pure quella macchia gialla sudamericana che se ne frega e allora è tutto un grido: “Carapaz! Carapaz! Carapaz!”
L'ultimo giorno è quel misto di sentimenti: la gioia di chi torna a casa, ma con quella punta di malinconia che prende sempre al termine di un viaggio: corridori, massaggiatori, autisti, cuochi, fotografi, giornalisti, addetti stampa, chi da dietro si muove per portare a buon fine il circo e a portare in giro il Giro con tutto il suo baraccone.
L'ultimo giorno è quello del podio: Hindley, lo abbiamo detto, smetta di avere paura del buio, questo è il suo giorno e di tutta la BORA-hansgrohe che si traveste di rosa in mezzo al pubblico dell'Arena. Per il suo ultimo giorno c'erano la famiglia e la sua ragazza in mezzo al pubblico. Scavalca le transenne, mentre l'Arena ribolle, e va da loro dopo aver appena concluso la sua prova. È l'ultimo giorno di Carapaz, mai troppo brillante, ma tornerà e vincerà quando vorrà nuovamente giocare di fantasia come in quel 2019. L'attendismo non è roba che gli appartiene. L'attendismo è roba che è appartenuta troppo agli uomini di classifica in questo Giro.
L'ultimo giorno è quello di Sobrero che aspettava da tempo una vittoria così; è quello di Verona, di nuovo, che al tramonto della corsa smonta le transenne e domani non le rimetterà da nessuna parte. Oggi è stato davvero l'ultimo giorno del Giro.
Un ananas al gusto punk
27 Maggio 2022Corse,Giro d'ItaliaGiro 22,De Bondt,Alpecin
Ieri avevamo visto Dries De Bondt lungo la strada che portava in cima al "Menador". Erano passati diversi minuti da quando il suo capitano van der Poel finiva di dare spettacolo. Lo abbiamo fotografato mentre mostrava fiero e divertito un'ananas che gli aveva passato un ragazzo che si fa chiamare "il cuoco in bicicletta". Scontato dirlo: segue il Giro vestito da cuoco e sale su in bicicletta.
Oggi Dries de Bondt ha mostrato il petto sul traguardo di Treviso. Ieri un'ananas, oggi il mondo, parafrasando o forse meglio dire omaggiando in qualche modo i Ramones. Per via del gusto punk con cui la Alpecin (van der Poel, Oldani, De Bondt: tre successi al Giro per loro e tanto spettacolo anche fuori dal contesto gara) sta condendo la Corsa Rosa edizione 2022. Avanguardisti più che elementi di rottura, proiettati, a livello di comunicazione, nel futuro.
De Bondt è esattamente uno di noi. Si ferma a parlare alle transenne per decine di minuti con i tifosi; lo trovi in cima al Menador che porta in giro un'ananas come fosse un amatore e il giorno dopo va in fuga e vince.
Nei giorni scorsi Filippo Cauz ci raccontava di aver visto il corridore belga - corridore di grande livello - al termine della sua fatica nell'ultima tappa del Giro 2021, dall'altra parte delle transenne: si era messo al tavolino di un bar a chiacchierare.
E Dries De Bondt chiacchiera e poi lo vedi in fuga, come oggi, con Affini che al termine della tappa si va a congratulare con lui che lo ha battuto di un niente nonostante si possa dire come, se la fuga è arrivata al traguardo, una percentuale di merito è del corridore della Jumbo Visma, che quando tirava, dilatava il tempo tra i fuggitivi e il gruppo.
Va in fuga De Bondt, le fughe senza speranza, senza una ragione. L'altro giorno sembrava andare via così per fare, è stato ripreso a 700 metri dall'arrivo. Era da solo: «le fughe delle cause perse» le ha definite.
Oggi quella fuga è andata in porto e Dries ha vinto. Con quel sapore punk e la mente che va subito a quella foto di lui con un ananas in mano che è già simbolo del Giro 2022.
Black Boy Fly
È stato il più grande campione afroamericano della storia del ciclismo, uno del primi campioni mondiali di velocità su pista, un’icona che va ben oltre l’ambito sportivo ma che per decenni ha finito per essere dimenticata.
La quarta puntata della seconda stagione di Parole Alvento è dedicata a Marshall ‘Major’ Taylor, in occasione dell’uscita di Black Boy Fly, il nuovo libro della collana Pagine Alvento.
Un viaggio nel ciclismo dei pionieri e nella cultura afroamericana, tra velodromi, corse e musica. Un racconto a tre voci, con Marco Ballestracci, autore di Black Boy Fly, Gino Cervi, curatore di Pagine Alvento, e Luca Mich, storyteller ed esperto di cultura black.
Voci: Marco Ballestracci, Gino Cervi, Luca Mich
Sound design: Brand&Soda
Elogio al Vanderpoelismo
25 Maggio 2022Corse,van der PoelGiro d'Italia,Giro 22
Ci risiamo e non ce ne voglia nessuno: gli altri pedalano, mentre Mathieu è il ciclismo. Tempo fa qualcuno lo definiva vanderpoelismo. Abbiamo esagerato? Esageriamo volentieri.
Lo state vedendo a questo Giro? Attacca ogni giorno. Non vince? Chi se ne frega. Oh Mathieu, Mathieu, scusaci per la confidenza, ma quanto ci stai facendo divertire?!
Oh Mathieu, Mathieu, oggi più passavano i chilometri e più prendeva forma una cosa che pareva impensabile. Al diciassettesimo giorno di gara, che poi fanno praticamente venti, stavi per vincere una tappa di montagna. Non avrai mica tra le tue doti persino il recupero? Non avrai mica strane intenzioni per il futuro? Provocazione che arriva da diverse parti: e se un giorno disegnassero un Giro per te (e van Aert)?
Oggi non hai vinto? È come se avessi vinto.
Ma che motore hai? Stai facendo ricredere gli scettici, quelli del "ma tanto viene qui, vince una tappa e torna a casa". Non è nel tuo stile, quello che ti ha insegnato nonno Poulidor. Come invece è nel tuo stile concederti sempre nelle interviste prima e dopo la gara; fermarti alla partenza a firmare autografi e a sorridere ai tifosi. L'altro giorno dopo la tappa di Torino abbiamo visti due ragazzini inseguirti letteralmente dietro le transenne. Correvano in ciabatte e urlavano "Mathieu, Mathieu!". Ti sei fermato. L'altro giorno sul Santa Cristina hai avuto la lucidità di impennare e sorridere. La gente dopo il passaggio dei primi aspettava quel momento.
È nel tuo stile prendere il manubrio e strapazzarlo. Generoso in fuga – pure troppo- oggi la rinfrescata arrivata sin dalla sera prima sul percorso sembrava farti volare sulle salite. Tu, un ciclocrossista, un cacciatore di classiche, con quei dorsali e quel peso, sembravi all'improvviso come fatto per scalare le montagne. Hai rischiato in discesa, dove hai costruito parte della tua tappa e dove hai rischiato di chiudere anzitempo la giornata. Hai salvato quell'errore in curva, ma non si capisce ancora come.
Oggi hai attaccato, scusa volevamo dire, anche oggi hai attaccato. Era una tappa di montagna e pensavamo rimbalzassi all'indietro. “Indovinate chi c'è in fuga anche oggi?”. Ormai il ritornello all'ora di pranzo quando si cerca di capire chi è scattato e chi è davanti. La tua maglia verde con casco bianco e l'inconfondibile sagoma è sempre lì a prendere vento in testa al gruppo. Pensavamo fosse un altro dei tuoi tentativi "tanto per dare spettacolo". E invece.
Hai dato spettacolo, ma hai rischiato pure di portare a casa la tappa. Mica una qualunque. C'era una salita col nome fantasy, Menador, con una vista impagabile sul lago, Caldonazzo, c'erano le rocce che sfioravano la testa dei corridori e ammaccavano i camper dei tanti tifosi saliti fin su.
Ci hai provato e ti sono mancati pochi chilometri, ma chi se ne frega, dai.
Al traguardo erano tutti senza parole, un gruppo di giornalisti sudamericani si è scaldato quando ha visto partire Buitrago, degno vincitore oggi, eppure anche dentro di loro è rimasto quel piccolo rimpianto per non averti visto davanti a tutti sul traguardo. Oggi, Mathieu, non hai vinto. Domani, Mathieu, cascasse il mondo, ci riproverai.
Mutazioni sensibili
22 Maggio 2022Corse,Giro d'ItaliaCiccone,Giro 22
Muta il cielo sopra di noi, sembra più vicino più in alto ti spingi. Muta il paesaggio sotto i nostri occhi, muta al passaggio dei corridori. Estensioni di campi a perdita d'occhio, cime da verdi a innevate. Gente, sempre. Striscioni, una costante.
Mutano le bici, quelle di tre ragazzi appassionati di ciclostoriche sono degli anni dei pionieri: «una volta esistevano solo tre marce: in sella, fuori sella e piede a terra» raccontano.
Muta la montagna valdostana attorno a Cogne, con i suoi giacimenti minerari. Sembra friabile e dà il via all'arte dei lauzeurs. Avete presente la particolarità dei tetti sulle case in Valle d'Aosta? Ecco. Posatori o copritori, da queste parti dicono “la montagna portata sui tetti”.
Muta l'atteggiamento del gruppo, un essere complesso composto da unità multiformi.
Muta il Giro che esplode in una tappa di mezza montagna e invece quando arriva in montagna dorme un sonno leggero, ma complicato.
Muta la forma di Giulio Ciccone, muta il suo Giro, ma non dovrebbe mai mutare la sua indole d'attaccante. Un cambiamento strano perché ritorna a quello che era in origine, un corridore in fuga, dalle gambe nervose. Da tappe in salita, da vittorie in solitaria.
Muta la sua tappa, entra in fuga, insegue, e poi la spacca. Attacca: non c'è mai nessun modo per essere Ciccone. Muta la corsa. Non per gli attaccanti. Loro non mutano mai.
Non muta, finalmente, per Ciccone. Ha cambiato ed è tornato. E ora, magari, non cambierà mai.
Uomini di mondo
20 Maggio 2022Corse,DémareGiro d'Italia,Giro 22
La vittoria di Oldani attraverso i sensi di Genova
19 Maggio 2022Corse,Giro d'ItaliaGiro 22,Oldani
Un silenzio particolare cala sul traguardo di Genova mentre Stefano Oldani, Lorenzo Rota e Gijs Leemreize imboccano il viale in leggera pendenza che li porta al traguardo. È quel silenzio che si può distinguere anche in mezzo a tanto rumore, quello degli occhi che, mentre scrutano per capire cosa accade, sembrano inibire la parola. Uno strano legame di senso. La città brulica ma la gente, per qualche attimo, guarda solo senza fare nulla.
E sono gli occhi a cercare, abili segugi. Stefano Oldani controlla Leemreize e risponde ad ogni attacco, ad ogni anticipazione di tempesta, poi parte e non lascia a Lorenzo Rota che la possibilità di seguirlo senza quasi poterlo affiancare. Ci siamo chiesti spesso cosa si provi quando ci si sente impotenti in sella, quando vai ma non vai, quando il movimento non è fuga, salvezza o ritorno, ma condanna, asfalto che trattiene, calura che scioglie. Rota, dopo una giornata in fuga, deve avere provato questo.
Oldani vince, si sdraia a terra, si mette su un fianco, quasi a dare aria ai muscoli e piange. È lì, sdraiato e accerchiato da fotografi e giornalisti: non si vede nulla, solo un insieme di persone che guardano, qualcuno lo applaude con le mani sopra la testa. Notiamo una ragazza, dall’altro lato delle transenne, che si abbassa e guarda sotto, nello spiraglio delle transenne e in mezzo al groviglio della gente. Lei ha voluto e potuto vedere solo così Oldani, dopo la vittoria. Lei ha cercato di vederlo così, nelle fessure, nelle pieghe, nel caos. Sono gli stessi occhi segugi, quelli che hanno fatto silenzio in mezzo al rumore. Quelli di cui il ciclismo è pieno.
Pensate alle bandiere dell’Eritrea stamattina a Parma e questo pomeriggio a Genova. Verrebbe da chiedersi perché così tante proprio ora che Girmay non è più qui. Noi lo chiediamo e ci chiedono se davvero crediamo non sia possibile tifare per qualcuno che non c’è, poi aggiungono che quella è la bandiera dei vincitori. Una bandiera legata a un ramo, chissà se di un albero di queste zone o di chissà dove, con un pezzo di cartone attaccato sopra: «Forza Eritrea!». Una piccola lezione: basta strappare un pezzo di cartone, un pennarello, un appiglio e puoi dire a tutti ciò che pensi, quello in cui credi.
Nella giornata delle fughe, nella giornata in cui si è passati dal Passo del Bocco, quella in cui si è ricordato Wouter Weilandt e il suo numero che non è più solo un numero, le persone a Genova hanno usato tutti i loro sensi per arrivare anche dove non si può o dove si credeva di non potere. A costo di sdraiarsi per terra e sbirciare da una transenna fra i passi dei tanti fotografi: la vittoria di Oldani è bella anche da lì.