Il calendario ciclistico

Abbiamo girato in cerca di birrifici, birrerie, bike-cafè: sappiamo dove andare pre e post pedalata, per nutrirci e ricaricarci. Ora è arrivato il momento di capire in quale momento dell’anno e per quale motivazione prendere un volo e spostarci nelle Fiandre. Non che ci voglia per forza un’occasione specifica, sia chiaro: se siete qui è perché avete letto il nostro articolo sul percorso dei Mondiali nel numero 18 di alvento e sapete bene che voler pedalare senza per forza doversi attaccare un numero sulla schiena è già un’ottima motivazione per pedalare. Però, fatevelo dire con estrema sincerità, ci sono degli eventi a cui bisogna partecipare almeno una volta nella vita.

Di cosa parliamo?
Della classica più importante al mondo, aperta agli amatori: We ride Flanders – Ronde Van Vlanderen Cyclo. Il rito è questo: si arriva il giovedì sera, il venerdì si fa una sgambata e il sabato si pedala esattamente sullo stesso percorso che il giorno dopo percorreranno i campioni nella Classica delle Classiche. Vi possiamo garantire che vivrete delle sensazioni davvero speciali. E la domenica? Beh, è il giorno in cui scegliere un posto sul percorso e andare a godersi il passaggio di quelli che vanno forte.
Un consiglio? Sul muro di Kwaremont  ci transitano più e più volte sia gli uomini che le donne… ma non ditelo a troppe persone se no saremo in troppi!

Spesso però non abbiamo necessità di stare in sella: quello che cerchiamo sono motivazioni e un po’ di festa. Quindi, già che ci siete, potreste approfittarne per andare a guardare altre gare molto importanti, quelle che compongono la campagna del nord: Gent-Wevelgem, Dwars Door Vlaanderen, E3 Saxo Bank Classic, solo per citarne alcune.

E poi c’è quella parolina magica lassù, quasi una religione, che solo a pronunciarla ti viene voglia di urlare con una birra in mano brindando con chiunque tu abbia di fianco: CICLOCROSS.
Se non avete mai vissuto una giornata nel fango nelle Fiandre, beh, avete vissuto la metà. Non potete non provare quelle emozioni almeno una volta nella vita, fidatevi.

Quindi ora che fare?
Semplice, fatevi un giro qui  e scegliete quello che fa per voi. Non ve ne pentirete, ne siamo sicuri.


Il regno della birra

Il ciclismo non è certo l’unica grande passione dei fiamminghi, anzi, forse non è nemmeno la principale. Perché quando si dice Belgio, e Fiandre in particolare, la mente corre veloce verso un’associazione inevitabile: birra. Per le sue limitate dimensioni, il Belgio non rientra nemmeno tra i primi 10 paesi produttori di birra al mondo, ma per la qualità e l’originalità non ci sono dubbi, e fortunatamente quasi in ogni paese c’è un birrificio dove schiarirsi le idee (o annebbiarsele, a seconda della sete).

Se per il ciclismo le Fiandre rappresentano la tradizione più ortodossa, per la birra sono il luogo della creatività. Tra gli storici c’è chi fa risalire questa peculiarità al Reinheitsgebot, la legge di purezza promulgata in Germania nel 1516, quella in cui Guglielmo IV di Baviera fece esplicito divieto ai birrai bavaresi di utilizzare altri ingredienti che non fossero acqua, orzo e luppolo. E nel momento in cui una delle terre tradizionali della birra si trincera dietro al muro della purezza, ecco che l’altra lancia il suo assalto al cielo. I belgi producono birra sin dai tempi dei Romani ma con il trascorrere dei secoli hanno sviluppato una peculiarità unica nel differenziare il prodotto birra. Bianche, scure, marroni, a fermentazione spontanea, mischiate con frutta, aromi, succhi… non ci sono limiti alla creatività nel Paese dei Balocchi della birra.

 

Sebbene proprio a Leuven abbia sede il più grande colosso globale della birra, il gruppo Anheuser-Busch InBev, nato dallo storico birrificio Stella Artois e cresciuto acquisendo marchi in tutto il mondo fino a detenere oltre 50 marche di birre diversa, rappresentanti più del 13% della produzione mondiale, è dai piccoli produttori che si può apprezzare al meglio la ricchezza della birra fiamminga. E proprio come in bicicletta, non c’è che da mettersi in strada.

È proprio percorrendo una strada che cambiò per sempre la vita di André Janssens, il mastro birraio di Hof ten Dormaal, a Tildonk. Colpito da un infarto a 50 anni, André aveva perso il proprio lavoro nel marketing e si trovava davanti alla necessità di inventarsi una nuova vita. Durante un viaggio negli Stati Uniti vide per strada il cartello di un birrificio in vendita. André non aveva mai fatto birre in vita sua, ma la strada lo aveva convinto. Nel 2009 ha trasferito tutto il materiale nella vecchia fattoria di famiglia e ha avviato un processo unico di autoproduzione al 100%. Qui infatti non viene solo fatta la birra ma sono coltivati anche l’orzo e il luppolo, così come sono le erbe locali (tra cui delle sorprendenti radici di cicoria) a fornire gli aromi con cui sono differenziate le varie produzioni. Oggi Hof ten Dormaal produce una ventina di birre diverse (consigliatissima la Zure van Tildonk) e nel frattempo cerca di connettere la rete con diversi altri birrifici: ogni mese di aprile invita 16 altri produttori nel centro di Leuven per un festival all’insegna dello scambio creativo, denominato Innovation Beer Festival, che accoglie fianco a fianco produttori locali (come De Kroon) e internazionali.

 

L’elenco dei birrifici da visitare e degustare sarebbe quasi infinito. Alcuni offrono visite guidate tra i tini e le botti, altri restano ancora quasi inaccessibili, con un paio d’ore di apertura settimanale. Negli ultimi anni sempre più birrifici stanno allestendo le proprie sale di degustazione: il luogo ideale non solo per assaggiare ma per scoprire storie lunghe e ricche di idee e intuizioni, proprio come quella di André a Hof ten Dormaal.
Anversa, luogo di partenza delle prove mondiali, è la casa di De Koninck e delle sue tipiche bolleke, mentre spostandosi poco più a nord si raggiunge l’abbazia di Westmalle, dove nasce una delle migliori birre trappiste del mondo. Inoltrandosi nel Brabante, a nord di Bruxelles, si può visitare l’accogliente birrificio Palm, dove la passione per la birra va di pari passo con quella per i cavalli. Non lontano dai luoghi del mondiale si estende il Pajottenland, la valle fluviale a sud di Bruxelles. È la terra d’origine delle oude geuze e oude kriek, birre dal sapore straordinario, uniche al mondo, che vengono prodotte in un gran numero di birrifici concentrati in pochi chilometri: 3 Fonteinen, Boon, Oud Berseel, Tilquin. Un paradiso per gli amanti del luppolo che si può esplorare facilmente anche in bicicletta lungo i 41 chilometri della Lambiek-Geuze Route. Per poi rientrare a Bruxelles e concludere tra i più vivaci birrifici della capitale, come Cantillon o la Brasserie de la Senne.

Brouwerij HOF TEN DORMAAL
Caubergstraat 2, 3150 Tildonk
sito: hoftendormaal.com/

Brouwerij DE KROON
Beekstraat 20, 3040 Nerijse
sito: www.brouwerijdekroon.be

LEUVEN INNOVATION BEER FESTIVAL
sito: www.leuveninnovationbeerfestival.com

TOER DE GEUZE
sito: www.horal.be/toer-de-geuze-2022

Brouwerij DE KONINCK
Mechelsesteenweg 291, 2018 Anversa
sito: www.dekoninck.be

Brouwerij der Trappisten van WESTMALLE
Anversasesteenweg 496, 2390 Malle
sito: www.trappistwestmalle.be

Brouwerij PALM
Steenhuffeldorp 3, 1840 Londerzeel
sito: www.palmbreweries.com

Brouwerij 3 FONTEINEN – lambik-O-droom
Molenstraat 47, 1651 Lot
sito: www.lambikodroom.be

Brouwerij BOON
Fonteinstraat 65, 1502 Halle
sito: www.boon.be

OUD BEERSEL
Laarheidestraat 230/232, 1650 Beersel
sito: www.oudbeersel.com

Geuzerie TILQUIN
Chau. Maieur Habils 110, 1430 Rebecq
sito: www.gueuzerietilquin.be

Brasserie CANTILLON
Rue Gheude 56, 1070 Anderlecht (Bruxelles)
sito: www.cantillon.be

BRASSERIE DE LA SENNE / Zenne Bar
Drève Anna Boch 19-21, 1000 Bruxelles
sito: brasseriedelasenne.be

LAMBIEK-GEUZE ROUTE
sito: www.toerismevlaamsbrabant.be/en/producten/fietsen/fietsproducten/geuzeroute/index.html

 


Bar, pub o bike café?

Andare al bar a bere una birra è l'attività più naturale che si possa fare nelle Fiandre. Il bar è l'epicentro della società fiamminga, tra i tavoli e il bancone capita di imbattersi in sette o otto generazioni differenti contemporaneamente, e succede quasi in qualsiasi ora del giorno. Al bar si chiacchiera, si gioca a carte, si commentano le vicende di attualità, si organizzano scommesse sulle partite del campionato e ovviamente si parla di ciclismo. Tracciare una mappatura dei bar delle Fiandre significherebbe scrivere un'enciclopedia, e sarebbe ugualmente incompleta. Anche solo limitarsi al tracciato del mondiale sarebbe un lavoro improbo: Anversa per gli amanti della birra è una delle città migliori del mondo , con bar come il Café Kulminator o l'Oud Arsenaal che richiamano in pellegrinaggio bevitori da ogni continente, mentre il centro di Leuven è ritenuto il bar più lungo d'Europa, con la scelta tra oltre 40 banconi differenti nelle due sole piazze centrali (un consiglio? Fiere Margriet, a fianco della cattedrale).

C'è una tipologia di bar però nei quali le due grandi passioni dei fiamminghi si incontrano. Bar nei quali la bicicletta ha la stessa importanza della birra, dove le televisioni sono sempre accese sulle dirette delle corse, dove i ciclisti si ritrovano per uscire insieme a pedalare o per raccontarsi il giro appena completato davanti a un boccale pieno. I fietscafé sono bar dedicati ai ciclisti di ogni genere, da chi macina migliaia di chilometri all'anno a chi conosce gli ordini d'arrivo di ogni corsa del mondo, senza dimenticare i corridori locali, i cui club di tifosi hanno nei bar il proprio centro operativo.

A Leuven ha aperto da pochissimo De Coureur, un micro-birrificio di quartiere con tap room che il birraio Bart ha voluto dedicare interamente al ciclismo per uno scherzo del destino: fu un incidente in bicicletta a invogliarlo a esplorare birrifici durante la riabilitazione. Lungo il circuito Flandrien sono due i punti di incontro più amati dai ciclisti locali: 't Klein Verzet e Staminee bij Jokke. Anche se il bar ciclistico più pittoresco di Overijse è In Den Congo, che oltre ad esibire il listino più economico dell'intero Belgio è uno dei fan-café ufficiali di Remco Evenepoel (il più celebre dei quali è sicuramente De Rustberg, nella sua nativa Dilbeek, a ovest di Bruxelles).

Ma l'intero tracciato iridato è ricco di bar a tema ciclistico, dal Vitesse di Anversa (città di Victor Campenaerts, che è di casa al Café Mombasa) al Peloton de Paris di Mechelen, che oltre a servire da bere vende biciclette e produce la sua linea di abbigliamento tecnico. E ancor di più se ne trovano seguendo ogni strada delle Fiandre, come il Café Welkom di Herentals o il recente Paddenbroek di Gooik, premiato come bar dell'anno nel 2021.

Brouwerij DE COUREUR
Borstelsstraat 20, 3010 Kessel-Lo (Leuven)
sito: brouwerijdecoureur.be/

't KLEIN VERZET
Bollestraat 1, 3090 Overijse
pagina facebook: fb.com/tkleinverzetparike

STAMINEE BIJ JOKKE
Duisburgsesteenweg 176, 3090 Overijse
pagina facebook: fb.com/stamineebijjokke/

IN DEN CONGO
Dorpsplein 11, 3080 Vossem (Overijse)
pagina facebook: fb.com/IndenCongo/

DE RUSTBERG
Scheestraat 129, 1703 Dilbeek
pagina facebook: fb.com/indenrustberg

VITESSE
Provinciestraat 82, 2018 Anversa
sito: www.vitesse.cc/

CAFE' MOMBASA
Moorkensplein 37, 2140 Borgerhout (Anversa)
pagina facebook: fb.com/Caf%C3%A9-Mombasa-171546142888541

PELOTON DE PARIS
Hoogstraat 49, 2800 Mechelen
sito: www.pelotondeparis.cc

CAFE' WELKOM
Ring 20, 2200 Noorderwijk (Herentals)
sito: www.cafewelkom.be/

Fiets & wandelcafé PADDENBROEK
Paddenbroekstraat 12, 1755 Gooik
pagina facebook: fb.com/Fiets-en-wandelcaf%C3%A9-Paddenbroek-651020782180502


Musei dedicati al ciclismo

Il ciclismo e la bicicletta sono talmente pervasivi nella cultura fiamminga da godere del meritato spazio anche nei musei.

L'ultimo giorno del nostro viaggio lo abbiamo dedicato a un fuori percorso, allontanandoci dal tracciato iridato per spingerci nelle Fiandre Orientali, la terra dei muri e dei pavé più famosi al mondo. Ed è a pochi passi dal luogo che da nove anni vede il traguardo del Giro delle Fiandre che ci siamo imbattuti in uno dei musei del ciclismo più amati: il Centrum Ronde van Vlaanderen. Affacciato sulla piazza centrale di Oudenaarde, il Centrum si riconosce facilmente per l'ammiraglia Molteni in mostra di fianco all'ingresso. Una volta varcata la soglia e scesi nel seminterrato ci si immerge nella storia della corsa dei fiamminghi, tra cimeli di grandi campioni e immagini sorprendenti, con tanto di giochi a quiz in cui testare la propria conoscenza sulla storia delle classiche del nord. Al termine della visita c'è l'occasione di rifocillarsi al Peloton Café, consigliatissima la birra ambrata a tema, chiamata Flandrien.

Il Centrum non è però l'unico museo ciclistico delle Fiandre. Una quarantina di chilometri più a est si raggiunge il Koers, il museo del ciclismo di Roeselare. Dopo alcuni anni di chiusura che hanno visto l'esposizione spostarsi in una chiesa, dove fu allestita una divertente via crucis del ciclismo, oggi il Koers Museum ha trovato casa in uno straordinario edificio dedicato. All'interno si trova quella che è verosimilmente la più accurata esposizione ciclistica al mondo: un percorso su più piani tra storia, campioni, archivio e divulgazione. Se volete avere un'idea cominciate a farvi un giro con la visita virtuale sul sito del museo. Consiglio extra: a 15' a piedi si può andare a vedere l'enorme murales dedicato a Jempi Monseré, il più drammatico tra i campioni del mondo di ciclismo, che proprio a Roeselare cominciò la sua breve vita.


CENTRUM RONDE VAN VLAANDEREN
Markt 43, 9700 Oudenaarde
sito (solo in nederlandese): crvv.be/

KOERS – Museum van de wielersport
Polenplein 15, 8800 Roeselare
sito in inglese: koersmuseum.be/en
visita virtuale: koersmuseum.be/en/museum/museum-tour


Il richiamo delle Fiandre

Toco-toco-toco-toco. Il ritmo compulsivo delle pale dell’elicottero è diventato il sottofondo fisso di ogni grande corsa ciclistica su strada. Si alternano i commenti e i silenzi dei telecronisti e sotto va avanti, inesorabile, il toco-toco-toco-toco. Del variegato soundscape del ciclismo è l’elemento più riconoscibile, persino sulle strade è così che la corsa annuncia il suo appropinquarsi. Toco-toco-toco-toco. Siamo fortunati a poter godere delle corse dal cielo. Le inquadrature mostrano tutto: ogni scatto, ogni strada, ogni paesaggio. Solo una cosa non è dato vedere da lassù: il cielo. Ai recenti mondiali di Leuven il toco-toco-toco-toco si è mischiato con il vociare di una folla entusiasta e traboccante. Osservare le prove iridate in televisione, dall’alto di un elicottero, ci ha fatto venire una gran voglia di andare là, a vedere se due settimane dopo quelle strade sono cambiate, e a vedere finalmente il cielo che le illumina.

Le Fiandre sono una regione piccola (13.522 km², poco meno della Campania), ma sovrastate da un cielo enorme.
Non stupisce che siano da sempre terra di pittori, e non stupisce nemmeno che siano terra di ciclisti. Gente che col cielo ha a che fare in ogni istante, che dipende dalla sua luce e dal suo umore. La profondità di questo cielo sembra respirare, come se si potesse sentirne il suono vitale. Non più il toco-toco-toco-toco del ciclismo ma un ronzio ancestrale, il canto dell’Universo in espansione. Un passaggio di consegne sonoro che si coglie non appena arrivati a Leuven, in un soleggiato pomeriggio di ottobre. I nastri iridati che avevano addobbato la città nei giorni del Mondiale stanno progressivamente lasciando il posto ad enormi palloncini neri che annunciano un festival dedicato al Big Bang. Sarebbe un po’ azzardato sostenere che sia stata la drammaticità del cielo fiammingo a stimolare la teoria sull’espansione dell’Universo, eppure l’idea è nata proprio qui. 

Fu all’Università Cattolica di Leuven, uno degli atenei più antichi al mondo e tutt’ora il soggetto che anima la città, che Georges Lemaître si mise a studiare lo spettro luminoso delle galassie e formulò l’ipotesi dell’atomo primigenio, quella che oggi è universalmente nota come la teoria del Big Bang. Ma anche in campo ciclistico Leuven ha rappresentato a lungo una sorta di Big Bang. Alla fine dell’800 era ritenuta una città santa della bicicletta, come racconta la mostra sulla storia del ciclismo in città, allestita in occasione del mondiale al VeloDroom. 

Quella che oggi potrebbe essere un’anonima terra di nessuno fino a pochi anni fa ospitava un mastodontico ospedale. Ora attende di accogliere un nuovo teatro, ma nell’attesa che comincino i lavori è stata riempita da un velodromo immaginario (il nome è un gioco di parole con il termine droom, sogno). Cinquanta metri cubi di larice siberiano costituiscono un piccolo anello su cui pedalano adulti e bambini: all’uscita delle scuole è un improvvisato terreno di sfida, nel pomeriggio uno spazio di gioco e di immaginazione, la sera si apre ad eventi culturali. Il VeloDroom è un luogo effimero il cui scopo è ricordare che il ciclismo è più di un semplice sport, è un’esperienza che riunisce le persone, come hanno scritto gli ideatori. È proprio al VeloDroom che incontriamo Nan van Zutphen, storico del ciclismo locale e soprattutto pedalatore instancabile: in queste settimane sta completando il progetto di percorrere in bicicletta tutte le strade nel raggio di 50 chilometri dal centro cittadino, il che significa affrontare anche ogni strada di Bruxelles. È Nan che ci racconta di come Leuven sia stata una protagonista nell’epoca dei pionieri: tra fine ’800 e inizio ’900 poche città potevano contare su così tanti ciclisti, ma nei decenni successivi le corse hanno via via abbandonato le città per spostarsi nelle campagne del Nord. Nell’area del Brabante Fiammingo sono rimaste alcune semiclassiche: la Dwars door het Hageland, la Druivenkoers e soprattutto la Freccia del Brabante, che dieci anni fa ha spostato la sua partenza a Leuven. È stato l’inizio di un rilancio, culminato con un Mondiale che per il ciclismo locale può rappresentare davvero un nuovo Big Bang, un ritorno al centro dell’universo a due ruote. Le assicelle di legno del VeloDroom si colorano delle diverse tinte del tramonto, pennellate da un cielo che dall’arancione non esita a farsi scuro e poi tornare al rosso. Sono nubi che passano veloci, corrono di fretta come ciclisti in fuga, e indicano una direzione da cui trarre energia: obbligano lo sguardo a puntare verso Nord, verso un mare che non c’è, ma da cui tutto nasce e rinasce. 

E dal Nord delle Fiandre, dal Grote Markt di Anversa, ha preso il via anche l’avventura del Mondiale 2021. Nonostante ospiti il secondo porto più grande d’Europa, Anversa non è una città di mare. Sono le acque della Schelda a insinuarsi e farsi spazio tra le terre fiamminghe, ma nel farlo portano con sé un cielo tumultuoso e un’aria pungente che arrivano dritte dritte dal Mare del Nord. L’orizzonte del porto è tempestato da pale eoliche (mai un buon segno all’inizio di una pedalata), il cui serafico ruotare si scompone di riflessi nel caleidoscopio di vetri della Havenhuis, l’ultima opera completata in vita dalla geniale architetta irachena Zaha Hadid, che sul tetto di un vecchio edificio ristrutturato ha fatto atterrare una gigantesca struttura a specchi, a metà tra un diamante e la prua di una nave. È qui che si conclude ogni anno la Antwerp Port Epic, corsa che la settimana prima del Mondiale ha visto il ritorno alla vittoria di Mathieu van der Poel. E ci vorrebbero le gambe del campione neerlandese, la cui casa dista solo una decina di chilometri, per affrontare quel puzzle di nubi che il vento sta componendo sull’orizzonte, incastrando pezzo dopo pezzo.

Chiunque abbia assistito, anche solo in televisione, a una corsa ciclistica nelle Fiandre sa quanto il clima sia un elemento chiave. In ogni giornata è possibile incrociare le quattro stagioni: si parte con il calore del sole ed ecco che poco dopo un nuvolone ti scarica addosso un po’ d’acqua fresca, si fa una curva e ci si trova il vento in faccia per poi girare di nuovo e ritrovarsi sospinti e quasi sollevati tra le campagne. Perché sotto il cielo delle Fiandre tutto può succedere. Se così non fosse, non sarebbero le Fiandre. È un cielo che questa sua vivacità te la sbatte in faccia: scorrono i chilometri e cambiano i colori, le nuvole si addensano in forme che paiono concepite dalla mente di un pittore visionario per poi diradarsi e lasciare spazio ogni volta ad un azzurro diverso. A osservare il cielo ci si spiega con più facilità quanto accaduto una notte di fine ’600 a Mechelen, città che chiude la prima parte dell’avvicinamento a Leuven, rimasta ben impressa nella memoria degli appassionati di calcio degli anni ’80 per le imprese della squadra locale. 

In quella notte gli abitanti di Mechelen si riversarono in strada spaventati per il bagliore che si irradiava dalla torre cittadina. Presero scale e secchi d’acqua, convinti che si trattasse di un disastroso incendio, ma solo arrivati alla torre si resero conto che non era altro che lo splendore della luna piena che aveva attraversato la nebbia e le finestre del campanile. Da allora gli abitanti di Mechelen sono soprannominati maneblusser, i pompieri della Luna. Mai fidarsi dei cieli delle Fiandre. 

Da Mechelen il tracciato iridato svolta decisamente verso est, seguendo un panorama tutto nuovo. Le campagne conquistano l’intero spazio. Singole file di case affiancano le strade. Dalle finestre fanno capolino cartelloni iridati e nei cortili si accumulano le zucche appena raccolte. I paesi attraversati sembrano scomposti in decine di frazioni microscopiche, ogni tanto si avvista un piccolo campanile, altrove un bar, un municipio, fino alla comparsa dell’imponente negozio di biciclette di Niels Albert. È un segnale, siamo entrati in terra di fenomeni del ciclocross. Anche in questo caso, bastava chiedere al cielo, perché la pioggia si fa battente e tra i fili d’erba delle campagne comincia a muoversi in impercettibili onde il fango. 

E se si vuole imparare a domare il fango, bisogna andare a Baal. Poche case rosse, separate da strade strette in cui le aiuole rallentano il traffico. È questo il paese che ha dato i natali alla leggenda del ciclocross fiammingo, Sven Nys, ed è il paese dove Nys ha deciso di continuare a far crescere la sua passione, guardando verso un orizzonte che qui è occluso solo da una piccola collinetta. La chiamano Balenberg, ed è il luogo che oggi accoglie lo Sven Nys Cycling Center, una specie di paradiso del fuoristrada con un percorso permanente per ciclocross e mountain bike, un museo, una scuola di formazione che richiama ogni anno centinaia di bambini da tutto il Paese e, imboccando una scala sulla destra prima di una sfilza di maglie iridate in esposizione, una terrazza con bike-café dove recuperare dallo sforzo ed ammirare il panorama. Oggi la vista propone nuvole nere e tanto fango, un domani sarà sotto questo cielo che nascerà il nuovo fenomeno del ciclocross mondiale. Sempre che non sia già nato, cosa più che probabile. 

Non è soltanto il cielo a regalare sorprese pedalando nel Brabante Fiammingo. Ci pensano anche le strade a riservare visioni inattese. Poco dopo l’uscita da Tremelo può capitare di avvistare un gigantesco folletto di legno che si staglia tra prati sconfinati. Nessuna allucinazione, è solo una delle coreografie lasciate dal Rock Werchter, il festival che dal 1977 raduna ogni estate più di 120 mila persone. Poco più a Sud è un semplice cartello a suggerire una deviazione. 

È un richiamo comune ma irresistibile, quello di un birrificio.

Anche la storia di André Janssens, il mastro birraio di Hof ten Dormaal, nasce da un’improvvisa svolta sulla strada. Ce la racconta davanti alla stufa, mentre i suoi figli ci elargiscono assaggi di una straordinaria saison e delle loro lambic. Colpito da un infarto a 50 anni, André aveva perso il proprio lavoro nel marketing e si trovava davanti alla necessità di inventarsi una nuova vita. Fu durante un viaggio negli Stati Uniti che vide sulla strada il cartello di un birrificio in vendita. André non aveva mai fatto birre in vita sua, ma la strada lo aveva convinto. Nel 2009 ha trasferito tutto il materiale nella vecchia fattoria di Tildonk e ha avviato un processo unico di autoproduzione al 100%, dalla coltivazione di orzo e luppolo sino alla degustazione. All’uscita il cielo si è spalancato come un sipario su un caleidoscopio di colori, la luce tinteggia le nubi come un pittore. Mancano pochi chilometri a Leuven, ma sembra di percorrerli attraversando un quadro impressionista. 

Verrebbe voglia di tramutarsi in elicottero – toco-toco-toco-toco – e planare lentamente sulle strade della città, scompigliando i capelli del continuo via-vai di ciclisti di ogni genere che le percorre. Avanti e dietro tra il centro e la stazione, su e giù da salite che non saranno veri e propri muri ma costringono a smorfie abituali gli studenti che rientrano a casa, le mamme che portano i bambini, gli uomini con i cestini pieni della spesa per la cena. Le strade parlano di una città ciclistica e di una città del ciclismo. Le scritte sono ancora ovunque, pervasive. La maggior parte riguardano Wout van Aert e i corridori italiani: è ai tifosi di Marco Frigo, ventunenne veneto in gara a Leuven tra gli under23, che spetta il record per numero e dimensioni di scritte. Ma è tutto un tripudio di incitamenti e bande iridate: in ogni angolo della città e delle campagne circostanti si ritrova un richiamo al ciclismo, quello che occorre per dare la carica e affrontare di slancio ogni rampa. 

Tra una scritta e una bandiera si perde il senso della fatica, si sente un toco-toco-toco-toco immaginario salendo stretti tra i due muri che chiudono la vista sul Keizersberg, un tunnel a cielo aperto che solo un paio di settimane fa rimbobava di incitamenti. Li si può quasi avvertire mentre si scatta sul Wijnperstraat, la salita-simbolo del circuito cittadino dove le finestre dei piani bassi sono ancora decorate di disegni e piccoli tributi. In una delle ultime case un signore ha allestito la propria finestra con quello che ha trovato: una cartolina di Merckx che mangia, un cappellino, una miniatura di un camion della birra Bitburger. Poi una curva a destra e di nuovo l’abbraccio del cielo, il richiamo a tuffarcisi dentro, il naso in su pedalando tra le strade di campagna, le fattorie e i loro odori. E nuovi muri. Veri muri. Perché è quando ci si inoltra nel secondo circuito, a Sud della città, che i muri diventano quelli che ci si aspetta dalle Fiandre. 

Compare il pavé, e con lui le pendenze che spingono dritte dritte verso il cielo, tanto che a pedalare sullo Smeysberg sembra di non avere nulla all’orizzonte, solo una parete azzurra verso cui scagliare la propria fatica. Le decorazioni sull’asfalto non si limitano più alle scritte, è qui che il collettivo Puncheur ha cominciato ad allestire un museo diffuso di volti famosi del ciclismo: enormi faccioni che guardano dal basso, si lasciano accarezzare dalle ruote, accompagnano in una pedalata nella storia. Perché i muri del circuito iridato non sono quelli noti del Giro delle Fiandre, ma sono salite che hanno conosciuto la gloria della Freccia del Brabante, della Druivenkoers e infine del Campionato del Mondo, la corsa più grande di tutte, quella che attraversa il cielo come un arcobaleno. C’è il Moskestraat che si snoda nascosto dal cielo: una strada stretta tra gli alberi dove i suoni immaginari di tifosi ed elicotteri lasciano spazio al respiro del bosco, che si avverte in sincrono col fiato, un tutt’uno. C’è la s-bend di Overijse, chiamata così perché sembra proprio un tornante di montagna. Uno solo, che non si è in alta quota lo dice il cielo, ma del cielo non c’è mai da fidarsi e allora basta chiudere gli occhi e immaginare. Si può avanzare affidandosi agli odori, che raccontano una storia di campagna. È la stagione del raccolto delle patate: un gigantesco nastro trasportatore le sposta dal terreno verso enormi camion. C’è una piccola folla, poco più di un paio di famiglie in realtà, che ammira questo spettacolo. È il risultato del duro lavoro, sono la terra e il cielo che danno la vita.

I cicli si susseguono come le stagioni, e ad ogni stagione sorge anche un nuovo eroe nel ciclismo fiammingo. L’ultimo arrivato era uno che così dirompente non si vedeva da decenni, una stella che brilla in maniera accecante. In suo nome cambiano le abitudini dei tifosi e persino le insegne dei locali. Quella del bar In Den Congo di Vossem, pochi chilometri oltre Overijse oggi recita Remco Evenepoel Official Fanclub. Le sue maglie autografate si sono fatte spazio tra mazzi di carte incorniciati e i tabelloni di un totocalcio autorganizzato che ornavano le pareti del bar fino a un anno fa. Al bancone si parla solo di lui, mentre le birre si susseguono senza preoccupazioni economiche: in tutto il Belgio non esiste un bar con prezzi così bassi. Una piccola chiara qui costa ancora un euro. Sarebbe opportuno approfittarne, ma al traguardo mancano ancora una ventina di chilometri.

 

Al termine del penultimo giro del Mondiale, dopo aver provato ripetutamente a lanciarsi all’attacco, Julian Alaphilippe ha dato il colpo di grazia ai suoi avversari all’imbocco del Sint-Antoniusberg, il muro decisivo del circuito iridato. Definirlo muro in realtà è davvero eccessivo. A vederlo è poco più di una rampetta. A pedalarlo, idem. Una normale stradina di città, perdipiù utilizzata abitualmente con senso di marcia in discesa. Eppure è bastato questo piccolissimo sgambetto per permettere ad Alaphilippe di involarsi verso la seconda maglia iridata consecutiva: si capisce quanto gli avversari fossero tutti esausti. È più o meno la stessa ora di quel pomeriggio di fine settembre. L’avanzare dell’autunno ha anticipato il tramonto, e il cielo di Leuven regala un tramonto incandescente che brucia di rosso fuoco i mattoni delle case, le birre sui tavolini dei bar, il podio di iridato che ancora accoglie i turisti a Grote Markt. Solo i grandi palloncini neri del Big Bang Festival restano irrimediabilmente neri, testimoni di un cielo ancor più profondo dell’immensa distesa colorata che sovrasta la città. Il cielo di Leuven, città santa del ciclismo di ieri e di domani, stavolta non mente: il Big Bang c’è stato davvero, di nuovo.

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La nutrizione di un ciclista: intervista a Erica Lombardi

Erica Lombardi, dietista dell'Astana Premier-Tech parte dal ruolo dell’educazione alimentare per parlare di ciclismo. «Le informazioni non mancano, ma molte, troppe direi, non sono scientifiche. Così i ragazzi e le ragazze si fanno proprie convinzioni, errate, difficili da sradicare. Fare educazione alimentare vuol dire parlare della potenzialità di una corretta nutrizione per ottenere prestazioni importanti, soprattutto vuol dire allontanarli da qualunque pratica illecita». Servirebbe l’introduzione della materia nelle scuole perché, anche al di fuori del ciclismo, investire nell’educazione alimentare significa crescere persone sane e risparmiare sulla spesa sanitaria.

Abbiamo parlato con Erica Lombardi di alimentazione nel ciclismo e di come le tematiche alimentari vengano gestite all’interno delle squadre professionistiche.

Nel ciclismo le cose sono cambiate nel tempo e, oggi, parlare di alimentazione è come parlare di allenamento: qualcosa di quasi scontato. «Ciò non significa che non ci siano più disturbi alimentari legati alla pratica sportiva. Sarebbe scorretta un’affermazione del genere, ma significa che si è presa coscienza del problema e che si sta agendo: le squadre cercano sempre più la consulenza di medici, dietisti e nutrizionisti». Il discorso di Lombardi è chiaro: è cambiato l’approccio. Si è iniziato a considerare il peso in rapporto alla potenza. Nel ciclismo femminile è evidente: «Credo che una volta la spinta alla magrezza venisse da persone non qualificate e non titolate alla gestione della nutrizione, proprio perché queste figure professionali non erano ancora presenti nel team. L'attenzione al peso c'è sempre, soprattutto per scalatori e scalatrici, ma sicuramente c'è anche una maggiore consapevolezza della gestione del peso tra i componenti dello staff e l'atleta stesso. Il confronto “sulla magrezza” tra atleti c'è sempre, ma ci sono figure professionali che riescono a rendere maggiormente consapevole l'atleta del proprio percorso individuale nutrizionale e a non farsi influenzare nel raggiungere pesi non funzionali alla salute e alla performance».

L’approccio, continua Lombardi, è personale, dal camice al pedale perché gli atleti hanno una particolare routine di vita che non consente un controllo sul lungo tempo. «È importante la quotidianità, l’imprinting. Un mese senza confronti, controlli e verifiche è impensabile». Per questo lei stessa si occupa di verificare il fabbisogno di ogni atleta e di guidarlo nelle scelte. «C’è la cosiddetta dieta a watt, ovvero in base ai watt che il ciclista dovrà sviluppare in una determinata tappa. Il ciclismo è uno sport situazionale. I nostri grafici tengono conto della tappa, dell’altimetria, del meteo e persino del ruolo del corridore. In una corsa a tappe gli atleti vivono una situazione di deficit costante e il dopo tappa è essenziale per permettere il recupero. Collaboriamo anche noi alla preparazione della musette degli atleti e siamo in grado di stabilire quanti gel dovrebbe assumere un atleta su quella determinata salita, almeno in linea teorica».

Il problema, spesso, è lo stress legato a questa tematica che porta l’atleta a rincorrere qualunque novità, per risolvere un proprio problema. «Le diete nuove rischiano di essere un problema in quanto ogni dieta deve essere verificata sulla singola persona. Non c’è alcun ingrediente magico, serve tempo e consapevolezza. Accade invece che ci si perda in questa rincorsa alla novità, talvolta dannosa». Tutto perché tenere sotto controllo il peso è difficile: «È una sorta di pendolo di Schopenhauer: la forma è difficile da raggiungere e anche più difficile da mantenere. Le situazioni stressogene, nel giusto limite, favoriscono il controllo dell’alimentazione. Se esagerate, portano al training eccessivo. Serve equilibrio». Per esempio quando si parla di nutrizione e di gusto: «Tendenzialmente ciò che è buono e gustoso non nutre, ma i ciclisti sono uomini. Bisogna abbinare il nutrimento a qualcosa che sia piacevole da assaporare».

Erica Lombardi torna così a parlare di ciclismo femminile. «Quando si verificano situazioni problematiche, bisogna parlare alle ragazze e chiarire l’importanza di una corretta alimentazione che non significa ingrassare. Sono cose diverse». Il punto è che, anche con un’alimentazione corretta, a causa dell’allenamento intenso, a volte, si verificano situazioni di amenorrea in quanto, comunque, il corpo di una donna, predisposto ad accogliere il feto, avrebbe bisogno di più grassi di quelli che ha il fisico di una ciclista. «Sono abbastanza frequenti questi casi e a lungo andare sono causa di problemi ossei. Anche qui la presenza di un apparato medico è essenziale».

Perché, se è vero che la pratica sportiva è certamente salutare, la pratica sportiva ad alti livelli può essere usurante e, in questo senso, è dovere di ogni professionista fare attenzione alla prevenzione.


Il diesel e la Ferrari

Tom Pidcock non ci sta. Sfrontato come i suoi ventidue anni, cortese come un baronetto del Regno Unito, di Leeds. Elegante e redditizio su strada, deciso quando si destreggia nel fango come un occhio che cerca un varco nel fumo di Londra.
«Non voglio essere sempre terzo, corro per battere Wout e Mathieu» ha detto così a Het Nieuewsblad, A fine gara Lucinda Brand non ha perso la sua dialettica. Non lo fa nella vittoria, figurarsi, come nel caso di sabato a Rucphen, nella sconfitta. «Non potevo fare nulla contro Vos: ero come un diesel contro una Ferrari».
Mai paragone più azzeccato e non ce ne voglia Brand: come Vos, spesso, non c'è mai stato nessuno. C'è chi la definisce, appunto, come la fuoriserie più stilosa; c'è chi la definisce semplicemente la Più Grande Di Ogni Tempo. D'altra parte non potresti chiamare in altro modo una che ha vinto quanto ha vinto e che oggi, a 34 anni e mezzo, sembra non smettere mai di essere quello che è.
La trovi sempre lì: su strada (una volta anche su pista) ora di nuovo nel ciclocross. Ha vinto sette titoli mondiali nel "fango" (diciamo così per semplificare, ma non è sempre così), ne ha vinto qualcuno anche su strada, dove pochi mesi fa solo Balsamo è riuscita a superarla.
E sabato - in un cross troppo piatto per essere vero (un cuscinetto prima della massacrante prova di Namur) con un tratto da percorrere a spirale che lo faceva sembrare una sorta di Giochi senza Frontiere incrociata alla gimkana della sagra delle pere, gara veloce e tattica dove era difficile fare una vera e propria differenza; sabato, dicevamo, a Rucphen, Vos e Brand si sono giocate la vittoria allo sprint e l'ha spuntata Vos, su terreno ideale, quello della volata contro Brand, ma domenica, nella splendida cornice di Namur, le cose cambiavano repentinamente - anche per assenza del corridore della Jumbo.
Namur e la sua cittadella: roba da diesel: il cross più bello per alcuni: tecnico e spettacolare anche da un punto di vista scenografico. Davanti subito Brand con treccia nera su sfondo bianco e dietro a seguirla Betsema con treccia bionda su sfondo rossonero. Fateci caso quando quest'ultima cade nel primo giro, la faccia che fa nell'osservare Brand che prende il largo. Una sorta di dolcissimo ghigno. Non la riprenderà più pur mantenendo sempre - più o meno - lo stesso distacco. Occhi che conoscevano già l'epilogo.
Nessuno esente da errore: principi di equilibrismo in bicicletta in mezzo a perfide canalette e contraccolpi che ti sbalzano via, Brand compresa, che faceva una fatica bestiale «al pubblico sembrava che avessi tutto sotto controllo, ma non è stato così», tra curve scivolose, terra che si incastra nei pedali, radici che si riprendono il terreno, diabolici tratti in contro-pendenza, pavé, saliscendi, e poi lui, immancabile fango e poi loro, tantissima gente. Immancabile. A spingere e spingere, urlare e sostenere.
Si definisce un diesel, Brand, per capacità di pedalare con potenza e di andare forte anche a piedi; resiste al tentativo di rientro di Betsema e conquista Namur per la quarta volta di fila. La prima in maglia iridata in quella corsa che per bellezza, e non solo, è una sorta di appuntamento iridato.
Poi a proposito di fuoriserie, due parole, giusto due, su Zoe Bäckstedt e sulla capacità di impressionare notevolmente nella sua categoria. Vince "per dispersione" (anche) nel cross. In maniche corte e senza guanti. Ci farà divertire pure lei. Ci fa divertire un sacco questo ciclocross.van Aert e van der Poel per nome, un guanto di sfida, e ha gasato tutti perché Tom è uno da prendere sul serio, ciò che dice fa. Va bene il rispetto, la fiducia, l’orgoglio di essere fra loro ma il sale è quella voglia di ribellione, di provocazione, di mettere la propria ruota sporca di terra davanti alla loro. Ce la farà? Lo scopriremo.
Intanto ieri, a Rucphen, in Olanda, pur con l’assenza di van Aert e van der Poel, ha battuto Iserbyt e Vanthourenhout e non in un modo qualunque. Quasi con l’istinto di colui che sente l’odore della preda nella boscaglia e si sfregia coi rovi pur di prenderla. «Ad un certo punto mi sono detto: diavolo, ora dai tutto e vinci». La voglia di riscossa, di rivalsa. Prima Coppa del mondo fra gli élite, una di quelle pietre miliari di cui vi abbiamo parlato in questi giorni.
«Van Aert ha uno stato di forma incredibile ma anche io sto meglio di quanto potessi pensare» come se non lo vedessimo. Anche quando non ci riesce a vincere, come oggi a Namur, su quel fango che sa di Inghilterra, per dirla con le sue parole: due scivolate, qualche insicurezza e Vanthourenhout che va a vincere. Ma ha fatto la gara, ha messo pressione agli avversari, affamato, forse ancor di più dopo una sconfitta.
Van Aert, Van der Poel e Pidcock, rigorosamente in ordine sparso. Un tris d’assi da celare e poi gettare sul tavolo, mentre sotto le noccioline continuano a scricchiolare. La grande sfida è sempre più vicina e sarà una festa, comunque vada.


Pidcock tra van Aert e van der Poel

Tom Pidcock non ci sta. Sfrontato come i suoi ventidue anni, cortese come un baronetto del Regno Unito, di Leeds. Elegante e redditizio su strada, deciso quando si destreggia nel fango come un occhio che cerca un varco nel fumo di Londra.
«Non voglio essere sempre terzo, corro per battere Wout e Mathieu» ha detto così a Het Nieuewsblad, chiamando van Aert e van der Poel per nome, un guanto di sfida, e ha gasato tutti perché Tom è uno da prendere sul serio, ciò che dice fa. Va bene il rispetto, la fiducia, l’orgoglio di essere fra loro ma il sale è quella voglia di ribellione, di provocazione, di mettere la propria ruota sporca di terra davanti alla loro. Ce la farà? Lo scopriremo.
Intanto ieri, a Rucphen, in Olanda, pur con l’assenza di van Aert e van der Poel, ha battuto Iserbyt e Vanthourenhout e non in un modo qualunque. Quasi con l’istinto di colui che sente l’odore della preda nella boscaglia e si sfregia coi rovi pur di prenderla. «Ad un certo punto mi sono detto: diavolo, ora dai tutto e vinci». La voglia di riscossa, di rivalsa. Prima Coppa del mondo fra gli élite, una di quelle pietre miliari di cui vi abbiamo parlato in questi giorni.
«Van Aert ha uno stato di forma incredibile ma anche io sto meglio di quanto potessi pensare» come se non lo vedessimo. Anche quando non ci riesce a vincere, come oggi a Namur, su quel fango che sa di Inghilterra, per dirla con le sue parole: due scivolate, qualche insicurezza e Vanthourenhout che va a vincere. Ma ha fatto la gara, ha messo pressione agli avversari, affamato, forse ancor di più dopo una sconfitta.
Van Aert, Van der Poel e Pidcock, rigorosamente in ordine sparso. Un tris d’assi da celare e poi gettare sul tavolo, mentre sotto le noccioline continuano a scricchiolare. La grande sfida è sempre più vicina e sarà una festa, comunque vada.


Christina Birch: lo spazio è pieno di misteri

Lui ha dei baffoni che sono stati già raccontati, e dei quali ancora parleremo. Lei è longilinea, i capelli lunghi, il mascellone a stelle e strisce, gli occhi solcati da qualche ruga e quel sorriso bianco che pare uscito da una pubblicità di un dentifricio. Lui va forte in pista, lei pure, ma non solo. Lui insegue su pista, lei anche, ma non solo. Lui ha una storia particolarmente Alvento, lei persino di più, perché sembra poter andare sulla luna o qualcosa del genere. Che non è mica roba di tutti i giorni per una persona normale, figuriamoci per una che di mestiere fa (anche) la ciclista. Lui è Ashton Lambie, forse si era già capito dai primi indizi, lei è Christina Birch, compagni nella vita: da qualche settimana la loro esistenza è stata ribaltata.
Bici che corrono, baffi che paiono costruiti, odore di parquet se esiste un odore di parquet, eco che rimbomba nel palazzetto, scegliere la moltiplica, no quella mi spezza le gambe, quella sì mi fa prendere il giusto ritmo.
Fiato spezzato, vittorie. Grasso-catene. Sguardo verso il cielo, trionfo. A breve sguardo verso le stelle. Siamo nulla al confronto di ciò che vediamo lì in alto che è solo una minima parte.
Gravel, c'è di mezzo pure quello: Gravelnauts, fondato proprio dalla coppia Lambie-Birch, ovvero come scoprire il territorio girando in bicicletta. Facendone qualcosa di interessante anche da raccontare come quella volta in cui Birch ha percorso la rotta di ritorno dei due famosi esploratori americani Lewis e Clarke.
Nome profetico, Gravelnauts. Lei riceve una telefonata, lui è dall'altra parte del mondo tra una prova e l'altra dell'inseguimento mondiale. Lei dice sì chiama subito lui. «Mi hanno preso alla NASA, diventerò un'astronauta», la voce al telefono che si trasmette da una costa all'altra dell'oceano.
E va così per Christina Birch, 35 anni, 11 titoli nazionali in pista, un passato nel ciclocross e un amore per il gravel. Laureata con dottorato di ricerca in ingegneria biologica al MIT, poi a ottobre – ma solo qualche giorno fa c'è stata l'ufficialità data dalla NASA stessa – la notizia. Si va nello spazio – o meglio, un passo alla volta prima c'è il campo di addestramento. La politica dei piccoli passi è un mantra per chi fa della bicicletta un vizio o un lavoro.
«Era il 22 ottobre – racconta Lambie, che da quello che si intuisce pare raggiante come se dovesse andare lui nello spazio – tra un round e l'altro dell'inseguimento durante i mondiali su pista stavo seduto nella mia stanza d'albergo a mangiare una baguette. Dall'altra parte del mondo Christina ha ricevuto una telefonata: gli chiedevano se sarebbe voluta diventare un'astronauta della NASA! Mi ha chiamato subito per condividere: eravamo entrambi senza parole. Come puoi pensare a un campionato del mondo mentre la tua compagna sta per andare nello spazio?».
È stato il giorno più importante della loro “piccola famiglia”, racconta sempre Lambie. Si sono trasferiti a Houston in gran segreto e non è stato facile farlo fino all'annuncio ufficiale. Ma «adesso non vediamo l'ora di condividere tutto quello che sta succedendo».
Birch conquista un dei dieci posti all'interno di una selezione di oltre 12.000 candidati, si mostra raggiante in foto di fronte a uno space shuttle, che forse raggiante non è nemmeno la parola giusta.
Apre una strada: dal ciclismo alla luna, noi che pensavamo che fossero fenomenali quelli che vincevano sul Mont Ventoux e poi nel ciclocross, oppure quelli capaci di imprese come la Roubaix o una fuga di centinaia di chilometri resistendo al gruppo che ti bracca. E invece ci spingiamo più in là, con lo sguardo e il sorrisone spalancato lassù nell'immensità del cielo. Galaxy Express.


Il leone marino

In quel momento Maurits Lammertink si sentiva felice. In giro con la sua famiglia per le strade di Hengelo e poi una pausa per prendere un gelato con Marion, sua moglie, e con Seb e Fer i suoi figli.
Hengelo non era mai sembrata così bella ai loro occhi e in quel momento Maurits Lammertink si gettava ogni pensiero alle spalle. Ed era felice davvero, nonostante tutto. Nonostante proprio quel mattino la notizia che non pensava di ricevere: “Ci dispiace Maurits, non correrai il Tour de France” un messaggio che sarà suonato più o meno così da parte della sua squadra, la Intermarché-Wanty-Gobert Matériaux, che lo avvertiva dell'esclusione dalla corsa più importante del mondo. Lui si sentiva pronto, ma tant'è.
Ha quasi 31 anni Maurits, capelli di un biondo tendente al giallo, la barba leggermente incolta e il passaporto olandese. È il 22 giugno del 2021 e il sole sta tramontando. Ha quasi 31 anni Maurits e ha appena consegnato nelle mani di moglie e figli i tre gelati. Un sorriso, un “arrivo subito”, sta tornando verso il bar per prendere il suo gelato e pagare il conto. Attraversa la pista ciclabile e succede. Succede che in quel momento uno scooter che non doveva essere lì passa a tutta velocità e lo colpisce in pieno. Maurits vola in aria, atterra sbattendo violentemente la testa, perde conoscenza, mentre il sangue sgorga dalle sue orecchie. Sua moglie pensa sia morto. Uno dei suoi figli assiste a tutta la scena e resta sotto shock per quello che ha visto tanto da iniziare a soffrire nei mesi successivi di attacchi d'ansia, tanto da credere di essere rifiutato dal padre perché oggi Lammertink fa fatica a giocare con lui.
Lammertink entra in coma, viene operato d'urgenza al cervello: tre emorragie celebrali e frattura della base cranica; rischia di rimanere sordo e ha dolori ovunque, dopo un po' di settimane prova a ricominciare a vivere seguendo un programma di riabilitazione.
Ralph Blijlevens, giornalista olandese che ne ha raccontato la sua storia, spiega come Maurits faccia fatica sei mesi dopo anche in quell'attività di base studiata con il fisioterapista: qualche tiro a badminton. Quando entra nel palazzetto dello sport è letteralmente travolto dalle luci e dai suoni da doversi prendere diverse pause, e sedersi al silenzio lontano da tutto e tutti.
La sua mente si stanca facilmente e Marion è sempre al suo fianco perché «la mia presenza gli dà qualche certezza in più. La memoria va e viene e ancora fa fatica a elaborare alcune informazioni: spesso mi tocca spiegargli le cose da capo». Racconta, sua moglie, di come, durante un incontro con il logopedista, ha scambiato un cavalluccio marino mostratogli in foto, per un leone marino.
«Non so se potrò mai tornare a essere un ciclista professionista» afferma Lammertink, nove stagioni e mezzo in mezzo al gruppo dei grandi e 3 vittorie, in risposta a quelle voci che lo volevano pronto al rinnovo con la sua squadra.