Il monumentale del Giro 2021
7 Maggio 2021Giro d'Italia,Corse,Approfondimenti,Giro d'ItaliaWorld Tour,Giro 2021,Maglia Rosa,Maglia Ciclamino,Maglia Azzurra,Maglia Bianca
L'attesa è finita: è tempo di Giro d'Italia. Dopo le classiche, a scandire irrimediabilmente il tempo che passa, arriva il momento bramato da noi italiani ciclofili, che quando si parla di Giro alimentiamo il nostro essere strapaesani soffiando sul fuoco della partigianeria.
Esiste ancora, per fortuna, quella razza seppur in via d'estinzione che si prende giorni liberi per seguirlo - limitazioni permettendo - sulle strade; più numerosi, fatto naturale, quelli che lo aspettano sotto casa, “affacciati dalla finestra” come cantavano i Pitura Freska (sic!) in una vecchia sigla del Giro: un ricordo che si perde addietro, a metà degli anni '90, ai giri di Berzin e Pantani, Gotti, Rominger, Tonkov e Zaina.
E allora che importa se invece il ricordo più vicino è legato a pochi mesi fa, a un Giro posticipato in autunno causa pandemia e dai contenuti tecnici smagriti dall'anomalia della stagione 2020, ma arricchiti da quelli legati all'incertezza che lo ha reso vibrante fino alla fine. Con la maglia rosa decisa nella sfida Tao-Jai che tanto sa di lotta marziale, ma che lungo i 15,7 chilometri della crono finale verso il Duomo di Milano appariva già segnata sin dalla notte prima, come un bisticcio tra bimbi, per la superiorità nell'esercizio contro il tempo dell'hipster londinese sull'australiano con un passato ciclistico abruzzese.
E allora che importa se anche quest'anno, per l'ennesima volta, le facce migliori dei Grandi Giri hanno scelto il più ricco, sia a livello di montepremi che di fama, Tour de France - parliamo naturalmente di Pogačar (Pound for Pound il ciclista più forte del mondo, oggi) e Roglič, ma, come quasi sempre accade, mancano pure i mammasantissima delle grandi classiche primaverili.
Checché se ne dica, però, la sfida alla maglia rosa finale del Giro d'Italia 2021 mette in campo una batteria di galli incazzosi da far invidia a un racconto di Gabriel García Márquez. E quindi importa solo che è maggio, che è tempo di Giro d'Italia e francamente frega il giusto di tutto il resto.
Ma bando a inutili orpelli e sofismi, e via con gli aspetti più tecnici di questa corsa che ci terrà compagnia da sabato 8 maggio (partenza da Torino con una cronometro di 8,6 km) fino al 30 dello stesso mese (finale a Milano, sempre a cronometro: stavolta lunga 30,3 km).
LA ROSA DEI FAVORITI
Prendendo in prestito anche i dubbi evidenziati dalle parole di Bernard Hinault è impossibile trovare un favorito assoluto per questo Giro d'Italia, ma ci proviamo lo stesso. Si parte dall'incertezza, parola che sentirete spesso ripetere in questo articolo e probabilmente anche nelle prossime settimane; incertezza non solo legata all'epoca che stiamo vivendo, ma anche ai nomi che citeremo. Su di loro pende come una spada affilata e assetata di duelli un grosso punto di domanda, per un motivo o per l'altro. Sì anche su quello che, per opinione comune, parte come il favorito numero uno della corsa: Simon Yates.
Ci si chiede: non è che si è mostrato troppo in forma al Tour of the Alps? Il suo direttore sportivo lo esclude categoricamente, è preparato a puntino per essere in forma al Giro, dice. E poi Simon è questo, sempre stato, se non fossero identici in quasi tutto ti chiederesti come possa davvero essere gemello di Adam, così diversi nel muoversi in gruppo tanto che da quest'anno le loro strade si sono pure divise: Adam è passato alla INEOS e sarebbe stato un espediente affascinante averli avuti entrambi al via del Giro, ma va così.
Torniamo al punto. Simon è corridore caldo, nonostante la provenienza britannica, attaccante per indole più che per necessità, piccolo, a volte imperturbabile in salita, i suoi scatti febbrili possono far male ma non solo: ha la possibilità di prendere la maglia rosa abbastanza presto (quarta tappa a Sestola, oppure un paio di giorni dopo ad Ascoli Piceno) e magari di non lasciarla più – d'altra parte superato lo scoglio della prima cronometro, avrebbe solo lo spauracchio dell'ultimo giorno. Un Babau di 30 chilometri contro il tempo che, come lo scorso anno, potrebbe ribaltare le sorti della corsa. Anzi potrebbe pure essere ancora più decisivo, visto il chilometraggio, e allora Simon avrà bisogno di arrivare a Milano con più margine possibile.
Dicevamo dello stato di forma di Yates: al Tour of the Alps è apparso brillantissimo, una spanna o qualcosa in più sopra tutti i contendenti, ma la corsa fra Austria e Trentino si è disputata un mese prima quella che sarà l'ultima durissima settimana in programma al Giro, e lui la sfrontatezza, e la condizione arrivata troppo presto, in una grande corsa a tappe l'ha già pagata con gli interessi e sotto le sembianze di un evidente calo di forma nella fatidica terza settimana.
Era l'edizione del 2018 e vestiva la maglia rosa, si consumò con il suo modo di correre spavaldo e baldanzoso, che, per quanto possa avergli assicurato fama e affetto lo ha portato a perdere male. Certo, un grande Froome lo rivoltò come un calzino a tre giorni dalla fine, ma, anche senza l'intuizione britannica sul Colle delle Finestre, le cose per lui sarebbero andate verso un'inevitabile sconfitta: era cotto e aspettava solo il momento per alzare bandiera bianca.
Allo stesso tempo, però, lo Yates di quella volta aveva quasi 26 anni, oggi quasi 29: tre anni sono un'eternità, almeno nel ciclismo.
Tre anni in cui il motore è cresciuto, la tenuta e la brillantezza anche, per non parlare della conoscenza, di sé e dei propri limiti. La squadra è tutta per lui - Tanel Kangert e Mikel Nieve sprizzano esperienza da ogni poro, seppure atleticamente in calo, Nick Schultz è una carta interessante per le tappe mosse, e la batteria di australo-danesi da pianura è di livello. C'è da chiedersi se possano bastare, un Giro logora – fatto evidente – ma soprattutto il Team BikeExchange appare inferiore alle squadre dei suoi rivali più accreditati.
Ed eccoli i suoi avversari, tutti da decifrare, iniziando da Egan Bernal.
Senza i problemi alla schiena che si porta dietro da tempo e che lo hanno frenato anche in questo inizio di stagione si parlerebbe del colombiano come favorito numero uno della corsa, altro che Simon Yates. Invece i dubbi rimangono.
Ci ha illuso a inizio stagione, Bernal, con prove incoraggianti soprattutto nelle corse di un giorno, mentre i problemi fisici che lo affliggono lo hanno portato a fare un passo indietro alla Tirreno-Adriatico – chiusa, nonostante le difficoltà, al quarto posto, ma la classe è classe da quella parti.
Da lì non s'è più visto: se non nell'alimentare lo spirito vouyeristico dell'epoca tramite i suoi allenamenti pubblicati su Strava, setacciati da addetti e appassionati. Il tracciato del Giro gli si addice, non potrebbe essere altrimenti. Altimetricamente probante, strizza l'occhio alle aquile, e poi la crono finale non gli fa paura. I dubbi però espressi sulla sua condizione fisica restano e non sono pochi.
Le alternative non mancano alla multinazionale britannica: ci sarebbe il franco-russo Pavel Sivakov, cadesse di meno. Strano questo suo storico fatto di incidenti, l'ultimo in ordine di tempo al Tour of the Alps, considerando come sia praticamente “nato” in bicicletta, lui che come miglior risultato in un Grande Giro conta il nono posto proprio nella corsa italiana nel 2019. Per uno col suo pedigree, risultato assolutamente migliorabile.
Restando nell'ex Team Sky: il colombiano Daniel Martínez è solido in salita, e se c'è da dare una mano al capitano allora rende ancora più forte il racconto attorno a un possibile strapotere INEOS, mentre appare leggero come alternativa di alta classifica, ma vedremo: è una squadra che ci ha abituati a stupire in tutti i sensi e che in tutti i sensi potrebbe essere l'ago della bilancia della contesa. E non dimentichiamo la presenza di Jhonatan Narvaez, inserito solo nelle ultime ore al posto dell'enigmatico Sosa, Gianni Moscon e Filippo Ganna, a caccia di tappe in ogni dove, partendo, nel caso del colosso piemontese, dalla maglia rosa il primo giorno.
Dal trenino anestetizzante degli anni d'oro (gialli) al Tour, alle tappe vinte a ripetizione al Giro nel 2020 (e anche alla Boucle) attaccando ogni giorno con corridori diversi, fino all'epilogo vincente firmato Geoghegan Hart: un modo differente di lasciare il segno, eventualmente, lo troveranno.
In ordine di fama e alla ricerca della gloria, al terzo posto mettiamo Mikel Landa, al di là delle simpatie che si possono provare per il basco di Murgia el chico de pueblo come lo chiamano in Spagna. Landa, pur senza vincere quest'anno, è piaciuto in salita, suo terreno ideale dove, almeno sulla carta, potrebbe essere anche il numero uno al Giro.
Terzo a Larciano e alla Tirreno, ottavo ai Paesi Baschi in un percorso di avvicinamento al Giro tranquillo e tranquillizzante. È uno degli eterni piazzati - e incompiuti - del ciclismo degli anni 2010 (e ormai 2020), con un solo podio (Giro 2015) e ben tre quarti posti (due al Tour e uno ancora al Giro). Bando al Landismo 'ché c'ha stufato, e chissà che prima o poi la ruota possa girare e fermarsi sul suo numero o su quella faccia da orsacchiotto buono.
La squadra poi appare robusta, dietro i granatieri della INEOS e, al pari della Quick Step, la più solida: Pello Bilbao e Damiano Caruso sono qualcosa in più del solito usato sicuro, Gino Mäder, ennesimo talento svizzero emergente, è una pedina importante in salita, gli sloveni Jan Tratnik e Matej Mohorič possono svariare tra ambizioni personali e la possibilità di giocare un ruolo tatticamente importante.
LE PRINCIPALI ALTERNATIVE
Nominiamo quattro corridori come le più credibili alternative ai tre sopracitati e lo facciamo in rigoroso ordine alfabetico: João Almeida (Deceuninck-Quick Step), Romain Bardet (Team DSM), Hugh Carthy (EF Education-Nippo) e Alexander Vlasov (Astana-ProTech).
João Almeida è, per chi scrive, il nome più affascinante all'interno del lotto allargato dei pretendenti alla vittoria finale. Corridore tenace, non che non lo siano anche gli altri, affamato, dà sempre quella sensazione di grinta, tra smorfie e cadenza di pedalata, che sembra permettergli di superare qualche limite in salita, mentre il suo ex mentore, Axel Merckx, lo dipinge come corridore di grande intelligenza tattica, maniaco nella cura dei dettagli nonostante la giovane età, e con grande capacità di lettura delle situazioni: tutto può tornare utile in una corsa come il Giro, in uno sport dove saper interpretare in maniera diversa le varie situazioni resta un tassello fondamentale nella carriera ad alto livello.
Forte a cronometro, tra i papabili al podio è il più forte contro il tempo, e dunque guai a portarlo in zona primi tre posti l'ultimo giorno; veloce nei finali misti, anche lui tra Sestola, Ascoli e Montalcino mira a prendersi la Rosa e magari provare a emulare l'impresa di pochi mesi fa quando vestì la maglia di leader per ben 15 tappe e chiudendo poi al quarto posto finale: mica male per uno che faceva il suo esordio assoluto in una corsa a tappe di tre settimane. Da valutare la tenuta fisica nella terza settimana che lo scorso anno gli presentò il conto. Il portoghese, però, è solo la punta di una Deceuninck-Quick Step di qualità che mai come quest'anno pare abbia intenzione di vincere il Giro: tre come Fausto Masnada, Remco Evenepoel e James Knox non ce li hanno tutti.
Da quest'anno scordatevelo nel bianco latte macchiato di azzurro e marroncino della AG2R ma cercatelo nella maglia nera DSM: è Romain Bardet a cui si aggrappano le speranze francesi (ci sarebbe pure Rudy Molard, Groupama-FDJ, buono per un piazzamento tra la decima e la quindicesima posizione, con lui in squadra il duo svizzero Badilatti-Reichenbach, mentre l'altra World Tour francese, l'AG2R, affida le speranze di classifica all'ex commesso di Decathlon Geoffrey Bocuhard) e che inevitabilmente si dividerà i compiti in classifica con Hindley - parleremo di lui nel prossimo capitolo.
Insegue un successo di tappa – non ha mai vinto una corsa fuori dalla Francia, che è sempre una notizia – ma il miglior Bardet potrebbe anche lottare per il podio finale. La domanda da farsi però è: quanto è lontano dal miglior Bardet?
Infine, credibili alternative appaiono il pennellone di carta velina Hugh Carthy, tanto magro quanto forte in salita - e in un Giro così la salita farà la differenza - ma allo stesso tempo imprevedibile - terzo all'ultima Vuelta, forse dovrebbe imparare a correre un po' meglio tatticamente, e il russo Aleksandr Vlasov, capitano Astana, che lo scorso anno illuse nella prima parte di stagione, poi si ammalò, e il suo Giro durò il tempo di un caffè al banco.
Ora è atteso a un risultato di rilievo e che riscatti una prima parte di stagione silenziosa, non entusiasmante, ma che a conti fatti lo ha visto chiudere sul podio sia la Parigi-Nizza che il Tour of the Alps. In carriera vanta un successo al Giro Under 23 come credenziale maggiore, ma per vincere un Giro dei grandi serve qualcosa di più.
I nomi di spicco presentati dalla EF Education-Nippo di fianco a Carthy, sono sicuramente Ruben Guerreiro e Alberto Bettiol. Entrambi a caccia di tappe, ma che all'occorrenza saranno imprescindibili per il capitano: il portoghese in salita (lo scorso anno conquistò la tappa di Roccaraso e la maglia azzurra finale) e Bettiol in pianura, ma con la possibilità di dire la sua nella tappa degli sterrati con arrivo a Montalcino: quello sarà inevitabilmente il suo giorno.
Mentre l'Astana non sembra la miglior squadra possibile per supportare Vlasov in salita, almeno sulla carta, ma presenta un gruppo di corridori molto giovani e attesi da tempo: Harold Tejada (per la verità mai brillante in questo inizio 2021) e Vadim Pronskiy che in futuro potranno provare a curare la classifica generale, Matteo Sobrero e Samuele Battistella cavalli rampanti del bistrattato ciclismo italiano, ma ancora alla ricerca di un acuto dopo un anno e mezzo tra i professionisti. A completare la formazione al via tre inossidabili del ciclismo europeo: il solito e solido Luis León Sánchez, buono per qualsiasi tipo di fuga, e i solidi e soliti Gorka Izagirre (il fratello meno forte, se ve lo state chiedendo) e Fabio Felline, buoni per tutte le mansioni.
OUTSIDER
Dalla Nuova Zelanda, George Bennett: occhio a lui. Negli anni in cui nazioni relativamente nuove si inseriscono nella geografia ciclistica, è da tenere in considerazione. In salita va forte, la sua squadra ha un conto in sospeso con il Giro e lui arriva in Italia a fari spenti.
Italia con la quale oltretutto Bennett ha una certa affinità: qualche mese fa è salito sul podio al Lombardia e pochi giorni prima vinceva il Gran Piemonte. Se il meglio possibile la Jumbo-Visma lo ha riservato per il Tour non è detto che Bennett al Giro non possa dare qualche soddisfazione alla sua squadra. Peso leggero, anzi leggerissimo, lo storico nei Grandi Giri non fa di lui un uomo a 5 stelle, 8° al Giro nel 2018 come miglior risultato, ma a dare fastidio ai big, quello sì, ce lo aspettiamo. Tra i gialloneri d'Olanda da tenere d'occhio anche il norvegese Tobias Foss, ultimo vincitore del Tour de l'Avenir e 5° lo scorso anno nel prologo d'apertura in Sicilia.
C'è poi Pello Bilbao, da tanti indicato persino come l'alternativa più credibile a Simon Yates e Bernal, ma che sulla carta partirà per aiutare il suo connazionale e amico Landa. Dal 2019 il Bilbao che conoscevamo è un altro corridore. Spicca nelle doti di fondo e resistenza, intelligente tatticamente, non ha paura di muoversi all'attacco, discretamente veloce anche in uno sprint ristretto soprattutto al termine di corsa dura, bravo in salita e a crono, si è trasformato in corridore vincente e impossibile da sottovalutare: difficile trovare un corridore più completo al Giro. Forse, quello che gli manca, oltre a un podio in una corsa a tappe di tre settimane nel suo score personale, è quel colpo del KO che possa mettere a tappeto la concorrenza, ma si sa che un grande giro lo puoi vincere anche con la regolarità giorno dopo giorno, sfiancando gli avversari assestando colpetti alla figura. Il tridente Bahrain Victorious - Landa, Bilbao, Caruso – sembra davvero l'ideale per conquistare la Cintura.
Se Jai Hindley difficilmente potrà migliorare il risultato dello scorso anno – anche perché significherebbe vittoria finale, e oltretutto appare separato in casa con la DSM (si vocifera di un addio persino prima di fine stagione), ma non parte certo battuto per un piazzamento nei primi cinque, il capitano in casa BORA-hansgrohe, Emanuel Buchmann, lo annoveriamo in quell'insieme di corridori sotto la voce regolaristi senza grandi fiammate.
Si difende ovunque, non eccelle in nulla, ma per lui e per la squadra tedesca un piazzamento a ridosso del podio (ripetendo il sorprendente quarto posto del Tour 2019) sarebbe un risultato con i fiocchi.
Alla voce outsider mettiamo Bauke Mollema, che, viste le condizioni di Nibali e i punti di domanda su un Ciccone (ecco l'incertezza, ci risiamo!) da classifica, sarà il capitano della Trek-Segafredo, ma ci auguriamo che, piuttosto di vederlo lottare per un quinto-ottavo posto che poco darebbe alla sua carriera, possa provare ad aggiungere una tappa al Giro (dopo aver vinto alla Vuelta e al Tour), in un palmarès che conta poche vittorie, ma davvero buone. Scaltro, coraggioso, temibile non appena la strada sale, crediamo che Mollema abbia già cerchiato di rosso tappe di ogni genere sul Garibaldi della Corsa Rosa. Certo è che nessuno gli vieta, vista la malizia nei finali concitati, di provare a vincere qualche tappa, restando comunque aggrappato alla classifica.
Infine Remco Evenepoel: lo abbiamo tenuto per ultimo, perché è già un miracolo che sia qui dopo l'incidente al Lombardia. Lo abbiamo tenuto per ultimo perché non corre dal pomeriggio del 15 agosto del 2020. Lo abbiamo tenuto per ultimo perché è al suo esordio in un Grande Giro, ma fa comunque paura. Perché lui è uno di quei talenti à la Pogačar che potrebbe stupire in positivo lo stesso (magari già il primo giorno); potrebbe apparire quando meno ce lo aspettiamo e, se magari dovesse essere fuori dalla lotta per la generale, potrebbe essere anche un fattore determinante nella corsa alla vittoria finale. È capace di tutto, e soprattutto, se trovasse la forma giusta, anche di strapazzare la concorrenza lontano dal traguardo: mai porre limiti a corridori che studiano per diventare dei fenomeni.
ITALIANI
Excursus sulle speranze italiane al Giro, almeno per la classifica generale. Il più accreditato appare Fausto Masnada (Deceuninck-Quick Step), se non fosse che già alla vigilia sappiamo dovrà correre in appoggio totale al capitano Almeida. Masnada pochi giorni fa ha avuto le sue carte e se le è giocate benissimo in un Romandia impegnativo, di buon livello, e battuto dalla pioggia: terzo in classifica dietro Thomas e Porte, gente che ha collezionato successi e podi al Tour de France. Obiettivo concreto per uno dei più duri del gruppo: ripetere la top ten dello scorso anno (fu 9°) che potrebbe significare anche essere il migliore tra “i nostri” a fine Giro. Discorso simile per Damiano Caruso , corridore che non ha mai evidenziato grossi problemi di tenuta e di recupero, anzi, e che nonostante la top ten al Tour 2020, si spenderà, con pochi se e senza ma, in favore di Landa e Bilbao: a oggi il ciclismo italiano senza squadre World Tour vede i migliori interpreti per le corse a tappe lavorare per gli altri.
Davide Formolo (UAE-Team Emirates) si testerà ancora una volta per la classifica generale oppure sarà libero di giocarsi singole chance per provare a vincere qualche tappa? Bella domanda, manca poco per ottenere una risposta. Noi speriamo più nella seconda ipotesi, ma la rinuncia da parte dell'UAE-Team Emirates a McNulty (con l'inserimento di un altro americano, il sempre discontinuo Joe Dombrowski che proverà a fare classifica ma senza grosse velleità, più facile vederlo in fuga con regolarità nella terza settimana) ci fa pensare che il corridore della provincia di Verona possa provare a superare il suo miglior risultato in una corsa a tappe di tre settimane - 9° nel 2016 alla Vuelta. Da non sottovalutare, invece, non solo in termini statistici e di cabala come Formolo non abbia portato a termine gli ultimi tre Grandi Giri che ha disputato, oltre alla classica giornata no che spesso ha avuto in una corsa a tappe di tre settimane. Anche se per lui potrebbe valere il discorso affrontato con altri: con l'età il suo motore e il suo recupero potrebbero essere migliorati.
Poi ci sono Giulio Ciccone e Vincenzo Nibali (Trek-Segafredo), sui quali la narrazione si fa affrettata e con l'aria pesante e un po' mistificatoria: finendo per creare aspettative a oggi esagerate. Il Ciccone visto di recente è difficile immaginarselo lottare per un piazzamento nelle parti nobili della classifica, quanto invece, come nel caso di Formolo, sarebbe l'ideale vederlo sganciarsi dagli uomini in gara per il Trofeo senza Fine per cercare gloria nelle tappe e magari a inseguire la maglia dei GPM.
Attaccante nato, in salita non molla mai soprattutto quando è in fuga, dotato di spunto veloce: le qualità e le attitudini sono quelle giuste.
Su Nibali grosso interrogativo e non ci dilunghiamo di più: dopo l'infortunio in allenamento di qualche giorno fa è già un miracolo che sia al Giro. Qualsiasi cosa verrà, la prenderemo.
Per chiudere la carrellata ecco tre diverse “generazioni” di corridori che planano sul Giro d'Italia con grandi ambizioni, ma con focus differenti.
C'è un vecchietto, Domenico Pozzovivo (Team Qhubeka-ASSOS), che arriva dalla Basilicata, che è capace ogni volta di risorgere dagli infortuni e di inventarsi qualcosa: non chiedetegli la luna, ma attenzione, ha preparato a puntino la corsa e lui un'altra top ten in un Giro ricco di salite la vorrebbe - e potrebbe - conquistare (sarebbe la settima in carriera).
In mezzo c'è invece un ragazzo che arriva dal Friuli, Matteo Fabbro (BORA-hansgrohe), che cresce di stagione in stagione e forse è arrivato al punto della maturità: nel 2021 buon protagonista alla Tirreno-Adriatico e al Tour of the Alps. Si dice che già lo scorso anno – ricordate quanto andò forte sull'Etna? - se non si fosse messo a disposizione della squadra, avrebbe potuto indirizzarsi verso una buona classifica. Quest'anno sarà impiegato per Buchmann in salita, con un occhio dovrà tenere da conto Peter Sagan, e magari insieme a un altro battitore come Felix Grossschartner, potrebbe puntare a una bella tappa. Scontato dire che l'ideale per lui sarebbe quella “di casa”, con arrivo sullo Zoncolan. Ecco, a differenza di Formolo e Ciccone, che vediamo da subito fuori dal gioco della maglia rosa, lui non ci dispiacerebbe se quest'anno si testasse in ottica classifica per vedere a che livello può arrivare anche in ottica terza settimana e se in chiave futura potrà ambire a un piazzamento nelle parti nobili della generale.
Sempre in casa BORA-hansgrohe spicca il nome di Giovanni Aleotti. Neo professionista, Aleotti è una delle speranze del ciclismo italiano per le corse a tappe. Non finisce di stupire, come stupì i suoi tecnici a livello giovanile – anche lui arriva da quella fucina di talenti che è diventato il Cycling Team Friuli che negli anni ha portato al professionismo tra gli altri: De Marchi, i fratelli Bais, Venchiarutti, lo stesso Fabbro, e di recente Jonathan Milan – quando arrivò secondo in una corsa importante come il Tour de l'Avenir del 2019.
Si difende in salita e si difende a cronometro, ce lo hanno sempre descritto come uno “con la testa da campione”. Certo da qui a immaginarcelo futuro vincitore di un Grande Giro ce ne passa, ma il suo impatto con il mondo dei professionisti è stato già notevole, tanto da convincere i suoi tecnici a portarlo al Giro. Nessuna pressione, nessuna aspettativa, sia chiaro, in una squadra che avrà già il suo da fare per dividersi tra Sagan e Buchmann, ma il nome del classe '98 di Finale Emilia è uno tra quelli che seguiremo più volentieri.
CACCIATORI DI TAPPE, FUGAIOLI, VELOCISTI E ALTRI NOMI DA SEGUIRE
Alcuni li abbiamo infilati qua e là nei vari paragrafi, ma ecco, altri nomi da seguire per il Giro. Intanto, a caccia della prima maglia rosa, fatta eccezione per qualche uomo di classifica ben caldo (Almeida ad esempio) ecco Rémi Cavagna e Ganna in ordine di come, chi scrive, li vede favoriti al momento. Occhio anche a Tratnik, Patrick Bevin, Victor Campenaerts, Evenepoel, e ancora, per l'Italia, Bettiol, Moscon ed Edoardo Affini.
Per le volate sono almeno in sei, se non sette o otto, salvo coloro capaci di inserirsi tra le righe delle convulse volate. Caleb Ewan (Lotto Soudal), che dopo il secondo posto alla Sanremo si è praticamente eclissato, è il capofila dei padroni della velocità, Elia Viviani (Cofidis) che dopo essersi sbloccato finalmente qualche settimana fa – non vinceva dal 2019 - brama un successo al Giro e sarà supportato da una squadra quasi interamente per lui con suo fratello Attilio, Consonni e Sabatini.
Peter Sagan (BORA-hansgrohe) che vuole la ciclamino (è il favorito), oltre alle volate lo vedremo anche nelle tappe miste, Tim Merlier che vuole confermarsi dopo la qualità mostrata in primavera e approfitta del palcoscenico del Giro e del ruolo di capitano nella Alpecin-Fenix.
Ci sarà il campione italiano ed europeo Giacomo Nizzolo (Team Qhubeka-ASSOS), anche lui in arrivo da una bella primavera nella quale è mancato solo il successo di peso, e infine Dylan Groenewegen: la squalifica dopo l'episodio che ha coinvolto lui e Jakobsen al Giro di Polonia, scade proprio alla vigilia del Giro. Anche per lui, come si dice in questi casi: è un successo anche solo essere al via. Con lui occhio al figlio d'arte David Dekker che potrebbe essere la vera punta in volata del Team Jumbo-Visma.
Una menzione per Matteo Moschetti (Trek-Segafredo). Talentuoso quanto sfortunato, lo ammettiamo: un po' per partigianeria, facciamo il tifo per lui, per quei suoi modi sempre gentili, quel sorriso elegante e perché dopo tutta una serie di sfortune e di cadute, meriterebbe davvero qualcosa di importante. Le qualità ci sono tutte.
Fuori da questi nomi Fernando Gaviria che da possibile dominatore si è trasformato in un oggetto del mistero. Vedremo: l'UAE gli mette di fianco Richeze e Molano per farlo sentire a suo agio, a lui il compito di ripagare la fiducia.
Tra quei corridori veloci, e che potranno approfittare anche delle fughe (non hanno problemi a gettarcisi dentro, persino nelle tappe di montagna) o degli arrivi misti, da seguire Andrea Vendrame (AG2R Citroën) e Diego Ulissi (UAE-Team Emirates). Il primo insegue ancora quel successo di peso che ne valorizzi la carriera, mentre il secondo, dopo essere arrivato a tanto così dalla fine precoce della sua attività agonistica, ha mostrato in poco tempo che cos'è il talento. Nonostante lo stop forzato di quest'inverno, appena si è attaccato il numero alla maglia si è già messo in evidenza. Vincere altre due tappe al Giro significherebbe oltretutto raggiungere il pregevole traguardo dei dieci successi nella corsa rosa: mica male.
Tra le Professional italiane interessanti i nomi di Enrico Battaglin , Filippo Zana e Giovanni Visconti per la Bardiani, quello di Natnael Tesfatsion (Androni, che schiera al via il corridore più giovane del Giro, Andrii Ponomar, 18 anni e poco più) e dell'esperto duo Manuel Belletti-Francesco Gavazzi, per la Eolo-Kometa.
La squadra di Basso e Contador insegue ancora il primo successo da quando ha effettuato il salto di categoria e presenta una squadra con altri nomi che proveranno a mettersi in evidenza, come Vincenzo Albanese veloce e coraggioso quanto basta per provare a sbloccarsi nelle tappe vallonate, anni fa sembrava sul punto di diventare corridore di prima fascia, Eddy Ravasi che proverà a tenere duro per la classifica (come Mark Christian) o eventualmente a gettarsi nelle fughe nelle tappe di alta montagna e infine il talentuoso quanto discontinuo Lorenzo Fortunato che di recente si è ben difeso in Spagna alla Vuelta Asturias e cerca, sulle strade italiane, il rilancio, dopo due annate da dimenticare in maglia Neri Sottoli e Vini Zabù.
E a proposito di fughe: c'è il fugaiolo per antonomasia, Thomas De Gendt. In squadra con lui (Lotto Soudal) l'interessante Kobe Goossens, corridore con caratteristiche simili e con un nome che è una delle crasi più geniali del mondo dello sport. Ci sono Samuele Rivi (Eolo-Kometa) e Simon Pellaud (Androni), poi ci sarà sicuramente chi, una volta uscito di classifica, potrà trasformare la strada in un rodeo nel quale sbizzarrirsi. Quei nomi chiaramente li scopriremo cammino facendo. Tornando al Belgio c'è curiosità su Gianni Vermeersch, Alpecin-Fenix, ciclocrossista in grande evidenza questa primavera nelle classiche del nord. Libero da compiti di gregariato - corre con van der Poel - qui al Giro è pronto per giocarsi le sue carte.
Occhio anche a Samuele Zoccarato, marcantonio della Bardiani tra i migliori della sua squadra in questo inizio di stagione che può provare a sognare di vincere una tappa se nella giornata giusta. E poi Alessandro De Marchi, già più volte ribattezzato il De Gendt friulano e con il quale potrà anche dare il via a una bella sfida a colpi di chilometri in fuga e con lui da seguire anche i suoi compagni di squadra, il lettone Krists Neilands, corridore poco pubblicizzato, ma capace di tirare fuori la prestazione importante un po' su tutti i terreni, Patrick Bevin, tra i più in forma dell'ultimo periodo, forte a cronometro e abbastanza veloce, e Alex Dowsett, corridore da seguire anche su Twitter per le sue uscite non convenzionali e capace di conquistare una tappa al Giro nel 2020.
Simone Petilli sarà invece l'uomo per la Intermarché-Wanty-Gobert Matériaux ed è chiamato a dare segnali in salita: possibilmente in fuga e con lui l'estone Rein Taaramäe, vincitore di una tappa al Giro nel 2016. Petilli ha già puntato l'arrivo del penultimo giorno di Giro: si passerà vicino casa sua. Nella squadra belga, unica World Tour ancora a secco di vittorie in questo scorcio di stagione, al via Andrea Pasqualon veloce per arrivi più complicati, Riccardo Minali, nome di seconda fascia per le volate di gruppo, Jan Hirt per un piazzamento a ridosso dei dieci in classifica generale e Quinten Hermans, corridore in crescita e che potrebbe lasciare il segno nelle tappe mosse dei primi dieci giorni di corsa.
E la meglio gioventù? Alcuni li abbiamo citati, se pensate che la sfida alla Maglia Bianca potrebbe vedere diversi corridori in lizza per il successo finale (Bernal, Almeida, Vlasov ad esempio) altri meritano una menzione come Alessandro Covi (UAE-Team Emirates) e Clément Champoussin (AG2R Citroën Team). Uno veloce, ma abile anche sui percorsi misti, l'altro forte in salita. Per entrambi sarà il primo Grande Giro, ma potranno agire abbastanza liberi da compiti di squadra. Discorso simile per Stefano Oldani, uno di quelli che hanno corso di più a inizio stagione. Il corridore della Lotto Soudal punta a una tappa, magari andando in fuga e sfruttando discrete doti veloci.
Meritano un discorso a parte, infine, Daniel Martin (Israel Start-Up), Marc Soler (MovistarTeam ), Harm Vanhoucke (Lotto Soudal) e Jefferson Cepeda (Androni). Sono quattro corridori che se trovano le tre settimane giuste, potrebbero persino ambire a un buon piazzamento in classifica, altrimenti è plausibile trovarli, giorno dopo giorno, soprattutto nella seconda parte di Giro, in fuga per inseguire un successo in alta montagna o magari lottare per la maglia dei GPM.
Dan Martin: lo scorso anno alla Vuelta ha sfiorato il podio, quarto e suo miglior risultato in carriera in un Grande Giro, ma conta pure tre top ten al Tour. Corridore imprevedibile ma che con la luna giusta può davvero puntare a qualcosa di importante. A differenza di altri però, il suo feeling con il Giro d'Italia non è mai nato: nel 2014 si ritirò subito alla prima tappa a causa di una caduta (uno dei suoi limiti più evidenti) mentre nel 2010 finì lontano in classifica senza mai lasciare il segno.
Marc Soler è il cavallo pazzo del ciclismo contemporaneo: capace di tutto e di più. Come lo ha definito di recente un blog spagnolo: “Marc Soler è un corridore con il pregio di non lasciare nessuno indifferente”. La sua storia è fatta di picchi come il successo al Tour de l'Avenir del 2015 o la vittoria alla Parigi-Nizza del 2018, ma anche di storie controverse per un carattere bizzoso e particolare. Pochi giorni fa però al Romandia ha dato segno del suo (enorme) talento vincendo l'arrivo di Estavayer ed esultando in maniera polemica (contro chi non si è capito). Al Giro sarà il capitano della Movistar, ma con che ambizioni? Dipenderà molto da come si sveglierà al mattino. Einer Rubio, Antonio Pedrero, Dario Cataldo e Davide Villella rappresentano la batteria da salita per la storica squadra spagnola un po' ridimensionata in quest'ultimo periodo, mentre Matteo Jorgenson è un giovane da seguire con molta attenzione. Corridore completo potrà tornare utile alla causa della squadra su ogni terreno, ma anche cercare gloria personale in fuga.
Infine due giovani: Harm Vanhoucke e Jefferson Cepeda. Il primo, forte scalatore belga, anche se non appare a livello di altri giovani connazionali rampanti (non solo Evenepoel, ma anche Vansevenant e Van Wilder, qui assenti) lo scorso anno ha vestito la maglia bianca di miglior giovane per qualche giorno (anche se il titolare era Almeida, in rosa): proverà a tenere duro fin che può per la classifica altrimenti via in fuga come da DNA della sua squadra.
Il secondo, scalatore ecuadoriano con margini tutti da scoprire, di resistenza e di recupero. Al Tour of the Alps ha sorpreso tutti arrivando quarto in classifica generale e restando quasi sempre in scia o assieme a corridori che partono verso questo Giro d'Italia per vincerlo. La squadra di Savio potrebbe aver trovato un altro ragazzo da lanciare nell'élite del ciclismo mondiale. E per chiudere, restando in casa Androni, una menzione per l'argentino Eduardo Sepúlveda che potrebbe lottare per un piazzamento nei primi venti in classifica generale: sarebbe un ottimo risultato per una squadra che solo un mese fa risultava esclusa dal Giro d'Italia.
IL PERCORSO
"L’Unità d’Italia, Dante Alighieri, il 90° compleanno della Maglia Rosa (indossata per la prima volta nel 1931 – prima tappa vinta da Learco Guerra e Giro vinto da Francesco Camusso)" citando la presentazione del sito ufficiale. 21 tappe in 23 giorni. Due giorni di riposo (quest'anno di martedì, saranno contenti i barbieri, finalmente), prima e ultima tappa a cronometro, una a Torino e l'altra a Milano e in mezzo un disegno vario, duro e spettacolare forse uno dei più interessanti degli ultimi anni.
È vero che quando mancano Mortirolo e Stelvio qualcuno storce il naso, è vero che lo Zoncolan ci sarà, ma dal versante meno duro (nel senso che l'altro versante è durissimo che di più non si potrebbe, ma occhio che questo potrebbe persino fare più selezione). Ma è vero anche che ci sarà da divertirsi e ce ne sarà per tutti i gusti.
Trabocchetti: tanti, e senza contare il possibile effetto del meteo. A partire dalla prima settimana o meglio nei primi dieci giorni: oltre alla crono iniziale, alla quarta e alla sesta tappa ci sarà già modo di vedere la classifica ribaltata con gli arrivi in salita di Sestola e di Ascoli Piceno. Poi l'ottavo giorno RCS creò la Foggia-Guardia Sanframondi e il giorno successivo l'arrivo di Campo Felice, forse prima del riposo la frazione più interessante in assoluto. Oltre a essere il punto più a sud di questo Giro 2021, presenta quattro GPM, l'arrivo in salita, un tratto sterrato, ma soprattutto nemmeno un metro di pianura. Ci sarà la possibilità di vedere scremata in maniera netta la lotta per la classifica generale. Con la L'Aquila-Foligno di lunedì 17 maggio si chiuderà la prima parte di Giro che vedrà a conti fatti una crono, quattro tappe che muoveranno la classifica e cinque probabili, possibili, arrivi per velocisti.
La seconda settimana di Giro si apre, mercoledì 19, con una delle tre tappe chiave di questo Giro: la Perugia-Montalcino di 162 km è frazione già destinata a entrare nella storia, sin dalla sua presentazione. Sconquassi anche per il fatto di arrivare dopo il riposo, e in caso di maltempo molti malediranno quel giorno. La tappa successiva non concede respiro: l'arrivo a Bagno di Romagna infatti è la classica frazione appenninica per imboscate e dove tutto potrebbe succedere. Tappa adattissima alle fughe, è vero, dipenderà dal disegno che avrà preso la classifica, ma attenzione: arriverà dopo i possibili sconvolgimenti della tappa di Montalcino e con una cinquantina di chilometri di salite e quasi 4.000 metri di dislivello non si scherza.
E dopo una frazione relativamente tranquilla (la numero 13) pensavate di annoiarvi ancora? Niente di tutto questo: nella tappa numero 14 si arriva sullo Zoncolan - anche se dall'altro versante, e non c'è bisogno di presentazioni. Il giorno dopo finale a Gorizia con un circuito insidioso, ma adatto alle fughe e ai colpi di mano; soprattutto i corridori da classifica si terranno ben tranquilli in attesa di quello che sarà il giorno cruciale del Giro 2021 con la Sacile-Cortina D'Ampezzo. 221 km, quattro salite tra l'impegnativo, il duro e il mitico. Si scaleranno Crosetta, poi Marmolada (per chi scrive la salita più bella d'Europa), Pordoi (Cima Coppi 2021), Giau e infine discesa fino a Cortina: ci sarà da divertirsi.
Riposo e poi ultime cinque tappe, quattro delle quali risulteranno decisive ai fini della classifica generale. La tappa di mercoledì 26 è il terzo punto chiave del Giro dopo Montalcino e Cortina, la salita finale che porta a Sega di Ala, 11,5 chilometri al 9,6 per cento di pendenza media, una delle più dure in assoluto di questa edizione. Dopo aver rifiatato il giorno dopo con un probabile arrivo a ranghi compatti, venerdì e sabato la due giorni finale alpina con altri due arrivi in salita impegnativi: Alpe di Mera e infine Alpe Motta, una frazione con 4.200 metri di dislivello, circa, con la lunga - da sembrare infinita - scalata verso il Passo San Bernardino. Ultimo giorno con 30,3 km a cronometro fino a Milano che dopo tutto il ben di dio proposto, potrebbe ulteriormente cambiare il volto alla classifica. La speranza è che un Giro così duro non costringa gli attori principali ad aspettare sempre il giorno successivo per paura di saltare in aria. Film già visto, ma quello che parte domani è un film nuovo.
DOVE SEGUIRE IL GIRO 2021
Quest'anno ci sarà modo di non perdere nemmeno un secondo di corsa - interventi da studio permettendo, sigle e pubblicità, e cambi di canali che ci coglieranno verso le 14, tra Raisport e Rai2. Per la prima volta nella storia infatti il Giro offrirà la diretta integrale di ogni tappa. Oltre alla Rai potrete seguire il Giro d'Italia 2021 tutti i giorni anche su Eurosport e per chi non fosse sempre incollato al televisore consigliamo l'ascolto su RadioRai: la squadra radiofonica con Martinello, Ghirotto e soci riesce a trasmettere emozioni ed è un valore aggiunto sorprendente alla narrazione del Giro d'Italia.
E ovviamente anche noi di Alvento non vi faremo mancare nulla, con i contributi dei nostri inviati e i racconti della corsa giorno dopo giorno sul nostro sito e sui nostri canali social.
I FAVORITI DI ALVENTO PER LA MAGLIA ROSA
⭐⭐⭐⭐⭐ S.Yates
⭐⭐⭐⭐ Bernal
⭐⭐⭐Landa, Almeida
⭐⭐ Vlasov, Carthy, Bardet, Sivakov, Bilbao, Hindley
⭐ Evenepoel, G.Bennett, Masnada, Martínez, Buchmann, Mollema, Soler, D.Martin
I FAVORITI DI ALVENTO PER LA MAGLIA CICLAMINO
⭐⭐⭐⭐⭐P. Sagan
⭐⭐⭐⭐ Ewan
⭐⭐⭐ Almeida, Ulissi
⭐⭐ Viviani, Nizzolo, Merlier, Bevin
⭐ S.Yates, Moscon, Vendrame, Gaviria, Bilbao
I FAVORITI DI ALVENTO PER LA MAGLIA AZZURRA
⭐⭐⭐⭐⭐ De Gendt
⭐⭐⭐⭐ Guerreiro, M.Soler
⭐⭐⭐Ciccone, Cepeda, Caceido
⭐⭐S.Yates, Bernal, Landa, Champoussin
⭐ Formolo, Bouchard, Mollema, Fabbro, Knox, Grossschartner
I FAVORITI DI ALVENTO PER LA MAGLIA BIANCA
⭐⭐⭐⭐⭐ Bernal
⭐⭐⭐⭐ Almeida
⭐⭐⭐ Vlasov
⭐⭐Hindley, Sivakov
⭐ Evenepoel
Foto copertina: Luigi Sestili
Il momento dell'attesa
7 Maggio 2021Giro 2021Giro d'Italia
Aldo, ieri mattina, si è alzato presto ed è andato a comprare il giornale. Glielo ha insegnato suo padre, quando era ragazzo, e lui non l'ha mai dimenticato, nemmeno oggi che è un signore di quasi novant'anni. «Il giornale dei giorni prima della partenza del Giro d'Italia si compra e poi si conserva per tre settimane perché lì ci sono tutte le informazioni per seguire la corsa» dice convinto, mentre guarda da lontano i corridori nel parco del Castello del Valentino. Poi continua: «Molti di questi nomi non so nemmeno pronunciarli, ma va bene lo stesso».
Dal cancello d'ingresso al palco saranno cinquanta metri. Tutti fanno attenzione al modo in cui gli atleti si mostrano sul palco, eppure, forse, è in quella passerella che si capisce qualcosa in più di ogni ragazzo. C'è chi, per timidezza o giovane età, non riesce a guardarsi intorno e abbassa lo sguardo, chi vorrebbe abbassarlo ma teme di sembrare diverso, debole, invecchiato- ciclisticamente si intende- e allora va avanti fiero, ma dentro chissà a cosa pensa. Sì, qualcuno ci ha detto che gli è capitato: arrivare ad una grande gara, attesa da mesi, e dirsi che sarebbe stato meglio stare a casa. Vai a capire la mente ed i suoi inganni.
Dylan Groenewegen, forse, ha fatto questo pensiero qualche volta, immaginando il proprio ritorno alle gare. Ieri no, ieri ha alzato la mano e ha salutato convinto quando è stato chiamato. Chissà, magari anche a lui il padre ha detto che certe cose si devono fare, per educazione. Quella mano l'ha riabbassata insieme allo sguardo quando lo speaker ha ripreso a parlare: «Ha sbagliato, ha pagato, sono felice che sia qui». Perché alcuni errori non te li perdoni nemmeno se paghi. Ci sono Simon Yates e Vincenzo Nibali che arrivano al palco vestiti di un orgoglio antico, come chi sa quanto vale e al diavolo tutto il resto. C'è Egan Bernal che non vuole scuse: «Le persone che pretendono risultati non devono essere fonte di pressione. Chi ti chiede tanto è perché sa che puoi farlo. Ringrazio queste persone. Spero di farle divertire».
Da lontano, Aldo ci indica un muretto e annuisce: saranno quattro, cinque bambini, accovacciati a guardare. Sta parlando Remco Evenepoel, che sabato tornerà in gruppo dopo circa nove mesi. Sta dicendo che soprattutto è felice e che l'importante per lui è ringraziare chi lo ha aspettato, la sua squadra.
Non riusciamo più a vedere Aldo, ma lo immaginiamo mentre fa sì con la testa, come quando ha visto quei bambini. Già, perché sa anche lui che nel tempo i giornali sono cambiati e oggi si trova tutto su internet senza conservare nulla, ma non gli interessa ed il giornale lo compra lo stesso, come parla di ciclismo pur pronunciando solo i nomi italiani. Perché sia il giornale che il ciclismo lo fanno sentire atteso, aspettato, lo fanno sentire come un tempo anche se quel tempo è passato e questo non gli piace poi molto. Per questo Aldo è tornato al Giro. E forse per questo ci ha raccontato quella storia che sembrava non interessare a nessuno ed invece interessa a tutti.
Foto: ©Luigi Sestili
Sticker mania su Alvento!
La nuova serie di sticker di Alvento sta letteralmente scatenando la passione dei nostri lettori.
Ne abbiamo realizzati in diversi formati, con soggetti molto creativi, studiati per essere attaccati alle biciclette senza impattarne l'estetica (perché sappiamo quanto sia importante per gli appassionati), ma anche per stare sui caschi o sulle borracce.
Ma non solo, perché il messaggio di Alvento è talmente trasversale che siamo contenti che venga portato dappertutto: sul laptop, sull'auto, sullo smartphone.
I nostri stickers sono portatori dei messaggi della community che si sta sviluppando attorno alla rivista, sempre più fedele e numerosa.
'Torno subito', 'Morning glory', 'More than a magazine' sono alcuni dei messaggi che abbiamo fatto illustrare a Cecilia di Tundra studio (in arte @iamarabbit) e che stanno andando per la maggiore tra i possessori del welcome box di Alvento.
Apprezzatissima la qualità e il materiale di stampa: i nostri stickers sono stati realizzati e stampati da Sticker Mule, un servizio on-line tra i più apprezzati e conosciuti in questo ambito, che alla qualità abbina anche grande velocità nella consegna.
Come fare per averli?
Abbonarsi scegliendo la formula con welcome box, oppure ordinare separatamente il welcome box stesso.
E una volta che ne sarete entrati in possesso, condividete con noi su IG Stories dove avete piazzato gli stickers Alvento!
Percorsi ciclabili: Super Mi 100
3 Maggio 2021Urban CyclingMilano Urban Cycling
Milano, una città in divenire. Cambia costantemente e continuamente. Ti allontani un attimo, stai via per le ferie o per lavoro, torni, e qualcosa attorno a te è cambiato: quella pasticceria in cui facevi sempre colazione è diventata un coworking, il ristorante cinese sotto casa si è trasformato in una eno-gastro-libreria, la via che ti portava al parco ora è a senso unico, e quel parcheggio segreto che ti permetteva di sfuggire alle strisce blu adesso ospita una piazza condivisa. L’animo di una città come Milano è così fluido nel tempo e negli spazi che le tracce e i segni sono per loro natura destinati ad essere passeggeri e in divenire. Per questo, se volessimo pensare ad un percorso ciclabile che ne circumnavighi i confini, difficilmente potrebbe essere circoscritto, segnato e incasellato all’interno di indicazioni precise.
Così è stato per Super Mi 100, un percorso ciclabile di 100 Km intorno a Milano ideato nel 2016 e progettato grazie a una serie di ricognizioni in bici effettuate nell’estate 2018, durante le quali i partecipanti hanno disegnato una traccia che è stata percorsa nella sua interezza il 14 ottobre 2018 durante la festa di Super, il Festival delle Periferie, un momento di grande importanza per la rivalutazione urbana e sociale delle periferie come elemento di connessione fra i suoi abitanti e motore propulsivo della città, abbandonando il ruolo di satelliti passivi che si limitano a gravitare ai margini.
Super Mi 100 è una costola di Super, il grande Festival delle periferie, nato attraverso l’associazione culturale TumbTumb per dare forma narrativa a tutto ciò che esiste, cresce e si attiva nelle periferie di Milano.
TumbTumb è gruppo eterogeneo che vuole partire dalle storie e dai luoghi di chi li abita, li amministra e li costruisce per connettere competenze, esperienze, punti di vista e relazioni, interessato dalla contaminazione e dalla possibilità di sperimentare linguaggi, pratiche di ricerca e comunicazione, dove le storie e le relazioni si intrecciano con la tecnologia per proporre nuove forme d’azione sociale e politica capaci di far emergere una città in mutamento, che c’è e quella nascosta che ancora si deve svelare.
Come dice il nome stesso, Super è un grande archivio di pratiche, azioni e realtà vive e in divenire che viene pian piano costruito e rappresentato attraverso continue forme immediate, performative e popolari che coinvolgono il pubblico e chiunque si mostri disponibile a farne parte.
Un nobile lavoro di ascolto e di coinvolgimento diretto di chi abita e vive la periferia, di chi la amministra e costruisce, per comporre una trama di racconti, film, disegni, illustrazioni, fotografie, suoni, spettacoli e parole che descrivano in maniera esclusiva e nuova un territorio limitrofo di cui spesso si parla in negativo e si hanno racconti frammentati e parziali.
La bellezza e la modernità di Super Mi si percepiscono nel suo essere un percorso flessibile, liberamente interpretabile da chiunque e modificabile in base a nuove scoperte, nuovi suggerimenti e nuovi passaggi, dal momento che “la città è in costante mutamento, crediamo che un percorso di questo tipo debba essere digitale e fluido, facilmente modificabile e ri-adattabile,”ricorda Michele Aquila, padre e anima del progetto.
Super Mi 100 è un progetto e, come tutti i progetti, non vuole inventare nulla di nuovo. L’idea è quella di investigare un problema esistente: ovvero come muoversi intorno a Milano in maniera circolare in bici. Il tema è ricorrente, almeno da quando esistono gli insediamenti urbani come li intendiamo oggi, per arrivare a questa conclusione, tuttora aperta e in divenire, è stata raccolta una collezione di progetti, idee, spunti e riferimenti utili per capire da dove partire e dove si può arrivare.
Cosa significa esattamente percorso ciclabile digitale?
La domanda sorge spontanea dal momento che l’idea della bici è sempre più concreta e, anche in tempi di lockdown e chiusure, speriamo sempre e comunque connessa all’aria aperta e alla sua connessione materiale con il terreno. Digitale, in questo caso significa senza cartelli o segni dipinti a terra, ma basato su una traccia liberamente scaricabile dal web. “Usiamo le infrastrutture che già esistono e le ricuciamo in uno dei tanti possibili – e speriamo piacevoli – modi”, prosegue Michele.
Qualche consiglio tecnico:
L’agilità di un percorso completamente digitale implica la necessità di dotarsi di un dispositivo per seguire la traccia e venire guidati nella sua esplorazione: uno smartphone con installata un’App che possa leggere i formati di navigazione o, se già ne possedete uno, un ciclocomputer andranno benissimo. Se ne possedete già uno probabilmente sapete già cosa significa scaricare una traccia e caricala sul vostro dispositivo. Se non avete la minima idea di cosa sia un ciclocomputer potete tranquillamente affidarvi al vostro amico smanettone che magari ne sa più di voi e uscire in bici assieme oppure potete provare dal vostro smartphone ricordandovi di portare con voi un battery pack, perché in modalità navigazione la batteria del telefono non dura a lungo, e di fissare il vostro telefono sul manubrio della bici per evitare di dover seguire la traccia estraendo in continuazione lo smartphone dalla tasca, giacca, zaino etc.
Ecco la traccia disponibile su komoot:
https://www.komoot.it/tour/346566150
Il progetto di Super Mi 100 raccontato nel sito ufficiale:
Link:
http://iosonosuper.com/progetti/super-mi-100
e il nuovo profilo instagram:
https://www.instagram.com/super_mi_100/
Foto: Tornanti.cc
Sicurezza in strada e in corsa: intervista a Matteo Trentin
1 Maggio 2021ApprofondimentiMatteo Trentin
«Sono decenni che le nostre strade non sono sicure e noi continuiamo a parlarne senza mai cambiare nulla. La tragedia di Silvia era evitabile, come tante altre. Non si può solo parlare, servono persone in grado di agire. Da noi mancano capacità e conoscenza». Matteo Trentin è desolato, innervosito, e quando si parla di sicurezza stradale non fa sconti a nessuno. «Non ho letto i provvedimenti del Pnrr, ma basta guardarmi in giro per vedere che le cose non vanno. Ora apprendo che si sono previsti 570 chilometri di piste ciclabili urbane e sono stati stanziati 600 milioni per la realizzazione di ciclovie turistiche e ciclabili urbane. Mi sembra ridicolo. In primis 570 chilometri sono un nulla, solo la città di Parigi ne ha di più. Inoltre: quanto si è parlato di transizione ecologica? Questo dovrebbe essere il primo punto su cui investire, se si vuole la transizione ecologica. Ci rendiamo conto che, anche se sostituiamo tutte le auto con macchine elettriche, non abbiamo risolto nulla? Capiamo che avremo sempre gli stessi incidenti e che se un'auto piomba su un ciclista o su un pedone i danni sono ingenti, elettrica oppure no? Forse ci sarà meno inquinamento, ma quella energia, in qualche modo, andrà pur prodotta».
Trentin legge molto sul tema e proprio l'altro giorno è stato colpito dalla riflessione di un urbanista. «Lui afferma che le persone, di fatto, usano ciò che gli si mette a disposizione. Ed è vero. Se continuiamo a costruire autostrade poi non possiamo meravigliarci che la gente giri in auto. Tutti sanno che la bicicletta è il mezzo del secolo: il più comodo che esista, ti muovi agevolmente, risparmi denaro, tempo e non hai nemmeno il problema del parcheggio, però tutti preferiscono prendere l'auto, anche per fare cinquecento metri. Perché la società spinge in quella direzione: la bicicletta non è considerata indispensabile, l'auto sì. Tutto il resto viene di conseguenza. In una strada così affollata di auto, in cui viene a mancare il principio base della civiltà, quello del rispetto per i più deboli, andare in bicicletta fa anche paura. Io andavo a scuola in bicicletta, oggi, se mio figlio me lo chiedesse, gli direi di no».
Tanto più che, spiega Trentin, in Italia le possibilità per costruire ciclabili ci sono tutte. «Non si parla di paesini abbarbicati sui monti in cui questo sarebbe difficile. Qualcosa si è fatto: a Milano, per esempio, o a Ferrara che credo sia la città più ciclabile d'Italia. Ma serve ancora fare tanto. Nelle grandi città si sta iniziando ad accettare l'idea che le auto debbano restare fuori dai centri storici, nei piccoli paesi si fa più fatica. Sembra di vietare chissà cosa quando si parla di centro pedonale. E pensare che in quei centri, con altri mezzi, ci si muoverebbe meglio».
Ma la questione è più complessa e Matteo Trentin torna sul tema del rispetto. «Forse nemmeno una ciclabile avrebbe salvato Silvia, perché per allenarsi non l'avrebbe usata. Giustamente, non ci si può allenare sulle ciclabili. Il rispetto, però, l'avrebbe salvata di sicuro. Perché a scuola guida non si parla di rispetto per gli utenti deboli? Perché la legge non fa nulla per questo? In Italia ci battiamo da anni per il metro e mezzo di distanza per la nostra sicurezza. Petr Vakoč mi ha detto che, la stessa istanza, in Repubblica Ceca, è arrivata in parlamento in pochi mesi. Io ieri ho rischiato ben tre volte, di cui due per persone che passano apposta a pochi centimetri dalla bicicletta, quasi per spaventarti». Qui l'affondo: «Le colpe vanno certamente ripartite, perché anche chi va in bicicletta sbaglia, ma da noi si è giunti all'assurdo. Anche se c'è un errore dell'utente debole, non è possibile giustificare l'auto che gli piomba addosso. Non deve succedere, a prescindere».
Altra tematica discussa in questi giorni riguarda l'introduzione dell'obbligo del casco per i cicloamatori o i turisti. «Sarei favorevole, assolutamente. Credo, però, non sia questo il momento di parlarne. Iniziamo ad avere tante persone che si spostano in bicicletta e poi ci pensiamo. Il casco salva in incidenti fra biciclette, quando cadi da solo, ma se un'auto ti travolge le conseguenze sono gravi ugualmente. Lì il casco non cambia nulla».
Poi c'è la sicurezza in gara, i veri problemi e quelli trasformati in problemi da chi «dovrebbe conoscere il ciclismo, visto che lo governa ed invece, a quanto pare, non lo conosce per nulla». Trentin parla della faccenda borracce. «Le premesse e le promesse erano diverse. Poi non si sono ascoltati gli atleti e si è presa un'altra direzione. Un conto è parlare di passaggio della borraccia in sicurezza, altro conto è vietare un'usanza tipica del nostro sport da secoli. Tra l'altro con borracce biodegradabili e persone che non vedono l'ora di raccoglierle. Dicono che in alcune parti del mondo non vengano raccolte e restino a bordo strada. Bene, facciamo qualcosa di diverso in quei paesi. In Europa questo rischio non c'è».
Infine un plauso, perché le cose fatte bene vanno riconosciute. «Parlo di Flanders Classics e delle nuove transenne adottate per le classiche di primavera. Non sono un tecnico, non posso giudicare nei dettagli queste barriere. Apprezzo il fatto che qualcuno si sia informato e sia andato da un'azienda a richiedere un progetto, senza che ci fosse un obbligo di legge. Che lo abbia fatto per la sicurezza di tutti. Altrimenti poi succede come in Turchia. Io non sono mai caduto in mezzo alle transenne e spero di non finirci mai. Spesso, però, le nostre sono transenne vecchie di anni, non si sono mai cambiate per risparmiare ed oggi i costi sono elevatissimi. Se si fosse lavorato nel tempo, forse, non saremmo a questo punto. Certo, non tutte le organizzazioni possono permettersi di sostenere costi simili, ma se si comprassero assieme e si condividessero? Almeno per gare che non coincidono a livello temporale. Perché non pensarci?».
Foto: Vincent Kalut/PN/BettiniPhoto©2021
La Primavera Perfetta di Enrico Brizzi
La Primavera Perfetta di Enrico Brizzi
Intervista: Luca Mich e Claudio Ruatti
Sound design: Brand&Soda
Il 15 aprile è uscito ‘La Primavera Perfetta’, il nuovo romanzo di Enrico Brizzi pubblicato per Harper Collins. Parliamo di uno scrittore di culto, che dal successo enorme di ‘Jack Frusciante è uscito dal gruppo’ in poi ha percorso tante diverse strade, prima di tornare, proprio con quest’opera, al romanzo puro. Senza mai scendere a compromessi. La bicicletta ha sempre fatto parte della vita di Enrico, ha scritto la biografia ufficiale di Vincenzo Nibali, ha viaggiato a lungo per l’Europa su due ruote (ne ha raccontato anche su Alvento n. 7). La Primavera Perfetta è ambientato nel mondo delle corse professionistiche: il protagonista, Luca Fanti, è fratello (nonché anche manager) di Oliver, una star del circuito World Tour di 34 anni, con un Mondiale e un Fiandre nel palmares e a caccia dell’ultimo importante contratto della carriera. Una storia di vita in cui le due ruote entrano di prepotenza e che dimostra la profonda conoscenza e padronanza di Brizzi, oltre che delle dinamiche dei rapporti umani, anche di quelle che governano il complesso micro-universo delle corse professionistiche. In questo talk di un’ora si spazia a 360° su origini, contaminazioni culturali, ciclismo e tanto altro con un personaggio davvero straordinario.
La sinossi di ‘La Primavera Perfetta’:
Luca Fanti non avrebbe saputo dire qual era stato l’istante esatto in cui le cose avevano iniziato a mettersi male. Dopotutto era un uomo fortunato. Una moglie affascinante, due splendidi figli, un lavoro che in tanti gli invidiavano: fare il manager di suo fratello Olli, uno dei ciclisti più forti del mondo. Poi qualcosa aveva sbagliato, certo. Errori piccoli, ed errori grandi. E il castello delle sue certezze si era sgretolato. Il divorzio, gli alimenti impossibili da pagare, le accuse della figlia maggiore, perfino un processo per aggressione, una cosa ridicola, in fondo aveva solo tirato un pugno a un amico. Certo, con suo fratello l’aveva davvero fatta grossa… Enrico Brizzi, scrittore fra i più amati degli ultimi trent’anni, scrive uno dei suoi romanzi più belli, il libro della maturità, la storia della caduta e della redenzione di un uomo lontano dall’essere perfetto, ma al tempo stesso irresistibile, un meraviglioso concentrato di difetti, superficialità, speranze, slanci e voglia di lottare; dei vizi e delle virtù, insomma, che rendono umani. La primavera perfetta tratta temi fondamentali, dalla disintegrazione della famiglia tradizionale ai non detti tra fratelli, dal ruolo prezioso dell’amicizia alla sorpresa di fronte al riaffacciarsi del sentimento più tenero, e riesce a toccare la profondità con leggerezza, portando il lettore dal riso alla commozione. È un romanzo che ricorda le splendide commedie di Frank Capra scritto con un’ironia degna dei fratelli Coen, un libro che mette in scena momenti epici indimenticabili e racconta una straordinaria storia d’amore. Il tutto con lo stile di Brizzi, la sua voce maturata negli anni ma sempre inconfondibile, il talento cristallino che ha fatto amare i suoi romanzi a un’intera generazione di lettori.
A Liegi vince la fantasia
25 Aprile 2021CorseJulian Alaphilippe,Liegi-Bastogne-Liegi,Pogacar,Alaphilippe,Gaudu,Valverde,Woods
A Place Saint-Lambert, alla partenza della Liegi-Bastogne-Liegi, qualcuno ricorda Antoine d'Ursel, l'uomo che "tentò di truffare la Liegi", nel 1892, non proseguendo per Bastogne, ma restando lì, nascosto, nell'attesa del suo rivale Leòn Houa. D'Ursel perse, venne scoperto e fuggì in America, in preda all'imbarazzo. A Liegi resta anche qualcosa di Georges Simenon e del commissario Maigret, qualcosa di quello studio in cui lo scrittore si chiudeva, con del cognàc e delle pipe. Potresti immaginarlo ovunque, guardando verso l'alto di un edificio, dietro una finestra. Non c'è posto per strane idee.
Da Liegi a Bastogne e ritorno, ma da un'altra strada. Quella infarcita di côte, denti a mordere i muscoli. C'è la fuga, c'è anche un italiano davanti, Lorenzo Rota, ma le strade imbastite di case con tetti di ardesia, a cupola, a torretta, a ricordare i Castelli della Loira, non hanno pietà. Lui, Huys e Marczyński saranno gli ultimi fra i sette fuggitivi a cedere alla caccia del gruppo. Vliegen si bloccherà d'improvviso qualche metro prima, massacrato dai crampi, come un rantolo sordo. L'inizio dei saliscendi è una campana a morto per chi è in coda al drappello di testa come al plotone: atleti che si staccano, indolenziti dall'acido lattico, come tendini che si strappano, mentre davanti si buttano le prime carte.
Luis Leòn Sànchez e Omar Fraile scattano sulla Côte de Wanne, placcati dal gruppo. Anche Philippe Gilbert si farà vedere in testa sullo Stockeu, colle che ricorda una stoccata, qualcosa di rapido ma doloroso. Lui che, nei giorni scorsi, è andato dal suo macellaio, a Remouchamps, accanto a La Redoute a comprare una bistecca. Emozionato perché non gli capitava da tanto di essere a casa nei giorni prima della Doyenne. Sono graffi, niente più. Rosier e Desnié sono solo fatica, pura fatica, nelle gambe, in attesa di una corsa che scalpita, un purosangue nervoso che cerca di scrollarsi di dosso un fantino inesperto.
L'azione della Deceuninck-Quick Step e successivamente quella della Ineos frantumano il plotone una prima volta su La Redoute, una seconda volta sulla Côte de Forges, la più innocua all'apparenza, ma, dopo duecentoquaranta chilometri, le apparenze somigliano a miraggi: ingannano sempre.
Il nome Redoute deriva dal linguaggio bellico, significa fortino di guerra, luogo in cui mimetizzarsi e nascondersi. Qui è ancora possibile fingere. Poco più in là ogni imbroglio è scoperto e pagato a prezzo d'oro. Richard Carapaz riuscirà ad andare via così, grazie alla tattica di squadra, a tutta, testa bassa e denti talmente digrignati che quasi ti chiedi come facciano a non saltare sotto tanta pressione. Chi sbaglia, paga. Vale per l'Astana che dopo tanti attacchi resta a bocca asciutta quando l'attacco è quello giusto. Vale anche per lo stesso Carapaz che forse esagera nello scatto e quando partono Valverde, Alaphilippe, Woods, Pogačar e Gaudu non può che restare a guardarli, da lontano.
Siamo sulla Roche-aux-Faucons, salita che nel nome ricorda i falchi, per assonanza, loro che ghermiscono e portano via. Roglič è dietro, Schachmann anche, Kwiatkowski pure.
Ora la strada verso Liegi scorre veloce, prima perché in discesa, poi perché i cinque in testa spingono i pedali a gran velocità, sembrano non sentire la fatica, mentre provano a seminare il gruppo. Nel frattempo le squadre degli attaccanti rompono i cambi e favoriscono la fuga.
L'ingresso nell'ultimo chilometro è attesa, battito e respiro trattenuto. Gaudu si sposta a bordo strada, Alaphilippe si volta a destra e a sinistra, favorito in volata, Valverde è in testa, quarantuno anni oggi e ad un passo dalla quinta Liegi, come Merckx, alla sua ruota Woods, Pogačar pizzica la radiolina e si mette in ultima posizione. Valverde parte lungo, Alaphilippe sembra rimontarlo, è pronto al colpo di reni finale, Pogačar è un equilibrista che dal lato delle transenne si butta all'interno e lo supera sul traguardo. Al secondo posto il campione del mondo che ancora una volta viene beffato da uno sloveno, terzo Gaudu.
Vincono l'imprevedibilità e la fantasia di un ragazzo di ventidue anni che l'anno scorso ha vinto il Tour de France e che ancora riesce solo a immaginare dove può arrivare. Perché Simenon ed il suo Maigret lo sanno bene: a Liegi non si può barare, ma è concesso, anzi doveroso, inventare.
Foto: Peter De Voecht/BettiniPhoto©2021
Freddo ad aprile
24 Aprile 2021CorseLiegi-Bastogne-Liegi,Pogacar,Alaphilippe,Roglič,Classiche
Riprendiamo il filo dall'inizio, da marzo. Strade Bianche: corsa piuttosto divertente. Si era già in mezzo a una primavera che poi in realtà ha faticato ad arrivare. Si era a bocca aperta quel giorno, maschere di sabbia come un carnevale nel deserto, come quelli che se la sono giocata fino alla fine: van der Poel, Alaphilippe, Bernal, van Aert, Pidcock, Pogačar. Il meglio - o quasi - del ciclismo formato (inizio) 2021.
Si è passati dalla Milano-Sanremo e alla sua imprevedibile linearità. Corsa poco tirata, dove a stare in gruppo stai come in taxi, giustificata nella sua epica e pathos dal crescendo rossiniano da tappa pianeggiante di un Grande Giro e dal paradigma de "la tradizione non si tradisce" e con quel passaggio finale adrenalinico Poggio-su-e-Poggio-giù che tende un po' a viziare e ribaltare il giudizio. Chi scrive auspicherebbe se non altro un tentativo di rendere la corsa più varia. Lo fanno diverse grandi corse, motivi economici o meno, perché la Sanremo no?
Poi c'è stato il Nord: quello fatto di pietre del Belgio. Purtroppo niente Francia, anche questa fredda primavera ci ha scippato la Roubaix. Abbiamo sognato alla Gand con tre italiani in lotta, ma abbiamo ugualmente gioito per la vittoria di van Aert.
Abbiamo assistito alle cavalcate di van Baarle (Dwars door Vlaanderen) e di Asgreen (Harelbeke). Ci siamo stupiti nel vedere van der Poel perdere il Fiandre proprio dal danese, e poi nel vedere Pidcock fare un boccone di van Aert al Brabante. Sembra una filastrocca.
E visto che gira e rigira i protagonisti poi sono sempre quelli: all'Amstel avremmo dato comodamente la vittoria a entrambi gli ultimi due citati, mentre alla Freccia Vallone Alaphilippe si riprendeva ciò che è suo in una primavera dove ha vinto sì, ma è apparso agonisticamente tiepido.
E ora? E ora siamo arrivati al termine di questo lungo, freddo, viaggio verso il Nord, verso fine aprile. Dalle pietre alle Ardenne, dal pavè alle côte. Con il cuore diviso a metà: si spezza all'idea che un'altra primavera (ciclistica, quella "reale" non parliamone nemmeno) è passata, si esalta all'idea che fra due settimane ci sarà il Giro.
Intanto Liegi-Bastogne-Liegi: la decana. Ci si immagina una sfida franco-slovena: Alaphilippe, Gaudu, soprattutto, Cosnefroy (non al meglio per la verità), Barguil, G.Martin, da una parte (quanta abbondanza la Francia sulle Ardenne, in pochi anni). E dall'altra Roglič - campione uscente e Pogačar (mettiamoci dentro anche Mohorič) pochi ma buoni capaci entrambi di vincere, di inventare ed esaltare.
Poi sia chiaro: il nuovo percorso, aperto a diverse soluzioni, è decisamente più spettacolare di quello col finale verso Ans che rimescolava le carte e rendeva spesso una lunga attesa verso lo strappo finale, e apre un ventaglio di possibilità di successo ai corridori più in forma più che a qualche outsider: l'eterno Valverde, il duro Schachmann, l'atteso Hirschi, il rampante Vansevenant, il gemello Yates, il mezzofondista Woods, il levriero Mollema, l'ingobbito Carapaz.
Per l'Italia, se proprio dobbiamo tirare dentro qualche nome, l'unico fattibile è Formolo.
Ma oggi ancora è meglio non parlarne, va così: aspettiamo tempi migliori, vacche grasse o talenti (ce ne sono) che diventano campioni. L'ultima “Doyenne” vinta risale ormai al 2007. A oggi ci tocca osservare, da posizione privilegiata, per passione, ma con la bocca sempre di traverso in una smorfia, osservando poi gli ordini d'arrivo con la bandiera tricolore parecchio indietro.
PERCORSO
Poco meno di 260 chilometri da Place Saint-Lambert, passando ovviamente per Bastogne fino a dove la strada è più clemente rispetto al ritorno verso Liegi. Dal 2019 non si arriva più (finalmente) ad Ans, anche se i punti chiave rimangono più o meno i medesimi. Intanto non c'è mai un metro di pianura, anche se i GPM segnati sono alla fine 11, in realtà se ne potrebbero contare in tutto il doppio. Dal km 164 (Cote de Mont-le-Soie) al km 245 con la Roche-aux-Faucons, quasi 80 km in cui non si respira con Wanne, Stockeu, Haute-Levée, Rosier, Desnié, Redoute e Forges. Dalla “Rocca dei Falchi” 13,4 km fino a Liegi.
I FAVORITI DI ALVENTO
⭐⭐⭐⭐⭐ Roglič
⭐⭐⭐⭐ Alaphilippe, Pogačar
⭐⭐⭐ Gaudu, Valverde, Schachmann, Vansevenant
⭐⭐ Carapaz, Barguil, Cosnefreoy, Hirschi, Woods, Mollema, Wellens, Teuns, Chaves, Benoot, A.Yates
⭐ G.Martin, Formolo, Tulett, Vingegaard, Schelling, Konrad, Poels, Q. Hermans, Leknessund, Fabbro, Almeida, Konrad
Foto: A.S.O./Gautier Demouveaux
Questione di scelte
23 Aprile 2021CorseTour of the Alps,Großschartner
Ci sono Umberto e Martino, su una barca, con le canne da pesca tirate, in mezzo alle acque del Lago di Garda, mentre l'alba solleva una leggera fuliggine. Sono pescatori, da decenni. «Sinceramente invidio chi riesce ancora a stupirsi per le acque. Per un pescatore diventano ossessione, anche preoccupazione. E sai com'è difficile vivere in preda alle bizze del lago o del mare?». Forse chiunque guarderebbe il lago in maniera diversa se parlasse con loro.
La fuga di oggi ha anche qualcosa di quella barca. Matteo Fabbro, ad esempio, si porta quel cognome che ha tutta l'umiltà dei lavori più semplici e la genuinità di quei ragionamenti: «Il punto non è se ci sono tanti sacrifici da fare, il punto è quanto ti pesano quelle rinunce. A me non danno fastidio». Thibaut Pinot, invece, col lago ha un rapporto speciale. Lo ricordiamo a Como, a ottobre del 2018, quando ci disse che amava quelle strade perché simili a lui. Dicono che l'altro giorno, in un momento difficile, volesse ritirarsi e che sia ripartito solo grazie al sostegno di un compagno. Nicolas Roche deve aver provato ciò che provano quei pescatori quando si è accorto di essere un onesto pedalatore, non un campione come il padre. «Sogno è ciò che puoi fare, illusione è ciò che ti fanno credere di poter fare. I sogni ti aiutano a migliorare, le illusioni ti fermano, ti rendono cieco». Ma anche per Cepeda, in gruppo, vale lo stesso. Lui che ieri mattina ha sceso a fatica l'ultimo gradino del palco presentazione, forse per fatica, forse per dolore, eppure non lo diresti mai vedendolo pedalare. Come quei pescatori che salutano spensierati e faticano a prendere sonno la sera.
Großschartner ci pensava questa mattina. Ogni giorno una fuga e poi nulla da fare: la frustrazione non la scacci più. Tutti ti dicono che la fuga è bella anche se non arriva, anzi, forse se non arriva è ancora più bella perché, alla fine, per gli sconfitti si tifa bene e si scrive ancora meglio. Già, facile essere generosi con la fatica altrui, non costa nulla in fondo. All'austriaco, invece, tornare in fuga è costato ed anche molto.
Ad ogni chilometro pensava e sperava che potesse essere la volta buona, poi guardava la cartina e si ricordava di quante volte si era raccontato la stessa storia nei giorni prima. La solitudine se l'è conquistata con il ritmo, con la costanza e pure con qualche paura. Chissà cosa avrà pensato quando, da solo in testa, gli hanno gridato nelle orecchie che dal gruppo era partito Quintana. «Ecco, adesso arrivano questi e siamo fregati un'altra volta». Non è stato così perché quello di Quintana era un fuoco soffocato in un camino, un rigurgito d'orgoglio, troppo facile per Simon Yates andare a chiudere. Chissà cosa avrà pensato ad ogni tornata, Lago di Tenno-Tenno-Varone-Riva, quel finale che non era la fine. Non ancora, almeno.
Il finale è una vipera incattivita dal bastone di un cercatore di funghi, che volta di scatto la testa e sibila cercando di infondere veleno. Großschartner, che sino a quel momento, aveva del ritmo il suo veleno per i rivali, perde la pazienza e forza l'andatura. Vuole arrivare quanto prima alla fine. All'ultimo chilometro quasi la bicicletta gli scivola via, tanto pedala duro, lungo rapporto e posizione aerodinamica. Si volta, guarda se dietro c'è qualcuno, si alza sui pedali, leggero, quasi a sgranchirsi i muscoli e poi alza le braccia. Lui vince la tappa, Simon Yates vince il Tour of the Alps.
Martino e Umberto non sono qui. Martino stamattina ha guardato Umberto quando gli abbiamo chiesto se volessero farci compagnia. Poi si è voltato: «Anche volendo non potremmo. Questo pomeriggio dobbiamo lavorare e domani mattina ci si sveglia alle quattro. Ma va bene così». E Umberto, spostando un attrezzo dalla barca: «Guarda, la nebbia è scomparsa. Ora puoi vedere bene il lago». Perché, in fondo, anche se non lo ammettono, il lago continua a piacere anche a loro. Hanno scelto così, come Großschartner ha scelto di tornare in fuga, perché la parte brutta delle cose esiste comunque, a noi il compito di renderla sopportabile. Loro lo sanno e sono felici.
Foto: Dario Belingheri/BettiniPhoto©2021
Una giornata particolare
22 Aprile 2021CorseTour of the Alps,Pello Bilbao
È il giorno in cui bisogna dimostrare. Arriva in tutte le corse, questa volta arriva alla penultima tappa, da Naturno a Pieve di Bono, dopo Passo Castrin, Passo Magno e Boniprati, circa 4000 metri di dislivello, arriva soprattutto dopo una discesa a rotta di collo verso il traguardo.
Simon Yates ha dedicato solo a se stesso la vittoria nella seconda tappa, perché si può arrivare al traguardo mentre tutti ti attendono o arrivare quando nessuno più ti cerca, quando il vincitore sta già tornando in albergo e, se non sei tu ad aspettarti, rimani comunque da solo anche se attorno hai tanta gente. Andrea Vendrame lo ha imparato da ragazzino, quando il padre cercava di convincerlo a lasciar perdere il ciclismo: «Ora ci crede anche lui, ma ora è anche facile». Matteo Fabbro dice che l'unico modo per dimostrare è continuare a provare, anche se sbagli, come è accaduto alla BORA-Hansgrohe nei primi giorni. Chris Froome nella sua carriera ha già dimostrato e sa che non se ne può mai fare a meno. Questo intende quando dice: «Non chiederei mai a un mio gregario di fare qualcosa che io non farei per lui». Questo intendeva quando è scattato dopo la partenza, come uno dei tanti. Assieme a lui nomi a cavaturacciolo, scioglilingua pungenti: Pernsteiner, Ghebreigzabhier, Großschartener, tra gli altri.
Ogni gregario delle squadre che si sono messe in testa al gruppo ai quaranta chilometri dal traguardo sa bene cosa sia questo giorno. Qualcuno racconta: «Essere gregari è anche una scelta. Lo scegli, per esempio, quando ti rendi conto che la pressione ti schiaccia e rischi di smettere». Così si sfiniscono e quando si spostano a bordo strada quasi si fermano, cercando il respiro nelle viscere. Così ha fatto spesso Oliviero Troia, ultimo in classifica generale, a circa un'ora e oggi ritirato. C'è frenesia nel giorno in cui bisogna dimostrare, come il gruppo che si rimescola in preda alla follia della velocità, dopo aver ripreso la fuga, a pochi chilometri dall'attacco della salita di Boniprati, mentre gli uomini di classifica limano, si sfiorano, quasi si graffiano per trovare il proprio posto. Il giorno in cui devi dimostrare è anche il giorno in cui devi controllarti, tenerti calmo. Non c'è riuscito Pavel Sivakov che oggi è parso il più terribile dei masochisti. Il ritmo della sua squadra in salita lo ha cancellato, annientato. «Vai, non ce la faccio» dice a Dani Martìnez, suo ultimo uomo. Lui continua a guardarlo, prigioniero del senso del dovere, smarrito. È il buio.
Davanti impazza Vlasov, Quintana dapprima attende, poi cede. Simon Yates è la calma che siede sul trono. Guarda i suoi avversari che si azzannano come lupi attorno alla carcassa e li sfida con l'impassibilità, la freddezza. Fa male l'indifferenza, manda in tilt. Daniel Martin, alle loro spalle, sbanda una prima volta e cade sul brecciolino della discesa, a peso morto, senza sganciare il pedale, poi torna a cadere in preda alla paura. Non ha alcun timore, invece, Bilbao che si lancia come un kamikaze e si riporta su Yates e Vlasov, già convinti di averla scampata. A Yates va anche bene così, Vlasov prima è stizzito, poi staccato. Può solo tirare dritto e nascondere i dubbi dietro gli occhiali. Rientrerà mentre Bilbao starà per lanciare la volata e ripartirà ribaltandosi lo stomaco dalla foga negli ultimi duecento metri. Sarà secondo, lui che, se avesse vinto, avrebbe parlato di Michele Scarponi. Chiunque lo avrebbe fatto oggi. «Ci ricordiamo tutti di lui» dice Bilbao.
Stasera Yates penserà a domani, perché sarà un altro giorno in cui dimostrare, come ogni mattina in cui ti metti a fare ciò che hai scelto e hai sempre paura di aver scelto male. Così prendi una canzone triste e provi a farla bella. Questo dicevano i Beatles a Jude, sulle note di una canzone che esce da una macchina al traguardo. Questo dice Yates a chi anche oggi ha dovuto dimostrare e stasera torna a casa temendo di non esserci riuscito.
Foto: Ilario Biondi/BettiniPhoto